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Opera Nuova 2017-1

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Opera Nuova Rivista internazionale di scritture e scrittori

n. 15

«La creatività della scrittura. Nella scuola e per la scuola»


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© Opera Nuova

ISSN 1663-2982 ISBN 978-88-96992- 19 -7


Luca Cignetti Direzione

Andrea Afribo (Università di Padova), Luca Cignetti (DFA SU PSI, Locarno), Dario Corno (Università del Piemonte Orientale), Massimo Gezzi (Liceo Lugano 1), Gilberto !sella, Uberto Motta (Università di Friburgo), Paolo Orvieto (Università di Firenze), Matteo Viale (Università di Bologna), Irene Weber Henking (Ce ntre de

Traduction Littéraire, Università di Losanna), Luca Zuliani (Università di Padova) Comitato scientifico e di re dazione

A garanzia della qualità di ogni fascicolo tutti i contributi vengono sottoposti al giudizio di due revisori esterni (,blind referees•)

(} Ediziofli Opera Nuova - Lugano


Opera Nuova ringrazia per il sostegno:

pr::helvetia

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~~~!blica e Cantone


Indice Sommario

7

Voci dalla Svizzera Presentazione alla Ninnananna del bosco di C Silini, di L Tomasin

12

Carlotta Silini, Ninnananna del bosco

13

Sabrina Caregnato, Crucci Simone Fornara, e ultimo viene il pezzo di melone.

19

Il cenacolo degli eventi letterari di Ascona

2016

27

(Il parte)

Nicolai Morawitz, Liebe deinen Niichsten. Tweet Marica Iannuzzi, E tu, p erché scrivi?

Nuove storie per la scuola dell'infanzia: il binomio fantastico di Gianni Rodari (a cura delle studentesse DFA SUPSI) Céline Erard, Eleonora Manfrè, Camilla il drago

43

Luisa V. Righetti, M arino l'avventuriero

45

Cora Canetta, Serena Capodaglio, Vanessa Paiva, Alina Tavoli, Il coniglio dai calzini rossi

48

Aleksandra Marijan, Arianna Fernandez, Alison Rieder, Deborah Bernasconi, L'elefante sulla luna

50

Giulia Baccarin, Ilaria Caccia, Sofia Franscella, Sara Lucchini, Lara Ponzio, Lina Bianchina

52

Laura Beretta, Vania Bianchi, Cinzia Domenighini, Samantha Jukic, Kristel Peter, Vanessa Sorace, Strega e streghetta

55

Giulia Baccarin, Ilaria Caccia, Sara Lucchini, Ernesto il maldestro

57

Catia Borges Carvalho, Cinzia Domenighini, Kristel Peter, L 'avventura di Margherita

60

Daphne lngold, La magia del cielo

64


INDICE

Fiabe dall'infanzia per l'infanzia (a cura di S. Meschini) Adriel, Ardian ed Edmea, Il giovane asino

69

Giada, Luis e Sabina, Il giovane gatto

71

Alice, Caroline e Remi, Il ragazzo straordinario

72

Beatriz, Fjolla e Veronica, Sognare a occhi aperti Adam ed Erjon, La graffatrice

74

Alessia, Mirko e Stefano, La lucertolina

75 77

Quando i quadri raccontano storie (a cura di S. Fomara) Introduzione, di S. Fomara

81

Lia Galli, Il rapace dolore notturno della cognizione Michèle Python, As time goes by Davide Circello, They know

89

Valeria Callea, Il sugo di tutta la storia

95

83 92

Incontri A colloquio con Massimo Gezzi, di R. Castagnola

101

Massimo Gezzi, Tre poesie inedite

105


SOMMARIO



I

l numero 15 di Opera Nuova, intitolato ,La creatività della scrittura. Nella scuola e per la scuola•, si apre con la sezione «Voci dalla Svizzera•,

in cui sono pubblicate le poesie di Carlotta Silini tratte dalla raccolta Ninnananna del bosco, introdotte da una breve presentazione di Lorenzo Tomasin. Seguono i racconti Crucci, di Sabrina Caregnato, ed e ultimo viene il pezzo di melone., di Simone Fomara. Nella sezione successiva sono presentati i testi Liebe deinen N achsten. Tweet 36 di Nico lai Morawitz e E tu, perché scrivi? di Marica lannuz zi, che completano, insieme ai testi pubblicati sul numero 14 di Opera Nuova

{fascicolo 2016h), la serie di scritti in occasione del Cenacolo degli eventi letterari di Ascona del 2016. Seguono nove brevi racconti per l'infanzia, inventati dalle studentesse del DFA SUPSI di Locarno ricorrendo alla tecnica del «binomio fantastico• elaborata da Gianni Rodari. Sempre all'infanzia è dedicata le sezione seguente, in cui sono raccolte sei brevi fiabe inventate dai bambini sotto la guida della maestra Simona Meschini, che in un breve testo introduttivo illustra il suo progetto. A una diversa sperimentazione di scrittura si ispira il gruppo di racconti che seguono: prendendo spunto dall'osservazione del quadro di Edward Hopper «I nottambuli• (NighthawksJ, gli autori «narrano e interpretano la medesima situazione di partenza da quattro differenti punti di vista, e adottando anche quattro stili letterari diversi•, come scrive nella sua introduzione il curatore della sezione, Simone Fornara. Chiudono il numero un'intervista curata da Raffaella Castagnola al poeta Massimo Gezzi, vincitore del Premio svizzero di letteratura 2016, e tre sue poesie inedite.



VOCI DALLA SVIZZERA

Carlotta Silini

Ninnananna del bosco

Sabrina Caregnato

Crucci

Simone Fomara

e ultimo viene il pezzo di melone.


La delicata ricerca formale della Ninnananna del bosco di Carlotta Silini non si svolge tanto sul prevedibile piano della perizia metrica o del congegno retorico. La poesia, affidata alla forte capacità d'evocazione di accostamenti ad alta tensione metaforica, s'illumina piuttosto nel cesello lessicale, che seleziona materiale raro - i marassi, i gipeti, gli amenti - e lo accosta con altro più comune, ma scrupolosamente filtrato dalla ricerca di preziosi effetti di suono e di senso. Dopo un esordio narrativo, che le 'e valso il premio Campiello Giovani a Venezia, nel 2011 1 Carlotta Silini si è incamminata da qualche anno nella produzione poetica, che coltiva a latere di studi non letterari (di medicina, nella fattispecie: studi che lasciano un segno nelle immagini e nelle situazioni della sua poesia) e dell'impegno in attività umanitarie. Un percorso che vale la pena di continuare a osservare con attenzione.

Lorenzo Tomasin

Nota biografica Carlotta Silini (Mendrisio, 1990) frequenta l'ultimo anno di università alla facoltà di medicina di Losanna. Nel 20 11 ha vinto la sezione esteri del Campiello giovani con una prosa intitolata «Un anno di pensieri in cinque righe». A settembre 2015 risale la sua prima pubblicazione, «Igiene di vita», una raccolta poetica edita presso Alla chiara fonte editore, Viganello.


Carlotta Silini

Ninnananna del bosco

Come salmone attacco, risalgo i fianchi del monte sotto le pinne raccolgo resina pigne marassi gli ossi del camoscio che ora fracassa il gipeto come marmotta mi ergo, esplodo sopra il nevaio ululo in cirri e piovaschi le viscere che ho nel petto dalle mie gole di pietra deflagra la tramontana

1.

Ah il mio cuore, il mio povero cuore me l'ha dato un altro, e ho rotto anche questo sono qui grigia nelle mie feci mi chiamano signora, signora, non c'è polso pancia di pesce il bianco degli occhi di chi era questo cuore che non batte

ho fatto il possibile, eppure l'ho rotto un cuore nuovo in petto, da arredare come il mio vita netta di geranio sul balcone scoppi rossi di gioia per l'acqua e il moscerino e sento adesso che mi chiamano signora via dal balcone, occhi ciechi di pesce io che non conosco il nome del mio cuore non so di chi sia stato, chi ora lo rivoglia


NINNANANNA D EL BOSCO

2.

C'è un posto dove il tramonto filtra da vetri arancioni, e sciolgono rose nell'aria che appassisce dove insetti galleggiano in fiati gelati e io da spalle altissime sono l'odore del fuoco le mie piccole dita al riparo di mani corteccia ma il vetro arancione non mi salva dal dolore tutto il dolore che bevo dai raggi rosa dei campi

14 • VOCI DA LLA SV IZZERA


CARLOTTA SILINI

3.

Raggiungere con mano invecchiata la tua mano ombra viola tra i tigli, tu occhi pervinca tra gusci di chiocciola schermare il fuoco bianco che lasci ti sciolga, nuvoletta scarnita il bosco canta ninnenanne a cuori stanchi paralizza il pomeriggio per porgerti il mio bacio pieno d'anni, adesso, perché tu lo riconosca tu scampolo di vita, più cara di ogni raggio se potessi respirare, non sfaldarti come scisto

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NINNANANNA DEL BOSCO

4.

C'eri una volta tu che avevi cento anni (piano lo tintinnano i sonagli del sambuco) e l'argilla sapeva l'impronta del tuo viso ma non sapeva quanto fossi coraggiosa, tu che guadi il sentiero allagato dal diluvio con cuore scricciolo hai combattuto l'orco, dita gelate il solo dono della fata sono amenti dorati i tuoi dentini d i latte m entre in guizzi drappeggi di rughe le cortecce

16 • V OCI DALLA SVIZZERA


CARLOTTA SILINI

5.

Oggi è morto un dottore raggiante l'aurora per ventitré metri, respiro di rondone fiori-poliziotto attorno alla t enda e sempre indossava cravatte, e un viso netto dita minute, unghie corte curate anche il dottore a volte ha male al cuore stasera sull'asfalto del suo cosa resta

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NINNA N ANNA DEL BOSCO

6.

Sotto mani bianche hai smosso un cuore muto, signora che ho visto morta tra le feci tu che presto ti riaffaccerai al balcone raggiante l'aurora, tramonti allo sciroppo guizzo a ogni tuo battito di gioia moscerina geranio mi intrido della tua nuova vita.

18 • VOCI DALI..A SVIZZERA


Crucci di Sabrina Caregnato Marcabruna, 1572

((Dannazione! ... » Carlo camminava su e giù nei grandi saloni del castello. Due occhiaie profonde e un'espressione provata lo facevano sembrare meno attraente del solito. Il padre, Nicolò Bertrando Guismondo dei Gudmundsson, barone di Marcabruna e della Marca, agonizzava ormai da due giorni. Si era sentito male dopo una battuta di caccia. Noncurante dell'età e dello sforzo appena compiuto, aveva tracannato dell'acqua ghiacciata che un mozzo da stalla gli aveva servito. Il malessere era stato repentino e raccapricciante: il barone era impallidito cercando di farfugliare qualcosa, i suoi cento chili erano stramazzati sul lastricato. Il volto, solitamente segnato dall'albagia, era diventato una smorfia, la bava aveva cominciato a colare sulla barba precedendo di poco i conati di vomito. Nessuno aveva osato muoversi finché lacomo, il suo cameriere personale, aveva gridato: «Padrone! Padrone ... aiuto!» Cercando di girarlo sul fianco per non farlo soffocare. Alcuni famigli si erano affrettati a dargli manforte mentre qualcuno correva a cercare il primogenito. Carlo non aveva assistito alla scena ma allertato dallo scompiglio stava tornando di corsa dalle cucine. Arrivato alle stalle, aveva esclamato: «Cosa diavolo! ... » Poi alla vista del padre le mani avevano iniziato a tremargli, «Non è possibile! Non è possibile . . . Non può essere ... » Aveva balbettato incredulo senza sapere cosa fare. «Uddìa! Uddìa! Matre santissima abbi pietà ... » la vecchia cuoca Santa, accorsa anche lei, si era segnata più volte mormorando una preghiera. «P ... padre ... padre che vi succede?» «Via, via!» qualcuno aveva urlato, «Bisogna riportarlo nei suoi alloggi . . . Andate a cercare un medico! Ci vuole un medico!» «Sì. .. sì ... ma come ... ma com'è successo?» Quella mancanza di sicurezza non gli era consona. Carlo era un uomo deciso e orgoglioso, come primogenito della casata era destinato a riprendere le redini del comando. Finalmente un birro aveva inforcato il cavallo ed era sparito al galoppo. Intanto il barone Guismondo giaceva a terra incosciente, il respiro talmente affannato da somigliare a un rantolo. La servitù aspettava interdetta.


CRUCCI

«Via ... portatelo via ... » Ordinò Carlo con un filo di voce. Mentre quattro persone, dopo aver improvvisato una brandina con un ampio telo, issavano le spoglie dell'uomo, il cameriere Maso si avvicinò: «Padrone ... dovete riposarvi siete ... b-bianco e-come un cadavere..» Aveva biascicato pavido. Le collere del primogenito erano leggendarie, come del resto la sua abilità nel maneggiare le armi. L'altro era rimasto a fissarlo inebetito, sembrava non afferrare il senso delle parole. Allora Maso gli aveva sfiorato la manica del giubbone trapuntato per indicargli il portone. Anche solo, nella quiete dei suoi alloggi, Carlo non poteva dormire. Un rimorso gli attanagliava le viscere: «Sei un vigliacco, uno smidollato!» Al contempo un sentimento di sollievo, di liberazione, accompagnava quel suo monologo. Lo specchio gli rimandava il volto di un uomo provato, insicuro, stanco. L'abituale spavalderia svanita, la volitività maschile annientata. Nonostante tutto, provava gratitudine verso un destino che aveva deciso altrimenti, che l'aveva fatto tentennare.

Osservò sbigottito la boccettina che stringeva fra le mani. Intatta, non aveva neppure avuto il coraggio di stapparla. Il contenuto era trasparente e infido come la morte. Infine scosse la testa: «Meglio così. .. hai scoperto i tuoi limiti, ma almeno dormirai senza rimorsi ... ». Chiuse gli occhi cercando di scacciare i ricordi, poi si avvicinò allo stipo a bambocci. Girò la testa di un fauno: la base della colonnina sinistra si apri con uno scatto. Ripose l'infausto liquido con un sospiro e richiuse in fretta il cassettino. <<Che Dio mi perdoni ... » Ignari della macchinazione, i servi attribuivano il bizzarro umore del primogenito al destino ormai segnato del barone padre. La casata era stata colpita da una disgrazia dopo l'altra. Prima la madre: la baronessa Marianna, che era spirata da appena un mese e adesso ... Adesso anche il vecchio! Il tiranno, come lo soprannominavano di nascosto. Una dinastia decimata in un amen! Ma il vecchio barone se l'era cercata ... Aveva voluto sfidare la sorte! Irragionevole e spocchioso come tutti quelli della sua risma. Aveva voluto far celebrare il matrimonio della figlia cadetta Claudia durante il lutto: e Dio lo aveva punito! L'aveva mandata a Venezia senza troppi convenevoli e con lei il secondogenito Fadri: e ora crepava solo come un cane rognoso!

20 • V OCI DALLA SVIZZERA


SABRINA CAREGNATO

Certo lo sponsale era stato contrattato con largo anticipo, ma sfidare l'ira del divino senza scrupoli! La punizione era piombata senza farsi attendere ... I famigli si erano bardati di amuleti e santini e bisbigliavano litanie attraverso i corridoi oscuri e silenziosi: «È coriaceo come la malerba ... ».

La cuoca invece sapeva. Il destino del Signore della Marca era ormai tracciato, l'apoplessia non dava scampo. Nessun magister poteva salvarlo, anche i tarocchi lo avevano divinato. C'era solo da sperare che il cuore cedesse in fretta, per abbreviare l'agonia ... I cortinaggi delle finestre erano aperti, una serva di tanto in tanto cambiava la pezzuola bagnata sulla fronte del moribondo che non aveva smesso di lamentarsi da quando aveva perso conoscenza. La febbre era ancora alta e i rigurgiti erano diventati sempre più scuri e maleodoranti. L'odore della colica alleggiava pesante nella stanza e a nulla servivano l'incensiere. Il Dottor Marchionne da Pietra Piana, dopo aver tastato lo stomaco rigonfio del barone, era stato categorico: «Nessuna speranza! Si può solo auspicare che duri poco ... ». «Ma che dite?» Lo rimproverò stringato Carlo, che assisteva alla visita. «Eccellenza, mentirei se vi promettessi altro.» Ribatté un po' piccato il medico fisico mentre prendeva il polso del moribondo.

Carlo emise un sospiro infastidito, infine aggiunse: «Soffre?» «Sì, molto ... la paralisi ha raggiunto gli intestini, Vedete? La bile rigurgita ... I gas scaturiti dagli umori corrotti non trovano più sfogo... » Quasi a contraddirlo un flato impestò subito l'aria, il medico si coprì il naso con un fazzoletto profumato. «Avvertite, Signore? Hic demostratio ... »

«E ... ?» Ribadì stentoreo il primogenito, indietreggiando. «E ... quando cederà il cuore .. . Beh pace ali' ... » «Non possiamo almeno alleviare il tormento?» «Eccellenza, le condizioni sono critiche nemmeno un salasso potrebbe far fuoruscire gli umori mefitici ... » Per suffragare la sua diagnosi picchierellò con due dita il ventre teso come un tamburo. Carlo guardò altrove: «Sparite ... Sparite ... Per favore, sparite.» Aggiunse con un cenno della mano. Appena il medico si era ritirato aveva fatto chiamare la vecchia cuoca. «Signore?» Portando l'indice alle labbra, fece cenno perché la donna lo seguisse:

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CRUCCI

«Non so se ci può sentire ... » Spiegò, non appena si erano allontanati dall'immenso letto a baldacchino. «Santa, ti prego ... » I suoi occhi si velarono, diventando appena più scuri. «Non possiamo lasciarlo soffrire ... » «Che volete dire?» Inquisì Santa sospettosa, la pietà era una commozione poco congeniale all'uomo che le stava difronte. «Mio padre sta patendo le pene dell'inferno! Forse se lo è meritato ... ma non ce la faccio a udirlo gemere senza requie ... Ti prego, prepara uno dei tuoi intrugli per alleviargli il dolore . . . Ti prego ... » Le aveva preso le mani e la stava fissando dritto negli occhi. I suoi erano due acquemarine insondabili. «Carlo ... La morte fa parte della vita ... » Azzardò lei. «No! Non una morte senza onore, fra mille tormenti ... Ti prego, te lo chiedo umilmente, anche se so che non mi credi...» Chinò appena il capo, ciocche corvine scivolarono morbide sul viso, noncurante della moda spagnola Carlo portava i capelli lunghi. Seduzione, fascino erano le sue armi e sapeva sempre sfoderarle con grande maestria. Ma stavolta qualcosa era diverso, qualcosa traspariva del fondo della sua anima. Santa sospirò: «Non posso portare questo peso ... Potrei ucciderlo ... » «Quell'uomo sta già morendo ... » Si girò a osservare i vetri piombati della finestra. Lo sguardo si perse fra le vallate illuminate dal sole, l'aria era tersa e primaverile. «Prepara il tuo intruglio, è un ordine ... Glielo somministrerò io.» Aggiunse deciso senza guardarla. «Come volete, siete voi il Signore ....» «Sai che ho ragione ... » «Sì. .. anche le carte hanno predetto morte, e che ... » «Ssh ... » Carlo si accarezzò il mento, poi si sfiorò i bordi ancora arrossati della lunga cicatrice che gli deturpava la guancia: «Me ne assumo tutta la responsabilità, forse non l'ho amato ... ma è pur sempre mio padre. Nessun saprà, non temere.» La cuoca si prese il viso fra le mani e iniziò a singhiozzare. La strinse a se con dolcezza, anche i suoi occhi erano diventati umidi.

Erba del diavolo, artemisia, matricaria, belladonna, limonella ... Una campana iniziò a battere compieta in lontananza. Santa osservò crucciata i vari ingredienti che aveva disposto in bell'ordine sul tavolo della cucina. Alcune di quelle piante erano mortali, ma sua nonna le aveva insegnato a dosarle. Dramme di alcune, scrupoli d'altre, dosi infinitesimali per tramutare la loro natura venefica in potenti sedativi.

22 • VOC I DALLA SVIZZERA


SABRINA CAREGNATO

Polverizzò alcune foglie con un pestello di marmo, poi gettò tutti gli ingredienti in un caldaio d'acqua bollente. «Quattro giri di clessidra .... » Ripeté mentalmente «Solo quattro .. . e poi filtrare nel lino ... ». Si asciugò le mani sul grembiule da lavoro e iniziò a mescolare il decotto con un ramo di nocciolo: «Sanda Barbara benedetta falle ire a cchela parte scure addò nem fore né sole né Bune, scaccia il rio male onde altri cade ... Baghai, baghai, baghai ... » Accompagnò le ultime parole segnandosi tre volte, tolse il recipiente dal fuoco ed esausta andò a riposarsi sul suo pagliericcio accanto al camino. Anche la notte del primogenito era stata insonne, aveva lungamente soppesato le inevitabili conseguenze della sua decisione. Tutto era confuso, insidioso e lui aveva bisogno di aiuto, di consigli... Non poteva rischiare un passo falso proprio ora. Picchiò il pugno sul tavolo: basta! Aveva indugiato sin troppo, doveva avvisare il fratello e farlo tornare.

Caro Fratello, Il vecchio sta morendo! Dopo una caccia ha bevuto del vino ghiacciato et ex abrupto ha accusato un malore, forse un colpo apoplettico... Da allora non si è più ripreso. Il m edico gli ha dato solo qualche giorno di vita. Ho bisogno dei tuoi con sigli!

Devi tornare quanto prima per aiutarmi a preparare l'investitura. Mi dispiace distoglierti dal tuo soggiorno veneziano... immagino ti starai divertendo. Perdonami, m a faccio gran conto su di te! Ti aspetto! CAGG Marcabruna, die XX II aprilis MDLXXII PS: Forse quando mi leggerai nostro padre sarà già morto. Aveva appena sigillato la missiva con la ceralacca quando dalla finestra iniziarono a filtrare i primi bagliori dell'alba; irradiavano una luce rosata infondendo una sensazione di pace e serenità in netto contrasto con il suo stato d'animo. Si massaggiò la nuca e il collo, indoleziti dalla tensione accumulata, poi stirò le braccia e le gambe con uno sbadiglio. Era accaduto tutto così in fretta che stentava ancora a crederci. Aveva sempre sognato potere e libertà e adesso, a un passo dalla meta, temeva di non esserne all'altezza. Era davvero l'uomo risoluto e sicuro di sé che credeva di essere? Troppo impulsivo: senza dubbio! Incapace di soggiogare le passioni: senz'altro... Ma la scaltrezza? La pazienza? La freddezza indispensabile al comando? Quelle doti ce le aveva? Si alzò meditabondo: inutile tergiversare, avrebbe fatto partire un corriere per Venezia, sperando che il fratello

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CRUCCI

tornasse prima possibile. Aveva bisogno di lui, della sua arguzia, nel frattempo avrebbe cercato di scordare tutto il resto. Santa ebbe l'impressione di essersi appena addormentata quando in lontananza le parve di sentire lo scalpiccio di un galoppo. Si girò dall'altra infilando la testa sotto le coltri ma fu del tutto inutile, il gallo stava già cantando e la luce penetrava tenue attraverso le tende. Una mano le sfiorò la spalla con delicatezza: «Che vuoi Cosma? Lasciami stare .. .» Bofonchiò in malo modo, intenzionata a dormire ancora un po'. «Cosma sta dormendo .. . » Una voce maschile inconfondibile: calda ma anche esigente. Il primogenito la guardò aveva gli occhi arrossati e la barba incipiente, due occhiaie profonde gli segnavano il viso. «Non dormiste?» Osservò la cuoca tirandosi su a fatica. Indossava ancora il grembiule e la guamella da lavoro. «Pensieri ... troppi.» E rimorsi, aggiunse fra sé. ((E tu?» Indugiò incerta: com'era diverso, perché? «Lo volete ancora?» Mormorò mentre si lasciava sfuggire uno sbadiglio. «Non ci pensare, dimmi solo cosa devo fare». Si diresse verso il camino e attizzò le braci con un soffietto; appena la fiamma riprese agganciò il caldaio alla grossa catena che pendeva dalla cappa del camino. La mistura iniziò a fumare in un giro di clessidra, ne prese un mestolo che versò in una scodella di maiolica. «Il calore aiuta a sciogliere i crampi ... Il decotto combatte il male, ma ... » «Niente ma, hai solo ubbidito.» Si girò lento e fece per andarsene. «Aspettate vi mando un paggio ... » «No, quest'incarico mi spetta.» Affermò deciso senza voltarsi. Santa non poté fare a meno di notare che quelle spalle possenti adesso erano infiacchite come quelle di un vecchio. La sensazione di gelo era scemata e gli spasmi si stavano affievolendo. Non riusciva a capire cosa fosse successo né perché nessuno sembrasse ascoltarlo. Eppure aveva gridato per ore: niente! Non un'anima era accorsa al suo capezzale, solo ombre e oscurità. In lontananza dei rumori sordi, forse voci ma non riusciva a capire da dove venissero. E poi quella fastidiosa sensazione di umidità, la camicia appiccicata addosso, la nuca bagnata . .. e quel dolore lancinante che gli sconquassava le viscere. A volte dei lampi sembravano squarciare la notte nella quale era piombato, ma tutto era così

24 • VOCI DALI..A SVIZZERA


SABRINA CAREGNATO

confuso: dov'era? Non ricordava nulla, solo stralci d'immagini sembravano affiorare dall'oblio. E poi quella sensazione di calura, un liquido che invece d'infiammargli la gola già arsa gli aveva attenuato la sete. Gli sembrava di fluttuare nell'aria non sentiva più né membra né dolore ma almeno poteva finalmente riposarsi. «Chi va là?» Mormorò alla sagoma che aleggiava accanto alla porta. «Ma come Nicolò, non mi riconosci? Eppure dopo tanti anni...» «Vattene voglio dormire.» «Ah marito mio, sei sempre lo stesso. Dispotico e indisponente .. .» «Chi sei? Che cosa vuoi?» «Chi vuoi che sia? Caro Guismondo, o preferisci Signor barone?» Una risata argentina accompagnò le ultime sillabe, con un sospiro la donna si avvicinò al letto. «Mi riconosci adesso?» Inquisì sottovoce. Il barone osservò la bella camora di damasco verde e i preziosi maspilli madreperlati, ma il volto della sconosciuta era sfocato, una strana luce ne sfumava i contorni. «No1 Lasciami in pace!» «Tanto fra pochissimo, riuniti avremo l'eternità difronte a noi.» «Che dici? Chi sei?» «Sono tua moglie, Nicolò. Chi altro?» «No! No ... Tu sei ... sei ... » Una fitta gli trafisse il petto costringendolo ad annaspare nella disperata ricerca d'aria. Carlo si era appena assopito su una dantesca imbottita, era esausto e tutti i muscoli del suo corpo reclamavano una tregua. Con grande fatica era riuscito a far bere un po' di decotto al padre: il viso era ormai paralizzato e le labbra pendevano inermi. «Santa, Santa, tu sia benedetta]» Aveva invocato con gratitudine non appena il respiro del moribondo era diventato più regolare. Nascondendosi il viso nelle mani aveva iniziato a pregare, a ringraziare chi, per ragioni ignote, aveva fermato quel disegno scellerato. Ma altri ricordi, più dolci e brucianti, lo avevano invaso a tradimento, scacciando via il presente, portandosi via rimorsi e remore, e conficcandosi nel suo cuore avevano risvegliato un desiderio che si era illuso poter signoreggiare. Quelle sensazioni lo avevano estraniato al punto di farlo sopire. Dopo aver reclinato il capo, era scivolato in dormiveglia onirico, finché un rantolio gutturale lo aveva scosso costringendolo ad aprire gli occhi. «Padre? Padre?» Aveva ripetuto dubbioso. Istintivamente aveva cercato la mano del genitore, ma era già troppo tardi.

