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Villa Cambiaso n° 62

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RIVISTA ARTE E CULTURA DI SAVONA E FUORI PORTA www.villacambiaso.it

VillaCambiaso Villa Cambiaso Aut. Trib. di Savona N° 544/03 - Spedizione in A. P. - D. L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 Comma 2 - Direzione Commerciale Savona - Tassa Pagata - Taxe Perçue

vintera@villacambiaso.it

Anno XII - N° 62 - Settembre 2011 - Editore: Museo Cambiaso - Direttore Editoriale e Responsabile: Pio Vintera Redazione: Via Torino, 10 - 17100 Savona - Tel. 349 6863819 - Stampa: Marco Sabatelli Editore - Grafica: M. Vintera - Fotografia: Veronica

Edicola autorizzata alla distribuzione: Via Torino 50R, Savona di Michela Sebastiani - Copie riservate ai soci

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Importanti arredi antichi, Gioielli, Argenti, Porcellane, Maioliche e oggetti antichi Una straordinaria raccolta di dipinti antichi e dell’ottocento

In copertina: “Ritratto di fanciulla” firmato: Regnol. Maestro francese, 1770 circa

Asta di Antiquariato da Sabato 15 Ottobre a Lunedì 7 Novembre Orario: 10.00 - 12.30 e 15.30 - 20.00


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LA NASCITA DEI GIORNALI A SAVONA Il giornalismo, nella nostra città, vanta due secoli di storia

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enza che nessuno se ne accorgesse o se ne ricordasse, i giornali, a Savona hanno compiuto due secoli di vita. La prima testata, infatti, apparve il 25 settembre 1805, ai tempi in cui Savona era capoluogo di dipartimento: fu pubblicata con il nome di Journal du departement de Montenotte (modificato nel 1807 in Bullettin de la Prefecture de Montenotte), venendo finalmente stampata in lingua italiana nel 1809 con il titolo di Gazzetta del Dipartimento di Montenotte, destinata a restare in vita fino all’aprile del 1814. Nel 1821 fu quindi la volta de La Sentinella, che assurse al ruolo di organo di stampa dei liberali savonesi sotto la guida di Domenico Peirani. Per assistere alla vera, autentica diffusione dei giornali a Savona si dovette però attendere la metà del secolo: il primo fu Il Popolano Ligure, di tendenza cattolico-liberale, organo di stampa del Circolo Popolare Italiano, che uscì dal 3 gennaio al 31 marzo del 1849 e che, sotto la direzione di Carlo Giuseppe Bonelli, sostenne la candidatura di Vincenzo Gioberti al Parlamento di Torino; poco dopo fu la volta del foglio marittimo, commerciale, artistico, politico e di agricolura Il Colombo, che venne fondato nel giugno del 1851 dal sacerdote Tommaso Torteroli e dall’abate Giovanni Solari e che uscì in una sola occasione; e non ebbe miglior fortuna. L’Indicatore Savonese, che fu stampato nel 1853 e che circolò anch’esso per poco tempo. Fu poi la volta de Il Saggiatore, il cui primo numero uscì il 4 luglio del 1854 e che cessò di esistere nel 1859; redatto inizialmente da Giovanni Solari, ebbe tra i suoi collaboratori Pietro Sbarbaro, grande personalità della seconda metà dell’Ottocento savonese; la linea seguita da Il Saggiatore fu fedele al programma liberale e unitario, con precisi riferimenti al modello rappresentato dal pensiero e dall’opera di Cavour; ebbe tra i suoi collaboratori Vittorio Poggi, Anton Giulio Barrili, Pietro Giuria e alcuni padri scolopi. In quello stesso periodo, a partire dal 13 aprile 1858 e fino al 1860, ebbe inoltre vita Il Diario Savonese, giornale fondato da Nicolò Cesare Garoni e che, pur essendo attestato su posizioni liberali e sostenitore anch’esso della linea di

Camillo Benso Conte di Cavour, fu spesso in aperta polemica con Il Saggiatore. Nel 1864 vide la luce a Torino il Chiabrera, cui seguì, nello stesso anno, il Corriere del Commercio Savonese. Per breve tempo, alla fine del 1866, fu quindi stampato il Letimbro, trisettimanale politico, commerciale e letterario di area cattolico-liberale, destinato a durare fino al 1868. L’anno prima, invece aveva fatto il suo esordio La Gazzetta di Savona e del Circondario, il cui primo numero uscì nelle edicole cittadine a gennaio del 1865; diretto inizialmente dall’abate Giovanni Solari (che aveva già lavorato per Il Saggiatore e per Il Colombo) e, dall’anno successivo, da Saverio Bonfigli, La Gazzetta di Savona ebbe come collaboratori Paolo Boselli, Pietro Giuria e Giuseppe Nervi; l’ultimo numero di questa testata uscì il 1° luglio 1876, essendo stata assorbita da Il Cittadino, un nuovo giornale diretto da Francesco Giuseppe Gozo (3 luglio 1843 – 6 aprile 1914), il cui primo numero uscì il 1° novembre 1870. Le basi che avrebbero condotto alla nascita de Il Cittadino erano state poste la sera del 20 settembre 1870, mentre Gozo e altri liberali cittadini festeggiavano in un allegro banchetto alla Trattoria dei Fratelli Italiani la breccia di Porta Pia e la liberazione di R o m a . P r i ncipale organo di stampa democratico della L i g u r i a o ccidentale, informato ai principi della democrazia radicale, il giornale aveva come suo sottotitolo il motto «Gutta cavat lapidem»; nella

prima fase della sua storia Il Cittadino fu interprete del pensiero e delle posizioni delle associazioni operaie della città e del suo circondario, esprimendo un chiaro orientamento repubblicano e popolare, anticlericale e filomassone, liberale e progressista; il giornale modificò in seguito la sua linea editoriale, sostenendo Giuseppe Astengo e Paolo Boselli; con l’inizio del Novecento, poi, Il Cittadino mutò sostanzialmente la sua linea editoriale, tanto da non poter più essere considerato come un autentico interprete della democrazia liberale in città: nel 1920 ebbe come Direttore il prof. Salvatore Addis, primo Segretario politico del Fascio di Combattimento savonese, cui seguì l’anno dopo nell’incarico il prof. Raffaello Massignan, che proseguì nella linea antisocialista e filofascista; la storia della testata si concluse nel 1927, dopo 57 anni di vita. Intanto, nel 1868, aveva visto la luce il Bollettino del Comizio Agrario, cui era seguito


