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Andrea  Zagli
  • (Università)
    Università degli Studi di Siena – Dipartimento di Scienze Storiche e Beni Culturali Complesso dei Servi - Stanza 103 – 1° piano, via Roma 56 - 53100 Siena Tel. 0577-233642 (int.3642)
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Dalle ceneri della città etrusco romana di Roselle nasce Grosseto. La vera crescita della città si ha però solo nel 200 quando Grosseto assume il ruolo di centro politico-amministrativo per gran parte della Maremma, con il dominio della... more
Dalle ceneri della città etrusco romana di Roselle nasce Grosseto. La vera crescita della città si ha però solo nel 200 quando Grosseto assume il ruolo di centro politico-amministrativo per gran parte della Maremma, con il dominio della famiglia degli Aldobrandeschi. Dopo aver subito il giogo senese, con la dominazione fiorentina, i grossetani vedono  ridisegnare l’assetto urbanistico della città, potenziare alcune attività economiche come la produzione del sale, dei cereali e del legname, così come le attività legate all’allevamento del bestiame e quelle relative ai primi tentativi di bonifica della pianura circostante la palude del Lago di Castiglioni. Caratteristiche queste che verranno accentuandosi e potenziandosi sotto la nuova dinastia degli Asburgo Lorena
Dal punto di vista urbanistico, Grosseto è uno dei pochi capoluoghi il cui centro storico è rimasto completamente circondato da una cerchia muraria, nell’insieme integra, che ha mantenuto pressoché immutato il proprio aspetto nel corso... more
Dal punto di vista urbanistico, Grosseto è uno dei pochi capoluoghi il cui centro storico è rimasto completamente circondato da una cerchia muraria, nell’insieme integra, che ha mantenuto pressoché immutato il proprio aspetto nel corso dei secoli, dall’età medicea fino all’espansione e alla crescita demografica del XX secolo.
Erede dell’antica Roselle etrusco-romana, Grosseto rappresentò uno dei pochi presidi urbani in un’area di debole urbanizzazione e di scarso popolamento. Passata attraverso il dominio degli Aldobrandeschi, successivamente di Siena e poi nel Granducato di Toscana, mantenne nel lungo periodo caratteristiche peculiari di città di servizi e di amministrazione.
Questo volume intende ripercorrere la storia della città, ma anche del territorio, dalle origini a oggi, in un viaggio suggestivo percorribile anche per immagini, grazie al ricco apparato iconografico.
Giovannni di Agnolo Niccolini (1544-1611), membro di una famiglia aristocratica di Firenze fortemente legata al potere dei Medici, fu ambasciatore residente di Toscana presso la corte di Roma per un lungo periodo (1587-1611), svolgendo il... more
Giovannni di Agnolo Niccolini (1544-1611), membro di una famiglia aristocratica di Firenze fortemente legata al potere dei Medici, fu ambasciatore residente di Toscana presso la corte di Roma per un lungo periodo (1587-1611), svolgendo il servizio diplomatico sotto sette pontefici, da papa Sisto V a Paolo V. Lasciò memoria manoscritta dei primi anni della sua legazione in un dettagliato diario-cronaca che racconta gli avvenimenti di cui fu testimone, ma anche attore protagonista, nell’arco di tempo che va dal 1 gennaio 1588 al 30 aprile 1593. Portata alla luce per la prima volta nella presente edizione, la cronaca del Niccolini mette a disposizione degli studiosi una preziosa testimonianza diretta che descrive molti passaggi cruciali della storia europea di questo periodo: l’andamento dei Conclavi e i cerimoniali della corte papale; la politica e le strategie dei cardinali; la ingombrante influenza della Spagna; i fragili equilibri politici degli antichi stati italiani; i drammatici conflitti religiosi in Francia e nelle Fiandre; l’ascesa contrastata di Enrico di Navarra e il problema della sua conversione al cattolicesimo; la fallimentare impresa di Inghilterra di Filippo II; i propositi di espansione del duca di Savoia Carlo Emanuele I; i conflitti nello scacchiere baltico con al centro la successione in Polonia; la costante preoccupazione militare per la minaccia ottomana sui mari e nei Balcani; il problema del banditismo e dell’amministrazione dello stato ecclesiastico; la gravissima carestia dei primi anni Novanta.
Una cronaca densa di avvenimenti e di personaggi che si intreccia con il privato dell’ambasciatore, la cui carriera e le cui aspirazioni vengono ricostruite nella prima parte del volume grazie alle sue carte personali conservate nell’archivio di famiglia.
Negli ultimi anni l’attenzione di molti studiosi è stata attratta dai beni comuni, un «altro modo di possedere» che si pone al di fuori del contesto, esclusivamente bipolare, rappresentato dalle attuali forme di proprietà: quella privata... more
Negli ultimi anni l’attenzione di molti studiosi è stata attratta dai beni comuni, un «altro modo di possedere» che si pone al di fuori del contesto, esclusivamente bipolare, rappresentato dalle attuali forme di proprietà: quella privata e quella dello Stato. I dieci saggi che compongono questo volume vogliono contribuire al dibattito generale su questa materia. Essi adottano un approccio di carattere prettamente storico, nel senso più ampio; il tema dei beni comuni, perciò, viene affrontato da prospettive più varie, i cui termini cronologici partono dal basso Medioevo e arrivano fino alla nostra contemporaneità. La molteplicità dei temi e l’ampiezza dell’arco temporale sono però temperati dal filo rosso che attraversa tutti i lavori e che attribuisce al loro insieme coerenza e compattezza: il territorio toscano. L’interesse per i beni comuni e per le comunità che li gestivano ha obbligato a riprendere la riflessione sulla proprietà, sulle sue forme e sulla sua correlazione con l’organizzazione statale. Una siffatta attenzione, che in ambito storico si è molto attenuata negli ultimi decenni, da qualche tempo è finalmente ritornata prepotente e urgente.
Fino alla metà dell’Ottocento un antico lago segnava con la sua presenza la profonda depressione fra la pianura lucchese e il corso dell’Arno. Bonificato attraverso un complesso meccanismo di canalizzazioni nell’immediata vigilia... more
Fino alla metà dell’Ottocento un antico lago segnava con la sua presenza la profonda depressione fra la pianura lucchese e il corso dell’Arno. Bonificato attraverso un complesso meccanismo di canalizzazioni nell’immediata vigilia dell’unità d’Italia, era stato protagonista di una storia secolare segnata dai conflitti e dalla difficile gestione di un ambiente allo stesso tempo «selvaggio» e «ostile» ma anche «prodigo» di risorse per le popolazioni rivierasche. Paesaggio complesso segnato dall’alternarsi di acque, di terre, di vegetazione, costituiva un osservatorio ideale per misurare e analizzare il progressivo modificarsi del rapporto dell’uomo con questo tipo di ambiente, di come il prelievo alternativo delle risorse dell’«incolto» fosse stato per secoli un fenomeno di grande importanza. La comunità di Bientina, fin dalle sue origini in epoca medievale, aveva sviluppato un rapporto del tutto particolare con l’area umida. Il lago, infatti, sebbene fosse solcato da un confine di stato con Lucca, nella parte «fiorentina» apparteneva alla comunità, era un bene «indiviso» dei suoi abitanti, competeva, come si diceva, agli «originari» bientinesi. Il lago e la comunità sono dunque i protagonisti delle vicende narrate in questo volume, in un intreccio di rapporti che coinvolgono gli aspetti economici, il tessuto sociale, le vicende familiari, l’identità culturale. Di qui la scelta di una ricostruzione dal basso, tutta condotta su documentazione d’archivio, per far emergere, fin dove possibile, la vita di quelle lontane popolazioni di pescatori, di contadini, di piccole élites di provincia. Il tipo di organizzazione che si era venuta modellando, così segnato da una diffusa «cultura delle acque» e da un orizzonte ambientale così particolare, iniziò a subire profonde trasformazioni assai prima che la scelta della bonifica divenisse una scelta di politica territoriale non più differibile. La scomparsa del lago fu l’atto finale di un lento e contrastato processo di cambiamento che investì il microcosmo bientinese fin dalla fine del ‘700.
In this second part of the work, after examining the context in which the flooding of the Arno on 13 September 1557 took place (see the previous issue of the journal), attention will focus on the policies and measures that the Medici... more
In this second part of the work, after examining the context in which the flooding of the Arno on 13 September 1557 took place (see the previous issue of the journal), attention will focus on the policies and measures that the Medici government put in place to overcome the enormous inconvenience (and damage) that the flood had caused to the city of Florence and the territory. The activity of a special commission of 'Four Commissioners for the cleaning up of the streets from the mud' (vulgarly known as the 'Officers of the Mota') who were instituted with broad powers by Duke Cosimo I de' Medici to deal with the immediate emergency in the city of Florence and to repair the enormous damage caused by the river in the capital (reinforcing the banks, cleaning up the mud, repairing the sewer network, repairing bridges, etc.) will be investigated. This experience had significant consequences not only for the control of the hydrographical network and water, for the urban-architectural layout of the city, for the institutional-administrative framework and for the authoritarian relationship established with the inhabitants, but it also led to new reflections and more general interventions in territorial and environmental policy, such as, for example, the interventions on the course of the Arno downstream and upstream of the city after 1560, or the promulgation of laws (1559) aimed at limiting deforestation and uncontrolled cultivation on the Apennines.
The work is based on new archive research on a well-known, historically cited but little-studied event: the great flooding of the Arno in September 1557. A natural disaster of considerable dimensions that one did not hesitate to define as... more
The work is based on new archive research on a well-known, historically cited but little-studied event: the great flooding of the Arno in September 1557. A natural disaster of considerable dimensions that one did not hesitate to define as a 'deluge' and that affected the entire river basin, from the Casentino to the Upper Valdarno, from the city of Florence to the Lower Valdarno and Pisa, causing destruction and serious damage over a vast territory. An event that contemporaries immediately compared to the previous flood that had struck the city and collective memory in 1333. In this first part of the research, we will analyse the context in which the natural disaster occurred and how the chronicle of the events was narrated on the basis of the news that emerges from narrative, edited and epistolary sources (diaries, letters, official correspondence).  The consequences on the city and the subsequent water policy implemented by the Medici principality are introduced and will be analysed, on the basis of extensive research on the unseen sources, in the second part of this work to be published in the next issue of the journal.
