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Opera Nuova 2010-1

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Opera Nuova Rivista internazionale di scritture e scrittori 2010/i


Condizioni di abbonamento: Svizzera ordinario sostenitore numero arre trato

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Ita lia e Unione Europea o rdinario e ur 40.sostenitore e ur So.nume ro arre trato e ur 25.Altri Paesi o rdinario soste nito re numero arretrato

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G li autori selezionati p e r la pubblicazio ne ricevono una copia della rivista, altre copie vengono messe a disposizione a un prezzo scontato. Nessun testo inviato vie ne restituito.

È vietata ogni riproduzione non esplic itame nte autorizzata, anc he parziale ed effettuata con qualsiasi mezzo. Tutti i diritti sono rise rvati. © Opera Nuova ISSN 1663-2982 ISBN 88-901363-7-5


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Raffaella Castagnola e Luca C ignetti

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Andrea Afribo (Unive rsità di Padova) , Prisca Agu sto ni (Unive rsità Juiz de Fora), Raffaella C astagnola (Università di Losanna), Luca C ignett i (Università di Basilea) , Dario Co rno (Uni versità del Pie monte Orie nta le/ DFA SUPSI Locarno) , Massimo Gezzi (Unive rsità di Be rna) , Bo ris Janne r (DFA SU PSI Locarno), Marco Praloran (Unive rsità di Losa nna) , Matteo Viale (Università di Padova), Ire ne We be r H e nking (Centre de Traduction Litté raire, U niversità di Losanna), Luca Z uliani (U niversità di Udine)

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Dire ttori responsabili

Comitato scie ntifico e di redazione

Edizioni Opera Nuova - Lugano TBL - 1•:Ul


Opera Nuova è pubblicata grazie al contributo di:

Città di Lugano

lt l 1. 1

~~!blica e Cantone

La Redazio ne ringrazia tutti gli amici di Opera N uova, in particolare:

Dicastero Giovani ed Eventi Città di Lugano

Biblioteca cantonale di Lugano Centre de traduction littéraire de Lausanne www.unil.ch/ctl

S ludio Legale Antonio Rossini


Indice Editoriale Incipit opera nuova

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Opere Nuove Fabiano Alborghetti, Otto lamenti notizia «I lamenti di Alborghetti», di R. Castagnola Otto lamenti

IO 11

Elena J urissevich, Le parole tomino fiato notizia «Verbo è il mio corpo», di L. Cignetti Le parole tomino fiato

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19 21

Flavio Stroppini, Due racconti notizia Era novembre La porta

34 35 39

Profili Federico Hindermann notizia «Incontro con il poeta Federico Hindermann», di M.M. Pedroni Selezione antologica Mottetti (inediti 2009)

46 49 63 69

(Re)versi Jacques Dupin, Ateliers, tradotto da G. Isella notizia (J. Dupin/G. !sella) AtelierslAtelier

Scritture su scritture «Creatività e riscrittura, tra mente e stile», di D. Corno

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EDITORIALE

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OPERA NUOVA 20 I 0/ 1


Incipit opera nuova

a nascita di una rivista letteraria è sempre un evento accompagnato da entusiasmi e da aspettative, l'audace scommessa, o la disinvolta illusione, di chi ancora crede nella scrittura letteraria e nell'attualità sociale del suo messaggio. Oggi, in un frangente storico in cui la letteratura appare particolarmente vitale, è sempre più percepita la convinzione che interrogarsi sulla scrittura, favorire il dialogo tra pubblico e autori, leggere il mondo con lo sguardo della letteratura siano di nuovo pratiche possibili, come negli anni non così lontani in cui le riviste orientavano i gusti dei lettori, a volte formandone le coscienze. Per questo i tempi sono sembrati maturi per raccogliere la sfida, non esente da insidie, di pubblicare opere originali e inedite, facendo nostra una concezione di letteratura come "pratica II e restituendo voce agli scrittori, in particolare delle nuove generazioni. Entro questa prospettiva, e con le stesse finali tà programmatiche, abbiamo deciso di pubblicare su Opera Nuova anche testi in lingua originale con traduzione a fronte, profili di autori già noti, interventi di critica letteraria, interviste e dibattiti sulla scrittura creativa, anche in riferimento alle sue applicazioni didattiche. La sezione «Opere Nuove» di questo primo numero si apre con i testi di due poeti e di un narratore, scelti tra i nomi svizzero-italiani emergenti. Il primo è Fabiano Alborghetti (1970) 1 autore con diverse opere all'attivo, tra cui il recente Registro dei fragili (Casagrande, 2009)1 di cui viene qui proposta la plaquette Otto lamenti. La raccolta è introdotta da Raffaella Castagnola («I lamenti di Alborghetti•), che ne delinea i nuclei tematici, la poetica e il profilo stilistico. Secondo inedito è Le parole tornino fiato di Elena lurissevich (1976) 1 poetessa già autrice di Salmi di secondo tipo (alla chiara fonte, 2005).

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EDITORI ALE •

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EDITORIALE

Nel presentare i testi, Luca Cignetti (, Verbo è il mio corpo,) evidenzia un tracciato tematico che fa perno su un corpo lacerato e smembrato, raffigurato con procedimenti affini a quelli di altre autrici dell'ultima generazione. Ai testi di poesia fanno seguito Due racconti, dal titolo La porta e Era novembre, di Flavio Stroppini (1979)1 autore attivo anche come poeta e sceneggiatore. Segue la sezione «Profili•, con protagonista Federico Hindermann, poeta nato nel 1921 in Italia e residente da molti anni ad Aarau. Un contributo di Matteo M. Pedroni («Incontro con il poeta Federico Hindermann,) ne traccia il percorso umano e artistico attraverso il pieno Novecento, offrendo il ritratto di una comunità dialogante di intellettuali che vede come attori Contini, Montale, Hesse e Calvino. Accompagna il saggio un'antologia delle opere di Hindermann e una serie di 46 mottetti inediti. La sezione successiva, «(Re)versi•, ospita la plaquette Ateliers di Jacques Dupin (1927), accompagnata dalla traduzione di Gilberto /sella. Dupin è annoverato tra i maggiori poeti contemporanei di lingua francese, amico e collaboratore di artisti come Giacometti, Mirò, Tàpies. Chiude il numero la sezione «Scritture su scritture•. Dario Corno (in «Creatività e riscrittura, tra mente e stile,) vi affronta l'importante tema della creatività in prospettiva didattica, aprendo il saggio con una domanda provocatoria: «si può insegnare a essere creativi?•. La risposta è variamente articolata e rivaluta l'atto di «riscrittura, come esercizio di creazione a pieno titolo, secondo una modalità dilagante nell'attuale pratica testuale e già paradigma della cultura postmoderna.

Raffaella Castagnola e Luca Cignetti

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OPERA NUOVA 20 10/ I



OPERE NUOVE

Fabiano Alborghetti

Otto lamenti

notizia

Fabiano Alborghetti è nato a Milano nel 1970 e vive a Paradiso (Lugano, Svizzera). Ha pubblicato Verso Buda (Faloppio, LietoColle, 2004), L'opposta riva (Faloppio, LietoColle, 2006), le plaquettes d'a rte Lugano paradiso (Osnago, Pulcinoelefante, 2008) e Ruota degli esposti (Mendrisio, edizioni fuoridalcoro, 2008). Ha curato i volumi Corale (Sasso Marconi, Le Voci Della Luna editore, 2007) e con G iampiero Neri Il Segreto delle fragole 2008 (Faloppio, LietoColle, 2008). O ltre a essere stato tradotto per riviste in spagnolo, francese, tedesco, arabo, inglese e sloveno, compare in varie antologie. È drammaturgo teatrale, scrive d i critica letteraria per riviste e sul Web, ed è consulente editoriale per diverse case editrici. Ha ottenuto la Borsa letteraria Pro H elvetia nel 2008; nello stesso anno ha rappresentato la Svizzera a San Francisco per 1'/ntemational Poetry Festival Other Words (su invito del Consolato Generale di Svizzera) e l'Italia ali' Vlll settimana della lingua italiana nel mondo (su invito dell'Istituto Italiano di C ultura) . Nel 2009 ha rappresentato nuovamente la Svizzera per il Festival Internazionale di Poesia di Medana (Slovenia). Del 2009 è l'ultimo libro, Registro dei fragili (Bellinzona, Casagrande).

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OPERANUOVA20 10/ 1


I lame nti di Alberghetti di Raffaella Castagnola

sclusi dal Registro dei fragili, appena edito da Casagrande, questi lamenti vanno letti parallelamente al volume, come altre rappresentazioni di fragilità, ma anche come microscopico canzoniere autonomo, perché gli otto notevoli esili testi che lo costituiscono raccontano un altro percorso nei sogni e nelle disillusioni di uomini e do nne comuni. Di una quotidianità individuale ma condivisa con la collettività (che determina la scelta di un linguaggio medio), di una vita ingabbiata nelle maglie sicure della finzione, emergono soltanto frammenti: si intuiscono case, spazi comuni, oggetti; e si registrano i movimenti del corpo, ripetitivi e alienanti. Ci sono le certezze sociali, le regole familiari, i ritratti «compiuti» (<da spesa la palestra, la famiglia / con la cena ch'è da fare», Secondo lamento; «ho la vita già compiuta / un marito che mantiene e il figlio che va a scuola», Sesto lamento). La vita è impacc hettata come un prodotto del supermercato o come merce in saldo (Quinto lamento). Contrastano questo ordine mentale e questa geografia esatta soltanto le illusioni, i sogni, le fragilità, che ora un lui ora una lei - sempre anonimi - lasciano appena affiorare attraverso brevi porzioni di dialoghi («Hai dei sogni gli diceva», Quarto lamento). Se ne deduce un disagio, che sembra promuovere scelte controcorrente e, in gene rale, un delirio inteso come modalità di fuoriuscita dalla norma. Cosa si cerca o ltre? Non c i sono risposte. Ma certamente si recupera un'animalità perduta, un istinto, il fiuto che induce a percorrere un ca mmino verso un altrove diverso, magari di salvezza. Siamo tuttavia fragili, perché tutto sembra illusione, inganno. Rimane il corpo come illusione di salvezza («Passa il tempo delle madri gli diceva: / non rimane che mio il corpo a dar sollievo / pe r trovare il deside rio a quella vita che non riesco», Primo lamento); il corpo come geografia variabile (la mimica del viso, che fa da complemento al linguaggio, Ottavo lamento), come luogo di infiniti

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O PERE NUOVE • 11


RAFFAELLA CA STAG NO LA

incontri-scontri con gli altri: è il t ema che lega le singole unità testuali. Ma vi sono anche altri legami a distanza: i frammenti di dialogo che intervallati da t esti di riflessione - sembrano riprendere il filo logico (si potrebbero così idealmente legare il Primo, Terzo e Sesto lamento); le ripetizioni lessicali, fra le quali spicca proprio quella di «siamo fragili», che apre il Terzo e riappare ne l Settimo lamento. L'unità discorsiva è sottolineata anche dalla scelta metrica: versi di lunghezza irregolare (con frequente uso di ritmi tradizionali raddoppiati), senza rima, ma tuttavia raggruppati in gruppi di tre versi separati da uno spazio strofico, che tuttavia non corrisponde ad una frattura logica grazie ai legami imposti dai freque nt i enjembements; chiusura con un verso singolo, q uasi sempre di sospensione (con punto di domanda finale o con i puntini allusivi ad altro). No n c'è via di fuga, invece, nell'ultimo testo, che si chiude in to no epigra mmatico: «Ci fidiamo per bisogno //e per questo estingueremo» (Ottavo lamento).

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Otto lamenti In un successivo momento, è necessario mettere in chiaro in qual sede l'uno o l'altro abbiano dimora, e per quale processo abbiano origine. Venga, intanto, il piacere. (E. Pagliarani da Esercizi platonici) E allora né desto né in sogno, stando alle tue parole, non vi è nessuno che creda, sì, di provare un'impressione di gioia; ma effettivamente non prova alcuna gioia. (P.P. Pasolini da Esercizi platonici)

Primo lamento Un ventre schiuso gli mostrava e già usato per figliare: un p elo fitto da varcare pe r piacere. Passa il tempo de lle madri gli diceva: non rimane che mio il corpo a dar sollievo per trovare il desiderio a quella vita ch e non riesco e lo faceva sul divano con la furia d el mome nto. Ci guardavano i parenti, que l suo figlio dal comò, facce allegre dai ricordi di vacanza tra i centrini e i fiori finti a cercare un certo tono ...

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FABIANO ALBORG I !ETT I

Secondo lamento Nie nte altro che il corpo a dare asilo: trafugare la salvezza nell'orgasmo, nei minuti ricavati tra la spesa la palestra, la famiglia con la cena ch'è da fare. Crocefissi nel sudore ognuno accanto nel respiro gli arti stanchi le ginocchia indolenzite per le varie posizioni: e tra le tante da provare più nessuna era intentata e senza amore, senza amore o sentimento. Solo sfogo la pretesa, il diritto a nuova linfa e poi ognuno alla sua vita ritornava quella fatta di statuti dove tutto si nasconde e tutto trova un ripostiglio. Spazi esatti dove ognuno si ripone dentro gli occhi del vicino dell'ufficio e dei cristiani.

Terzo lamento Siamo fragili ripet eva la sua donna siamo esatti per il poco che crediamo tutto il resto è una finzione. Cosa credi? D'aver scampo o redenzione se confessi, se accadi come devi? C hi capisce o chi t'assolve, chi sostiene che umano sei e resti pur perdendo? Chi accetta il dire il vero, chi si pone nudo e crudo e senza fi ltri, nudo e basta con gli sbagli e tutto il resto?

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OTTO LAMENTI

Quarto lamento Fosse data la visione, del futuro già la fine per poi fare lungo il tratto, quella linea già tracciata fatta esatta e da copiare ... Hai dei sogni gli diceva. Sei lo stupido dei sogni che non sa che poi non serve e mi assomigli. La rinuncia è già nel tutto nell'inizio dall'inizio. Ogni volta che si sceglie, la rinuncia prende piede e la scelta va compiuta con il minimo del danno si maneggia gli diceva si compatta l'illusione per mostrare che il verso in cui ti trovi è il lato che poi scegli. Non è vero non è vero e non accade. O gni volta che si agisce ecco accendere l'inganno. E si patteggia a fine cose.

Quinto lame nto A ccade certo di arrivare al buon affare come acquisti dentro i saldi: il prodotto lo si prende con il minimo di spesa ma non sempre ripeteva. Troppo spesso ciò che compri ha soltanto il prezzo intero e per ciò che prendi e spendi altro lasci, ne rimandi ....

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FABIANO ALBORGH ETTI

Sesto lamento G uarda me e si alzava dal divano: ho la vita già compiuta un marito che mantiene e il fìglio che va a scuola. Manca niente? Indicava certi beni, certi oggetti, i vestiti tolti in fretta e lasciati in terra a caso. Manca niente? Le vacanze in ogni anno e la casa è già pagata non lavoro e niente manca e manca tutto se ne parlo manca tutto se decido che il tuo cazzo mi risolve e non è solo la febbre dell'incerto il farsi sangue: dopo t e ne accade un altro e dopo l'altro un altro ancora e nessuno mi risolve. La carenza non la spiego e poi te, e fissava un punto incerto. Cosa cerchi? E perché mi scopi ancora?

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OTTO LAMENTI

Settimo lamento Sei felice, sei sposato hai la casa e tutto il resto stesse cose a confrontare. Siamo uguali e non fare che ti neghi siamo uguali e non credenti, siamo fragili diceva siamo fragili e piangeva. Non ci basta la certezza, non possiamo accontentare non ci basta la ragione che si trova in quella scelta. Tutto è scelta e ribellione e ci neghiamo per natura. Ma non siamo noi animali?

Ottavo lamento Sai che l'uomo gli diceva è tra i pochi che lo sguardo nello sguardo riesce bene a sostenere senza che la sfida accada o guerra? Ne leggevo l'altro ieri: siamo gli unici animali che lo sguardo per linguaggio sanno usare e ne fanno complemento siamo gli unici che controllano lo sguardo sia parola che l'inganno. Ci fidiamo per bisogno e per questo estingueremo

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OPERE NUOVE Elena ]urissevich

Le parole tornino fiato'

notizia Ele na Jurissevich (1976) ha freque ntato il liceo classico a Lugano I e si è lau reata nel 2000 presso la Facoltà di Teologia e di Scienze religiose di Losa nna. Nel 2005 si è laureata una seconda volta alla Faco ltà di Lettere d i G inevra {Italiano e Ebraico), redigendo un mémoire sull 'origine e le funzioni del genere della sestina nel Canzoniere di Petrarca. Pe r sei anni è stata assistente alla Facoltà di teologia protestante di Ginevra (Storia dell e origine cristiane, poi Antico Testa mento) e insegnante supplente d i ebraico alla Facoltà di Teologia di Losanna. È stata ospite delle 29" G iornate letterarie di Soletta. A ttualme nte insegna italiano presso un liceo ginev rino, collabora alla T SR co me traduttrice dei culti audiovisivi ed è redattrice della ri vista Hétérographe. H a pubblicato Salmi di secondo tipo (alla chiara fonte, 2005) . ' I testi di Le parole tornino fiato sono stati e laborati con il sostegno di Pro Helvetia.