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e ultimo viene il pezzo di melone. di Simone Fornara

na sera d'estate (erano circa le 21 del 29 giugno 2016) arrivò improvviso come un fulmine a ciel sereno il pezzo di melone. Un pezzo a forma di parallelepipedo (molto) irregolare, neppure troppo saporito, neppure troppo dolce, di consistenza piuttosto dura (dunque non ancora completamente maturo), tagliato dal coltello con la guida grossolana della mia mano; di colore arancione (ovviamente, ma non troppo: esistono anche i meloni bianchi), non troppo acceso, non perfettamente omogeneo (un po' più chiaro verso il bordo convesso, quello che si trova dalla parte della scorza); di temperatura inferiore a quella ambiente, ma non così tanto da risultare fastidioso al contatto con lo smalto dei denti, giacché circa trenta minuti prima il melone da cui esso (il pezzo) proveniva era stato prelevato dal frigorifero e, appunto, decorticato della scorza giallo-verde da me medesimo; scivoloso al tatto, tanto da sgusciare tra le dita a tradimento durante l'operazione di affettatura e di disposizione sul piatto (la scivolosità, sia chiaro sin d'ora, è un elemento cardine dell'evento che mi accingo a narrare, tanto da poter facilmente essere interpretata con un forte valore simbolico).

U

Poco prima di quel frangente, cioè durante l'opera di decorticazione del melone, la mia attenzione era stata tutta volta alla geometria della forma delle fette, che avevo tentato di rendere simili a regolari mezzelune, e a quella della disposizione delle suddette fette nel piatto, che avrei voluto simili a una raggiera di mezzelune, sulle quali adagiare morbidamente le fette di prosciutto crudo, a onde ripetute e regolari. Il risultato, benché apprezzabile, non si era rivelato del tutto corrispondente alle mie aspettative, a causa della eccessiva sottigliezza del prosciutto, che ne aveva provocato una precoce tendenza alla secchezza. Comunque, stuzzicava l'appetito. Poco prima di quel frangente - dicevo - essendo concentrato sulle geometrie prosciutto-meloniche, non fui neppure vicino a pensare a quello che sarebbe successo poco più tardi (cioè proprio in quel frangente) e che ora andremo a vedere. Ebbene, alle 21 circa del 29 giugno 2016, il pezzo di melone venne infilzato dai rebbi della mia forchetta e direzionato verso le mie fauci, nelle quali era in fase di triturazione una fettina sottile di prosciutto crudo, grasso compreso. Tutto pareva normalmente tranquillo.


E ULTIMO VIENE IL PEZZO DI M ELONE

Il pezzo rebbi-infilzato di melone si trovava sul terrazzo, all'estremità del mio braccio destro (cioè tra le dita nella mia mano), il quale braccio era sospeso poco sopra il piano del tavolo, attorno al quale era seduta convivialmente la famigliola al completo: il sottoscritto (l'infilzatore del pezzo di melone), la mamma-moglie (provata da un'intensa giornata di vicende familiari), la figlia (saltellante e allegra come sempre, reduce da una giornata di centro estivo all'oratorio, con un velo di abbronzatura precoce che le rendeva la pelle di un bellissimo color ambrato). I capelli della bimba profumavano di pulito, grazie a un passaggio di shampoo avvenuto circa tre quarti d'ora prima. Il paesaggio era in sintonia con il quadretto familiare: il lago calmo, il cielo prevalentemente sereno, con qualche nuvola a movimentarlo, lo sporadico rombare di qualche auto o moto di passaggio, un sottile filo d'aria a rendere la serata piacevole e non troppo calda, il cinguettio degli uccelli, nessuna zanzara. Unico elemento di disturbo, un insetto intrappolato nella tela di un ragno molto più grande di lui (ma poi, dopo la vicenda del pezzo di melone, moglie e figlia l'avrebbero salvato, districandolo con somma perizia dalla bava tenace dell'aracnide, mentre io sarei stato ancora intento a meditare sul senso della vita). Forse, col senno di poi, quella minima nota stonata era un segno del destino, era l'anello che non tiene (soprattutto se lo sommiamo alla scivolosità del melone, ottenendo come risultato due elementi di indubbio valore simbolico). Ma torniamo al pezzo di melone simile a un parallelepipedo (molto) irregolare: l'avevamo lasciato mentre, infilzato dai rebbi della forchetta, si dirigeva verso le mie fauci. Eccolo oltrepassare la soglia delle labbra e venire fagocitato in bocca. Senza pensare a ciò che stavo facendo (mi pare normale che uno non si preoccupi di attivare una riflessione consapevole ogniqualvolta si porti un boccone nelle fauci), mossi la lingua per sistemare il pezzo di melone e predisporlo al masticamento, quando qualcosa andò in modo totalmente imprevisto. Il pezzo di melone, in virtù della sua vischiosità, anziché posizionarsi sotto i denti addetti alla masticazione (premolari e molari), complice forse un errato e maldestro movimento della lingua, scivolò verso la faringe, percorrendo alcuni centimetri di lingua con moderata velocità ma tragitto inarrestabile. Tentai, sempre semi-inconsciam ente e sempre con un contorcimento linguale, di riportare il pezzo di melone nella sede atta alla triturazione, o quanto m eno in posizione più avanzata rispetto alla faringe, ma non ci riuscii. Lo sentii inoltrarsi oltre il baratro delimitato dalla lingua (in basso) e dal penzolume dell'ugola (in alto) e precipitare verso laringe ed esofago. Ebbi la stessa sensazione che si ha quando inavve rtitamente si ingoia una mentina, o un chewing-gum, o

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SIMONE FORNARA

una caramella. Per un attimo, pensai «Be', è andato!», ma fu appunto solo un attimo. Infatti, mi accorsi fin troppo tardi che il pezzo di melone non se ne era affatto andato in caduta libera verso lo stomaco, ma si era aggrappato con metaforiche unghie in un imprecisato punto dell'esofago, bloccandosi lì. Mentre mi alzavo in piedi, un· istinto irrazionale (ed eccezionalmente stupido, a ben guardare) mi spinse a portarmi nuovamente alla bocca la forchetta, sulla quale nel frattempo (cioè mentre il pezzo di melone scivolava all'indietro salutando, al passaggio, l'ugola) avevo appena arrotolato due fettine di prosciutto crudo. Forse il pensiero offuscato che mi si agitava nel cranio era qualcosa del tipo «Se inghiottisco altro cibo, il peso di questo, cadendo sopra il pezzo di melone, farà precipitare quest'ultimo verso il suo segnato destino (lo stomaco)». Fermò l'idiota gesto un commento di mia moglie, qualcosa come «Eh sì, manda giù ancora roba!». In effetti, ci ripensai. Non solo: sputai nella mano il bolo prosciuttifero che già avevo in bocca, e che ne uscì appunto (da buon bolo quale era) relativamente masticato, e lo depositai (senza troppe cerimonie) nel piatto. Dunque in bocca (anzi, in un imprecisato punto della laringe o dell'esofago) credevo ora di avere solamente il pezzo di melone, e nulla d'altro. Ma era sufficiente. Lo sentivo lì, tenacemente ficcato nelle pareti del tubo. Ne potevo quasi contare gli otto vertici affondati nella gola. Provai a deglutire. Non successe nulla di decisivo: il pezzo rimase lì, e il movimento di deglutizione produsse un suono mai uscito prima dal mio cavo orale, una specie di gracidio, sì, come se una rana mi stesse emergendo da dentro (o fosse intrappolata nel tubo). Udii mia moglie dire «Bevi!», ma scacciai la proposta con un gesto della mano: dovevo prima valutare i pro e i contro, cosa che non mi riusciva molto facile. In che punto del tubo era posizionato il pezzo di melone? Nella laringe? Nella faringe? Nell'esofago? Insomma, prima o dopo la barriera dell'epiglottide, della trachea, dell'innesto dei polmoni? Il dubbio era amletico, ma il fatto che, nonostante l'occlusione, riuscissi ancora a respirare senza apparenti problemi (e questo è il lato rassicurante, decisivo, dell'evento) mi avrebbe dovuto suggerire che forse il punto era un pochino più in basso della ramificazione delle vie respiratorie, dunque in pieno esofago, anche se forse non si poteva escludere

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E ULTIMO VIEN E IL PEZZO DI M ELON E.

la possibilità più remota che fosse appena sopra, ma che la forma a parallelepipedo (molto) irregolare consentisse all'aria di fluire negli interstizi tra gli spigoli del pezzo di melone e le pareti del tubo, non aderendo a esse in modo ermetico. In ogni caso, il problema era: «Che fare?». Deglutii ancora, a più riprese. E ogni volta era un gracidio. Contestualmente, sentii mia moglie commentare, con lucido e implacabile spirito d'osservazione femminile: «Ma che rumore è? Sembra una rana!». Da ridere, insomma, direte voi: lo spiccato senso dell'humour - o il cinismo? - che porta le donne (dovrei forse dire «le mogli») a sminuire le reazioni esagerate tipiche dell'uomo (dovrei forse dire «dei mariti»), riportandole alla loro giusta portata. Solo che in questo caso c'era in ballo qualcosa di potenzialmente letale. La bimba dovette cogliere invece bene (con innocente atteggiamento infantile, non ancora corrotto dal rapporto coniugale con individui dell'altro sesso) la reale drammaticità del momento, in quanto non favellò, contravvenendo alla sua abitudine (il favellio ininterrotto). A questo punto i ricordi si fanno un po' confusi: di certo mi misi a deambulare nervosamente avanti e indietro, percorrendo i pochi metri che separano la porta finestra del terrazzo dal bagno; di certo parlai, dal momento che l'attività fonatoria non risultava compromessa; che cosa dissi non lo so con precisione; di certo imprecai un po' contro mia moglie, che - imperterrita - snocciolava uno dietro l'altro suggerimenti operativi per disostruire il tubo che io ascoltavo ma rifiutavo a prescindere, disturbato dal fatto che compromettessero il mio costante tentativo di risolvere dapprima razionalmente l'inghippo (difetto di chi è nato sotto il segno della vergine, penserà lecitamente qualcuno). Un'altra cosa è certa: col passare delle deglutizioni, al gracidio anfibio che mi usciva dalla bocca si accompagnava una crescente sensazione di dolore, in corrispondenza dei vertici e degli spigoli del pezzo di melone che spingevano contro il cilindro cavo dell'esofago. Dei suggerimenti di mie moglie ricordo in particolare il seguente: «Ti do un colpo forte sullo sterno?». Mi fece andare in bestia. Le risposi a specchio, ma con aggiunta di un punto interrogativo: «Sullo sterno?». Non so se puntualizzai: «Sotto lo sterno, semmai, non sullo!». Di sicuro, immaginandomi una disperata (e forse maldestra) manovra di Heimlich, lo pensai, con la mia mente settata su livelli linguisticogrammaticali prossimi all'ossessivo: insomma, c'era una bella differenza, le preposizioni vorranno pur dire qualcosa, no?

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SIMONE FORNARA

Non le permisi di mettere in pratica, in ogni caso. Procedendo nel mio frenetico deambulare, continuavo a pensare; solo che il pensiero oscillava tra il razionale puro e il principio di isterismo: il razionale puro mi suggeriva di pervenire quanto prima, con sollecitudine, a un tentativo concreto di scioglimento dell'incidente (non solo) narrativo; il principio di isterismo tentava di inculcarmi a brutto muso immagini catastrofiche: mi dipingeva tra le pieghe dell'emisfero sinistro del cerebro l'immagine del mio corpo in tragitto verso un ospedale, disteso sulla lettiga dell'ambulanza, con il colorito del volto livido, mentre medici e infermieri tentavano invano di rianimarlo, arrivando a sezionarne la trachea per praticare un'intubazione di emergenza, estremo tentativo di riacciuffare una vita ormai sfuggita; arrivava fino a urlarmi nelle orecchie possibili titoli di giornali («Soffocato da un pezzo di melone. Si spegne così la vita di Simone Fornara, professore SUPSI e scrittore di libri per ragazzi») e conseguenze socia! (chiusura automatica e irreversibile del profilo Facebook). E quando queste subdole visioni mi invadevano virtualmente la coscienza, sentivo lo scalpitio del panico farsi sempre più assordante. Poi, però, riuscivo a respingerne l'assalto. In continua oscillazione tra il perdermi e il tentare di ritrovarmi, mi giunse alle orecchie l'ennesimo suggerimento di mia moglie: «Prova a fare un verso, a ruttare, a vomitare...». Al di là di ogni schizzinosa remora di registro linguistico, questo lo trattenni e lo feci mio (si noti di passaggio che coincideva con una delle strategie di comprovata efficacia medica: invitare il soffocando a prorompere in vigorosi colpi di tosse), non prima di averne vagliato i possibili effetti. Che cosa sarebbe successo, con una clamorosa eruttazione indotta? Il pezzo di melone avrebbe potuto disincastrarsi, e fuoriuscire all'esterno; oppure sbloccarsi, e precipitare verso lo stomaco; ma avrebbe anche potuto smuoversi, restando incastrato, per magari assumere una posizione ancora più occludente a livello faringo-laringoesofageo. Insomma, non era da escludere che l'eruttazione avrebbe portato al verificarsi della catastrofe. Morte per soffocamento. Titoli di giornale. Chiusura del profilo Facebook (ma non immediata: ci sarebbe stato il tempo per una valanga di messaggini socio-solidali, del tipo «Ci mancherai», «RIP», «Sono sempre i migliori quelli che se ne vanno prima» ecc. ecc.).

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E ULTIMO VIENE IL PEZZO DI MELONE

Incerto, dunque, continuai a elucubrare, deambulando. E in tutto questo movimento, che dall'interiore si esternalizzava nella camminata e iniziava a farmi affiorare sul volto e sul corpo goccioline di gelido sudore, continuai a cogliere lo spaurito balzellare della mia amata bimba, che seguiva con preoccupato silenzio l'evoluzione delle cose. Non diceva niente, la piccola, ma osservava con gli occhioni sgranati il mio incedere intervallato dal gracidio di rana che mi continuava a uscire dalla bocca. Faceva piccoli passettini nervosi, spargendo tutt'intorno con i suoi lucenti capelli il profumo di pulito, ricordo del recente e spensierato shampoo. Mi guardava, e io tentavo invano di non affrontare il suo sguardo, che mi colpiva come l'ineluttabilità delle cose, come l'atrocità del destino. Ero combattuto tra il desiderio di stringerla al petto e la volontà di allontanarla, perché non fosse costretta ad assistere; tra la voglia di dirle «Stai pure qui» e la tentazione di mandarla via. Dietro le sue pupille sgranate leggevo l'assurdo della vita umana, le speranze, i sogni, i progetti, tutto ciò che in un attimo ci verrà portato inevitabilmente via. E, soprattutto, l'impossibilità di spiegarlo e di capirlo: come si può spiegare a un bambino che un'inezia, fosse anche solo una scivolosa fetta di melone, può cancellare la vita umana, può portare suo padre, davanti ai suoi occhi, nelle braccia delle tenebre eterne? Alla fine, eruttai. Proruppi in un verso esagerato, più per dimensione acustica che per reale coinvolgimento dell'apparato digerente. La presi come una prova generale per un tentativo più serio. Eruttai a metà strada tra il bagno e il terrazzo, sul parquet, con le mani sulle ginocchia, mentre mia moglie posizionava le sue (mani) sotto la mia bocca, pronta ad accogliere maternamente l'eruttato. A sorpresa, l'eruttato fu un'esile striscia di prosciutto crudo. «L'avevo detto, io, che non era un pezzo di melone!» commentò, andando a gettare la strisciolina gocciolante nel WC. Ecco. Questo potrebbe essere davvero lo spunto per un trattato di psicologia femminile. Infatti, in quell'affermazione c'è una sintesi di alchimia coniugale muliebre, che per brevità riassumerò in due massime: «Avevo ragione io!» e «Sei il solito esagerato!». Solo che il pezzo di melone c'era davvero, ed era ancora nel mio esofago, conficcato più o meno come prima del rumoroso tentativo di eruttazione. L'unica cosa che apparentemente si scoprì con l'eruttazione è che a far compagnia al pezzo di melone c'era stato fino a

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SIMONE FORNARA

pochi istanti prima anche un bolo filamentoso di prosciutto crudo, presumibilmente adagiato sopra il frammento di melone stesso. Mi alterai un po', esclamando: «Già, non è un pezzo di melone ... ma non farmi arrabbiare, va'!». Tutto sommato mantenni la calma.

Mi avvicinai al bagno, poi tornai indietro, verso il terrazzo. A questo punto qualcosa accadde. Sarà stata la reazione rabbiosa, sarà stato il deambulare ininterrotto, sarà stato il sonoro conato, o l'ennesima deglutizione, sta di fatto che il pezzo di melone si smosse. Andò giù. Scese. Precipitò. Sentii le sue grinfie mollare la presa. Sentii i suoi spigoli e i suoi vertici strisciare verso il basso, attratti da una salvifica e peristaltica forza di gravità. Constatai, ad alta voce, ma a volume medio, cautamente: «è andato». Senza punto esclamativo. Constatai e basta. Deglutii, e la rana non si fece più sentire. Mi diressi in terrazzo, dove mi sedetti a tavola, non al mio posto ma sulla quarta sedia, l'unica messa lì solo per bellezza, o per accogliere deretani ospiti. Bevvi un sorso d'acqua. Mia moglie mi chiese: «Va giù?». Riformulò, per essere più chiara e per essere sicura che avessi capito (probabilmente il mio sguardo non era ancora intellettualmente reattivo): «La senti andare giù?». Annuii, anche se un po' incerto. «Mi pare di sì», ammisi. Poi mi venne un'idea fulminante: «Dammi da bere dell'olio». «Olio?». ((Sì, olio!». Mia moglie andò in cucina e ritornò in terrazzo con in una mano una bottiglia di olio di semi di girasole e brandendo nell'altra un c ucc hiaio da minestra. Guardai esterrefatto il cucchiaio, m entre lei svitava il tappo e si accingeva a versare il contenuto della bottiglia nel cucchiaio, a mo' di sciroppo per la tosse.

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E ULTIMO VIENE IL PEZZO D I MELONE.

Imprecai nel mio solito modo burbero: «Un cucchiaio?! Ma no, un bicchiere !». Lei fece un altro tentativo per il cucchiaio (come mamma che somministra al figlioletto l'amara m edicina), ma io insistetti (come figlioletto che tenta un estremo capriccio): «Un bicchiere! Voglio bere da un bicchiere!». Si convinse, svuotò il bicchiere della piccola dalla poca acqua che conteneva e lo riempì d'olio. Bevvi due lunghe sorsate, e sentii il liquido che mi percorreva l'esofago in tutta la sua lunghezza, che ne lubrificava le pareti infiammate, portando con sé, verso l'oblio del piloro, ogni frammento melonico. Rimasi per un po' immobile, a godermi lo scampato pericolo, mentre il sudore mi imperlava ancora la fronte. La piccola, probabilmente sollevata all'inverosimile per l'esito lieto della sventura, volle bere anche lei un goccio d'olio dal bicchiere (gesto che interpreto come il concretizzarsi dello sconfinato desiderio di condivisione padre-figlia che anima la sensibilità bambina, come dire: «Ho vissuto anch'io questa avventura con te, e voglio farlo fino all'ultimo»). Dopo un po' ripresi a mangiare. Piccoli bocconi, lentamente, per verificare che il tubo fosse davvero libero. Fu così. Fu così, scontrandomi con essa, che mi capitò di pensare alla caducità della vita umana, alla scivolosità dell'esistenza, all'improvviso calare del corvo. Quando meno te l'aspetti, quando sei tutto preso da sogni e progetti. Quando, immerso nel midollo della vita a piene mani, non ti accorgi, non ci pensi, che c'è sempre un'ombra nera che aleggia su di te e su tutti quanti; non ti accorgi (o fingi di non farlo) che tutto è in costante equilibrio precario sul baratro, e ultimo viene il pezzo di melone.

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Il Cenacolo degli eventi culturali di Ascona 2016 (Il parte) Nicolai Morawitz

Liebe deinen Nachsten. Tweet Marica lannuzzi

E tu, perché scrivi?

Nota biografica Nicolai M orawitz, 1988 in Breroen geboren, arbeitet nach dero Abitur ein Jahr lang als Freiwilliger in einero Zentruro fiir Obdachlose in Belgien. Von 2009 bis 2012 studiert er Literaturwissenschaften und Philosophie in Dresden, Washington D.C. und Wien. lro Anschluss zieht er nach Freiburg iro Breisgau, uro einen Master in Journalisrous z u absolvieren, und erhiilt er 2014 einen doppelten Studienabschluss unter Einbezug der Universitiit von Strassburg (deutsch-franzosicher Master}. Gleichzeitig arbeitet er als freier Journalist fiir Zeitungen in Wien, Freiburg und Basel. Seit Iuli 2014 wirkt er fiir die Schweizer Nachrichtenagentur {SDA) als Korrespondent aus dero Tessin. Auch arbeitet er als Freiwilliger aro Projekt Verzasca Foto und aro Kurz filro Periferia dell'infinito (2015) roit. Nicolai Morawitz, nato ne l

1 988

a Brema, ne l Nord de lla G e rmania, dopo la maturità

fa un anno d i volontariato in un centro di prima accoglienza per senzatetto in Be lgio. Tra il 2 009 e il 2 0 12 studia lette re e filosofia a Dresda, Washington D.C. e Vienna. In seguito si trasferisce a Friburgo in Brisgovia per un Master in gio rnalism o, conseguendo una doppia laurea con l'Unive rsità di Strasburgo (Master franco-tedesco) ne l 2014. Conte mpo raneame nte lavora com e freelance per giornali a Vienna, Friburgo e Basilea. Dal luglio del 20 14 è corrispo nde nte dal Ticino per l'Agenzia di stampa svizzera (ATS). Ino ltre, collabora com e volontario al progetto Verzasca Fot o e al corto m et raggio Perife ria dell'infinito de l 2015.