Il saggio cerca di evidenziare alcuni caratteri di fondo comuni alle pesche marittime e delle acque interne nello spazio del Granducato. In primo luogo l’esigenza primaria di un forte controllo dell’attività, che aveva portato allo... more
Il saggio cerca di evidenziare alcuni caratteri di fondo comuni alle pesche marittime e delle acque interne nello spazio del Granducato. In primo luogo l’esigenza primaria di un forte controllo dell’attività, che aveva portato allo sviluppo di un sistema complesso che viveva di appalti, di privative, di vincoli e divieti. La necessità di controllare la produzione per assicurare uno stabile rifornimento dei mercati cittadini era direttamente proporzionale alla scarsità, vera o presunta, del prodotto ittico e al valore, non solo economico, che si attribuiva al suo consumo. Per questo motivo molto spesso i diritti di pescare erano concessi in affitto o, comunque, potevano avvalersi di ampie privative e privilegi, che miravano ad escludere un uso troppo promiscuo, ad evitare eccessi di concorrenza, fenomeni spesso incontrollabili – si riteneva – se lasciati al libero interagire di tutti con l’ambiente naturale, con inevitabili conseguenze di segno negativo. In aggiunta venivano quindi elaborate disposizioni che, tendenzialmente, miravano ad assicurare la permanenza e la riproducibilità delle risorse ittiche e quindi il rifornimento dei mercati. L’attività di pesca risultava così fortemente specializzata e la “domanda” assicurava un consumo costante del prodotto. Il penetrare sui mercati toscani del pesce conservato proveniente dalle pesche atlantiche, a partire dagli inizi del XVII secolo e attraverso il porto di Livorno, mutò progressivamente il quadro commerciale e dei consumi: persero di importanza le pesche delle acque interne, mentre quelle marittime continuarono – nonostante i tentativi di riforma settecenteschi – a soffrire della cronica scarsità di pescatori ‘indigeni’, continuando ad essere la pesca dei mari toscani appannaggio degli equipaggi liguri e campani fino a tutto il XIX secolo.
Dopo una breve premessa sull’importanza del consumo di pesce di acqua dolce per l’alimentazione – grazie a fattori di ordine culturale, religioso ed economico – il testo analizza le caratteristiche della “domanda” e dell’ “offerta” di... more
Dopo una breve premessa sull’importanza del consumo di pesce di acqua dolce per l’alimentazione – grazie a fattori di ordine culturale, religioso ed economico – il testo analizza le caratteristiche della “domanda” e dell’ “offerta” di questo prodotto naturale, soffermandosi sulle pratiche della conservazione e della circolazione sui mercati interni della Toscana, mettendo in evidenza gli interventi normativi attuati soprattutto dal governo mediceo per salvaguardare – grazie ad una politica di vincoli e di “privative” – la riproducibilità della risorsa e la sua presenza sui mercati cittadini, in particolare nelle città più importanti a partire da Firenze, soprattutto nei momenti in cui il consumo di pesce si faceva più intenso per motivi religiosi (Avvento e Quaresima). Dopo aver analizzato le caratteristiche della pesca nelle acque interne a livello regionale, il testo si sofferma in particolare ad approfondire queste tematiche in due importanti aree umide, quella di Bientina e di Fucecchio, che costituirono per secoli i principali canali di rifornimento per Firenze e dove si affermarono consistenti nuclei di pescatori di professione
Il lavoro cerca di delineare un quadro complessivo dell’importanza e della centralità della pesca di acqua dolce nella Toscana della prima età moderna. Considerati i limiti della pesca marittima per diversi motivi (vuoi per la scarsa... more
Il lavoro cerca di delineare un quadro complessivo dell’importanza e della centralità della pesca di acqua dolce nella Toscana della prima età moderna. Considerati i limiti della pesca marittima per diversi motivi (vuoi per la scarsa sicurezza dei litorali tirrenici, vuoi per la mancanza di solide tradizioni dei pescatori autoctoni toscani, vuoi per un ancora limitato mercato del pesce di mare conservato), era soprattutto la pesca nelle acque interne a dover garantire i consumi di pesce che, come sappiamo, era un alimento importante della dieta per svariati motivi di carattere religioso e culturale. Tuttavia la sua disponibilità era limitata mentre la domanda, soprattutto in ambiente urbano, era assai elevata.
Considerati questi elementi, ne derivava uno sfruttamento intensivo di ogni specchio acqua disponibile. Non a caso in Toscana si assiste nel corso del XV secolo ad interventi significativi in diverse aree umide: pescaie e dighe cercano in tutti i modi di costituire delle riserve di pesce da destinare alle crescenti necessità di consumo, in particolare delle principali realtà urbane. Fiumi e laghi vengono sfruttati intensamente; spesso si assiste ad interventi di adattamento dell’uomo che cerca di trasformare l’ambiente umido in funzione degli interessi della pesca. Si hanno esempi importanti a Bientina e a Fucecchio, in Valdichiana e nel litorale Versiliese, negli stagni del pisano o più a sud nella Maremma grossetana, ma certamente uno degli esempi più interessanti è il tentativo di Siena di creare un lago artificiale sul fiume Bruna grazie alla costruzione di una imponente diga di sbarramento, episodio sfortunato ma estremamente rivelatore della fiducia dell’uomo rinascimentale di poter piegare la natura ai propri fini
Lo studio affronta il tema della refrattarietà di una fetta consistente della società toscana alle novità politiche emerse nel biennio ‘47-’49 e i numerosi moti di reazione che scoppiarono un po’ ovunque soprattutto durante la fase... more
Lo studio affronta il tema della refrattarietà di una fetta consistente della società toscana alle novità politiche emerse nel biennio ‘47-’49 e i numerosi moti di reazione che scoppiarono un po’ ovunque soprattutto durante la fase ‘democratica’ del governo provvisorio proclamato dopo la fuga del Granduca Leopoldo II di Asburgo Lorena. Sulla base di un ampio scavo sulle fonti giudiziarie e di polizia, condotta in parallelo all’analisi della vivace “primavera” vissuta dalla stampa periodica (che conobbe una vera e propria fioritura durante la breve stagione del governo provvisorio) il testo ha l’ambizione di fornire un contributo di conoscenze – seppure circoscritto sul piano temporale – alla ricostruzione di una geografia complessiva di questa «altra Toscana», un soggetto politico che fin dall’origine è rimasto un po’ nel cono d’ombra di un indistinto giudizio negativo come fattore frenante, «retrogrado» come si diceva allora, per la piena affermazione del «progresso», di segno implicitamente positivo, essendo legato al moto risorgimentale che tendeva all’unità del paese.
Il tentativo è quello di individuare alcune caratteristiche e di vedere come una parte certamente consistente della società toscana reagì e si espresse attraverso forme di protesta collettiva, cercando di delineare i motivi e gli effetti che le frequenti perturbazioni dell’ordine pubblico ebbero per la vita senza dubbio travagliata del governo provvisorio del triumvirato Guerrazzi, Montanelli, Mazzoni. Nel delineare un panorama il più ampio possibile di questa Toscana della «reazione» si è inoltre argomentato il richiamo agli avvenimenti del 1799 e al fenomeno delle insorgenze che ebbero il loro epicentro ad Arezzo estendendosi poi a gran parte della Toscana (il «Viva Maria»). Fenomeni distanti circa mezzo secolo che al di là delle ovvie differenze, tuttavia mantenevano alcuni tratti in comune sul filo della memoria più profonda delle campagne, delle simbologie utilizzate, dell’avversione – spesso pilotata dalla nobiltà e dal clero – verso ogni manifestazione di novità politica ed ogni fermento di rinnovamento.
After the proclamation of the Tuscan republic in 1849, a reactionary political movement in the town of Bientina supported Grand Duke Leopold II (1797-1870) of Tuscany. The article analyzes the social origins and other characteristics of... more
After the proclamation of the Tuscan republic in 1849, a reactionary political movement in the town of Bientina supported Grand Duke Leopold II (1797-1870) of Tuscany. The article analyzes the social origins and other characteristics of those arrested in legitimist riots.
Il contributo affronta, sulla base di ampie ricerche d’archivio, alcuni aspetti della storia del territorio grossetano dopo la fine della repubblica di Siena e il passaggio al Principato mediceo. Le scelte effettuate dai primi primi... more
Il contributo affronta, sulla base di ampie ricerche d’archivio, alcuni aspetti della storia del territorio grossetano dopo la fine della repubblica di Siena e il passaggio al Principato mediceo. Le scelte effettuate dai primi primi granduchi a partire da Cosimo I furono quelle di intervenire in un territorio ormai in decadenza da tempo, in primo luogo cercando di sviluppare il polo strategico cittadino di Grosseto, la cui messa in sicurezza (concretizzatasi con le imponenti fortificazioni realizzate nella seconda metà del ‘500, accompagnate dalla sistemazione di alcune torri lungo la costa) fu la premessa di altri importanti interventi in ambito economico volti a potenziare la tradizionale vocazione produttiva della pianura costiera maremmana: in particolare la produzione del sale marino (localizzata nei pressi dell’insediamento della Trappola) e quella del grano, risorse importanti soprattutto per l’esportazione e quindi legate strettamente al sistema dei trasporti via terra e via acqua che facevano capo al terminale grossetano. In questo ambito il tratto finale del fiume Ombrone – che veniva ad interagire con la vasta area umida rappresentata dal lago-padule di Castiglione della Pescaia - assume un rilievo centrale nelle vicende di lungo periodo che caratterizzano il territorio e i suoi assetti sul piano della sistemazione idrografica e della viabilità, degli insediamenti e della rete dei rapporti commerciali
Il testo mira a ricostruire, sulla base di ampie ricerche in corso, l’atteggiamento e gli interventi messi in atto dal principato mediceo per sviluppare il territorio maremmano dopo la fine della guerra di Siena e l’annessione dello stato... more
Il testo mira a ricostruire, sulla base di ampie ricerche in corso, l’atteggiamento e gli interventi messi in atto dal principato mediceo per sviluppare il territorio maremmano dopo la fine della guerra di Siena e l’annessione dello stato territoriale senese. Un territorio che versava ormai da alcuni secoli in una grave crisi, allo stesso tempo economica e demografica. Le politiche di sviluppo messe in atto fin da Cosimo I, mirarono non solo a mettere in sicurezza un territorio strategicamente importante sul piano militare e commerciale, ma tentarono di recuperare le potenzialità economiche di uno spazio agricolo importante per la produzione del grano, del sale, dell’allevamento. Politiche talvolta contraddittorie che segnarono tuttavia, nel corso della seconda metà del ‘500, un periodo di interventi e di possibile sviluppo per arginare una “decadenza” che poi si manifesterà pienamente nel corso del XVII secolo.