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V e rbo è il mio corpo di Luca Cignetti

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ià ne i Salmi di secondo tipo (2005) Elena Jurissevic h aveva messo in atto un originale innesto di simbo logie religiose, ricollocate su un sost rato poetico do minato da isot opie fisiche dove l'io lirico, rigo rosam e nte declinato al femminile, si contrap po ne a un tu m asc hile sedo tto e respinto, oggetto delle pretese di lealtà dell'atto di nominazione come interlocutore-antagonista («Salmo contro / chi no n rispetta le parole le svuota svia slitta / il loro senso e te le specchia cont ro a suono identico»). N e Le parole tornino fia to si rip resenta un nucleo tematico analogo, la stessa chimera dell'onest à della scrittu ra poetica ora più profondamente indagata ne i su oi risvolti mistico-linguistici, q ui disseminati nel solco di una t radizio ne c he muove, allusiva m e nte, dal concetto scolastico di fi,a tus vocis. L'esortazio ne d el tito lo no n può però essere circoscritta alla rivendicazione della p rio rità d ella com pone nte m ate riale del segno, vale a dire il significante saussuriano, se è vero c he q uel fiato include un surplus di connotazio ne sem a ntica, che è il calo re del sussurro, l'ansimare del respiro, l'a lito fe rino («Che le t ue parole to mino fiato. / E no n grida al lupo di ragazzo./ Alito di bue, soffio di cane») . Pe rc hé se il corpo - ce l'ha insegnato D eleuze, e d i recente ricordato Cortellessa - no n può p iù essere letto cartesianamente in antagonismo con il pe nsiero, il conflitto è ancora vivo q uando a te ma vie ne messo il rapporto con il di vino («Com e p regare se il pane entra esce ogni giorno asservisce»; «Mi piaceva c he il cielo/ si specch iasse in t e rra. C he Dio avesse bambini») . Pur intese ancora com e oggetto d i deside rio, le m e m bra sono allora lacerate (<<C'era no unghie occhi inguini / un detonato re di pe lle sangue pe r ridivenire uma na»), scuo iat e («Sarò Mard uk ch e t i scu o ia e / per il lungo a ppe nde e tu, Tiamat »), scom poste in b randelli («Il t uo braccio di luna I seghe ttato al colte llo. Tranciarmi / il migno lo e pagarti un boccale I d i formalina»),

O l'EllENlJO VE •

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LUCA C IGNETII

oppure sottoposte ad ambivalenti metamorfosi vegetali e animali («Verso gambe come fusi e arnie / stillanti seni e miele»; «Divento ie na snaturata / sangue pulsante e gozzoviglia»). Vettori semiei che evocano composite ascendenze letterarie, tra cui quelle di Gottfried Benn, Jolanda Insana e in generale di autori posti su un versant e antilirico («Lasciami qui, sul catrame / sulla polvere, sull'antipolvere, / di fronte alle auto d'occasione» sono versi prossimi al Bertolucci di Viaggio d'inverno). Per lo più franta appare la sintassi, imbastita su un ritmo sincopato con una predilezione per le sonorità aspre («Sotto, l'artiglio, fra i polmoni, il suo nido. / Un frantume, di sterno. Mendica. Rifiuta») , e in uguale misura la partitura retorica, che non manca di sbrogliarsi in figure ancora volte alla valorizzazione de l significante. Il frequente ricorso all'allitterazione e la scissione della parola nei suoi elementi costitutivi («Tu franto, ho fatto de lla frazione / per cui se e duci un uomo») possono allora essere interpretati come corrispettivi formali del citato sezionamento delle membra fisiche, dislocate alla pari dei membra degli enunciati. Si tratta di pratiche, queste, che Elena Jurissevich condivide con le migliori poetesse della sua generazione, ben rintracciabili ad esempio nel verso mistico di Tiziana Cera Roseo o nei frammenti post human di Elisa Biagini, qui poste in un mai scontato rapporto con la tradizione delle Scritture, che vanno intese come autentico ipotesto della raccolta («Ha creato - ogni alba novella - Dio - ai limini del creato»; «Fratello del segno che YHWH aveva a Caino impresso I prima di disperde rlo errante e fuggiasco in terra di Nod») .

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Le parole tornino fiato Condividere. Come su fontana la filigrana d'a vorio il capello il pettine e l'oro della dama.

Sono la donna frangivento, panzer di vet ro, ovunque fessurata ma fiduciosa. Sono la donna carta da zucchero che si affloscia ride e ringrazia.

C i sono parole che non si toccano e gente che fanno intoccabile. Madre: ti ho amato, semmai, troppo. Amore è innominato possesso, e tu al piacere devi soggiacere al gusto, miei. Figlia: Discernere. Fra le parole addosso e quello che s'appallottola dentro.

OPERE NUOVE •

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ELENA JURISSEVICI I

Un solo de nte fosse per un dente. Un solo cuo re per un cuore. E tu giubili e imperversi. Misericordia confitta nella nuca, e confido in te. Fare male. A titolo preventivo d i conguaglio do lo re. Divento iena snaturata sangue pulsante e gozzoviglia. No n germoglio per fedeltà rifiuto. Perché offri sollecita un pasto. Dov'è il terriccio? che me ne impasti lo ap picchi alla pelle.

U n vestito di lana rossa e capelli bio ndi. La bella per l'òmo! Q uasi fosse A dàm, il primo uo mo sgorgato dall' adamà argillosa. Paralisi afasia, d'un botto d imezzata, anche la dolcezza. La no nna invisibilme nte cartapecorita, imbonita e spenta. Sepolta fra rose di faggio. A poca terra d al suo antico amante. Perché continuassero ad igno rarsi in pace.

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LI: PAROLE TORNINO FIATO

Un inciampo. Dacci oggi il tuo pane quotidiano. Come pregare se il pane entra esce ogni giorno asservisce. Ogni giorno, il versetto s'appaiava a una burla. Capivo solo padre nei cieli, come in cielo così in terra. Mi piaceva che il cielo si specchiasse in terra. Che Dio avesse bambini. C he nel nostro fossimo anche noi. A Notre Dame, sotto l'oro de la Garde, ho intuito dentro perdonaci come noi perdoniamo un mist ero. Fratello del segno che YHWH aveva a Caino impresso prima di disperderlo errante e fuggiasco in terra di Nod. L'antidoto che spezza la coda da chi n'è corpo, morsa.

Dio che parli strano e taci, c'è un uomo qui su terra, solo quanto solo un genio. E quest'uomo somma dolore, p erché cresce conoscenza. Ma quest'uomo nello sprazzo, quando scema alcol pasticca tra brandelli d'eucalipto, là alle labbra di quel lago che il tuo popolo risucchia, e davvero ci cammini, sopra senza dio né mago - t'invoca spezzato, spiana la mano - e sei tu. Ha creato - ogni alba novella - Dio - ai limini del creato il caos sospinge - ci incappiamo sì, come Giobbe, - eppure siamo - sul palmo di Dio. Non l'hai visto non ci crederai nessuno mai ha creduto in te con fede infante e tanta.

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ELENA JURISSEVICH

Le favole ricorda e il risveglio. G li occhi indosso di chi la fissava. Come una donna. Anni bianchi senza fame senza emozioni. Senza. C'era una bambina. Non credeva a Gesù. U n dio che nella carne intaglia un uomo. A perdifiato. Ve rso gambe come fusi e arnie stillanti seni e miele. Niente pane. D'affilato pane. Amata. Trasparente. In vita. Sotto, l'artiglio, fra i polmoni, il suo nido. Un frantume, di ste rno. Mendica. Rifiuta. Anche plastilina, voleva essere. Per imprimer di ciascuno, l'immagine. Mai più in disparte. Ad equo. Tutto darebbe e sbucare radici come questa talea nell'acqua di rosa al cielo si aggrappa. Per essere rossa della corolla del gallo o del giallo del girasole come di donna già ispida e grassa o del verde in preghiera del basilico.

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LE PAROLE T ORNINO FIATO

Usciva dalla scatola in basso a sinistra basta forare il cartone con il taglierino punteggiare una porta era il suo pagliericcio. Nella scatola stava comoda nessuno ci entrava, ma come dire il tutto meno quanto sei davvero si azzera e uno più la metà di te stesso si sottrae e resti metà. Nella scatola c'era l'acqua i biscotti e boccoli d'orchidea e stanze chiare. C'erano unghie occhi inguini un detonatore di pelle sangue per ridivenire umana.

* Ranocchia non angoscia. Gracida grazie. Trota non aggrotta stomaco. Boccheggia silenzio. Cantare le strida di grillo. Come tortora a nozze tubare. Dio abbia pietà straboccante di questi emulatori di ossa e di pelle. Chi salverà l'ansioso. Non si arrende alla vita né si accontenta né al cielo protende per fiducia e in preghiera.

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ELENA JURISSEVIC II

Invidio le zecche i pipistrelli le vespe selvatiche i gufi grufolanti i rospi.

C'è un c ieco trangugiare. È nausea imperiale. Vomito spaccatutto. C'è l'abbaglio de ll'assurdo. Manca il cessa il fuoco, risemina speranza. Lasciami qui, sul catrame, sulla polvere, sull'antipolvere, di fronte alle auto d'occasione. Sono una pecora intonsa una giumenta senza vitello gravida d'isteria.

Sono palinsesto eppure vergine, scrivo e resta impresso nulla. Sono un vulcano rotto e rutto basalto in secca. Sono lisca nuda sulla battigia. Sono fuga e toccata. Evacuare bisogna tutto chiunque come il co lo n.

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I.E PAROLE TORNINO FIATO

Hai ragione. Hai torto. Ho ragione. Ho torto. Mi mancano le tue gocce, di rugiada. Sei dall'alto sete roboante e spada. Mi dai te assent e che non voglio, mi chiedi certa in pace c he non posso. Come madre esigi di te sopporti il fiele. Faccia spuntare come il qyqayon di Giona, da notte, fiducia. C he io sia luce senza ombra.

Aveva trentanove anni e diciassette gravidanze e venti figli usciti dal ventre. Era di Agra, la regina. Il re l'a mava e l'aveva immersa in un regno bianco, di vesti e rose, ogni parve nza, neve. Partorendo e morendo la regina volle una rosa rossa quanto rossa è la passione per il re e la morte. Il re disperava, le rose erano tutte e solo bianche, come ogni marmo. Un pettirosso sul roseto spalancò il cuore e cantando si punse e spina a spina tinse di fuoco una rosa e un'altra, e all'alba il roseto sanguinò e la regina schiuse il corpo colmo a morte.

Ti avviluppo di auguri. C i asso migliano. Tua madre evoca con l'umiltà di chi non si rassegna la parabola dei talenti. Facciamo finta di niente, dritto contro quel muro. I talenti. La parabola schiaccia e indica la rampa.

OPERE NUOVE •

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ELENA JURISSEVICl-1

E dicendo dirò senza recide re nulla. Neppure la vergogna. Il tuo braccio di luna seghettato al coltello. Tranciarmi il mignolo e pagarti in un boccale di formalina. Ti prego di difenderti. Mi supplichi. Mi inginocchio. E affondi. Ridi. Di insulti. Mi sono fatta umiliare. Estorcere fìducia. Ti sei fatto umiliare. Estorcere fìducia.

Bacchetta è mozza di magia. E rimpiango que l pettirosso che regalava sangue alle rose.

* C he le tue parole tornino fìato. E non grida al lupo di ragazzo. Alito di bue, soffio di cane. Come terracotta non voglio fra le mani infrangerti. Non veduta, guardarti. Ascoltarti parlarmi. Se nza parole che fra verità schioccano e bugie.

* Estrarti, ancora un colpo, ma t'inostrichi e non posso sgrezzarti, prigione fai da te. Eppure il tuo pensare è cratere, la tua collera, machete. Ma l'amore è a mezz'aria, e te lo tendo e te lo nego con la zampa del felino addosso. Ti rimprovero increspata. Velie piene è velie velie, è volere; ma un solo velie è fuoco fatuo. Non vuole.

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LE PAROLE TORNINO FIATO

Risp olvero amorosa i nostri ossicini scarni. Eri la lanc ia al cost ato e la spugna. C he ti svengono e svegliano. N e rideva no le pietre, e ri la te rra promessa. Colpa, impunità: infa llibili ve rba inquisitore. A costo di tranciare la carne curiosa. li pacchetto rappreso, godevo a scartellarlo affo ndarmi il cuo re soffo care, giace sul ciglio. Eppure mastico il mo rso, raschio la terra.

Sotto al tocco il tuo corpo è velluto notturno di aiuo le e garofani, e le ciglia, come chicchi curve di caffè. La tua gatta ti parto risce addosso. Eppure sei aspro quanto la frust a del sole di m arzo, eppure mi calamit i più dei passeri cantori nelle albe d i febbraio. E me fro nteggi co n pazienza, e parole battagliere di possessione e presenza.

Q uando si parla non si scrive. Si scrive quando ti si ascolta, ma è esser sordi. Ti si risponde, eppur si è muti. E no n una parola qualunque chiedi di udire bensì l'unica. C he fa tu sia. Ami. Ridi. Respiri.

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ELENA JURISSEVICI I

Quando si vive no n si scrive. Si scri ve pe r te ne rsi in piedi. Pe r uto pia, ergersi dritto. A lla peggio, sui calcagni. O m e raviglia: la pianta de l piede arc uat a, e gambe com e to rri a terra. -.':

Piccolo sorriso, no n farti m e rcenario di dizionari artici abbecedari. A bita le pianure di luna con una parola nel be rretto e il gusto di quello c he no n d eve essere detto. Fa' la punta al mare al sasso al filo verde m a no n te m perare il vuoto che gridi di me. Vuo to è mancanza e lì il luogo c ui apparte ngo. -.·:

In questi occ hi riconosco il neon la sassaia de i tuo i l'arsione, e la tua mascella nel sorriso m i si indura. Fino al gio rno in cui a fro nte scri vi sei, solo e senza la, m alattia e in solo dispo rti senza il cosm o di strao rdinarie cose umane di c ui ti o rnavo - pochi aggetti vi senz'a nima un paese a fuoco e a sa le le parole vere no n salpano ma sei una testa in m e no e t i parlo d a pari.

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LE PAROLE TORNINO FIATO

Sarò Marduk che ti scuoia e per il lungo appende e tu, Tiamat. Ti piegherai a firmame nto e con l'altra m età scolpirò i fondali, che le ventose sole li squamino e il calamaro. Ma dal torace non plasmerò piane e montagne, né gli occhi farò lago che conversa con il cielo, né la bocca, calde ra. La destra, nel sile nzio, prostrata sotto gli oceani e atra. Sarà requie. E tu finalmente coeso in un corpo scisso ripet erai la psiche.

Bestia esotica, temi ti attiro parlarti dentro per guardarti. Un'unghiata e riesumare l'uo mo di cielo che eri e svenarlo di schietta trist ezza lontano da t e. Tu franto, ho fatto della frazio ne per cui se e duci un uo mo. Eppure cianuro e penombra sono in ciascuno. E lotto e lividi e setaccio.

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ELENA JURISSEVICH

Nessuno ha scelto e nessuno piange per gli astri le orbite loro. Scava e mandami una fotografia che ti guardi come ti amavo. Se no, scartala. Quando ti sfuggi. Come arcobaleno alla pioggia. Non blandisci. Non sovrasti. Però ride desiderio libero e col carboncino ti traccia il torace e le vene lungo il metacarpo si ingrossano nell'avambraccio in piena.

Accarezza la pelle. Cura l'unghia, non vuol sanguinare. Era il gusto sopra il labbro del sangue. A cavalcioni. Come se dalla notte non sorgesse alba. Le ore dissestano il tuo odore. Scoperto nel mio. Zolle di orchidee e un giardino di lava e di fuoco nero. Palpebre baciavo e cape lli. Capezzoli strizzavi a morsi. Da non sfiorarli pensare a te e aver male.

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LE PAROLE T ORNINO FIATO

Non ti parlo non ti scrivo non ti bacio. Ero il cimelio che fugasse mi sposo la paura il flirt che di colpa rinfuoca ti stimo mira amo le i anche se forse non l'ho mostrato. Mi sfoderi contro falangi di smalto. In un crocchio di bambagia. La neve sviolacea la notte. Gira la test a anche al crocevia. Perché mi hai afferrato per lasciarmi qui sotto al portone? Ti voglio.

* Latte cuore capelli biondi nel lavabo. Ho sovrapposto i piumini rimboccato il letto e parlato all'intonaco. Per uscire da te ho insaponato i piatti salutato ogni lampada ogni gemma intatta. Sono a frottole una ragazza per bene. Quando me ne vado non ci credono. N o n resisto, per esser amata capitolo non fatemi l'amore non indebitatemi dat emi una meta senza ritorno. Sorrido ininterrotti sorrisi sorridenti e la mente a intermittenza - ho una mente a intermittenza un ruo lo vorrei per cortesia - mi confidi sei spesso tu il mio salvagente. Resta uno stomaco com e cocca gonfio di tartaruga e un cervello torto.

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Flavio Stroppini

Due racconti

notizia Flavio Stroppini è nato a Gnosca (Canton Ticino, Svizzera) nel 1979; vive tra Zurigo, il Ticino e Torino. Ha conseguito il master in tecniche della narrazione presso la Scuola Holden a Torino (2009). Ha pubblicato un romanzo breve, due raccolte di poesia e compare anche su riviste e in colettanee. Con il gruppo musicale Gadamer propone reading/ performance audiovisive. Collabora come giornalista a diverse riviste. Selezione Campiello Giovani 2000, Premio Hermann Ganz alle settimane culturali svizzere nel 2001, Premio Ford Mustang Short Film 2008 (London Film Commission, Ford USA), Premio Best Videoclip Lincoln 2009 (Team Detroit, Mingling Media USA, Lincoln USA), premio Variazioni in Noir 2009 (Festival del Cinema di Stresa, RSI, Einaudi, Piemonte Film Commission). È attivo come sceneggiatore 0ungometraggi, cortometraggi, documentari, pubblicità e videoclip). I suoi lavori sono stati mostrati in emittenti televisive internazionali (RSI, CBS - grammy awardo9, la7) e in festival cinematografici (Locarno, Soletta, Trieste, Bergamo, Los Angeles).

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Era novembre apita a volte che la notte cali improvvisamente. Si rimane intrappolati nel buio, immobili. Aspettando che gli occhi riconoscano le sagome degli oggetti, delle cose. N ell'appartamento del palazzo di fronte le finestre erano illuminate. Era parecchio che nessuno ci abitava. Mi sono sempre chiesto se ci sia una qualche regola nell'accendersi e nello spegnersi delle luci la notte. Me ne stavo per ore a guardare la facciata del palazzo a cercare di indovinare quale luce sarebbe apparsa per prima, e poi la seguente, provando a trovarci un senso. Ma forse era solo colpa del vino. Ci sono delle sere nelle quali mi sento obbligato a scendere al bar e bere qualche bicchiere di troppo, come fosse un anestetico o un lasciapassare. Un permesso per starmene in pace, a guardare le luci dei palazzi. Una volta tornando a casa ho litigato con un tizio, che non capiva la mia leggerezza. Era finita che davanti allo specchio il mio labbro era gonfio e sanguinava, ma non avevo dolore. Lei comunque non ha capito il perché della situazione. T utto sommato avrebbe preferito che l'avessi presa alla larga, raccontandole qualche storia, dilatando i t empi e magari scordandomene fino al giorno seguente. Ma tutto era abbastanza semplice. Inizio e fine. Saranno st ati venti giorni che quel tizio era uscito di prigione, quello dei giornali, che agli inizi degli anni o ttanta aveva inc identalmente ucciso un metronotte facendo esplodere un ordigno davanti alla sede della banca centrale. Era novembre. - Neanch'io sono pazzo - le ho detto. Poi è partita, sbattendo una porta, dimenticando un guanto, scostando una tenda.

