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RIVISTA MILITARE N.6 2023

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PROIETTATI NEL FUTURO

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L'editoria le

Colonnello Giuseppe Cacciaguerra

are lettrici, cari lettori, cento anni fa nasceva Italo Calvino, scrittore e combattente nelle fila della Resistenza. Suo uno dei migliori incipit letterari del Novecento: "Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi" (da "Il Barone rampante"); ma è nella prima versione del saggio "Cibernetica e fantasmi" del 1967, che questo acuto intellettuale si domandava: "Avremo la macchina capace di sostituire il poeta e lo scrittore? (. . .) avremo macchine capaci di ideare e comporre poesie e roman­ zi?". La risposta, oggi, ci è nota. Infatti, è proprio partendo dalla copertina che vogliamo accompagnare il lettore verso quel futuro ipotizzato da Calvino. Per noi si tratta del presente ed è in piena espansione. Ce lo conferma una mente brillante come quella del prof. Nello Cristianini. Lo abbiamo incontrato al Festival della Comunicazione di Camogli; gli abbiamo posto alcune fondamentali domande relative all'intelligenza artificiale e agli algoritmi. Le sue risposte invitano a ragionare e, finanche, ripensare consolidate idee su animali e piante. Poi, muovendoci dal neologismo algoritmocrazia e dall'incessante sviluppo di nuove tecnologie, abbiamo spaziato con Dario Fabbri, direttore di "Domino", su temi di grande attualità: le guerre in Ucraina e in Medio Oriente, i "valori occidentali", la proattività cinese... Insomma, un'intervista consistente e ad ampio raggio. Sfruttando sempre il tema "algoritmo", declinan­ dolo in "canone classico" - da non perdere l'intervento della prof.ssa Anna Maria lsastia - ci siamo spinti ad indagare anche la bellezza, grazie alla filosofa Maura Gancitano. Il suo è un contributo di pensiero quanto mai importante: occorre riflettere su come un dono si sia trasformato in un limite o, addirittura, in una prigione. Di notevole spessore l'articolo del dott. Fabio Vander su Ernst Junger, grande scrittore e filosofo tedesco, così come l'intervista al Gen. Sir Nick Borton Comandante dell'Allied Rapid Reaction Corps (ARRC) UK. A fine set­ tembre, per la cronaca, si è svolta in Puglia l'Esercitazione "Leone Alato 23" - alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella - il cui scenario prevedeva l'evacuazione di personale civile da un'area di crisi. In sostanza: un'attività addestrativa tattica, anfibia ed aeromobile, di altissimo profilo. La soddisfazione traspare dalle parole del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Gen. C.A. Pietro Serino: "Oggi abbiamo mostrato al Presidente della Repubblica la capacità dell'Esercito di condurre una manovra tridimensionale, manovra che si aggiunge a quella tipicamente terrestre. L'Esercito è una Istituzione pronta e coesa, al servizio della Repubblica e degli Italiani". Inoltre, tra gli appuntamenti più attesi, il 1 O ottobre, è stato presentato il CalendEsercito 2024 nel quale sono stati selezionati alcuni Ufficiali, Sot­ tufficiali e Soldati, insigniti della Medaglia d'Oro al Valor Militare per atti eroici compiuti dopo l'armistizio e che si sono particolarmente distinti anche nel periodo precedente. Per quanto riguarda il fascicolo speciale allegato, "La manovra a contatto e le capacità abilitan­ ti", è il primo di una importante serie, curata dallo Stato Maggiore dell'Esercito, tesa a spiegare i contenuti del Concepì Paper "Esercito 4.0: Proiettati nel futuro". L'intento è quello di illustrare lo sviluppo concettuale dei principali programmi di rinnovamento. Essi risultano indispensabili per affrontare le sfide future, in un contesto di evoluzione tecnologica impressionante. Un'ultima doverosa riflessione, praticamente in chiusura di numero, è rivolta al Medio Orien­ te. La già tesissima situazione internazionale, ci avviamo ai due anni di guerra in Ucraina, ha ricevuto un ulteriore terribile innesto con l'attacco di Hamas contro Israele. Proditoria e brutale aggressione, soprattutto ai danni dei civili, frutto di abile bilanciamento tra sofisticata pianificazione e rustica condotta. La risposta di Israele è, al momento, in corso. Buona lettura!