Il saggio, sulla base di ricerche condotte su fonti d’archivio familiari e private, ricostruisce i percorsi di ascesa sociale della famiglia Bersotti di Roccastrada, piccolo centro dell’entroterra maremmano. Sulla base di numerosi rogiti... more
Il saggio, sulla base di ricerche condotte su fonti d’archivio familiari e private, ricostruisce i percorsi di ascesa sociale della famiglia Bersotti di Roccastrada, piccolo centro dell’entroterra maremmano. Sulla base di numerosi rogiti notarili e analizzando un ricco “Cabreo” settecentesco delle proprietà della famiglia, si mettono in luce le strategie familiari e patrimoniali di una famiglia di mugnai insediatisi a Roccastrada all’inizio del ‘500 e che riuscì a raggiungere i vertici della società locale alla fine del secolo successivo. Il contesto è quello di un’economia e di un’agricoltura fortemente tradizionali, nel contesto di un territorio maremmano in piena crisi economica e demografica.
The text explores, on the basis of extensive primary sources, two long-term problems that characterized the history of the valley of Rosia and Orgia in the Medici age: a hydrographic situation structurally fragile due to lack of natural... more
The text explores, on the basis of extensive primary sources, two long-term problems that characterized the history of the valley of Rosia and Orgia in the Medici age: a hydrographic situation structurally fragile due to lack of natural drainage and therefore subject to stagnant waters that hindered agricultural activities; a "human" factor who exercised strong influences and could with difficulty (and cost of ongoing expenses) to ensure a correct and shared maintenance of the water network and soils. The paper analyzes the characteristics of the agrarian economy, the gradual extinction of the collective rights belonging to communities that supplied economic alternatives to subsistence, the prevalence  of ever more incisively - from the end of the sixteenth century – the great aristocratic and ecclesiastical property. Characters like Conte Orso d’Elci, in 1627-33 came into possession of 7/8 of the assets in the more depressed and marshy district, the so-called “Padule”, led to a water control more and more particularistic and conflicted with the other major owners. The divergent interests and a complex web of skills in the direction of hydraulic works, in the sharing of costs and in the enjoyment of benefits, continued to cause deleterious effects on working lands, which, despite their fertility, continued to be adversely affected by the presence of stagnant waters, marshes and bogs. The situation began to change only in the second half of 700, during the period of  Hasbourg-Lorraine, when interventions began to be decided from above and were accompanied by reforms of the institutional and administrative structures overseeing the control and management of land
Partendo da alcune “memorie” inedite presentate all’Accademia dei Georgofili di Firenze per proporre al governo granducale, nei primi decenni dell’800, di regolamentare il settore della pesca (perché anche la “coltivazione” dell’acqua, al... more
Partendo da alcune “memorie” inedite presentate all’Accademia dei Georgofili di Firenze per proporre al governo granducale, nei primi decenni dell’800, di regolamentare il settore della pesca (perché anche la “coltivazione” dell’acqua, al pari di quella della terra, se ben regolata, avrebbe potuto fornire al nutrimento e ai bisogni dell’uomo “frutti” copiosi tutt’altro che secondari), il testo affronta con uno sguardo d’insieme le “economie d’acqua”, cioè quelle forme di sfruttamento degli “incolti palustri” che costituivano in passato un fenomeno di una certa importanza. Soprattutto in quelle aree della Toscana dove vi era una diffusione non marginale delle zone umide secondo le loro diverse tipologie. Oggetto dell’indagine in particolare la Toscana nord-occidentale lungo il bacino dell’Arno dove in età moderna esistevano numerose aree umide intensamente sfruttate e vissute almeno fino all’affermarsi della “cultura delle bonifiche” nel XVIII secolo quando si iniziò sempre di più a limitare e ridurre tali spazi in favore del progresso agricolo e della produzione di cereali
La storia del Padule di Fucecchio fu per secoli una vivida testimonianza del contrasto tra interessi e modelli di sviluppo in evidente, perenne divergenza. Gli interessi della pesca e delle altre attività di raccolta confliggevano con le... more
La storia del Padule di Fucecchio fu per secoli una vivida testimonianza del contrasto tra interessi e modelli di sviluppo in evidente, perenne divergenza. Gli interessi della pesca e delle altre attività di raccolta confliggevano con le esigenze dell’agricoltura e dell’allevamento, determinando un precario e fragile equilibrio idraulico, un problema, peraltro, che si è perpetuato fino ai nostri giorni. Il presente studio indaga sull’evoluzione della proprietà di questa area e dunque sulle pratiche di sfruttamento e sull’accesso alle sue risorse. A partire dal XVI secolo quando il lago e i suoi contorni entrarono nell’orbita dei possessi della famiglia Medici nel processo di costruzione del Principato. Tanto che la parola chiave, per quel che riguardava le attività di consumazione dello spazio naturale, divenne da allora “privato dominio”.  Le scelte sull’assetto dell’area umida – spesso assai contraddittorie per i molteplici interessi in gioco – risalivano dunque alla famiglia regnante e come tale videro l’elaborazione di un sistema normativo vincolistico che cercava di limitare e controllare gli usi dell’ambiente palustre. Le cose cambiarono con le riforme settecentesche quando il governo lorenese spinse decisamente verso lo sviluppo dell’agricoltura e della navigazione fluviale, avviando un vasto programma di bonifiche e di interventi stradali. La ricerca segue quindi il processo di privatizzazione delle fattorie di Ponte a Cappiano (centro direttivo del lago), Stabbia e Castelmartini, direttamente interessate da ampi spazi palustri. Tuttavia la liberalizzazione delle attività di pesca e raccolta (1780) aprì una fase nuova in cui l’accesso alle risorse doveva adesso rispettare i vincoli della proprietà privata dei suoli palustri, mentre gli spazi di uso collettivo si ridussero progressivamente. Cio' avviò una fase nuova di accesa conflittualità sociale, acuita dalla sempre maggiore importanza che la vegetazione palustre – in particolare fra fine ‘700 e ‘800 – iniziò ad assumere per l’allevamento e per le piccole industrie rurali, avviando uno sfruttamento più intenso e una accresciuta pressione umana sulle risorse della palude
Il testo si propone di analizzare gli effetti, le conseguenze e le modalità del passaggio dallo stato territoriale fiorentino al Principato mediceo, centrando l’attenzione su un centro del Valdarno Superiore, Figline, caratterizzato da... more
Il testo si propone di analizzare gli effetti, le conseguenze e le modalità del passaggio dallo stato territoriale fiorentino al Principato mediceo, centrando l’attenzione su un centro del Valdarno Superiore, Figline, caratterizzato da secoli dalla presenza forte di un fiorente mercato settimanale e da un ruolo rilevante nelle direttrici di rifornimento della capitale. Che cosa comportò questo passaggio per le realtà locali già precedentemente inserite nel dominio fiorentino? Vi fu una diversa centralizzazione del potere e come si definisce questa tendenza? A questi interrogativi si cerca di rispondere analizzando alcuni aspetti delle istituzioni, della società e dell’economia locale fra XVI e XVIII secolo: il ruolo centrale del mercato e il sistema degli scambi; la posizione geografica del Valdarno e il rapporto con il fiume; i caratteri della società locale; i comportamenti e le strategie dei ceti dirigenti provinciali; la presenza sempre più forte della città dominante. Indicando nuovi percorsi di ricerca e serie documentarie inedite per chiarire e analizzare in profondità, con un’ottica centrata sul locale, i caratteri del processo di formazione dello stato regionale in Toscana
The paper presents a project related to the study of transhumance's paths and pastures in Southern Tuscany in a long-term perspective, from Prehistory to the Modern Age, in collaboration with the Ecole francaise of Rome. TRATTO is the... more
The paper presents a project related to the study of transhumance's paths and pastures in Southern Tuscany in a long-term perspective, from Prehistory to the Modern Age, in collaboration with the Ecole francaise of Rome. TRATTO is the first project focused on the features of Tuscan transhumance as paths and pasturages with a cross-disciplinary approach (geographers, archaeologists and historians) and using a strong GIS structure for analyses and data-gathering. The information from literature, primary and cartographic sources, material culture, paleoenvironmental data will be integrated in a unique system and analyzed through different procedures,including predicting and postdicting analyses. The aim is reconstructing the transhumance's paths and the grazing land use in some case-study areas, understanding and explaining its different factors of influence and their role in the formation of territorial identities and landscape. The project is at its early stage, consequently ...
Tra Sette e Ottocento l’antica corporazione dei beccai si trova ad affrontare il non facile passaggio da un’economia regolata e vincolistica ad un regime liberistico sulla spinta di un generale processo di ripresa economica, con il... more
Tra Sette e Ottocento l’antica corporazione dei beccai si trova ad affrontare il non facile passaggio da un’economia regolata e vincolistica ad un regime liberistico sulla spinta di un generale processo di ripresa economica, con il conseguente inserimento della piccola Toscana granducale in un circuito di traffici e commerci a livello internazionale, che culmina con l’annessione all’Impero napoleonico (1808-1814). Un periodo in cui la categoria dei macellai dovette far fronte, soprattutto dopo la soppressione delle Corporazioni (1770), da un lato alla persistente bassa propensione al consumo di carne di gran parte della popolazione urbana (e ancor più bassa di quella rurale) e dall’altro alla crescente concorrenza portata da individui e gruppi operanti nel settore alimentare, risoluti ad abbattere definitivamente il monopolio da essi fin’allora goduto.