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FLAVIO ST RO PPINI

In realtà negli interrogatori del dinamitardo ci furono tre fasi. Quella violenta, quella della contrattazione e quella della confessione. Noi ne abbiamo avute due soltanto. Il prima e il dopo. Era impensabile che non si fosse creato risentimento. Strano che poi ci sia stato il rumore di que lla locomotiva, una di quelle vecchie, coccodrillo le chiamano. - L'avranno riesumata per qualche celebrazione - le avevo detto. Lei mica c i aveva fatto caso. Comunque fuori l'ho inseguita. C'era una nebbia sottile e i miei pensieri procedevano alternati. Mi chiedevo cosa avrei ricordato. Avrei voluto continuare a negare la situazione. Ma era come avere della sabbia addosso, che non voleva scivolare via. Per quasi tre mesi avevo inscenato una doppia vita. Avevo dovuto calibrare ogni frase, evitare di finire in contraddizione. Ma poi ho dovuto confessare: era finita. Nessuno aveva avuto fino a quel momento il coraggio di ammetterlo. Così sono arrivato di corsa al bar e ho iniziato a osservare il ritmo dei bicchieri serviti al bancone. Cercavo una regola. - Sigaretta? - mi ha chiesto un tizio. - Non ne ho - ho risposto. - Te la offro io - ha detto. Verso le sei del mattino sono rientrato, la barba ispida, i vestiti annaffiati. La tavola della cucina era apparecchiata. Come vivessimo ancora assieme. Eppure avevamo concordato che ormai ognuno era libero di organizzare la propria esistenza. Lei dormiva accovacciata sulla poltrona sotto la finestra, per terra c'era un foglio e una penna. Avrei preferito guardarla dormire invece iniziai a leggere. Raccontava che la notte aveva investito un tizio e che non si era fermato a soccorrre rlo ed era arrivata a casa. C he non sapeva cosa fare, e voleva incollare qualcosa tra noi, e che la colla sarebbe stata il tempo o il dimenticare. Era comunque una bella frase, di quelle che a ricordarsele sono da dire ai matrimoni, o ai funerali. Mi era venuta voglia di andar a trovare un vecchio amico, che com e lavoro costruiva marionette. Ma poi mi ha sorpreso la curiosità delle luci e ho iniziato a cercare una regola, addormentandomi poco dopo, con il giorno che giocava a rincorrere la notte scacciandola fuori dal campo visivo. Era troppo tempo che vivevo confuso, forse av rei dovuto approfittare del collante messo a disposizione da lei per riappacificarmi. Quando mi ha svegliato ero convinto che mi fossi immaginato tutto. Era novembre.

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DUE RACCONTI

I giornali titolavano che il tizio uscito di prigione per l'atte ntato di venti anni prima era stato investito da un automobile ed era deceduto. Morto. Ammazzato. - Se i stata tu? - le ho chiesto. Non ha risposto. - Hai fatto apposta? Qualche settimana prima mi aveva parlato delle protest e nelle piazze, lo aveva fatto con rabbia, con disprezzo. Ricordo che ero uscito ed ero andato al bar a bere un bicchiere di vino. Non so perché ora ricordo il rumore della locomotiva di ieri sera, la coccodrillo, rabbioso e continuo, come qualcosa di già deciso. Erano le otto me no un quarto e c'era il tizio, quella che poi mi avrebbe offerto una sigaretta. Avevamo parlato di un'attrice, del fatto che al suo capezzale si fosse concentrato un numero di persone inaspetatto. Lei mica mi ha risposto. Avrebbe anche potuto farlo: investirlo dico. Perché non ammetteva nemmeno l'eventualità che avrebbe potuto farlo? Nonostante da bambina tutti l'avessero considerata un modello avebbe anche potuto sbagliare. Non è che le cose rimangono per sempre separate da linee decise, nero o bianco. - Se è colpa tua dovresti andare a confessare - le ho detto. Mi ha risposto che se per una volta non avevo nulla a che fare con una situazione potevo anche evitare di goderemela. In certi mome nti gli pareva che fossi un mostro. - Uno scarafaggio sono - le ho detto - che appena arriva al luce cerca di fuggire maledicendosi per essersi fatto trovare al centro della stanza. Le i non ha mai capito i miei discorsi. Diceva di smetterla di be re. - Ricordi come faceva quella canzone? - gli chiedevo. Poi cantavo - È musica per fantasmi la mia voce. Avevamo discusso per tutto il giorno e la notte ancora fino a quando era arrivato il sole, dietro alla linea del cemento armato de i palazzi. Ma non servì a molto. N e il sole ne la discussione. Così sono sceso di nuovo al bar. C'era il tizio. Mi ha raccontato che dalla sua finestra mi vede, che abita nell'appartamento nel palazzo di fronte, quello sfitto da te mpo. Avevo visto la casa e mi sembrava grande, così l'ho detto. Mi ha chiesto se ricordavo quella volta che mi ero ritrovato con il labbro sanguinante e tumefatto. - Me ne sono acco rto solo allo specchio - ho risposto. Mi ha offerto un b icchiere di vino e si è scusato. Era st at o lui. - U no sfogo - gli ho detto sorridendo.

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Mi ha offerto un altro bicchiere. N essuno si sarebbe comportato alla mia maniera ha detto. Mi ha chiesto come si fa ad essere così leggeri. - Vaffanculo - gli ho risposto. Era novembre. A me sembrava sempre di più che la mia parte l'avevo fatta, che ora sarebbe toccato a lei andare incontro alla decisione. L'a vevo stretta, tenendo le la testa premuta contro la mia spalla. Lei decise di andare a passeggio. lo andai in cucina e chiusi le persiane. - Così la luce se ne sta altrove - ho detto ad alta voce. Immobile nel mezzo della cucina mi è sembrato di sentire il suono de lle zampe degli scarafaggi che ne l buio avevavo iniziato ad impossessarsi disordinatame nte della stanza.

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DUE RACCONTI

La porta

ualcuno ha sfasciato la porta con un calcio. La ferita è ev idente. Il legno ha ceduto verso l'interno. All'interno c'è un pavime nto a piastre lle nere e bianche. N el corridoio al quinto piano senza ascensore sono seminate delle fotografie. Persone sorridenti, ferie in montagna, una coppia nel giorno del m atrimonio. Lei in classico bianco, lui in nero. Cerco con gli occhi l'album. Lo trovo accanto a de i cocci d i vetro: una bottiglia di vino. L'ho vista a poco prezzo al supermercat o q ua sotto. Abito all'appartam ento numero dieci. C i sono centoquatto rdici scalini per arrivare qua. La luce al terzo piano non funzionava. I lavo ri in corso lasciano fili scop erti e le tubature dell'acqua perdono ne lle congiunzioni. L'appartam ento con la po rta sfasciat a è il numero nove. Qualche gio rno fa ho sentito la cronaca regio nale trasmessa radiofonicamente. No n so chi vi abita. Ho orari st ra ni, forse anche lui. Lei. Loro. Sono le q uattro e mezza di mattina. C'è silenzio. U na po rta sfasciat a, delle fot ografie e dei cocci di vetro: una bottiglia di vino a b asso cost o sfasciat a. Mi d ico che non è affare mio, entro nell'appartamento nume ro dieci. Mi spoglio. Bevo mo lta acqua per togliere il gusto di vino. Ingerisco quattro aspirine, preventive al mal di test a di d om ani. Mi corico. Spengo la luce. C hiud o gli occhi. Li riapro. Fuori le cupole della sinagoga sono illuminat e. A ccendo la luce. L'inconfondibile fruscio di uno scarafaggio in fuga. Lo cerco, non lo vedo. Mi alzo. Esco ne l corrido io. N o n è cambiato nulla, non c'è nessun rumore. G li altri nove appartamenti sono sile nziosi. C'è la bo ttiglia di vet ro sfasciat a. Raccolgo una fotografia. Un bam bino sorride su di un'altalena. G uardo la porta dell'a ppartamento numero nove. È sfasciata. Sem p re. Busso. Po i chiamo. Poi mi sdraio e gu ardo l'interno. Buio. Al supermercato qua sotto ho comprato delle candele. Rientro in casa, le cerco. Le trovo. Torno nel corridoio. A ccendo una candela circolare bianca, di q uelle utilizzate solitamente come scaldavivande. La infilo

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nella feritia della porta. La appoggio su di una piastrella nera. Poi su di una bianca, sembra creare maggiore luce. All'interno dell'appartamento le gambe di una sedia, le gambe di un letto, quello che dovrebbe essere un armadio. In fondo la finestra, con le tende tirate. Provo ad ascoltare. Mi sporgo. Qualcosa mi punge la mano. La guardo. Un coccio di vetro vi ci si è conficcato. Lo guardo. Come una scultura di ghiaccio riflette la luce. La mano, la carne, il sangue, il vetro. Mi perdo nei battiti del flusso sanguineo. Poi mi estraggo il coccio. Lo getto a terra; rimbalzando lascia sul pavimento del corridoio delle macchie. Rientro in casa. Accendo il lavandino. Metto la mano sotto il getto d'aqua. La trasparenza s'inrossisce. Il colore si mescola sul piatto bianco della cena di ieri l'altro. Dopo un minuto il sangue smette di colare. Resta una riga nel mezzo della mano, leggermente biancastra ai lati. Tolgo la mano dal getto d'acqua. Dalla ferita torna immediatamente il sangue. Prendo lo straccio per asciugare i piatti e lo premo sulla ferita. Spengo l'acqua. Nel piatto, nel lavandino, rimane una pozzanghera leggermente tinta di rosso. Esco di nuovo nel corridoio. Mi sdraio. Guardo di nuovo nell'appartamento lievemente illuminato dalla candela posata sulla piastrella bianca. - Tutto bene? - chiedo - c'è qualcuno? Hey! Nessuna risposta. Poi uno scatto. Come se qualcuno abbia acceso un vecchio mangianastri: della musica. Amami, guardami, spogliami con gli occhi e coprimi d 'amore. Amami, sfiorami, com e un cobra avvolgimi tra le tue spire striscia sul mio seno sputa il tuo veleno così potrò morire. - Tutto bene? Solo una risposta? - chiedo. Solo la musica. Senti come urla il vento forse da domani il mondo finirà senti adesso che silenzio forse siamo gli unici a resistere. - Solo una parola e me ne vado. - Lasciami - dice una voce femminile. - Va tutto b ene signora? Il mangianastri viene spento. - Signora?

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- D evo chiamare qualcuno? - Cosa ti ho fatto? -Come? - Cosa ti ho fatto? Perché ti preoccupi? - Abito nell'appartamento accanto. - Pensi che non me lo ricordi? - Signora. È solo che mi sono preoccupato. - Vaffanculo. Sento il suono di passi sulle scale, deve essere una coppia. Forse Erika, la donna dell'appartamento numero sei, è riuscita a convincere un cliente a farsi i centoquattordici scalini. Deve proprio averne voglia. Dalla strada a qua sopra, per dieci minutu su di un divano, con il figlio di lei che li guarda dal lettuccio. Ridono sale ndo. lo mi alzo, lascio la candela accesa, non voglio farmi trovare sdraiato per terra, con la mano insanguinata, le fotografie e i cocci di vetro rotti della bottiglia che vendono al supermercato qua sotto a poco prezzo. Rientro in stanza. La luce è ancora accesa. Entro in bagno. Mi guardo allo specchio, ho un occhio gonfio. Non ci avevo fatto caso, il rossore si sta trasformando in una macchia b luastra, come se qualcuno mi avesse preso a schiaffi: non ricordo. Forse è il vino. H o bevuto troppa acqua, devo pisciare. Il rumore del getto di urina si confonde con quello della risate di Erika e dei lamenti dell'uomo, per la fatica. Poi una chiave che gira, una porta che si apre e la porta che sbatte. Erika che dice: calma. Io mi allaccio i bottoni dei jeans, mi metto del'acqua sul viso. Chiudo il rubinetto. Tomo nel corridoio, prendo una fotografia con una donna, sulla quarantina, capelli rossicci, riccioli, sorride. Dietro una montagna innevata. Ma è estate, indossa una camicetta verde a scacchi. E sorride. È una bella donna. Mi sdraio per terra. Non c'è più musica. Deve averla spenta p er non attirare l'attenzione di Erika. Mi sdraio. - Signora? Signora? - Lasciami. - È stata in montagna qest'estate? - Non provare ad e ntrare, ti ammazzo. - Signora ho visto la fotografia, credo di avere riconosciuto il posto. Lei inizia ad urlare. - Vattene cazzo lasciami sola, cosa ti ho fatto? Perché tutto questo? Poi inizia a piangere, lentamente, come cantasse una nenia per calmarsi. Mi alzo. Torno in casa, prendo una scatola di cioccolatini, la apro, ne tolgo uno, con la carta metalizzata di colore rosso. Torno all'appartamento numero nove, mi chino davanti alla porta sfasciata. Metto il

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cioccolatino accanto alla candela, sulla piastrella bianca. - È Zermatt vero? È il Matterhorn quello della fotografia. Il Cervino come lo chiamano in Italia. - Lasciami ti prego. Nel frattempo Erika ha iniziato il suo lavoro, ascolto la sequenza di «ma che sorpresa», «ti piace», «ah guardalo come diventa», «adesso ci penso io». Poi un poco di silenzio, o meglio: il mugolare dell'uomo. Erika non riesce a parlare, d'altronde come potrebbe farlo. Il mangianastri viene di nuovo acceso, con uno scatto, e copre il gemito dell'uomo. Senti come urla il vento forse da domani il mondo finirà. E senti adesso che silenzio forse siamo gli unici ad esistere. Solo un attimo, solo un attimo, un solo attimo di felicità Solo un attimo, solo un attimo che brucia come il fuoco dentro.

- Cosa è successo? - chiedo. - Sei realmente così? -Come? - Vaffanculo. Vaffanculo. Sono sdraiato nel corridoio al quinto piano davanti alla porta sfasciata de ll'appartame nto numero nove. Abito al numero dieci, ci sono centoquattordici scalini per arrivare fino a quassù. N el corridoio un album di fotografie scaraventato contro una parete, accanto dei cocci di vetro: una bottiglia di vino a poco prezzo che vendono al supermercato qua sotto. Ho ingoiato quattro aspirine e bevuto molta acqua per evitare il mal di testa del mattino. Eppure ho ancora la bocca impastata. D evo bere dell'altra acqua. Dalla porta di Erika sento un gemito convulso. Poi qualcuno che sputa, deve essere Erika. Torno nel mio appartamento. Dovrei avere una bottiglia di vino da qualche parte. In mano ho la fotografia con raffigurtato il Matte rhorn dalla parte svizzera, da Zermatt. In Italia lo chiamano Cerv ino. Sento Erika che dice nell'a ppartamento numero sei «adesso facciamo seriamente» e l'uomo che prima arrancava nelle scale poi dentro alla bocca di le i che dice «aspetta un attimo che mi riprendo». Erika in questo modo aumenta la tariffa, me lo ha detto. «Li fai

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venire subito, così che poi non ce la fanno e si sentono come ragazzini e vogliono dimostrarti la loro potenza. lo aspetto e chiedo di più. Magari in mezzo parliamo anche». Ma non c'entra, ormai la candela che ho messo sulla piastrella bianca del pavimento nell'appartamento numero nove dove c'è quella donna che mi insulta, sta per finire. N e prendo un'altra, che ho comprato al piccolo magazzino qua sotto, come la bottiglia di vino a poco prezzo sfasciata nel corridoio, ne ho acquistata una anche io. Ora non la trovo. Il mangianastri viene riacceso torna a coprire il «no n mi capita mai di andare con una di voi sai, ma oggi ho bev uto un po'» «succede caro» «no perché io non sono uno di quelli». La stessa canzone fugge d alla porta sfasciata dell'appartame nto numero nove e passa nel corridoio tra le fotografie e i cocci di vetro con cui mi sono tagliato. Ho dolore. Il sangue pulsa nella mano, ormai raggrumato in una crosticina color porpora. Sono all'interno del mio appartamento, il numero dieci al quinto piano dopo centoquattordici scalini. Ascolto.

Amami, guardami spogliami con gli occhi e coprimi d 'amore Amami sfiorami come un cobra avvolgimi tra le tue spire striscia sul mio seno sputa il tuo veleno così potrò morire. Senti come urla il vento forse da domani il mondo finirà senti adesso che silenzio forse siamo gli unici a resistere. Le cupole della sinagoga sono sempre illuminate, hanno la forma d'uova. Uova pietrificate. Uova fossilizzate. Uova di animali preistoric i che le hanno posate là ad attendere il tempo della rivelazione. Uova che contengono il messia fo rse, dentro il sasso, che pe r miracolo un giorno nascerà una crepa e si d ischiuderanno, non una ma quattro, quattro messia, uno per punto cardinale. Quello del nord. Quello de l sud. Quello dell'est. Quello dell'ovest. I quattro messia saranno rivelati al mondo quando le uova di pietra che si fingono cupole della sinagoga decideranno di dischiudersi. Ma non è quest a mattina. Vorrei del vino, no n trovo la bottiglia. Esco nel corridoio. Mi sdraio sul pavime nto. La musica è di nuovo cessata Il mangianastri sta riavvolgendo le parole . La candela è quasi

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consumata. Erika sta iniziando la seconda parte del lavoro. «Dovresti darmi ancora qualcosa però, sai, non pensavo che». Prendo dal cassetto la seconda candela. Poi nel corridioio mi sdraio, la accendo, la infilo dentro alla porta sfasciata e la poso accanto all'altra, quasi consumata su di una piastrella bianca. Non si sente niente. - Signora? Signora? - Che vuoi ancora. Non ti è bastato già? - Le ho prestato una bottiglia di vino? È la mia quella in corridoio, sa non ricordo, forse ho bevuto troppo. A casa non la trovo più. - Smettila! - Smetterla cosa signora? - Di non ricordare. - Cosa? - Non mi puoi avere tutta per te. Mi alzo. Guardo la porta sfasciata. Ascolto la signora piangere. H o male al piede destro. Tolgo la scarpa, la calza. Le dita sono bluastre, come avessi preso un colpo. Come avessi preso a calci una porta. Tanto da averla sfasciata. Mi siedo accanto alle fotografie, il fondo della bottiglia è intatto, c'è ancora del vino, me ne verso un poco nella mano a conca, guardo veloce se non ci siano cocci di vetro. Poi lecco quanto non è colato sul pavimento. Come un animale. Il cliente di Erika geme la sua fine e diventa carne flaccida, senza forza. Non riesco a sollevare le mani per togliermi le lac rime dal viso. Vorrei dire «perdono» e «non volevo» chiedere «cosa ho fatto?» o «perché?». Vorrei avere una scusa. Resto a sedere fino a quando la porta di Erika si apre ed esce l'uomo, frettoloso, come un ladro. Lo seguo per i centoquattordici scalini che mi portano a terra, giu dal qui nto piano. Mi chiedo se mai riuscirò a risalire.