Nel prossimo numero Intervista a Virgilio Ilari

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n. 6/2023 I Rivista Militare

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SOMMARIO�----------------IN PRIMO PIANO 1

L'EDITORIALE NOTIZIE E CURIOSITA

20 Il P residente Mattarella visita l'Archivio storico dell'Esercito di Emilio Tirone 24 Per l' Italia sempre! di Paola Pucci 26 Da 80 anni a testa alta di Paola Pucci 28 Bellezza artificiale di Fabrizio Luperto 30 Musica sintetica di Pierfrancesco Sampaolo 34 Notizie dal Ministero

••• RUBRICHE 7

IL PUNTO

8

L'INTERVISTA

12

LE BATTAGLIE DIMENTICATE

14

LE STORIE DELLA STORIA

18

DONNE

36

PERCHÉ SI DICE COSÌ

37

DIZIONARIO ECONOMICO

84

GENITORI CON LE STELLETTE

86

SOLDATO DEL GIORNO

88

ARMI

92

MILITARIA

38 La guerra dei "topi" di Nicola Cristadoro

42 Le macchine intelligenti di Giuseppe Cacciaguerra 44 La prigione della bellezza di Paola Pucci 48 La bellezza femminile nei secoli di Anna Maria lsastia 52 Le guerre cambiano di Andrea Spada 56 La guerra e la pace di Fabio Vander 60 Siate lo standard che gli altri devono seguire di Giuseppe Cacciaguerra Pierfrancesco Sampaolo 64 "La Comina" di Gianluigi Cimino 66 Per gli alloggi il futuro è "MIRRAAL" di Paola Pucci 68 Sul fianco sud-est dell'Europa di Francesco Labianca 70 li leone alato in Puglia di Igor Piani Maria Perii/o 74 Studiare la guerra in un mondo che cambia di Giuseppe Diotallevi 78 L'ingegno contro i reticolati di Andrea Cianci 80 Il meteo nei conflitti di Lorenzo Roazzi

100 ENGLISH SUMMARY 102 PROPOSTE DI LETTURA

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MINISTERO DELLA DIFESA Editore Difesa Servizi S.p.A. - C.F. 11345641002 STATO MAGGIORE ESERCITO V Reparto Affari Generali Direttore responsabile Colonnello Giuseppe Cacciaguerra Redattore Capo Tenente Colonnello Pierfrancesco Sampaolo Coordinamento attività editoriali e Redazione pubblicazioni Rossella Borino Esposito, Marcello Ciriminna, Raimondo Fierro, Vincenzo Gebbia, Andrea Maria Gradante, Mariangela La Licata, Annarita Laurenzi, Maria Perillo, Igor Piani, Paola Paolicelli, Paola Pucci, Ignazio Russo. Segreteria e diffusione Claudio Angelini, Gaetano Chianese, Christian Faraone, Alessandro Serafini, Ciro Visconti Sede Via di San Marco, 8 - 00186 Roma Tel. 06. 6796861 Amministrazione Difesa Servizi S.p.A. Via Flaminia, 335 - 00196 Roma Direzione di Intendenza dello Stato Maggiore dell'Esercito Via Napoli, 42 - 00187 Roma Stampa AGE s.r.l. Via Donna Olimpia, 20 00152 Roma Tel.06/9162981 Distribuzione Distribuzione SO.DI.P. "Angelo Patuzzi" S.p.A. Via Bettola 18 - 20092 Cinisello Balsamo (Ml) Tel. 02. 660301 Telefax 02. 66030320 Abbonamento Annuale Italia: Euro 18,00 Estero: Euro 18,00 (più spese di spedizione)

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'1/1 terreno che non guadagna la scienza è inesorabilmente conquistato dallYgnoranza" (Luigi MezzacifJo).

Rivista Militare rappresenta una palestra di pensiero rivolta alla divulgazione e all'informazione di ciò che riguarda la cultura militare e tutte le tematiche e gli aspetti che a essa possono riferirsi, con particolare attenzione all'Esercito, attraverso il dibattito e la libera e diretta partecipazione. Le idee espresse negli articoli sono personali degli autori e non hanno riferimento con orientamenti ufficiali. Tutti i dati personali forniti sono trattati secondo le vigenti norme sulla tutela della privacy. L'editore si dichiara disponibile a regolarizzare eventuali spettanze dovute a diritti d'autore per le immagini riprodotte di cui non sia stato possibile reperire la fonte o la legittima proprietà.

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IN COPERTINA Michael Van Kerckhove (UNSPLASH)

PDF: Marcello Ciriminna





RIPENSARE l' ALA ROTANTE di Andrea Margelletti Presidente CeSI Centro Studi Internazionali