Nota biografica Marica Iannuzzi, nata a Locarno nel 1996, vive a Gordola (Canton Ticino) ma ha o rigini italiane. Studia letteratura e linguistica italiana e filologia latina presso l'Università di Zurigo. Scrive racconti e contributi per alcune riviste e quotidiani locali e d a un anno ha cominciato la stesura di un romanzo. N el 2015 è selezio nata per prendere parte al progett o «Double - La piattaforma letteraria», che prevede la stesura di un'opera in collaborazione con un m entore, nel suo caso l'autore Andrea Fazio li.


Nicolai Morawitz

Liebe deinen Niichsten. Tweet.

•• U

ber die folgenden vier Hashtags habe ich am 12. und 13. Marz 2016 auf meinem privaten Twitter-Account nach Eintragen gesucht. Der Rest ist V erkettung, Verlangen und V ertrauen. In die V erganglichkeit.

#love (12.0 3, 15 Uhr) Love is in the air, you might sense it, grasp it,

but Twitter doesn't really care:

#sushi love, is the one you're searching for - don't you ? Stili waiting that a perfect lover comes along the way ? Then you haven't seen the cutest dog of the day Prettyboy you're on my mind: Retweet if you love your mum - RETWEET IF YOU LOVE YOUR MUM ! Look at these bumpers, look at these rims: Lamborghini, red #love, Men grow down below at the Geneva auto show .,She who shall not be named" shares the truth: .,Love in and of itself is hard". / lmagine how hard it is with the wrong person. W edding planner. C hoosing the right cake, dress, ring and so on. But you fo rgot to the check the person next to you, didn't you ? Inforrnation overload. Joy kisses Depression. Love makes you upset. Especially if it's a distant memory, like from a fire ball sunset, when you said 'Yes' on a beach on the Caribbean sea. When winter is ali over you, phrases like this seem true: Don't ruin other people's happyness, just because you can't find your own. Love is absence, a footnote of history, an echo in the dark: I love you and miss you so much, Margaret. Has it really been 10 years? #grandmother #love Love is like a Grammy award, the first one feels perfect, then it get's hard: O h my god, this is exactly the same dress that Taylor Swift had on # love #starbucks

36 • IL CENACOLO DEGLI EVENTI LETTERARJ DI ASCONA 2016 (Il PARTE)


N ICOi.AI M ORA W ITZ

Liebe muss gross e in, einmalig, untibertroffe n. Ftir deinen Stubentiger lasst du die Schlafzimmerttire offe n. Haut an Haut, H e rzschlag an He rzschlag - andere haben ihre n Partner satt, doch zwischen e uch passt k ein Blatt. Fe mbeziehung mit Pinguin - wahre Lie be kennt ke ine Entfe rnungen (Bayrische r Rundfunk, 12 Marz.) Ein V ogel de r nicht fliegt, ist w ie e in Mensch, de r sich nicht verbiegt. U m zu lieb e n. Oko-Tiger twittert: Liebe ist Baue r Willi. Los, los b estell, de in Feld, im Netz, ist Lieb e bares Geld. Acke rn fiir Ane rke nnung durch die breite Masse ? Erstell lieber eine n Blog und mach mit de n Angst e n de r Leute Kasse. Suse @die TT spielt De in Partne r e rscheint fe rn in den schèinste n Facette n, doch in de r Alltagszelle legt e r dich in Kette n.

H amburger Perle @ Kopffasching - dein Tweet-Konfetti streust du uns als Halbwahrheit en fiir die Fulk Z wische n He ite rke it und Einsamke it liegt e in Byte Hoffnung.

,,Ene rgie C ottbus, ich liebe dich" - tief im Oste n, wo die Sonne verstaubt, tragst du dein Herz auf d er Zunge / De ine Rauche rlunge schre it laute r als man glaubt . H e rzschlag, Faustschlag - der fugball ist so bunt wie de in Auswartstrikot, zwisch en Liebe und Hass, zwische n Vip-Tribune und Dix ieKlo. Liebe geht durch den Magen - allein der Satz sorgt fur U nbehage n. Lass ihn dir langsam auf der Zunge zergehn, dann darfst du de r tw itte mde n W ahrhe it ins Auge sehn: Fabian32: Es riecht im ganzen Haus nach gebratene n Zwiebeln # lieb e Ingwer- Lieb e mit d en Ginger-People - zieh mit d en G ewtirznelke n ins Dschungelcamp, e rfiille dir e inen let zt en Wunsch, de ine e nttauschte Lie be e rtrankst du in eine m Punsch. Privatfe rnsehe n w irkt w ie Aldi-Rum: Sch èin stiss und dumm, de r folgende Ko p fsc hme rz bringt dich fast um.

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LJEBE DEINEN NACI-ISTEN. TWEET

#amore (13.03, 21 Uhr) .,Più che spiegarlo vi auguro di viverlo, amore" scrive @Sweetfede25. Grazie Fede, carissi ma, sweetissima. Ma cosa faccio quando non riesco pìu a spiegarmi quest'am ore che sto v ivendo ? Quando la vita non corrisponde più alle spiegazioni trovate una volta per l'amore ? O quando amo soprattutto questi momenti inspiegabili nella mia vita ?

Francesco, m artedì sera ve rso le 21: L'amore maturo vede nella pe rsona amata lo specchio della sua anima, il balsamo dei suoi grov igli interiori. (quote).

Italian Wine Marketing (co n accento italiano): .,Vero #amore son migliaia di piccole cose - in Italia abbiamo migliaia di piccoli produttori di vino." Poi c'è anche la vita quotidiana, quella profana: Con Bialetti, Barilla e Bardolino. L'importante è che tu sei vicino.

Stellina71 - .,L'amore non si può avere a comando" - davvero, ma ne sai cosi sicura St ellina 71 ? E pe rché dio ci ha regalato Netflix, Amazo n e Tinder, dove puoi scegliere il tuo amoroso come un cioccolato di Kinder ? Dai, torniamo all'essenziale: L'amore è Pizza, la pizza è l'amore 1 Scrive Gaetano Costantino Coaching per la coppia ci illumina: Quando si litiga, spesso si risolve con una notte d'amore, ma in realtà i problemi rimangono gli stessi. Il rischio c'è però che i problemi rimangono gli stessi anche senza una notte d'amore. Ma in questo caso posso fidarmi del ..coach" e del suo grande c uore. N e sono sicuro.

Barbie and Ken, Silvio e Ruby, una cosa sembra chiara, c'è un muro che ci separa. Cosmpopo litan: .,Se il tuo lui non t e l'h a ancora detto, non vuol dire che no n ti ama, ma solo che non lo sa dire"

38 • IL CENACOLO DEGLI EVENTI LETTERARI DI A SCONA 20 16

(II PARTE)


NICOL.AI MORAWITZ

#amour (13.03,

22

Uhr)

Paris, Tour Eiffel, amour, / Paris, Eiffel, amour, Par-Ris, Tour, mour- Eifel -a , Pa -fel -Ris Tour, mour, Pa - ahhh Paris, la vielle dame, et le Tour Eiffel, ce jeune filou, se donnent un bisou. Chacun rentre chez soi, sur ses propres semelles. L'amour est flou, il n'y a que Kate Moss qui est eternelle. Un vrai couple surmonte tout - vivement vendredi, vive la relation à distance. Dans les trains, sur les autoroutes - milliers de personnes luttent contre !es doutes: Jusqu'à quand? Jusqu'à où ? N'est-ce pas beau que l'amour nous rend un peu foux? Les amoureux du banc public: Dimanche après-midi, le solei! brille, !es oiseaux chantent. Dans tes bras une femme - c'est ta tante ! Bruxelles - quartier Marolles. Le plus beau marché de puces du monde. La ville en miniature, l'histoire vivante. Une femme de 70 ans environ, est en train de vendre !es vieilles cartes postales qu' elle a reçu de son mari décédé. Pour souffrir? pour gagner quelques sous? Pour se divertir? Pour partager ses memoires avec vous. Un jour en Angleterre, un homme a sauvé un cygne blanc blessé qui s'était pris dans des barbelés, ce qui a été le début d'une amitié longue et solide. Fin de l'histoire. Rimbaud a ajouté un nouveau photo de Montmartre sur Instagram, Rousseau achète un selfie-stick à Genève, Molière utilise sa GoPro au Père-Lachaise. L'autopromotion ne connait pas de limites. Partage, poste, publie ton opinion - Réponds au défi de ta génération. Joue le jeu, sois à l'aise, et un jour tu seras au Père-Lachaise

OPERA NUOVA 20 I 7 /i

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Marica lannuzzi

E tu, perché scrivi?

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p

erché scrivete?» Questa è la domanda con cui la scrittrice Michela Murgia - mentore dell'esperienza degli Eventi Letterari al Cenacolo - ha aperto il nostro primo incontro al Monte Verità.

Una domanda apparentemente semplice che, però, ha creato un attimo di religioso silenzioso tra noi partecipanti. Ma a volte sono proprio le domande più semplici quelle più profonde, le cui risposte possono cambiare nel tempo e crearne di nuove. «Perché scriviamo?» Le risposte possono essere illimitate o limitate, soddisfacenti o insoddisfacenti, provvisorie o sicure; le domande, invece, sono grandi stimoli per una riflessione personale e collettiva. «Perché scrivo?» Sembra facile fare una domanda difficile e, al contrario, sembra difficile dare una risposta facile. L'importante, però, è non smettere mai di interrogare e di interrogarsi, perché la curiosità è il motore della creatività. «Perché scrivono?» Questa è la domanda che mi facevo io spesso da piccola quando, in punta di piedi e con il naso all'insù, cercavo di sbirciare tra gli scaffali riposti in alto in alto i nomi degli scrittori e i titoli di quei libri «da grandi», più spessi ma con meno illustrazioni rispetto a quelli che c'erano nel reparto per bambini. «Perché ti piace leggere?» Questa è la domanda che mi facevano spesso i miei amici e i miei compagni di scuola quando, a ogni intervallo o durante il tragitto casascuola, ero sempre in compagnia di un libro. «Perché scrivi?» Questa è la domanda che mi sento fare oggi, da grandi e piccini, ma la mia risposta è rimasta la mia domanda: «perché ci sono persone che vogliono essere degli scrittori e delle scrittrici?» Con le parole si può costruire un mondo, anzi anche più di uno. Chi di noi da piccolo non si è perso in un mondo completamente fantastico, in cui gli animali parlano e i principi azzurri salvano le loro principesse in sella ad un cavallo bianco? E di mondi Umberto Eco - per fare un esempio - ne ha costruiti tanti. Con indosso un paio di scarponi resistenti e uno zaino contenente delle provviste, ci siamo avventurati in numerosi e vari mondi, perché - come lui scriveva nelle Postille a Il nome della rosa - entrare in un romanzo è come fare un'escursione in montagna; occorre imparare un respiro, prendere un passo, altrimenti ci si ferma subito. E dobbiamo continuare a fare escursioni, anche più

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MARICA IANNUZZI

di sei passeggiate nei boschi, per incontrare nuovi personaggi, ascoltare nuove storie, conoscere nuovi mondi. Ma le storie - Eco ce lo ha insegnato bene - non solo si ascoltano, ma si possono anche raccontare, perché l'uomo è animale fabulatore per natura. Da bambini ascoltiamo quasi tutti le storie, ma poi, troppo spesso, da adulti, ci dimentichiamo di raccontarle a qualcun altro. Come ci si sentiva da piccoli a guardare sempre in alto? Quanto faticoso era anche solo arrampicarsi su una sedia? Quali erano i desideri e le paure a quell'età? Probabilmente una tra le risposte più utili è proprio quella che genera nuove domande e la saggezza di un bambino sta proprio nel domandare perché per ogni cosa. Prendere parte al Cenacolo ha fatto risvegliare in me la voglia di interrogarmi e di interrogare gli altri; in fondo le domande sono il carburante della nostra attività mentale e la curiosità ha il suo motivo di esistere. Attraverso gli innumerevoli scritti di scrittori e scrittrici (ma non solo), noi lettori affrontiamo delle vere e proprie esperienze di escursione in montagna, grazie alle quali riusciamo a staccare - non solo metaforicamente, ma anche concretamente - la spina dei nostri apparecchi elettronici per intraprendere dei viaggi all'interno di sconfinati mondi che si nascondono tra un preciso numero di pagine. Ma prima di essere scrittori siamo tutti lettori e riflettere sulla scrittura è forse tanto difficile quanto l'atto stesso di scrivere. Una tra le partecipanti al Cenacolo mi ha segnalato l'autore Paolo Cognetti che in una delle sue meditazioni sull'arte di scrivere racconti propone l'idea di pensare ogni storia come un enigma: in cui si parte da una situazione e una domanda, e ragionando, immaginando, scovando nessi e conseguenze, si cerca di arrivare a una risposta accettabile, o al limite a stabilire di non poter rispondere. Perché non è che ogni racconto scritto sia un problema risolto - un matematico sa bene che cosa significhi rinunciare alla soluzione - ma almeno uno studio del problema, un tempo speso a riflettere e interrogarsi. Un'osservazione questa che mi ha generato nuove domande, ma mi ha fatto anche avvicinare a qualche risposta. Per dirla in breve, ogni racconto è un giallo e il nostro metodo d'indagine è la scrittura. Eppure da piccola io non ho mai pensato di fare l'investigatrice o la poliziotta, ma ho sempre sognato di diventare una scrittrice. «Perché?» Perché vorrei che anche gli altri provino le stesse inspiegabili sensazioni che provavo e che provo io quando leggo, vorrei che ci fosse ancora un'altra bambina che si aggrappi di nascosto sugli scaffali per lei ancora troppo alti, vorrei che sia gli adulti sia i bambini continuino ad avere una domanda per ogni cosa. Perché i sogni sono forse risposte a domande che non siamo ancora riusciti a elaborare.

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Nuove storie per la scuola dell'infanzia: il binomio fantastico di Gianni Rodari

a cura delle studentesse DFA SUPSI


Nuove storie per la scuola dell'infanzia: il binomio fantastico di Gianni Rodari

... Camillo il drago di Céline Erard, Eleonora Manfrè • binomio: drago/ camino

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amillo viveva in un villaggio sperduto in cima ad un'appuntita montagna. Aveva la pelle molto dura e ruvida, di colore verde, un grosso muso con delle grandi narici, una coda lunga e delle maestose ali.

Camillo era un drago grande e grosso. Quando si arrabbiava, sputava fuoco dalla sua bocca e inceneriva tutto quanto era attorno a lui. Per questo motivo, tutti gli abitanti del piccolo villaggio lo temevano e gli stavano alla larga. Camillo, spesso, si sentiva solo e triste. In un freddo giorno autunnale, il drago Camillo si svegliò. Era arrabbiato, ma così arrabbiato, ma così arrabbiato che decise di andare a bruciare tutte le case del villaggio, perché nessuno di quei maligni abitanti voleva essere suo amico. Camillo, ignorava che gli abitanti fossero impauriti dalle fiamme che lanciava a tal punto da non osare avvicinarsi a lui. Arrivato davanti alla porta della prima casa del villaggio, il drago si accorse che a causa della lunga camminata gli era venuta una gran sete. Con quell'arsura non sarebbe mai riuscito ad accendere nemmeno un fiammifero! Il drago, bussò alla porta con molta insistenza, e poco dopo il piccolo abitante della casetta aprì la porta della casa. Buongiorno! - Esclamò con un gran vocione Camillo - Ho bisogno di dissetarmi!, lasciami entrare!


NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DELL'INFANZIA: Il BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

Il piccolo abitante venne scansato con un gran colpo d'ala e Camillo si fece strada. L'omino era molto spaventato e rimase quasi impietrito davanti al drago, non osava muovere nemmeno un dito. Non volendo però contraddire quel gigantesco animale, gli porse un enorme secchio contenente dell'acqua. Camillo bevve, bevve e bevve ancora. E poi disse: - Adesso ti faccio vedere io chi è il drago più terrificante del villaggio! E senza pensarci due volte fece il respiro più grande che poté. Il piccolo omino, impaurito da quel folle gesto, aprì piano gli occhi spaventato e ... con suo grande stupore si accorse che un meraviglioso fuocherello scoppiettante era stato acceso nel camino! La sua felicità era incontenibile! L'omino era un po' maldestro e non era mai riuscito nell'impresa di accendere il fuoco. Subito esclamò: - Ma grande drago . . . grazie! Mi hai dato un enorme aiuto per accendere il fuoco! Senza di te, avrei trascorso l'autunno e l'inverno tremando come una foglia! Il drago non si accorse subito del grande favore che aveva appena fatto al piccolo omino, ma si rallegrò per questo ringraziamento che veniva dal cuore. E con suo grande stupore ricevette un prezioso consiglio: - Drago . .. gli abitanti ti temono perché hanno paura che tu possa incenerire tutto, persone comprese, ma perché non ti dedichi all'accensione dei camini delle case del villaggio? Sono sicuro che tutti cambierebbero idea sul tuo conto! Questa storia termina così con un drago felicissimo, che finalmente ha fatto amicizia con gli abitanti del paese e con un villaggio ancor più felice poiché non deve temere i rigidi inverni per paura di rimanere senza fuoco.

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STUOENTfSSE OFA SUl'Sl

Marino l'avventuriero di Luisa V. Righetti • binomio: delfino! lago

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'era una volta un delfino: il suo nome era Marino. Marino abitava in mare aperto con la sua famiglia. Mentre cresceva esplorava sempre più volentieri i fondali del mare. Essendo particolarmente socievole, Marino si era fatto molti amici: tra questi c'erano cavallucci marini, orate, branzini, salmoni, orche, balene ... Infatti appena terminava la scuola, Marino tornava veloce veloce a casa per sbrigare i compiti e poi nuotava allegramente dai suoi amici per vivere nuove avventure. Un bel giorno, Marino e i suoi compagni, andarono a curiosare tra gli scogli; lì incontrarono dei polpi simpaticoni. Un'altra volta trovarono sul fondale del mare un antico veliero: decisero di esplorarlo. Ovunque si vedevano salire tante bollicine, vari spazi erano stati occupati abusivamente da alcuni pesci come nascondiglio: per proteggersi dai pericoli, per riposare un po', per fare uno spuntino e riprendere così le forze. Si accorsero pure della presenza di strani oggetti che non conoscevano. Durante questa esplorazione, Marino e i suoi amici videro passare un'ombra misteriosa ... chi poteva mai essere? Ma ben presto si resero conto che era l'ombra di Fausto il pescecane!]! Marino e i suoi amici si nascosero in uno scrigno del vascello tremando di paura, ma purtroppo Fausto li vide con la coda dell'occhio. Da qualche tempo Fausto si era affezionato al vecchio veliero e di solito non amava condividerlo con nessuno. Non desiderava che altri abitanti del mare lo visitassero e non capiva come mai Marino il delfino e i suoi amici lo avessero scoperto. Fausto il pescecane, allora, si accostò allo scrigno dove si erano nascosti, con l'idea di proporre loro una sfida. Appena il pescecane si avvicinò e bussò sul suo coperchio, Marino e i suoi amici fecero un gran salto per lo spavento, schizzando fuo ri come razzi dal loro rifugio di fortuna. Avevano il cuore in gola che batteva forte forte, stavano uno accanto all'altro contro la parete scricchiolante del veliero tremando di paura, mentre Fausto si avvicinava loro piano piano. - Cosa siete venuti a fare in questo veliero? Non mi piace che degli sconosciuti vengano a curiosare ! - disse loro Fausto.

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NUO VE STORIE PER LA SCUO LA DEJL1NFANZIA: Il BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

- Ci dispiace immensamente. - Disse con voce tremante Marino il delfino - Ma il veliero ci aveva incuriositi molto, perché non ne avevamo mai visto uno prima d'ora e volevamo scoprire cosa nascondeva al suo interno. Non volevamo assolutamente mancare di rispetto a nessuno. Fausto il pescecane rifletté sulla spiegazione di Marino, osservò le loro espressioni e i loro sguardi: in quel momento capì che erano sinceri e che gli avevano appena raccontato la verità. - Vi propongo una sfida - Sogghignò tra i denti Fausto - Una sfida che, se vincerete, vi consentirà poi di diventare i guardiani-custodi di questo veliero. Marino e i suoi amici erano increduli e meravigliati nell'ascoltare quelle parole. Si guardarono rapidamente tra loro negli occhi. Si aspettavano chissà cosa, magari di finire in pasto al pescecane ... e invece ... per fortuna, la situazione si era ribaltata a loro favore. - Dai ... racconta, per favore!!! Ora ci hai incuriositi!!! - Dissero tutti in coro. - Domani vi consegnerò una mappa e andrete in missione per me. Spiegò loro Fausto. - Una missione?!? E dove? - Rispose Marino il delfino, che ora non stava più nella pelle. - Calma, calma. Domani ci troveremo ancora qui alla stessa ora e vi darò tutte le informazioni necessarie. - Spiegò Fausto. Quindi la misteriosa sfida cosa avrebbe potuto essere ? E poi perché avrebbe consegnato loro una mappa? La sfida appariva sempre più come qualcosa di insolito, ma allo stesso tempo particolare e avventuroso. Così si salutarono con il buon proposito di incontrarsi il giorno seguente. Quella notte Marino il delfino dormì agitato e continuò a svegliarsi. Ben presto arrivò il momento fatidico dell'incontro con Fausto e nell'attesa dell'appuntamento, ebbe l'impressione che il tempo non passasse mai, le ore sembravano eterne. Fausto attese accanto al vascello il gruppo di amici e spiegò nel dettaglio la missione che affidava loro: Marino e i suoi amici dovevano intraprendere un viaggio. Fausto spiegò che gli era giunta notizia di un lago in cui si sarebbero potute trovare delle pietre speciali che avevano dei poteri magici: esse consentivano ai desideri di avverarsi. Visto che non poteva viaggiare, al momento, per dei dolori alla schiena, li invitò a farlo per lui. Il delfino e i suoi amici acconsentirono più che volentieri e si misero subito all'opera per organizzare la spedizione. Il grande giorno della

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STUDENTESSE DFA SUPSI

partenza arrivò: tutti erano molto emozionati. Controllarono di avere l'occorrente e poi partirono. Viaggiarono per giorni e giorni, nuotando a lungo nel mare, risalendo poi fiumi e ruscelli, finché arrivarono al lago di cui aveva raccontato Fausto il pescecane. Marino e i suoi amici rimasero incantati dalla bellezza del luogo: decisero di non perdere tempo e si divisero per cercare le pietre misteriose. Mentre Marino nuotava nel lago, incontrò una trota di nome Lilly e incuriositi l'uno dall'altro si misero a chiacchierare e a fare conoscenza. - Ciao! Ma tu sei un delfino? È molto curioso che tu sia in questo lago!]] Non ho mai incontrato dei delfini quassù. - Disse Lilly. - Ciao 1 Hai ragione. Sono qui con dei miei amici in missione. - Rispose Marino. Lilly e Marino si misero a parlottare sottovoce così a lungo, che gli amici di Marino, preoccupati, incominciarono a cercarlo, finché lo trovarono in compagnia di Lilly la trota. Poi nuotarono in lungo e in largo nel lago: Lilly fece da guida e mostrò loro tutti i posti magici. Che meraviglia e stupore quando arrivarono in una zona un po' discosta e protetta dai lunghi rami del salice piangente più antico della regione e trovarono le famose pietre. La gioia fu incontenibile. Decisero di raccoglierne una ciascuno e poi andarono tutti insieme a festeggiare. Terminato di brindare e di chiacchierare, tutti soddisfatti per le nuove idee emerse, si salutarono con l'intento di sentirsi ancora e di mantenere i contatti. Marino e i suoi amici tornarono nel mare e cercarono subito Fausto il pescecane: gli raccontarono per filo e per segno tutte le loro scoperte, e gli consegnarono le pietre raccolte. Fausto decise così di aprire nel veliero un centro benessere, di incontro e di socializzazione per i pesci del mare: grazie alle pietre magiche e alla collaborazione di Marino il delfino e dei suoi amici, il suo sogno nel cassetto si realizzò. Questa nuova proposta ebbe così un grande successo per cui Marino decise che quello sarebbe stato il suo lavoro appena avrebbe terminato di studiare. Intanto gli scambi con Lilly la trota continuarono: progettarono quindi di aprire un centro benessere anche nel lago per i pesci di acqua dolce. Naturalmente Lilly la trota ne sarebbe stata la responsabile. Tutti quanti erano entusiasti: impararono a farsi nuovi amici, a conoscere nuovi vissuti e ad accettare le loro diversità. I momenti di incontro e di scambio non mancarono mai. L'armonia, il piacere di stare insieme e la collaborazione erano sempre presenti e questo garantì tanta serenità a tutti.