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PROFILI

Federico Hindermann

notizia

Fede rico Hinde rmann è nato presso Biella il 27 luglio 1921, da padre svizzero (di Basilea) e da madre italiana (di Torino). Nel 1931 rient ra con la famiglia a Basilea, dove inizia gli studi universitari. La pre mat ura scomparsa dei genitori lo orienta verso l'attività giornalistica, che svolge dapprima presso il «National-Zeitung» (Basilea), poi nella redazione del mensile «Atlantis» (Zurigo), per il quale traduce regolarmente testi letterari italiani e fra ncesi in tedesco. Sue le traduzioni de ll'Aurélia di Nerval (19 43) e dell'Étra nger di Camus. Per la letteratura italiana predilige la narrativa contemporanea: Cecchi, Zavat tini, Lisi, C hiesa, Pirandello, Vittorini, Piero Bianconi, Patti, Bacchelli, Felice Filippini ecc. Nel 1951, dopo un periodo di lettorato a O x ford, riprende gli studi a Z urigo, dove si addottora qualche anno p iù tardi con una tesi in letterature comparate. Dall'insegname nto liceale, nel 1966, passerà a quello universitario ricopre ndo, fino al 1969, la cattedra di Filologia romanza ad Erlangen. Dal 1971 al 1986 dirigerà la Manesse Ve rlag e la collana di classici «Manesse Bibliothek de r Weltliteratur», per la quale cure rà e tradurrà diversi volumi: una scelta di Pesci rossi di Cecchi, delle antologie tematiche di lette ratura universale, un'antologia di novellie ri italiani dal N ovellino a Parise, ecc. Il quindicennio alla direzione di q uesta prestigiosa casa editrice coincide con la pubblicazione di sei raccolte poetiche in italiano presso Scheiwiller (in precedenza, nel 19 40, aveva dato alle stampe poche poesie in tedesco), che con alcune raccolte successive andranno a formare Poesie 1978-2001 (Valdonega, 2002) . N egli ultimi anni ha pubblicato in Ticino presso le edizioni sottoscala, Armando Dadò e ANAedizioni. Vive ad Aarau.

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bibliografia degli scritti Quanto silenzio, Milano, Scheiwiller, 1978 (con una notizia di Pietro Citati}. Docile contro, Milano, Scheiwiller, 1980. Trottola, Milano, Scheiwiller, 1983. Baratti, Milano, Scheiwiller, 1984. Ai ferri corti, Milano, Scheiwiller, 1985. Quest 'episodio, Milano, Scheiwiller, 1986. Quanto silenzio, Parma, Guancia, 1992 (prefazione di Pietro Citati}. Perché dobbiam morire, margherita 7, Bellinzona, Edizioni Sottoscala, 2002 (con disegni di Sergio Emery). Poesie 1978-2001, Verona, Stamperia Valdonega, 2002. Bocca di leone, Locarno, ANAedizioni, 2004 (linoleografie di Luca Mengoni) . Fiore di loto, Locarno, ANAedizioni, 2005 (incisione di Paolo Mazzuchelli). Girandola di farfalle, Locarno, Dadò, 2006 (premessa di Alessandro Martini; incisioni di Luca Mengoni) . Fugsam dagegen I Docile contro. Gedichte, Italienisch und deutsch, Ausgewahlt und tibersetzt von Antonella Pilotto, Mit einem Vorwort von Fabio Pusterla, Ztirich, Limmat Verlag, 2009.

bibliografia della critica P. De Marchi, «L'anguilla, di Montale e le sue sorelle. Sulla funzione poetica della sintassi, in «Testo», nuova serie, XXVI, 50, 2005, pp. 84-85.

A. Martini, Premessa a F. Hindermann, Girandola di farfalle, Locarno, Dadò, 2006. M.M. Pedroni, Farfalle senz'ali e fiori senza stelo. Storia e stile degli stornelli di Federico Hindermann, in Voci poetiche nella Svizzera italiana. Atti delle giornate internazionali di studio (Centro Stefano Franscini, Ascona - Alta Scuola Pedagogica, Locarno, 14-15 novembre 2007), a cura di Matteo M. Pedroni, Bellinzona, Casagrande, 2008, pp. 138-156.

M.M. Pedroni, Ma non sen vien satollo. «Gira la mola• di Federico Hindermann, in «Cenobio», 2008, 2, pp. 59-71. M.M. Pedroni, Poeta e traduttore. Per un ritratto di Federico Hindermann, in Poeti traduttori nella Svizzera italiana. Atti delle giornate internazionali di

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studio (Alta Scuola Pedagogica, Locarno, 2-3 dicembre 2008), a cura di Silvia Calligaro, Bellinzona, Casagrande, 2009, pp. 111- 140. F. Pusterla, La meraviglia di meravigliarsi, in Id., Il nervo di Amold e altre letture. Saggi e note sulla poesia contemporanea, Milano, Marcos y Marcos, 2007, pp. 112-116. A. Weibel, Hindermann, Federico, in Dizionario storico della Svizzera

sdhs-dss,ch).

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Incontro con il poeta Federico Hindermann di Matteo M. Pedroni Come venti anni fa, Federico Hindermann vive ad Aarau, e ogni mattina esce . .. A casa ha una moglie, pediatra, ... un gatto, ... quattro figli, .. . uno studio dove non giungono le risa o i gridi de i bambini che attendono la guarigione dalle mani pazienti de lla moglie.

ome trent'anni fa, quando Pietro Citati tracciava un primo pe netrante profilo dell'amico poeta, Federico Hindermann vive ad Aarau e se ogni mattina non esce più di casa per percorrere una strada silenziosa e non prende più il treno per Zurigo, dove dirigeva «la più elegante collana di letteratura in lingua tedesca»; se la morte gli ha portato via la moglie e la vita gli ha allontanato tre dei quattro figli, se del gatto rimane soltanto una gigantografia in bianco e nero, ultimo testimone dei fascinosi occhi di Beaux-yeux, ciononostante l'o ttantottenne Federico Hindermann continua a scrivere poesia, su scontrini di cassa o taccuini quadrettati. Scrive a mano, con la grafia del filologo d'altri tempi, non avvezzo alle tastiere del computer; una grafia precisa, da penna condotta con lentezza e vigilanza, che traccia senza ripensamenti un verso intero, per poi - m etti caso - cassare e riscrivere in interlinea. Cartigli destinati a scomparire una volta t erminata un'elaborazione che non lascia scampo al neo, all'imperfezione della forma, alla facilità de ll'espressione: non resta alla fine che la stesura definitiva, ne varietur, raramente modificata da stampa a stampa. Da sotto e tra le pile dei libri accatastati sulle poltrone e sul tavolo - la Divina commedia, uno scritto ornito logico di Adolf Portmann, Die Geschichte der Null, gli Strambotti dell'Aquilano ... - questi effimeri foglietti fanno capolino, quasi ammiccando scherzosi allo sguardo intrigante di uno studioso di passaggio.

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Eppure un tempo il giovane Hindermann, rientrato da qualche anno in Svizzera dopo aver trascorso l'infanzia nel Piemonte nativo, affrontava il giudizio dei maestri battendo a macchina le sue prime poesie in tedesco. E non poteva essere altrimenti, perché la macchina da scrivere era già, e per molto tempo sarebbe stata, il suo strumento di lavoro, il primo mezzo di sost entamento dopo la prematura scomparsa dei genitori e l'a do zione del fratello minore. Sulla redazione del «National Zeitung», Fritz (così firmava) era stato dirottato dal mancato riconoscimento del brevetto d'insegnante conseguito a Perugia nel '39 e in quella stessa redazione un giorno - assenti i superiori - si era visto recapitare un incarto spedito da H ermann Hesse. Incontro inaspettato e scatenante, immediatamente interpretato come segno cui dare senso con una lettera al maestro tedesco, che si apriva con un espedie nte che non poteva non colpire il destinatario: ex abrupto, senza l'attesa formula di saluto («Sehr geehrter Herr oder Verehrter M eister») , la cui assenza era poi giustificata in coda, a sciogliere l'e nigma: in allegato un foglio con tre quartine dattiloscritte, Die andere Erinnerung, «Base!, 9 Oktober 1942». Hermann H esse e, prima di lui, almeno Albin Zollinger, ottimista censore delle nove Gedichte pubblicat e dal Nostro ne l '40 1 danno avvio - negli anni della bufera - a quel vasto giro di conoscenze, di incontri, di relazioni nelle alte sfere dell'intellighenzia mitteleuropea da c ui Hindermann - tra il fumo di una sigaretta - trae spunto per trasformare in aneddoti penetranti ritratti psicologici, limpidi e personalissimi giudizi: una cena con Bacchelli, due parole con Berenson, le visite di Praz, di Cecchi, le discussioni con Contini, un incontro con Calvino, le lettere di Montale, in chiesa con Béguin, l'a micizia di C itati, di Felice Filippini, il consiglio di von Balthasar, per ricordare i nomi che più hanno colpito chi scrive. Certame nte nessuno di questi perso naggi ha mai incarnato per Hindermann la figura del Maestro, «the only begetter», cui si dedica segret ame nte la propria esistenza, la propria opera, ma é anche vero che le appassio nate parole, ora carezzevoli e ammirate ora sottilmente insinuanti, con cui essi vengono ritratti sono indizi di una personalità forte dell'espe rienza altrui oltre che della propria: ogni incontro è per lui occasione di «adottare liberamente un metodo, seguire un esempio per forse modificarlo, serbare una massima, una sigla sapienziale che si incarna e ci forma» (Un pugno di mosche, Locarno, ANAedizioni, 20031 p. 19). Lo scambio con l'A ltro senza restrizioni, senza preconcetti, senza timo ri, caratterizza l'uomo e l'o pera poetica, sorta di memoria e di analisi del proprio 'con-vivere'.

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Dovranno trascorrere ancora tre nt'anni perché l'esperienza di una vita vissuta all'insegna del com-prende re, com-patire, con-dividere, com-battere, trovi naturale sedimentarsi e germogliare nella parola poetica italiana. Scorreranno sul Reno gli anni della guerra, tra le lezioni di Albert Béguin e di Arminio Janner, gli impegni giornalistici e la loro risultante nelle traduzioni dalla letteratura francese (Aurélia) e italiana (Pirandello e Vittorini). Sospinto dalla prevaricante onda del bisogno, Hindermann approderà poi a Zurigo, presso l'Atlantis Verlag, come redattore de ll'o monimo me nsile di cultura. N el '51, di rito rno da un anno di lettorato ossonie nse, riprenderà gli studi universitari, mettendo così a frutto, con un dottorato in co mparatistica, la latitudine culturale e linguistica maturata fin dall'infanzia italo-svizzera e nel continuo esercizio, quello traduttivo, di promozione delle letterature romanze. Dopo un periodo d'insegnamento liceale giungerà anche il riconoscimento accademico con l'ordinariato ad Erlangen (1966- 69), dove «l'eros / pedagogico di rado elargiva la grazia, sfuggiva / come le monetine nelle cabine di vetro» (Ad Erlangen, provavo, in Poesie 1978-2001, Verona, Valdo nega, 20021 p. 228: d a ora Poesie) . Il quindicennio alla guida della Manesse Ve rlag - 1971-1986 - coincide con la prima grande stagione della poesia di Federico Hindermann che a cinquant'anni, se non inizia a scrivere versi in italiano, certo inizia a renderli pubblici, dapprima a una cerchia ristretta, in seguito al mo ndo. Di quel risveglio dell'a nima che ancora malcerta t e nta i primissimi passi tra persone amiche sono testimoni alcuni fascicoletti dattiloscritti recanti il titolo generico di Qualche poesia del 73 Qualche poesia del 1 74 ... del 1 75 ... 1 76. Millesimate poesie che giungevano in casa di Adolfo Jenni con l'augurio di un felice anno nuovo come dovettero giungere a pochi altri eletti - chissà - per essere fini estimatori di poesia, me mbri della famiglia, poeti a loro volta? Forse a conta re, agli occhi del poeta "in erba", era che il professore di letteratura italiana all'Università di Berna, oltre a essere prosatore finissimo e crit ico acuto, condividesse con Federico (il poeta in italiano firmerà così, com 'era iscritto all'anagrafe) la nascita in Italia da m adre italiana e la maturità nella paterna Svizzera tedesca. C hi meglio di uno scrittore mode nese-bernese poteva capire il significato profondo di quella viscerale ispirazio ne? C hi meglio di lui il rifluire no n nostalgico della lingua infantile nella poesia di un cinquante nne torinese-basilese? Interrogativi che, come molti altri su cui poggia questo nostro Incontro, non sono stati posti al diretto interessato ne l timore che venisse meno, per uno scrupolo documentario, l'autonomia 1

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della critica. Quel che conta rimane vergato su una pagina di Qualche poesia del 1 761 in cui Jenni, appuntando un telegrafico giudizio sullo stile del poeta ne riconosceva di fatto le qualità: «Le immagini / Ricchezza lessicale/ Maggiori particolari realistici / Un impianto ermetico veram. poetico, anche se po i i singoli particolari sono comprensibili». Qualità già note ai curatori dell'Almanacco dello Specchio 1975 che accolsero nel volume mondadoriano un manipolo di componimenti di Hindermann, introdotto da Pietro Citati. I due si erano conosciuti negli anni Cinquanta all'Università di Zurigo. La preziosa e già ricordata Notizia dell'intellettuale fiorentino, con la quale il poeta svizzero affrontava il giudizio della repubblica letteraria italiana, accompagnerà in seguito altre iniziative editoriali: il primo dei sei volumi pubblicati da Scheiwiller tra il '78 e 1'86, l'omonima antologia, Quanto silenzio (G uanda 1992) e la raccolta di tutte le Poesie fino al 2001 (Valdonega 2002). Ma nemmeno questo amuleto e con esso le positive recensioni e i premi letterari poterono contro l'immedicabile assenza dalle categorie critiche che definiscono l'esistente dall'inesistente. «Se Hindermann vivesse a Milano, o a Firenze - scrive Fabio Pusterla - forse verrebbe ufficialmente indicato come uno dei maestri della sua generazione», ma abita ad Aarau e lo scrivere in italiano e l'aver pubblicato in Italia non bastano a fornirgli quella carta d'italianità o di svizzeroitalianità senza la quale purtroppo pare di essere figli di nessuno. Eppure la scelta di scrivere in italiano era una scelta forte, controcorrente per chi ormai da un quarantennio masticava «schwitzerdiitch» e quotidianamente scriveva e volgeva nella lingua di Goethe, pe r passione e per professione. Controcorrente rispetto a un mercato editoriale «germanofono» che avrebbe accolto favorevolmente anche solo gli imparaticci poetici del direttor Hindermann e che invece si vedeva preferire un editore milanese, pur di stirpe svizzera. Controcorrente rispetto a un iter promozionale che sarebbe stato agevolato dall'uso della lingua autoctona. Federico Hindermann, optando per la lingua del sì, non aspirava né a un adeguamento alle categorie storico-letterarie né perciò alla fa ma; egli rispondeva, con estre ma sincerità, a motivazioni esistenziali ed espressive; a una fame inte riore. Esistenziali come il recupero della lingua materna attraverso la quale egli aveva originariamente, nella prima infanzia, conosciuto il mondo, al di qua delle convenzioni sociali e dei condizionamenti culturali. Una sorta di lingua adamitica che aderisse ai designata, alle cose da essa nominate, e che riuscisse a riportare alla superficie della coscienza le sensazioni di quel primo aurorale vincolo tra creatura, creato e creatore. Questo per-

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corso à rebours verso un utopico ricongiungimento con i valori più alti dell'esistenza, il senso stesso della vita, il Verbo, è sottolineato nella poesia del Nostro dallo scavalcamento dell'italiano «standard» per riguadagnare, per singole tessere, idiomi misteriosi, ancestrali, popolari, espressioni di un'armonia tra terra e cielo, dialogo aperto con il trascendente. Da qui il confronto implicito con culture d 'altri t empi o d'altri luoghi: ricorrenti le devote vecchiette salmodianti nell'oscuro dialetto di San Benigno Canavese o altre rappresentanti di un mondo arcaico ormai scomparso e tanto più significativo quanto più remoto a questo nostro dell'indifferenza e della superficialità. Se di nostos volessimo parlare per definire questo simbolico viaggio, dovre mmo certamente evitare di aggiungervi il dolore, l'-algìa: con la lingua italiana si possono anche rievocare persone, luoghi, episodi cari, ma innanzitutto ci si cala in una ideale condizione conoscitiva. D'altronde nessuno potrà pensare che la lingua della poesia hindermanniana abbia molto da spartire con la lingua del «pappo e il dindi» o con la lingua d'uso, quando solo si considerino la ricchezza della t erminologia scientifica (zoologica, botanica, geologica, astronomica, mat ematica ecc.), l'accurata selezione del vocabolario su base etimologica, intertestuale e fonica, l'elaborazione della sintassi e la distribuzione dei costituenti frasali. Non c'è soluzione di continuità (e nemmeno aporia) tra l'utilizzo della lingua materna come lingua ontologica, il passo indietro verso il mondo edenico della lingua naturale, perfetta, rivelata, e la proiezione fiduciosa nell'universo del tecnicismo: in ultima analisi tutti questi indirizzi linguistici vertono sull'ade renza tra parola e cosa. Lingua vocalica, l'italiano è giardino incantato del significante soprattutto pe r chi vi torna dopo una lunga abitudine al t edesco. Appena sussurrata, sollevata dal silenzio che ne è origine e fine, la poesia di Hindermann tradisce la propria aspirazione al canto, a una musicalità che dialoga con il significato letterale della parola. L'orecchio musicale, ereditato dal padre, che a quell'innato talento - ricorda amareggiato il figlio - non prestò l'attenzione dovuta, si avvale della lingua italiana come di uno strumento al servizio di un canto poetico, affinato negli anni alla lezione di Dante e di Montale, di Buxtehude e di Schubert, di queruli volatili e fruscianti arbusti. L'orchestrazione dei suoni risponde a necessità espressive di volta in volta diverse ma sempre riconducibili «al miracolo innominabile del nostro vivere» (Un pugno di mosche, p. 26). Grazie ai timbri della lingua materna, cassa di risonanza dell'inconscio e della cultura, la poesia spicca il volo dell'analogia, dell'astrazione, della trascendenza e tenta di dire l'ineffabile, di nominare !'«innominabile». Proprio di questo staccarsi da

