LATINITAS
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PoNTIFICIA ACADeMIA LATINITATIS
IN CIvITATe vATICANA MMxv
LATINITAS
SerIeS NovA
PoNTIFICIA ACADeMIA LATINITATIS ProveHeNTe
seriem nouam edendam curat
IvANvS DIoNIgI
adiuuantibus PAvLo D’ALeSSANDro et MArIo De NoNNo
DoCTorvM CoLLegIvM
MArIvS De NoNNo - MIreLLA FerrArI
gvILeLMvS KLINgSHIrN - MArIANNA PADe - SergIvS PAgANo
THeoDorICvS SACré - MANLIvS SoDI - MICHAeL WINTerboTToM
CorreCTorvM CoLLegIvM
Franciscus M. Cardarelli - Paulus d’Alessandro
Nicus De Mico - valerius Sanzotta
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« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA :
L’ePISToLA 107 DI SeNeCA e LA CONSOLATIO CICeroNIANA
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
Non si può pervenire in cima alla montagna
senza passare per vie difficili e scoscese ;
non giungere alla virtù senza che costi assai sforzi e fatiche.
Confucio
1. L’ePISToLA 107 CoMe ePISToLA CoNSoLATorIA
La lettera 107, come del resto gran parte del ricco epistolario senecano,
non è stata commentata recentemente1 e ha ricevuto attenzione dalla critica
soprattutto in quanto nella sua parte finale ( §§ 10-12 ) ci tramanda la famosa
traduzione senecana dell’Inno a Zeus di Cleante, testo importantissimo per
l’ideologia stoica, ma anche molto significativo per la personale rielaborazione senecana2. esaminandone la prima parte nel suo complesso ci auguriamo di poter offrire un ulteriore contributo anche alla valutazione delle
modalità del percorso filosofico-terapeutico senecano, che prende avvio da
elementi occasionali e contingenti per aprirsi poi a temi di portata generale
e concludersi infine con un messaggio universale3 fortemente segnato dallo
stoicismo4.
La prima parte della lettera trae spunto e occasione cronachistica da una
vicenda personale e privata del destinatario : Lucilio aveva evidentemente manifestato al filosofo il suo turbamento per aver ‘perduto’ alcuni dei suoi schiavi,
che erano fuggiti5, cioè quindi lamentava, secondo la concezione antica, di es1
essenziale, ma spesso utile, è il commento di SUMMerS 1913, pp. 330-333 ; così MAZZoLI
1989, p. 1842 sintetizza efficacemente il contenuto della lettera 107 : « La formula stoica contro
gli infortuni contiene la premeditazione e l’adesione volontaristica all’ordine del fato ».
2
Sull’Inno a Zeus e la sua rielaborazione senecana basti rimandare a SeTAIoLI 1988, pp. 70-82.
3
In particolare si segnala affinità con il tema affrontato nel De vita beata, 15, 5 ( citato infra,
n. 62 ), sia per l’impiego insistito di metafore militari sia per l’approdo al tema del deum sequere
( vd. epist. 107, 11 ).
4
In via di mera ipotesi si potrebbe anche supporre un legame tra le due parti dovuto ad un
influsso della teoria consolatoria di Cleante, sommariamente enunciata in Cic. Tusc. III 76 « Sunt
qui unum officium consolantis putent malum illud omnino non esse, ut Cleanthi placet », una
teoria applicata da Seneca nella Consolatio ad Helviam per sostenere che l’esilio non è un male
( 4, 2 ) : « Hoc prius adgrediar quod pietas tua audire gestit, nihil mihi mali esse ».
5
Tanto più penosa e deludente la perdita, se l’atteggiamento di Lucilio verso gli schiavi era
quello messo in luce da Seneca nella epist. 47, 1 : « Libenter ex iis qui a te veniunt cognovi familiariter te cum servis tuis vivere : hoc prudentiam tuam, hoc eruditionem decet. “Servi sunt”.
Immo homines. “Servi sunt”. Immo contubernales. “Servi sunt”. Immo humiles amici. “Servi
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rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
sere stato privato di un bene materiale6. La reazione del filosofo lo richiama
ad una realistica valutazione dell’evento, non priva di qualche sfumatura ironica nei confronti del destinatario ( 107, 1 sg. ) :
Ubi illa prudentia tua ? ubi in dispiciendis rebus subtilitas ? ubi magnitudo ? Tam pusilla < te res > tangit ? Servi occupationes tuas occasionem fugae putaverunt. Si amici
deciperent ( habeant enim sane nomen quod illis noster error inposuit, et vocentur
quo turpius non sint ) * * * omnibus rebus tuis desunt illi qui et operam tuam conterebant et te aliis molestum esse credebant. Nihil horum insolitum, nihil inexpectatum
est ; offendi rebus istis tam ridiculum est quam queri quod spargaris < in balneo aut
vexeris > in publico aut inquineris in luto. eadem vitae condicio est quae balnei, turbae, itineris : quaedam in te mittentur, quaedam incident. Non est delicata res vivere.
Se l’occasione da cui si sviluppa la lettera può apparire molto banale ai nostri occhi e quasi irrilevante, non dobbiamo comunque dimenticare che il tema
del possesso di schiavi faceva parte del dibattito filosofico sul tema della povertà e del lusso, in relazione all’αὐτάρκεια del sapiens7, e che Seneca quindi ne
tratta abbastanza spesso nella sua opera : basterà ricordare come ne discuta
anche in relazione allo sviluppo di considerazioni autobiografiche sul tema
della paupertas dell’esule nella Consolatio ad Helviam ( 12, 4 « Unum fuisse Homero servum, tres Platoni, nullum Zenoni, a quo coepit Stoicorum rigida ac
virilis sapientia, satis constat : num ergo quisquam eos misere vixisse dicet ut
non ipse miserrimus ob hoc omnibus videatur ? » ), oppure ne metta in luce,
con una buona dose di spregiudicato realismo economico8, l’irrilevanza risunt”. Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae » ; vd. anche § 19
« rectissime ergo facere te iudico quod timeri a servis tuis non vis, quod verborum castigatione
uteris : verberibus muta admonentur. Non quidquid nos offendit et laedit ; sed ad rabiem cogunt
pervenire deliciae, ut quidquid non ex voluntate respondit iram evocet ».
6
Utile per il senso complessivo del passo un confronto con SeN. dial. Ix 11, 1-3 « Ad imperfectos et mediocres et male sanos hic meus sermo pertinet, non ad sapientem. Huic non timide
nec pedetentim ambulandum est : tanta enim fiducia sui est, ut obviam fortunae ire non dubitet nec umquam loco illi cessurus sit. Nec habet ubi illam timeat, quia non mancipia tantum
possessionesque et dignitatem, sed corpus quoque suum et oculos et manum et quicquid cariorem vitam facit seque ipsum inter precaria numerat, vivitque ut commodatus sibi et reposcentibus sine tristitia redditurus ». Altrettanto significativo è il confronto con la satira 13 di
giovenale, citata infra nel testo ; meno rilevante mi pare il rapporto con la tematica dell’ingratitudine nell’epist. 81, come suggerisce SUMMerS 1913, p. 330.
7
Si riferisce sicuramente a queste tematiche il ritratto del poeta che ci offre orazio in epist.
II 1, 119-123 « vatis avarus / non temere est animus ; versus amat, hoc studet unum ; / detrimenta, fugas servorum, incendia ridet; / non fraudem socio puerove incogitat ullam / pupillo».
8
è probabile, come osserva opportunamente CAvALCA SCHIroLI 1981, p. 91, che qui Seneca
faccia eco alla communis opinio padronale contemporanea in particolare per l’espressione « tot
ventres avidissimorum animalium tuendi sunt » ; quanto invece fosse sensibile alle esigenze di
uguaglianza Seneca lo dimostra nella epist. 47, su cui vd. ora almeno brADLeY 2008 e ArMISeNMArCHeTTI 2013 ; in particolare rilevante il confronto con 47, 5 « Deinde eiusdem arrogantiae
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
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spetto al tema del beate vivere appoggiandosi soprattutto all’esempio del cinico
Diogene9 nel De tranquillitate animi ( 8, 7-9 )10 :
At Diogeni servus unicus fugit nec eum reducere, cum monstraretur, tanti putavit :
“Turpe est, inquit, Manen sine Diogene posse vivere, Diogenen sine Mane non posse”.
videtur mihi dixisse : “Age tuum negotium, Fortuna, nihil apud Diogenen iam tui est :
fugit mihi servus, immo liber abii”. Familia petit vestiarium victumque ; tot ventres
avidissimorum animalium tuendi sunt, emenda vestis et custodiendae rapacissimae
manus et flentium detestantiumque ministeriis utendum. Quanto ille felicior, qui nihil
ulli debet nisi cui facillime negat, sibi ! Sed, quoniam non est nobis tantum roboris, angustanda certe sunt patrimonia, ut minus ad iniurias fortunae simus expositi.
Proprio il confronto con il passo del De tranquillitate animi, dove si teorizza
la necessità di un compromesso nella gestione equilibrata dei patrimoni e degli
schiavi, dimostra che Seneca nell’epistola 107 intende affrontare il tema in
modo radicale e non come un semplice consiglio comportamentale di buon
senso11 : la severa risposta senecana si articola secondo moduli consolatorii12,
proverbium iactatur, totidem hostes esse quot servos : non habemus illos hostes sed facimus.
Alia interim crudelia, inhumana praetereo, quod ne tamquam hominibus quidem sed tamquam
iumentis abutimur ». Nel contesto senecano di dial. Ix 8, 8 spicca anche l’immagine delle rapacissimae manus, un nesso che si legge solo in riferimento a Cicerone nella pseudosallustiana Invectiva in Ciceronem, 5, 5 « lingua vana, manus rapacissimae, gula immensa, pedes fugaces », una
descrizione quindi che assimila, potremmo dire, Cicerone ad un servus fugitivus. Per il retroterra cinico e diatribico del passo si veda il capitolo dedicato a dial. Ix 8, 7-9 nel lavoro di bArbArA DeL gIovANe, Seneca, la diatriba e la ricerca di una morale austera, in corso di stampa per i tipi
della Firenze University Press.
9
Cf. anche DIog. LAerT. vI 55, citato infra per esteso a n. 26 ; ePICT. ench. 12.