VillaCambiaso nel 1871 il Cristoforo Colombo e, nel 1872, il giornale umoristico Asmodeo e, nel 1873, Il Commercio Savonese. Un’ottima diffusione ebbe La Liguria Occidentale, che si stampò a partire tra il 1875 e il 1887 e che pubblicò, oltre agli articoli di cronaca, numerosi testi a carattere storico, culturale e letterario. Il 1877 fu la volta della Giovane Savona e, nel 1878, de Il Popolo, diretto da Carlo Scotti. Tra il 1876 ed il 1877 videro la luce Il matto, La volpe e Il diavolo, tre testate minori che ebbero tutte vita tormentata anche e soprattutto per le cause intentate contro i loro Direttori. Nel 1879 vide la nascita a Savona del giornale politico commerciale Il progresso e a Vado Ligure de La Sabazia. Al 1881, invece, va fatta risalire la comparsa di un’altra testata, Il Gallo, anch’essa dalla breve vita. Nel 1886, finalmente, giunse alle stampe un giornale che, tra Ottocento e Novecento, sarebbe stato l’unico autentico rivale de Il Cittadino: parliamo de L’Indipendente, di orientamento repubblicano, anticlericale, anticolonialista e popolare, avversario dichiarato della

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Anno XII n°62 - Settembre 2011 politica di Paolo Boselli; venne fondato dal repubblicano Onorio Blengini, figlio di Carlo, il titolare della popolare farmacia savonese di via Scarzeria, sotto il campanile del Duomo di Savona; nato nel 1855, Onorio Blengini diresse il suo giornale fino alla morte, avvenuta il 9 febbraio 1907, orientandolo su posizioni vicine a quelle del partito radicale; in precedenza, dopo aver collaborato per qualche tempo al Cittadino, nel 1885 Blengini aveva fondato il settimanale liberale L’Avvenire, che aveva diretto per il breve periodo della sua esistenza, tra il 15 marzo e il 25 luglio di quell’anno. Dopo la morte di Blengini, la direzione de L’Indipendente fu assunta da Giuseppe Duce; sulle pagine de L’Indipendente, nel corso degli anni, apparvero spesso gli appelli e i proclami dei deputati socialisti; il giornale –che negli anni successivi alla fine della Grande Guerra aveva ormai assunto una precisa connotazione antisocialista e filofascista– avrebbe concluso la sua esistenza nel 1927, avendo come suo ultimo Direttore Adriano Duce. Nel 1887 fu stampata una rivista importantissima per la nostra città, Cuore e critica, che, sotto la direzione di Arcangelo Ghisleri, ospitò interessanti testi di Carducci, Turati, Cavallotti, Pra ga, Stecchetti, Rapisardi, Bo rio, Colajanni e Macaggi; il 15 gennaio 1891 Filippo Turati avrebbe assunto la direzione del giornale, modificandone il nome in Critica sociale e trasferendone la redazione a Milano. Segue prossimo numero Giuseppe Milazzo

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IL SINDACO ANTICASTA Il primo cittadino di Collegno non ha mai voluto il compenso. I parlamentari non riescono a ridursi lo stipendio. Il neoeletto consigliere di Stellanello Marco Ferriero ha voluto rinunciare al compenso per le sue presenze alle sedute consigliari in Comune, speriamo altri seguano il suo esempio per essere più vicini ai cittadini e non erigersi a casta separata ma semplici servitori e difensori di tutti.

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Roma i parlamentari che non riescono a ridursi lo stipendio impallidiranno davanti alla storia dell’ex sindaco di Collagna, 700 abitanti nell’Appennino reggiano: durante i dieci anni dei suoi due mandati, Ugo Caccialupi non solo non ha voluto un soldo della sua indennità, ma ha versato per intero il suo compenso nelle casse del Comune. L’altra sera i sindaci della zona lo hanno festeggiato come meritava, durante una cena, per il suo comportamento nelle legislature fra il 2001 e il 2010. Solo la legge vieta la ricandidatura dopo due incarichi da sindaco. Lo spirito di servizio di chi guida l’amministrazione sembra scritto nella pietra del palazzo del Comune: neanche il predecessore di Caccialupi ha mai voluto una lira del rimborso spese che pure gli sarebbe spettato. E Vittorio Ruffini, sindaco per tre mandati, che la realtà di questi posti la conosce bene, così come conosce i tanti problemi di questo lembo di Appennino in via di lento spopolamento, stretto fra frane, problemi di manutenzione delle strade e altre difficoltà quotidiane: «Caccialupi è stato un sindaco molto disponibile verso la popolazione, cercando di risolvere i problemi della gente». Espressione di una lista civica, come spesso accade in comunità così piccole, l’ex sindaco girava la propria indennità direttamente al comune di Collagna, perché venisse impiegata a vantaggio della gente di qui. Come tanti paesini della montagna, anche Collagna va deperendo: da mille abitanti è calato ai 7-800 attuali, e le frazioni sono sempre più deserte. Estratto da “La Stampa” del 23/07/2011 - Franco Giubilei


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UN LIGURE CON CUSTER? di Nicola Stefanelli