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t erra attraverso la musica sembra parlarci il poeta quando ricorda il primo innamoramento, negli anni torinesi: innamorato perdutamente della ragazza che gli dava lezioni di pianoforte. All'indicibile, all'intraducibile, cui forse la lingua italiana concede di approssimarsi con ottimismo, Hindermann giunge vivendo la quotidianità, quell'uscire o non usc ire di casa, prendere o non più prendere il treno, accarezzare o ricordare di aver accarezzato Beaux-yeux, osservare un fiore, andare dal dentista, scorgere in una tazzina un capello, in un torrente il filo di pipi di un bambino, sull'erba la bava della lumaca. Tutto è pe r lui lezione, occasione privilegiata di apprendere, d i capire le logiche del mondo per poi interrogarsi sulle loro ragioni profonde. Manifesti di poetica, in questo senso, sono i versi di Per la lezione di biologia, in cui la ricostruzione dello scheletro di un topo raggrumato nei ((boli di borra» vomitati da un gufo, spinge il liceale a interrogare il maestro sul perché della fame; oppure i versi di Con i colpetti, che si apre nel ricordo di una «lezione / di tiptologia dai picchi» e si chiude, per analogia, sul battito del cuore, un po' scordato: «Batte la solfa a rilento / il cuore senza trovare / perché continua». Dalla lezione alla lettura del creato: dietro ogni cosa si cela quel ((perché» che Hindermann, non per nulla profondo estimatore della poetiche dell'infanzia, non manca mai di fo rmulare. La poesia può essere domanda o tentativo di risposta, raccolta di prove, di ((segni» con cui parafrasare il creato, riordinarne gli elementi significativi secondo la logica dell'io. Una scommessa che può essere vinta solo rinfondendo nel verso quell'arcano che si estende oltre i limiti della nostra ragione. ((L'e rmetismo comprensibile» (Jenni), ((Tutto è preciso e sfumato» (Citati) (( parole precise legate da rapporti logici aperti sul mistero» (Pusterla) sono formule critic he che traducono parte di que l sentimento vertiginoso che pervade ogni lettore di una poesia che si concede e si nega nel medesimo istante, senza mai però mettere in dubbio l'esistenza di un Senso superiore, la cui rivelazione è, più che inoppugnabile, necessaria. Dio deve esist ere pe r garantire l'armonia suprema in un meraviglioso unive rso sbrecciato dal dolore e dalla contraddizione, minato dall'ingiustizia, d alla violenza, oscurato dalla morte. Rispetto al tempo in cui il piccolo Fritz disegnava h (anima quadrata» sui pupazzi, nella maturità Federico si po ne di fronte al perché dei perché con il pensiero, con la volontà di credere e la speranza di potersi un giorno abba ndonare all'((elisir di preghiere». A volte t ematizzata, sempre sottintesa, la risposta

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positiva alla scommessa di Pascal si traduce in un atteggiamento conoscitivo in c ui si riconoscono, mutatis mutandis, i due indirizzi definiti dal filosofo francese: «esprit de finesse» ed «esprit géom étrique». C'è nella poesia di Hindermann l'imperativo d ella misurazione della materia e dello spirito, mediante quegli strumenti c he troneggiano sopra il pianoforte in salotto, come un'allegoria: la livella, la bilanc ia, la bussola, accompagnate da c ristalli, sfere, pietre, conchiglie, prove t angibili di una misurabilità del m ondo, di una possibile intesa tra uom o e Dio. La perfezione geom e trica o aritm e tica riscontrabile in natura e la corrispo nde nza esatta di proporzioni e di forme tra ele m e nti micro- e m acroscopici, o rganici e inorganici, vegetali e animali, addizionate all'ansia di trascenden za, motivano il poeta a intraprende re una ricerca a cavallo tra ragione e intuito, tra i dati approvati dalle scien ze positive e le improvv ise illuminazioni di un p ossibile Senso. Non potendo contare sulla fede, Hindermann dilata quanto più può l'applicabilità d ella ragione scientifica alla rappresentazione, alla misurazione, all'analisi della condizione esistenziale. Alcuni esempi basteranno a capire l'est ensio ne e la variazione del fenome no: Uso di vocaboli ine re nti alla misurazione: «no n essere troppo fe lice! Misura tu il miste ro, pe r impossibile c he sia; pure il dolore non h a un voltaggio contabile nel cosm o» (Un pugno di mosche, p. 7), «Intanto gira la ruota, continua il m ale sen za misura, in cerca di pazienti prestanomi» (Un pugno di mosche, p. 50), «misura la malinconia/ d 'essere qui» (Poesie, p. 12), «Come cont a rli, i giorni / se s'aggroviglia con loro quanto marcare no n posso [ .. .] non riconosco c h e l'ast a / d 'ombra c h e mi ruota attorno» (Poesie, p. 13), «non si misura a peso la vagh ezza» (Poesie, p. 15), «Di t anta pioggia c he scrolla / ringorgata col polline dalle campanule il vento / no n ho misura» (Poesie, p. 57), «che gu atano, pre ndono,/ come dire?, misure e sbagliano» (Poesie, p. 111), «pe rc hé no n c'è misura e a c he servono allo ra i nume ri» (Poesie, p. 140), «Non ho volumi, no n ho pesi pe r dire / gioia o dolo re e ne ppure la misura del salto I dello scoiattolo con le zampette / leste a ghe rmire la cima / c he dondola» (Poesie, p . 158), «il mio troppo / lieve peso di amo re c he spando» (Poesie, p. 168). C itazione o descrizione di strume nti di misura: «la bolla d'aria sgusciante I nella livella si ferma, / il filo a piombo» (Poesie, p. 12), «il bruco misurino» (Poesie, p. fo), clessidra: ((Sabbie non bastano / del Sandmann o di deserti / a far gemicare da un'a mpolla all'altra / uguali nella strozzatura» (Poesie, p. 112), <da febbre graduat a, / i vari sistemi di

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pollici, radiocarbonio / e vivendo ci tocca contare, la taratura sapere, il simulacro del metro nella teca I imbalsamato a Sèvres e già più non vale, relitto / di qualche storia imprecisa» (Poesie, p. 136), «tremula, la bilancia, tra guerra / e pace tenta, ritenta, / su di un piatto svuotato / punto tutto il mio poco amore» (Poesie, p. 140), «diapason» (Poesie, p. 168), «strappo il foglietto / del calendario» (Poesie, p. 221), bilancia: «Bilancio, sbilancia [ ... ] / un'eco / resta, un'impronta / del nostro labile peso?» (Poesie, p. 26 1). Drammatizzazione del misurare, anche metaforica: la pesatura dell'anima (L'anima che quadrata, cit.), della fame (Per la lezione di biologia, cit.), de ll'amore (Trottola, in Poesie, p. 83: «tiene addensato il peso / di quanto fummo amorosi»). Uso inabituale di quantificatori: Quanto silenzio (Poesie, p. 11), Un poco di bara (Poesie, p. 97). Lemmi che esprimono l'idea di limite: «trabocca ... prorompendo . .. esorbitante ... eccesso ... sconfina» (Poesie, p. 15), «sentore I labile senza limit i» (Poesie, p. 56), Hotel Terminus (Poesie, p. 206), Dove finisci (Poesie, p. 207) . Attraverso il t em a della misurazio ne - in cui riecheggiano ecletticamente e libe ramente le riflessioni de i Presocratici, di Nicola C usano (si pensi alla Trottola citata sopra), di Pascal (Vinci, in Poesie, p. 56), di Duncan MacDougall (L'anima che quadrata) - Hindermann affronta in modo proble matico e originale gli interrogativi che da sempre arrovellano l'umanit à: il senso della vita, della morte, del dolo re; l'esistenza di Dio e il suo rapporto con l'universo. N ell'atto di misurare e dunque di individuare l'o rdine delle cose, vengono espressi la m eraviglia di fronte al creato, il desiderio di sapere, la frustrazione dei limiti della ragione o, meglio, degli esprits sopra ricordati. La coscienza di non sapere è il principio della quete di Hindermann, che si affaccia sul mistero con la speranza di decifrarne il codice, di leggerne i segni: «Dove s'addensano i segni / più mi dirado per lasciarli soli / a comporre un senso» (Dove s'addensano i segni, in Poesie, p. 169). L'atteggiamento dello scienziat o che aspira all'osservazione meno invasiva del fenomeno per poterne preservare la spontaneità e la verità, per analogia mette il poeta in una condizione contemplativa, di distacco dallo spettacolo fo rmidabile di un universo in cui Dio si rivela. La lezione-lettura e la misurazione sono metafora di questo sforzo conoscitivo che, in ultima analisi, si configura come ricerca di un "faccia a faccia" con l'Essere supremo.

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È quanto e merge con chiarezza dalla lettura de i pochi t esti d 'ispirazione biblica, nei quali si rievocano il sacrificio di Isacco, la lotta di Giacobbe con l'angelo, lo "specchio scuro" di San Paolo, le figure di Giona (cui è dedicata la copertina di un recentissimo volume di traduzioni in t edesco di alcune sue poesie) e di Giobbe: si rievocano insomma, anche t estualme nte, incontri e scontri diretti con Dio (facie ad Jaciem). Questo st esso deside rio di confronto con il C reatore può essere esteso a molte delle poesie, nelle quali, dietro lo specchio opalescente del Creato, dietro i "segni" individuati dal poet a, traspare confusam ente la figura di Dio, che soltanto dopo la morte - parafrasando il celebre testo paolino - l'uomo potrà conoscere p erfettamente, com 'è d a Lui conosciuto. La via de lla conoscenza è dunque tensione verso una pienezza che soltanto il trapasso potrà dischiudere, approssimazione a Dio attraverso la misurazione delle sue opere, indipendentemente dalle tassonomie convenzionali, dai regni naturali, dalle forme di vita semplici o complesse: Similitudini solo, tracce sullo specchio scuro conosciamo del Suo vero volto, «per speculum in aenigmate»: non di più ci sarebbe concesso. Lo asseriscono quasi tutti i teologi. Egli è il tutt'Altro. Ma chissà se nel cuore del Suo mistero non vi sia posto pure per quel sentirsi umiliato, per quell'umana certezza che è supremamente triste aver sempre la meglio? Non proverà proprio mai la nostra vergogna di essere il primo della classe, il più bravo, coscienzioso, ragionevole o comunque il meno stolto o che ancora? Forse sono qualità troppo misere, troppo mortalmente nostre. E anche perciò, si dirà, Egli è così diverso (Un pugno di mosche, p. 16).

La poesia di Hindermann è raccolta e lettura di queste «Similitudini», <<tracce», «segni» di un differito «faccia a faccia», di un giudizio e di un'auspicata assoluzione. Che si descriva lo sguardo d'intesa tra io e lucertola o pettirosso; che si ripercorra nel giro di pochi versi la condivisione di un brano di vita con un riccio, cui gli Hindermann servivano un piattino di latte sotto la luna; che si ammiri la complicità tra cieco e cane o si rievochi un saluto o il passaggio di un jet osservato da un bimbo o s'allineino «corrispondenze» o si parafrasi una fiaba di Perrault, in ogni caso tutto - il bozzetto naturalistico, la fitta rete di riferimenti culturali, l'ironia, l'acume del pensiero, la bellezza dell'immagine, la sintesi del concetto - è aspirazione spirituale.

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In quest o esercizio si esprimono al massimo grado le qualità di comprensio ne, com- passione, con-divisione, com-parazio ne di cui si è detto in precedenza ripe rcorrendo la vita del poeta: espressione rara di una capacità a convivere e a confro ntarsi, no n solo uomo tra uomini o animale t ra animali, ma elemento tra elementi, episodio tra episodi, fo rma t ra forme. Il naturale dialogo con l'Altro, vissuto dapprima nella condizione di Fritz-Federico e matu rato in seguito con gli studi di comparatistica e con l'esperienza della traduzio ne, segna profonda mente la poesia del N ost ro, anche nei suo i più recenti e inattesi esiti. La p rima stagio ne ispirati va, ovvero la serie delle sei raccolte scheiwilleriane, si protrae fi no alla fine degli anni '80 con due plaquettes sem iprivate, cui succede l'antologia-consuntivo Qua nto silenzio (G uanda 1992) . Po i più nulla fino al 2000. Il tempo raneo spegnersi della vena poetica semb ra coincidere con la fine della direzio ne della Manesse, esperienza ricca di stimo li in va ria misura riscontrabili nella produ zio ne d i quel periodo. Pur m antenendo anche dopo 1'86 una stretta collaborazio ne con la casa editrice - ricorderemo soltanto la c urate la de ll'anto logia di novellie ri italiani (ltalienische Erzahler, 1991) - Hindermann perde probabilmente la felicit à di que ll'humus dal quale negli anni precedent i era ve nuta crescendo una poesia che faticava ora a rinnovarsi e - per difetto d i una critica miope - a riscontrare un più vasto riconoscimento. N el 2000, una plaquette privata intito lat a Fiori fa regist rare un re pent ino scarto nel panorama della poesia hinderma nniana, un'unica scossa con la quale il poeta, alle soglie dell'ottantesimo compleanno e del vent unesimo secolo, abbando na le certezze e i privilegi d i un trentennio per rimette rsi in d iscussio ne. La metrica libera - libera nei versi, nelle st rofe e nelle ri me - in cui il basilese dispo neva, in gettate di sintassi cont inua, la propria mat eria poetica, si raggruma improvvisamente, s'irrigidisce nella fo rma met rica più breve della tradizio ne letteraria italiana, quella composta d i soli t re versi, un q uinario e due endecasillabi cementati da uno schema fisso di rime e asso nanze. Forma chiusa, dunque, que lla dello st o rnello po po lare, variamente educato da poeti colti (memorab ile il «Fior tricolore» a suggellare Rime e ritmi carducciani) , forma resistente, indocile, oppost a alla malleabilità della ((forma non fo rma», di una poesia (<invertebrata». Sottomettendosi alle leggi dello sto rnello, subito affia ncato d alla d icit ura montaliana di ((mottetto», Hindermann risponde all'esigenza d i una maggio re densità concett uale, resa ormai indifferibile dalle ragio ni del tem po e dalla quete esistenziale: ((invecchiando si risale

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INCONTRO CON IL POETA FEDERICO I IINDERMANN

all'infanzia e si tende a ridurre tutto all'osso: forse si possono spiegare così le mie poesie [i mottetti]. Quanto alla leggerezza, è vero, ma c'è anche molta aria condensata: è tutto ristretto in tre versi!» Non c'è frattu ra con la fluente poesia di un te mpo, come d imostra la continuità insita nei concetti di «infanzia» e <<vecchiaia», di po lpa e «osso», di «riduzione» e «condensazione». I contenuti rimangono quelli di un te mpo ma sono sottoposti da un canto a scarnificazione e dall'altro a ossificazione, senza la quale una poesia già «invertebrata» svanirebbe. Il poet a ci tende così la chiave di lettura di una repentina metamo rfosi che no n si risolve nel prosc iugamento ma che consiste pure in una fiera conquista di struttura. Da Fiori (2000) ai più recenti mottetti, di cui Federico Hindermann ha voluto o maggiare il presente fascicolo, passando per M ottetti per stornellatori (2002), Girandola di f arfalle (2006), Gira la mola (2007) , In usufrutto (2008) , Altri m ottetti (2008-2009) , lo stornello si viene via via em ancipando dai caratteri del modello popolare per dare pie no spazio a un discorso dal quale il mo ndo naturale, che incarnava la prima poesia, è o rmai scomparso. N e lle ventisette sillabe m etriche, rispettosamente occhieggianti alle diciassett e dell'haiku, camp eggia nettamente il pensie ro del saggio sost enuto da una cultura filosofica e t eologica le cui fonti classiche, scritturali, liturgiche, patristiche sono spesso menzionate a mo' di amplificazione del senso oltre i limiti spaziali del compo nimento. Allo stesso scopo sono o rientate le sottili elaborazioni foniche, le frasi ellittiche, l'intertestualità, il ricorso a proverbi, l'uso di vocabolario espressionista, di concetti astratti inizianti con maiuscola o riuniti da lineetta, ecc. Alla lezione/lettura e alla misurazio ne dei "segni", la nuova poesia di Hindermann privilegia l'illuminazione sintetica, l'apoft egma in cui si chiude l'esperienza di una vita «in ascolto», «in at tesa». N ella t ra nsizione d alla metrica libera allo sto rnello-mottetto tut to cambia e nulla cambia: cambiano le proporzio ni tra esprit géométrique ed esprit de finesse, bilanciati però dal gioco incroc iat o delle fo rme e dei concetti, ma no n cambia la tensione verso un Dio che rimane mist erioso e incomprensibile, sia che si abbraccino gli strumenti de lla ragio ne sia c he ci si affidi alle risorse dello spirito. Fatta salva quella poetica, la fede manca tuttora, anche se dalla contemplazio ne analitica del mondo parrebbe di essere o ra in presenza di una sintetica meditazio ne su di esso. C iò che affascina e interroga il letto re è che nel volgere d i appena t re anni (2000-2002) , dall'uso esclusivo e t rentennale della metrica libera si passi all'uso esclusivo de llo st o rnello. Scelte e fedeltà metriche così radicali - di cui no n conosco altro esempio nel pano rama della letteratura

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MATTEO M. PEDRO N I

italiana - non possono non eccedere il significato puramente formale per assurgere a dichiarazioni esistenziali. Che cosa ha significato per Hindermann pubblicare centinaia di poesie senza mai discostarsi dalla metrica libera? Se in origine ci fu una scelta, a questa scelta egli pare non aver voluto contravvenire come a una legge, come se l'elezione di una forma la cui identità è la variazione gli s'imponesse come un dato di fatto, come una realtà tanto inoppugnabile quanto imperscrutabile. Quasi che la logica di un'uniformità multiforme fosse immanente alla poesia come all'esistenza, una non-scelta, libertà condizionata. Dietro l'a pparente passività metrica si celerebbe forse «chi - come scriveva Citati - cercava di scomparire tra i tavoli e i libri, come se scomparire fosse il suo desiderio supremo» e - aggiungerei - come se scomparire (il "diradarsi" visto sopra) fosse l'unico modo per scrutare il mistero? Nella molteplicità de l reale si scorge l'ordine divino: nella metrica libera scompare la volontà dell'io e s'accampano i «segni» della rivelazione, la volontà di Dio. Ma se questa fosse la più profonda motivazione, quale sarebbe allora il senso ultimo della scelta dello stornello? La densità che impone la vecchiaia - come risponde l'intervistato - e che prelude al silenzio dell'agognato «faccia a faccia»? Oppure il vecchio poeta, portando alle estreme conseguenze l'insegnamento dei profeti - che nella maturità gli avevano ispirato una poesia al conte mpo docile e ferma nei confronti di Dio, poesia dell'indagine e della d evozione, Docile contro - rompe l'alleanza e affronta il C reatore sconvolgendone la legge e uscendo allo scoperto? L'ossuto storne llo è forse un gesto di sfida squadrato al Cielo, un atto di volontà in cui si t enta un estre mo avvicinamento al Senso? Al visitatore che gli ponesse quest e domande Federico Hindermann risponderebbe con un sorriso seguito da un «ma sì», che sgonfia dolcemente la protervia e invita alla modestia, a un pudico silenzio. Nel congedarsi, il poeta propone di riprendere la discussione un poco più ava nti, non molto pe rò, ché il tempo stringe. Si ritira nel suo studio dove non giungerebbero le risa o i gridi dei bambini che attendono la guarigio ne dalle mani pazienti del figlio, pediatra; ma la porta insonorizzante resta aperta.