10
vd. eDWArDS 2009, pp. 155 sg.
11
Analogo consiglio era già nella breve epist. 96, dove ricorre la notissima formula « Atqui
vivere, Lucili, militare est » e che contiene anche l’immagine del parere deo come in conclusione
della epistola 107 : vd. in particolare §§ 1 sg. « Non feram me quo die aliquid ferre non potero.
Male valeo : pars fati est. Familia decubuit, fenus offendit, domus crepuit, damna, vulnera, labores, metus incucurrerunt : solet fieri. Hoc parum est : debuit fieri. Decernuntur ista, non accidunt. Si quid credis mihi, intimos adfectus meos tibi cum maxime detego : in omnibus quae
adversa videntur et dura sic formatus sum : non pareo deo sed adsentior ; ex animo illum, non
quia necesse est, sequor ».
12
La lettera viene semplicemente ‘catalogata’ tra le epistole consolatorie senecane dal bUreSCH
1886, p. 109 (che mi pare ancora la più completa raccolta di materiali), ma non esaminata, dato che
lo studioso prende in considerazione solo quelle relative alla morte, come le lettere 63 e 99; lo stesso
taglio critico è presente nella dissertazione di STUDNIK 1958, come nel più recente saggio di WILSoN
1997 ; WILCox 2012, pp. 157-174 e 195-197. Qualche cursorio confronto si legge solo in HoLLoWAY
2004, pp. 77 n. 115, 97-99 e 119, che si occupa di s. Paolo (autore cui peraltro non mi pare però che
Seneca offra « a striking parallel » come sostenuto da Holloway ). Piú vicina tematicamente, trattando della fuga di uno schiavo, la lettera di Paolo a Filemone, da leggere col commento di WeNgST
2008 : ringrazio per la segnalazione Sergio Audano, che si occuperà a breve del frammento ciceroniano della consolatio. Sulle consolazioni come genere si leggono importanti considerazioni in SCoUrFIeLD 2013 e AUDANo 2015 (con ricca documentazione bibliografica).
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
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anche se talvolta venati da qualche lieve ironia per la sproporzione tra la reale
entità della vicenda e la prostrazione dell’amico13, soprattutto rimarcata dalla
sottolineatura che l’evento è frequente e quindi non può come tale definirsi
inaspettato, come quando capita di essere spruzzati d’acqua in un bagno, o di
essere infastiditi nella folla o di rimanere infangati durante un itinerario di
viaggio14. I paragoni così banalmente quotidiani vogliono sferzare la sensibilità luciliana riconducendola verso l’oggettiva valutazione dell’evento, sottolineando realisticamente che non si tratta di un tradimento di amici15, ma
semplicemente di una situazione comune16, come viene ancora sviluppato
successivamente con la ripresa del tema del lamento che caratterizza la reazione di Lucilio : § 5 « “Servi me reliquerunt”. Alium compilaverunt, alium accusaverunt, alium occiderunt, alium prodiderunt, alium mulcaverunt, alium
veneno, alium criminatione petierunt : quidquid dixeris multis accidit ». Seneca quindi con tutta evidenza ricorre al topico motivo consolatorio, sintetizzato nella formula « non tibi soli »17, molto frequente in quanto si collega alla
necessità di confortare fornendo un’esemplificazione convincente de communi
hominum condicione18.
Seneca nella dialettica dell’epistola 107, pur trattando di un’aegritudo, che
possiamo definire ‘leggera’ quanto a motivazioni, attacca a fondo le inquie13
genericamente lo ps. Demetrio, 5, sottolinea che la lettera consolatoria può vertere su
qualsiasi argomento ‘spiacevole’.
14
L’elencazione dei fastidi della grande città e della sua folla emerge anche in SeN. dial. v
6, 4 « Quemadmodum per frequentia urbis loca properanti in multos incursitandum est et
aliubi labi necesse est, aliubi retineri, aliubi respergi, ita in hoc vitae actu dissipato et vago
multa inpedimenta, multae querellae incidunt : alius spem nostram fefellit, alius distulit, alius
intercepit ; non ex destinato proposita fluxerunt » ; benef. vI 9, 1 « Num quid est iniquius homine,
qui eum odit, a quo in turba calcatus aut respersus aut, quo nollet, impulsus est ? Atqui quid
est aliud, quod illum querellae eximat, cum in re sit iniuria, quam nescisse, quid faceret ? ».
SUMMerS 1913, ad loc. ne sottolinea genericamente l’affinità con atteggiamenti di Marziale e
giovenale.
15
In epist. 47, 16 Seneca ammetteva la possibilità di amicizia tra padrone e schiavi : « Non est,
mi Lucili, quod amicum tantum in foro et in curia quaeras : si diligenter attenderis, et domi invenies. Saepe bona materia cessat sine artifice : tempta et experire ».
16
Lo stesso atteggiamento già presente in SeN. epist. 96, 3 « vesicae te dolor inquietavit, epistulae venerunt parum dulces, detrimenta continua - propius accedam, de capite timuisti. Quid,
tu nesciebas haec te optare cum optares senectutem ? omnia ista in longa vita sunt, quomodo
in longa via et pulvis et lutum et pluvia ».
17
CIC. Tusc. III 79 « Ne illa quidem firmissima consolatio est, quamquam et usitata est et
saepe prodest : ‘non tibi hoc soli’. Prodest haec quidem, ut dixi, sed nec semper nec omnibus ;
sunt enim qui respuant ; sed refert, quo modo adhibeatur. Ut enim tulerit quisque eorum qui
sapienter tulerunt, non quo quisque incommodo adfectus sit, praedicandum est ». vd. in particolare MArINoNe 1967, p. 84.
18
Cf. CIANI 1975, pp. 120 sg. con esemplificazione tratta dalla tragedia greca. gli esempi
sono numerosi anche in poesia latina: ricordo solo LvCr. III 1024-1052: Hor. carm. I 28, 7-9. Sulla
sentenziosità espressa da locuzioni gnomiche con « multi » si sofferma JoHANN 1968, p. 64.
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
37
tudini del suo interlocutore, iniziando il suo atto terapeutico19 con forte slancio retorico, non privo di qualche venatura di sana aggressività. Infatti il motivo dell’‘ubi est/ubi sunt’20, topico nella patetica rievocazione della perdita di
persone care21, viene qui declinato in relazione alla perdita di virtutes peculiari
del sapiens che l’allievo Lucilio sembra aver smarrito : non sono certo virtù da
poco ( prudentia, subtilitas22, magnitudo ), anche perché proprio la prudentia
aveva caratterizzato per Seneca il comportamento di Lucilio nei confronti dei
suoi schiavi, come si evince dall’inizio della famosa epistola 4723. L’incalzare
della domanda retorica « Tam pusilla < te res > tangit ? » rimanda allo stile colloquiale24 e diatribico25, come il successivo e irridente « ridiculum est »26, e si
conclude con l’epigrafico e sferzante « Non est delicata res vivere »27, che sem19
Una recente e valida analisi delle strategie consolatorie di Seneca offre SeTAIoLI 2013 con
ampia bibliografia.
20
beCKer 1924, pp. 501-519 ; LIborIo 1960, pp. 141-209.
21
SeN. dial. xI 15, 1 « Illo omnis consolatio mihi vertenda est unde vera vis materni doloris
oritur : ‘ergo complexu fili carissimi careo ; non conspectu eius, non sermone possum frui. Ubi
est ille quo viso tristem vultum relaxavi, in quo omnes sollicitudines meas deposui ? Ubi conloquia, quorum inexplebilis eram ? Ubi studia, quibus libentius quam femina, familiarius quam
mater intereram ? Ubi ille occursus ? Ubi matre visa semper puerilis hilaritas ? ».
22
ben argomenta sul valore positivo della subtilitas anche ai fini del perfezionamento morale beLLINCIoNI 1979, p. 316, a proposito di SeN. epist. 95, 61.
23
vd. supra il passo citato a n. 5.
24
L’aggettivo « pusillus » è colloquiale, frequente in Seneca ( vd. DegL’INNoCeNTI PIerINI
2008, p. 178 ), ed è molto presente nell’epistolario di Cicerone : basti segnalare per es. Att. Iv 15,
4 « Hortalus in ea causa fuit cuius modi solet. Nos verbum nullum ; verita est enim pusilla, quae
nunc laborat, ne animum Publi offenderem ». vd. anche la conclusione della nostra epistola, 12:
« Hic est magnus animus qui se ei tradidit : at contra ille pusillus et degener qui obluctatur et de
ordine mundi male existimat et emendare mavult deos quam se ».
25
L’atteggiamento è consolatorio, nella misura in cui sferza il destinatario smontando il castello autoafflittivo che il consolando si è costruito ; in particolare possiamo confrontare nat. vI
32, 4 con berNo 2003, pp. 242 sgg. ; sul carattere di solacia di queste considerazioni, vd. ancora
berNo 2003, pp. 257, 272 e n. 116, 277-279.
26
La movenza ricorre solo nell’epist. 24, 22 sg. in due sentenze che secondo Seneca sarebbero derivate dall’obiurgatio di epicuro ( ma come nota SeTAIoLI 1988, pp. 189-190, non ci sono
paralleli greci anche se i concetti sono epicurei ) : « obiurgat epicurus non minus eos qui mortem concupiscunt quam eos qui timent, et ait : “ridiculum est currere ad mortem taedio vitae,
cum genere vitae ut currendum ad mortem esset effeceris”. Item alio loco dicit : “quid tam ridiculum quam appetere mortem, cum vitam inquietam tibi feceris metu mortis ?” ». Piuttosto
mi sembra interessante richiamare la sferzante risposta di Diogene il Cinico a proposito del suo
servo riportata in DIog. LAerT. vI 55 πρὸς τοὺς συμβουλεύοντας τὸν ἀποδράντα αὐτοῦ δοῦλον
ζητεῖν, « γελοῖον », ἔφη, « εἰ Μάνης μὲν χωρὶς Διογένους ζῇ, Διογένης δὲ χωρὶς Μάνου οὐ δύναται ».