Il rumore ritmico di un rotore è corre­ lato così strettamente alle esperien­ ze operative da esemplificare, più di qualsiasi analisi quantitativa, il ruolo centrale svolto dagli assetti ad ala ro­ tante per le Forze Armate occidentali negli ultimi decenni. Se all'epoca della Guerra Fredda gli elicotteri servivano, nel framework della dottrina della Air­ Land Battle, ad infiltrare nuclei di mili­ tari equipaggiati con missili controcar­ ro (ATGM - Anti-Tank Guided Missile) tra gli scaglioni successivi di un'ipo­ tetica offensiva europea dell'Armata Rossa, degradando, di concerto con i velivoli d'attacco, le unità corazzate sovietiche, nel nuovo millennio le loro funzioni si sono sensibilmente amplia­ te. Le missioni di Counter-lnsurgency (COIN) e Counter-Terrorism (CT), so­ prattutto nell'orograficamente ostile Teatro afgano, hanno reso essenziali le capacità espresse da questi asset­ ti. I compiti di trasporto (Tactical Air­ lift), evacuazione medica (MEDEVAC - Medicai Evacuation e CASEVAC - Casualty Evacuation), ricognizione (ISR - lntelligence, Surveillance & Reconnaissance) e attacco (CCA - Close Combat Attack) svolti dagli elicotteri sono stati infatti essenziali per supportare ed abilitare la condotta delle operazioni. Il mutamento del contesto strategi­ co internazionale, il riemergere della competizione tra Stati ed il ritorno, reale o potenziale, di conflitti conven­ zionali ad alta intensità ha però tra­ sformato profondamente gli scenari operativi, implicando una riflessione

fondamentale sul futuro dell'ala ro­ tante. La crescente letalità delle bas­ se quote, il proliferare di apparati di sorveglianza multidimensionale del campo di battaglia ed il diffondersi di molteplici sistemi di difesa aerea multilivello, statici, mobili e spalleg­ giabili, rende infatti estremamente vulnerabile la manovra nella terza dimensione. Sormontare i rischi posti da questa nuova realtà, plasticamen­ te rappresentata dall'alto tasso di at­ trito subito dalla componente elicot­ teri, di entrambi gli schieramenti, nel conflitto russo-ucraino attualmente in corso, impone un'approfondita rifles­ sione su capacità e requisiti per gli aeromobili del prossimo futuro. L'esigenza di una minore segnatura radar, infrarossa ed acustica, attra­ verso l'implementazione di tecnologie stealth, costituisce un primo aspetto, a cui si associano una superiore ve­ locità e manovrabilità rispetto agli as­ setti contemporanei. La concezione by design di un'architettura aperta, orientata ad integrarsi in una rete di piattaforme multi-dominio, con e sen­ za equipaggio, rappresenta poi la pro­ spettiva essenziale per realizzare una classe di velivoli orientati a dominare le basse quote del prossimo futuro. In quest'ottica, le Industrie del­ la Difesa hanno già provveduto a sviluppare prototipi, manifestando propensioni divergenti rispetto alla conservazione del concetto classico di elicottero. Se il Nuovo Elicottero da Esplorazione e Scorta (NEES) AH-249 Fenice, realizzato da Leo-

nardo ed in fase di sperimentazione da parte dell'Esercito Italiano, man­ tiene l'aerodinamica tradizionale, implementando le lessons leamed apprese dagli AH-129 Mangusta in un assetto più performante, protetto e proiettabile, le proposte presenta­ te dai competitors nei due sottopro­ grammi del Future Vertical Lift (FVL) dello US Army ne delineano una pro­ fonda rivisitazione. La competizione per il Future Long-Range Assault Air­ craft (FLRAA) ha infatti visto il con­ vertiplano bimotore ad ala alta V-280 Valor di Bell-Textron aggiudicarsi la commessa, ai danni dell'elicoplano birotore con elica spingente Defiant X di Sikorsky-Boeing. La versione da ricognizione ed attacco derivata da quest'ultimo, il Raider X, è tuttavia in gara anche per il Future Attack Re­ connaissance Aircraft (FARA), con Sikorsky, parte del gruppo Lockheed Martin, intenta a sfruttare il vantaggio derivante dall'integrazione dell'asset­ to, attraverso l'uso dell'Intelligenza Artificiale, con l'ecosistema di piatta­ forme multi-dominio dell'azienda, a partire dall'F-35 Lightning Il. Indipendentemente dalle singole soluzioni sviluppate dal comparto industriale, la quantità, varietà e qualità dei progetti evidenzia la no­ tevole fase evolutiva che la compo­ nente ad ala rotante affronta. Nuove capacità e nuovi requisiti sono alla base delle essenziali innovazioni per definire un assetto in grado di manovrare, combattere e vincere nel futuro delle basse quote. n. 6/2023 I Rivista Militare