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INCONTRO CON IL POETA FEDERICO HINDERMANN

Note N el redigere queste pagine ho preso spunto da incontri con, da opere di o da saggi su Federico /-lindennann, che qui elenco nell'ordine in cui appaiono nel testo: Pietro Citati, Notizia, in F.H., Quanto silenzio. Poesie 1972-1976, Milano, All'insegna de l pesce d'oro, 1978. Nell'opera di F.H., Adolf Portmann viene ricordato alme no una volta in Un pugno di mosche, Locarno, ANAedizio ni, 2003, p. 58. Per approfondime nti sul profilo biografico e intellettuale di F.H. mi pe rmetto d i rinviare al mio saggio: Poeta e traduttore. Per un ritratto di Federico /-lindennann, in Poeti traduttori nella Svizzera italiana, Atti de lle giornate internazionali di studio - Alta Scuola Pedagogica, Locarno, 2-3 d icembre 2008, a cura di Silvia Calligaro, Bellinzona, Quade rni di Poesit, 2009, pp. 111-140 . La lette ra di F.H. a Hesse è conservata alla Biblioteca Nazionale Svizzera, Hesse-

Archiv, Ms L 83. La lettera di A lbin Zollinger a F.H. si legge in A. Zollinger, Briefe, hrsg. und kommentiert von S. Weimar, Zi.irich-Mi.inchen, Artemis, 1987, pp. 402-403. Le primissime poesie, in tedesco, di F. H. apparvero nel volume Gedichte, von H. R. Balmer, R. H. Blaser, F. Egger, M. Freivogel, Fritz Hindermann, Hans R. Linde r, Basel, Turm-Verlag, 1940. I fascico li dattiloscritti Qualche poesia del ... sono conservati alla Biblioteca Nazionale Svizzera, Fondo A. Jenni. «Se Hindermann vivesse a Milano [...]»: ringrazio Fabio Pusterla pe r avermi messo a disposizione il suo saggio intitolato Al di fuori di questo mondo. Schede per un dibattito improbabile (in corso di stampa). Per il binomio «fam a-fame» vedi l'inte rvista rilasc iata da F.H. a F. Pusterla in «Feuxcroisés», n. 6, 2004, p. 132. I versi sulle "lezioni" sono t ratti dal volume delle Poesie, p. 19 e 35. Fabio Pusterla, Quelques questions à Federico /-lindennann, in «Feuxcroisés», n. 6, 2004, pp. 128-129: «On pourrait hasarder cette ex plication: les mots pris un à un sont absolume nt précis, mais les rapports logiques qui les lie nt e ntre eux sont ouverts au m ystè re de la complex ité». L'anima che quadrata si legge in Poesie, p. 23; )'«elisir di preghie re» in Cercasi alibi (Poesie, p. 202) . La figura d i Giona che esce dalla bocca del pesce è riprodotta sulla copertina di F.H., Fugsam dagegen I Docile contro. Gedichte, ltalien isch und deutsch, Ausgewahlt und i.ibersetzt von Anto ne lla Pilotto, Mit eine m Vorwort von Fabio Pusterla, Zi.irich, Limmat Verlag, 2009. L'applicazione delle «corrispondenze» alla poesia di F.H. è stata proposta da C itati, Prefazione, in F.H., Quanto silenzio, Parma, Guanda, 1992, p. 10: «Qualche volta, come gli antichi, Hindermann scopre le corrispondenze; le mele re nette, sparse nel

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MA"TTEO M . PED RONI

suo giardino, trovano un'eco ne lle ste lle de l c ie lo».

La plaquelle Fiori, c m 14.5 x 10.4, no n è datata, ma la sua ristampa all'inte rno delle Poesie, pp. 247-252, reca la data 2000.

La parente la stretta tra il "m ottetto" di Hindermann e quello di Montale è stata dapprima ev ide nziata da Alessandro Martini nella Premessa a F.H., Girandola di farfalle, Locarno, Dadò, 2006. La dichiarazio ne di F.H. sulla densità de l mo tte tto è compresa nell'inte rvista rilasciata a Yari Be m asconi, consultabile in fevo7hinderm aoo print htm.

www c ulturact if c h/ Hvredumois/

Pe r gli svilu ppi dello sto rnello hindermanniano si vedano due miei articoli: Farfalle senz'ali, fiori senza stelo. Storia e stile degli stornelli di Federico H indemiann, in Voci poetiche nella Svizzera italia na, Atti delle giornate inte rnaz io nali di studio, Centro Ste fa no Franscini, Ascona - Alta Scuola Pedagogica, Locarno, 14- 15 novembre 2007, A c ura di M. M. Pedroni, Bell inzona, Casagrande, 2008, pp. 138- 156; e Ma non sen vien satollo. ,Gira la mola• di Federico Hindermann, in «Cenobio», 2008, 2, pp. 59-71. L'e logio de lla brev ità e concentrazio ne de ll'haiku rispetto alla propria poesia e ra espresso in Per Issa , per Satoyo, apparsa ne ll '85: «un richiamo / d iciassette sillabe; più lungo il mio, I troppo» (Poesie, p. 172) . Anche nella poesia capita d'imbatte rsi in questo suo tipico «ma sì» o magari in un «mah».

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Federico Hindermann · Selezione antologica Ad Erlangen, provavo Ad Erlangen, provavo a trasmettere un po' di vertigini attirandoli nella novella del Grasso Legnaiolo, non l'imbroccavo, in altro modo se le procuravano, fumavano Mao, Marcuse qualche spinello, c'erano le discoteche psichedeliche, i sit-in, lì accanto le sedi di riesumate Verbindungen, caute, però con le bevute, su comando, di birra, i cori, i duelli e le cicatrici in faccia da esibire, tutta la liturgia teutonica di finti studenti borghesi ottocenteschi, mentre fuori , altrettanto finti proletari agitavano aste, striscioni, bombole spray, trattavano sindacalmente se leggere tre, se cinque canti del Leopardi e perché Montaigne quando già Brecht annunciava il progresso, inneggiavano a guru, più o meno -isti o neo-, paleo-, ancora più neo-, marxisti, massi-minimalisti, centristi, cristiani o no, comunque poveri cristi, come ne sarò stato uno anch'io, prof essorando, l'eros pedagogico di rado elargiva la grazia, sfuggiva come le monetine con cui imboccavo il telefono nelle cabine di vetro alla posta centrale, aperta fino a mezzanotte, allineato con turchi, G.!. della guarnigione, negri e bianchi a vociferare notizie, come stai, sto bene, qui piove, «dans un mois, dans un an» torno in congedo, se Dio vuole, la Germania, mah, dimmi piuttosto di te. [da Quest'episodio, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1986, pp. 78-79 (ora in Poesie, p. 228))

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FEDERICO HINDERMANN

Pensa un petalo Pensa un petalo, mai avremmo saputo inventarlo d'un tulipano in fuoco, sovrasta il fondo del calice appena col fregio puntuto sulfureo e nero-notte nel grembo dove s'inabissa: fuori svampante, plissé finissimamente quasi solei!, lingua riversa alla luce, contro o non contro, assetata protesa per lambire che sgorgo lontano, bagliore già denso, unirsi, te quiero, tacito amore, piaci gottgefallig come in tanti svariati linguaggi si tenta sfiorando, sfiorendo di dire. [da Poesie, p. 235)

Nel grigiore Lo specchio in cui si dice che scuro vediamo il segno apparire, parola che nasce imperfetta, come la gazza spuntava tra le vampate di nebbia saliente là su il Righi e il nero zigzagava col bianco, fugace da cima in cima agli abeti, quale riflesso saremmo prima di svanire in due, essa le ali agitate, io senza, sostando e già ci confonde chi forse osserva come brevi vivemmo vicini nel grigiore che ci freme intorno. [da Poesie, p. 164)

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SELEZIONE ANTOLOGICA

L'anima che quadrata L'anima che quadrata tra sgorbi di bottoni e l'ombelico ferma configuravo nei pupazzi, non più l'indovino, non così da tanto, ma solo incerta vagante quale profumo d'attimo: impellicciata nel balzo del gatto, fiato di luce nell'arcobaleno che tende levandosi il colibrì. Dicono che strani medici pesino degli umani nel trapasso un calo di ventisette grammi. Nella scia ne spande due l'uccello trasvolando il mare da un'America all'altra, quanto se stesso cede all'immenso, stremato come non sue ormai fossero più le palpebre delle ali che sbattono nell'o cchio del ciclone. Se gioia o se terrore non è chiesto. Nel limite s'ingloba la ragione. Dal limite s'irradia e circonfonde chi vede e chi è visto tutt'in uno sguardo che uguale brilla nel toporagno e in Beaux-yeux tigrata che me lo porta in dono ancora vivo. Forse le fusa e lo stridìo non sono che voci di un'unica bontà. [da Quanto silenzio. Poesie 197i--76, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1978, pp. 41-42 (ora in Poesie, p. 2i)]

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FEDERICO HINDERMANN

Per la lezione di biologia Non ho mai scorto il gufo vomitare i boli di borra che trovavo nell'abetaia; disciolti nell'acqua bollente, con le pinzette vi coglievo gli ossi, ricomponevo del topo lo scheletro e incollavo sul foglio ultima la mandibola schiusa come mangiasse. Per la lezione di biologia questo bast ava. Non seppi chiedere perché la fame. [da Quanto silenzio. Poesie 1972-76. Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1978, p. 29 (ora in Poesie, p. 19)]

Dove s'addensano i segni Dove s'addensano i segni più mi dirado per lasciarli soli a comporre un senso, una loro vicenda carovaniera, st ele o menhir e pietrame infine placato dal suo collasso di magma. Fede che non professo, mi basti l'apparizione di un pettirosso, ciliegina o cuore sorto senza spiegare perché dal ghiaccio di gennaio alla finestra. [da Ai ferri corti, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1985, p. 18 (ora in Poesie, p. 169)]

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SELEZIONE ANTOLOGICA

Trottola Trottola che rapina in un sibilo giri e ricordi, frustata coinvolge noi due lontani, l'a ttimo unico adesso, unico allora, e stramazzando ubriaca sul lastrico, tiene addensato il peso di quanto fummo amorosi. [da Trottola, Milano, All'insegna del pesce d'oro, 1983, p. 9 (ora in Poesie, p. 8.i)]

Senza sospetto Senza sospetto ch'io pensi una lucertola lancia la lingua biforcuta nel sole e mi fissa; senza paura che mi divori, aspetto, da millenni aspetto una persona amica, non una parvenza così straniera nella calura, essa brunaverdastra, io bianchiccio in questo dolce vivere insieme, con t empi per tutti e due vorticosamente contati, non mi giova pensare. [da Ai ferri corti, Milano, All'insegna de l pesce d'oro, 1985, p. 13 (ora in Poesie, p. 161)]

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FEDERICO I-IINDERMANN

Una stilla C he straripando, un'ondata da qualche fondale ai tuoi piedi de ponga nel conchigliato muggire, il bisbiglio di delfini in aiuto ai naufraghi, della balena bianca, Moby Dick, cacciata e che caccia, i cantici, di quelle scure da cui si salvarono Giona e Pinocchio, ammonimenti e che da tanto confabulare, se accosti l'orecchio (il lobo, scusami, non è perfetto), una parola si concreti, spicchi come una perla e da un c'era una volta, da una fiaba in cui qualcuno ci somigliava, sgusci un ricordo, ti avvinca o almeno di ornamento ti sia, una stilla. [da Quest'episodio, Milano, All'insegna del pesce d'oro,

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1986,

p.

19

(ora in Poesie, p.

190))


SELF21ON E ANTOLOGIC A

Mottetti (inediti, 2009) D a quale sponda lontana giunge, e quaggiù si sente l'eco divino? Di lacrime gronda.

Minimo moto sei, sarai, cenno d'oltrecarnale bagliore d'alba già verso l'Ignoto.

L'onda d'un no me si liscia, crest a di fama s'affloscia, e l'orgoglio sbiscia non si sa come.

Tanto sparpaglio di lumi lassù, noi est errefatti: l'avrà Chi voluto? Siam qui per sbaglio?

Certo di niente, t entenna, spia se albeggi, lo sp era: troppo umile, oppur impaziente?'

D'essere devi a chi vuo l e puote; dai bassifondi carnali, Luce, fin p er no i ti levi.2

(C'è un affiat o di luce sonante, lassù ci ride, ringrazia, esulta tutt'il C reato.)

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FEDERICO HINDERMANN

* Stridon cornacchie, sporcano il cielo, la vista lassù; che lacrime ci laveran 'ste macchie?

Pochi se stesso si senton sicuri mortali vivi: il tempo s'e terna ogni adesso.

* Vita 'corretta' non basta; ci vuole un digestivo: il vino me la fa non troppo stretta.

In quale limbo molti e vari 'vivemo in disio'3? Non so; più vecchio vengo, più rimbimbo.

C ielo mareggia, lascia re litti d i dèi e profeti, e l'animale solingo s'ingreggia.

* Se di sottecchi dubbiosi: si sogna che siamo vivi o dall'Eterno nascenti mai vecchi?

La tartaruga si sveglia dopo un lungo inverno: e guarda il suo complice in fuga.

Vo ix vaudeville de Nerval: "La nuit sera noire-blanche" et l'éclat de Sylvie, rien que l'idylle?

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SELEZIONE ANTOLOGICA

Vita d'assaggio, e poi? Tra feste nuziali, lutti, figlioli, musica: per C hi l'o m aggio?

* G ente 'distinta': nata sporca, pigra; ma ora si lava, perché? O siamo qui tutti per finta?

Bussa la porta socchiusa dei vivi o trapassati: Francesco d'Assisi ti fa da scorta.

Lascia le lagne, la melanconia, va, vuota il sacco: pesan a tutti chissà che magagne.

Dai bassifondi notturni risali, sbocchi, sei G iona: spe ri che t utto di sole s'imbiondi.

Q uell'Ippogrifo svolazza in sogno, s'alza, ricade; sveglio non sa se si fa un po' schifo?

U n imbecille sa di non esser mai lasciato solo: gli amici sono millanta mille.

L'ultima sp iaggia: luce t'accieca, non sai se t i salva, distrugge, mite dove t'inoltraggia.

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FEDERICO H I NDERM ANN

Da vivi un bluff, oltre chissà? Si spera, si va e poi ... robetta, come sono i sogni: stuff.

Tutta la t ruffa la vivi, la fa i, complice-vitt ima di C hi t'impone la tragedia buffa.

* Pizzica l'aria, alza le mani: s'arrende, sta muto; sa che la vita è sempre precaria.

* Dispari, pari van via gli amori, Venere st rabica sbircia dall'alto noi proletari.

* G ringo e grasso sovrappeso nato, poi dimagrito d'Amore, incenerito t rapasso.

Al centro cela C hi sorprende, di vora, e perdona i suoi fedeli nella ragnatela.

* Mele sicure? Q uella d'Eva, d'Adamo tenta, noi ne s'addenta, siano sporche o pure.

Bianco e nero: varia la gam ma di ogni amore; come si sa qual è l'unico vero?

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SELEZIONE ANTOLOGICA

Tra le venture si sosta; non si capisce s'è vero che le vicende sono chiare? scure?

Che sicumera crederti vivo me ntre sei la larva d'una farfalla◄ notturna chimera.

Antiche fauci schiuse, teschi ridenti, rivivi: e noi sogniamo Filemon e Bauci.

Alla fontana eterna5 torna, ringrazia la carne! Surviva l'anima risorta sana.

Se mai s'imperna l'orario sfuggente, fisso ci mostra come il momento sempre s'eterna.

Fìdati, spera contro speranza nel buio tracima dal bassofondo un'alba s'avvera.

Tuorlo e chiara sguscian gemelli ab ovo; né fritti né à la coque, più nulla li separa.

Chiara e tuorlo divisi, Chi li costringe, ringalla: combacian à jour, ma vuoti nell'orlo?

PROFILI •

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FEDERICO HINDERMANN

* Tra sempre o mai

le Pari de Pascal; si cade knock out. Tu scegli nel dubbio l'ambiguo viavai?

Firma matusa esposto a vari colpi: cervello, cuore? Mah! E del disturbo si scusa.

* A dolcecollo s'inghinda, alza la cresta, s'illude d'e sser chicchechì; vecchio è, un pollo.

* Qualche Lolita s'accorge che tu l'ammiri; goyesca desnuda le spalle; gode la vita.

* Sricciola l'onda, il sai marino brilla d'arabeschi; ride la luna ed è notte fonda.

* Canta, Catlina la carmagnola, el Rubio sorride; noi qui allegri balliam la manfrina. ";°r

Tra squilibrati dove t'appoggi? Ieri, domani: via! L'Oggi: vigilia6 ; per tutti noi nati.

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SELEZIONE ANTOLOG ICA

Note 1.

Albe rt Béguin.

2.

Dante, Pd XXXIII 67, «o somma luce che tanto ti levi».

3. Dante,

lf 1v 26 passim.