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gli inizi della carriera che lo porterà ad essere titolare della fabbrica d’armi destinata a divenire la più nota al mondo, il “colonnello” Samuel Colt inviò in dono a Garibaldi un esemplare della sua pistola a rotazione modello “Navy ‘51”. Quando, nelle prime fasi della Guerra di Secessione, dopo la prima battaglia di Bull Run (1861) le cose parvero mettersi molto male per i Nordisti (si arrivò a temere che Washington potesse essere occupata dai Sudisti), il Presidente Lincoln offrì a Garibaldi la nomina a Comandante dell’Esercito dell’Unione; Garibaldi, avendo già molta carne al fuoco in Italia, gentilmente rifiutò. È documentato l’arruolamento volontario nell’Esercito nordista di circa 1.500 ex-garibaldini: il numero non tragga in inganno: infatti, dopo lo sbarco a Marsala, i “…poco più di mille…” partiti dallo scoglio di Quarto crebbero progressivamente di numero: alla battaglia del Volturno (1 ottobre 1860) l’Eroe dei due Mondi comandava circa ventiquattromila uomini. Una volta ancora si manifestò la tendenza atavica degli Italiani a schierarsi su due opposti fronti, che portò un gruppo di ex soldati borbonici ad accorrere volontari sotto la bandiera dalle tredici stelle: Garibaldini con i Nordisti, Borbonici con i Sudisti. Su questo sfondo, ed in questo ambiente, venne a trovarsi un uomo che i libri di storia –quasi esclusivamente quelli americani– registrano col nome di John Martin, ma che era un Italiano; per comprensibili ragioni aveva mutato in forma anglofona il proprio vero nome: Giovanni Martini. Accade sempre che quando un personaggio raggiunge un qualche livello di notorietà, sorgano discussioni in merito alla sua origine familiare, ai luoghi ove frequentò la scuola o compì le imprese che lo resero famoso, alle sue idee politiche o religiose, alla località di nascita (si pensi a quanto è accaduto per Cristoforo Colombo), al segno zodiacale sotto cui nacque: così di Giovanni Martini c’è chi dice che fosse stato Ufficiale nell’esercito di Franceschiello, chi ex-garibaldino, emigrato in America perché disgustato dal modo in cui il re Savoia aveva ricambiato il regalo di un regno fattogli da Garibaldi, dopo averlo

conquistato con il sangue dei volontari che lo avevano seguito, oltre che con le proprie capacità strategiche e molta fortuna. In realtà fra le due tesi potrebbe non esserci l’apparente opposizione: potrebbero essere conciliabili, ricordando che numerosi testimonii diretti, che avevano partecipato alla Spedizione dei Mille, e poi ne scrissero la storia, confermano che moltissimi soldati borbonici caduti prigionieri delle Camicie Rosse passarono con G ar ib ald i, u n p o ’ perché affascinati dalla figura del Condottiero (che, fatta loro la proposta, li lasciava liberi, dopo averli disarmati, se non accettavano l’invito), un pochino per un improvviso risveglio dei sentimenti di libertà e di unità nazionale, molto forse perché l’entrare nella nuova formazione garantiva almeno due pasti al giorno e, se andava bene, una paga. Qualunque divisa avesse indossato in precedenza, quel 25 giugno 1876 Giovanni Martini portava quella americana: era una Giubba Blu (i Pellirosse dicevano “Pance azzurre”) del 7° Cavalleggeri, Trombettiere John Martin agli ordini di Custer, sul campo di battaglia di Little Big Horn. Quando, troppo tardi, il “Boy General” (“Lunghi Capelli Gialli”, per i suoi avversarii piumati) si rese conto che nella sua affannosa ed incosciente caccia alla gloria si era cacciato in un “emmerdier”, scrisse un biglietto di richiesta di aiuto e lo consegnò al trombettiere, con l’incarico di recapitarlo al Colonnello Benteen, o a qualunque altro fosse stato possibile rintracciare dei comandanti delle altre colonne che avrebbero dovuto prender parte all’azione; quest’ordine salvò la vita a John Martin- Giovanni Martini, unico a sfuggire al massacro del “Settimo”. Una così incredibile botta di… fortuna può forse aiutare a stabilire la località di nascita del personaggio, tra le due

che si contendono il vanto: Sala Consilina, in provincia di Salerno –zona borbonica– ed Apricale splendido paese nella Val Nervia posto su quella strada che, come un filo di perle raccoglie sul suo tracciato Camporosso, Dolceacqua, Castelvittorio, Pigna… Recentemente pare che siano stati scovati documenti che comproverebbero l’opzione Sala Consilina: questo significa che la diatriba continuerà ancora a lungo, che forse alla fine si scoprirà l’esistenza di due omonimi Giovanni Martini, arrivati entrambi e nello stesso periodo (cosa peraltro possibile) in America, dopo essere partiti da due capi opposti dell’Italia; a quel punto si cercherà di stabilire quale dei due abbia militato sotto Custer. Tornando ad Apricale, nel territorio di questo comune, scorre un fiumiciattolo, dal nome invero insolito di Merdanzo; nelle sue acque, da sempre, gli abitanti del posto, specie i giovani, vanno a cercar refrigerio nei periodi di calura; perché non sforzarsi di credere che i ripetuti bagni nel Merdanzo abbiano contribuito all’eccezionale conclusione, per il trombettiere Martin, della battaglia di Little Big Horn?


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IL PORTO DI SAVONA CHE HO CONOSCIUTO di Angelo Gervasio

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na lingua di mare profondo che si allunga all’interno, in direzione di ponente, tra il dirupo di Valloria, lato monte, e il pontile del fanale rosso lato mare, pontile che definisce il limite esterno –rispetto al mare aperto– dell’ins e n a t u r a portuale che da quel fanale p o r t a , p a r allelamente alla costa, sin quasi alla rocca del P r i a m a r. E r a questo a cavallo degli anni ‘60, ed in parte lo è ancora adesso, il perimetro del porto di Savona, originariamente circoscritto a monte dal percorso di via Santa Lucia che dal centro città si inerpica a mezza costa sulla collina sopra il porto in direzione di Albissola, ed oggi in massima parte sostituito –per quanto riguarda il traffico veicolare– dalla strada a mare che, sempre nella stessa direzione, attraversa con andamento rettilineo, sopra viadotti di cemento, le ultime propaggini delle acque del porto che lambiscono la roccia al piede della stessa collina, fino a svoltare all’interno, seguendo la conformazione della roccia, nella valletta di Miramare. In questa zona l’insenatura si allarga, e nello specchio d’acqua antistante la valletta si ergono imponenti le strutture metalliche delle Funivie, storico impianto –oggi non più funzionante– inaugurato negli anni 1911-1912 per scaricare il carbone dalle navi e trasportarlo con percorso aereo, su vagonetti, sino agli impianti della Montecatini a San Giuseppe di Cairo. Sul versante opposto della striscia di mare si aprono, obliquamente a quest’ultima, i pontili della calata Vittorio Emanuele o calata nuova,

seminascosta all’osservatore da terra dai capannoni e dai mezzi meccanici per il carico e lo scarico delle navi ivi ormeggiate. Procedendo oltre in direzione di ponente, a partire dai pontili della calata sino alla Rocca del