Con l’annessione all’Impero Firenze e la Toscana erano entrate in una nuova dimensione, non soltanto politico-amministrativa ma anche, e soprattutto, economica e sociale. Cambiava la prospettiva stessa dei problemi, anche quelli legati alla produzione, alla distribuzione e alle varie categorie che operavano nel settore alimentare. Un settore (e in particolare proprio quello della carne) fortemente caratterizzato dalla tradizione in una città che aveva mantenuto praticamente inalterati i suoi tratti tipicamente medievali, e che ora avrebbe dovuto misurarsi con una nuova e dinamica realtà. Per comprendere, dunque, i processi economici e sociali in atto in quel periodo e le conseguenze da essi prodotte sulla categoria in questione era necessario esaminare, sia pure a grandi linee, le strutture sulle quali poggiava tale importante e delicato settore. Si sono così messi in luce quegli elementi che componevano il quadro d’insieme di una vicenda tutt’altro che semplice e lineare: produzione, commercio, consumi, legislazione, problemi igienici e sanitari legati alla macellazione in ambito urbano e così via. Come l’antica corporazione dei beccai abbia affrontato la sfida dei tempi nuovi, modificando il proprio assetto produttivo e commerciale salvaguardando nel contempo la propria identità di mestiere, è il tema di questo saggio.
The long term preminence of Florentine’s patricians has produced a great range of sources, widely originated by the transmission along the time of social roles, political and religious careers, economic interests and heritages, concerning... more
The long term preminence of Florentine’s patricians has produced a great range of sources, widely originated by the transmission along the time of social roles, political and religious careers, economic interests and heritages, concerning land ownership above all. Necessity of economic admnistration,  but further more, of transmitting property and land richness – and memory of these – is the main reason because the private archives of Tuscan gentle families are full of precious primary sources for the study of Tuscan countryside and, more widely, for rural history from Middle Age to XX century. The aim of this paper is focusing on these documentary sources and present a first research’s account about the family’s archive of the Serristori. The case study is limited to the second half of XVII century. In a way, it’s a methodological survey in a particular type of primary sources: the private letters between the padroni and their agenti about administration and exploitation of rural properties. The Casato, from the native Figline, was full integrated in the Florence’s aristocracy by the XIV-XV centuries, but mantained strong economic interests and a great social influence in the native Valdarno. These letters – exchanged on a weekly or daily basis – are very importants to highlight mentality (“paternalism”) and social and economic strategies about the wide rural tenures from Valdarno to Valdichiana lead by the padroni according to their peripherals agents. But more widely the dense correspondence also contain lively and direct testimonies of rural life.
Lo spazio geografico analizzato nella ricerca è quello della Toscana meridionale territorio privo di forti e consolidate reti urbane, rimasto a lungo noto per la sua insicurezza e nel quale il controllo delle forze di polizia si... more
Lo spazio geografico analizzato nella ricerca è quello della Toscana meridionale territorio privo di forti e consolidate reti urbane, rimasto a lungo noto per la sua insicurezza e nel quale il controllo delle forze di polizia si presentava alquanto frammentario, difficile e incostante. Territorio pericoloso per lo spadroneggiare del banditismo, dei contrabbandi, dei pericoli provenienti via mare, delle incerte linee di confine. Allo stesso tempo, tuttavia, importante per risorse fondamentali come il sale, il grano, l’allevamento e il pascolo transumante ecc. tutte attività legate alla mobilità, al commercio, alle reti di comunicazione.  Lo studio mira ad approfondire aspetti legati alle politiche di controllo del territorio (“serrare i passi”) attraverso il disciplinamento del traffico e il tentativo di regolare la mobilità applicati a punti di passaggio ben definiti o sui quali si cercava di convogliare le direttrici di transito: guadi e passi di barca per l’attraversamento dei fiumi; punti di passaggio obbligati per il transito del bestiame transumante (le cosiddette “calle”); punti di osservazione e di controllo doganale; torri di avvistamento sul litorale; edifici di controllo frontaliero. La cronologia è incentrata prevalentemente sulla seconda metà del XVI secolo ma con una prospettiva di lungo periodo fino alle inchieste di polizia del XVIII secolo.
La presente ricerca cerca di studiare, con il ricorso ad alcuni esempi concreti, le forme che assunse il controllo del territorio nello spazio regionale toscano in aree dove la presenza delle acque interne era significativa, in situazioni... more
La presente ricerca cerca di studiare, con il ricorso ad alcuni esempi concreti, le forme che assunse il controllo del territorio nello spazio regionale toscano in aree dove la presenza delle acque interne era significativa, in situazioni dove il paesaggio delle acque assumeva un rilievo importante sia per l’organizzazione del territorio, sia per gli assetti economici che l’ambiente umido determinava ponendo, di conseguenza, importanti problemi di controllo e di gestione. La scelta operata in via preliminare è stata quella di analizzare separatemente due realtà fra loro diverse ma che potessero avere una certa loro “tipicità”. In primo luogo una situazione “fluviale” come la foce del fiume Ombrone nella Toscana meridionale o, per meglio precisare, nella Maremma di Grosseto. In secondo luogo situazioni invece influenzate dalla presenza di paludi interne, cioè legate alla presenza di vasti spazi umidi, riferendomi in particolare ai bacini di Bientina e di Fucecchio collocati in prossimità del basso corso del fiume Arno che ha costituito, come noto, una delle più importanti arterie di comunicazione (e di sviluppo) per la Toscana in età moderna.
Intanto possiamo affermare, come premessa di fondo, che anche nella Toscana e nelle aree umide che abbiamo richiamato in precedenza i poteri di “polizia”, almeno fino al XIX secolo, continuarono ad essere caratterizzati da una profonda confusione dovuta sia alla presenza di giurisdizioni diverse (tutte con alle dipendenze forze di tipo “esecutivo”), sia dalla commistione e sovrapposizione difficilmente separabile tra funzioni e competenze. Si tratta di elementi di lungo periodo che caratterizzarono “le polizie” di Ancien Règime il cui processo di superamento – collocabile fra fine ‘700 e ‘800 – fu originato dal bisogno di efficienza, di razionalizzazione e di sicurezza che portò progressivamente in Italia, come nel resto di Europa,  a separare, distinguere e specializzare i corpi di polizia. Il controllo del territorio, vi fosse o meno la presenza delle acque, mantenne per secoli fisionomie spesso diverse e molteplici, difficilmente distinguibili e separabili se volessimo schematizzare in due grandi categorie di “prevenzione” e di “esecuzione” per quanto concerne le competenze relative alle trasgressioni riguardanti la fruizione e lo scambio delle risorse. Il testo ripercorre questi temi e cerca di evidenziare, sulla base di approfondite ricerche d’archivio, la complessità di questo controllo in Maremma e nelle aree interne della Toscana, un esercizio del potere reso difficoltoso non solo dai molteplici interessi in gioco ma anche da altri fattori legati alle variabili climatiche e stagionali, alle caratteristiche dell’ambiente, alle articolazioni e alle strutture delle società e delle economie locali
This essay examine question of granting feudal honour by Florentine Medici’s court in the late XVI century. Honour, distinction and raising social degree linked to feudal nobility were very desired by Florentine urban elitès, as the case... more
This essay examine question of granting feudal honour by Florentine Medici’s court in the late XVI century. Honour, distinction and raising social degree linked to feudal nobility were very desired by Florentine urban elitès, as the case of the Niccolini’s family. In particular is not examined the final conclusion of their rise to the status of nobility in mid XVII century (when Filippo di Giovanni Niccolini was appointed Marquis of Ponsacco and Camugliano) but rather the family’s stages of approach, the long period strategies and patronages they used in the shadow of Medici’s rule for succeeding in get a rank of nobility (the Marquisate) enrolled forever in their own family tree. The case study of Giovanni di Agnolo Niccolini is limited to a short term historical perspective (the end of XVI century) but anyway very interesting to explore. He belonged to the Florentine urban patriciate and by grand duke Ferdinando I was named resident ambassador at the Papal court in Rome for a long time. The essay utilises extensive primary sources (from Niccolini’s own Archive and Public Records) to examine the efforts of Niccolini ambassador to obtain a rank of feudal nobility as personal reward i.e. as prize to Niccolini family’s long time services and loyalty to Medici ruling house.