27
ricorrendo al confronto con l’epistola 96 ( vd. supra n. 11 ) si chiarisce bene il senso dell’espressione : 4-5 “Sed volebam vivere, carere tamen incommodis omnibus”. Tam effeminata
vox virum dedecet. videris quemadmodum hoc votum meum excipias; ego illud magno animo,
non tantum bono facio : neque di neque deae faciant ut te fortuna in delicis habeat ... Itaque hi
qui iactantur et per operosa atque ardua sursum ac deorsum eunt et expeditiones periculosis-
38
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
bra voler mettere alle strette il destinario, trattato alla stregua di chi è appena
agli inizi del percorso stoico verso la sapientia. Quindi con salutare ed energico richiamo Seneca vuole scuotere l’amico Lucilio, che sembra ripiombato
nel vortice alienante delle sue occupationes, un Leitmotiv28 che costella il cammino del proficiens nel corso del dialogo epistolare e che caratterizza talvolta
gli incipit epistolari29 ; nella lettera precedente Seneca si era mostrato irritato,
proprio perché l’amico aveva attribuito i ritardi delle missive a suoi presunti
impegni pratici ( 106, 1 ) : « Tardius rescribo ad epistulas tuas, non quia districtus occupationibus sum. Hanc excusationem cave audias : vaco, et omnes vacant qui volunt. Neminem res sequuntur : ipsi illas amplexantur et argumentum
esse felicitatis occupationem putant ».
Nel ragionamento successivo si manifesta ancora più chiaro il carattere
consolatorio della lettera 107 e si innalza considerevolmente il livello argomentativo e stilistico ( §§ 2-4 ) :
Longam viam ingressus es : et labaris oportet et arietes et cadas et lasseris et exclames
“o mors !”, id est mentiaris. Alio loco comitem relinques, alio efferes, alio timebis : per
eiusmodi offensas emetiendum est confragosum hoc iter. Mori vult ? praeparetur animus contra omnia ; sciat se venisse ubi tonat fulmen ; sciat se venisse ubi
Luctus et ultrices posuere cubilia Curae
pallentesque habitant Morbi tristisque Senectus.
In hoc contubernio vita degenda est. effugere ista non potes, comtemnere potes ;
contemnes autem si saepe cogitaveris et futura praesumpseris. Nemo non fortius ad id
cui se diu composuerat accessit et duris quoque, si praemeditata erant, obstitit : at contra inparatus etiam levissima expavit. Id agendum est ne quid nobis inopinatum sit ; et
quia omnia novitate graviora sunt, hoc cogitatio adsidua praestabit, ut nulli sis malo tiro.
Non è permesso lamentarsi a chi procede nell’insidioso viaggio della vita30
durante il quale è naturale scivolare, incontrare ostacoli, cadere, sentirsi sfiniti,
invocare ipocritamente la morte31, così come in itinere si può perdere un compagno di viaggio, si può temere per un altro, dato che è proprio attraverso
ostacoli di questo genere che si deve raggiungere la meta di questo percorso
accidentato. Del resto l’uomo si trova a vivere nella parte del cosmo, « ubi
simas obeunt fortes viri sunt primoresque castrorum ; isti quos putida quies aliis laborantibus
molliter habet turturillae sunt, tuti contumeliae causa ».
28
SeN. epist. 22, 9 ; 55, 10 ; 75, 17.
29
SeN. epist. 62, 1 e 72, 2.
30
Sulla frequentissima metafora dell’iter vitae, vd. ArMISeN-MArCHeTTI 1989, pp. 361 sg. ;
LAverY 1980, pp. 151-155 ; gArbArINo 1996 ; CHAMberT 2005. Un’analisi solo filosofica fornisce
roSKAM 2005, pp. 60-98. Nella nostra lettera 107, vd. anche infra il § 10 « Quare inpigri atque alacres excipiamus imperia nec deseramus hunc operis pulcherrimi cursum ».
31
Interessante il passo euripideo che cita SUMMerS 1913, ad loc.: Alc. 669-672 dove, a proposito
dell’ipocrisia dell’invocare la morte, si osserva che quando essa si avvicina nessuno vuole morire.
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
39
tonat fulmen », dove cioè non mancano le perturbazioni atmosferiche32 a differenza del puro etere, che attende le anime beate33. Unico sicuro rimedio è la
« praemeditatio futurorum malorum »34, come appare ben sottolineato da Seneca con un insistito e accorto impiego di immagini caratterizzate dal preverbio ‘prae-’ : « praeparetur animus contra omnia » ; « futura praesumpseris » ;
« si praemeditata erant » ; « id agendum est ne quid nobis inopinatum sit »35.
L’acquisita consapevolezza della difficoltà della vita umana è l’unica áncora di
salvezza per chi si trova a vivere nella forzata convivenza col dolore, qui suggestivamente evocato con la citazione dei mali personificati, che popolano il
vestibolo dell’Ade virgiliano in Aen. vI 274 sg. ( Luctus, Curae, Morbi, Senectus )36, mali che non possono essere evitati, ma solo conosciuti e disprezzati
attraverso appunto un’accorta preparazione, che faccia superare una condizione pari a quella di un inparatus tiro37, il coscritto non ancora ben addestrato
a convivere nel contubernium, a coabitare con commilitoni sgradevoli come gli
inevitabili mali dell’esistenza e non ancora capace di combattere38.
32
vd. SeN. dial. v 6, 1 « Pars superior mundi et ordinatior ac propinqua sideribus nec in
nubem cogitur nec in tempestatem inpellitur nec versatur in turbinem ; omni tumultu caret : inferiora fulminantur. eodem modo sublimis animus, quietus semper et in statione tranquilla conlocatus, omnia infra se premens quibus ira contrahitur, modestus et venerabilis est et dispositus».
33
basti confrontare gli argomenti consolatorii cui dovrebbe ricorrere Polibio per consolarsi
della morte del fratello : 7, 1 « Ne itaque invideris fratri tuo : quiescit. Tandem liber, tandem
tutus, tandem aeternus est » ; 10, 3 « Si est aliquis defunctis sensus, nunc animus fratris mei velut
ex diutino carcere emissus, tandem sui iuris et arbitrii, gestit et rerum naturae spectaculo fruitur et humana omnia ex loco superiore despicit, divina vero, quorum rationem tam diu frustra
quaesierat, propius intuetur ». gli argomenti consolatorii sono qui posti a contrasto proprio
con i motivi della vita terrena come supplicium : 9, 6, citato infra a n. 73.
34
Sulla terapia della ‘praemeditatio’, di origine cirenaica, ma poi fatta propria anche dallo
stoicismo, si vedano MANNINg 1976 ( in particolare sull’epist. 107, vd. un cenno a p. 301 n. 3 ) ;
grAver 2002, pp. 157 sg. e 161 sg., e soprattutto ArMISeN-MArCHeTTI 2008 ( ma già 1986 ).
35
vd. Cic. Tusc. III 28 « Cyrenaici non omni malo aegritudinem effici censent, sed insperato
et necopinato malo. est id quidem non mediocre ad aegritudinem augendam ; videntur enim
omnia repentina graviora»; 29 «Haec igitur praemeditatio futurorum malorum lenit eorum adventum, quae venientia longe ante videris ».
36
Sul valore simbolico e l’importanza di questo passo in Seneca, vd. SeTAIoLI 1965, pp. 152-154,
e MAZZoLI 1970, pp. 223 sg. Immagini che ritornano nelle tragedie: da segnalare in particolare Oed.
vv. 1059-1061 «violenta Fata et horridus Morbi tremor, / Maciesque et atra Pestis et rabidus Dolor, /
mecum ite, mecum. Ducibus his uti libet», su cui vd. DegL’INNoCeNTI PIerINI 2012, pp. 99 sg.
37
La figura ideale del sapiens, la cui virtus lotta con la fortuna, è ben tratteggiata in epist. 120,
12 « Quomodo ergo hoc ipsum nobis apparuit ? dicam. Numquam vir ille perfectus adeptusque
virtutem fortunae maledixit, numquam accidentia tristis excepit, civem esse se universi et militem
credens labores velut imperatos subit. Quidquid inciderat non tamquam malum aspernatus est
et in se casu delatum, sed quasi delegatum sibi. “Hoc qualecumque est”, inquit, “meum est; asperum est, durum est, in hoc ipso navemus operam” ». vd. anche dial. vII 15, 5, citato infra n. 62.
38
Sull’uso delle metafore militari in Seneca molto si è scritto: vd. soprattutto LAverY 1980; ArMISeN-MArCHeTTI 1989, pp. 94-97; TrAINA 19874, pp. 67 sg.; LévY 2005, pp. 73-76; CerMATorI 2014.
40
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
Anche se la lettera 107 non mi risulta mai esaminata a fondo negli studi sulle
lettere consolatorie senecane, l’impianto deriva chiaramente da questa topica :
infatti per lo più si tende a considerare lettere consolatorie solo quelle che trattano il tema della morte39, mentre invece la gamma degli argomenti consolatorii si articola ben oltre tematiche di forte impatto come l’esilio40 e la malattia, per
arrivare ad una casistica più minuta e quotidiana, come ci testimonia chiaramente già Cicerone in un noto passo di Tusc. III 81 sg.41. La lunga trattazione ciceroniana mi sembra particolarmente pertinente, perché si sofferma soprattutto
sulla terapia per il ‘maximum genus aegritudinis’, il dolore per la morte di qualcuno ( Tusc. III 68 ), ma sottolinea anche che esistono su altri temi singole trattazioni più minuziose e limitate42 ; Cicerone sembra considerare con una certa
sufficienza queste scholae frutto per lui di forme di cavillosità greca, e precipue
in particolare dell’attitudine definitoria dello stoicismo43, e pertanto le valuta in
qualche modo marginali e opzionali per il suo interlocutore ( Tusc. III 826 « etsi
singularum rerum sunt propriae consolationes, de quibus audies tu quidem,
cum voles » ) naturalmente rispetto al nodo costituito dall’aegritudo nel suo complesso, che rimane al centro dell’impegno ciceroniano e che deve essere sempre
e comunque tenuta lontana dal sapiens44.
Contubernium implica una convivenza forzata e tumultuosa come in dial. Ix 11, 7, dove pure ci si
appella alla praemeditatio (vd. CAvALCA SCHIroLI, ad loc.): «Morbus est, captivitas, ruina, ignis: nihil
horum repentinum est. Sciebam in quam tumultuosum me contubernium natura clusisset ».
39
valide considerazioni in questo senso in WILSoN 2013, p. 94.