Priamar si allargavano ampi spazi di terraferma recuperati nel tempo al mare, originariamente sabbiosi e successivamente occupati, oltre che da attrezzature portuali, prevalenti sul versante interno, a partire dalla seconda metà dell’800 da stabilimenti metallurgici, prima Tardy e Benech e successivamente Italsider, che monopolizzavano tutta l’area sul versante esterno in direzione del mare aperto, sino ai piedi della Rocca ed anche oltre, sempre lato mare. Proseguendo il percorso all’interno della striscia di mare, sempre in direzione di ponente, l’insenatura si restringe di nuovo in prossimità della Torretta Leon Pancaldo, dove l’acqua sembra quasi penetrare dentro i portici di via Paleocapa, nel cuore della città, prima di girare intorno alla Torre e svoltare quindi a sinistra, lasciando via Gramsci alla sua destra, per andare a chiudersi nella darsena vecchia (o quai de bois), sotto le terrazzette sottostanti l’ampio piazzale antistante

lo stabilimento Italsider. Uno spettacolo affascinante –questo rincorrersi e intersecarsi continuo, con andamento parallelo alla costa, di strisce di terra e di mare– per chi l’avesse osservato dal tratto in alto, esposto sul porto, di via Santa Lucia, dove inizia, una volta superata la chiesetta omonima, via Santorre di Santarosa: la lingua di mare penetra all’interno della città, sin quasi a tergerne le più intime latebre. Come in un teatro, lo spettacolo era animato da una miriade di attori, di comparse, di caratteristi, di perdigiorno: tra naviganti, portuali, passeggeri e passeggere, spedizionieri, pescatori, lavandaie, cambusieri, pescivendole, trafficanti vari… Una folla di personaggi che, presi da mille incombenze, interloquivano animatamente, anche in lingue diverse –prevalenti il dialetto e l’inglese– dispiegandosi variamente su quel pittoresco palcoscenico, spaccato trasversalmente al centro dalla fettuccia di mare in mezzo alla quale si muovevano le navi. I grandi piroscafi dominavano la scena: essi si muovevano con solenne lentezza, ciascuno verso il pontile assegnato oppure, se avevano già completato le operazioni di carico o scarico delle merci dalle stive, verso l’uscita del porto, facendo di quando in quando echeggiare greve nell’aria il suono prolungato delle sirene in segno di commiato, mentre i rimorchiatori si aggiravano con circospezione intorno a loro per assecondarne la manovra e qualche bettolina che aveva rifornito il carburante ritornava all’attracco. Segue prossimo numero


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VIAGGIO ATTRAVERSO I QUARTIERI DI SAVONA di Claudio Tagliavini Totò, Wanda Osiris, Josephine Baker, Erminio Macario, solo per citarne UN’ESCURSIONE NEL MONDO qualcuna. Alla sua mal digerita DELLA GIOVENTÙ DELL’ALTRO IERI chiusura le riviste-teatrali si spostarono nel più nobile teatro iamo giunti alla fine dei nostri Chiabrera che ospitò ancora grandi percorsi attraverso i quartieri della nomi del varietà: Walter Chiari, Ugo città. Partiti dalla popolarissima Tognazzi, Carlo Dapporto. Oltre alla Villapiana commentando le sue prosa, l’opera, l’operetta, i balletti. specificità ho raccolto cenni storici, Non mancavano ritrovi a tema come il figure caratteristiche, episodi Bar Enotria (Via Au fossu), il cui particolari della vita savonese. Mi titolare G.F. Baccino (Reggio) era un sono mosso entro limiti ristretti di amatore e collezionista di vini da tutto spazio/tempo cercando anche di il mondo. L’osteria Euterpe (Via rimanere all’interno di una lettura Niella) del caro “Litta” scomparso da semplice, scorrevole, senza poco tempo, era il ritrovo della “famoappesantir sa” banda la con “ A ricerche Nuiusa”, laboriose formata in altrimenti b u o n a rintraccia parte da bili presso musi cisti f o n t i i m p r o vdotate di visati e maggiore spesso approfond con struimento. menti Non deroanomali gherò nem(caccavell “Largo Varaldo”, Savona - Olio di Pio Vintera - Proprietà Provincia di Savona meno su e, nacchere, rastrelliere, ecc). Al Suria questo numero, proprio perché, volencittadina. Il periodo più produttivo di (Via Paleocapa) facevano luce i gagà do affrontare l’argomento del centroquesta faccia della medaglia si colloca di turno, mentre allo Splendid (C.so città e non avendo spazio per farlo tra gli anni cinquanta e settanta del Italia) si riunivano gli amanti della compiutamente, non potrei inoltrarmi secolo scorso. Successivamente, per Savona calcistica tra i quali il nel complesso patrimonio storimotivi di costume certamente non cannoniere della nazionale azzurra co/artistico esistente senza cadere in meno provinciali, si ebbe un Felice Levratto e i fratelli Bacigalupo. un inutile pressappochismo. Ritengo, annacquamento pseudo-serioso L’elenco di tutti quei ritrovi è molto quindi, di dedicare questa rapida visita dovuto principalmente alla presunta, e lungo per non rischiare di dimenticarall’interno della nostra comunità in parte reale, crescita “culturale” ne qualcuno, sicuramente deluderà tuffandomi, superficialmente, nella iniettata dai mass-media nelle vene qualche meno giovane di oggi, ma la sua vita semplice e popolare dei savonesi. Questo fenomeno incise possibilità di completare un panorama dell’ultima metà del secolo scorso. sulla socialità introducendo maggior così vasto risulta opera difficile. Negli anni cinquanta, due associazioindividualismo. Tuttavia non riuscì a Tuttavia i personaggi che transitavano ni studentesche, l’ASSU e l’ASSM, la cancellare dalla testa dei giovani di da un ritrovo all’altro sono ancora prima che rappresentava gli studenti quel tempo certe “macchiette” e certi sulla bocca dei savonesi DOC, universitari, la seconda quelli medi, si “episodi” di cui ancora oggi si parla. Il precursori degli anni della “rinascita”. contendevano il primato delle “follie teatro di posa per tutte le “recite” era Chi non ricorda icone della cultura giovanili savonesi”. Attorno ai burloni rappresentato dai “bar/ritrovo” più come la scultrice Renata Cuneo, la di turno si svolgevano le più frequentati, ognuno dei quali aveva un scrittrice Gina Lagorio, insegnante ma spericolate “avventure goliardiche” di “taglio particolare”. Il bar Bertolotto anche responsabile per tante giovani quella stagione di vita. Si passava (Via P. Boselli) radunava gli “vittime”… della sua bellezza? E chi dalla corsa delle “carrette” che, appassionati di biliardo, il Baila (C.so non ricorda il poeta Giuseppe Cava partendo dalla Villetta e percorrendo Italia) gli amatori della pasticceria e (Beppin da Cà) e Farfa? Parlando di via Poggi, scendevano fino a piazza della mondanità, il Grand’Italia (C.so cultura non si può dimenticare il ruolo Diaz, dove sorge il teatro Chiabrera Italia) i contrabbandieri di sigarette interpretato, dal dopoguerra fino ai che ospitava, nelle speciali occasioni, (sciacalli) allora numerosi, il Reposi tempi nostri, dal Circolo Calamandrei i grandi veglioni dell’epoca. Per non (Via Paleocapa), antesignano diretto principalmente, se non parlare delle irriverenti “pensate” “Bagaglino” nostrano, faceva da esclusivamente dall’indimenticabile attuate in occasione della processione richiamo agli immancabili corteggiaamico Mirko Bottero. Fu una palestra del venerdì santo, ed arrivare al tori di ballerine d’avanspettacolo. A culturale per molti savonesi i quaIi ricercato “Numero Unico” che con le suo tempo ospitò le compagnie di ebbero la fortuna di partecipare a CENTRO CITTÀ