Il tema della caccia nel padule di Fucecchio è un argomento che fa riferimento, più in generale, alle attività di sfruttamento delle risorse naturali presenti in un ambiente particolare come era l’area umida fucecchiese. A differenza... more
Il tema della caccia nel padule di Fucecchio è un argomento che fa riferimento, più in generale, alle attività di sfruttamento delle risorse naturali presenti in un ambiente particolare come era l’area umida fucecchiese. A differenza della pesca, la caccia solo molto raramente assunse la dimensione di attività professionale a se stante, di mestiere definito anche da un punto di vista sociale ed economico. A maggior ragione nelle epoche più lontane, quando la multi-professionalità, l’esercizio di diversi mestieri e saperi, legati magari all’andamento delle stagioni, costituiva più la regola che l’eccezione, sia nelle campagne, sia nelle economie di montagna, sia in ambienti particolari come quelli umidi/palustri. Il presente saggio ricostruisce sulla base della bibliografia e della documentazione d’archivio le caratteristiche di un’attività che per secoli ha mantenuto una duplice connotazione sociale, spesso contraddittoria e conflittuale: quella aristocratica improntata allo svago virile; quella popolare funzionale all’approvvigionamento di generi alimentari. Nel microcosmo in questione, caratterizzato dalla presenza della grande proprietà della corona, si realizzò la progressiva costituzione di spazi (le Bandite) riservati al principe e sottratti ad uno sfruttamento venatorio promiscuo, soprattutto dell’abbondante avifauna migratoria. Attività che in realtà sopravvisse grazie a minutissime pratiche trasgressive e all’aggiramento dei divieti favoriti dalle difficoltà a controllare adeguatamente un ambiente umido particolarmente ostile e selvaggio
Il saggio prende spunto dalle origini familiari dell’intellettuale Lorenzo Pignotti – figura di notevole rilievo nella cultura toscana del tardo XVIII secolo - per analizzare alcune caratteristiche dell’ambiente economico e sociale della... more
Il saggio prende spunto dalle origini familiari dell’intellettuale Lorenzo Pignotti – figura di notevole rilievo nella cultura toscana del tardo XVIII secolo - per analizzare alcune caratteristiche dell’ambiente economico e sociale della cittadina di Figline fra ‘6 e ‘700. Fortemente caratterizzata da importanti attività mercantili dovute alla sua posizione centrale nel medio Valdarno, la Figline in cui nacque Pignotti era un centro agricolo e di mercato piuttosto dinamico: la commercializzazione dei prodotti rurali (cereali, vino, bestiame) e il rifornimento della capitale Firenze erano caratteristiche strutturali destinate a durare nel lungo periodo. Dal punto di vista demografico il territorio – caratterizzato da una certa rigidità nella maglia insediativa mezzadrile - mostrava una sempre più accentuata tendenza verso una crescita della popolazione accentrata: le attività e i servizi connessi al mercato attiravano inevitabilmente l’insediamento di famiglie povere e di una popolazione alla ricerca di opportunità di lavoro e di impiego. Come attestano numerose testimonianze tratte dalle fonti d’archivio, la presenza di poveri e le pessime condizioni di vita spesso influenzate negativamente dal sovraffollamento, emergevano in maniera drammatica durante i momenti di emergenza sanitaria che più volte colpirono Figline in questo periodo. A partire dalla grave pestilenza del 1630-31 per giungere alla epidemia di tifo del 1767, momenti di crisi sui quali l’autore si sofferma per indagare più a fondo sulle caratteristiche dell’economia e della società locale. Alla vigilia dei progressi medico-sanitari e delle conoscenze scientifiche di cui si farà portatore il movimento dei Lumi – e più in generale la politica delle riforme che vedrà coinvolto lo stesso Pignotti – per promuovere e per migliorare le condizioni di vita nelle campagne e nelle città
Il testo propone, sulla base di ampie ricerche d’archivio, una approfondita analisi delle vicende storiche dell’area umida del Padule di Fucecchio in un arco di tempo plurisecolare. Nella prima parte viene analizzato il processo di... more
Il testo propone, sulla base di ampie ricerche d’archivio, una approfondita analisi delle vicende storiche dell’area umida del Padule di Fucecchio in un arco di tempo plurisecolare. Nella prima parte viene analizzato il processo di formazione della fattoria di Castelmartini nel territorio di Larciano nella seconda metà del XVI secolo, un’azienda agraria composta – oltreché da numerosi poderi organizzati a mezzadria – da ampie boscaglie e da una parte consistente compresa nel circondario dell’area palustre. Unità aziendale di proprietà granducale, che assieme ad altre fattorie dislocate nel circondario del padule faceva si che esso fosse sotto l’amministrazione dello Scrittoio delle Regie Possessioni. Con le riforme lorenesi del secondo ‘700 anche la fattoria di Castelmartini seguì la sorte di altre proprietà granducali e fu privatizzata. Nel caso specificò essa fu acquistata dalla nobile famiglia pistoiese dei Poggi Banchieri cui appartiene ancora oggi. Il processo di liquidazione del patrimonio granducale e i tentativi di bonifica dell’area palustre fucecchiese innescarono profondi cambiamenti nelle modalità di accesso e di fruizione delle risorse dell’area umida. Il penetrare della proprietà privata, la liberalizzazione della navigazione e della pesca, l’amministrazione del territorio addossata alle comunità locali (con la creazione di un consorzio pubblico/privato per la gestione del padule) accesero un’accesa conflittualità con gli abitanti che svolgevano tradizionalmente le loro attività nello spazio umido. Nella seconda parte del lavoro vengono seguite queste vicende nel corso dei secoli XIX e XX. Il problema idraulico rimase tale e si susseguirono proposte e tentativi di bonifica, ma l’area palustre divenne sempre più importante per l’allevamento (come importante riserva di foraggi) e per svariate piccole industrie rurali legate alla raccolta delle erbe palustri (in particolare il sarello che durante la stagione estiva vedeva al lavoro centinaia di uomini e donne). Al di là dei lavori stagionali, ancora negli anni ’30 del XX secolo sopravvivevano piccoli nuclei di “padulani”, abitanti cioè che tradizionalmente traevano dallo sfruttamento delle risorse palustri (caccia, pesca, raccolta del fieno e delle canne) il loro sostentamento. Come viene messo in evidenza dall’analisi di un caso campione messo in luce da un’inchiesta ravvicinata dell’INEA. L’ambiente, che fu teatro di una drammatica strage nazista nell’agosto 1944, continuò ad essere intensamente vissuto almeno fino agli anni sessanta e al boom economico che segnò, peraltro, anche il tramonto della mezzadria e l’abbandono delle campagne
L’ampio studio dedicato al territorio di Cecina in un arco plurisecolare che va dall’età medicea all’ottocento, prende spunto dall’abbondante cartografia storica pubblicata a corredo del testo. Le immagini offrono sicuramente lo spunto... more
L’ampio studio dedicato al territorio di Cecina in un arco plurisecolare che va dall’età medicea all’ottocento, prende spunto dall’abbondante cartografia storica pubblicata a corredo del testo. Le immagini offrono sicuramente lo spunto per un interessante percorso che ripropone alcuni dei momenti più significativi della storia e delle vicende del territorio cecinese e della Maremma settentrionale, soprattutto fra XVIII e XIX secolo. La ricostruzione della storia di questo territorio, il cui sviluppo fu a partire dal XVI secolo influenzato dalla presenza di una vasta fattoria granducale, arricchita dalla presenza di importanti impianti siderurgici che sfruttavano la presenza significativa di boschi e di acque, viene accuratamente seguita soprattutto nei suoi sviluppi nel corso del ‘700 e ‘800. A partire dall’importante esperienza dell’infeudazione a Carlo Ginori di metà ‘700 con il sogno – fallito – di sviluppare nel Palazzo di Cecina un centro polifunzionale di attività (pesca, artigianato, cantieristica, siderurgia) come base per lo sviluppo economico di questa area del litorale e dell’entroterra tirrenico. La successiva alienazione della fattoria e gli interventi lorenesi per il risanamento idraulico e per lo sviluppo agrario della maremma settentrionale, furono poi le premesse fondamentale della trasformazione di Cecina: il suo passaggio da fattoria a Comunità, con lo sviluppo ottocentesco di un dinamico e importante centro urbano, esempio interessante di un centro di nuova fondazione in un’area di bonifica precedentemente spopolata e depressa
Il testo presenta uno studio approfondito, condotto su un ampio ventaglio di fonti d’archivio (in Italia e in Francia), sull’evoluzione politica e sociale della cittadina di Montevarchi nel Valdarno Superiore colta nel momento di grave... more
Il testo presenta uno studio approfondito, condotto su un ampio ventaglio di fonti d’archivio (in Italia e in Francia), sull’evoluzione politica e sociale della cittadina di Montevarchi nel Valdarno Superiore colta nel momento di grave crisi e di cambiamento che vi fu in Toscana durante il periodo rivoluzionario e napoleonico. Si trattava di un importante e dinamico centro agricolo e commerciale, sede di uno dei più importanti mercati della Toscana soprattutto nel settore granario, della seta e del bestiame. Lo studio cerca di analizzare i fermenti politici e le dinamiche sociali avvenuti in questo territorio partendo dall’età delle riforme e dai cambiamenti innescati soprattutto dalla riforma delle comunità, dalla liberalizzazione del commercio dei grani, dal processo di privatizzazione dei patrimoni pubblici che impressero un nuovo dinamismo al mercato della terra. L’emergere di nuove e dinamiche figure sociali, le resistenze al cambiamento dei ceti dirigenti tradizionali, le loro strategie, vengono analizzati a partire dai conflitti religiosi avvenuti all’inizio degli anni ’90 del ‘700 intorno alla questione del giansenismo e della riforma della chiesa; conflitti acuiti poi dai gravi moti annonari che scoppiarono nell’ultimo decennio del secolo in seguito al peggioramento delle condizioni di vita dei ceti popolari e dal continuo rincaro dei generi di prima necessità. Il momento cruciale sarà poi quello della brevissima “primavera” “giacobina” e repubblicana del 1799, con l’arrivo dei francesi, con la fuga del Granduca, con le speranze di democratizzazione della Toscana rese vane, tuttavia, dal tiepido atteggiamento dei commissari francesi – interessati a perseguire gli interessi dell’armata - e soprattutto a causa dell’esplodere dell’insorgenza contro-rivoluzionaria del “Viva Maria” che ebbe il suo epicentro ad Arezzo, per poi estendersi al Valdarno e al resto del granducato. Vicende che videro protagonista di primo piano anche la cittadina di Montevarchi, la cui realtà politico-religiosa e le cui dinamiche economico-sociali vengono analizzate, sul piano dell’interpretazione e delle fonti, su un arco cronologico più ampio che arriva a comprendere la successiva annessione all’impero francese negli anni 1808-14.
La vicenda della famiglia Magiotti di Montevarchi, il ruolo dei suoi esponenti principali in un dinamico paese di provincia, la carriera e i rapporti stretti nella capitale, offrono lo spunto per approfondire talune vicende del periodo a... more
La vicenda della famiglia Magiotti di Montevarchi, il ruolo dei suoi esponenti principali in un dinamico paese di provincia, la carriera e i rapporti stretti nella capitale, offrono lo spunto per approfondire talune vicende del periodo a cavallo fra fine ‘500 e inizio ‘600, forniscono una chiave di lettura interessante - grazie alla duplice dimensione di esponenti del notabilato di provincia e di appartenenti a quella cerchia ristretta di spiriti illuminati che fu protagonista del pensiero scientifico dell’epoca - del contesto in cui vennero a maturare i percorsi dalla periferia al centro di personaggi comunque interessanti per il contributo di conoscenze che offrono di un periodo storico così affascinante e al tempo stesso così complesso e contraddittorio. I due Magiotti, Lattanzio e Raffaello, in realtà, dopo la loro vita, furono alquanto dimenticati. Di entrambi, fino alle soglie del XIX secolo, rimaneva un’eco alquanto flebile e generica; il medico Lattanzio era ricordato in virtù di un aneddoto abbastanza famoso riportato dal Magalotti che sembrava farne un campione del cosiddetto «nichilismo terapeutico», ovvero di quell’atteggiamento scettico nei confronti della medicina del tempo e contrario all’accanimento dei medici nei confronti dei pazienti, accanimento che in pieno Seicento si manifestava con una farmacopea complessa e ridondante, spesso assai più dannosa delle malattie cui voleva rimediare. Era inoltre ricordato in un’inchiesta conoscitiva del periodo napoleonico come uno dei personaggi più importanti della storia montevarchina («Lattanzio Magiotti gran filosofo e medico del granduca Ferdinando secondo dei Medici»). Per quanto riguarda Raffaello Magiotti, la sua fama di galileiano e il suo ricordo furono una riscoperta ottocentesca che su stimolo della famiglia, in particolare di Quirina Mocenni moglie dell’ultimo esponente della famiglia Magiotti, si dispiegarono pienamente nell’ambiente dell’Accademia Valdarnese del Poggio di Montevarchi nel contesto dei rapporti del notabilato locale, grazie all’opera di Francesco Martini, alle famiglie Del Nobolo e Viviani, imparentate con i Magiotti.