40
è appena il caso di ricordare che Seneca nei Dialogorum libri ci ha lasciato due consolazioni
sulla morte, ad Marciam e ad Polybium, e una ad Helviam matrem, nella quale consola la madre
per il suo esilio in Corsica.
41
Tusc. III 81 sg. «Sunt enim certa, quae de paupertate, certa, quae de vita inhonorata et ingloria
dici soleant; separatim certae scholae sunt de exilio, de interitu patriae, de servitute, de debilitate, de
caecitate, de omni casu, in quo nomen poni solet calamitatis. Haec graeci in singulas scholas et in singulos libros dispertiunt; opus enim quaerunt (quamquam plenae disputationes delectationis sunt);
et tamen, ut medici toto corpore curando minimae etiam parti, si condoluit, medentur, sic philosophia
cum universam aegritudinem sustulit, <sustulit> etiam, si quis error alicunde, extitit, si paupertas momordit, si ignominia pupugit, si quid tenebrarum obfudit exilium, aut eorum quae modo dixi si quid
extitit. etsi singularum rerum sunt propriae consolationes, de quibus audies tu quidem, cum voles».
42
Per quanto riguarda il tema de interitu patriae, è importante ricordare che Seneca vi dedica
una lettera, la 91, che è totalmente volta a consolare, attraverso Lucilio, ebuzio Liberale, il quale,
per l’incendio di Lione, si è trovato ad essere in una sola notte privato della patria: si veda quanto
ho scritto più ampiamente sul tema in DegL’INNoCeNTI PIerINI 2011. Su altri argomenti consolatorii, ricordo la trattazione de caecitate, della quale si occupa LILLo reDoNeT 2003.
43
Tusc. III 83 sg. « Sed ratio una omnium est aegritudinum, plura nomina. Nam et invidere
aegritudinis est et aemulari et obtrectare et misereri et angi, lugere, maerere, aerumna adfici,
lamentari, sollicitari, dolere, in molestia esse, adflictari, desperare. Haec omnia definiunt Stoici,
eaque verba quae dixi singularum rerum sunt, non, ut videntur, easdem res significant, sed aliquid differunt ; quod alio loco fortasse tractabimus ».
44
Tusc. v 29 « videamus qui dicendi sint beati. equidem eos existimo, qui sint in bonis nullo
adiuncto malo ; neque ulla alia huic verbo, cum beatum dicimus, subiecta notio est nisi secre-
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
41
La conferma che la tematica delle consolazioni fosse ampia e dedicata
anche a perdite materiali, come nella nostra epistola 107, ci viene da un testo
più tardo, ma che chiaramente dipende dalla topica della letteratura consolatoria, anche se si appropria in maniera scopertamente ironica della modalità
terapeutica di questi temi45, e cioè la satira 13 di giovenale, dove il poeta ‘consola’ Calvino per la perdita di un deposito, che non gli è stato restituito, quindi
per un danno economico come nel nostro caso ; basterà citare alcuni versi iniziali, 5-12, dove si enunciano chiaramente i topici principii del « non tibi soli »,
dell’inutilità del pianto, della limitazione di un dolore ritenuto eccessivo per un
vir e per la qualità stessa del danno subìto :
Quid sentire putas homines, Calvine, recenti
de scelere et fidei violatae crimine ? sed nec
tam tenuis census tibi contigit, ut mediocris
iacturae te mergat onus, nec rara videmus
quae pateris : c a s u s m u l t i s h i c c o g n i t u s a c i a m
tritus et e medio fortunae ductus acervo.
Po n a m u s n i m i o s g e m i t u s . F l a g r a n t i o r a e q u o
n o n d e b e t d o l o r e s s e v i r i n e c vo l n e r e m a i o r.
2. « CoNFrAgoSUM HoC ITer »
La metafora del viaggio così congeniale a Seneca per sottolineare i pericoli e le difficoltà incontrate dal sapiens46, si esalta anche attraverso l’allusione
alle difficoltà del percorso, sintetizzabile nel tema proverbiale « per aspera ad
astra »47, che è ben documentato nella tradizione letteraria a partire da un noto
passo esiodeo degli Erga, vv. 287-292 :
tis malis omnibus cumulata bonorum complexio. Hanc assequi virtus, si quicquam praeter
ipsam boni est, non potest. Aderit enim malorum, si mala illa ducimus, turba quaedam : paupertas, ignobilitas, humilitas, solitudo, amissio suorum, graves dolores corporis, perdita valitudo, debilitas, caecitas, interitus patriae, exilium, servitus denique. In his tot et tantis — atque
etiam plura possunt accidere — potest esse sapiens ; nam haec casus importat, qui, in sapientem potest incurrere. At si ea mala sunt, quis potest praestare semper sapientem beatum fore,
cum vel in omnibus his uno tempore esse possit ? ».
45
Si veda il recente commento di FICCA 2009, con la bibliografia ivi citata ; trovo confronti
utili anche in eDMUNDS 1972; KeANe 2007, pp. 32-37. Se ho ben visto, solo MorForD 1973, pp. 2729 valorizza brevemente il rapporto con l’epistola 107 di Seneca, sottolineando opportunamente
che «Whether Juvenal had this specific passage from Seneca in mind or not, it is clear that he has
been satirizing the consolations of philosophy, and he now turns to offer his own teaching as one
who has not learned from the philosophers, be they Cynics, Stoics, or epicureans ».
46
Per una trattazione generale del tema del viaggio, CHAMberT 2005, in particolare pp. 149-165 (un
paragrafo si intitola «Le confragosum iter», ma non approfondisce il valore specifico della iunctura).
47
vd. HoMMeL 1976, pp. 274-289 ; ToSI 201217, pp. 749-750 ( vd. anche alle pp. 750-751 la
trattazione della gnome « nil sine magno / vita labore dedit mortalibus » ).
42
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
σοὶ δ᾽ ἐγὼ ἐσθλὰ νοέων ἐρέω, μέγα νήπιε Πέρση.
τὴν μέν τοι κακότητα καὶ ἰλαδὸν ἔστιν ἑλέσθαι
ῥηιδίως : λείη μὲν ὁδός, μάλα δ᾽ ἐγγύθι ναίει :
τῆς δ᾽ ἀρετῆς ἱδρῶτα θεοὶ προπάροιθεν ἔθηκαν
ἀθάνατοι : μακρὸς δὲ καὶ ὄρθιος οἶμος ἐς αὐτὴν
καὶ τρηχὺς τὸ πρῶτον : ἐπὴν δ᾽ εἰς ἄκρον ἵκηται,
ῥηιδίη δὴ ἔπειτα πέλει, χαλεπή περ ἐοῦσα.
Interessante osservare che il passo esiodeo è brevemente richiamato nei
Commenta Bernensia a proposito di Lucano Ix 402, quando Catone, ispirandosi
ai principi dello stoicismo, cerca di confortare le truppe nelle asperità del deserto libico ( vv. 402-405 ) : « Serpens, sitis, ardor harenae / dulcia virtuti ; gaudet patientia duris ; / laetius est, quotiens magno sibi constat, honestum » ;
così leggiamo nel commento :
Stoicorum auctoritate sub honesti qualitate virtus accipitur. Inde Honoris et virtutis
templum est. ergo cum dicit gaudere asperis virtutem, < H >esiodi sententiam explicat : τῆς δ᾽ ἀρετῆς ἱδρῶτα θεοὶ προπάροιθεν ἔθηκαν / ἀθάνατοι. Quam Severus
ita scripsit ( FPL fr. 2 blänsdorf2 ) :
Ardua virtuti longeque per aspera cliva
eluctanda via est : labor obiacet omnis honori
Attraverso questa suggestiva e preziosa testimonianza scoliastica abbiamo
quindi la dimostrazione che un percorso gnomico, che parte da esiodo, viene
poi a saldarsi con una componente di tipo filosofico, stoico in particolare.
Molto illuminante in questo senso la resa del tema nel citato frammento del
poeta epico Cornelio Severo, amico di ovidio48, che stando al commento a
Lucano avrebbe rielaborato la sentenza esiodea : in questa sede e per ora49 ci
piace osservare che esiste quindi un paesaggio che potremmo definire implicitamente filosofico, dove risiede idealmente la Virtus50, sia esso descritto dai
poeti o in altri contesti prosastici almeno suggerito attraverso epiteti-spia, che
48
Il più ricco profilo con documentate analisi dei frammenti offre ancora DAHLMANN 1975 ;
utili considerazioni sul suo ruolo di poeta epico anche in PerUTeLLI 2000, pp. 140 sg. Mette in
luce i rapporti con Lucano MoreTTI 1999, pp. 239 sg.
49
Più ampie considerazioni sulla presenza di questi motivi a roma a partire dall’apologo di
Prodico di Ceo sto svolgendo in un lavoro dal titolo, provvisorio, I volti della Virtù dalla Grecia a
Roma, tra Cicerone e Seneca, oggetto già di una conferenza per il Dottorato Pegaso tenuta a Siena
il 14 novembre 2013.
50
evidenti le connessioni con l’apologo di ercole al bivio, risalente a Prodico di Ceo, dove
si mette in luce il difficile percorso della via della Arete : xeN. mem. II 1, 21-34, che riporta ampiamente l’apologo, parla delle difficoltà della via della virtù senza indugiare su notazioni descrittive paesaggistiche particolarmente dettagliate. Interessante è anche un fr. di Simonide
PGM 579, vv. 1-2 ἐστί τις λόγος / τὰν Ἀρετὰν ναίειν δυσαμβάτοισ’ ἐπὶ πέτραις, dove, al di là dei
problemi testuali, si evince chiaramente che, come in esiodo, si suggerisce una sede di Arete su
rocce scoscese ed inaccessibili. Me ne occupo più ampiamente nel lavoro di cui supra n. 49.
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
43
ne richiamano in emblematica ed allusiva sintesi la scabrosità e la pericolosità,
connessa per lo più51 con l’altezza impervia di uno scenario montano ( di questo paesaggio letterario si appropria allusivamente lo stoicismo ). In particolare si leggono in esiodo aggettivi come μακρὸς δὲ καὶ ὄρθιος οἶμος καὶ τρηχὺς,
mentre in Senofonte52, nella famosa ed estesa narrazione derivata da Prodico
di Ceo delle vie di ercole al bivio ( xen. mem. II 1, 29 ), si parla più genericamente di una χαλεπὴν καὶ μακρὰν ὁδὸν che conduce ad Arete53, e i latini per
parte loro impiegano per lo più aggettivi come ‘asper’, ‘durus’ e ‘arduus’54.