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sue “notizie bomba” riusciva sempre a mettere in crisi qualche “famiglia bene” della città. Professionisti e commercianti non esenti da colpe di tipo edonistico venivano passati sotto graticola. La città in quel modo viveva ironicamente le proprie stagioni. Un’atmosfera tipicamente provinciale, in un certo senso anche sfrontata che, forse per questo, lentamente andò scomparendo. Il provincialismo però non aveva solo quella matrice, in quel contesto vi si inserivano anche personaggi singolari che per anni rappresentarono la fonte della satira


VillaCambiaso incontri con registi cinematografici, teatrali, scienziati, storici, politici di fama internazionale. Ma la notorietà, va riconosciuto, non fu solo appannaggio dell’intellettualità alla quale dobbiamo riconoscenza per aver dato lustro alla nostra comunità. Nell’ambito delle attività sportive ne diedero anche gli olimpionici Niculin Beviacqua per l’atletica, Bruno Granaiola per la lotta greco/romana, nel pugilato ebbero notorietà Renato Aiello, Roberto Bracco e Piero Aloi, cosi’ come Bruno Odello nella pesistica. Vi fu anche chi per spavalderia o indole, modellò l’aria nostrana in una permanente fiera dell’umorismo. A questo proposito si può citare Bruno “Formaggetta”, un portuale, cosi chiamato perché figlio di un altro portuale noto per essere stato capace di tuffarsi dalla cima dell’albero maestro delle navi a vela (a formaggetta appunto). Barzellettaio, teneva di buon umore i “camalli” durante il loro faticoso lavoro all’interno delle stive. “Piangete bambini” era, invece, il soprannome affibbiato ad un ambulante che sostava col carretto nel carruggio del vecchio cinema Moderno (“U pigugin”) severamente custodito dal “cinesollo”. Con quel richiamo riusciva a catturare i clienti in erba, trascinando le di loro madri pronte ad aprire “u bursin” per acquistare le più svariate leccornie. Per merito del “Numero Unico” (rivista goliardica cittadina) non fu ignorato nemmeno il gentil sesso che trovò nella bella “mammina”, o in una avvenente “bionda” titolare di un prestigioso negozio di calzature sotto i portici, o nella memorabile Zita (a Sitta), le sue “eroine”. La prima; un’instancabile camminatrice che per più volte al giorno percorreva avanti e indietro corso Italia e via Paleocapa tenendo il figlio, ancora in tenera età, per mano. Con la testa sempre rivolta all’insù, nel tentativo qualche volta anche riuscito, di simulare una sfilata di moda, procedeva mettendo delicatamente un piede davanti all’altro. Ve s t i v a e c c e n t r i c a m e n t e p e r aumentare la propria visibilità ma, quei “famosi” studenti dei quali accennavo prima, vollero trasformare il fatto in burla. Una bella mattina, gli sfilano il piccolo dalle mani senza che se ne accorga e lo trascinano ai giardini del prolungamento sotto “l’eroe dei due mondi”. In uno dei pochi attimi, nei quali “la mammina” abbassa la testa, si accorge di avere