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di Giuseppe Cacciaguerra I

LO SPAZIO GEOGRAFICO DI RIFERIMENTO

GEOPOLITICA, STORIA ' E ATTUALITA Dario Fabbri parla con noi

Lei è il direttore di "Domino", "la rivista sul mondo che cambia. Uno strumento di geopolitica". Ci aiuta, anzi­ tutto, a capire meglio cosa è la geopolitica, visto che una definizione univoca pare ancora non esserci. La geopolitica in questa fase storica va di moda, ed è un vantaggio e al tempo stesso uno svantaggio, perché è or­ mai sulla bocca di tutti. Si dice tutto e il contrario di tutto, come un'insalatona, tutti ne parlano a volte con approcci che nulla hanno a che fare con la stessa, ma che funzio­ nano a livello di marketing. La geopolitica di cui ci occupiamo noi è la geopolitica umana: posto che non può essere una scienza, e non lo deve essere perché significherebbe cristallizzarla, e non ha ad oggi una definizione univoca, possiamo però defi­ nire la geopolitica umana come l'analisi delle interazioni, spesso purtroppo di natura conflittuale, tra popoli che in­ crociamo sul pianeta, in un determinato spazio geografi­ co, cartografabile, in una dimensione visiva plastica. Lo spazio geografico di riferimento è fondamentale, altri­ menti diventa filosofia della storia, qualcosa di impalpabile, etereo, ineffabile. Per circoscriverla in un algoritmo, defi­ nirei la geopolitica umana come lo studio dell'interazione tra collettività, tra popoli. Quindi, non l'individuo - che ha un peso limitato in geopolitica - ma le aggregazioni in un determinato spazio geografico. 8

Rivista Militare I n. 6/2023

Stiamo iniziando, forse, a intuire le potenzialità dell'In­ telligenza Artificiale. Si sente parlare, sempre più spes­ so, pure di "algoritmocrazia". In Redazione abbiamo cercato di evocare queste percezioni anche nella co­ pertina di questo numero di Rivista Militare. Stiamo esagerando o, effettivamente, queste nuove tecnolo­ gie imporranno cambiamenti radicali nella vita degli e tra gli Stati, per intenderci, da Rivoluzione Industriale o ancor più forti? Potrebbe anche essere una fase similare, ma con un gran­ de discrimine: a volte a me pare che si cerchi in un'inven­ zione, lo sviluppo tecnologico, l'escamotage per non ap­ profondire davvero. Una rivoluzione, militare o tecnologica ecc. viene scambiata per un Sacro Graal, come l'Anello del "Signore degli Anelli", per usare espressioni molto pop, nella convinzione che chi fosse in grado di ottenerla dominerebbe il mondo, ma non è così. Sarebbe come dire che gli Stati Uniti hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale perché allora erano gli unici de­ tentori della bomba atomica ma non è vero, quando allora sganciarono le due atomiche sul Giappone, di fatto avevano già vinto la guerra, le due bombe (e si può discutere all'infi­ nito se questa fosse la scelta giusta o meno) servivano per chiudere velocemente la guerra nel Pacifico e condurre alla resa un Paese molto peculiare come il Giappone.


Dario Fabbri, analista geopolitico, è direttore del mensile di geopolitica "Domino". Tiene seminari presso il master in relazioni internazionali (Micri) dell'università lulm di Milano. Partecipa alla Academy di Confindustria e alla scuola Holden di Torino. Sta scrivendo l'Atlante Storico Zanichelli, il Manuale di storia Rizzali per i licei e il Manuale di geopolitica umana per Gribaudo/Feltrinelli (in uscita). È autore per Rai Radio 3 del podcast Imperi e per Chora Media del podcast Stati di tensione. Nel 2017 ha ricevuto dall'ambasciatore americano il premio Amerigo come miglior giornalista/analista che si occupa di Stati Uniti (sezione periodici).

Allo stesso modo, possiamo applicare la tecnologia oggi; chi vincerà la competizione tra USA e Cina non sarà colui che dominerà /'/A, perché in questo tipo di competizione vince il fattore umano, nelle varie sfaccettature di una collet­ tività, quindi lo sviluppo culturale, civile, militare, economico e anche tecnologico, ma è una delle voci, che va rimanda­ ta all'applicazione che se ne fa. Quindi, le tecnologie sono molto impananti, e questa è un'ovvietà, ma in assenza del fattore umano non bastano, perché un Paese che non ha una densa demografia, come ad esempio gli Emirati Arabi o il Qatar, piccole monarchie che tuttavia si considerano oggi delle superpotenze, ma senza l'aspetto umano non diventeranno mai davvero delle grandi potenze, anche se si dotassero della migliore tecnologia. Quindi, è impanante guardare a questi sviluppi tecnolo­ gici, ma non si potrà mai prescindere dal fattore umano, dall'aggregazione. Se un Paese scoprisse il segreto della vita eterna, e fosse l'unico a detenere la formula, allora veramente dominereb­ be il mondo, ma è pura fantascienza. Provo a indicare alcuni temi d'attualità. Ne esce un quadro fosco: calo demografico occidentale, ma non statunitense e bomba demografica altrove, pande­ mie, cambiamento climatico, scarsità d'acqua, acca­ parramento delle risorse energetiche, guerre, migra­ zioni, spopolamento di intere aree rurali... Secondo lei esiste una crisi o genericamente un problema più importante - da intendersi magari anche come più pericoloso - degli altri, da affrontare per primo? Tutte queste questioni sono di rilevanza globale, ma se dovessi sceglierne una è la guerra in Ucraina perché nel medio e lungo periodo, considerando la sparizione dell'Europa, in senso demografico - in generale per il nostro continente e per l'Italia in particolare - questa guerra, per noi, a queste latitudini, resta la questione delle questioni. Non mi sembra che ad oggi la nostra opinione pubblica ne sia troppo consapevole o interessata, così come il cambiamento climatico che può avere, o li sta già aven­ do, degli effetti devastanti sul nostro pianeta. Ma la guerra in Ucraina - vediamo come andrà a fini­ re - è una bomba a orologeria, anche atomica, pun-