Del resto anche per il Catone di Lucano il deserto della Libia è il luogo climaticamente eccezionale in cui si può mettere alla prova ed esplicare la virtus,
e quindi anch’esso ‘paesaggio stoico’55.
Tornando all’epistola 107, è evidente che Seneca, osservando che, « per eiusmodi offensas emetiendum est confragosum hoc iter » ( § 2 ), si ispira a questo
importante filone gnomico. evocando un’umanità che misura faticosamente i
passi dell’iter vitae attraverso ‘inciampi’ ( offensae56 ) di ogni genere, restituisce
51
In realtà sia in esiodo che in Senofonte si allude alla difficoltà del percorso più che all’altezza, motivo che si legge in greco solo tardi, se non erro, a partire dalla Tabula Cebetis ( 15 ) e
da Quinto Smirneo ( v 6-101 ), dove si descrive ampiamente la collina della virtù ( vd. bASSeTT
1925 ). Per il tema dell’altezza in Seneca, vd. anche epist. 111, 3 « Quod in magnis evenit montibus, quorum proceritas minus apparet longe intuentibus : cum accesseris, tunc manifestum fit
quam in arduo summa sint ». Me ne occupo più ampiamente nel lavoro in corso di elaborazione di cui supra n. 49.
52
Sul rapporto fra esiodo e Prodico di Ceo, vd. WoLFSDorF 2008.
53
Mentre Kakia aveva precedentemente, in II 1, 23, definito la sua via in questi termini : ἐὰν
οὖν ἐμὲ φίλην ποιησάμενος, ἐπὶ τὴν ἡδίστην τε καὶ ῥᾴστην ὁδὸν ἄξω σε.
54
Ne fornisce una utile serie di esempi HoMMeL 1976, pp. 278 sg. Particolarmente interessanti alcuni passi di Silio Italico : oltre alla gnome di II 578 « Ardua virtutem profert via », in Iv
603 sg., riguardo alla battaglia della Trebbia, si legge « explorant adversa viros, perque aspera
duro / nititur ad laudem virtus interrita clivo», e le parole rivolte dalla Virtus al giovane Scipione
in xv 101-108 « Casta mihi domus et celso stant colle penates ; / ardua saxoso perducit semita
clivo. / Asper principio ( neque enim mihi fallere mos est ) / prosequitur labor. Annitendum intrare volenti, / nec bona censendum, quae Fors infida dedisse / atque eadem rapuisse valet.
Mox celsus ab alto / infra te cernes hominum genus. omnia contra / experienda manent, quam
spondet blanda voluptas ». Su Silio, vd. HeCK 1970, pp. 156-180.
55
Uso qui l’espressione ‘paesaggio stoico’ per il significato metaforico sotteso, e non per gli
aspetti della ipotizzata, ma non dimostrabile, dipendenza dall’etnografia di Posidonio, della
quale parla THoMAS 1982, pp. 108-123. Sulla virtù in questo passo di Lucano, si veda anche la
trattazione di SKLeNár 2003, pp. 84-94 ; della caratterizzazione paesaggistica del passo in relazione ad ercole al bivio si occupa MoreTTI 1999, pp. 237-241. Sulla concezione stoica senecana,
che mette in rapporto animus e locus, vd. epist. 51, 10, citata infra n. 63.
56
Su questo valore non molto frequente del termine, cf. [ QvINT. ] decl. II 21 ; HIer. hom.
Orig. in Luc. 21 p. 131, 14 ; HIer. psalt. sec. Hebr. 116, 8. Concettualmente vi corrisponde in Seneca il termine « punctiuncula » legato alla metafora medica : dial. vII 15, 4 « Quomodo hic potest deo parere et quidquid evenit bono animo excipere nec de fato queri casuum suorum
benignus interpres, si ad voluptatum dolorumque punctiunculas concutitur ? », passo che pre-
44
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
un’immagine non dissimile da quella suggerita già nel frammento di Cornelio
Severo ( « eluctanda via est » ), così come è evidente che il termine sul quale
grava maggiormente il peso dell’espressività senecana è « confragosus », ‘accidentato’, ‘impervio’. L’aggettivo, in traslato già di impiego plautino57, si incontra negli scrittori di agricoltura in relazione a terreni difficili da lavorare e
scoscesi58, e, particolare molto importante anche per il contesto senecano, è
frequente in uno storico come Livio, quando vuole suggerire accampamenti,
spedizioni o scontri su terreni molto impervi e difficoltosi59.
Seneca ne fa un uso limitato60, ma — quello che più conta — in contesti
emblematici per il pregnante messaggio stoico ; illuminante in particolare il
proemio del De constantia sapientis, dove, dopo aver stigmatizzato la differenza
tra gli Stoici e gli altri filosofi come quella intercorrente tra i due sessi, si avvia
a descrivere la virilis via per eccellenza, mettendo in luce le difficoltà del cammino, ma anche infondendo fiducia sulle possibilità di arrivare alla meta e concludendo poi il ragionamento con l’esempio di Catone ( 1, 3-2, 3 ) e la sua
esaltazione come eroe stoico campione della libertas61, superiore persino ad
Ulisse e ercole ( 1, 1-2 ) :
lude allo sviluppo dottrinale successivo, con l’ascesa difficile della virtus ( 15, 5 ) : « Illo ergo summum bonum escendat unde nulla vi detrahitur, quo neque dolori neque spei nec timori sit aditus nec ulli rei quae deterius summi boni ius faciat ; escendere autem illo sola virtus potest.
I l l i u s g r a d u c l iv u s i s t e f r a n g e n d u s e s t ; illa fortiter stabit et quidquid evenerit feret
non patiens tantum sed etiam volens, omnemque temporum difficultatem sciet legem esse naturae et ut bonus miles feret vulnera, numerabit cicatrices, et transverberatus telis moriens
amabit eum pro quo cadet imperatorem ; habebit illud in animo vetus praeceptum : deum sequere ». Tra i passi senecani in cui ricorre l’immagine della faticosa ascesa segnalo qui epist. 123,
14 «Non vides quam diversus sit descendentium habitus et escendentium? qui per pronum eunt resupinant corpora, qui in arduum, incumbunt. Nam si descendas, pondus suum in priorem partem
dare, si escendas, retro abducere, cum vitio, Lucili, consentire est. In voluptates descenditur, in
a s p e r a e t d u r a s u b e u n d u m e s t : h i c i n p e l l a m u s c o r p o r a , i l l i c r e f r e n e m u s ».
57
« Confragosus » implica ‘scabroso’ ‘difficile’ : PLAvT. Cist. 614 sg. « Sed ego illud quaero
confragosum, quo modo / prior posterior sit et posterior sit prior ? » ; Men. 591 « condiciones tetuli tortas, confragosas ».
58
vArro rust. I 18, 4 « ager ... confragosus atque arduis clivis » ; I 20, 5 ; CoL. II 2, 8. In NAev.
trag. 55 leggiamo : « in montes confragos ».
59
Mi limito a citare alcuni dei numerosi esempi: LIv. v 26 «mille fere passuum ab oppido castra locant, nulla re alia fidentes ea satis tuta esse quam difficultate aditus, asperis confragosisque circa, et partim artis, partim arduis viis » ; xxI 32 « castra inter confragosa omnia
praeruptaque qua extentissima potest valle locat » ; xxvIII 2 « confragosa loca, et obsiti virgultis
tegebant colles»; xxxII 4 «transeunti confragosa loca implicatasque flexibus vallium vias»; xLIv
3 « ceterum adeo ardua et aspera et confragosa fuit < via >, ut praemissi expedito biduo quindecim milium passuum aegre itinere confecto castra posuerint ». Comprensibile quindi anche la
fitta messe di esempi che leggiamo in Frontino : segnalo solo strat. II 3, 8 « in colle confragoso » ;
5, 19 « in montibus et locis confragosis » ; 30, 20 « in silvestria confragosaque loca se reciperent ».
60
vd. benef. v 12, 2 ; epist. 51, 10, cit. infra n. 63 ; nat. v 14, 2.
61
Su Catone e la libertas in questo passo, DegL’INNoCeNTI PIerINI 2014, pp. 171-173.
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
45
Ceteri sapientes molliter et blande, ut fere domestici et familiares medici aegris corporibus, non qua optimum et celerrimum est medentur sed qua licet : Stoici virilem
ingressi viam non ut amoena ineuntibus videatur curae habent, sed ut quam primum
nos eripiat et in illum editum verticem educat qui adeo extra omnem teli iactum surrexit ut supra fortunam emineat. « A t a r d u a p e r q u a e vo c a m u r e t c o n f r a g o s a s u n t . » Quid enim ? plano aditur excelsum ? S e d n e t a m a b r u p t a q u i d e m
s u n t q u a m q u i d a m p u t a n t . Prima tantum pars saxa rupesque habet et invii speciem, sicut pleraque ex longinquo speculantibus abscisa et conexa videri solent, cum
aciem longinquitas fallat, deinde propius adeuntibus eadem illa quae in unum congesserat error oculorum paulatim adaperiuntur, tum illis quae praecipitia ex intervallo apparebant redit lene fastigium.
L’umanità è chiamata anche qui a un percorso in ascesa62 e accidentato
( « ardua ... et confragosa » ), ma chi si è premunito ed ha seguito i dettami dello
stoicismo, non si sarà illuso di « amoena inire »63, e sarà quindi in grado di gettare il suo sguardo fino all’ultima meta, definendola non con i più una vetta
scoscesa, sconnessa e a precipizio, ma un « lene fastigium », una cima gradevole e accogliente : il passo successivo della gnome è naturalmente il percorso
fino al cielo, « ad astra », come si legge per ercole nell’omonima tragedia senecana, v. 437 « non est ad astra mollis e terra via ». è evidente nel contesto la
risonanza del tema di ercole al bivio, come in Lucano lo stesso Catone è posto
scopertamente di fronte ad un’alternativa simile a quella del semidio64 ; al di
Che la virtus richieda un’ascesa è immagine ben chiara in dial. vII 15, 5, già citato supra
n. 51. Altrettanto rilevante l’uso di ‘escendere’ nel capitolo del De providentia, dove si esalta la
figura di Fetonte : vd. 5, 10 sg. « vi d e q u a m a l t e e s c e n d e r e d e b e a t v i r t u s : s c i e s i l l i
n o n p e r s e c u r a v a d e n d u m . “Ardua prima via est ...” ( ov. met. II 63-69 ). Haec cum audisset ille generosus adulescens, “Placet”, inquit, “via, escendo ; est tanti per ista ire casuro”.