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Anno XII n°62 - Settembre 2011 “perso” il figlio. Disperata corre in lungo e in largo per la città finchè lo ritrova sotto “Garibaldi” in compagnia di quei giovani burloni. Loro, meravigliati (si fa per dire), assumono il ruolo dei salvatori e consolano, sfacciatamente, la povera madre reduce da un notevole spavento. Fortuna che in quel momento non era presente il vigile/ciclista Pellegrino, avrebbe sicuramente multato il bambino. Per la bella signora “bionda”, le cose si misero ancora peggio, perché il “reato” commesso sfiorava lo scandalo, per questo al marito venne una cronica “emicrania” e data la situazione ed i tempi, quei due sventurati non poterono fare altro che cambiare aria. La Zita, si può dire che, diventa un’istituzione per Savona, bella con un corpo da “cover girl” fu una donna molto invidiata. Desiderata dagli uomini fu, come succede in questi casi, sulla bocca di tutti, ciononostante regalò sempre a tutti il suo smagliante sorriso. Anche la quiete della città non fu sempre tale, qualche devoto allievo del Dio Bacco esercitò i suoi protagonismi libagionali regalando ai passanti “espressioni” estratte appositamente dalla “Enciclopedia dell’Innominabile”. Vi fu anche chi ebbe il merito di rallegrare le serate estive, è il caso del caro concittadino Francesco Pieroni che sull’aria di “Amapola” e “Jesebel” raccolse un bel numero di tappi e monetine accompagnate da laceranti risate con annessi dolori viscerali. Erano anche i tempi del grandioso carnevale di Savona che purtroppo dovette “cedere le armi” per mancanza di fondi lasciando ai dancings; Speranza, Fratellanza, Sketting, Cristallo, il compito di riunire la gioventù “bollente”. Durante i pomeriggi un’abbondante affluenza di giovani poteva inoltre usufruire delle soste offerte dai numerosi chioschi sparsi per tutta la città. Tutti forgiati con lo stesso stile, contornati da tavolini in ferro, proponevano le delizie di stagione. Quei tempi non torneranno più, spetta a chi li ha vissuti, rivelarne gli aspetti particolari alle nuove generazioni. In questo numero ho cercato di frenare la mia memoria ma, come dicevo prima, il “materiale” abbonda, per questo chiedo scusa se mi sono lasciato trascinare, mi auguro solamente di non avervi annoiato.

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LE ORIGINI DI STELLANELLO www.comune.stellanello.sv.it

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tellanello, insediamento composto da numerose frazioni, sorge nell’alto bacino del torrente Merula, immerso nel silenzio e nel verde degli ulivi. Il primo documento ufficiale nel quale viene riportato espressamente il nome di Stellanello risale al 1170, periodo in cui il borgo era feudo dei Clavesana, nobile famiglia che vi fece edificare un castello del quale restano solo alcune rovine in località San Gregorio. A seguire gli archivi presentano Stellanello come un feudo prima dei Marchesi del Carretto poi, dal XIII, dei Doria per essere ceduto, nel 1252, alla Repubblica di Genova. All’inizio del Trecento ottenne maggiore autonomia avendo statuti propri ed un governo basato su un sistema di cinque Consoli, pari al numero delle Parrocchie del paese. Ancora oggi la stella a cinque punte presente nello stemma allude proprio a questa antica suddivisione.

La promulgazione dello Statutum Vallis Stellanello (1737) assume un valore speciale, perchè si tratta dell’unico esempio conservato di statuto di una terra ligure assoggettata ai Clavesana; inoltre rappresenta un episodio cardine per gli abitanti di Stellanello, perchè anche se non comporta cambiamenti evidenti nella pratica quotidiana, costituisce lo strumento che conferisce finalmente maggiori certezze dei propri diritti e la coscienza dei propri doveri. A seguito della pace di Vienna, nel 1736 Stellanello viene annesso al Regno di Sardegna per poi essere, dopo vari governi provvisori, incorporato all’Impero Napoleonico. Infine, dopo la Restaurazione del 1814, ritorna nei confini del Regno di Sardegna divenuto nel 1860 Regno d’Italia.


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FLAMINIO ALLEGRINI DA CANTIANO Di Nicola Stefanelli

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a descrizione delle pitture eseguite circa quattro secoli fa a Savona da Flaminio Allegrini da Cantiano consente una digressione sui diversi modi in cui vengono rappresentati uno stesso personaggio o episodio nell’ambito cristianocattolico o in quello ortodosso. Iniziando dalla Cappella di N. S. della Colonna, sull’arcone esterno della stessa compaiono cinque piccoli affreschi, due dei quali, uno per parte, sono ritratti, racchiusi in un contorno ovale, che rappresentano San Gioacchino e Sant’Anna. Le ritrattistiche cattolica ed ortodossa hanno fissato, attraverso il tempo, fisionomie e situazioni ben definite, che hanno caratteri comuni, spesso molto simili se non identici: San Pietro con folta capigliatura e bianca barba ricciute, le chiavi in mano, o crocifisso a testa in giù; San Paolo calvo, lunga barba nera, in pugno la spada, strumento con cui fu decapitato e simbolo della sua combattività; San Nicola in abiti vescovili, stola bianca su cui spiccano varie croci in nero, che tiene in mano il Vangelo. Altri Santi sono identificati dagli strumenti del loro martirio: San Lorenzo è ritratto quasi sempre con la graticola su cui fu arrostito, Santo Stefano con un contenitore in cui sono raccolte le pietre usate per lapidarlo, Santa Caterina d’Alessandria con la ruota ad uncini su cui fu straziata, Santa Lucia porge un piattino con gli occhi che, secondo la tradizione, si strappò, per donarli allo spasimante pagano che se ne era innamorato, Sant’Agata mostra su un vassoio i seni che le son stati recisi, Santa Apollonia alza verso il cielo le lunghe spaventose pinze di cui si servì il carnefice per strapparle tutti i denti. In quasi tutte queste raffigurazioni di parte cattolica figurano Angeli, che scendono dall’alto, per portare ai testimoni della Fede la corona o la palma del martirio. San Giovanni Battista nella versione cattolica è di norma presentato stante, sullo sfondo di un paesaggio desertico, con una lunga barba e lunghi capelli scarmigliati, ed avente in pugno un’asta crociata, su cui sventola un vessillo a due punte,

anch’esso crociato; sulle icone russe invece, è generalmente ritratto a mezzo busto, con stessa fisionomia (viso forse più macilento e sguardo più allucinato) ed abbigliamento: quasi sempre indica con una mano il calice che tiene nell’altra; nel calice è adagiata la figuretta di un bambino (Gesù) su un fondo rosso che simboleggia ad un tempo il sangue del Cristo ed il vino eucaristico: il tutto rende visivamente l’episodio scritturale dell’ “Ecce Agnus Dei…”. Più tipici dell’iconografia ortodossa

greco-bizantino-russa sono i cosiddetti Santi Guerrieri, a partire da San Michele Arcangelo –di cui si parlerà dettagliatamente più avanti– seguito da San Giorgio e San Demetrio di Tessalonica, raffigurati sempre a cavallo, nell’atto di trafiggere con la lancia l’uno il drago che simboleggia il Demonio, l’altro una figura mostruosa che rappresenta il Paganesimo. Il primo ritratto di Maria Vergine sarebbe stato eseguito da San Luca Evangelista, e giunto fino a noi su un’icona trasportata dal pellegrino Teocle Kmnia da Costantinopoli a Bologna, dove si troverebbe ancora, conservata nel Santuario della Madonna di San Luca. Sia questa storia o leggenda, la Madre Celeste è