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NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU..'/NFANZIA: IL BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

Il coniglio dai calzini rossi di Cora Canetta, Serena Capodaglio, Vanessa Paiva, Alina Tavoli • binomio: calz ino/ forno

n coniglio dai calzini rossi vive nel paese Dolcevita. Gimmy non è come gli altri conigli, ma è molto speciale, siccome indossa sempre gli stessi calzini rossi e gli piace moltissimo cucinare dolci. La tana di Gimmy sembra un grande muffin (immagine). La sua casa è sempre molto accogliente e il suo forno è sempre al lavoro.

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- Mescolo, impasto, inforno e cuocio grazie ai miei calzini non mi scuocio! - Dice il coniglio. Nel paese Dolcevita tutti gli abitanti lo conoscono per i suoi fantastici dolci e spesso passano a trovarlo per assaggiare le sue delizie, - H um che delizia questa torta al cioccolato. - Dice Spino il riccio. - Scusa Gimmy dimmi un po', non voglio offenderti, ma a cosa ti servono quei calzini rossi? Sono un po' buffi sai? Dal camino della tana di Gimmy esce un profumo davvero invitante che spinge tutte le persone a fermarsi per assaggiare una delle sue dolci specialità. - Buongiorno signor coniglio abbiamo sentito un buonissimo profumo di dolci. Potremmo assaggiarne un qualcuno? - Dice un topolino che passava per caso da quelle parti. - Ma certo caro mio, in casa mia tutti sono benvenuti. Ho appena sfornato questi biscotti al cioccolato e preparato il thè caldo, facciamo merenda insieme! Il topolino soddisfatto dice: - Sono proprio squisiti questi biscotti, grazie mille! Ora però devo ripre ndere il viaggio. Spero di incontrarti di nuovo! Un giorno Gimmy mentre sta sperimentando una nuova ricetta: una fantastica meringata (torta alle meringhe) sente bussare alla porta e come d'abitudine, vista la sua generosità e la sua ospitalità apre senza esitare, D'un tratto: - Grrrrrrrrrrrrrrr - Il lupo gli salta addosso e lo acciuffa. - Il lupooooooo, aiuto aiutooooo~!! - Zitto, coniglio dai calzini rossi! Questi non ti servono più. Ahahah .,, questa sera mi aspetta una cena di lusso! - Dice il lupo.

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Proprio in quel momento Spino a passaggio per il bosco vede la porta della tana di Gimmy spalancata. - Strano che Gimmy lasci la porta aperta - Pensa Spino. Si avvicina, chiede permesso e non riceve risposta. Vede però qualcosa di strano: - Ma questi sono i ... calzini rossi di Gimmy?! Ma lui non se li toglie mai. Cosa sarà successo? Spino è preoccupato si reca in paese e chiede aiuto agli abitati di Dolcevita. - Aiuto, sono stato a casa di Gimmy e lui è sparito. - Ma dai Spino, non ti preoccupare, sarà andato a fare la spesa - Dice Rob l'anziano del villaggio. - Ma Rob lui non si toglie mai i suoi adorati calzini rossi e li ho visti a casa sua per terra, tutti rotti. Tutti gli amici di Gimmy sentono il discoro tra Spino e Rob e decidono di andare a cercarlo. - Gimmy Gimmy, dove sei? Ma niente, nessuna risposta. Ad un certo punto però si sentono delle grida: - Aiutooooooo!!! - Ma questa è la voce di Gimmy, proviene dalla tana del lupo, presto andiamo! Il lupo nel vedere arrivare tutti gli amici di Gimmy prende paura e lascia fuggire il coniglio. Passano diverse settimane e gli abitanti di Dolcevita sono sempre più preoccupati e tristi, non ci sono più i dolci del coniglio dai calzini rossi. Gimmy non cucina più dolci, non può senza i suoi calzini rossi. - Peccato che Gimmy non cucini più le sue delizie ... Spino però ha un'idea: - lo so perché non cucina più, i suoi calzini sono rotti. Chiediamo all'oca Margherita di cucirne un nuovo paio. - Un regalo per me? - dice Gimmy - Che gentili! Adesso lo apro. 1,21 3 e WOOOOW un nuovo paio di calzini rossi fatti a mano! Grazie mille! Da quel giorno Gimmy, soprannominato il coniglio dai calzini rossi, riprede a cucinare i suoi magnifici dolci. Tutto il paese ha la fortuna di continuare a mangiare le delizie sfornate dal forno di Gimmy.

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N UO VE SI'ORIE PE,R I.A SCUOI.A DELL'INFANZIA: Il BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

L'elefante sulla luna di Aleksandra Marijan, Arianna Fernandez, Alison Rieder, Deborah Bernasconi • binomio: elefante! luna

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n un'immensa savana al centro dell'Africa lontana, viveva Bobo, un enorme elefante dalla lunghissima e pesante proboscide. Bobo era un animale molto curioso, amava partire per l'avventura, affrontando con coraggio lunghi viaggi e scoprendo le meraviglie della natura. Uno solo era però il suo grande sogno, quello di arrivare sulla luna. La notte durante le ore di riposo, Bobo sognava sempre di camminare sulla luna e trovarci un villaggio davvero unico, il villaggio degli elefanti lunari. In questo magico mondo gli elefanti erano leggeri e le loro proboscidi potevano allungarsi all'infinito. La loro pelle era inusuale, di un colore argento assai speciale. Era infatti un colore luminoso che alla sera rendeva la luna brillante. Un giorno Bobo risvegliatosi ancora una volta dal suo magnifico sogno, decise finalmente di partire alla ricerca del magico villaggio, pur non conoscendo il percorso per raggiungere la luna._La notte stessa Bobo salutò tutti gli amici più cari, ognuno dei quali gli diede un piccolo dono da conservare come ricordo della sua casa savana. L'elefante pur essendo triste di lasciare i suoi amici, partì con molta sicurezza per l'avventura. La luna illuminava la notte scura, e permetteva a Bobo di seguirla meglio. Bobo pensava che nulla avrebbe potuto fermarlo, ma non sapeva che lungo il cammino avrebbe incontrato alcuni ostacoli. Dopo pochi metri infatti, incontrò delle grandi pozzanghere di fango che ostruivano il suo percorso. L'elefante osservò bene il territorio ma, non trovando alcuna strada secondaria, dovette attraversare a nuoto le grandi pozzanghere. Fortunatamente Bobo era un abile nuotatore e con molta forza nelle zampe riuscì ad attraversare quegli enormi pozzi.

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Lungo il cammino però si nascondeva già il prossimo pericolo. Bobo si imbatté in grandi rocce che non gli permettevano di camminare sulla strada. L'elefante decise dunque di passare tra i massi, dai piccoli buchi che quest'ultimi avevano creato sovrapponendosi l'uno sull'altro. Il sole stava spuntando e Bobo si fermò a riposare. Trascorso il giorno, un raggio di luce color argento accecò l'elefantino che piano piano aprì gli occhi e vide la meravigliosa luna, decidendo così di riprendere il suo viaggio. Bobo era molto tranquillo, camminava da ore e non aveva trovato nessun ostacolo, ma anche questa volta il pericolo si nascondeva dietro l'angolo. Tutto d'un tratto Bobo si fermò e disse: - Ahiaaa cos'è questo? L'elefante camminando non si era accorto che davanti a lui un campo di spine occupava tutto lo spazio. Iniziò subito a saltellare su una zampa e poi su un'altra, cercando di evitare di pungersi. Bobo era impaurito e non riusciva a vedere la fine dell'immenso campo. Credendo di non farcela più ed essendo sul punto di arrendersi, decise di fare un grande salto, riuscendo ad uscire sul sentiero senza spine. Riprese così il suo percorso lasciandosi alle spalle quel pungente campo. Non trascorse molto tempo che il povero Bobo si trovò di fronte a qualcosa di strano, qualcosa che non aveva mai visto. - Ohhhh ma cos'è successo qui? Che grande casino, come farò a passare? Bobo si trovava davanti ad un mucchio di alberi caduti uno sopra l'altro. Si fermò a riflettere per qualche istante finché all'improvviso gli venne in mente una soluzione. Decise di provare a strisciare e passare sotto i tronchi giganteschi. L'elefante strisciò talmente tanto che pensava di aver perso la strada senza nemmeno avvicinarsi alla luna. Tuttavia, alla fine del tunnel, vide la sua luce splendente. Per molto tempo l'elefante non aveva trovato alcun ostacolo e pensava di essere vicino alla meta. Purtroppo la savana nasconde molti segreti, a volte anche fastidiosi. Con grande sorpresa Bobo scoprì che era tornato al punto di partenza. Doveva così ripercorrere nuovamente la strada ostacolata che aveva già superato. L'elefante, vedendo le pozzanghere, si mise a piangere: -Non voglio rifare tutto, sono stanco, dov'è la mia b ellissima luna?

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NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU1NFANZIA: Il BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

Mentre si asciugava le lacrime vide una stradina nascosta tra gli alberi. Incuriosito, l'elefante si incamminò verso il sentiero, dove vide una grande scala rivolta verso il cielo. Bobo non credeva ai suoi occhi, finalmente aveva trovato la via giusta per raggiungere la luna. La distanza che lo divideva dalla meta era davvero corta. L'elefantino doveva compiere ancora un piccolo sforzo, salendo sulla grande scala che lo avrebbe portato nel magico villaggio. Bobo con grande forza riuscì a compiere la sua scalata e raggiungere la luna. La luna era proprio come se l'era immaginata, spettacolare, e brillava grazie alla pelle degli elefanti lunari. Bobo pensò: - Questo è un sogno! Si mise a ridere perché sapeva bene che il suo sogno era diventato realtà. L'elefante non tornò mai più nella savana, ma trovò la sua vera casa e visse sempre felice e contento sulla luna.

Lina Bianchina di Giulia Baccarin, Ilaria Caccia, Sofia Franscella, Sara Lucchini, Lara Ponzio • binomio: matite colorate! sole

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'era una volta, sui banchi di scuola, una bellissima scatola di matite colorate che apparteneva a Davide. Al suo interno vivevano felic i C arletto Neretto, Tino Rossino, Pino Verdino, Rina Azzurrina e Faustino Giallino.

Ah ci stavamo quasi dimenticando, all'interno della scatola di matite colorate c'era anche Lina Bianchina, lei però non era felice come i suoi compagni ... - Perché non era felice? Lina Bianchina era molto triste perché da quando la scatola era stata comprata nessun bambino l'aveva mai usata. Carletto Neretto serviva per fare tutti i contorni, Tino Rossino riempiva di gioia e felicità il cuore dei bambini, Pino Verdino dava colore alla natura, Rina Azzurrina veniva utilizzata per i cieli sereni e Faustino Giallino dava colore al sole splendente.

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- Ma Lina Bianchina cosa avrebbe potuto colorare? - Nessuno lo sapeva] Un giorno i suoi compagni di scatola cominciarono a prenderla in giro: - Ma come sei alta! Occupi tutta la scatola! - Disse Carletto Neretto; lui di contorni ne aveva fatti in abbondanza, fino a consumarsi più della metà. - Mai nessuno ti usa, potresti lasciare il tuo posticino a Gino Rosino! - Disse Faustino giallino che era tanto amico di Rosino. Le lamentele delle altre matite colorate aumentavano di giorno in giorno, tanto da divenire per Lina Bianchina insopportabili. Un giorno Davide si stufo di vedere nella sua scatola la matita bianca, così inutile. Decise quindi di metterla nel cassetto degli oggetti inutilizzati. Lina Bianchina era molto triste e cercò un posto per sistemarsi in quel brutto, scomodo e rumoroso cassetto di legno. Lì di spazio ce n'era ben poco, siccome erano ammassati molti altri oggetti: Lolla la colla, Genna la penna, Carluccio l'astuccio, Nello il pennello, Beatrice la calcolatrice, Nicolino il temperino, Geppetto il fazzoletto, Cricchetto il foglietto, Rosetta la graffetta, Marietta la bomboletta e Rodriga la riga. Fortunatamente, Lina Bianchina era lunga e fine e riuscì a sistemarsi sul fondo del cassetto vicino a Cricchetto il foglietto, che probabilmente non veniva tirato fuori da lì da molti anni. G li altri oggetti si voltarono incuriositi a guardare la nuova arrivata ed esclamarono: - Psssst Geppetto il fazzoletto, finalmente è arrivato qualcuno! - Che bello, una nuova amica! - Ehi, ma tu chi sei? - Chiese Beatrice la calcolatrice. - Sono ... Lina Bianchina - E cosa ci fai qua? - Mi hanno messa qui perché nessuno mi vuole usare ... - Vedrai che ti troverai bene con noi, siamo stati messi qua molto tempo fa perché siamo vecchi e un po' rotti ma non per questo non riusciamo a stare bene insieme - Dissero gli altri oggetti. Passarono i giorni, le settimane, i mesi: - Sicuramente Gino Rosino avrà preso il mio posto, nessuno si ricorderà della mia esistenza e sarò costretta a vivere qui p er sempre!

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NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU'INFANZIA: IL BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

Un giorno, a Davide, venne voglia di fare un disegno; voleva disegnare un bel fiore con i petali blu perché alla sua mamma piacevano tanto. Andò a cercare un foglio ma non trovò quelli che usava di solito ma solamente fogli neri. Provò a fare i contorni con Carletto Neretto ma si accorse che non si vedeva niente, provò a fare i petali con il blu ma anche questo si vedeva pochissimo. Davide diventò un po' triste ma provò a continuare il suo disegno: prese Faustino Giallino e provò a disegnare un sole; si accorse che il giallo si vedeva molto bene sul foglio nero. Gli venne così un'idea geniale: capì che i colori chiari si vedono meglio sul foglio nero, così corse ad aprire il vecchio cassetto con gli oggetti inutili e recuperò la matita bianca che era finita sul fondo. Tornò al suo posto e decise di disegnare un bellissimo fiore e di fare i petali bianchi: una meravigliosa margherita illuminata dal sole che avrebbe regalato alla mamma. Finalmente il bambino riuscì a finire il suo splendido disegno e da quel giorno Lina Bianchina diventò Lina la Regina; tutti i bambini la volevano utilizzare per fare i più bei disegni sui fogli neri. La mamma fu molto felice di ricevere un disegno così bello da Davide che lo incorniciò e lo appese in cucina.

Strega e streghetta di Laura Bere tta, Vania Bianchi, Cinzia Domenighini, Samantha Jukic, Kristel Peter, Vanessa Sorace • binomio: piscina/gelato

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n una piccola casetta malandata, con le finestre rotte e la porta bucata vivono due streghe molto diverse tra di loro. Ursula è una strega davvero terribile, la più brutta e la più malvagia di tutte le streghe. Ha grossi occhi neri tondi e minacciosi, un grande nasone a punta e porta dei piccoli occhiali perché da lontano non vede quasi niente. Ha dei capelli neri e così sporchi che sono diventati un rifugio per i pipistrelli. I suoi piedi sono lunghi e porta sempre delle scarpe davvero puzzolenti. Indossa un vestito lungo nero, tutto rattoppato e

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macchiato dalle pozioni magiche e puzzolenti che prepara continuamente. Ursula è la mamma di Amelia, una bellissima streghetta dai lunghi capelli biondi e da due occhi azzurri come il cielo. Come vi sarete accorti erano una mamma e una figlia molto diverse. Infatti, mentre Ursula prepara le sue pozioni magiche nel suo grande pentolone fumante, Amelia trascorreva le giornate a sfornare dei deliziosi dolci. - Basta preparare tutti quei dolci Amelia, devi aiutarmi a trasformare questo pentolone in una grandissima piscina, così tutti quei piccoli mostriciattoli dei bambini che passeranno di qui si tufferanno dentro e con la mia pozione magica si trasformeranno in grandi rospi verdi, mmmh il mio piatto preferito. - Oh mamma] Quante volte ti ho detto che a me le cosce di rospo non piacciono. lo voglio diventare una pasticcera e sfornare migliaia di torte e di gelati per rendere il mondo più dolce. - Basta adesso] Smettila di dire tutte queste sciocchezze] Tu sei una strega e ti devi comportare come me, quindi stanotte, quando tutti quei piccoli mocciosi si saranno addormentati, verrai con me a rovistare nelle loro cantine e nelle loro soffitte per trovare i libri che parlano di incantesimi e di pozioni magiche. La povera Amelia, non poteva fare altro che ascoltare quello che la perfida strega diceva. Quella notte, dopo il rintocco della mezzanotte le due streghe uscirono dalla loro casetta malandata e volarono fino il paese in cerca di tutti quei libri che parlavano di incantesimi, ma dimenticati in soffitta o in un angolino della libreria. Giunte in paese, Amelia decise di seguire il profumo di una deliziosa torta che portava ad una piccola casetta con il tetto rosso. Con grande coraggio, la strega Amelia iniziò a rovistare in una grande libreria dove trovò un piccolo libro dalla copertina rosa e morbido come la panna montata. Amelia cominciò così a sfogliarlo e con grande piacere scoprì che conteneva molti incantesimi per trasformare qualsiasi cosa in dolci. La vecchia strega Ursula invece, girava da una soffitta all'altra, casa dopo casa fino a quando, in un angolino, trovò un grande libro dalla copertina nera e ricoperto da molta polvere. La malefica strega Ursula aprì il libro e si accorse che conteneva l'incantesimo che stava cercando. Tutta soddisfatta la strega Ursula tornò a casa e con lei, anche la povera figlia Amelia. Con la sua voce così stridula iniziò a pronunciare l'incantesimo: - Badabim, badabum, badabam questo pentolone per sempre sparirà e in una grande piscina si trasformerà.

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NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU'/NFANZJA: IL BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

E in quel momento, il grande pentolone iniziò a muoversi e a tremare talmente tanto che si trasformò in una grandissima piscina. La povera Amelia guardava incredula quella che sua mamma aveva appena fatto e tutta triste andò in camera sua. Amelia era una strega buona che amava molto stupire i bambini con i suoi dolci, e non voleva proprio che tutti si trasformavano in dei brutti rospi. La mattina seguente, un gruppetto di bambini si avvicinò alla casa delle streghe per ammirare quella fantastica piscina. La strega Ursula disse - Oh cari bambini, venite a fare un bagnetto nella mia grandissima piscina, vi divertire un sacco. I bambini non ci pensarono due volte ed iniziarono a sfilarsi i vestiti, quando d'un tratto arrivò la strega Amelia, che con un grande calcio buttò Ursula in piscina che in un batter d'occhio si trasformò in un piccolo e brutto rospo saltellante. - Bambini, per fortuna non vi siete buttati in piscina, mia mamma, la strega Ursula voleva trasformarvi tutti in rospi e farsi una bella scorpacciata - Disse la strega Amelia. - Aspettatemi qui, ho una sorpresa per voi. Amelia corse in camera sua a prendere quel piccolo libro dalla copertina rosa che aveva trovato nella casetta con il tetto rosso e iniziò a pronunciare l'incantesimo: - Dolci, dolciosi, dolcetti quest'acqua malefica per sempre sparirà e in gelato alla fragola si trasformerà: E come per incanto, tutta l'acqua della piscina si trasformò in un buonissimo gelato al gusto di fragola. Amelia, era la strega più felice del mondo perché da quel momento il suo sogno di diventare una pasticcera si stava avverando.

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Ernesto il maldestro di Giulia Baccarin, Ilaria Caccia, Sara Lucchini • binomio: ippopotamo/ museo ppena sentì il rumore del furgone del postino, Massimiliano uscì dalla sua camera e scese di corsa le scale. Erano giorni che controllava la posta, sperando di vedere tra le buste un pacchetto indirizzato a lui.

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Suo zio Victor, che era un esploratore, era partito da qualche settimana per una nuova avventura in Africa. Massimiliano stava aspettando da giorni di ricevere un pacco speciale dal suo zio preferito. Infatti ogni volta che Victor partiva per uno dei suoi lunghi viaggi mandava a Max, perché così lui l'aveva soprannominato, un pensiero speciale. Una volta aveva ricevuto una raccolta di scritti antichi dall'Egitto, un'altra una rarissima statuetta in bronzo dall'Asia, ma non possiamo dimenticarci di quella volta che aveva ricevuto un cofanetto di pietre preziose dalle miniere in Sud America. Chissà cosa gli avrebbe mandato questa volta?! Massimiliano uscì di corsa dalla porta di casa con il desiderio di scoprire cosa lo stesse aspettando questa volta, e con sua meraviglia proprio accanto alla buca delle lettere trovò... un immenso pacco di colore rosso. Era talmente grande che Massi non riusciva nemmeno a vedere la casa del vicino. Di sicuro non era una statuetta o una pietra preziosa. Massimiliano era così curioso che il cuore gli stava scoppiando nel petto. - Oh-issa! - Con tanta fatica riusci a spacchettare e aprire l'immenso pacco. - Oh! - Massimiliano fece un saltò all'indietro dallo stupore e rimase con la bocca aperta! Nel pacco c'era un grande ... c'era un grandissimo ... c'era un immenso e maestoso cucciolo di ippopotamo! In mezzo a tutte quella carta regalo, Massimiliano, trovò una piccola busta che conteneva la seguente lettere:

Caro Max, questa volta sono riuscito a mandarti qualcosa di eccezionale, un cucciolo rarissimo di Hyppopotamus amphibius, si chiama Ernesto il maldestro. Prenditi cura di lui, con affetto tuo zio Vietar

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NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU1NFANZIA: Il BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

L'ippopotamo Ernesto uscì dallo scatolone e iniziò ad esplorare il giardino. Doveva essere molto affamato dopo il lungo viaggio, perché iniziò a mangiare le erbe aromatiche dell'orto della mamma. - Oh nooooooooo! - Gridò Massimiliano. - Vieni subito qui! - Disse Max all'ippopotamo Ernesto. - Non possiamo stare qui! Qualcuno potrebbe vederti! Ma Ernesto non lo ascoltava, e quando Massimiliano si avvicinò per provare a spostarlo l'ippopotamo non si mosse di un centimetro ma gli diede una leccata con la sua grossa lingua sul suo nasino. Dopo un bel po' di tentativi, Massimiliano riuscì a spostare Ernesto chiamandolo con un cappuccio di lattuga. Lo portò fino alla piscina e appena vide l'acqua Ernesto ci si tuffò dentro. Ma la piscina, si sa, non è fatta per gli ippopotami, e tuffandosi Ernesto, fece un'onda così grande che bagnò tutto il povero Max. Il bambino però non si arrabbiò, anzi si mise a ridere. Gli sarebbe tanto piaciuto tenere Ernesto come animale domestico! Doveva solo riuscire a convincere i suoi genitori. - Ci penserò più tardi, adesso devo andare a scuola - Disse tra sé e sé Massimiliano. Così lasciò Ernesto nella piscina, chiuse il cancello del giardino e andò a scuola. Ernesto rimase solo in giardino, anche se amava sguazzare nell'acqua e mangiare l'erba si rese conto di essere solo. Anche se Massimiliano gli stava simpatico, ad Ernesto mancava la sua famiglia di Hyppopotamus anphibius. Voleva tornare a casa, ma non sapeva proprio come fare. improvvisamente alzò lo sguardo e vide un grande cartello dall'altra parte della strada. Il cartellone rappresentava tanti animali, anche quelli della Savana. C'erano leoni, giraffe, manguste, facoceri e anche ... ippopotami! Sotto al cartellone c'era una freccia. - Forse è lì che si trova la mia casa! - Pensò Ernesto. Così con un goffo colpo buttò giù il cancello del giardino ed uscì. Seguì la direzione indicata dalla freccia. Per fortuna non c'erano molte persone in giro. Ernesto camminava cercando di nascondersi dietro ai cespugli. Zampettando, zampettando finalmente arrivò davanti ad un grande edificio. Sul muro c'era lo stesso cartellone che aveva visto in precedenza, solo molto più grande, su di esso vi era una scritta: -Museo.