Naturalmente l’attenzione di questo lavoro, più che sulle vicende biografiche di Raffaello e Lattanzio Magiotti, come singoli personaggi, verte sul contesto più generale cercando di offrire un contributo il più possibile originale sulle vicende della famiglia (illustrate anche da alcune genealogie ricostruite grazie alle fonti), sull’ascesa sociale e sull’evoluzione del patrimonio immobiliare, prestando attenzione all’ambiente socio-economico e politico-amministrativo in cui essa venne ad operare nella Montevarchi di quel periodo.
Nella seconda parte del lavoro, invece, si passa dall’analisi delle vicende di una famiglia di medici del periodo, esponenti di una scienza in fase di forte trasformazione, a trattare degli spettri delle epidemie che sconvolsero anche il Valdarno nel Seicento. Ricostruendo in particolare le vicende che caratterizzarono Montevarchi durante la peste nera del 1631, mettendo in risalto i comportamenti privati, le risposte dei poteri pubblici, gli sforzi della Sanità – mediante una sorta di “dittatura sanitaria” - per combattere la tragica emergenza che colpì duramente le terre del Valdarno Superiore
Nell'arco di circa un secolo e attraverso tre generazioni la famiglia Martini, originaria del Mugello fiorentino, seppe inserirsi ai vertici del notabilato di provincia di Montevarchi fra la fine del Settecento e la prima metà... more
Nell'arco di circa un secolo e attraverso tre generazioni la famiglia Martini, originaria del Mugello fiorentino, seppe inserirsi ai vertici del notabilato di provincia di Montevarchi fra la fine del Settecento e la prima metà dell'Ottocento. In una fase di grandi trasformazioni politiche, sociali ed economiche fu protagonista di una costante ascesa sociale a partire dalla figura di Vincenzo Martini arrivato a Montevarchi come funzionario granducale e cancelliere comunale. Attraverso le alleanze matrimoniali con le principali famiglie del ceto dirigente locale, lui e i suoi discendenti furono protagonisti indiscussi del notabilato locale nella prima metà del XIX secolo occupando posizioni di vertice nell'amministrazione e nella vita pubblica di provincia. Terra e potere furono le solide chiavi della loro posizione di preminenza.
Il lavoro prende spunto dall’analisi degli atteggiamenti “culturali” nei confronti delle zone umide e delle figure professionali, peraltro incerte, che vivevano e lavoravano in simili ambienti. Atteggiamenti che mutano nel corso del... more
Il lavoro prende spunto dall’analisi degli atteggiamenti “culturali” nei confronti delle zone umide e delle figure professionali, peraltro incerte, che vivevano e lavoravano in simili ambienti. Atteggiamenti che mutano nel corso del tempo, in particolare a partire dal XVIII secolo quando si afferma una “moderna” cultura della bonifica intesa anche come percorso e cammino di civilizzazione in favore dell’agricoltura, unico sfruttamento razionale e regolato della natura in raffronto alle forme “barbare” di sfruttamento legate a pratiche consuetudinarie, ai diritti collettivi, che si ritenevano responsabili del disordine idraulico e del protrarsi di ambienti malsani. Tali atteggiamenti sono particolarmente evidenti ripercorrendo la storia della gestione di due vicini e importanti invasi palustri che svolgevano una importante funzione di regolazione idraulica e ambientale: quelli di Bientina e di Fucecchio. Aree non trascurabili anche per la produzione di pesce, del legname e per gli svaghi legati alle attività venatorie. Si tratta di zone umide che furono per secoli al centro di svariati e molteplici interessi spesso contrastanti. Sulla base di una ricca documentazione d’archivio viene ricostruita la storia di questi ambienti cercando di mettere in luce il complesso delle tensioni, dei conflitti, dei controlli che in alto e in basso i poteri pubblici e le popolazioni cercarono di esercitare. Soffermandosi in particolare a definire cosa fosse “l’economia di palude” e chi fossero “gli uomini di palude”. Concludendo infine con una analisi approfondita delle trasformazioni avvenute fra ‘7 e ‘800 quando il programma delle bonifiche e l’abolizione delle forme collettive di sfruttamento – pur tenacemente contrastati - innescarono cambiamenti irreversibili
Il lavoro si inserisce nelle ricerche che l’Autore ha condotto in questi anni sulla comunità di Bientina per la pubblicazione di un’ampia monografia, ampliando un aspetto che nella trattazione dell’evoluzione demografica della comunità... more
Il lavoro si inserisce nelle ricerche che l’Autore ha condotto in questi anni sulla comunità di Bientina per la pubblicazione di un’ampia monografia, ampliando un aspetto che nella trattazione dell’evoluzione demografica della comunità era rimasto appena accennato. Partendo dall’analisi delle difficili condizioni igienico-sanitarie dell’insediamento, emerse con particolare gravità già agli inizi del XVII secolo e dovute alle difficoltà dell’impianto urbanistico di origine medievale di contenere l’aumento della popolazione determinatosi nella seconda metà del XVI secolo, il testo mira a ricostruire i difficili anni di crisi fra il 1629-32 quando alle avverse condizioni metereologiche – acuite dal fragile equilibrio idraulico di una zona umida particolarmente complessa – si sommarono anni di cattivi raccolti e di fame, ma soprattutto l’insorgere della grave epidemia di peste che colpì la Toscana, con cadenze diverse, fra il 1630 e il 1632. La ricostruzione della tragica emergenza sanitaria – condotta su fonti d’archivio locali e sui carteggi con gli uffici di Sanità di Firenze e Pisa – disegna la cronaca drammatica di quegli anni, le dinamiche economiche e sociali, evidenziando il quadro delle tipiche crisi di mortalità dell’Europa del ‘600 in un ristretto e particolare microcosmo locale
This article aims to reconstruct some particular forms of economic and social organisation of space. It begins with a brief introductory section which outlines the characteristics of the marshland of Bientina and its changing... more
This article aims to reconstruct some particular forms of economic and social organisation of space. It begins with a brief introductory section which outlines the characteristics of the marshland of Bientina and its changing characteristics (an area covered all the year round by water and including large areas of swamp). The communal property of Bientina was established through centuries-old controversies and through the problematic management of the political boundary with the state of Lucca, a boundary that was never formally defined but which found expression in the limits imposed on the activities of the inhabitants of the coast. Through the analysis of the conflicts which arose during the period of reforms in the second half of the eighteenth century, the author attempts to explain the social and economic organisation of Bientina, and in particular the fishing and harvesting based on positions of privilege held by the «original» inhabitants of the town. From opposition to attempts to alienate public space and collective uses, attention shifted towards an understanding of the importance of the areas reserved fors fishing, rented out every year. The analysis of the various relationships between the privileged group of fisher-tenants and the ordinary fishermen highlights an interwining of private and collective uses which ad important consequences for the social organisation of the town. The attempts to safeguard the environmental equilibrium which supported the town and its families are analysed through the different regulations and the frequent conflicts that accompanied the growing pressure of population on the marsh area from the beginning of the eighteenth century
L’ambito delle indagini comprende una parte del Mugello e dell’alta Val di Sieve: una zona che, in prima istanza, è possibile definire come omogenea in base a caratteristiche di tipo deterministico, come l’appartenenza a quella fascia... more
L’ambito delle indagini comprende una parte del Mugello e dell’alta Val di Sieve: una zona che, in prima istanza, è possibile definire come omogenea in base a caratteristiche di tipo deterministico, come l’appartenenza a quella fascia appenninica che va dal fondovalle alle zone pedemontane e montane. Generazione dopo generazione, gli uomini dell’Alpe (vetturali, proprietari di muli, pastori, boscaioli, banditi e contrabbandieri) si trasmisero, come patrimonio ereditario culturale esclusivo, una conoscenza raffinata e puntuale del territorio e di ogni potenziale tragitto tra i due versanti toscano e romagnolo. Nel caso esaminato ciò avvenne a partire almeno dal XV secolo, quando il crinale appenninico cessò di rappresentare un confine politico e, in questo senso, subì una deistituzionalizzazione abbastanza significativa e densa di conseguenze anche per quanto concerne chi, oggi, vi tenti un approccio di carattere storico. Il saggio in questione potrebbe essere riassunto da un proverbio di fine ‘700 rinvenuto fra le numerose fonti inedite esaminate: “Le acque formano i fiumi ed i Popoli le strade”. In effetti la ricostruzione dei percorsi di valico, la storia delle realizzazioni, dei progetti e delle politiche stradali in un lungo arco di tempo plurisecolare che va dall’età del Principato mediceo fino alla Toscana lorenese del XIX secolo (quando finalmente si concretizzò il sogno di realizzare una spettacolare via transappeninica fra questa parte di Toscana e la Romagna, primo tassello di un più ampio progetto di collegamento stradale fra il Tirreno e l’Adriatico), non si limita all’ambito politico e tecnologico, ma è arricchita da continui approfondimenti del contesto economico, sociale e demografico del territorio al centro dell’indagine. Una ricostruzione per così dire dal basso, di come viabilità e reti commerciali costituissero elementi fondamentali per lo sviluppo antropico di questo territorio. Uomini, merci, mercati, comunità, economia di montagna e uso dei boschi sono al centro dell’indagine, delineando il quadro umano che nel lungo periodo dovette fare i conti con i percorsi di valico e con gli usi delle strade, attraversando congiunture diverse, interessi e prospettive che cambiarono nel corso del tempo, sia in alto che in basso.