stata raffigurata in gran numero di modi da artisti di ambito culturale sia cattolico che ortodosso, e spesso in atteggiamenti analoghi, riferiti ad uno stesso episodio: nella Natività, come necessaria componente della Sacra Famiglia, nella Crocifissione e nella deposizione dalla croce, assieme a San Giovanni Evangelista, alla Maddalena, a Nicodemo, Giuseppe d’Arimatea ed al centurione Longino; nei vari “Compianti sul Cristo Morto”, (per gli ortodossi “Madre non piangere”) in cui è accanto al Figlio, disteso sulla pietra dell’unzione. Altre tipologie fanno riferimento, in entrambe le culture, a località dove particolare ne è la devozione o a specifiche attribuzioni e denominazioni: così la “Madonna degli Angeli” ( s o g g e t t o d e l l a t e l a d e ll’Allegrini che avrebbe dovuto fungere da pala d’altare nella omonima cappella oggi più conosciuta come Cappella Gavotti), la “Madonna dei Sette Dolori”, la “Maria Ausiliatrice” che sono, per così dire, cattoliche e la “Madonna che mostra la via”, quelle “della Tenerezza”, “del Segno”, “del Roveto Ardente”, di ispirazione ortodossa; ugualmente abbiamo, in parte cattolica la Madonna di Pompei, quella di Loreto, di Fatima, di Lourdes, ed in parte ortodossa, per citarne due sole, quelle veneratissime di Kazan e di Tichvin. Lungo, ed in questa sede inutile, sarebbe proseguire: basti ricordare che, nell’una e nell’altra religione, sono venerati numerosi altri Santi, molti dei quali riconoscibili nelle raffigurazioni pittoriche e molti senza una fisionomia definita o costante. San Gioacchino e Sant’Anna, padre e madre di Maria, non sono citati dai Vangeli Canonici, ma i loro nomi sono giunti a noi dagli Apocrifi e dalla Tradizione orale: tutti i loro eventuali ritratti sono pertanto più che mai “ideali”: quelli dell’Allegrini ci presentano un uomo e di una donna di età avanzata e dall’aspetto venerando e ispirato: né di più o di diverso si poteva fare. Delle altre tre scene sull’arcone, quella centrale in alto e una “Annunciazione”; l’Arcangelo Gabriele è


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raffigurato, in maniera comune alle due culture, in atteggiamento riverente con in mano il fiore bianco simbolo di purezza; Maria, insolitamente, è in piedi su di un rialzo o basamento –ciò forse per aumentare la maestà della sua figura– ed è appoggiata con un braccio su quello che pare un muretto o una balaustra; il tempo ha purtroppo cancellato il suo volto. La scena è ambientata in un esterno quasi desolato, probabilmente per evidenziare i personaggi e sottolineare la sacralità e l’intimità dell’evento; molto più spesso su quadri di pittori sia cattolici che ortodossi l’Annunciazione ha per teatro un interno, sempre anacronistico, in cui la Vergine è inginocchiata in preghiera, o seduta, immersa nella lettura di un libro. L’episodio del “Matrimonio della Vergine”, affrescato dall’Allegrini sotto il ritratto di Sant’Anna, non mi risulta comparire su icone russe, mentre è comune nell’iconografia di ispirazione cattolica. Flaminio Allegrini si attiene ad una impostazione consueta (basti pensare ai quadri di stesso soggetto dei suoi conterranei Raffaello e Perugino): al centro il Gran Sacerdote, ed ai suoi fianchi, uno per parte, gli sposi: nel suo affresco il pittore di Cantiano pone Maria alla destra –guardando– del Sacerdote, come nel quadro del Perugino; in quello di Raffaello le posizioni sono invertite; oltre a ciò nello “Sposalizio della Vergine” dell’Allegrini non compaiono, certo per l’esiguità dello spazio a disposizione, il Tempio sullo

Anno XII n°62 - Settembre 2011 sfondo ed i pretendenti delusi che spezzano la propria verga, avendo capito, per aver visto i fiori sbocciati da quella di Giuseppe, che lui era il prescelto. Soggetto molto frequentemente presentato dalle icone russe è invece la “Presentazione di Maria al Tempio” come il Torteroli definisce il piccolo affresco dell’Allegrini dipinto sotto il ritratto di Gioacchino: mi permetto però di essere in disaccordo con l’illustre storico savonese sul r i c o n o s c i m e n t o dell’episodio; è facilmente verificabile come, in tutte le icone russe di questo soggetto, compaia, anche in piccolo spazio una folla di persone che circondano il Gran Sacerdote vicino a cui i genitori hanno condotto una Maria bambina (e bambina compare, anche nelle poche tavole o tele da me conosciute, su cui artisti di formazione cattolica dipinsero la stessa scena). Nell’affresco del pittore cantianese spiccano due figure femminili, l’una decisamente più anziana dell’altra: si tratta secondo me di Santa Elisabetta, che dai Vangeli risulta aver generato il Battista in età avanzata; l’altra, a destra per chi guarda, è visibilmente più giovane, ma non più bambina; sul suo capo mi sembra di scorgere dipinta l’aureola di santità. Assente il Gran Sacerdote la cui presenza era invece necessaria nei riti di Presentazione; due soli coprotagonisti: uno, molto vecchio, dietro Santa Elisabetta (suo marito Zaccaria) l’altro, dietro Maria, anch’egli di età più avanzata rispetto alla sua sposa, ma visibilmente meno anziano del precedente non può essere che Giuseppe (e a ben guardare si direbbe che porti lui pure l’aureola sul capo, ad ulteriore c o n f e r m a dell’assunto). È questa, a parer mio la scena tipica della