Non desinit acrem animum metu territare : utque uiam teneas nulloque errore traharis ... ( ov.
met. II 79-81 ). Post haec ait : “iunge datos currus : his quibus deterreri me putas incitor ; libet illic
stare ubi ipse Sol trepidat”. Humilis et inertis est tuta sectari : p e r a l t a v i r t u s i t ».
63
Interessante in particolare il confronto con l’epistola 51, 10 sg. « His cogitationibus intentum loca seria sanctaque eligere oportet ; effeminat animos amoenitas nimia, nec dubie aliquid ad corrumpendum vigorem potest regio. Quamlibet viam iumenta patiuntur quorum
durata in aspero ungula est : in molli palustrique pascuo saginata cito subteruntur. e t f o r t i o r
m i l e s ex c o n f r a g o s o ve n i t : segnis est urbanus et verna. Nullum laborem recusant manus
quae ad arma ab aratro transferuntur : in primo deficit pulvere ille unctus et nitidus. Severior
loci disciplina firmat ingenium aptumque magnis conatibus reddit. Literni honestius Scipio
quam bais exulabat : ruina eiusmodi non est tam molliter collocanda ». A livello di metafora
l’opposizione ‘amoena’ vs ‘confragosa loca’ si legge anche in QvINT. inst. v 8, 1 « Pars altera
probationum, quae est tota in arte constatque rebus ad faciendam fidem adpositis, plerumque
aut omnino neglegitur aut levissime attingitur ab iis qui argumenta velut horrida et confragosa
vitantes amoenioribus locis desident ». L’uso metaforico dell’immagine caratterizza anche altri
passi quintilianei : inst. I 1, 37 ; vI 1, 52 ; vIII 5, 29.
64
vd. quanto osservato supra, e la trattazione di MoreTTI 1999. Per una raccolta di passi sul
motivo di ercole al bivio in grecia e a roma, si veda l’ancora utile dissertazione di ALPerS 1912,
62
46
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
là di questo più scontato riferimento, mi pare importante sottolineare in Seneca soprattutto un’interessante analogia con la narrazione esiodea relativa
alla Arete, prima citata, dato che in esiodo, a differenza della narrazione senofontea derivata da Prodico di Ceo, ai vv. 289-292 leggiamo che « davanti alla
virtù gli dèi immortali hanno posto il sudore ; lungo e ripido è il sentiero verso
di lei, e scosceso all’inizio, ma quando uno giunge fino in cima, allora diviene
facile, pur essendo faticoso ». Lo stesso concetto è espresso in termini non dissimili anche nella conclusione di un’epistola, che si apre con l’evocazione di itinera e con la constatazione che è salutare sia l’attività fisica che intellettuale
( 84, 12 sg. )65 :
Praeteri istos gradus divitum et magno adgestu suspensa vestibula : non in praerupto
tantum istic stabis sed in lubrico. Huc potius te ad sapientiam derige, tranquillissimasque res eius et simul amplissimas pete. Quaecumque videntur eminere in rebus
humanis, quamvis pusilla sint et comparatione humillimorum exstent, p e r d i f f i c i l e s t a m e n e t a r d u o s t r a m i t e s a d e u n t u r. C o n f r a g o s a i n f a s t i g i u m
d i g n i t a t i s v i a e s t ; at si conscendere hunc verticem libet, cui se fortuna summisit,
omnia quidem sub te quae pro excelsissimis habentur aspicies, sed tamen venies ad
summa per planum. vale.
Anche in questo caso si mette in luce come il percorso verso l’altezza della
vera dignità non sia paragonabile alle pusillae res della vita quotidiana, alle invidie legate all’ascesa sociale rappresentata dalle case dei ricchi, prima evocate. Solo la ragione sarà in grado di rendere accessibile l’ardua salita e di far
apparire paradossalmente piana l’ascesa verso le alte vette.
3. DA CICeroNe A SeNeCA
Ma al di là dell’impiego pregnante dell’aggettivo ‘confragosus’ in contesti
rilevanti per il pensiero senecano, è importante ben valutare il nesso « confragosum iter », che è attestato in Seneca solo nella nostra epistola 107 per significare, in sintetica allusività, un percorso di vita che si snoda attraverso luoghi
impervi, emblema della vita difficile degli esseri umani che vedono il pianto66
come prima manifestazione di reazione alla vita.
L’unica altra attestazione del nesso prima di Seneca si legge in una testimonianza scoliastica di Lattanzio Placido a Stazio Theb. I 306 sg. :
da integrare con MoreTTI 2007 e MoreTTI 2012 ; per Seneca in particolare, vd. ora berNo, in
corso di stampa, e DegL’INNoCeNTI PIerINI, in corso di stampa, nonché il saggio in corso di elaborazione di cui alla n. 49.
65
Su questa lettera e l’interpretazione di Foucault vd. grAver 2014.
66
vd. SeN. dial. xII 4, 3 « Non vides, qualem nobis vitam rerum natura promiserit, quae
primum nascentium hominum fletum esse voluit ? Hoc principio edimur, huic omnis sequentium annorum ordo consentit ». Su questi aspetti pessimistici delle consolationes, è utile la trattazione di JoHANN 1968, pp. 58-63.
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
47
Qua pellere dulces / a( ut ) s( uadere ) i( terum ) ] somnos mortis somnos dulces dixit,
nam in vita dulces non sunt. Ut Cicero : “hoc iter vitae tam confragosum putamus,
[ vi ]tam plenum iniuriarum ac miseriarum atque laborum”, et vergilius : “quae lucis
miseris tam dira cupido ?”
Quella riportata da Lattanzio Placido e attribuita a Cicerone è una pericope testuale non presente in alcuna opera tradita e quindi si ritiene trattarsi
di un ‘frammento’ di un’opera perduta : il frustulo è ascritto alla perduta Consolatio ciceroniana ( fr. 17 Müller =10* vitelli ) a partire da Halm, che in uno
studio del 186267 argomenta molto brevemente l’ipotesi di attribuzione, basandosi solo su quanto si legge in una nota testimonianza di Agostino, civ. xIx
4 ( = fr. 6a vitelli ) :
Quis enim sufficit quantovis eloquentiae flumine vitae huius miserias explicare ? Quam
lamentatus est Cicero in consolatione de morte filiae, sicut potuit ; sed quantum est
quod potuit ? ea quippe, quae dicuntur prima naturae, quando, ubi, quo modo tam
bene se habere in hac vita possunt, ut non sub incertis casibus fluctuent ?
Infatti possiamo aggiungere che, come si evince chiaramente da Tusc. I 75
sg. ( « Nam haec quidem vita mors est, quam lamentari possem, si liberet.
Satis tu quidem in Consolatione es lamentatus ; quam cum lego, nihil malo
quam has res relinquere, his vero modo auditis, multo magis » ), Cicerone nell’opera autoconsolatoria per la morte della figlia Tullia si era abbandonato a
esecrare le miserie della vita umana69, come si legge anche nel testo agostiniano citato nel commento di Lattanzio Placido, mettendo probabilmente in
evidenza le iniuriae, le miseriae e i labores del cammino accidentato della vita.
Al contesto della lamentatio vitae attribuisce il frammento anche vitelli70, l’ultimo editore della Consolatio ciceroniana, che ovviamente lo annovera tra
quelli di incerta attribuzione, ma ne rivendica almeno la paternità ciceroniana
contestando, a mio parere con giuste argomentazioni, il tentativo di Doignon71
di negarlo a Cicerone. Infatti lo studioso francese sostiene, un po’ apoditticamente, che : « le scholiaste de Stace donne comme étant de Cicéron une sententia consolatoria où l’on retrouve una réminiscence des citations
lactanciennes de la consolatio enrichie d’harmonies ambrosiennes ». gli scrittori cristiani, e Ambrogio in particolare, hanno effettivamente recepito nelle
loro opere motivi provenienti dagli scritti di Cicerone, tra i quali, in un contesto che si riferisce all’immagine della ‘via della vita’, può essere annoverato
68
67
HALM 1862, p. 34.
Cf. anche CIC. Tusc. I 114 sulla fabella di Sileno. Su queste tematiche ‘pessimistiche’,
JoHANN 1968, pp. 105-108, e soprattutto AUDANo 2000, pp. 30-35, e 2006, pp. 49-65.
69
vd. da ultimo bALTUSSeN 2013b, p. 73, e già KUMANIeCKI 1968, p. 63.
70
vITeLLI 1977, pp. 17 sg. e 47 ; vITeLLI 1979, p. 41.
71
DoIgNoN 1971, in particolare p. 218 e n. 3.
68
rITA DegL’INNoCeNTI PIerINI
48
anche il nostro nesso ‘confragosum iter’, come ha sottolineato l’Alfonsi72 : a
proposito di Ambr. in psalm. 1, 24, egli sostiene infatti che si tratta di un passo
che, pur chiaramente derivato da basilio, hom. in psalm. 1, 4, denota un andamento tutto ciceroniano, ricalcando in particolare l’ammirata descrizione naturale dello stoico balbo in nat. II 98-100 per esaltare le amenità del paesaggio,
mentre si ispira alla Consolatio ciceroniana per sottolineare le difficoltà ed i pericoli del cammino intrapreso dall’uomo73. vale la pena, mi pare, di riprodurre
per esteso il testo di in psalm. 1, 24 :
In via es, o homo : ambula, ut pervenias, ne te nox in via occupet, ne consumatur dies
vitae, antequam progressum virtutis acceleres. viator es vitae huius, omnia transient,
omnia post te fiunt, omnia in hac via cernis et transis. vidisti amoenitatem arborum,
herbarum viriditatem, puritatem fontium et quodcumque huiusmodi, quo delectantur oculi, iuvit spectare : delectavit parumper attendere ; dum attendis, pertransisti.