Le marécage et le lac de Bientina furent complètement bonifiés par assèchement peu après le milieu du dix-neuvième siècle. Après avoir souligné les caractéristiques de la Toscane comme ‘terres de bonification’ et le développement des... more
Le marécage et le lac de Bientina furent complètement bonifiés par assèchement peu après le milieu du dix-neuvième siècle. Après avoir souligné les caractéristiques de la Toscane comme ‘terres de bonification’ et le développement des territoires occidentaux, situés le long de la vallée de l'Arno, dès le seizième siècle, l'auteur décrit les particularités de l'espace environnemental de Bientina caractérisé par la pré¬sence d'un système hydraulique-territorial complexe soumis à des activités spécifiques de la consommation de l'espace naturel: pêche surtout, mais aussi chasse et la récolte de produits maraîchers. Si la propriété de la commune de Bientina  remontait loin dans le temps, la construction ‘sociale' de l'espace ambiant date du seizième siècle. Cette construction sociale s'est effectuée à travers des contestations sur la propriété, les divisions des terrains maraîchers et la dotation de riches revenus pour la commune provenant de l'organisation de zones particulières de pêche, dont le loyer a permis une notable augmentation des investissements destinés aux travaux publics (l'enrichissement urbanistique et la manutention des infrastructures hydrauliques et routières). Les organisations socio-économiques qui s'étaient élaborées autour de la gestion collective de l'espace maraîcher furent mises à mal par la réforme du dìx-huitième siècle et par les conditions conjoncturelles désormais différentes. La pression démographique majeure sur les terres non cultivées et les changements déclenchés par les réformes des communautés introduites durant la période de la maison de Lorraine et plus tard durant l'époque napoléonienne, alimentèrent une tendance qui porte au changement et à la destruction des équilibres liés depuis siècles aux pratiques d'exploitation et e de régénération des ressources maraîcheres.
Le vicende della vasta area collinare conosciuta, complessivamente, come le Cerbaie, divengono particolarmente complesse nel corso dell’età moderna. Il processo di transizione verso forme diverse di proprietà, legate non più agli usi ma... more
Le vicende della vasta area collinare conosciuta, complessivamente, come le Cerbaie, divengono particolarmente complesse nel corso dell’età moderna. Il processo di transizione verso forme diverse di proprietà, legate non più agli usi ma alla titolarità dei suoli, e dunque con evidenti conseguenze sulle modalità di accesso e di sfruttamento delle risorse ambientali, sarà particolarmente lungo, complesso e tormentato. Area boscosa, inframmezzata da specchi d’acqua, spartiacque naturale fra due vasti bacini umidi come i laghi palustri di Fucecchio e di Bientina, segnata dalla vicinanza di una tormentata e contesa “frontiera minore” con la repubblica di Lucca, attraversata da antichissime direttrici stradali di comunicazione nord-sud (come la ben nota “via Francigena”), conserva per secoli una natura composita e multiforme, in parte selvaggia e inospitale, come tutte le foreste, quasi una sorta di universo parallelo anche sul piano culturale; allo stesso tempo, però, costituisce un paesaggio fortemente vissuto, addirittura compenetrato, oserei dire, nell’orizzonte della vita quotidiana e del lavoro delle popolazioni rurali che vi si erano insediate e di quelle che abitavano nelle borgate e nelle cittadine dei dintorni. Colline e boschi segnati fin dal medioevo dalla presenza non sporadica e non effimera dell’uomo; non a caso in alcuni studi di “archeologia forestale” dedicati, anni fa, proprio ai boschi presenti in questa area – nella quale alcune formazioni sono sopravvissute per secoli – se ne rintracciava la natura fortemente “antropizzata” e quindi “costruita” nel tempo.
Dunque un territorio complesso e fortemente conteso, basti pensare alle numerose comunità che vi avevano in qualche modo degli interessi e che potevano vantare, su di esso, da epoche remote, dei diritti: Fucecchio, Santa Croce, Castelfranco di Sotto, Santa Maria a Monte, Montecalvoli, Bientina, Altopascio, Montecarlo. Un mosaico di proprietà, di possessi, di giurisdizioni, che si era sedimentato nel corso dei secoli e che risultava molto difficile da districare; persino il pragmatismo e l’efficienza degli impiegati napoleonici, all’inizio dell’800, si trovò in difficoltà nel ricomporre uno stabile e condiviso quadro amministrativo, senza l’introduzione di un moderno catasto geometrico dei terreni e senza istituire – come fu proposto - una nuova circoscrizione comunale proprio nel cuore delle Cerbaie (ad Orentano).
Lo studio ricostruisce – attraverso approfondite analisi negli archivi centrali e locali – il complesso di questa gestione dei boschi, i conflitti di giurisdizione, le pratiche di sfruttamento, i vincoli e gli interessi in gioco (il legname delle Cerbaie fu per secoli sfruttato per la costruzione delle galere granducali). Analizzando inoltre, per quanto riguarda il caso di Fucecchio, la progressiva liquidazione e privatizzazione – realizzata in maniera contrastata negli anni ’80 del XVIII secolo nel clima delle riforme lorenesi - del vasto patrimonio comunale che si estendeva per varie centinaia di ettari in questa area boschiva.
La palude di Fucecchio – le cui vicende vengono ripercorse con una rapida sintesi dal Rinascimento al XX secolo - non appare come uno spazio marginale che vive completamente al di fuori degli spazi della “civilizzazione”. Al contrario... more
La palude di Fucecchio – le cui vicende vengono ripercorse con una rapida sintesi dal Rinascimento al XX secolo - non appare come uno spazio marginale che vive completamente al di fuori degli spazi della “civilizzazione”. Al contrario sembra pienamente inserita nella vita dei borghi e dei villaggi rurali che le sono vicini; si pone al centro di una rete di trasporti in cui vengono ad integrarsi percorsi terrestri e vie di navigazione acquatiche; per secoli viene intensamente vissuta e frequentata da svariate categorie di persone, pur mantenendo alcune caratteristiche di ambiente selvaggio, che in talune occasioni lo rendono uno spazio ideale di fuga o di rifugio, un luogo in cui i controlli della società civile tendono, inevitabilmente, ad allentarsi. Dunque una natura multiforme e complessa, popolata di uomini che sarebbe comunque una forzatura definire estensivamente come «gente di palude», nel senso di una categoria a se stante, contrapposta ad altri settori della società e del mondo del lavoro, anche se i peculiari stili di vita, modellati sulle variazioni stagionali dell’ambiente umido e da esso fortemente condizionati, in qualche modo ci inducono a ritenere plausibile ma allo stesso tempo “flessibile” una etichetta di questo tipo. Sulla scorta di censimenti fiscali, testimonianze scritte, relazioni, si palesa la difficoltà a definire in maniera univoca il peso della presenza dell’ambiente umido per il lavoro e l’economia delle popolazioni rivierasche. Una presenza tuttavia forte che rimane anche nel pieno del ‘900 come dimostra la seconda parte del saggio dedicata a studiare le condizioni di vita quotidiana dei cosiddetti “padulani” – cacciatori, pescatori, raccoglitori di canne - così definiti nelle «Monografie di famiglie agricole» commissionate negli anni ’30 dall’INEA (Istituto Nazionale di Economia Agraria)
Nella ricca e variegata vita associativa della Firenze medievale, la potente corporazione dei beccai era stata una delle più importanti e influenti. Compresa fra le 12 arti minori, era ascesa assieme alle altre al governo della... more
Nella ricca e variegata vita associativa della Firenze medievale, la potente corporazione dei beccai era stata una delle più importanti e influenti. Compresa fra le 12 arti minori, era ascesa assieme alle altre al governo della repubblica; nel ‘300 aveva fatto costruire i locali della «Beccheria» in Mercato Vecchio, al centro della città; all’inizio del ‘400 aveva innalzato un sontuoso palazzo nei pressi di Orsanmichele, monumento simbolo delle arti fiorentine, che conservava nelle sue nicchie una preziosa statua di S. Pietro, commissionata dagli stessi beccai al giovane Brunelleschi. La caduta della repubblica e l’avvento del Principato dei Medici nella prima metà del ‘500 infersero un colpo mortale al modello corporativo medievale già in precedenza peraltro svuotato di molti dei suoi contenuti politici ed economico-sociali. Non diversamente da altri mestieri, anche l’arte dei beccai iniziò un processo di profonda trasformazione, soprattutto per quel che concerne il suo ruolo nella vita pubblica; scomparve come ente autonomo già nel 1534 e nel suo caso cominciò a mutare il nome stesso del mestiere, che sempre più spesso fu quello di “macellaro” e non più di “beccaro”. La Corporazione sopravvisse stentatamente all’interno di un più vasto aggregato di mestieri che, dal 1586, assunse il nome di Por S. Piero e Fabbricanti, che univa esercenti in ambito alimentare con muratori e scalpellini. Non c’è dubbio che queste trasformazioni comportarono una progressiva perdita di identità che si cercò di colmare e di compensare in altre direzioni. I macellai fiorentini riuscirono a mantenere strutture associative proprie fondando nel 1577 una confraternita laico-religiosa denominata di S. Antonio Abate; da allora in poi «l’Università dei macellari», come loro stessi si denominavano, trovò un’identità comune nelle strutture filantropiche e assistenziali della Compagnia. Ma essa rappresentò anche, al di là del carattere devozionale, la vera rappresentante degli interessi comuni dei macellai, stipulando contratti di interesse collettivo, curando i rapporti con il governo, imponendo agli associati precise regole di vita e di comportamento. Sopravvisse fino all’abolizione operata da Pietro Leopoldo di Asburgo Lorena. La presenza dei macellai nel tessuto cittadino è stata ricostruita analizzando la localizzazione delle botteghe che ci restituisce un quadro di sostanziale stabilità, se si eccettua l’allontanamento dal Ponte Vecchio alla fine del ‘500. Situate nelle piazze principali oppure in corrispondenza dei ponti sull’Arno, la maggiore concentrazione si riscontrava nell’area del Mercato Vecchio, centro nevralgico della distribuzione alimentare in città. Un luogo affascinante, irrimediabilmente scomparso nella seconda metà dell’800. Per quanto riguarda i macellai, il loro numero diminuì fra il ‘400 e il ‘700; la cosa interessante è però la tenuta di lungo periodo che sembra caratterizzare complessivamente questo ceto produttivo e le vicende di alcune famiglie che, addirittura, manterranno un’identità di mestiere fino a tempi assai recenti. Ma chi era il macellaio? Sul piano professionale era una figura multiforme, di volta in volta allevatore, esperto nel maneggio degli strumenti per la sezione degli animali, bottegaio e commerciante. Era però un personaggio che suscitava sentimenti contrapposti nella società: da un lato pregiudizi duri a morire, dall’altro grande facilità di farsi degli amici nell’ambito dei rapporti con la clientela, spesso proveniente dai ceti medio-alti. Era poi al centro di una folla di artigiani e bottegai che dipendevano dal suo lavoro, ad esempio i pizzicagnoli, i cuoiai, i fabbricanti di candele di sego, oppure i fabbricanti di corde di liuto che lavoravano con le interiora e con i tendini. Non mancano, in questa sezione, alcuni tentativi di ricostruire concretamente l’attività di alcuni macellai, prendendo in esame la documentazione di bottega da essi prodotta. L’ultima parte del lavoro prende in esame i rapporti della categoria con il governo. La sorveglianza nei loro confronti fu sempre assai sentita, sia per motivi annonari, sia per le conseguenze di carattere igienico legate alle varie fasi del lavoro. Con il ridursi dello spazio di autonomia che aveva contraddistinto la vita della corporazione, l’avvento del Principato mediceo significò un controllo sempre più serrato. Il sistema annonario – che mirava ad assicurare i rifornimenti alimentari della capitale e dunque uno stretto controllo del mercato – sottopose l’attività dei macellai a un complesso regime di vincoli che influiva non solo sull’allevamento, ma anche sulla commercializzazione e persino sullo smaltimento dei prodotti. Magistrature come la Grascia e gli Ufficiali di Sanità interagirono sempre più spesso con la categoria, in un quadro di rapporti che non di rado si aprì ad aperti conflitti.