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Ernesto non sapeva cosa fosse un museo, ma decise comunque di entrare per vedere se per caso c'era qualche altro ippopotamo. Trovò una porta e con un colpo di muso l'aprì. Entrò pian piano nell'edificio. Guardava di qua e di là, sperando di vedere i suoi amici ippopotami, ma trovò solo molti disegni degli animali, molte sculture, molte scritte, e molte, moltissime persone! Ernesto voleva nascondersi, ma non era così facile nascondersi quando si è un ippopotamo grassottello! Una bambina lo vide. - Mamma! - Gridò - Guarda quell'ippopotamo, sembra vero!. Le altre persone si girarono a guardare Ernesto. - Ma quello è vero! - Urlò terrorizzato un vecchietto agitando il bastone verso l'alto. Le persone iniziarono a scappare ed Ernesto si spaventò, così iniziò a muoversi velocemente anche lui. Mentre correva per cercare un posto sicuro dove nascondersi, con tanta sbadataggine fece cadere quadri, vetrine, statuette preziose e altri oggetti destinate alle collezioni più rare! Povero Ernesto, era così spaventato ed agitato non è certo facile per un ippopotamo correre in un luogo così delicato come un museo. V oleva uscire dalla porta, ma non si ricordava più da che parte andare! Ad un tratto arrivarono due guardie. - Fermo cicciottello! - Urlarono ad Ernesto, il quale si pietrificò dalla paura. Le guardie lo circondarono e controllarono che non scappasse, mentre qualcuno chiamava la protezione animali per chiedere aiuto. Nel frattempo Massimiliano era a scuola. Stava facendo ricreazione quando sentì alcune maestre parlare tra di loro. - Hai sentito cos'hanno appena detto alla radio? C'è un ippopotamo nel museo! Chissà come ci è finito!. Massimiliano si bloccò. - Oh no! - Pensò - Ernesto deve essere uscito dal giardino! Senza farsi vedere corse fino al museo. Quando arrivò le guardie stavano portando Ernesto all'esterno e lo volevano caricare su un furgone dello zoo. - Fermi! - Urlò disperato Massimiliano - Lui è il mio ippopotamo! Si chiama Ernesto! Appena lo vide Ernesto gli corse incontro e gli diede una grande leccata. Max spiegò alla protezione animali che suo zio era un esploratore e

quella mattina gli aveva mandato un pacco che conteneva l'ippopotamo.

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N UOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU1NFA NZJA: IL BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

- Ma cosa sei venuto a fare al museo, Ernesto? - Chiese Massimiliano. Poi il bambino notò il cartellone con gli animali della savana, e allora capì. - Ah! Sei venuto a cercare la tua famiglia? Volevi tornare a casa?. Ernesto fece segno di sì con la sua grossa testolona. Massimiliano allora capì cosa doveva fare. - Mi sarebbe piaciuto tenerti con me Ernesto - Disse triste - Però è giusto che tu torni a casa in Africa dalla tua famiglia.

Così, grazie all'aiuto della protezione animali, Ernesto venne caricato su una nave e ritornò in Africa, a casa sua. - Ciao Ernesto! - Gridò Massimiliano, mentre la nave partiva - Mi mancherai e ti prometto che verrò a trovarti un giorno! - Disse con le lacrime agli occhi. Così Massimiliano, durante le vacanze estive, volava fino in Africa, e andava nella savana a salutare il suo amico grassottello. Ogni volta che Massimiliano si avvicinava al suo amico Ernesto, lui gli correva incontro saltellando dandogli una grossa, grassa leccata sul visino.

L'avventura di Margherita di Catia Borges Carvalho, Cinzia Domenighini, Kristel Peter • binomio: capotreno/ margherita

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arco vince sempre a freccette. Bravo marco. Margherita non colpisce mai il bersaglio.

Carlotta disegna così bene che i suoi disegni sembrano reali. Brava Carlotta. Margherita fa solo scarabocchi.

Luigi cucina un ottimo stufato. Bravo Luigi. Margherita brucia sempre la carne. Laura è una cantante eccezionale. Brava Laura. Margherita è stonata come una campana.

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Sembra proprio che Margherita non sia brava a fare niente ... Un giorno, Margherita, passeggia tutta triste alla ricerca di qualcosa che sa fare bene, ma nonostante cerchi a destra, a sinistra, dietro di lei, sopra di lei, insomma dappertutto, non riesce proprio a trovare niente in cui sia brava. Ormai stanca e triste di cercare a vuoto, decide di attraversare un campo di grano che è la sua solita scorciatoia per tornare a casa. All'improvviso Margherita inciampa in qualcosa di duro, molto duro ... sembra fatto di ferro! Si alza e vede, una accanto all'altra, due linee di ferro che si estendono all'orizzonte. Cosa saranno mai? Qui prima non c'erano. Margherita osserva curiosa le due linee di ferro che sono apparse all'improvviso, sembrano proprio dei binari pensa. Mentre osserva i binari, Margherita sente un misterioso rumore, rivolge allora lo sguardo in direzione del rumore e vede arrivare un grande treno. Il treno era molto lungo e dalla locomotiva tutta rossa e lucente usciva un fumo denso e bianco come le nuvole. Oltre al rumore del treno, si sentiva un fischio assordante che riempiva il campo di grano, era così forte che Margherita dovette addirittura tapparsi le orecchie. Man mano che si avvicinava alla bambina il fischio diventava sempre più forte e il treno rallentava, fino a fermarsi proprio davanti a Margherita. Margherita era stupita, un enorme treno si era fermato proprio davanti a lei. Dalla locomotiva rossa saltò giù un buffo omino. Portava un cappello rosso più grande della sua stessa testa. Anche i vestiti da capotreno erano molto larghi, quasi non fossero i suoi. - Finalmente sono arrivato da te Margherita! - Disse ansimante il capotreno - Ho proprio bisogno del tuo aiuto! - Cosa c'è? Di cosa hai bisogno? - Rispose Margherita - Non sai ancora che io non sono brava a fare niente? - No no io so che ho assolutamente bisogno del tuo aiuto! Sali che ti spiego tutto - Margherita allora prese coraggio e salì sui gradini della prima carrozza. - lo vengo da un paese chiamato Sciarpolandia e devi sapere che il nostro re è molto malato e l'unica cura per guarire è un thè fatto con i petali della magica Margherita Dorata che si trova in cima al monte Berrettin. lo ho girato tutto il mondo alla ricerca di una bambina di nome Margherita, perché solo chi ha questo nome più raccogliere il magico fiore. Dopo giorni di viaggio finalmente ti ho trovata! Urrà! Ti prego aiuta il nostro re! Margherita, un po' titubante, accetta di intraprendere questo viaggio fino al monte Berretin per salvare il re di Sciarpolandia.

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N UOVE STORIE l'ER LA SCUOLA DELL1NFANZIA: IL BINO MIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

Il treno viaggiò per giorni e notti senza sosta, fino ai piedi del monte Berrettin, un monte proprio a forma di berretto. Margherita e il capotreno scesero dal treno. L'omino le spiegò: - Quella è la strada per salire sul monte, io non posso accompagnarti perché solo le bambine che si chiamano Margherita possono. Devi salire da sola a prendere i petali della magica Margherita Dorata. Buona fortuna\ Margherita prende coraggio e comincia a salire il lungo sentiero che porta alla cima del monte Berrettin. Il cammino é molto ripido e roccioso ma cosparso di alcuni alberi qua e là. Margherita sta per percorrere la prima curva del sentiero quando all'improvviso sbuca un mostro peloso con denti grandi e taglienti da dietro una roccia. Margherita terrorizzata e a occhi chiusi raccoglie un legnetto da terra e lo lancia in direzione del mostro. Quando finalmente Margherita riesce a riaprire gli occhi si accorge con stupore che il legnetto ha colpito il testone peloso del mostro e che lui è fuggito spaventato. Questa volta Margherita è riuscita a centrare il bersaglio. Brava Margherita! Margherita prosegue il viaggio, si trova in una foresta molto fitta, quando si accorge che qualcuno la sta inseguendo, si gira e si accorge che un mostro fangoso e con la bava alla bocca la vuole catturare. Margherita raccoglie prontamente un sasso da terra e si mette a disegnare sul suolo uno scarabocchio dalle dimensioni di un bambino, infatti disegnare la calma sempre. Lo scarabocchio di Margherita si stacca dal suolo e prende vita, la bambina gli chiede: - Difendimi ti prego! Lo scarabocchio si para davanti al mostro bavoso e gli blocca la strada. Questa volta Margherita ha fatto uno scarabocchio talmente bello che è diventato reale. Brava Margherita! Margherita può proseguire il suo cammino, cammina e cammina ora è uscita dalla fitta foresta e si trova quasi a metà strada quando sul sentiero scorge un mostro squamoso a tre teste. Margherita si rintana in una grotta perché non sa come superare il mostro. Dentro alla grotta vede un grande calderone, allora le viene un'idea] Raccoglie dei rametti, del fango e altri materiali che trova nella caverna e li butta nel calderone, accende un fuoco e fa cuocere tutto. Dopo qualche minuto esce dalla caverna e invita il mostro squamoso a pranzo. Quando il mostro assaggia il finto stufato ha così un cattivo gusto

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che gli viene un gran mal di pancia. Questa volta lo schifoso stufato di Margherita è servito a qualcosa. Brava Margherita] Infatti mente il mostro è distratto dal mal di pancia, Margherita riesce a scappare e a continuare il suo viaggio. Proseguendo sul cammino, Margherita s'imbatte in un altro mostro, con due grandi orecchie, grandi quanto quelle di un elefante. A Margherita allora viene in mente di cantare una canzone ed è così stonata da impietrire il mostro. Questa volta la voce stonata di Margherita è stata davvero utile. Brava Margherita] Margherita è quasi arrivata in cima al monte Berrettin, vede in lontananza la margherita magica, ma le si para improvvisamente davanti un piccolo gomitolo di lana, con occhi malvagi e denti affilati. Per superare anche quest'ostacolo decide allora di prendere due rametti e comincia a lavorare a maglia. In un batter d'occhio il gomitolo si trasforma in una bellissima sciarpa. Ehi un momento ... che cos'è successo? Margherita sa lavorare a maglia? Margherita sa lavorare a maglia! Ha finalmente trovato quello che stava cercando da moltissimo tempo: anche lei è brava a far qualcosa. Brava Margherita] Tutta contenta continua il suo viaggio e finalmente Margherita riesce a raggiungere un prato dove c'è la magica Margherita Dorata. La bambina si avvicina al fiore e delicatamente lo raccoglie. Mette il fiore al sicuro e scende di corsa il monte Berrettin per portare il fiore al palazzo del re di Sciarpolandia. Una volta arrivata consegna il magico fiore e finalmente il re può bere il tè e guarire. Tutto il regno fa una grande festa a Margherita e la ringrazia per aver salvato il sovrano. Marco organizza un torneo di freccette, Carlotta disegna dei bellissimi striscioni da appender per tutto il regno, Luigi cucina lo stufato per tutti, Laura intrattiene gli ospiti cantando con la sua bellissima voce e in quanto a Margherita, adesso che ha scoperto anche lei cosa è capace a fare bene si occupa di fare le sciarpe per tutti gli abitanti del regno, così che più nessuno a Sciarpolandia si ammalerà mai più. Brava Margherita)

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NUOVE STORIE l'ER LA SCUOLA DEU'INFANZJA: IL BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

La magia del cielo di Daphne lngold • binomio: puzzola/ motoscafo ipet è una puzzola che ha tanta, tanta paura dell'acqua. La sola vista di quella cosa ... bagnata gli fa venire il prurito ovunque [GRAT GRAT]! E quando sente qualcuno dire la parola «acqua» [E ... E ... E... ETCHÙ!] comincia a starnutire come un matto!

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Pipet puzza più di tutte le puzzole messe assieme. Non si è mai lavato in tutta la sua vita. Per questo motivo Pipet viene sempre lasciato solo: gli altri animali non sopportano la sua puzza e lo prendono sempre in giro. - Ma guarda! Arriva Pipet! Puzza così tanto che quando passa ai fiori spuntano le zampe e scappano veloci come fulmini! - Già! Non ho mai visto un animale così stupido da avere paura dell'acqua! [E ... E... E ... ETCHÙ!] Com'è triste Pipet. Dall'altra parte del bosco, in mezzo ad uno splendido lago dalle acque brillanti, c'è Madeleine. Madeleine è il più bel motoscafo del mondo e anche il più veloce, ma ha un problema: ha tanta, tanta paura della terra, al punto che si rifiuta persino di avvicinarsene. Tante persone vorrebbero salire a bordo di Madeleine per esplorare il magnifico lago, ma nel momento in cui si avvicina alla riva per far salire le persone, Madeleine ha così tanta paura che spegne il suo motore e si rifiuta di ripartire. Molti meccanici la visitano per cercare di risolvere il problema, ma niente ... Visto che nessuno può salirci, le persone a poco a poco dimenticano Madeleine che rimane sola in mezzo al lago. La poverina si sente così sola che ogni notte piange. Piange così tanto che l'acqua de l lago comincia a salire e a salire ... Quella mattina Pipet si sveglia con una strana sensazione. Si sente ... bagnato ... Ma non bagnato come quando fa quegli incubi terribili pieni d'acqua [E ... E . . . E ... ETCHÙ)), che lo fanno svegliare tutto sudato. No, si sente molto più bagnato. E poi ... Poi c'è quel prurito fastidioso [G RAT G RAT] ... Piano piano apre gli occhi e ... ARG H! AIUTO! Quella cosa! La mia tana è piena di quella cosa! È piena di a ... di ac .. . DI ACQUA! [E ... E ... E ... ETCHÙ!]. E sviene.

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L'acqua del lago, che è entrata nella tana del piccolo Pipet, trasporta la puzzola lontano lontano, fino al centro del lago, fino ad un'amica che già conosciamo. L'acqua lo porta da Madeleine. Madeleine prende Pipet, lo mette sdraiato sui suoi bei sedili morbidi e aspetta che si risvegli. Quando Pipet apre gli occhi, la prima cosa che vede sono il sole e le soffici nuvole. - Oh! Com'è bello il cielo] Come vorrei essere un uccello e volare lassù, tra le nuvole e le stelle] - Hai proprio ragione. Tante volte io vorrei essere un aeroplano per salire lassù e fare «cucù» agli uccellini. Pipet si siede di scatto per capire chi ha parlato, e proprio allora si accorge dell'acqua [E ... E . . . E ... ETCHÙ!], un lago davvero enorme che lo circonda da tutte le parti. Pipet ricomincia a urlare: - AIUTO! AIUTO! Qualcuno mi aiuti] Sono in trappola!!! - Perché gridi così, piccola puzzola? - Gli chiede Madeleine. - Tu non capisci! Io ho paura dell'ac ... dell'ac .. . dell'acqua [E .. . E ... E ... ETCHÙ!] - Però il cielo ti piace. - Sì, certo, ma non è la st essa cosal Il cielo non è per niente come .. . come ... come questa cosa che c'è nel lago] - Ne sei proprio sicuro? Hai mai provato a guardare com 'è? - Certo che no! Quando guardo l'ac ... quella cosa, mi viene un prurito terribile! [GRA T GRAT] - Per una volta allora prova a guardarla! E se ti viene il prurito, ti aiuterò a grattarti! Pipet si avvicina all'acqua, con gli occhi chiusi. Piano piano li apre, pronto a grattarsi come un matto, ma ... Quella non è una nuvola? E quello? Quello ... Quello è il sole! Pipet scopre così che l'acqua è come il cielo, quel cielo che gli piace così tanto! In quel momento Pipet decide di fare una cosa che non ha mai fatto prima: allarga le braccia e si tuffa, pronto a volare nelle acque del laghetto. Niente più starnuti! Niente più prurito] E scopre che gli piace davvero molto nuotare] Non vuole più uscire dall'acqua! - Oh, amica mia! Grazie] Grazie a te non ho più paura dell'acqua] Come sono felice! - Sono contenta che tu non abbia più paura. Come vorrei riuscire a vincere anche io la mia paura e riuscire ad avvicinarmi alla terra ...

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NUOVE STORIE PER LA SCUOLA DEU'INFA NZIA: IL BINOMIO FANTASTICO DI GIANNI RODAR/

- Anche a te piace il cielo, vero? - Sì, tantissimo! - Allora questa notte ti voglio mostrare un luogo speciale] Quella notte Madeleine segue le indicazioni di Pipet e insieme arrivano vicino ad un prato pieno di fiori che brillano come diamanti. Ma Madeleine non ce la fa. Proprio non riesce ad avvicinarsi alla riva. Spegne il motore, chiude forte forte gli occhi e si mette a piangere. - Non ci riuscirò mai! - Amica mia, non piangere! Prova ad aprire gli occhi e guarda che spettacolo1 Madeleine apre piano gli occhi e ... Oh! In quel bellissimo prato che Pipet le indica con la zampa ci sono tante piccole lucine che volano leggere facendo brillare i fiori come ... come ... - Stelle! I fiori sembrano tante stelle] E il prato ... Il prato sembra il cielo, un cielo st ellato e luminoso come quello che c'è sopra di noi! Piano piano, senza neanche rendersene conto, Madeleine si avvicina al prato. Non guarda più dove va perché quei fiori luminosi sono così belli che non riesce a pensare a nient'altro. Ad un certo punto, però, tocca la riva. All'inizio si spaventa, e vorrebbe quasi tornare indietro, al centro del suo laghetto, ma poi si accorge che in realtà la terra non le fa più paura. La guarda e si sente felice. La sua paura se n'è andata via per sempre, insieme alla paura di Pipet. Madeleine e Pipet sono finalmente felici. Pipet decide di diventare insegnante di nuoto per aiutare tutti i piccoli animali (ma anche quelli grandi) che hanno paura dell'acqua ad affrontare la loro paura. Adesso non è più solo. Anche Madeleine non è più sola. Adesso è sempre piena di gente che non vede l'ora di partire per fantastiche avventure: ora che non ha più paura della terra, infatti, tutti possono salirle a bordo per partire ad esplorare il meraviglioso lago.

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Fiabe dall' infanzia per l' infanzia

a cura della maestra Simona Meschini


L'idea di questo progetto di riscrittura creativa nasce da una mia osservazione durante lo stage professionale: i bambini avevano buone capacità redazionali ma spesso mancava una struttura nei testi da loro scritti. Dal momento che la classe stava leggendo parecchi libri, la mia scelta è ricaduta su un piccolo ma interessante racconto di Gianni Rodari,

Il

giovane gambero. La storia, infatti, non era troppo lunga, aveva una struttura semplice, era facile da memorizzare e faceva esattamente al caso nostro.

In un primo momento abbiamo letto il libro, lo abbiamo diviso in sequenze (sei in tutto) e per ciascuna sequenza gli allievi hanno scritto una frase riassuntiva. A questo punto, è cominciata la ricerca dei nuovi personaggi. Dopo un inizio difficoltoso, i bambini ci hanno preso gusto e le idee non sono di certo mancate. Abbiamo quindi selezionato i nuovi protagonisti e, divisi in piccoli gruppi, i bambini hanno cominciato la redazione dei nuovi racconti. Dopo un lungo lavoro di scrittura, revisione e riscrittura, i bambini hanno terminato i loro racconti e li hanno accompagnati con un disegno rappresentativo dell'intera storia. Voglio davvero ringraziare tutti i bambini per l'impegno, la motivazione, la collaborazione che ci hanno messo per raggiungere il prodotto finale.

È stata per me una grande soddisfazione e un onore lavorare con la classe e con la docente titolare (e ora collega) Monica Tinetti. Buona lettura e buon divertimento. Simona Meschini


Fiabe dall'infanzia per l'infanzia a cura della maestra Simona Meschini

... Il giovane asino di Adriel, Ardian ed Edmea

n giovane asino pensò: «Perché gli asini non fanno ippica e invece i cavalli sì? Io vorrei diventare il primo asino che sappia saltare gli ostacoW Diventerei il campione del mondo e sarei famosissimo!». Così il giovane asino cominciò ad allenarsi nel prato. Saltando gli ostacoli, però, cadde sul muso e si ruppe il naso. Deciso a non arrendersi, ci provò di nuovo. Questa volta si tagliò uno zoccolo e gli uscì tanto sangue. Poco dopo, quando stava per riprovarci, improvvisamente inciampò e, volando in aria, gli arrivò un'ape addosso che lo punse sull'occhio destro il quale si gonfiò immediatamente e il giovane asino non ci vide più. Tutto ammaccato continuò il suo allenamento perché voleva farcela a tutti i costi. Quando fu ben sicuro di sé si presentò alla sua famiglia dicendo: «State a vedere!». Il giovane asino allora saltò tutti gli ostacoli con molta grazia e senza mai cadere. Nel vederlo la famiglia reagì male e lo invitò ad essere come loro. Il padre arrabbiato gli disse: «Chi ti credi di essere? Sei solo un asino] Non sei mica un cavallo!» e la madre aggiunse piangendo: «Figlio mio! Mi hai tradito, non pensavo fossi così ignorante!». Il giovane asino voleva bene ai suoi genitori ma era troppo sicuro di sé; perciò salutò la famiglia gentilmente, uscì dalla stalla e partì per la sua strada. Arrivato all'ippodromo del paese, il giovane asino incontrò tre cavalli che lo criticarono sgarbatamente. In coro gli dissero ridendo: «Ma cosa fai! Pensi davvero di poter diventare come noi? Guardati! Sei solo un asino! Un piccolo e miserabile asinello!». Il giovane asino fece finta di non sentirli e continuò il suo cammino. Poco dopo, mentre camminava, incontrò una puledra che gli disse: «Lascia perdere! Fai come ti dice la tua famiglia perché anch'io ho provato a saltare gli ostacoli quando era più piccola e mi sono fatta male. La mia fa-

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FIABE DALL'INFANZIA PER L 'INFANZIA

miglia ora è arrabbiata con me perché da grande potrei avere un problema allo zoccolo e magari non potrò più gareggiare per il resto della mia vita!». Il giovane asino rifletté un po' ma decise di non seguire il consiglio. Salutò la puledra, augurandole una buona guarigione, e riprese il suo cammino. Andò lontano? Fece fortuna? Aggiustò tutti gli ostacoli rotti di questo mondo? Noi non lo sappiamo perché egli sta ancora saltando con il coraggio e la decisione del primo giorno.

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A CURA DI SIMONA MESCHINI

Il giovane gatto di Giada, Luis e Sabina

n giovane gatto vide un cane abbaiare e si chiese: «Perché il cane abbaia e io no? Voglio imparare a farlo anche io!». Così iniziò ad allenarsi. Nel farlo si morse la lingua, le guance; si scheggiò perfino un dente. Alla fine ci riuscì e dalla bocca gli uscì una sorta di guaito. Il giovane gatto era davvero soddisfatto. Si presentò ai tre fratellini dicendo: «Guardate cosa so fare!» e iniziò ad abbaiare come un cane. I tre fratelli rimasero pietrificati a bocca aperta. D'un tratto il fratello maggiore sbottò: «Ma cosa ti salta in testa? Sei matto? Ti sembra forse un comportamento da gatto?!». Il fratello minore aggiunse: «Ma non ti vergogni di quello che hai appena fatto?!» e l'ultimo concluse: «N essuno ti capirà e tutti ci prenderanno in giro per colpa tua!!». I fratelli erano infuriati e delusi dal suo comportamento tanto che decisero di cacciarlo da casa. Il giovane gatto era abbattuto e triste ma, nonostante tutto, voleva ancora inseguire il suo sogno. Fece i bagagli e, dopo aver salutato tutti, se ne andò per la sua strada. Lungo il suo cammino incontrò tre topini che lo criticarono. Quello nero gli disse: <<Perché abbai? Ma sei pazzo?», quello bianco aggiunse: «Ma cosa dici? Sei un gatto, non un cane!» e quello grigio esclamò. «Mamma mia! Così non farai mai più paura a nessun topo! Se proprio ti vuoi rovi-

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FIABE DALL 'INFANZIA PER L'INFANZIA

nare la vita, sei sulla buona strada!». Il giovane gatto li ignorò e continuò il viaggio verso il suo sogno. Camminando arrivò al porto del paese, dove incontrò un vecchio gattone dall'aria malinconica che gli disse: «Caro amico, anche io avevo il tuo stesso sogno. Ho girato in lungo e in largo per il mondo cercando di farmi accettare da cani e gatti. Ed ora guarda come sono ridotto. I gatti non mi parlano mai e i cani non mi capiscono o fanno finta di non capirmi. Sei sicuro di voler continuare il tuo sogno? Vuoi davvero diventare come me: triste, infelice e solo! Arrenditi, non ce la farai mai!». Il giovane gatto rifletté un attimo sulle parole del vecchio. Quindi lo ringraziò per il racconto, lo salutò cordialmente e saltò su una delle barche che era in partenza. Si nascose dietro le botti di vino e si addormentò. Andò lontano? Fece fortuna? Insegnò a tutti i gatti del mondo ad abbaiare? Noi non lo sappiamo ma lui ne fu convinto fino all'ultimo.