Iterum, dum ambulas, i n c i d i s t i s c o p u l o s u m e t c o n f r a g o s u m i t e r, concava
rupium, praerupta montium, densa silvarum : taediasti parum ; iterum transisti.
Il percorso esegetico che abbiamo svolto in questo nostro studio, ci permette, mi pare, di poter suffragare l’appartenenza del nesso ‘confragosum iter’
e quindi di tutto il frammento citato da Lattanzio Placido alla Consolatio di Cicerone : nell’epistola 107 Seneca svolge infatti un tema consolatorio, come abbiamo notato, esibendo tutto il bagaglio argomentativo topico di questa
letteratura, enfatizzando e ironicamente stigmatizzando l’atteggiamento di
Lucilio, prostrato e soggiogato da una pusilla res come la fuga di uno schiavo.
Il recupero di un nesso, probabilmente molto noto, della famosa consolazione
ciceroniana74, impiegato per commiserarsi per la dipartita della figlia, poteva
72
ALFoNSI 1966, pp. 83-85 ; ampie e documentate conferme nel più recente studio di Mo-
reTTI 2000, pp. 130-135, che non prende in considerazione la tesi di DoIgNoN 1971.
73
vale la pena citare le parole di ALFoNSI 1966, pp. 84 : « e più ancora ciò si vede particolarmente in due espressioni che sono proprio inconfondibile ripresa dall’Arpinate : cioè per confragosum iter che è della Consolatio di Cicerone, da Lattanzio ( frammenti 8, 9, 11, 12 ), girolamo
( fr. 7, forse indirettamente ) ed Agostino ( fr. 6 ) conosciuta : “hoc iter vitae tam confragosum putamus, tam plenum iniuriarum ac miseriarum atque laborum” ( fr. 17 ) ; e per scopulosum ( fr. 9
della stessa Consolatio ) : “nec in hos scopulos incidere vitae ...”. Sappiamo che Ambrogio stesso
ben conosce ed usa la Consolatio nel De excessu fratris sui Satyri ... ». Il motivo della vita come supplicium si lega invece ad immagini marine in un importante passo di SeN. dial. xII 9, 6 « Si velis
credere altius veritatem intuentibus, omnis vita supplicium est : in hoc profundum inquietumque proiecti mare, alternis aestibus reciprocum et modo allevans nos subitis incrementis, modo
maioribus damnis deferens adsidueque iactans, numquam stabili consistimus loco, pendemus
et fluctuamur et alter in alterum illidimur et aliquando naufragium facimus, semper timemus;
i n h o c t a m p r o c e l l o s o e t a d o m n e s t e m p e s t a t e s e x p o s i t o m a r i navigantibus
nullus portus nisi mortis est. Ne itaque invideris fratri tuo : quiescit ».
74
Anche se ovviamente non si può dimostrare con certezza, è molto probabile che Seneca
conoscesse la Consolatio ciceroniana : l’elemento, a mio parere, più significativo è quello che
« CoNFrAgoSUM HoC ITer », LA vIA ACCIDeNTATA
49
contribuire a suggerire ai lettori la sproporzione con le vicende quotidiane di
Lucilio, ma anche servire da trapasso per elevare lo spessore argomentativo del
ragionamento ; la lettera 107, nella conclusione ( §§ 10-12 ), si inarca sempre
più verso il sublime dottrinario dello stoicismo con la menzione del cosmo
quale opus pulcherrimum, anche se innervato dei dolori umani, fino ad offrire
la traduzione dell’Inno a Zeus di Cleante incorniciata da una serie di esortazioni in linea con l’attivismo, che caratterizza i seguaci più coerenti e motivati
della scuola. Non sarà forse un caso che si palesi qui una menzione esplicita di
Cicerone, definito disertissimus vir, sul cui esempio Seneca afferma di aver operato la scelta di tradurre i versi, e, nell’alternativa posta a Lucilio sulla valutazione della qualità della traduzione, si insinua anche un guizzo ironico, perché,
afferma Seneca, se l’operazione non piacerà all’amico, se ne potrà sempre imputare la colpa a Cicerone, che ha in ogni caso la responsabilità di aver fornito
l’esempio ( 107, 10-12 ) :
Quare inpigri atque alacres excipiamus imperia nec deseramus hunc operis pulcherrimi cursum, cui quidquid patiemur intextum est ; et sic adloquamur Iovem, cuius gubernaculo moles ista derigitur, quemadmodum Cleanthes noster versibus disertissimis
adloquitur, quos mihi in nostrum sermonem mutare permittitur Ciceronis, disertissimi viri, exemplo. Si placuerint, boni consules ; si displicuerint, scies me in hoc secutum Ciceronis exemplum.
Duc, o parens celsique dominator poli,
quocumque placuit : nulla parendi mora est ;
adsum inpiger. Fac nolle, comitabor gemens
malusque patiar facere quod licuit bono.
Ducunt volentem fata, nolentem trahunt.
Sic vivamus, sic loquamur ; paratos nos inveniat atque inpigros fatum. Hic est magnus animus qui se ei tradidit : at contra ille pusillus et degener qui obluctatur et de
ordine mundi male existimat et emendare mavult deos quam se. vale.
ho evidenziato in DegL’INNoCeNTI PIerINI 1990, pp. 118 sg., e cioè un’eco di CIC. Att. xII 14,
3 « Quod me ab hoc maerore recreari vis, facis ut omnia ; sed me mihi non defuisse tu testis
es. Nihil enim de maerore minuendo scriptum ab ullo est quod ego non domi tuae legerim.
sed omnem consolationem vincit dolor. Quin etiam feci quod profecto ante me nemo ut ipse
me per litteras consolarer » ( motivo probabilmente presente anche nella Consolatio, vd. vITeLLI 1979, p. 34 ), nell’incipit della Consolatio ad Helviam ( 1, 2 « Praeterea cum omnia clarissimorum ingeniorum monumenta ad compescendos moderandosque luctus composita
evolverem, non inveniebam exemplum eius qui consolatus suos esset, cum ipse ab illis comploraretur ; ita in re nova haesitabam verebarque ne haec non consolatio esset sed exulceratio », su cui vd. l’ampia trattazione di MeINeL 1972, pp. 25-30 ). Inoltre su un altro motivo
consolatorio comune, SeN. dial. xII 6, 1, e CIC. cons. fr. 17* vITeLLI, vd. DegL’INNoCeNTI PIerINI 1990, pp. 221-225 ; vITeLLI 1979, p. 45, e MAZZoLI 1982, che aggiunge significative tessere
alla ricostruzione del vitelli.
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M. Tulli Ciceronis Consolationis Fragmenta, C. vITeLLI recognovit, Milano 1979
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K. WeNgST, Lettera a Filemone, Traduzione, introduzione e commento, brescia 2008
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WILDberger - CoLISH 2014
Seneca Philosophus, edited by J. WILDberger, M. L. CoLISH, berlin - boston 2014
WILSoN 1997
M. WILSoN, The subjugation of grief in Seneca’s “Epistles”, in The passions in Roman
Thought and Literature, edited by S. Morton braund and C. gill, Cambridge 1997,
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M. WILSoN, Seneca the Consoler ? A new Readings of his Consolatory Writings, in bALTUSSeN 2013a, pp. 93-121
WoLFSDorF 2008
D. WoLFSDorF, Hesiod, Prodicus, and the Socratics on Work and Pleasure, oxford Studies in Ancient Philosophy 35, 2008, pp. 1-18
131
ARGUMENTA
curante MAURO PISINI
HISTORICA ET PHILOLOGA
S. Vittori, De dialogo hominis cuiusdam cum daemone suo ( pBerlin 3024 ) aliisque
medii Aegyptiaci regni operibus, quot qualibusque modis Romanorum satyrae aliquantum similia sint
Huius studii auctor de Aegyptiorum ‘querimoniis’ agit quae cum Romanorum satiris possunt conferri, sive inspiciendo Dialogum hominis cuiusdam
cum daemone suo aliaque huic similia Aegyptiacarum litterarum opera, sive
maximos Romanae saturae scriptores perpendendo. Postquam igitur de argumentis sermoni utrique communibus disseruit, vir doctus elementa
quaedam a Niliacis atque Latiis scriptionibus huiusmodi excerpit et quae sint,
inter easdem, cum rerum, tum verborum similitudines illustrat. Eo denique
auctor venit, ut genus alterum cum altero plane comparari posse adfirmet,
quippe cum utrumque morum quaedam dissociatio genuerit, quae tum vere
exstitit inter hunc peculiarem poetandi morem et ipsum civitatis statum, ubi
ipsa civium institutio, sicut apud eos ea aetate vigebat, stilum huiusmodi expresserat. Quae disiunctio et apud Aegyptios et apud Romanos ex multiformi
imperii natura, qua gentes ambae praestiterunt, una cum ipsorum excultiore
humanitatis apparatu litterarumque commercio orta esse videtur.
The Author proposes a comparison between Egyptian ‘Lamentations’ and
Roman satire via the parallel analysis of the Dialogue of a Man with his Ba and
other similar ancient Egyptian literary works on one hand and the main satirical
Roman authors on the other. After having discussed the stylistic features which are
common to them, the author lists a number of passages taken from works of both
genres underlining their stylistic and semantic similarities. The conclusion is that
a parallelism between the two genres does exist and it is centered on dissociation between self and society on an educational basis. Such a dissociation arises from the
complexity of political power in its relationships with culture in both Egyptian and
Roman world.
*
132
ARGUMENTA
R. Degl’Innocenti Pierini, « Confragosum hoc iter », la via accidentata : l’epistola
107 di Seneca e la Consolatio ciceroniana
Articulus lectoribus propositus tribus partibus constat. Quarum prima
Senecae epistula ad Lucilium CVII diligenti inquisitione investigatur, ut ad
genus consolatorium, quod dicitur, recte possit adscribi. In secunda autem de
itinere vitae agitur quod, figuratum in modum, cum via penitus saxosa et confragosa in Senecae scriptis, saepe, comparatur. Ante eiusdem scriptoris usum,
haec verborum iunctura, quae ‘confragosum hoc iter’ audit, apud Ciceronem
semel tantum occurrit, in quodam incerti operis fragmento, deperditae illius
Consolationi adtributo ( 17 Muller = 10* Vitelli ). In tertia denique sede, huius
articuli auctrix Senecam eandem iuncturam ab oratore palam mutuatum esse
putat, quo epistula ad Lucilium CVII stilo consolatorio facilius admota agnosceretur. Ideo, Ciceronianum fragmentum deperditae ipsius Consolationi tutius
potest adsignari.