Il testo presenta una esauriente e suggestiva ricostruzione della particolarissima realtà economico-sociale rappresentata dal Lago di Fucecchio nella sua evoluzione tra Cinque e Ottocento. La vicenda del Padule di Fucecchio fu per secoli... more
Il testo presenta una esauriente e suggestiva ricostruzione della particolarissima realtà economico-sociale rappresentata dal Lago di Fucecchio nella sua evoluzione tra Cinque e Ottocento. La vicenda del Padule di Fucecchio fu per secoli una vivida testimonianza del contrasto tra interessi e modelli di sviluppo in evidente, perenne divergenza. Nella seconda metà del Cinquecento, la costituzione intorno al bacino di sette fattorie medicee innescò un processo di trasformazione del lago in padule, con ovvi, pesanti effetti sul piano sanitario e su quello dello sfruttamento ittico. Fu difficile per secoli garantire un “governo del lago” che imponesse le condizioni per un equilibrato sfruttamento del territorio, sia sotto il profilo dell’agricoltura che della pesca. Il testo, sulla base di una vasta ricerca d’archivio, ricostruisce le tecniche tradizionali di pesca, i vari tipi di pesci, la produzione e il consumo del pescato, le figure sociali impegnate nello sfruttamento dell’ambiente e il loro profilo socio-economico nella realtà locale di Fucecchio e in altri piccoli centri rivieraschi. A partire dal XVIII secolo, si innescarono poi motivi di carattere generale (economici, politici, culturali) che promossero la trasformazione e spinsero verso una utilizzazione agricola delle zone umide (così come dei boschi), sollecitando anche nel caso di Fucecchio una sempre più incisiva bonifica idraulica, una scelta di politica territoriale decisa dall’alto che tuttavia comportò resistenze (dal basso) e contrasti di indirizzo che impedirono, nonostante i cambiamenti, la compiuta trasformazione di un ambiente che è sopravvissuto fino ai nostri giorni.
The case of the swamp of Bientina, a large wetland drained in 1859-60, is studied trying to point out its historical complexity and contradictions. Existence of a political boundary limit between Lucca and Florence and presence of... more
The case of the swamp of Bientina, a large wetland drained in 1859-60, is studied trying to point out its historical complexity and contradictions. Existence of a political boundary limit between Lucca and Florence and presence of divergent interest set back until half of XIX century every technical solution and projet to solve hydraulic problem of the basin. This study aim to explain how backwaters of Bientina – “dead waters” – were in XVIII century a very complex and multiform wet environment (and so described in historical cartography e sources). Opposite to “marshy” stereotype, we can argue “dead waters” were very “living” ones, a wet environment with important forms of economic exploitation and social organization. During XVIII century’s reforms idea of progress was increasing agricultural development, reducing and draining wetlands. It wasn’t an inevitable step but a gradual and very opposed success of an other way of using and exploiting wet environments.
Il lungo processo storico che portò nell’area regionale, che oggi identifichiamo con la Toscana, al consolidarsi in senso moderno delle “frontiere” fu senza dubbio un lungo cammino segnato da un contesto di conflitti, di difficili... more
Il lungo processo storico che portò nell’area regionale, che oggi identifichiamo con la Toscana, al consolidarsi in senso moderno delle “frontiere” fu senza dubbio un lungo cammino segnato da un contesto di conflitti, di difficili convivenze, di fragili compromessi, di “frontiere” e di “confini” minori spesso aspramente contesi dai diversi referenti, cioè le antiche formazioni statali (il Granducato di Toscana, il Principato di Piombino, la Repubblica di Lucca, i Presidios Spagnoli ecc.). L’intervento cerca, sulla base di alcuni precedenti lavori e sull’apporto di nuove fonti, di mostrare come la frontiera venisse vissuta in maniera ancora più conflittuale ove vi fossero in gioco interessi contrastanti su aree particolari segnate da quelli che siamo soliti chiamare, per sottrazione e non sempre a proposito, come gli “incolti”: paludi, foreste, macchie, pascoli. Aree dove solitamente erano più diffuse le proprietà comunali, gli usi collettivi, sottoposte ad economie non necessariamente di sussistenza, spesso importanti perché alternative o complementari ad altre attività. Ecco che la frontiera, anche per i dati ambientali non sempre stabili, rimaneva vaga, indeterminata, da rinegoziare continuamente sul terreno, negli usi concorrenziali delle risorse e negli assetti più generali del territorio; si tratta di processi e di problemi che spesso si riproducono per secoli, non solo nei rapporti diplomatici fra le diverse entità statali, ma con le comunità locali che divenivano protagoniste di un complesso gioco di scambi fra il centro e la periferia.
Il periodo che va approssimativamente dalla seconda metà del XVIII secolo ai primi decenni del XIX secolo vide verificarsi in Italia un progressivo trasferimento di proprietà fondiaria dai grandi enti pubblici laici ed ecclesiastici nelle... more
Il periodo che va approssimativamente dalla seconda metà del XVIII secolo ai primi decenni del XIX secolo vide verificarsi in Italia un progressivo trasferimento di proprietà fondiaria dai grandi enti pubblici laici ed ecclesiastici nelle mani di privati. Questo processo, unitamente all’opera di trasformazione dello Stato avviata dal riformismo illuminato prima e dal periodo rivoluzionario e napoleonico successivamente, innescò uno dei processi di trasformazione della società italiana più importanti e ricchi di conseguenze. In questa prospettiva, per quanto riguarda il Granducato di Toscana, appariva interessante lo studio di un territorio come quello di Montevarchi nel quale si erano susseguite le massicce alienazioni del periodo leopoldino prima e di quello francese poi. Circa il 16 % della superficie complessiva della Comunità nel giro di mezzo secolo passò così dalle mani di enti laici ed ecclesiastici in mani private, percentuale che sale al 25 % dell’imponibile totale se si considera la massa d’estimo di Montevarchi. Si trattò dunque di un fenomeno di notevole rilevanza che incise in maniera durevole sull’assetto della società montevarchina del XIX secolo. Come dimostra il presente saggio - che ripercorre le vicende che portarono alla privatizzazione nel territorio di Montevarchi della fattoria della corona, della fattoria di S. Bonifazio e delle fattorie appartenenti ai conventi soppressi in età napoleonica - il processo di privatizzazione fondiaria e l’impulso dinamico impresso al mercato della terra, provocarono importanti fermenti di cambiamento nella società locale; il ceto di proprietari terrieri che esercitò per tutto il XIX secolo un’egemonia sostanziale sulle vicende politiche, culturali e amministrative di Montevarchi era scaturito in gran parte dai rivolgimenti economici e sociali avviati fin dalla seconda metà del XVIII secolo (che, a loro volta, furono accelerati da quei processi di redistribuzione fondiaria).
The paper presents a preliminary evaluation of the survey activities undertaken in the Maremma area (Southern Tuscany), oriented to investigate pastoral landscapes of the past. The research is part of the «TraTTo» project, related to the... more
The paper presents a preliminary evaluation of the survey activities undertaken in the Maremma area (Southern Tuscany), oriented to investigate pastoral landscapes of the past. The research is part of the «TraTTo» project, related to the study of transhumance’s paths and pastures in a long-term perspective, from Prehistory to Modern Age. The study area is the southern part of Tuscany, in particular the Maremma district, mainly included in the province of Grosseto. The long-time perspective adopted by the project allows us to verify the continuity of this pastoral phenomenon and its variation over the centuries. This approach involved contributions from archaeological and historical studies analysed through the research perspectives of historical geography. Within a multi-disciplinary approach, the project involves the collection, the management and the analysis of large amounts of data from different types of sources. In this contribution we discuss problems and potentialities to collect information about pastoralism in field activities. How we can detect this kind of ephemeral traces in the materiality of landscape? Through surface survey we preliminary critically assess archaeological evidence of transhumance. Methodological questions arise on the individuation and evaluation of traces left by longue durée practices occurred in agricultural and pastoral spaces.