Il ragazzo straordinario di Alice, Caroline e Remi

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na mattina d'estate un ragazzo di nome Jovan uscì di casa per andare a fare una passeggiata nel bosco. Jovan era figlio unico e desiderava tanto avere un fratello o qualcuno con cui parlare. Così decise che avrebbe provato a parlare con tutti gli animali che avrebbe incontrato lungo il suo cammino. Incontrò per primo un gufo, provò a parlargli ma egli restò muto e Jovan decise di proseguire. Poco dopo incontrò una talpa e provò a parlare anche con lei. La talpa ebbe la stessa reazione del gufo: restò muta e immobile. Jovan cominciò a sentirsi un po' triste e solo. Tutto ad un tratto un lupacchiotto bianco si avvicinò al ragazzo e gli chiese: «Perché piangi?». Jovan sussultò: «Ma tu parli?!». Il lupacchiotto allora gli disse che lo stava seguendo dall'inizio e che lo aveva visto parlare con il gufo e la talpa, che si era incuriosito e alla fine si era deciso a parlare con lui. Jovan era finalmente felice perché oltre ad aver trovato un nuovo amico, sapeva che alcuni animali lo capivano davvero. Il giorno dopo il ragazzo andò a scuola e raccontò al maestro quello che gli era successo. Il maestro allora scoppiò a ridere: «Ma cosa ti salta in mente?! Ti sembra che gli animali possano parlare?! lo sai che io detesto le

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A CURA DI SIMONA MESCHINI

bugie! Vai in punizione!». Jovan quindi uscì dall'aula ma invece di andare in punizione, scappò verso lo zoo e, una volta dentro, cominciò a parlare con tutti gli animali. Lì vicino c'erano tre pappagalli che stavano osservando la scena. In coro si misero a deridere Jovan: «Ahahah! Guardate quel ragazzo! È davvero pazzo! Lui pensa davvero di poter parlare con gli animali! È fuori di testa!». Jovan però ignorò i commenti dei pappagalli e continuò il suo giro. All'uscita dello zoo incontrò Sebastien, un giovane ragazzo solo, che gli disse: «Ciao, prima ti stavo guardando e non credevo ai miei occhi! Anche tu sai parlare con gli animali?! Pensavo di essere l'unico a saperlo fare! Finalmente ho trovato qualcuno come me! Vuoi essere mio amico?!». Jovan ne fu entusiasta e rispose di sì. Finalmente aveva trovato quello che cercava: un amico con cui giocare e parlare. I due nuovi amici allora s'incamminarono per il mondo alla ricerca di altri ragazzi. Andarono lontano? Insegnarono a tutti i ragazzi del mondo a parlare con gli animali? Noi non lo sappiamo ma loro stanno ancora marciando alla ricerca di altri ragazzi straordinari.

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FIABE DA LL 'INFANZIA PER L'INFA NZIA

Sognare a occhi aperti di Beatriz, Fjolla e Veronica

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n pomeriggio d'estate, in un giardino folto di fiori, sotto il sole splendente, Stella, una bambina molto tranquilla, passeggiava allegramente nel parco. Lungo il suo cammino vide un piccione spiccare il volo e si chiese: «Perché io non posso volare? Sarebbe meraviglioso poter toccare le nuvole con un dito, librarsi nel cielo, sentire il vento tra i capelli!». Stanca dal tanto camminare si sdraiò sul prato e convinta si ripromise «Domani imparerò a volare!». Di mattina presto, invece di uscire normalmente da sotto le coperte, Stella si buttò dal letto con un tonfo. Poi scese in cucina dove, invece di sedersi, cominciò a saltare dalle sedie, dal tavolo e infine anche dagli armadi. Non riuscendo a volare come il piccione che aveva visto nella sua testa balenò un'idea: «Ho trovato! Mi costruirò delle ali1». Dopo tanto lavoro e grazie alle sue nuove ali, a poco a poco cominciò a volare sempre più in alto. Quando finalmente smise di allenarsi, si guardò allo specchio e realizzò di essere piena di botte. Il duro allenamento le aveva lasciato tanti ricordi sul corpo ma non vedeva l'ora di far vedere agli altri quello che aveva appena imparato a fare. Il giorno dopo, Stella invitò a casa sua alcune amiche per mostrar loro

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A CURA DI SIMONA MESCHINI

le sue ali. Appena arrivarono, le accolse con un leggero volo dalla finestra di camera sua. La sua migliore amica Malvina diventò subito gelosissima delle sue ali e le parlò con disprezzo: «Stella! Se continui così non sarò più tua amica perché mi imbarazzi e non voglio farmi vedere dagli altri sto giocando con una pazza!». Stella si sentì male, non pensava che Malvina potesse trattarla così male. Così si allontanò spiccando il volo. Ad un tratto incontrò tre uccellini. Uno dei tre disse «È la fine del mondo! Invece di camminare si vola!». Un altro aggiunse «Ma chi ti credi di essere?!». Il terzo concluse: «Ma come fa a volare una bambina?! È diventata matta?!». Stella continuò il suo volo senza dar retta agli uccellini. Poco dopo atterrò su un'isoletta in mezzo al mare. Lì incontrò Peter Pan e Plinio Romaneschi che stavano parlando animatamente. Appena vide la bambina, Plinio le disse «Smettila di fantasticare e torna a casa prima che ti succeda qualcosa di male!». Peter lo interruppe subito supplicandolo: «Lasciala qui a giocare con me! Ti prego] Ti prometto che non le permetterò di volare, così sarà al sicuro!». Stella rimase impalata ad ascoltare, non sapeva cosa fare. Si sentiva un po' delusa: lei voleva assolutamente continuare a volare. Decise quindi di salutare Peter Pan e Plinio e se ne andò dall'isola volando con le sue meravigliose ali. Ebbe fortuna? Ebbe problemi? Noi non lo sappiamo ma probabilmente lei sta ancora volando per i cieli di questo mondo andando incontro al suo futuro.

... La graffatrice di Adam ed Erjon

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n un ufficio di Boston, viveva una graffatrice. Tutti i giorni vedeva le sparachiodi appese al muro e nell'ammirarle si ripeteva sempre: «Che invidia! Sono più grandi di me e sono molto più precise. Vorrei proprio essere come loro così la gente potrebbe utilizzarmi di più!». Decise quindi che sarebbe diventata come le sparachiodi, solo che lei avrebbe sparato graffette. Si allenò a lungo e si fece male mentre cercava di migliorare nella precisione degli spari. Dopo un duro allenamento, durante il quale si era graffiata e si era ag-

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FIABE DALL 'INFANZIA PER L'IN FA NZIA

graffata al tavolo, si presentò ai suoi colleghi: i fogli. La graffatrice si mise quindi a sparare graffette tutto intorno. I fogli, spaventati a morte, si rifugiarono nei cassetti e uscirono solo dopo che la graffatrice fu scarica. I fogli non apprezzarono per nulla il cambiamento. Uno di loro disse: «Smettilan Sei troppo pericolosa! Potresti ferire qualcuno! Noi non ti vogliamo se fai così... Vattene oppure torna come prima!». La graffatrice non era d'accordo, voleva raggiungere il suo sogno. Così salutò i fogli e se ne andò per la sua strada. All'inizio del suo viaggio incontrò tre martelli che la criticarono duramente: «Non sarai mai una vera sparachiodi! Sei troppo piccola e non sei per niente forte!» La graffatrice un po' triste se ne andò e continuò il suo cammino. Poco dopo incontrò una grande sparagraffette che le disse: «Ritorna da dove sei venuta perché nessuno ti userà mai nella vita se ti comporti così. Non voglio che ti riduci come me perché nessuno ti rivolgerebbe più la parola!». La graffatrice però non cambiò la sua idea e decise di provarci lo stesso. Andò lontano? Fece fortuna? Diventò una famosa spara graffette? Noi non lo sappiamo ma lei continua a marciare con la stessa voglia dell'inizio.

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A CURA DI SIMONA MFSCHINI

La lucertolina di Alessia, Mirko e Stefano

n un bosco, accanto al centro spaziale della NASA, Dina la lucertolina è attratta dai camaleonti e pensa: «Perché noi non cambiamo colore? Voglio diventare viola per mangiare tanti mirtilli! O rossa per poter andare su Marte». Decide allora di trovare un modo per cambiare colore. Cerca a lungo la soluzione migliore, ma non la trova. Dina è molto triste e frustrata e mentre cammina nel bosco le cade sulla testa un ribes che, esplodendo, la bagna tutta. La lucertolina si dirige allora verso il fiume per lavarsi. Quando si sporge sopra all'acqua, nota che ha cambiato colore. Allora le viene subito un'idea: decide di bagnarsi con il succo dei ribes per diventare rossa e usa quello dei mirtilli per diventare viola. Avendo trovato la soluzione perfetta, si presenta alla zia mostrandole il suo nuovo aspetto. La zia, inorridita e disgustata da quello che vede, la caccia da casa dicendo: «Ti ho già detto che non puoi andare su Marte! Anche perché come faresti ad arrivarci? V attene! Non ti voglio più vedere perché sei disubbidiente!». Dina si sente offesa e triste, senza salutare la zia se ne va di casa piangendo lacrime rosa. Lungo il suo cammino incontra tre camaleonti che la criticano. Il primo dice: «Ma se le lucertoline diventano rosse, le banane allora sono blu!».

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Il secondo aggiunge scocciato: «Noi non sopportiamo le lucertole!». Il terzo conclude: «Vattene da qua, noi non ti vogliamo perché non sei come noi!» Così la lucertolina continua per la sua strada e arriva alla recinzione del centro spaziale. Poco distante si sente chiamare da un vecchio lucertolone che le dice: «Non fare il mio stesso errore, o ti ridurrai come me. Anche io volevo cambiare colore ma come vedi il mio corpo adesso è tutto a macchie marroni e nere. Sembro un mostro! Nessuno mi accetta e non mi parlano più. Vuoi davvero continuare così?». Dina saluta il vecchio lucertolone e oltrepassa la recinzione. Per sua grande fortuna, proprio quel giorno è prevista una spedizione per il pianeta Marte e, prima che il capo astronauta indossi la sua tuta, lei riesce ad infilarsi dentro. Andrà lontano? Avrà successo? Visiterà tutti i pianeti dell'universo? Noi non lo sappiamo perché di lei sulla Terra non si è più saputo nulla.

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Quando i quadri raccontano storie

a cura di Simone Fornara



Introduzione di Simone Fomara

racconti che costituiscono questa sezione sono stati scritti dai docenti del Diploma di insegnamento per le scuole di maturità che hanno conseguito l'abilitazione per la materia di italiano nell'anno accademico 2015-2016 presso il Dipartimento Formazione Apprendimento della SUPSI. Si tratta di quattro racconti che narrano e interpretano la medesima situazione di partenza da quattro differenti punti di vista, e adottando anche quattro stili letterari diversi. L'esercizio, che di solito viene classificato nell'ampia categoria degli esperimenti di scrittura creativa, ha una valenza didattica non indifferente. E nato infatti come sperimentazione di una tecnica che può essere applicata anche in classe, con ragazzi delle superiori o anche prima, per allenare la complessa abilità della scrittura senza far avvertire la fatica e il peso associati tradizionalmente all'insegnamento della composizione scritta. Lo spunto di partenza, concordato dopo un'attenta analisi di una serie di altri spunti, è il celebre quadro dell'artista americano Edward Hopper Nighthawks («I nottambuli»), che ritrae una scena notturna in un diner americano nel periodo della seconda guerra mondiale. Tre avventori sono seduti attorno al bancone del locale, immerso nel buio della notte e arredato in maniera essenziale: un uomo solo, di spalle, con un bicchiere in mano, e, alla sua sinistra, una coppia intenta a consumare uno spuntino (lei) e a fumare una sigaretta (lui). Di fronte a loro, chinato verso la parte interna del bancone, il barista, impegnato in qualche non ben identificabile faccenda consona al suo ruolo. L'immagine suggerisce un'atmosfera di sospensione e immobilità, peraltro tipica delle opere di Hopper. Dopo la scelta dello spunto, si è proceduto a formulare ipotesi sui personaggi ritratti e sulle loro storie, cercando di individuare alcuni possibili punti di contatto, frutto ovviamente di supposizioni anche molto creative. A questo punto, ogni autore ha scelto un personaggio e ha deciso di procedere in autonomia nella composizione di una breve narrazione. I quattro testi, dunque, riproducono il punto di vista immaginato di ciascun avventore. Per rendere l'esercizio più stimolante, si è deciso poi di adottare uno stile differente per ogni testo, traendo ispirazione dalla prosa di quattro grandi scrittori (di cui non si svelerà il nome, ma solo che si tratta di tre autori italiani e di un autore irlandese). Ogni racconto narra dunque una storia, un punto di vista, e tutti e quattro i testi insieme, considerati nella loro globalità, contribuiscono a determinare una visione complessiva, più o meno decifrabile, con elementi di armonia e anche con fratture e punti di inderminatezza che sembrano lasciare le cose indefinite, appena

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percepibili o celate dietro un velo di nebbia. Proprio come fa anche il quadro di Hopper, che appare allo stesso ben definito e preciso, dai contonri netti, e misterioso e indecifrabile. Partire da uno stimolo iconico, come un celebre quadro, per esercitare la scrittura è dunque una strategia premiante, perchè coinvolge e perché permette di non cadere nella tanto temuta ansia da pagina bianca, che coglie spesso lo scrittore ancora inesperto e apprendista: non è il caso dei quattro autori dei nostri racconti, ovviamente, ma può essere quello dei ragazzi che loro stessi incontreranno nella professione di docenti. Il quadro fornisce la materia prima per trovare le idee, e la successiva discussione consente di precisarle meglio e di passare con più serenità all'atto di scrittura. La variazione stilistica, poi, si configura come un ulteriore sviluppo utile per capire meglio le possibilità espressive della letteratura e dei singoli autori: impossibile attuarla, infatti, senza aver prima approfondito la conoscenza della prosa degli autori scelti a modello. I quadri raccontano storie. E la scuola può trame ispirazione per combinarne l'osservazione con lo sviluppo di competenze linguistiche e testuali avanzate, relative a uno degli ambiti più complicati da gestire per gli allievi di oggi (e non solo): la scrittura.

E. Hopper, Nighthawks, 1942

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SIMONE FORNARA, UA GAW, MICHÈLE PYTI-ION, DA V IDE CIRCELLO, VALERIA CALLEA

Il rapace dolore notturno della cognizione di Lia Galli

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l bancale di legno ipertrofico e mortificato forse di prunus avium, di ciliegio, che si irradiava in un tempo anche forse troppo lontano? protendendosi in maniera multiforme quasi come una filigrana brunastra verso i nembi, verso l'azzurro del cielo estivo, cielo intarsiato dei solstizi, accoglie ora il mio bicchiere non cristallizzato: un solido amorfo dalla struttura disordinata come le rimuginazioni di questa notte. Al suo interno, racchiuso tra i riverberi della luce al neon, artificiale, biancastra e gassosa che non elenca le cose come i raggi solari ma frantuma le forme accecandole, del Bourbon, che ha attraversato l'America per arrivare fino a qui. Ha il colore dell'oro, dei pesci di Koi dai baffi simili a quelli di anziani samurai canuti, degli anelli d'ottone delle donne giraffa dell'etnia Padaung i cui colli non si allungano in una tentata separazione della mente dagli impellenti e insaziati bisogni corporali, ma svellono le clavicole in un amplesso che cessa unicamente con la morte. Dalla Birmania al Kentucky a questo Diner, paradigma dell'illusoria libertà degli Stati uniti in cui ogni uomo può farsi da sé: da una carrozza con cavallo a un vagone ristorante e l'art déco e l'acciaio, la formica, il plexiglas, la plastica rossa, rosa, cobalto, porporino, canarino, bianco titanio, mercurio che non attraversa soglie, non è più psicopompo perché se l'inferno esiste è sicuramente qui, in questo luogo che si ispira al linguaggio delle ferrovie, ma non si muove, non si inclina, precipita in una notte come questa uguale e dissimile a molte, troppe? altre. Avrei bisogno di ossigeno, anche se l'aria in realtà è al 78% composta da azoto e questo contribuisce al mio senso di soffocamento, a questa claustrofobia che prescinde da soffitti bassi, da sciatte stanze con finestrelle simili a fanalini di automobili: non respiro quindi non vivo: non ho mai vissuto: solo Mary Lou aveva gli occhi così grandi, enormi pozzi color merda, feci di topo, residui di gastroenteriti e infiammazioni al fegato screziati di falsità, da farmi sentire a casa. Non ho mai creduto di meritare molto di più di quel vago retrogusto amaro che si sente in bocca quando ormai si sono vomitate paure, ansie, chimere, voli pindarici, fantasmi, allucinazioni e rimane solo la bile, gommosa, appiccicaticcia che per quanto la sputi si aggrappa alla gola in una lunga dichiarazione di amore esofageo. Arrivare fino a qui non ha estinto il mio bisogno di respirare: inspiro ma questa stanza ovale non belligerante? è impregnata dal fumo di troppe sigarette di pessima qualità: come per Cartesio l'eccessivo razionalismo della stanza cerca di nascondere il vuoto, inutilmente. Quando sono uscito dal motel di Bride street mi sembrava di

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avere argento nei polmoni, e nel viottolo semi oscuro obbligatorio per giungere fino a qui non ho visto nemmeno una sposa, senza parlare del tulle, di quelle che dicono sempre «lo sogno da quando sono una bambina alta due spanne questo grande, esorbitante, evento» che poi vaglielo a dire che il tempo non si spezza (mele e barbecue e pargoli paffuti e con le guanciotte sporche di cioccolato hanno un'estetica di bassa lega considerando le aurore boreali) ma si arrotola come una trottola impazzita schizzando schegge di possibilità sprecate ovunque: e le case si trasformano in vasi stracolmi in cui non ci sta più nemmeno l'ultima goccia: e l'esplosione è sospesa come un'affilata scure sull'amorosa vita coniugale: è un favore. «Mi hermano es un chancho», che è già un'espressione che implica una certa qualsivoglia quantità d'affetto rispetto a formule che rinviano a suini, a adiposità eccessive e proliferanti, a crimini del cuore o della ragione con un grado più o meno alto di intenzionalità. Nell'intrico di viuzze, stradette, mainstreets, squares, avenues che circondano come un gomitolo senza capo questo locale notturno, che compongono questa città puzzle, questa città labirinto, al passante non è concessa libertà di scelta: egli avanza spronato da luci artificiali, dal suono di un musicante, dalle urla disperate di un senzatetto o di una donna derubata: stuprato da una catena di casualità che potrebbe manifestarsi in un'assoluta diversità: il caso è il suo unico folle duce, dux lux reflux, priapico furioso babbeo che getta il suo seme fecondando di violenza e assurdità esistenze alla deriva di ogni tipo di autocoscienza e moralità. Per quanto mi riguarda cerco sempre di non lasciarmi abbindolare da quelle che comunemente vengono chiamate le circostanze: esse stanno affianco, attorno, alle estremità del noumeno, non lo scalfiscono in sé, se esso non si lascia penetrare. Sono appendici, protesi, accompagnatrici, bagasce, pompose circonvenzioni di incapace a cui imputare ogni colpa: passandole in rassegna una per una, quella imbellettata, quella floreale zeppa di ghirigori di scuse per cui ogni rosa ha le spine altrimenti non sarebbe una Rosa che poi è uno degli unici fiori su cui continua a vigere il dogma latino al punto che è ancora oggi la regina oltre che dei fiori anche delle desinenze, quella dalla punta smussata come i coltelli di plastica, confezionata per simulare una vivisezione dell'animo mai avvenuta. Da quando mi trovo in questo luogo non vivo che di notte, quando il buio assorbe i doveri, lasciando gli irrequieti liberi di flagellarsi la mente senza dover rispondere alle seccanti domande di uomini troppo innocenti o troppo stupidi per badare a se stessi. Ho scelto questo diner ma avrei potuto cercare di dimenticare me stesso altrove: ovunque. Sono ormai passati svariati anni dall'attimo scardinato dal tempo in cui ho pubblicato il mio ultimo romanzo; mi rileggo e quello che intrecciava preposizioni, aggettivi, pomposi avverbi dalle identiche desinenze tra

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SIMONE FORNARA, LIA GAW, MICHÈLE PYTHON, DA VIDE CIRCEU.O, V ALERIA CALLEA

quelle pagine non lo riconosco: non sono io, non lo sono mai stato: dev'essere stato un altro che si è preso il mio nome: forse un caso di omonimia. Osservo queste tre facciacce davanti a me, ma non riconosco in loro la mirevole arte del trapassare, la mia grave forma di malinconite, il mio intestardito dolore che pervade, scompone, seziona il mio tessuto nervoso: dendriti corti come cerini brucianti che scarnificano la punta delle dita e, sfiniti, insorgono sopraffatti dalle incalcolabili sfilacciature che li collegano, spietate come divinità vendicative, alla realtà: assoni inetti, mezzi addormentati, che accidiosi sonnecchiano in preda all'apatia creando un'enucleazione e un isolamento costanti, come una muraglia cinese ma più spessa, impenetrabile, come un'informe materia collosa e biancastra, sporca di sogni raggrumati, in cui ogni slancio rimane invischiato. Da me non esce nulla e coloro i quali (pochi, disadattati perlopiù) hanno interesse a osservare vedono una maschera di cera e pensano «è una persona ordinaria ... alla moda del tempo ... ». Gli sciocchi spiluccano le loro torte mentre sul mio copricapo pende la spada di Damocle dello scrittore: condannato a decifrare ecolalie, lallazioni, rutti, smorfie e rughe: soprattutto rughe poiché è sulla pelle che si riflettono le pene, si rifrangono i miracoli, si incartapecoriscono i desideri, imbertacchiscono gli ardori. Senza concessioni metafisiche: senza Aldilà in cui redimersi. La donna che mi sta davanti discende forse da Seth per il colore della sua chioma che lascerebbe lombrosianamente presagire un temperamento criminale o un'inclinazione alla follia. Strix, lupus hominarius volgare, stridente creatura generata dall'imbecillità umana, fra tuoni, dalle derive imbitorzolate della superstizione e dal terrore arcaico, tellurico quasi, di tutto ciò che è dissimile. L'impassibilità del suo volto ceruleo la differenzia però dalle libidinose e degenerate medievali o forse no, forse invece è proprio dietro quel disgusto impassibile che si cela la sua propensione alla lussuria e nella sua mente risuonano impiccagioni, sbrilluccicano ghigliottine, tintillano boccette di cianuro di potassio (arsenico a buon mercato per casalinghe annoiate) al punto che il profumo che l'avvolge potrebbe ricordare quello delle mandorle amare. Malleus Maleficarum e roghi per disintegrare la diversità: come oggi. Basilischi e preadolescenti per trasmutare il rame in oro. 1942 (una sera come questa o tante altre): forni per trasmutare il grasso in sapone. «Oh sangue e gente delle stragi e delle ibridazioni lontane» pare pensare. O forse no, magari rimugina sulla foglia di insalata? che tiene tra le dita o su quell'uomo che l'accompagna che pare uscito da Casablanca, la cui prima era proprio stasera. Si sfiorano le mani quelli che potrebbero essere due vecchi amanti tra cui il sesso non funziona più. L'uomo se ne sta lì, imbastardito nel suo completo oltremare quasi isocromo alla camicia, affilato nel volto dal naso aguzzo intento a fendere l'aria, a tagliarla con

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respiri nervosi che schioccano come rami secchi e passi di vecchie nevrasteniche. Appollaiato come un falco stanco allo sgabello attende che la sigaretta gli consumi l'ansia. Povero stolto non sa che l'ansia è enigma capillare che ha origine nell'Esserci, nello stare al mondo. Non ci sono vie di fuga, non esiste assenza di tonalità emotiva. Imbacuccato nella sua presunzione, in ciò che egli ritiene vero prima di appurarlo, vestito della sua grandezza da attore di prima serata, ipotizza probabilmente di essere un personaggio da tragedia, uno di quelli usciti dalle opere di Shakespeare, un Don Giovanni della periferia dei grandi Stati uniti d'America ripopolati dalle migliori genealogie e stirpi di discendenti di puritani, moralisti, amatidaDio olandesi e inglesi e spagnoli, mentre in realtà è una comparsa da show domenicale, uno come tanti che si gingilla qui con quelle che sono insostanziali trivialità e pochezze quotidiane; problemi di ordinaria superficialità, quasi amori che si nutrono di tre o quattro formule standardizzate come «resta», «ritorna», «ritorna e resta» che senza di te avverto la mia insostenibile inconsistenza e non mi va di fare qualcosa della mia vita, di costruirmi quindi «ti prego, torna» che mi servi per colmare ciò che sono: un banale pozzo vuoto. Dicevo: si sfiorano le mani: si passano un biglietto: si fanno un cenno e all'uno, due, tre, parte il colpo di pistola e revolverano il barista dal cranio accartocciato come un uovo fin dall'adolescenza. Quattro capelli biondi paglierino sopra gli zigomi sporgenti come balconi arrugginiti di un motel di pessima categoria che spuntano sotto le tempie sbrilluccicanti per il sudore o per qualche brillantina di infima qualità spalmata sulla pelle nell'illusione che lì ci sia ancora qualche pelo. Nella zona subzigomatica niente di rilevante. Il barman ha uno sguardo sospeso come se non sapesse decidersi tra la paura, la stanchezza e l'imbecillità. Forse sta pensando che tutti noi dovremmo smetterla di bere e uscire da questo locale per affrontare i nostri fantasmi. Forse invece si sta solo chiedendo quali siano i problemi di questa coppia uguale a molte altre. Qui non c'è nulla di cui valga la pena scrivere, mi verrebbe da pensare osservandoli in uno spasmo convulso di lucidità artefatta dall'esperienza, dall'illusoria percezione di non essere sbronzo e dalla noia che mi assale a fasi alterne come un Crotalus atrox che nessun piffero né magico né di legno o polimeri o metallo sarebbe in grado di addomesticare o anche solo di contenerne l'istintiva furia e brama di affermare il suo predominio sonoro e velenoso sulle altre creature. Mi porto la noia e il dolore addosso come se fossero un tabarro (prolificante residuo dandy o anarchico), come un ushanka: quei copricapi russi dell'esercito sovietico snaturati da plotoni di ragazzine vanitose e narcisisticamente autoreferenziali: mi seppellisco nell'inedia dei mill'anni baudelairiani ma io non possiedo dell'oppio come il buon vecchio Charles, ma ne condivido i ricordi e la profusione di vermi: grossi, grassi, obesi,