tua/mente e costantemente verso di noi, ad un passo dal suo lancio, quotidianamente. Basta ricordare che le due guerre mondiali del secolo scorso, ma anche tutte le al­ tre, quando nel corso della storia per guerra mondiale si intendeva la dimensione europea, sono nate da una inconsapevolezza o, comunque, da un momento che sembrava gestibile e che è poi sfuggito di mano. Quindi, tra tutte le questioni citate, per ora l'emergenza imme­ diata resta sempre la guerra in Ucraina per i rischi che questa sottende. Inserita nella competizione globale tra Stati Uniti e Cina (con la Russia a rimorchio di Pechino). Di fatto, ogni crisi contemporanea, se rilevante, è deri­ vazione di quel superiore antagonismo. Così anche la recrudescenza del conflitto israelo-palestinese, secondo fronte ape,to nello scontro planetario, dopo l'Ucraina, tra Washington più i suoi clientes da un lato, e Pechino più Mosca e Teheran dall'altro. Astraendoci, la questione demografica, ovunque sia nel mondo, resta sempre la più impanante, perché le nazioni, siano imperi, monarchie, principati, città-stato, sono com­ poste da esseri umani. La presenza dell'essere umano, fa tutta la differenza del mondo, così come l'età media. Se prendiamo la Cina, il suo grande problema in questo 2023, non è stato il sorpasso demografico che ha subito da parie dell'India (1 miliardo e 400 milioni di abitanti) mentre la Cina è a 1 miliardo e 380 milioni, e di che si cruccia? Sembrano quelle fatue diatribe da classifica per


ricchi della terra, in cui se scendi dal secondo al nono posto sei ugualmente ricco. Il punto vero - per la Cina - è che il sorpasso, al di là dell'aspetto psicologico, segnala che la popolazione del­ la Repubblica Popolare Cinese sta invecchiando molto velocemente; nel '71 quando Kissinger realizzò il suo mi­ tologico viaggio in Cina, l'età media della popolazione era 19 anni, fa impressione solo pronunciarlo, mentre oggi è 41 anni. Quindi, in tutti i campi, la questione demografica resta preminente.

Solo una postilla: non esistono questioni globali. È un no­ stro pregiudizio da occidentali - forse inconsapevolmen­ te razzista - risalente al tempo dei Romani, passando per il Rinascimento e la Rivoluzione francese, riteniamo sempre di dover parlare a nome dell'umanità: ciò che per noi è preminente lo diventa automaticamente anche per gli altri esseri umani, ma non è così. Ad esempio, la questione ambientale - secondo me fon­ damentale e sottovalutata - per Russia e Cina, Paesi molto estesi, non è preminente. Quindi, le questioni globali elencate, tutte sicuramen­ te fondamentali, spesso risultano preminenti solo per noi occidentali. Citando il titolo di un articolo nel bel numero di "Domi­ no" "Il mondo Contro" perché "Pechino sogna il Sud del mondo"? Perché la Cina è certamente un impero. Lo è sempre stato. Anche la dizione autoctona, l'endonimo cinese, raffigura il Paese come l'impero di mezzo, o del centro a seconda 10