Questo saggio si articola in tre parti : nella prima si analizza l’epistola 107 di Seneca, al fine di dimostrarne la coerenza con la topica consolatoria, la seconda verte sul
motivo del percorso della vita come via difficile ed in salita, esemplificato dall’immagine del «confragosum hoc iter», presente in Seneca. La iunctura è attestata prima
solo in un frammento ciceroniano attribuito alla sua perduta Consolatio ( fr. 17 Müller =10* Vitelli ) e nella terza parte si avvalora l’appartenenza del frammento all’opera
ciceroniana e si ipotizza che Seneca recuperi consapevolmente l’immagine per rafforzare la trama degli elementi consolatorii.
*
P. De Ventura, A piú latinamente vedere… Gli uccelli cantano latino e Virgilio
parla volgare : il latino in Dante tra polisemia, plurilinguismo e diglossia
Haec disceptatio tamquam prooemium potest haberi de arduo verborum
delectu quem Dantes Alagherius suis operibus est persecutus atque, ideo, easdem ponit quaestiones quas diversi, quod ad verba, significationum sensus,
vel dives linguarum multiplicitas nec non ipsa bilinguitas harum rerum studiosis suscitant, ut exemplaris Latini sermonis dignitas possit scite describi in
eiusdem poetae scriptis sive oratione soluta, sive adscripta exaratis. Quod hinc
fit palam est harum rerum prospectus maxime varius atque interpretationis
difficultatibus differtus, ubi ad peculiarem linguae Latinae usum auctorem fert
non modo limpida ac nativa sui eloquii perspicuitas, sed etiam artificium
maxime industrium linguae alterius quae, partim ex scriptoris animo derivatur, partim ab officina ipsius una cum propria dicendi grammatica, quam esse
iam sine tempore ipse animadvertit et ex qua Vergilius quoque, in tempora, ut
ARGUMENTA
133
ita dicam, recentiora, merito divertere potest. Itaque, sermo Latinus Vitae
novae et Comoediae contextui interpositus nec non vulgari utriusque operis
compositione, non modo ad fines stili proprios spectat, verum etiam in propatulo ponit eius quidem auctoritatem terrenae vitae terminos transcendere
et ipsum, ita, fieri pretiosum tamquam exemplar, quod potest adhiberi ad
usum vivum cuiusque sermonis, praesertim cum agitur de divinis litteris
methodo anagogica nuntiandis.
Quasi prolegomena alla comprensione della complessità delle scelte linguistiche
dantesche, il presente contributo propone nelle categorie di polisemia, plurilinguismo
e diglossia i nodi fondamentali per inquadrare l’idealità del latino nella scrittura scientifica e poetica dell’Alighieri. Ne emerge un quadro dai contorni variabili e problematici, dove al latino riconduce tanto la limpida chiarezza del linguaggio naturale quanto
l’artificialità di una lingua secondaria, un’acronica grammatica da cui lo stesso Virgilio può derogare nel registro orale. Amalgamato nel tessuto volgare della Vita nova
e della Commedia, il latino non solo risponde a finalità stilistiche e mimetiche, ma
rivela un’autorità trascendentale fino a diventare, da modello per il divenire della pratica linguistica, veicolo di un messaggio biblicamente anagogico.
ARS DOCENDI
M. Pisini, La vita di relazione si impara anche studiando bene latino e greco, ma…
His considerationibus auctor demonstrare contendit humanas litteras,
praesertim iuvenibus, cum in scholis varios animi motus, scriptoribus pristinis
iam bene cognitos, interpretandos adgredimur, magnae fieri utilitati ad mutua
sensuum commercia non modo inter se, sed etiam inter ceteros nostrae aetatis homines conflanda. Nam, in litteris Graecis atque Latinis, dummodo adulescentes, a sollertibus eruditi magistris, in ipsarum officina diligenter
insudent, omnia ea insunt socialis communicationis instrumenta, quibus non
modo diserti antiquitatum cultores evadant, at, praecipue, viri ac mulieres,
propter eas quas didicerint linguarum classicarum cognitiones, operis cuiusvis periti, quorum, praeterea, ingenium, debita gravitate temperatum, et in
cotidianos suae vitae aspectus et in civilis consortionis ambitus haud frugaliter redundet.
In queste considerazioni l’autore cerca di mostrare che quando, durante le lezioni,
cerchiamo di capire i diversi aspetti dell’animo umano, di cui gli scrittori antichi erano
ottimi conoscitori, le lingue classiche diventano, soprattutto per i giovani, particolarmente utili per instaurare reciproche relazioni sentimentali, lavorative, affettive sia
134
ARGUMENTA
tra loro, sia, più in generale, tra gli uomini del nostro tempo. Infatti, nelle lettere greche e latine, purché i ragazzi vogliano entrare seriamente in questo laboratorio formativo, ci sono tutti gli strumenti di comunicazione sociale, in grado di farli diventare
non solo seri cultori di antichità, ma anche uomini capaci di applicare le proprie competenze a qualsiasi professione, per distinguersi con la serietà dell’intelligenza in ogni
ambito della vita pubblica e privata.
*
M. Ricucci, Cronistoria culturale della certificazione linguistica latina per la didattica del terzo millennio
‘Testificatio probationis de glottologica linguae Latinae cognitione’ ( CLL ),
ut appellatur, ab anno MMXI p. Ch. n., in Italia, a Consilio Italico Academicorum Latinis litteris linguaeque fovendis (CUSL ) adsidue excolitur ac discipulis, qui in scholis varii ordinis Latino sermoni operam navant eoque a suis
praeceptoribus erudiuntur, dat facultatem ut eorum, in discenda lingua peritiam delecti magistri testentur et ipsi, ideo, ad maiorum nostrorum humanitatem sese penitus exerceant. Itaque, hoc articulo rei huiusmodi propositum
lectoribus explicatur nec non de scholasticis inceptis agitur quae, sub experimenti forma, ludi publici nonnulli inchoarunt et cum profectu perficere valuerunt.
La ‘Certificazione linguistica Latina’ ( CLL ) è nata in Italia nel 2011 su iniziativa
della Consulta Universitaria di Studi Latini ( CUSL ) per certificare le abilità degli
studenti nella lingua antica, nell’obiettivo più ampio di avvicinare i giovani alla cultura dei nostri antenati. In questo articolo viene presentato il progetto sperimentale con
la sua storia svoltasi in Liguria, Lombardia e Veneto.
*
S. Rocca, Il latino per l’educazione linguistica di domani : la certificazione linguistica
CUSL
In hoc scripto, de instrumento quodam didactico agitur, quod, primum,
experti sunt Ligures discipuli, auctore Consilio Italico Academicorum Latinis
litteris linguaeque fovendis ( CUSL ), quorum comprobaretur in vertendo dexteritas ex Latino sermone in patrium. Res enim eiusmodi tironibus nostris, ut
videtur, valde potest auxiliari, dum, non modo vernaculae linguae studium
suscipiunt, sed etiam cum sive exterarum nationum sermones incipiunt discere, sive cum veterum nostratium eloquium cognoscendum ineunt. Haec
enim cum faciunt et maiorem sermonis scientiam conantur adipisci et varias
ARGUMENTA
135
grammaticae normas inquirendo addiscere, ut ipsi opera Latine conscripta
clarius intellegant. Itaque, instrumentum, de quo loquimur, quodque idem
cognitionis exemplar, quod viget in Europa, partim imitatur, duobus gradibus constat ad probandas alumni cuiusque facultates in antiquorum scriptorum locis vertendis. Quo adhibito, discipulorum ingenia subtiliora fiunt et
eorum professorum labores, qui in lyceis pro tironibus operantur, copiosa qua
sunt doctrina, academicorum scholas quadamtenus antevertunt iisque hac via
suadent, ut secum artius participent mutua studiorum commercia, priusquam
iuvenes, ab illis iampridem istituti, in athenaeis adeant diversos disciplinarum
ordines.
Viene qui descritto il dispositivo della ‘Certificazione linguistica di latino’, progettata in seno alla Consulta Universitaria di Studi Latini e sperimentato per la prima
volta in Liguria. È uno strumento volto ad attestare le competenze ricettive d’uso della
lingua latina da parte degli studenti. Si tratta di realizzare con gli strumenti forniti
dalla linguistica teorica una riflessione grammaticale unitaria sulle diverse lingue dal
momento che i nostri studenti si trovano a dover affrontare lo studio della lingua italiana, delle lingue classiche e delle lingue straniere contemporaneamente ed è perciò piú
fruttuoso costruire un progetto didattico unitario. La certificazione che, in analogia
con il Quadro Comune europeo, consta di due livelli, ha anche lo scopo di valorizzare
le eccellenze e di favorire i rapporti tra università e scuola.
IN HoC voLUMINe CoNTINeNTUr
Ivano Dionigi, La lezione del latino
7
HISTorICA eT PHILoLogA
Stephanus vittori, De dialogo hominis cuiusdam cum daemone suo (pBerlin
3024) aliisque medii Aegyptiaci regni operibus, quot qualibusque modis
Romanorum satyrae aliquantum similia sint
rita Degl’Innocenti Pierini, « Confragosum hoc iter », la via accidentata :
l’epistola 107 di Seneca e la Consolatio ciceroniana
Paolo De ventura, A piú latinamente vedere... Gli uccelli cantano latino
e Virgilio parla volgare : il latino in Dante tra polisemia, plurilinguismo
e diglossia
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55
HUMANIorA
Horatius Antonius bologna, Ad Milviam
Maurus Pisini, Curiosum est fatum
Franciscus Darius rossi, Versus Latini
Alfonsus Traina, Novissima
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ArS DoCeNDI
Mauro Pisini, La vita di relazione si impara anche studiando bene latino e
greco, ma...
Marco ricucci, Cronistoria culturale della certificazione linguistica latina
per la didattica del terzo millennio
Silvana rocca, Il latino per l’educazione linguistica di domani: la certificazione
linguistica CUSL
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APPeNDIx
Breves de Academiae vita notitiae
Argumenta
Index universus
Ad lectorem
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Typis impressum Romae
mense Decembri
MMXV