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dilatati vermi che penetrano nei volti già sbiaditi di coloro che hanno avuto la sfortuna di incontrarmi: rimorsi. Lo spleen implica un'aspirazione alla caduta: un desiderio della rovina perfetta: la sete di distruggere volontariamente in un unico gesto deliberato tutto ciò che sopravvive alla disfatta casuale. Ci avevo anche scritto un racconto intitolato La notte in cui tutte le vacche sono nere sul desiderio di scomporre, decomporre, estirpare l'unica monade scampata alla dissoluzione totale di ogni speranza, ma alcuni di cui non mi interessa rievocare il nome l'avevano accusato di manierismo, di essere come quei palazzi tardocinquecenteschi la cui asimmetria diventa una regola e le cui linee impazziscono tentando una fuga verso qualche imprecisato e subdolo altrove. Vorrei scrivere dell'amore ma appena ci rimugino su, il viso mi si deforma in un ghigno e inizio a sudare copiosamente e maleodorantemente e allora fisso ancora questa coppia, la penetro, la assedio e mi insedio nel labile spazio tra la loro e la mia esistenza e immediatamente il mio cervello balbetta due o tre frasi sgangherate che potrebbero magari riferirsi a loro due, ma al contempo potrebbero rimanere solo congetture farsesche di un solitario uomo solo. Con uno sforzo sisifico di immaginazione intavolo una conversazione con il loro subconscio provando a carpire le motivazioni che potrebbero averli spinti qui ed ecco che la mia fantasia, pomposo mostro bischerone insaziato capriccioso, stila vertiginosi elenchi tra il grottesco e il canzonatorio: un incontro clandestino che cela torbidissimi retroterra generati dall'indicibilità di alcuni avvenimenti remoti, il proposito di ammazzarsi a vicenda in un hapax esistenziale, bisogni fisiologici primari, la necessità di costruirsi un alibi dopo essersi lasciati sedurre dall'immoralità come quei ratti di fogna trasudati la notte dai tombini fumanti della grande Nuova York che azzannerebbero un loro fratello per conquistarsi un succulento scarto di putrescente bluastro cacio ammuffito, la zozza volontà di apparire (desiderio di sfoggiare vestiti firmati su misura), la noia (arcaico onnipresente male schopenhaueriano e leopardiano dato in affido esclusivo alla nauseata società occidentale), l'incapacità di trovare qualcosa da dire o la sua risibile matrigna l'incapacità di stare in silenzio, l'oroscopo del giorno, il verdetto di un giro di tarocchi fatto da una zingara i cui lunghi capelli corvini si inzuppano nella luce rosa dell'ottovolante di Coney Island, l'urgenza di precipitarsi fuori di casa a fumare un'american blend perché c'è un neonato dormiente e non ci sono terrazze, la biforcazione di un matrimonio, un molesto borracho, una guarra sessantaduenne che sfarfalla, un funerale singhiozzante, un boss della malavita, il furto di una gioielleria, l'assuefazione da luci al neon, il caffè, la nicotina, infiammazioni croniche alla prostata, amiche ciacolone che stanno lì a checchereccheccare per un nonnulla, ulcere mefitiche, prostituzione d'alto bordo, eiaculazioni precoci, stelle filanti, parenti

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serpenti, segreti. Il loro esserci non è però presenza, in quanto io, bulimico, mi nutro unicamente di dialoghi passati con assenze presenti. Gli sgabelli vuoti accanto a me hanno infatti un significato trascendente: su ciascuno di essi siedono presenze ectoplasmatiche che io solo posso percepire in quanto prive di una forma tangibile: sono le persone che ho amato e che hanno abitato le mie ore prima che la misantropia mi costringesse a questo eremitaggio forzato: sfilano afone? accanto a me le possibilità scartate, rinnegate, accartocciate come fogli di carta il cui acuminato biancore ferisce lo sguardo, che ciascuna di esse portava con sé: i percorsi che non ho intrapreso: le scelte mancate: i legami abbandonati. Siedono accanto a me in silenzio, sospese. Incapace di capire se esse mi torturino o mi facciano compagnia sollevandomi dal peso di me stesso, non mi volto a guardarle, ma le respiro, piano, indugiando ancora un istante in quell'anticamera dell'inferno che è la memoria, per poi riuscire, almeno questa volta, a lasciarle qui. Sogno infatti di riuscire a incamminarmi verso casa da solo questa notte, senza la maledetta fanfara che suona unicamente requiem nel mio encefalo e mi costringe a fissare il suolo, a guardarmi i piedi per non inciampare; sogno di alzare finalmente lo sguardo e che si apra, all'improvviso, su di me il cielo: con tutte le sue stelle, le nane bianche, le comete e quel volto imbronciato e un po' perplesso della luna di cui mi parlava sempre mia madre quando ero bambino: quando ancora ero figlio.

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SIMONE FORNARA, LIA G AW, MICH~LE PYTHON, DA V IDE CIRCELW, VALERIA CAili.A

As time goes by di Michèle Python

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ì solo un caffè magari ci vorrebbe qualcosa d'altro anche perché sembra di fare una delle nostre colazioni a letto pane marmellata e caffè sono anni che non lo facciamo più poi c'era quella vecchia vicina invidiosa che ogni volta che ci vedeva si consumava di gelosia e cominciava per ripicca con l'elenco dei suoi mali e con i flagelli dell'umanità da quando in Europa era scoppiata la seconda guerra mondiale era in lutto per la vita sì queste sono cose di tre anni fa vediamo un po' due guerre e due secoli dovrebbe avere circa 70 anni naaa è troppo giovane tutte quelle rughe e quei modi sempre ancora vestita con colori sgargianti a sfoggiare un lusso oramai decaduto e sbiadito sì noi ci siamo trasferiti in quell'appartamento nel '38 ha fatto la festa dei suoi 80 anni un anno prima che partissimo dunque ora dovrebbe avene 84 Dio ora c'è solo una fredda distanza tu stretto nel tuo completo blu col volto ombroso che fumi una sigaretta dopo l'altra tossendo qualche colpo sì non riesci più a ridere né a guardarmi né a parlarmi niente parole niente di niente solo pensieri che ti fanno sembrare uno spettro usciti dal cinema c'era quella bambina che si è nascosta dietro le gambe di sua madre quando ha incrociato il tuo sguardo ghiacciato Dio tu eri quello che giocava per ore con Mery costruivi con lei dei grandi pupazzi di neve mentre fuori faceva un freddo da restar secchi io e mia sorella Anna parlavamo al calore del camino uno come Humphrey Bogart sì che mi fa venire il caldo dentro e io che mi sono infilata questo benedetto vestito rosso solo per riaccenderti un'ora di trucco a mascherare i primi segni del tempo rossetto cipria ombretto e quell'aggeggio infernale per allungare le ciglia che sembra un arnese medievale di tortura o una pinza per le chele dei granchi più che un utensile estetico bah mi sento come una sardina schiacciata in una di quelle scatole rosse e non è finita qui anche queste scarpe troppo strette per camminare mi fanno un gran male ai piedi ecco infatti prima le campane della chiesa della Trinità hanno suonato l'una di notte è tardissimo troppo tardi per cercare di parlarti eh certo che in un ambiente come questo dove tutti stanno assorti nei loro pensieri soli e avvolti dalla noia non è mica facile sì

You must remember thiiiis Aaaa kiss is just a kiss, a siiiigh is just a siiiigh.

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QUA NDO I Q UADRI RACCONTA N O STORIE

Tttthe fundamental things apply As time goes byyyyy. C ome potrei cominciare? Tesoro dovrei parlarti di una cosa Ah non cominciare con le tue paranoie quando usi questo tono già lo so che No ti assicuro che è una cosa importante veramente Bevi sto caffè e mangia il tuo panino che andiamo Magari il silenzio è l'arma migliore sì prima o poi ti accorgerai che le cose sono mutate che dietro al mio dolce sorriso c'è dell'amaro sì che il tempo sta scorrendo il tic tac dell'orologio si fa sempre più frenetico assordante rumoroso

m entre il tempo passa ecco vedi ora devo anche andare al bagno uhmm queste scarpe più si sta ferme con il mal di piedi peggio è spero che quei due uno là a destra imbambolato e cupo peggio di te l'altro qui davanti che armeggia da tre ore con non so cosa spero che non mi stiano guardando sono tutt'altro che graziosa scendendo da questo sgabello un po' troppo alto e poco stabile e ovviamente ora c'è anche la porta che cigola accidenti e sicuramente mi stanno fissando soprattutto quello sullo sgabello che è proprio nella direzione giusta per seguirmi con gli occhi ecco ora manca anche la carta come al solito io il fazzoletto l'ho messo in fondo alla borsa aspetta Gesù aspetta con tutta quest'ansia mi sono anche venute in anticipo non ci mancava altro vabbè ora sono in tinta dall'interno all'esterno una ripassata di rossetto e ci siamo A aand when two lovers woooooo They still say: «I love youuuuu» figurati due amanti non ti sei nemmeno voltato c'è solo il barista che mi fissa sì e guarda un po' è proprio il tuo opposto vestito e cappello bianco capelli biondi occhi chiari avrei sicuramente un'altra storia sì forse meno intensa più frivola all'insegna dell'attrazione l'amante di un giovane ragazzo che non mi può fare regali perché con i tempi che corrono e con il lavoro che fa figuriamoci però finito il turno pulito il diner pedalerebbe come un pazzo per raggiungermi e mi troverebbe assopita sul divano con il libro appoggiato sul petto all'ultimo barlume della candela e allora sarebbero le note di Glenn Miller della sua Moonlight Cocktail che mi sveglierebbero girando sul giradischi un odore di rum e sigari rigorosamente Phillies mi avvolgerebbero la testa

Moooonlight and love sooongs - never out of dateee Hearts full ofpassionnn - jealousy and hateee

go • Q UA NDO I QUADRI RACCONTANO STORIE


SIMONE FORNARA, UA GAW, MIC HÈLE PYTHON, DA V IDE C IRCEU.0, VALERIA CAU..EA

Woman neeeeds maaaan - and man must have his mate That no one can deny tu invece credi che senza di te non possa succedere niente tu assorto in te stesso non ti accorgi che il mondo cambia tu non immagini che anch'io possa muovere delle pedine importanti nel gioco delle nostre vite sì un assaggio di una mossa fatale ce l'ha già avuto in quella calda sera passata sul portico della casa dei miei genitori sì tu convito che con i tuoi pezzi neri disposti in quella sequenza non c'era più niente da fare invece ecco sacco matto] il meglio della vittoria era l'espressione del tuo volto sì la tua misteriosa impassibilità si era trasformata in un'espressione tra la sorpresa e l'incredulità tu che avevi sempre tutto sotto controllo ti eri fatto prendere al gioco abbandonandoti alle emozioni sì It's stili the same old storyy A fight for love and gloryy A caaaase ofdo or diiieee Bruuuuuuuuuuuuuummmmmm un altro nottambulo che a bordo della sua Ford nera illumina la strada tutte le vie vuote i negozi vuoti tutto all'esterno sembra vuoto nessuna luce nemmeno dalle finestre del palazzo in faccia solo un gioco d'ombre che provengono dalla luce di questo ristorante a buon mercato il giallo delle pareti nei bordi si ammuffisce e forse anche il mio panino non è più dei più freschi sì se poi mi prendo un'intossicazione chi ti sente che quando ho chiesto se c'era qualcosa da mettere sotto i denti hai fatto quella tua solita faccia storta sì non vorrei dover correre al bagno come quella volta che eravamo a cena con il tuo capo e lui parlava parlava parlava non la finiva più io continuavo a contorcermi accavallavo le gambe fino a quando mi sono dovuta precipitare in bagno perché me la stavo facendo addosso poi una litigata da fine modo in taxi sì mi trattavi come una bambina a cui dovevi insegnare le buone maniere sì ma ora vorrei che mi stringessi a te mi abbracciassi e mi baciassi così da poterti sussurrare nell'orecchio il mio segreto

The world will always welcome lovers As time goes by allora sì è deciso ora se noi non ci sorridiamo più lo farà il mondo c'è spazio per noi c'è speranza basta trovare il coraggio sì tu ora ti alzerai mi prenderai la borsa appoggiata sulle mie gambe e mi darai il braccio per camminare a casa in questa buia notte e allora sì che sarà il momento di spezzare il silenzio della notte con delle dolci parole che permetteranno di ritrovarci sì ora te lo dico Sì.

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They know di Davide Circello The time is out ofjoint- O cursèd spite, That ever I was bom to set it right! Nay, come, fet's go together. Hamlet, Act 11 Scene 51 188-190

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hat's buzzin' cousin'? Sarei stato in grado di riconoscere quella voce slightly garrulalike ma smoky alla prima sillaba, anche nel tumulto gremito di una piazza.

Temevo in parte la possibile portata delle rivelazioni di cui quella telefonata sarebbe stata latrice: non avevo sue notizie da tempo, in un tempo, quello presente, in cui no news is bad news anyway, specialmente involving il suddetto. Temevo fosse pronto a partorire l'ennesimo miscarried brainchild e che avesse nuovamente scelto il long-lost cugino quale levatrice (non eravamo veramente related, quel saluto scivolava via dalle labbra come un ritornello, una filastrocca, senza che nessuno potesse ricordare da quando e perché si fosse tìniti per chiamarsi vicendevolmente in quel modo). - Hey buddy - ripresi - long time no see ... come un vano e poco convinto tentativo per disinnescare qualsiasi lingering nel suo saluto folle proposta e nel suo fare desperately bosseggiante. Certo era possibile che un giorno qualcuno che appartiene a quel mondo che avevo deciso di lasciarmi alle spalle sarebbe tornato a farsi vivo (e insistente, shortly); la probabilità di un simile evento mi era sempre parsa però minima; come irrilevante avevo voluto che fosse tutto quel periodo, quantità négligeable su di un intero life-span. Continuo a fingermi nella mente che quella telefonata sia la causa di tutto questo, anche se la triste underlying verità è un'altra. C'erano novità, diceva. Direttamente from the horse's mouth, dovevo crederci. I movimenti nella vecchia Europa avevano innescato un meccanismo che non solo aveva lasciato strade e fabbriche vuote, ma aveva finito anche per portare alla luce lungodimenticate faccende tra shock and awe riaffioranti ora: la scatola di vermi non era mai stata definitivamente chiusa. Cercai istintivamente il pacchetto di sigarette nelle tasche dei pantaloni, rovistando alla rinfusa e finendo per accartocciarne qualcuna sfuggita alla presa del piccolo box disseminante polvere di tabacco tra le mie dita e la fodera: «the man who knows» capeggiava

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SIMONE FORNARA, UA GAW, MICHÈU:: PYT HON, DA VIDE CIRCELLO, V AU::RIA CALI.EA

smirkeggiante dal cartellone pubblicitario. Ed era un uomo che sapeva ora a tornare dal mio passato, a cambiare forse per sempre il corso della mia storia. Mi aveva telefonato all'albergo in cui alloggiavo da qualche tempo, e lo aveva fatto senza annunciare per iscritto il suo arrivo ed aveva scelto un momento in cui ero sicuramente reperibile: segno manifesto che non solo aveva avuto il tempo di seguirmi a lungo, ma che lo faceva continuamente. Da solo o più probabilmente coadiuvato da uno o più complici. Un presentimento, pungente ed icefying, confermato ma ridimensionato dalle sue ultime parole: non era venuto per me o per coinvolgermi; he carne with a warning: - You have to get out. - Disse. - They know.

II Dai tombini di quella notte - farthest in the deep recesses of the mind, yet so vividly viva - il vapore esalava lento e finiva per formare addensamenti nebbiosi, come nuvole bassoradenti, costrette a infime quote da un inatteso may-day; tutto precipitò velocemente e inesorabilmente e le decisioni furono prese con la scrosciante rapi<lità di un acquazzone: out of that town, out of the state. Tutto quella medesima notte: a snitch is a snitch, dicevamo. E le conseguenze per aver rattato qualcuno sono sempre e comunque inscampabili, anche quando le underlying reasons paiono le più nobili e giuste e i tempi assurdi e out-of-joint. Con la dissoluzione del gruppo e gli epocali cambiamenti che ci avrebbero atteso negli anni a venire, ero certo che tutto quanto sarebbe stato definitivamente left-behind. Un ultimo circospetto saluto a quelle strade e a quella nebbia in cui sparire per sempre senza un nome e senza un passato. Funny che quella telefonata fosse giunta pochi giorni prima di questa ultima serata. Fatico quasi a ricordare come abbiamo finito per frequentarci; forse era proprio questa insondabile vaghezza, questa everlasting sensazione di inaccessibilità, di enigmatica ritrosia e negazione ad attrarmi; smoke and mirrors, come quel detto che ho sentito forse in dormiveglia per le strade di chinatown: un fiore allo specchio, sull'acqua la luna. - Let's go to the movies. Non potei fare altro che acconsentire noddingly stupefied Non ho mai avuto un buon rapporto con il cinematografo: dopo la folle corsa di Dillinger e compagni da Crown Point a Manhattan Melodrama e le notizie dei cinegiornali (all'impropria ironia nell'accostare la mia misera vicenda a

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quella del public enemy dichiarato di Hoover si sostituisce ora l'oscena consapevolezza - doppiamente colpevole poiché sto fuggendo anche da quello - della cruda realtà di questa nuova folle guerra, a cancellare per sempre ogni alone di leggenda dall'american greatest crime wave) ho sempre cercato di mantenere una certa safe distance da quelli e da altri luoghi consimili. Ma l'enigma irrisolto del suo sguardo è sempre riuscito a neutralizzare ogni resistenza. Per un istante ho persino pensato che la scelta - della serata e della pellicola - fosse in qualche modo un messaggio, nemmeno tanto velato, indirizzato alla mia vigliaccheria; non era il tipo da low-blows e colpi proibiti, eppure mi pareva che cercasse di rinfacciarmi il mio mancato interventismo, la latitanza in questi anni dai recruitments, e infine la mia età, non certo avanzatissima, ma bastevole, dopo l'executive order del presidente, a garantirmi la permanenza in patria e ad evitare il nuovissimo fronte nordafricano. Non ho pensato ad altro, durante la proiezione; anche ora, attendendo questa insolita colazione a tarda notte, far past the edge of the night (un altro enigma: perché qui? Perché questo diner? Perché questa attesa?), tutto quello che ho negli occhi e nella mente è lo smoking bianco smooth e leggiadro di Bogart e quelle parole: - When I said I would never leave you. - And you never will. But l've got a job to do, too. Where l'm going, you can't follow. What l've got to do, you can't be any part of. l'm no good at being noble, but it doesn't take much to see that the problems of three little people don't amount to a hill of beans in this crazy world Someday you'll understand that. Le strade sono sempre deserte. Il mio caffé lentamente si raffredda e le capriole di cenere della mia sigaretta si fondono e si confondono nell'atmosfera sospesa di questa notte: l've got to shed this comica! look from my face; regain my composure; teli her the truth. Dirle la triste prosaica verità. - Get out. They know.

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SIMONE FORNARA, LIA GAW, MICHÈU: PYTHON, DA VIDE CIRCELLO, V AU:RIA CAIJ.EA

Il sugo di tutta la storia di Valeria Callea

uella parete di vetro del palazzo, che curva sulla destra all'incrocio di due strade gremite di edifici, forma due muri del locale notturno Phillies, il quale, pur trovandosi spoglio, come la modernità richiede, di tutte quelle raffinatezze che tempi addietro adornavano i luoghi di convivialità, arredato solamente da un banco centrale di legno scuro, dove i clienti possono consumare la loro ordinazione grazie agli sgabelli solo leggermente più chiari, sbiaditi con ogni probabilità per l'eccessivo uso, rimane tuttavia un luogo piuttosto accogliente per la tinta gialla delle pareti, che così vive riescono a dare una certa luminosità all'ambiente, incoraggiando gli avventori notturni a trascorrere il proprio tempo in un posto decisamente più confortevole della desolazione delle strade, che nel 1942, anno in cui è avvenuto l'incontro di cui si parlerà, risultavano essere ancora più vuote per la tremenda catastrofe che stava mettendo in ginocchio il mondo. Sappiano i miei venticinque lettori che era quello il secondo anno di guerra per gli Stati Uniti d'America, una guerra nata oltre l'oceano e che è passata alla storia come la seconda guerra mondiale. Per le strade della città regnava in quel periodo la paura e lo sgomento, per una guerra non combattuta dentro i propri confini, ma che comunque chiamava tanti giovani innocenti a sacrificare la vita. È necessario precisare in che cosa consistesse questa guerra, la più sconvolgente per l'umanità di allora. In quello che si usava, e si usa tuttora, chiamare l'antico continente, e più precisamente in una nazione della vecchia Europa, la Germania, aveva preso il potere un governo che solo il passare del tempo ha dimostrato essere totalitario e assolutista. A capo di questo governo stava, o forse è più corretto dire che il governo stesso era, Adolf Hitler. Questi era un austriaco normalizzato tedesco, che prese il potere in Germania nel 1933 iniziando una politica basata sul nazionalismo, l'anticomunismo e l'antisemitismo; con lo scopo di espandersi in tutta Europa, attaccò la Polonia il 1° settembre del 1939, data che segna l'inizio del conflitto mondiale. Gli anni che seguirono a quest'aggressione possono dirsi di alterna fortuna per le due parti, fino a che, grazie all'ingresso di due potenze, la Gran Bretagna e per l'appunto gli Stati Uniti d'America, Hitler e i suoi alleati furono sconfitti.