delle traduzioni. Ma la Cina manca di una sua missione. Gli imperi debbono avere tutti una loro missione, non è mai esistito un impero che abbia tenuto le popolazioni che amministra solo con l'uso della fo,za, ci deve esse­ re sempre uno strato di seduzione per convincere i popoli che sottometti, che stiano meglio con l'impero che fuori di esso, fingendo peraltro che questi abbiano una scelta che in realtà non c'è. Oggi la Cina si propone come un'alternativa agli USA con un progetto di contro-globalizzazione, attraverso la via della seta, ma mentre gli USA hanno una loro forma di seduzione, una loro missione che conosciamo bene - gli americani in parte ci credono e in parte la usano strumen­ talmente, ma per lo più ci credono - consistente nella dife­ sa dei diritti, diffusione della democrazia, interventi umani­ tari, anche con un afflato messianico, quindi prevenzione nel mondo, insomma tutto quello che ormai conosciamo, nel bene e nel male, della propaganda che loro definisco­ no soft power americano. Per contro la seduzione cinese qual è? Non c'è e non c'è mai stata. Proprio questa guerra ha acceso una lam­ padina a Pechino. Cioè i cinesi, si sono fatti due calcoli considerando che la maggior parte dell'umanità, rap­ presentata dai suoi governi- nei vari momenti di questa guerra, in larga parte - non ha condannato l'aggressio­ ne russa dell'Ucraina, non applica le sanzioni a Mosca. Rimane formalmente neutrale, ma in molti casi dentro la neutralità c'è una professione di vicinanza più a Mo­ sca che a Kiev. Di conseguenza: la Cina guarda al Sud globale - che è una categoria dell'anima, ma in realtà è la maggioranza dell'umanità - dicendo "noi aiutiamo la Russia in questa guerra, perché è contro l'Occidente". Ora, a nessuno interessa veramente la causa russa, ma tutti i Paesi dall'India, al Pakistan, Etiopia, Vietnam, Iran, Sud Africa e potrei proseguire, dicono che sicco­ me l'Ucraina è sostenuta dagli Stati Uniti e dall'Occi­ dente, dunque noi Paesi del Sud del mondo, che ab­ biamo subito la popolazione bianca, per secoli, siamo contro l'Occidente a prescindere, non ci interessa sta­ bilire chi ha ragione e chi ha torto. In questo senso le parole del Ministro degli Esteri dell'India, che riportia­ mo nell'articolo, sono illuminanti: "noi rappresentiamo un sesto dell'umanità (come popolazione dell'India, ndr) perché mai dovremmo applicare categorie morali ad una guerra tra soli bianchi, quando voi bianchi non lo avete mai fatto nelle nostre guerre?". E la Cina si è aggrappata a questo, proclamando "noi rappresentiamo l'altra umanità contro i bianchi, contro il Colonialismo degli USA e dell'Occidente", per questo si avvicina al Sud globale del mondo, usando questa ca­ tegoria in maniera posticcia e propagandistica perché i cinesi si sentono estranei alle altre civiltà e, tuttavia, utiliz­ zano questa guerra per farsi alfieri dell'umanità nella lotta allo status quo che è ancora di marca americana. Sulla guerra in Ucraina, lo storico llko-Sascha Kowalc­ zuk sostiene un interessante punto di vista. Ovvero che la Russia ha aggredito l'Ucraina non perché minacciata

Rivista Militare In. 6/2023

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dalla NATO (militarmente), piuttosto perché si sentireb­ be minacciata dai valori occidentali tra i quali la demo­ crazia, la libertà, lo Stato di diritto... lei che ne pensa? Innanzitutto dovremmo stabilire che cosa significa mi­ nacciata. La questione dei valori occidentali poi non ho mai ben capito cosa sia. Ho sempre pudore a pro­ nunciare questa locuzione fuori dall'Europa occiden­ tale, in quanto rischiamo l'aggressione, e senza nem­ meno andare tanto lontano, basta andare in Anatolia, senza arrivare in Vietnam, perché noi ci consideriamo assai placidi, ma in realtà due generazioni fa siamo stati colonialisti ed abbiamo lasciato pessimi ricordi di noi in giro per il mondo. Purtroppo si studia molto poco la storia, e ci approc­ ciamo all'altra umanità come se fossimo nati oggi, di­ menticandoci che siamo stati la parte più violenta del pianeta. Per minaccia bisogna intendersi su cosa vo­ gliamo dire: la democrazia, per come la intendiamo noi cioè la democrazia liberale, è un'invenzione tipicamente occidentale e, aggiungo io, la miglior forma di governo che finora l'umanità abbia mai sperimentato, ma non è questo il punto, fuori dall'Occidente è ritenuta un siste­ ma amministrativo solo occidentale, esterno alla cultura locale, e la Russia, che si propone da sempre come alternativa all'Occidente, guarda a quella formazione istituzionale, democratica, con tutto ciò che ne compo­ ne, come a qualcosa di estraneo e che va ad intaccare l'unicità della sua civiltà, al di là di Putin. Considerando che ogni dittatore, anche il peggiore, necessita di un consenso, poiché una dittatura non viene da Marte, ma resta pur sempre espressione della collettività, e in questo Putin riesce a convin­ cere ancora oggi i russi che è lui stesso un baluardo contro l'Occidente. A modo suo, e in maniera mol­ to improbabile, rappresenta oggi un alfiere di quel­ la civiltà russa che dice noi vogliamo rimanere noi stessi, e non vogliamo divenire esattamente come gli occidentali. Se per minaccia intendiamo questo sono d'accordo. Questo c'è nella testa dei russi. E anche se oggi nes­ suno vuole invadere la Russia e tanto meno l'Ucraina voleva attaccare la Russia, i russi restano ossessio­ nati dalla storia come lo sono tutti gli imperi, convinti di esistere da sempre e che esisteranno per sempre, e siccome l'Occidente - nelle sue varie declinazioni della potenza come tedeschi, francesi ecc. - ha più volte invaso la Russia, nel corso della storia, per i russi l'Occidente resta sempre cattivo e minaccioso. Se la Russia crollasse e venisse smemb rata in più regioni, ch i se ne avvantaggerebbe? È l'argomento di un numero di "Domino", che abbia­ mo titolato "La Russia non deve morire", una nostra espressione per evocare il terrore che ha percorso la spina dorsale degli apparati americani nelle ore del fallito golpe della Wagner Come diceva il vecchio