4. Psyche, mariposa, butterfly: e timologie varie, be lle.

5. Dante, Pd xxxi 89, 93. 6. Dante, Pd xxvi 74: «sì nescia é la subita vigilia».

PROFILI •

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(RE)VERSI Jacques Dupin

Ateliers 1

notizia

Jacques Dupin, nato ne l 1927 a Privas nell'Ardèche e dal 1944 residente a Parigi, è considerato uno dei maggiori poeti francesi del secondo dopoguerra. Ha collaborato a d iverse riviste letterarie (tra cui «Empèdocle» e «L'Ephèmè re»), è stato dal 198 1 uno direttori della parigina Galerie Lelong. Ha stretto amicizia con numerosi artisti (Giacometti, Mirò, Alechinsky, Tàpies ecc.) , per i quali ha scritto saggi critici e allestito mostre e cataloghi. Alcuni di loro hanno illustrato sue opere. È autore di o ltre una ventina di raccolte poetiche e altrettanti libri d'arte. Dopo Cendrier du voyage (con cui esordisce nel 1950) si segnalano: Gravir (1 963), Dehors (1 975), Les Mères (1986), Chansons troglodytes (1989), Echancré (199 1), Le grésil (1 996) , Ecart (2000) e Coudrier (2006) . Nel 1988 ha ricevuto il Grand Prix nationa l de Poésie. È stato tradotto in italiano da Delfina Provenzali (Divenire della luce, antologia, Garzanti, 1986, Nulla ancora, tutto onnai, Dadò, 1994) e da G ilbe rto !sella (Comba oscura, Lietocolle, 2006). 'Ateliers è una sezione di ECART/ SCARTO (Paris, P.O .L, adottata riproduce que lla dell'originale.

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2000).

La trascrizione qui


Atelier (tradotto da Gilberto ]sella)

notizia Gilberto !sella, poeta e critico, è nato nel 1943 a Lugano, dove ha insegnato italiano nel Liceo cantonale e alla SUPSI. Membro di redazione della rivista di c ultura «Bloc notes» e vice-presidente del Pe n club della Svizzera italiana, collabora a vari giornali e riviste. Ha tradotto opere poetic he di Charles Racine, Dupin, Daive, del lettone Rokpelnis, e curato gli scritti inediti di Mario Marioni. Tra i suoi libri di poesia: Le vigilie incustodite (1989) , Discordo (1993), Apoteca (1996), Nominare il caos (2001), In bocca al vento (2005) Corridoio polare (2006) e Taglio di mondo (2007). Nel gennaio 2007, al Teatro Spazio Noh'ma di Milano è stata rappresentata l'azione scenica Ibridazioni, ispirata ai suoi testi. Ancora per il teatro ha scritto Messer Bianco vuole partire (2008).

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JACQUES DUPIN

L 'atelier comme un immense cube d 'air / rais passent les fiu x et les liens d 'une énergie spectrale passent et se croisent les plans simultanés de l'écriture prismatique pour qu 'y tombe, succombe, un corps soulevé sublimé de soeur - du moins c'est ainsi qu 'elle m 'atteint, Jaucille étincelante sur les lames d'un parquet noir

un vent apre se lève à l'intérieur d 'un cristal de roche - toutes ses Jaces s'éclairent du reJus qu'un jet de chaux Jomente et pulvérise, rayant la langue, assouvissant le pli, éveillant

l'écho et la transhumance d 'un corps vulgaire langagier, par le mem e déploiement d'une symétrie qui l'engouffre un espace neuf dont scintillent les aretes et les lignes obscurément réfiéchies hors du mot pendu par les ongles

un peintre marche dans l'atelier il traverse mon sommeil soudain il meurt

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AT ELIER$/ ATELIER

L'atelier, un immenso cubo d'aria fresca dove passano flussi e legami di energia spett rale passano e s'incrociano i piani simultane i della scrittura prismatica per chi vi cade e soccombe, un corpo sollevato sublimato di sorella - almeno è così che lei mi raggiunge, falce scintillante sulle lame di un pavimento nero

un vento aspro si alza all'interno di un cristallo di roccia - ogni sua faccia è rischiarata <lai <liniego che uno schizzo di calce fomenta e p olverizza, scalfendo la lingua, saziando la piega, risvegliando

l'e co e la transumanza di un volgare corpo p arlante, e nel dispiegarsi di una simmetria che l'inghiotte un nuovo spazio, di cui scintillano gli spigoli e le linee oscu ram ente riflessi fuori dalla parola appesa con le unghie

un pittore cammina nell'atelier attraversa il mio sonno muore all'improvviso

(RE)VERSI

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JACQUES D UPIN

il est dehors il est toujours là où j'écris dans le vide

accroché à la peau de la toile tendue o d'une autre sèche envoittement de la voix brisée perforation de l'iris - qui me dessaisissent de l'ahanement de l'intensité

l'atelier c'est la soute c'est la clarière les liens survivants d'un noeud déchiré l'abattoir le théatre d'ombres et de proies autant qu'éclats de laboratoire

la parole se retire, son Jroissement, sa syncope lenteur incrustante dans l'atelier voracité d'un voyage acéré d'une errance volubile d'un balbutiement ou encore la traversée d'un massi! compact ajouré dans sa plénitude, allégé de ronces... d'un rocher surgi, fiable à la surface et dans le déchiquettement de sa crete exclue du village, du village serré oppressant des pots des brosses des tubes des chiffons des chassis des échelles l'image de l'amour se Jortifie et se volatilise derrière la toile, sous la verrière, et dehors

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ATELIERS/ ATELIER

è fuori è sempre là dove io scrivo nel vuoto

aggrappato alla pelle della tela tesa o di un'altra ormai secca sortilegio della voce spezzata p erforazione dell'iride - mi sento libero da affanni d'intensità

l'at elier è il deposito la radura i legami superstiti di un nodo lacerato il macello il teatro d'ombre e di prede altrettante schegge di laboratorio

la parola si ritira, il suo fruscio, la sua sincope lentezza che s'incrost a nell'atelier voracità di un viaggio affilato di un'erranza volubile di un balbettio o ancora la traversata di un massiccio compatto traforato nella sua pienezza, ripulito dai rovi ... di una roccia apparsa all'improvviso, friabile in superficie e con la cresta ridotta a brandelli esclusa dal villaggio, quel villaggio che stringe in una morsa vasi spat ole tubi stracci telai scale l'immagine amorosa si fortifica e si volatilizza dietro la t ela, sotto la vetrata, e fuori

(RE)VERSI

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JACQUES DUPIN

dans l'herbe, dans la bave des chiens sur la langue envenimée - des monstres du dehors

II Pablo Palazuelo

La traversée du tableau une conjonction de traits et de pensées qui se consume se dresse, commence dans le chaos et la nuit à ouvrir l'espace à l'espace à détacher le nombre de la nuée la traversée du tableau - une f ois réduite en cendres la lettre d'un nom camme la traversée très lente d 'un fl.euve très large et très lent sur une embarcation légère le Nil sur une felouque, un tapis de Perse, et la confl.uence, le parcellaire du voyage immobile, aimanté, d 'un carnet de notes au jour le jour une ligne s'élabore en reve et s'approfondit dans l'air

casse

sans jamais finir de commencer de naitre d 'engendrer l'espace d 'éveiller la couleur de s'éveiller en elle

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OPERA NUOVA 20 10/ 1


ATELIERS/ ATELIER

nell'erba, nella bava dei cani sulla lingua velenosa - dei most ri di fuori

II Pablo Palazuelo

Attraversare il quadro una congiunzione di t ratti e pensieri che si consuma s'innalza, comincia nel caos e ne lla notte ad aprire lo spazio allo spazio a staccare il numero d alla nube attraversare il quadro - non appena ridotta in cenere la lettera di un nom e come con est enuante lentezza att raversare un fiume larghissimo e lento sopra una barca leggera

il Nilo su una feluca, un tap peto p ersiano, e la confluenza, il det taglio del viaggio immobile, magnet ico, di un t accuino in costante aggio rnamento la linea elaborata in sogno e penetra nell'aria

si spezza

senza mai finire di cominciare nascere generare lo spazio risvegliare il colore risvegliarsi in se st essa

(RE)VERSI

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JACQUES DUl'IN

de renaitre sans étre née avec l'insistance, l'aile de l'engoulevent l'enjouement d'un adepte revenu de tout, idolatre d'une brindille ou d'un caillou, de l'élévation d'un chateau un trait absorbé par la ligne dès qu 'on la reconnait dans son corps et la délivre dans l'autre corps, ou monde trace, contre-trace, corps émondé monde incarné sur lesquels fonder, et peindre... Pour espace la ligne la couleur ne respirent qu'accouplées chaque mot perce le mur chaque mot incandescent chaque trait de toi à mai Jranchit un seuil une plaie vive où s'engouffrent les minutes de vent, et la verse d'un chemin Jrayé de la connaissance du battement le risque la lenteur du don de sai aux lointains dehors et dedans trait pour trait

Le perpétuel du retour d'une adhérence aux choses, à la vie le toucher du vivant dans l'éclair

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ATELIER$/ ATELIER

rinascere senz'essere nata con l'insistenza, l'ala del succiacapre con lo slancio dell'adepto disilluso che idolatra un ramoscello o un sassolino, un castello elevato il tratto assorbito dalla linea non appena sia riconosciuta nel suo corpo e liberata nell'altro, o mondo traccia, contro-traccia, corpo mondato mondo incarnato su cui fondare, e dipingere ... Per lo spazio la linea il colore respirano solo accoppiati ogni parola sfonda il muro ogni parola incandescente ogni tratto da te a me varca una soglia una piaga viva dove si riversano minuti di vento, e il flusso di un percorso tracciato della conoscenza del battito il risc hio la lentezza del donarsi ai lontani fuori e dentro tratto per tratto

Il perpetuo ritorno di un'aderenza alle cose, alla vita il tocco del vivente nel fulmine

(RE) VERSI

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JACQUES D UPIN

suppose une mort liminaire, un arret du coeur et chaque seconde chaque gorgée de vin chaque bouchée de terre et de nuit une implosion transparente qui va désagrégeant l'opacité ensemençant le corps et la toile afin que la parole se recompose dans la terre, s'ouvre un passage dans l'air acide et la reconstruction du souffie au-delà une très lente incorporation du Jeu une chimérique expatriation du Jeu intérieur aux bords extremes de la peinture, de la voix

III

Première heure du matin perçant l'angoisse du soleil le pigment se désaltère le pic-vert troue le volet la jambe tremble se dissout miaulements dans le Jour à pain une idy lle à contre-jour ce qui est noir sous la giace

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O PERA NUOVA 2010/

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ATELIERS/ ATELIER

suppone una morte preliminare, un arresto cardiaco e ogni secondo ogni sorso di vino ogni boccone di terra e di notte un'implosione trasparente volta a disgregare l'opacità inseminare il corpo e la tela affinchè la parola si ricomponga nella t erra, si apra un varco nell'aria acida e la ricostruzione del soffio più in là una lentissima incorporazione del fuoco un chimerico espatrio del fuoco interiore ai confini estremi della pittura, della voce

III

Mentre l'ora mattutina spezza l'angoscia del sole il pigmento si disseta il picchio verde fora l'anta la gamba trema si dissolve miagolii nel forno da pane un idillio in controluce nero sotto il ghiaccio

(RE)VERSI

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JACQUES DUPIN

lame de tarot portrait robot du peintre assassin une ténèbre accrochée à ses basques comme un cheval

sous le pin la terre est tendre et ruisselle de couleurs une ténèbre accrochée à la poutre dans l'atelier

la simplicité se décompose tout le Joutre de l'ocèan ne lavera jamais la fiaque de sang suicidaire circonscrite tatouée sur le solei[ cou coupé danse elliptique des chèvres aurore boréale rayon vert jet de sable sur la dépouille du mort un tableau le peintre qui manque me serre me donne à moudre le grain les yeux Jermés rudement sarclent et ensem encent l'ingratitude de la trame le souffi,e tournoie et relève un pari, un paradis, parricides

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OPERA NUOVA 2010/ 1


ATELIER$/ AT ELIER

lama di tarocco ritratto pittore assassino robot una t eneb ra aggrappata alle sue falde com e un cavallo sotto il pino la terra è morbida e gronda di colori una tenebra sospesa alla trave nell'a telier la semplicità decomposta nemmeno la furia dell'oceano potrà mai lavare la p ozza di sangue suicida circoscritta tatuata sul sole collo tagliato danza ellittica delle capre aurora boreale raggio verde lancio di sabbia sulla spoglia del morto un quadro

il pittore assente mi stringe mi riempie di assilli gli occhi chiusi con asprezza sarchiano e spargono semi la t rama ingrat a

il soffio volteggia e raccoglie la scommessa, un paradiso, parricidi

(RE)VERSI

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JACQUES DU PIN

IV mort d'un ami David Femandez

Le refiux te soulève comme les étoiles contre la mer et le vif de l'écorce ouverte et la poussière imprégnée de senteurs sauvages qui embaument ton versant de nuit à l'extreme bord glissant

revenu l'oeil trace un trait un sillon énigmatique émonde la cible l'écho, l'aube de ta voix ton oeil vo-yant, venu à moi, revenu allé trop loin ... miroir brisé, ta naissance fieurs qui se retournent ta jeunesse ta renaissance parmi les éclats ainsi gravit la pierre la seconde, en silence le serpent de notre amitié dans la nuit

go •

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ATELIERS/ AT ELIER

IV m orte di un amico David Fernandez

Il riflusso ti solleva come le ste lle contro il mare e la scorza viva aperta e la polvere impregnata di aromi selvaggi che p rofumano il tuo pe ndio notturno al bordo estre mo fluttuante che ritorna l'occhio traccia un tratto un solco enigmatico ripulisce il bersaglio l'eco, l'alba della tua voce il tuo occhio veggente, venuto a me, di nuovo, troppo in là andato . .. specchio infranto, la tua nascita fiori che si rivoltano la tua giovinezza la t ua rinascita tra le schegge così s'inerp ica la pietra sulla seconda, in silenzio la serpe della nost ra amicizia dentro la notte

(RE) VERSI

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JACQUES DUPIN

le masque encagé dans le Jeu du Jour la griffe confondue avec le salpetre du mur pèsent trop clair contre l'énigme ta voix, un /ruit qui ne cicatrise pas, qui s'élève qui retombe en pluie étroite sourde et tremblée entre guitare et hautbois un grésillement qui me suit avec le soupçon avec une orange nous vivrons la vraie nuit ensemble

V Octavio Paz

Vague plus silencieuse que le re/lux qui assure la main pour une subversion des signes, sur un entablement d'étoiles que tu es le dernier à reduire à leurs traces dans l 'air spiral pulsion maitresse éclatée reprise et tendue elle oriente les Jorages du cri

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ATELIER$/ ATELIER

la maschera rinchiusa nel forno ardente il segno che si confonde col salnitro nel muro pesano con troppa evidenza contro l'enigma la tua voce, u n frutto che non si cicatrizza, che si alza solo per ricadere in pioggia fine sorda rastremat a t ra chitarra e oboe un crepitio che m i insegu e con il sospetto con un'arancia vivremo la vera notte insieme

V Octavio Paz

Onda più silenziosa del riflusso che assicura la mano per sovvertire i segni, sopra una cornice di stelle tu sei l'ult imo a rid urle alle loro t racce nell'aria spirale do minante pulsione esplosa ripresa e protesa o rienta le perforazioni del grido

(RE)VERSI

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JACQUES DUPIN

et déplisse la Jraicheur de chaque jour en train de naitre dans chaque trait, lance verte par l'ascendant du solei/

Capricieuse souveraine une lame tirant le corps halant l'épervier des images signant l'ellipse cruelle et glissant dans le travail du trait vayageant, tirant le corps la paupière, la pensée, de l'autre attisant chaque nuit le bitcher de la révolte, de l'errance, de la poésie de l'amour selon l'involution érudite et l'effroi modulé d 'une fl.itte lunaire ou de trois entaillés par le biseau de l'oeil la soif de naitre

Feuillet restreint

espace immense

convulsions, débord dont tu serais le signa l aquilin le Jerment spacieux d'une germination

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ATELIERS/ ATELIER

e toglie pieghe alla freschezza del giorno al suo nascere in ogni tratto, lancia verde lungo il sole in ascesa

Capricciosa sovrana una lama distende il corpo intacca lo sparviero delle immagini segna l'ellisse crudele e scivola nel lavorio del tratto viaggia, distende il corpo la pupilla, il pensiero, dell'altro attizza ogni notte il fuoco de lla rivolta, dell'erranza, della poesia dell'a more seguendo l'involuzione erudita e lo spavento modulato di uno o tre flauti lunari smussati dall'occhio scalpello la sete di nascere

Foglio stretto

spazio immenso

convulsioni, sconfinamento di cui saresti il segnale aquilino lo spazioso ferm ento di una germinazione

(RE)VERSI

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JACQUES DU PIN

de signes - et la transgression terrestre d'un ciel à jeun comme une jetée sur la mer la mer le non-sens l'assiduité dans le rire des genoux de la bien-aimée inlassable est le refiu x - et la musique pour dissoudre les grumeaux du ciel ancien relancer l'activité, la souffrance de la pierre de sole i!