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In tempi così bui, come quelli appena descritti, era diventata abitudine distogliere la mente dalle preoccupazioni più reali e cercare un rimedio immediato, anche se fallace, alla tristezza più dura. Conviene quindi ricor-

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QUANDO I QUADRI RACCONTANO STORIE

dare che non erano ancora passati dieci lustri dalla comparsa del cinema nelle vite degli uomini, che già questo nuovo intrattenimento si era trasformato in una specie di rito che si svolgeva rigorosamente la sera e che consentiva agli spettatori di dimenticare per qualche tempo le proprie malinconie, per entrare in un mondo diverso, magari lontano. Tornava bel bello, proprio da una delle serate appena descritte trascorsa presso un cinema di cui ormai non si trova traccia né nei ricordi degli abitanti del posto né altro, un uomo di media statura, seria in viso, che si accomodò presso il bancone. Beveva tranquillamente la bevanda ordinata e talvolta, tra un sorso e l'altro, il suo sguardo si perdeva trasognato in un mondo lontano, forse quello appena vissuto durante la visione della pellicola. Era questi uno di quegli individui a cui si è accennato: quelli che, pur coscienti che il male non lascia più l'uomo dopo che l'ha conosciuto, concedono comunque a loro stessi dei momenti di temporanea sospensione della mente per tentare di ingannare loro stessi circa la disperazione che delle volte, in particolari momenti storici, cerca di dominare la realtà umana. Lo sguardo, se a tratti poteva apparire, ad occhi poco attenti, assorto nei propri pensieri, tradiva una certa attesa, come se da lì a poco dovesse accadere, proprio nel mio locale, qualcosa di estrema urgenza. Non fu forse un caso, allora, l'ingresso di una coppia di signori, un uomo e una donna, nel mio locale, anche loro provenienti dal cinema distante appena cento metri dal bar, dove era stato proiettato Casablanca, un film ambientato nel Marocco francese proprio nella tragica contemporaneità. Serve forse fornire qualche notizia ulteriore sul film visto dai nostri protagonisti, se non altro per spiegare al lettore le ragioni per cui in quel caso la visione del film non aveva potuto portare che un minimo giovamento agli animi dei due signori che decisero di passare la notte seduti al tavolo del locale. Il protagonista della vicenda è Rick Blaine, un espatriato statunitense, gestore di un locale a Casablanca, con un passato di contrabbandiere d'armi durante l'invasione italiana dell'Etiopia del 1935 e di combattente repubblicano nella guerra civile spagnola dell'anno seguente, ma che sembra essere diventato un uomo cinico e dichiaratamente neutrale sulle vicende politiche e belliche che stanno accadendo. Una sera Blaine rimane in possesso di due lettere di transito, documenti di estrema importanza che consentivano di lasciare Casablanca sull'aereo per Lisbona, da cui, essendo questa capitale di un paese neutrale, si sarebbe poi potuti partire per gli Stati Uniti. Il giorno seguente arriva a Casablanca Isla, di cui si era innamorato, ricambiato, anni addietro, Rick. La donna, però, è ora sposata con Laszlo, ricercato dalla Gestapo per essere fuggito da un campo di concentramento dove era stato internato in quanto leader della resistenza cecoslovacca. Rick darà loro le lettere di transito per consentire alla donna

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SIMONE FORNARA, UA GAW, MICHÈL.E PYTHON, DAVIDE CIRCELLO, VALERIA CALLEA

amata di salvarsi insieme al marito. Vi son dei momenti in cui l'animo è disposto particolarmente ad operare il bene: questo accade con maggior frequenza quando si ha un esempio da imitare, poiché il cuore, senza saperlo, si accorge della bontà di un atto e desidera ardentemente perpetuarlo. Così era successo a Rick, dopo aver visto la disponibilità del marito di Isla a rinunciare a lei pur di saperla salva. Come questo film avesse agito nelle menti dei due signori era per me difficile indagarlo, ma si capiva che aveva dato loro modo di riflettere sul rapporto che li univa e che quella notte sarebbe con ogni probabilità mutato per sempre. I nostri avventori, dei quali il lettore non sa ancora nulla, erano appunto appena usciti dal cinema e avevano preso la decisione di proseguire la serata in compagnia l'uno dell'altra all'interno del mio locale. L'aspetto di lei, che poteva dimostrare 30 anni, faceva a chi la osserva con attenzione un effetto di bellezza ricercata, voluta e, direi quasi, sfrontata. Un abito rosso le stringeva tutto il corpo, del quale risaltava il candore, per l'ampia scollatura lasciata dal vestito. I capelli, rossi anch'essi, le scendevano lungo il collo fino a toccare le spalle e facevano da contrasto al candore della pelle. Le labbra, di un rosso più intenso ma non per questo meno luminoso del resto, pure spiccavano in quel pallore. Lo sguardo era di una voluta indifferenza e permetteva a chi lo osserva di ipotizzare che fosse accaduto qualcosa che aveva lasciato impressa in lei la volontà di mantenere un distacco tra sé e il mondo. L'ombra del passato era la stessa che scendeva sugli occhi, intenti a guardare lo stuzzichino che normalmente servo per accompagnare la bevanda richiesta dal cliente, poiché ritengo sia sempre più gustoso dissetarsi con una qualsivoglia bevanda dopo aver mangiato qualcosa, perché solo in questo modo si sente il reale bisogno di bere e il desiderio di soddisfarlo. Accanto le sedeva un uomo più maturo, un cliente abituale, che i giorni scorsi avevo visto agitato: era di un'eleganza non studiata, ma che voleva mostrare sicurezza e orgoglio, sebbene gli occhi tradissero una certa preoccupazione, lasciando presagire che ciò che stava avvenendo sotto i miei occhi era qualche cosa di estremamente urgente per entrambi. Gli uomini, e con essi intendo il genere umano, trascorrono la maggior parte della loro vita incoscientemente, vale a dire senza la preoccupazione o la coscienza del tempo che sta passando; si godono i momenti loro dati con assoluta spensieratezza, lasciando spesso irrisolte, e volendole lasciare tali, certe questioni di estrema importanza. Succede poi, nessuno può dire perché accada in un certo istante e non in un altro, che qualcosa in loro si muova e si accorgano limpidamente di non poter più far finta di niente. Quello vissuto dai due signori di cui si è accennato era esattamente l'istante ora descritto.

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QUA NDO I QUA DRI RA CCON TANO STORIE

È un'esperienza condivisa da molti quella di ipotizzare attraverso un'osservazione attenta ma discreta i pensieri di due persone e la relazione che li lega; quella sera era per me impossibile non intuire che stava succedendo qualcosa che con ogni probabilità avrebbe mutato la vita dei due. Lei attenta a non mostrare attenzione, ricordava come fossero state diverse le cose un tempo. Da fanciulli è più semplice vivere, perché l'uomo è convinto della bontà del mondo, per cui ad esso si affida, facendosi dono agli altri, senza condizioni; addio, giovinezza trascorsa veloce, momento privilegiato della vita di ognuno! Addio giocondità spensierata di chi viveva le giornate con l'innocenza del fanciullo. Chi ora è staccato da quei tempi custodisce di allora appena un ricordo e sa che quanto succederà ora è per cambiare tutto, e turberà la gioia degli antichi fanciulli, non si sa se per prepararne loro una più certa e più grande. Di questa natura, o quasi, erano i pensieri della donna, poco prima che lui iniziasse a parlarle. La voce dell'uomo attirò sia l'attenzione del narratore, che forse troppo indugia sulle sensazioni che suscita in lui l'incontro con i clienti del bar, e il misterioso individuo che li aveva preceduti nell'ingresso; il bello, a detta mia, era finalmente sentirlo parlare: le parole rivolte alla donna sembravano la conclusione di un lungo discorso, di un discorso che durava anni, e sembravano essere dette apposta in quel momento, in quel luogo, a quella donna, davanti a quel signore, come il sugo di tutta la storia.

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INCONTRI

Massimo Gezzi



A colloquio con Massimo Gezzi a cura di Raffaella Castagnola

Numero dei vivi: è un titolo che mette in relazione il singolo e l'umanità. Come ha combinato queste due realtà? ono uno di quelli che credono che non possiamo prescindere dal nostro io, per conoscere il mondo, per interpretarlo e per interagire con esso. Il numero dei vivi è un titolo che, effettivamente, mette in relazione il singolo (l'io poetante, diciamo, che spesso - ma non sempre - coincide con quello biografico) e gli altri, i vivi, appunto, cioè tutte quelle persone che danno un senso all'io e che magari chiedono, esigono qualcosa da lui. Nel mio caso "i vivi" sono stati, a livello biografico, una figlia e i ragazzi che mi sono trovato davanti a partire dal 20131 quando sono diventato docente e padre. Questo libro parla anche di questa esperienza e di questa interazione, e di come gli altri abbiano cambiato il punto di vista dell'io biografico e anche il modo di esprimersi e di guardare, credo, dell'io poetico. È come se, dopo la protesta dell'Attimo dopo (un libro tutto sul e contro il tempo e la sua prodigiosa capacità di distruggere vite e tracce), quelli che restano ed esistono abbiano chiesto prepotentemente di essere messi in versi. Credo di averlo fatto con questo libro.

S

Il libro cerca delle certezze, senza mai arrivarci. È la m etafora della nostra società? Forse tutti noi cerchiamo delle certezze senza arrivarci, sì. Forse anche la nostra società è all'affannosa richiesta di certezze. Talvolta però la società sacrifica la verità e la complessità irriducibile delle cose sull'altare delle certezze e delle sicurezze (basti pensare ai tentativi di semplificazione violenta e grottesca cui assistiamo riguardo al fenomeno delle migrazioni). Secondo me la poesia, in quanto altissima espressione di pensiero, ha il compito di allontanare le certezze facili, le autoillusioni. Lo diceva già Leopardi un paio di secoli fa e l'ha ripetuto, nel Novecento, un grande poeta come Auden. Occorre accettare queste difficoltà, senza smettere di cercare risposte. È un compito arduo, ma è l'unico degno degli uomini (e dei poeti).


A COLLOQUIO CON MASSIMO GEZZI

Dopo il premio svizzero di letteratura è iniziato un lungo tour di presenz e a incontri, festival, ecc. Le letture pubbliche cambiano il rapporto con i suoi lettori? Direi di no. Sarà che mi sento piuttosto apocalittico, su questo argomento, ma a me continua a sembrare che la poesia sia una vox clamantis in deserto. I lettori sono pochissimi (lo vedo anche tra i miei allievi) e le letture in pubblico, che a me piacciono molto, possono servire al massimo a far comprendere meglio un testo, a far capire che la poesia non è una sorta di incomprensibile formula magica decifrata a fatica da un polveroso libro degli incantesimi, ma una delle espressioni più vicine e aderenti al nostro tempo. Una lettura in pubblico può far capire e sentire che la poesia parla della vita di tutti noi. È una cosa molto importante, ma non oso sperare che questo basti per cambiare il rapporto tra autori e lettori ...

Lei è molto legato a Fabio Pusterla. Come si rapporta con la sua poesia? Ho conosciuto Fabio Pusterla quando facevo il dottorato a Pavia ( 200 2 o 2 00 3) . Ho letto allora i suoi libri, che mi hanno immediatamente interessato perché ci ho subito riconosciuto una voce autentica, forte, personale: una di quelle che insegnano qualcosa a un giovane poeta in cerca di esempi e di strade. Da allora le nostre vite, per puro caso, si sono molto avvicinate, perché l'ho ritrovato dapprima come formatore alla SUPSI di Locarno, poi come collega al Liceo Lugano 1. Da Fabio Pusterla imparo quotidianamente una postura etica assoluta nei confronti della letteratura e del mondo; dalla sua poesia, da cui ho tratto ciò che dovevo trarre per poi allontanarmene e imboccare la mia via, un'attenzione acuta nei confronti di tutti gli aspetti del reale. Averlo incontrato è un privilegio per cui sento molta gratitudine, che cerco di esprimere anche in una poesia del Num ero dei vivi (Lettera a Fabio, in omaggio alla sua predilezione per le lettere in versi).

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RAFFAEll.A CASTAGNOLA

Lei viene dalla Marche e lavora da tempo a Lugano. Che tipo di attenzione ha nei confronti degli scrittori di questi luoghi significativi per la sua vita? Ci sono stati anni in cui mi sembrava importante studiare la letteratura in relazione ai luoghi, in particolare a quelli della mia regione d'origine. Come un grande poeta e critico di Macerata, Remo Pagnanelli (morto suicida giovanissimo), anch'io credevo di avvertire la presenza di una sorta di magistero metafisico condiviso nell'opera e nella vita di Giacomo Leopardi, vero nume tutelare della poesia marchigiana (anche se Pagnanelli sosteneva, non a torto, che nessun poeta del Novecento - non solo quelli nati nelle Marche - poteva non dirsi leopardiano). Ho organizzato incontri di poesia nelle Marche, ho scritto un libro a quattro mani con un mio amico poeta di Fermo (Adelelmo Ruggieri) sulla poesia contemporanea delle Marche (si intitola Porta marina. Viaggio a due nelle Marche dei poe ti ed è stato pubblicato da peQuod nel 2008). Poi le esperienze di vita mi hanno allontanato: credo di aver vissuto, nel mio piccolo, la stessa trasformazione che subì Montale quando si trasferì da Genova a Firenze e realizzò che il mare - cito a memoria - si estendeva ovunque, anche sui colli intorno a Firenze, e non solo a Genova o a Monterosso. Mi sono così "smarcato" (rubo questa espressione a un altro scrittore marchigiano che pubblica in Svizzera, Daniele Garbuglia) e ho cominciato a interagire, ad ascoltare gli altri, arricchendomi e capendo, una volta per tutte, che la mia comunità intellettuale è ideale e dislocata nello spazio (e forse anche nel tempo). L'arrivo in Ticino mi ha arricchito ulteriormente di confronti, scambi e incontri: Vanni Bianconi, Vari Bernasconi, Fabiano Alborghetti, Tommaso Soldini, Pietro Montorfani sono solo alcuni - oltre al già citato Fabio Pusterla - degli scrittori con cui ho avuto la fortuna di confrontarmi e di collaborare. Credo che il Ticino stia vivendo un momento davvero vivace, dal punto di vista intellettuale: mi sembra che tutte le voci che ho citato siano aperte alla letteratura europea e mondiale (basti pensare allo straordinario lavoro di Bianconi e del suo Babe/), e questo non può che portare vantaggi alla letteratura e alla c ultura del Cantone.

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A COLLOQ UIO CON MASSIMO GEZZI

Spesso i poeti amano tradurre: chi ha tradotto o chi le piacerebbe tradurre? Ho tradotto molto, ma quasi solo prosa, per il momento (soprattutto romanzi, il più celebre dei quali credo sia The Old Devils di Kingsley Amis, padre del più noto Martin). L'ho fatto perché speravo, molti anni fa (e prima di capire che l'editoria italiana è ridotta in condizioni così disastrose da essere quasi irrecuperabili), che la traduzione potesse diventare il mio mestiere. Ho frequentato diversi corsi di traduzione tenuti da Massimo Bocchiola, uno dei più grandi traduttori dall'inglese, e ho fatto qualche passo in quella direzione. Ho tradotto anche qualche poesia di poeti anglofoni (Robert Hass, Louise Gliick, Sinead Morrissey, Norman MacCaig), ma mi piacerebbe misurarmi con qualche opera contemporanea importante. Al momento sono interessato a una notevole poetessa americana che si chiama Claudia Rankine: spero di poterne dare presto qualche saggio in italiano. La traduzione è un lavoro straordinario, per chi scrive versi: non solo perché è una palestra espressiva formidabile, ma anche perché è un e sercizio profondissimo di comprensione degli altri. Bisogna imparare a guardare, pensare e parlare come un altro: ecco perché dovremmo proporne qualcuna ai nostri studenti, ogni tanto ...

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Tre Poesie inedite di Massimo Gezzi

Saluto di V. «Mandatemi un'email quando vorrete leggere una poesia, così, per gusto: fatemelo sapere perché questo mi renderà meno solo, mi farete illudere che questa professione serva ancora a qualcosa». «Stia sereno, sore, e se non riceve nuova posta non è per l'antispam che non funziona. È che a me la poesia fa sbadigliare proprio tanto: non c'è vita, non c'è nessuna felicità dentro le pagine che lei ci legge. Qualche lacrimuccia (ma che palle!}, ma anche tante scemenze, di nessuna importanza. Certe volte, quando leggo una poesia, mi sembra di leggere la mia pagina Facebook, solo messa più difficile, quasi per dispetto. Però mi dica lei se mi sbaglio, e perché quello che scrive lei, per esempio, così, senza rime e andando a capo quando le vien voglia, la chiamano "poesia", e questo mio bello sproloquio invece no. E non metta su quella faccia, adesso, che magari la uozzappo, ogni tanto ... ».


TRE POESIE INEDITE

Confessione di A. <<Come si sentirebbe, lei, di fronte a dei muri parlanti, gente che non ricorda nemmeno il tuo nome, che ti ignora nei corriodi, ma poi decide di te, di quanto vali? È come se la mia vita si fermasse la domenica sera e riprendesse il venerdì. È più scuola o galera, secondo lei, questa qui?»

10 6 • INCONT RI


MASSIMOGEZZI

Svolgimento di S. «Cosa vuole che s'impari, con dieci ore al giorno? Certe volte la scuola mi somiglia allo zapping: premi un tasto, cambia l'ora, e via con una roba che non c'entra un'emerita con quella precedente. E poi immaganizzare, registrare a memoria ... Conta questo, per voi. Ma imparare è un'altra cosa, professore: c'è bisogno di tempo, fallimenti, dormite sotto un albero per potere imparare davvero. Me lo dà, lei, il permesso di sbagliare, di perdermi in un sogno?»

OPERANUOVA20t7/i • 107


Gli autori di Opera Nuov a Prisca Agust o ni 20 1 t/ 1, 20 14/ 1, 20 14 / i Miche le Amad ò 20 15 / 1 Fabio Andin a 20 13/i Flav io Arrigo ni 20 13 / 1, 20 14 / i , 20 15/i, 20 16/i

Fabiano Albo rghett i 20 10/ 1 Pie r Carlo Apo linari 20 10/i W yst a n Hugh Aude n 2015/ i Raffae le Be retta Piccoli 20 1 ti 1 Danie le Be rnard i 20 13 / 1 Vanni Bianco ni 20 10/i Do me nico Bo nini 201 1/i, 20 15/ 1 T o maso Bo ntogna li 20 10/i Lo re nzo Buccclla 20 15/ 1 Elia Bulctt i 20 10/i Sa ra Camp o novo, 20 16/ 1 Sabrin a Careg nato 2014 / 1, 2017 / 1 Valeri a Callea 20 17/ 1 Pic rrc C happu is 20 11 / 1, 20 12 / 2 Joanne Chass ot, 201 6h David e Ci rcello 20 17/ 1 Lucia Colo mbi- Bo rdo li 20 10/i Fabio Conte stabile, 20 16 / 1 Vale ria Dal Bo 20 1i / 1 Alessa ndro Dall'O lio 201Gh Andre a Dc Albc rti 20 12/ 1 Adele Desid eri 20 14/ 1 Danie le Dc ll'Agn o la 20 13/ i Danie la Dclfoc 20 11 / i Mauro Delfoc 20 11 / i Jacqu cs Dupin 20 10/ 1 Anna Felder 2015/ i Simo ne Fornara 20 11 / i, 20 15 / 1, 20 17/ 1 Gaeta no C. Frongillo 20 1i/2 Lia Gall i 20 12/ 1, 20 17/ 1 Mario Gamb a 20 11 / i , 20 15 / 1 C laire G c no ux 20 13/ i Laura G aravag lia 2015/ i Debor a Giamp ani 2016/ i Giulia na Pe lli Grand ini 20 15/ 1 Cécile G uivarc h 2014 / i Si lvia H arri 20 11 h Fede rico Hinde rmann 20 10/ 1 Maric a lannuz zi 201 7/ 1 Gilbe rto !sella 20 13 / 1, 20 15/i Elisab etta Ja nkov ic 20 12/ i Ele na Jurisscvic h 20 10/ 1

Pie rluigi Lanfra nc hi 20 11 / 1 Eva Maria Leuen be rger 2016/ i Claud io Magris 20 16/i Massi mo Malin ve rni 20 11 / i Simon etta Martin i 20 11 h Sebas tiano Marvi n 2016/ i Manue la Mazzi 20 15/ 1 Nadia Mcli 20 13/ i, 20 14/i Paola Me nghini 2010/ i Fabio Merlin i 20 15/ 1 Rober to Milan 2015/ i C hristia n Moccia 20 14 / i Nicola i Mo raw it z 20 17/ 1 Gerry Mottis 2012/ 1, 20 13/i Laura M uscarà 20 11 h Alber to Nessi 20 11 / i G uido Oldan i 2014/ i Tiziana Ortell i 2014 / i Amlet o Pcd roli 2013/ i Alfon so Maria Petros ino 2010/ i V incenz o Pezzella 20 13/i Annam aria Pianez zi-Ma rcacc i 2010/ i Mariacristin a Pianta 2012/ i Rosa Pierno, 20 16/ 1 Hélo·i se Pocry 2016/ i Ivan Pozzoni 20 1i / 1, 2 106/i Miché le Pytho n 201 7/ 1 Fabio Pust erla 20 11 / 1 Feder ico A. Realino 20 13/i Anita Roche dy 20 16/i Sergio Ro ic 20 12 / 1 Marin a Riva 2015/ i Pao la Celio Rossello 2012/ i Anto nio Rossi 20 14/ 1 T iziano Rossi 2011/ i Luca Saltini 20 11 / 1, 20 14/ 1, 20 15/i Maria Elena Sanga lli 20 15/ 1 La ura Sarott o 20 13 / i Oliver Scharp f 2010/ 2 Adam Schwa rz 2016/ i Giulia Elsa Sibilio 20 12/ 1 Carlot ta Sil ini 20 17/ 1 Tomm aso Soldin i 2013/ i Miche lle Steinbeck 2016/ i Stude ntesse DFA- SUPSI 20 14/ 1, 2015 /

1,

20 16 / 1, 20 17/ 1

Flav io Stropp ini 20 13/i

20 10/ 1, 20 10/i, 20 12/i,


Denise Sto rni 2 0 12/i, 20 13/i, 2014 / i Lolvé Tillmanns 201 6/i V incenzo T odisco 201 3/i A nd rea T ro mbin Valente 20 12/i M aria Rosaria Valentini 201 3/i Bernard V argaftig 20 13 / 1 Sim o ne Zanin 20 13 / 1

Le interviste di Opera Nuova Massimo Gezzi 20 17/ 1 Pie r Vincenzo Me ngaldo 201 0/i Fabio Puste rla 2011 / 1 Gian Mario Villalta 2010/i

I collaboratori di Opera Nuova Prisca A gusto ni 20 1 0/i, 2012/i, 2 0 13/i Claudia Azzola 2015/i Arnaldo Benini 201 6/ 2 G iovanni Ba rdazzi 2010/i Andrea Bianchetti 2 013 / 1 Laura Branchet ti, 20 16 / t Mariarita Buratto, 20 16 / 1 Raffaella Cast agnola 201 0/t , 2011 /i, 2012/ 1 , 201 3/1 , 20 14 / 1 , 20 15/ 1, 20 1 5 / ~ 20 17/ 1

Luca C ignetti

2 0 10/i, 20 14/i, 201 4 h ,

2015/i

Da rio Com o 2010/t, 2 0 1 2/i, 2 0 13/t Natascha Fioretti 201 5/i Simo ne Fornara 2011/i, 20 17/ 1 Simo ne Giust i 2010h G ilberto !sella 20 10/i, 20 11 h , 2 0 1 3/i , 2014/ 1, 2 0 14/2, 20 1 5 / 1

Nina J aeggli 2010h Sandro Lanzetti 201 2 / Paola Magi 2 0 13 h Flavio Med ici 20 1 i/ 2

2

Simo na Mesc hi ni 20 17/ 1 Sara M urgia 20 14/ 1 Ma rgherita O rsino 20 11 / 1, 20 12 / i Fabio Pagliccia 20 15 h , 20 16/i Emilio Palaz 20 12h Mauriz io Palma di Cesnola 20 1 1 / 2 Giulia Passini 20 12/ 1 Matteo Maria Pcdro ni 20 10/ 1 Mariac rist ina Pianta 2012/ 1, 20 15/ 1 G iuseppe Polimeni 20 1i / 1 G iulia Raboni 20 11 h Stefano Ra imo ndi 20 11 I 1 Gerardo Rigozzi 2010/i, 20 11 /i, 20 14/ i Roberto Ritte r 20 1 1 / 2 Se rgej Roic 20 13 / 1 Lorenzo T omasin 20 15/ 1 Matteo V iale 20 12/ 1, 20 16/ 1 Lo renzo T o m asin 20 17/ 1 Luca Z uliani 20 10h


le pubblicazioni di Opera Nuova

Artemis 1.

Luigi Rossini, Collerico, superbo, nel tempo istesso modesto, benigno. Scritti autobiografici, 20 14

Autografica 1.

2.

3. 4.

5. 6.

7. 8. g. 1 0. 11 . 12. 13. 14.

Federico Hindermann, Cerchi di luce, 2010 Prisca Agustoni, Casa delle ossa, 20 10 Pier Carlo Apolinari, Preludi e fughe senza indicazioni di tempo, 2 0 11 Robero Milan, Il mare alla rovescia, 2 0 11 Jacques Dupin, Scarto, traduzione di Gilberto !sella, 2011 Simone Fornara e Mario Gamba, I cavalieri davanti al fiume, 20 11 AA.VV., Il punto illustrato, 2011 Sergej Roic, Il gioco del mondo, 201 2 Pierre C happuis, Il mio sussurro. Il mio respiro, 201 2 Gi lberto !sella, Caro aberrante fiore, 2013 Giuliana Pelli Grandini, Le Marfungole, 20 1 3 Sergio Wax, Fragm entos, 2013 Miche le Amadò, Nient'altro che cinque minuti, 2014 Sergio Wax, Terra e sale, 2015

Riflessi POESIT. Repertorio bibliografico dei poeti nella Svizzera Italiana, a cura di Raffaella Castagnola e Matteo Viale, 2012 2. Oscar Mazzole ni, Andrea Pilotti e Marco Marcacci, Un cantone in mutamento. Aggregazioni urbane ed equilibri regionali in Ticino, 2014 3. Michele Amadò, Disegnare il mondo, 2015 1.

4.

Michele Amadò, La casa delle muse - LAC, 2016


finito di stampare nel mese di gennaio 201 7 dalla tipografia Salvioni arti grafiche, Bellinzona


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Il Percento culturale Migros promuove la poesia svizzera contemporanea, percento-culturale-migros.ch


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ISSN 1663-2982 ISBN 978-88-96992-19-7

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