saggio "peggio di un nemico insidioso c'è un nemico allo sbando" e l'idea americana che la Russia possa precipitare in una guerra tra bande - o addirittura una guerra tra repubbliche etniche armate dell'atomica sarebbe un rompicapo insopportabile per Washington, che se ne dovrebbe occupare in toto, giorno e notte. La Russia: il più grande arsenale atomico del mondo, il Paese più esteso del mondo a cavallo della massa euro-asiatica, massa strategica del pianeta dove, da sempre, si decide l'egemonia planetaria, per l'Ame­ rica diventerebbe l'unica occupazione. Quindi, da un crollo della Russia se ne avvantaggerebbe soprattutto la Cina, questo il ragionamento degli americani. Sono d'accordo anche perché, nel caso di un'implosione della Russia, la Cina non se ne occuperebbe mai con il piglio statunitense, proprio per quell'assenza di una sua missione, anche se prova a rintracciarla adesso. Nella sua testa la Cina non deve dimostrare niente a nessuno e, quindi, se lasciasse implodere la Russia, senza muovere un dito se non probabilmente per oc­ cupare solo la Siberia, il suo grande Nord totalmente spopolato, nessuno al mondo accuserebbe la Cina di aver lasciato la Russia nel caos senza aver fatto nulla. Gli americani, invece, che si sono raccontati, in un'e­ ra diversa, come coloro che manutengono il mondo, si sentirebbero anche investiti di questa missione, se ne farebbero carico totalmente e, a mio avviso, ci sprofonderebbero dentro perché ritengo che sia oltre le capacità di qualsiasi potenza gestire una Russia allo sbando. Quindi, rispondendo alla domanda, sicu­ ramente se ne avvantaggerebbe molto di più la Cina. Ed è la ragione per cui tutto quello che vuole Wa­ shington, adesso, è chiudere la guerra d'Ucraina, per evitare che la sconfitta strategica che la Russia sta subendo, una smaccata sconfitta, non si traduca anche in una sconfitta tattica, perché la Russia sta vincendo sul piano tattico, che è solo una questione matematica, poiché tutti i territori che sta acquisendo indebitamente dall'Ucraina, prima non li aveva. Ma la vittoria tattica è solo una vittoria di Pirro, mentre sul piano strategico la Russia, la guerra, la sta perdendo malissimo, ma ancora la popolazione non lo percepi­ sce perché la sconfitta strategica si coglie nel lungo e medio periodo, è molto sofisticata. Ma se la popolazione russa si accorgesse che la guerra è persa anche sul piano tattico, e ancora non lo è, allo­ ra, secondo gli americani, scoppierebbe la rivoluzione e Putin rischierebbe di precipitare il Paese nel caos. E gli americani non se ne avvantaggerebbero. Ricordiamo che quando implose l'Unione Sovietica, l'atteggiamen­ to degli USA e dell'allora presidente Bush padre fu di terrore; resta celeberrimo il suo discorso, pronunciato il 1 ° luglio '91, proprio a Kiev, in cui disse agli ucraini: "vi prego di non prendere in considerazione il vostro nazio­ nalismo perché è un nazionalismo suicida" parole che riascoltate oggi destano impressione. Il terrore che l'Unione Sovietica si disgregasse in tante piccole repubbliche armate vicendevolmente. Lo stes­ so terrore che hanno oggi per la Federazione russa. n. 6/2023 I Rivista Militare