Si ta mère était le soleil... Jraicheur de la trace du serpent dans l'herbe èpaisse, et la méme brulante, sur une dalle de granit dans la lumière en ce point du simulacre où tu meurs, écrivant où tu vis, couteau-balance, d 'équivaloir au désir parfait tison perfectible pour un oeil aveugle et vivant hautes herbes ou pierre sèche seul, ou serpent, méditant l'immobilité d 'un sourir

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ATELIERS/ ATELIER

di segni - e il terrestre trasgredire di un cielo a digiuno come un molo sul mare l'a ssiduità il mare il nonsenso nelle ridenti ginocchia dell'innamorata instancabile il riflusso - e la musica per dissolvere i grumi del cielo antico rilanciare l'attività, la sofferen za della pietra solare

Se tua m adre fosse il sole . .. traccia di serpe nte che rinfresca l'erba folta, e la stessa m entre arde su una lastra di granito nella luce in questo punto del simulacro dove muori, scrivendo dove vivi, coltello-bilancia, per essere uguale al desiderio perfetto tizzone perfettibile per un occhio cieco e vivente erbe alte o solo pietra dura, o serpente, meditando l'immobilità di un sorriso

(RE)VERSI

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JACQ UES OUPIN

Le corps ondule et durcit une langue dissymétrique et dardée contre les eaux scintillantes l'orage étant ce qui nous vient encore et nous comble d'un lointain incorporé brindille par la tourmente clairière et fièche dans le jour écartelé

VI Lars Fredrikson

Configuration en exil sa pointe émeut la fieur du papier elle distribue tout autrement tirant du vide une immatérialité qui relance qui se détrace qui s'imprègne d'un infini concret, jouissance à la limite Juite en avant de la pointe ou du fil ouvrant à la soif un précipice grandissant

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ATELIER$/ ATELIER

Il corpo ondeggia e indurisce una lingua asimmetrica contro le acque scintillanti

scagliata

se il temporale ancora a noi torna e ci colma di un lontano incorporato ramoscello nella tormenta radura e freccia nel giorno straziato

VI Lars Fredrikson

C onfigurazio ne in esilio la sua punta scuote il fiore di carta distribuisce in tutt'altro modo estraendo dal vuot o una immat erialità che rilancia perde la propria traccia si impregna di un infinito concret o, estrem o godimento fuga in ava nti della punta o del filo nell'aprire alla set e un precipizio sempre più fondo

(RE)VERSI •

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JACQUES DUPIN

Lars à l'épreuve, à l'épure, au plus près il suffit de cliver l'esprit de plier la Jeuille trajectoire d'un grain de cendre dans la nuit comme - le mot comme a trop de jambages pour écrire le saut, le pli, l'aire silencieuse dont l Ientame sa pointe émeut la fl,eur du papier

De la triangulation lumineuse je n'ai pas gardé d 'image visuelle mais une forte émotion tactile, spatia le de son corps, sa tete, ses mains en effaçant les images non les figures - siennes, notres accoudés à l'antibe espace m arin

il Jallait gravir des pierres pour accéder à l'atelier, il Jallait devenir pierre tendre, poreuse et ponce infiniment pour etre vu et touché

je songe à Spinoza, au polissage des lentilles avant de voir, d 'etre vu

un géant sans ombre portée un énergumène de la transparence et son trait qui se retire incarne l 'invisible du signe le dernier mot de l'espace

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ATELIERS/ ATELIER

Lars alla prova, l'opera quasi finita bast a un brivido nella me nte e la piegatura del foglio t raietto ria di un granello di cenere nella notte com e - ah, t roppe gambe ha la parola come per scrivere il salto, la piega, l'area silenziosa che la frast aglia la sua punta scuote il fio re di carta

N o n ho conservato nessuna immagine visiva de lla triangolazio ne luminosa m a una forte emozione t attile, spaziale de l suo corpo, la t est a, le mani cancellando le immagini non le figure - sue, nostre appoggiate sullo sfondo marino d 'Ant ibes era necessario scalare pietre per accedere all'at elier, bisognava senza sosta farsi pietra t enera, p orosa, e po mice per essere visti e toccati

mi viene in mente Spinoza che pulisce le lenti prima di vedere, di essere vist o

un gigante senz'ombra po rtat a un energumeno della t rasparenza e il suo t ratto che si riti ra incarna l'invisibile del segno l'ultima paro la dello spazio

(RE)VERSI

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SCRITTURE SU SCRITTURE

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Creatività e risc rittura, tra mente e stile di Dario Como

i può insegnare ad essere creativi? Domanda affasc inante, ma indubbiamente impegnativa, anche perché ne nasconde almeno altre due: che cosa vuol dire essere creativi? o, pe r essere più precisi, che cosa succede quando si pe nsa di essere creativi? Vediamo allora se è possibile abbozzare delle risposte, tenendo presente il problem a della creatività nella scrittura e nella ri-scrittura. Ci sono almeno due atteggiamenti per rispondere a domande del genere. Il primo, quello scettico, consiste nel dire che il problema non andrebbe neppure posto: la creatività è qualcosa che non si può insegnare semplicemente pe rché non è un oggetto intellettuale socialmente diffuso, ma è riservato a pochi eletti. Per chi accetta questo modo di impostare il problema, la creatività è t utto sommato un fatto misterioso e impe netrabile e che comunque si risolve facendo l'appe llo di concetti come l'intuizione, la fantasia (nel senso non vichiano del termine) o addirittura l'illuminazione. Una tendenza contraria è invece sostenere che la creatività può essere descritta come un processo che porta il «creatore» alla realizzazione di qualcosa che viene avvertito da lui stesso o da qualcun altro come nuovo od o riginale. Così intesa la creatività consisterebbe di una serie di fattori generali e di alcune strategie specifiche. Ora, siccome la creatività può essere pensata come un p rocesso, capirla significa cercare di comprendere quali fasi le persone seguono nel porre in essere qualcosa che viene ritenuto «creativo». Ma, per seguire una pista del genere, è necessario partire da alcune ipotesi sul lavoro m entale (cognitivo) coinvolto nel lavoro di creazione. Queste ipotesi devono tenere conto di due fattori impliciti nel processo di creazione:

S

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DARIO CORNO

a. la creatività è un processo di tipo mentale che coinvolge la memoria, e cioè

il modo in cui sono accumulate nella mente delle persone le conoscenze e il modo in cui queste conoscenze diventano accessibili; b. la creatività non è un processo guidato da regole, non è cioè un processo «deterministico», per cui è possibile avere a portata di mano un algoritmo o una procedura effettiva di passi seguendo i quali sia possibile arrivare a un evento creativo. Posti questi fattori, è possibile distinguere almeno due processi mentali di creazione delle informazioni: potremmo chiamare il primo processo creatività debole e il secondo creatività forte. N el primo caso (creatività debole), il processo consiste semplicemente nel dire o nel fare qualcosa che non esisteva prima. È il caso della creatività linguistica rozza, per intendere quel processo che dà luogo a forme che sono nuove rispetto ai dati di partenza. Così, molto spesso una frase può essere «nuova» almeno nel senso che no n è mai stata pronunciata prima, pur essendo scarsamente creativa. O, per fare un altro esempio, si pensi al risultato di una moltiplicazione: posti due numeri è sempre possibile crearne un t erzo che costituisce il risultato del processo. Ma in casi del genere ciò che si ottiene è in varia misura previsto dai dati di partenza e dall'o peratore. Ma passiamo alla «riscrittura». Riscrive re è un esercizio potentemente creativo. Il primo riferimento è inevitabilmente quello degli Exercices du style di Raymond Queneau, cioè il sublime capolavoro delle riscritture ne l Novecento. È noto che esso è un complesso di variazioni a partire da un t est o-base sufficientemente banale (Un tizio incontra un tale su un mezzo di trasporto pubblico e lo rincontra poche ore dopo in una piazza di Parigi). Poniamo ora che il testo-base sia riscritto sottoponendolo al filtro della sostituzio ne di tutte le vocali delle sillabe toniche con una particolare: il risultato sarebbe creativo solo nella scelta dell'operazione, non nel risultato. È quest o il senso della creatività debole del primo caso del nostro discorso. Nel secondo caso (creatività forte), il processo consiste nel creare qualcosa che non si poteva immaginare potesse esistere prima, in quanto quello che si ottiene non era prevedibile sulla sola base delle regole di costituzione delle informazioni. E se la creatività debole sembra essere di tipo «deduttivo» nel senso che è sufficiente partire dalle regole per arrivare al risultato, la creatività forte segue il percorso contrario perché è di tipo induttivo ed è guidata da esempi. Così, quando Queneau decide di riscrivere il suo testo passandolo al filtro di un particolare atteggiamento valutativo riflesso in uno

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CREATI VITA E RISCRITTURA, TR A MENTE E STILE

stile specifico (ad esempio, quello del giovane universitario un po' ribelle e svagato), il risultato è imprevedibile perché di fatto crea un caso specifico di «infrazione» o, se si vuole, di adattamento delle regole linguistiche. Per capire meglio questa distinzione tra due tipi di creatività, proviamo a considerare le due frasi seguenti: (1) Io il caffè lo prendo sempre senza zucchero (2) Il mare è il sudore della terra

Nel primo caso (1), siamo di fronte a qualcosa di creativo almeno nel senso che ci si presenta un enunciato particolare che è frutto di un'esperienza altrettanto particolare e in questo senso «nuova», ma che dipende semplicemente dal collega re un contenuto esperienziale a una forma che ne rende p ossibile la comunicazio ne. Nel secondo (2) 1 la m etafora di Empedocle è di tipo affatto diverso, intanto perc hé è un'enunciazione a vocazione universale e poi perché collega due esperienze in una t erza che le trascende entrambe, al di là di una lettura letterale che punti sulla «salinità» e sulla «traspirazione» come t e rmini intermedi. Per riassumere, la contrapposizione tra due tipi di creatività, debole e forte, sembra reggersi su distinti orientamenti: nel primo caso, l'esperienza diventa comunicabile in quanto traduce il pensiero in forma; nel secondo caso, invece, si comunica una forma che crea un pensiero, com e è indicato nella t abella 1: tipo

creatività debole

creatività forte

orientamento p rocesso metodo

sulla forma guidato da regole deduttivo

sul contenuto guidato da modelli induttivo

tabella

1.

Caratteristiche della creatività debole e forte

Naturalmente, di fronte a schematizzazio ni di quest o genere, si può correre il rischio di essere troppo decisi nel tagliare i contorni dei fenom eni, anche se va detto che questa contrapposizio ne può dimostrare una sua utilità proprio per la didattica della scrittura, come vedre mo. Per il momento torniamo sul problema, ricordandone i principi-guida e verificandone la consistenza sul piano pratico. Indipendentemente dagli esiti della creatività (debole o forte, nuova od originale), esiste una serie di principi-guida che vale la pena di ricordare:

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DARIO CORNO

a. «il processo mentale che dà origine alla creazione non parte dal nulla, ma ha bisogno di alcuni dati di partenza su cui operare» (principio di accessibilità ai dati); b. «c'è un insieme di restrizioni preesistenti o di criteri che vincolano l'atto creativo, sia di tipo testuale (generi), contestuale (situazioni) o cognitivo (operazioni mentali)» (principio delle restrizioni); c. «il risultato del processo è vissuto come nuovo od originale rispetto a chi lo crea e a chi lo percepisce» (principio di originalità).

Questi tre princ ipi sono strettamente collegati e comportano alcune assunzioni sul tipo di lavoro me ntale richiesto da un atto creativo. Come è noto, in questi ultimi anni si sono moltiplicate le ipotesi interpre tative su questo lavoro mentale all'interno delle scienze cognitive, e c ioè di quelle scienze che si pongono il proble ma di descrivere come la m e nte e labora l'informazione. Quale che sia la prospettiva sotto cui operano questi modelli, è un dato di fatto che la creatività è un processo basato sulla m e moria. L'idea più semplice è sostenere che è c reativo ogni atto d'informaz ione che porta al recupero e alla rielaborazione di informazioni che sono in qualche modo rappresentate nella memoria. Da questo punto di vista, «creare» è subire l'effetto della propria m e moria, in base al peso che le proprie esperienze passate hanno risp etto alla situazione con cui ci si confronta. La consegue nza più vistosa di un'impostazione di questo genere è sostenere c he la «creatività» non è dopotutto che un modo nuovo di formulare «vecchi problemi». La t eoria che meglio di altre ha elaborato queste concezioni di fondo è que lla proposta da R. P. Abelson e R. C. Schank e dalla loro nozione di script, ne ll'ambito delle ricerche sull'Intelligenza Artificiale (in un famoso libro de l 1977). Sostanzialmente, uno script è un particolare formato di rappresentaz ione che organizza nella memoria le esperienze di vita quotidiana di una persona. Il fatto c he si abbia ripetuto accesso a esperienze simili fa sì che l'atto di interpretazione delle conoscenze sia regolato da strutture astratte che conservano gli eventi, i personaggi e le scene più tipiche (e cioè più generali ed astratte) di una data situazione. Così, se pensiamo alla scena «sala d'attesa» questa scena sarà ospitata in un insieme di script che possono variamente coinvolgere le stazioni, lo studio del m edico o del commercialista, ma anc he le case editrici, le università e alcuni studi televisivi. In ogni caso, la scena comporterà l'o rganizzazione di una serie di eventi che sono richiamati nel momento in cui una data situazione «accende» uno script specifico. G li script sono dunque organizzazioni ordinate di scene ripetute della vita quotidiana, che lavorano sul piano del contenuto e agiscono come

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CREATIVITÀ E RISCRITTURA, TRA MENTE E STILE

potenti fonti di controllo delle aspettative generate da una specifica situazione. Sono, in altre parole, dei «regolatori di inferenze», nel senso che predispongono la m ente a richiamare tutti quei dati che sono pe rtinenti in un contest o specifico. Più tecnicamente, gli script funzio nano come «generatori automatici di spiegazio ni rispetto a scene dat e», in quanto provvedono a pianificare il lavoro di interpret azio ne delle pe rsone quando hanno a c he fare con il processo di collegam ento dei dati testuali. Poniamo m e nte ad esempio a una delle più cele brate esercitazio ni antiche dei die progumnasmata, cioè di quelle attività di scrittura che il retore imponeva ai propri stude nti dando la consegna di riscriverle secondo una consegna specifica. Quintiliano nella sua lnstitutio ne ricorda una famosa nell'antichità: (3) «Crate, quando vide un giovane ineducato, ne percosse con la verga il maestro»

Se si chiede, po niamo, di riscrivere inserendo una «subordinata relativa», potre mmo ottenere qualcosa come: (4) «Crate, che vide un giorno un fanciullo maleducato, percosse con una verga il suo maestro»

Ma è uno script quello d i c ui ab b iamo bisogno pe r «spiegare» il test o, giustificando l'azione di C rat e in base a infe re nze causa-effetto previst e nel formato di rappresentazio ne (compito di un educat o re, è educare be ne i propri allievi; se questo no n avvie ne, ergo il maestro ha fallito nel suo compit o, e rgo si giustifica l'azio ne di C rat e). Se no n si hanno script del gene re, diventa un'impresa il compito d i capire anche un breve testo com e (4), pe rc hé risulta im possibile trovare una spiegazione. O sserva Schank: « What

has creativity to do with explanation? Everything. When we come up with a new explanation we are being creative•

[«Che cosa ha a che fare la creatività con la spiegazione? Tutto. Q uando ci troviamo di fro nte a una nuova spiegazione, siamo creativi»]. M a, se gli script p ossono funzio nare com e spiegazio ni crist allizzat e (o p rincipi di interpre tazio ne) che regolano l'accesso e il ric hiam o in me m oria dei dati pertine nt i, è possibile sost e nere che esisto no spiegazioni c rist allizzate , com e i proverbi, i d etti m em orabili, gli esempi e in

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DARIO CORNO

genere le chria, che altro non sono se non testi cristallizzati in cui sono racchiusi dei principi di spiegazione. Si tratta insomma di strumenti particolarmente adatti al lavoro creativo perché dirigono sul contenuto, fanno ragionare sulle analogie e funzionano come modelli di comportamento cognitivo. Ma torniamo al problema della «creatività forte». In che modo è possibile collegare script e creatività orientata al contenuto? È che, se si accetta la concezione secondo cui «creare in modo forte» significa dare forma a un pensiero originale, non è possibile sostenere che questo pensiero sia già in qualche modo presente nella mente di chi crea. La soluzione consiste allora nello spostare il problema dai singoli script al collegamento tra script. L'originalità, nella sua essenza, si esprime nel lavoro di collegamento mentale tra organizzazioni di conoscenze che risultano separate (e il tutto avviene secondo nuovi formati di rappresentazione che Schank chiama MOP o «memorie organizzate per pacchetti» e TOP o «punti di organizzazione tematica»). Gran parte della comprensione creativa consiste dunque nella capacità di istituire dei nessi tra situazioni diverse, situazioni che sono richiamate sulla base d i <<ipotesi di similarità» (analogie). Ad esempio, com'è che l'episodio di Paolo e Francesca si potrebbe collegare con Romeo e Giulietta, e quest'ult imo con West Side Story? Tentare di rispondere a domande di questo tipo significa sollecitare collegame nti tra le conoscenze depositate in memoria, aprire circuiti me ntali originali e, grazie a questa apertura, vedere vecchi problemi (vecchie st o rie, ad esempio) nella luce di nuove configurazioni. Il cuore di c iò che intendiamo con la parola «creatività» st a nella capacità di giustificare - spiegandoli - questi nuovi collegamenti ed è in questo processo che probabilmente risiede l'essenza stessa di ciò che si intende pe r pensiero. La creatività è un atto dell'intelletto che dà forma alla corrispondenza che si può inst aurare tra oggetti e figure (reti) mentali diverse. L'osservazio ne è stata fatta a suo te mpo da G.B. Vico, quando ha affermato ingenium Jacultas est in unum dissita, diversa conjungendi («L'ingegno è la faco ltà di unificare cose separate, di congiungere cose diverse») per riferirla soprattutto alla fanciullezza, dato che nei fanciulli è più vivida e robusta la fantasia - la capacità di ragionare per immagini - e la memoria, che è gemella della fantasia. Ora, se ci riportiamo all'esercizio della chria che ci ha trasmesso l'antichità, più sopra ricordato, non è difficile vedere come l'invito a riscrivere le massime o gli aneddoti da tramandare fosse sostanzialmente un invito a sperimentare un tipo di creatività del tutto analogo a quello che abbiamo

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OPERANUOVA 20 10/ 1


CREAT IVITÀ E RISCRITTURA, TRA M ENTE E STILE

designato con l'espressione di creativit à «forte». Anche in questo caso, il problema per l'apprendista scrittore creativo è quello di porre in correlazione - attraverso una consegna - due t esti: la fonte dell'esercizio e il testo che ne deve risultare secondo la consegna specifica. L'abilità consiste nel saper mantenere, modificando la forma, il senso del testo (creatività debole), ovvero, variando i contenuti (ad esempio nella reJutatio), nel saper dar vita a pensieri nuovi e originali (creatività forte). Scrivere da questo punto di vista è sempre <<confront are»: la mente con lo stile.

SCRITTU RE SU SCRITTURE

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Gli autori di Opera Nuova

I collaboratori di Opera Nuova

Fabiano Albo rghetti 2010/ 1 Jacques Dupin 2010/ 1 Federico Hindermann 2010/i Elena Jurissevich 20 10/i Flav io Stroppini 20 1 0/i

Raffaella Castagnola 2010/ 1 Luca C ignetti 2010/ 1 Dario Corno 2010/ 1 G ilberto Isella 2010/ 1 Matteo M. Pedroni 2010/ 1


Primo festival di poesia e polo culturale a Lugano dal 1997

Con il patrocinio della

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Festival POESTATE edizione 2010 vi aspetta da giovedi 3 a sabato 5 giugno Patio Palazzo Civico - Piazza Riforma, Lugano e domenica 6 giugno Chiesa San Rocco, Lugano entrata libera

Informazioni: POESTATE, C.P. 4510, 6904 Lugano CH info@poestate.ch www.poestate.ch Armida Demarta, direzione e organizzazione, fondatrice del progetto festival POESTATE

POESTATE ® Lugano Svizzera


finito di stampare nel mese di gennaio 20 10



ISSN 1663-2982 ISBN 88-901363-7-5 CHF 30.Euro 25.-


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