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“Visitazione”, episodio di cui si hanno numerose e spesso pregevolissime interpretazioni in opere d’arte create in area cattolica e che a me risulta invece praticamente sconosciuto dall’iconografia ortodossa. Sulla volta della Cappella, la mandorla centrale, con l’Assunta in gloria venerata dalle tre Persone della Trinità, non presenta particolari che interessino la discussione in corso. I due affreschi ai suoi lati narrano, partendo da sinistra, i due episodi che, l’uno dopo l’atro precedettero l’Assunzione. Il primo è uno dei più frequentemente presenti sulle icone russo-ortodosse (delle quali rispetta lo schema pressoché in toto) e meno in ambito cattolico: va però prima fatta una precisazione: della morte di Maria non parlano i Vangeli; la tradizione cristiana, sia cattolica che ortodossa, non poteva però esimersi dal narrare la fine della vita terrena della madre di Cristo, e nel far questo si contraddice. Per i cattolici Maria non muore, ma, per così dire, si addormenta e viene assunta corpo ed anima in Cielo; nonostante ciò, in molte pitture, come nell’affresco dell’Allegrini sulla volta della Cappella di N. S. della Colonna, compare un vero e proprio sepolcro a destra della mandorla centrale. All’interno al posto del corpo sono sbocciati dei fiori; attorno alla tomba stanno gli Apostoli che l’hanno aperta tre giorni dopo l’inizio del sonno di


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Maria, stupiti e sbigottiti per la scomparsa della salma della Vergine: Maria è infatti in Cielo, fra le nuvole, viva, assunta fra gli Angeli. Tornando all’affresco di sinistra viene quasi da pensare che Flaminio Allegrini, conoscendo in qualche modo la tradizione ortodossa, abbia voluto attenervisi almeno in parte, onorando così con due diverse immagini sia l’una che l’altra confessione religiosa. La “Dormitio Virginis”, in greco “Koimesis”, è una delle Feste Liturgiche più importanti della religione ortodossa, e corrisponde a quella cattolica dell’Assunzione. L’episodio, che in italiano viene anche chiamato “Transito di Maria”, è presentato dalle icone russe con la Vergine distesa sul letto funebre e funereamente composta in un abito scuro; l’Allegrini la raffigura invece vestita di bianco e fasciata da un bianco lenzuolo: la scelta di tale colore voleva forse ispirare maggiore credibilità nella temporanea durata del sonno. Elemento sconosciuto all’iconografia ortodossa è la figura

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–inconsueta anche in ambito cattolico– del sacerdote indossante la mitria che benedice la “Dormiente”; mancano invece due elementi, presenti sempre, anche se non sempre assieme, nell’iconografia russo-ortodossa: la scena in cui, ai piedi del catafalco, un angelo tronca con la spada le mani di un sacerdote esagitato (ce ne è giunto il nome: Iefonia) che sta per profanarlo, volendolo rovesciare per verificare se la persona che su di esso giace è viva e dormiente o definitivamente morta. L’altro elemento mancante è la figura di Gesù Cristo che ascende al Cielo con in braccio una bambina, simbolo dell’anima della Madre: anche in questo caso balza agli occhi la contraddizione, perché quando l’anima abbandona il corpo la morte è definitiva.

DISCORSO DEL PRIMO MINISTRO AUSTRALIANO A volte bisogna avere il coraggio delle proprie idee e di manifestarle apertamente... il rischio che stiamo correndo noi europei è di essere lentamente ed inesorabilmente colonizzati da altre, passatemi il termine, “etnie” e religioni, perchè non siamo in grado di difendere e sostenere la nostra. Non si tratta di razzismo, ma di radici, orgoglio, cultura, senso di appartenenza e storia di un popolo. Laura Bestoso, Sindaco di Stellanello

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l Primo Ministro australiano ha detto: Ai musulmani che vogliono vivere secondo la legge della Sharia Islamica, recentemente è stato detto di lasciare l’Australia, questo allo scopo di prevenire e evitare eventuali attacchi terroristici. Sembra che il primo ministro John Howard abbia scioccato alcuni musulmani australiani dichiarando: «Gli immigrati non australiani devono adattarsi! Prendere o lasciare, sono stanco che questa nazione debba preoccuparsi di sapere se offendiamo alcuni individui o la loro cultura. La nostra cultura si è sviluppata attraverso lotte, vittorie, conquiste portate avanti da milioni di uomini e donne che hanno ricercato la libertà. La nostra lingua ufficiale è l’inglese, non lo spagnolo, il libanese, l’arabo, il cinese, il giapponese, o qualsiasi altra lingua. Di conseguenza, se desiderate far parte della nostra società, imparatene la lingua! La maggior parte degli Australiani crede in Dio. Non si tratta di obbligo di cristianesimo, d’influenza della destra o di pressione politica, ma è un fatto, perché degli uomini e delle donne hanno fondato questa nazione su dei principi cristiani e questo è ufficialmente insegnato. È quindi appropriato che questo si veda sui muri delle nostre scuole. Se Dio vi offende, vi suggerisco allora di prendere in considerazione un’altre parte del mondo come vostro paese di accoglienza, perché Dio fa parte delle nostra cultura. Noi accetteremo le vostre credenze senza fare domande. Tutto ciò che vi domandiamo è di accettare le nostre, e di vivere in armonia pacificamente con noi. Questo è il nostro paese, la nostra terra e il nostro stile di vita. Vi offriamo la possibilità di approfittare di tutto questo. Ma se non fate altro che lamentarvi, prendervela con la nostra bandiera, il nostro impegno, le nostre credenze cristiane o il nostro stile di vita, allora vi incoraggio fortemente ad approfittare di un’altra grande libertà australiana: il diritto di andarvene. Se non siete felici qui, allora partite. Non vi abbiamo forzati a venire qui, siete voi che avete chiesto di essere qui. Allora rispettate il paese che vi ha accettati».


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“NOTE DI MODA” NELL’ANFITEATRO DI VILLA CAMBIASO ORGANIZZATA DA DELPHY CON I MAESTRI GIACOSA SETTEMBRE 2011

CONCERTO CLASSIC JAZZ CON GIUSTO FRANCO TRIO LUGLIO 2011


“ASTA DELL’ANTIQUARIATO” A VILLA CAMBIASO AMPIA ESPOSIZIONE DI ARREDI ANTICHI DAL 15 OTTOBRE AL 7 NOVEMBRE 2011


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