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L'OPERAZIONE "GAZELLE" "Non c'è che l'imbarazzo della scelta: la storia delle guerre è un libro aperto, ricchissimo, terribile, da cui non si smette di imparare"

di Gastone Breccia

La sorpresa e il contrattacco. Alle due del pomeriggio del 6 ottobre 1973, giorno della festa ebraica dello Yom Kippur (espiazione), l'Esercito egiziano attaccò le posizioni israelia­ ne della linea Bar-Lev, sulla sponda orientale del canale di Suez, superandole in più punti; contemporaneamente circa 700 carri armati siriani passavano all'offensiva sulle alture del Golan, mentre un reparto di commandos di Damasco espugnava il caposaldo di Tsahal - acronimo ebraico del­ le forze di difesa israeliane - sul Monte Hermon. Iniziava così la quarta guerra arabo-israeliana, ricordata soprattutto per il successo della sorpresa iniziale, che scosse il mito dell'invincibilità di Israele, e per le sue conseguenze politi­ che di medio e lungo termine; non si parla quasi mai, inve­ ce, dell'operazione che portò Tsahal a rovesciare le sorti del conflitto, permettendo al governo di Golda Meir di discutere le condizioni di tregua da una posizione di forza. La controffensiva israeliana sul fronte del Sinai venne deciTal Division in Sinai.

sa la sera del 14 ottobre, subito dopo il fallimento dell'ultimo massiccio attacco delle forze corazzate nemiche, che ave­ vano tentato invano di raggiungere i passi di Gidi e Mitla, chiave strategica della penisola. Gli egiziani avevano per­ so oltre 250 carri armati, gli israeliani soltanto una ven­ tina: rincuorati dal successo, i vertici di Tsahal diedero avvio alla fase esecutiva dell'operazione Abirey-Halev (uomini dal cuore forte) - poi rinominata Gaze//e - con l'ambizioso obiettivo di attraversare il canale di Suez e interrompere le linee di comunicazione delle divisioni av­ versarie impegnate nel Sinai meridionale. L'attacco sarebbe stato lanciato al calar della sera del 15 ottobre: la ugda Arik - ovvero la 143a divisione corazzata del Generale Ariel "Arik'' Sharon - aveva il compito di aprire la strada fino al canale, lontano una quindicina di chilometri dalla linea del fronte; una brigata di paracadutisti aggregata alla divisione, la 247a di riserva del Colonnello Dani Matt,


doveva raggiungere per prima la sponda occidentale su battelli di gomma e stabilirvi un piccolo caposaldo, in modo da consentire ai genieri di gettare un ponte per il passaggio dei carri armati. Tutto questo doveva avvenire in meno di dodici ore sfruttando un'unica strada: un azzardo basato sulla speranza che quest'ultima fosse scarsamente difesa, visto che si trovava nel delicato punto di congiunzione tra la 2a armata egiziana del Generale Mamoun a nord e la 3a armata del Generale Wasel a sud. Crisi alla "Chinese Farm". Sharon elaborò un piano d'azione in tre tempi. Una delle sue brigate- la 600a di ri­ serva del Colonnello Tuvia Raviv- avanzò da est, un'ora prima del buio, lungo la strada Tasa-lsmailia, e impegnò a fondo i difensori della cosiddetta "Chinese Farm", la posizione chiave di quel settore del campo di battaglia ( 1 ), un'ora dopo, alle 18.05 del 15 ottobre, la 14a Brigata del Colonnello Amnon Reshef iniziò a muovere per aggi­ rare da sud le posizioni nemiche della Chinese Farm e investirle sul fianco; il duplice attacco aveva lo scopo di distrarre il nemico, e permettere ai paracadutisti di Matt, ai genieri e ai corazzati che li scortavano di raggiungere il canale a settentrione del Lago Amaro, dove era stato individuato già prima del conflitto un punto adatto a get­ tare un ponte. Le difficoltà si manifestarono quasi subito: non tanto per l'opposizione nemica, all'inizio abbastanza debole, ma per l'impossibilità di gestire ordinatamente il traffico di carri armati, semicingolati, autocarri e mez­ zi del genio. Nonostante il ritardo accumulato e i rischi enormi, gli israeliani decisero di andare avanti: "se mai verrà scritta la storia di come ce la siamo cavata in quel­ la situazione", avrebbe commentato poi il Generale Da­ vid Elazar, Capo di Stato Maggiore di Tsahal, "ebbene il nostro comportamento verrà ricordato come l'apice del­ la chutzpah" - parola yiddisch che può essere tradotta come "imprudente tracotanza", "audacia eccessiva", ma indica anche la capacità di osare fino all'estremo, in que­ sto caso per sorprendere il nemico e afferrare la vittoria. La situazione divenne critica il 16 ottobre quando gli egi­ ziani, resisi finalmente conto del pericolo, organizzarono un violento contrattacco dalla Chinese Farm per tagliare la linea di comunicazione tra la testa di ponte e le retrovie isra­ eliane. Sharon chiese il permesso di ignorare la minaccia, ma gli venne ordinato di impiegare tutte le forze disponibili per mettere in sicurezza la strada a est del canale, trascu­ rando per il momento ulteriori azioni offensive: "Arik" obbedì a malincuore, lasciando comunque i paracadutisti di Dani Matt liberi di condurre incursioni in Egitto. Dopo due giorni di durissimi combattimenti - ai quali partecipò anche la ugda di Avraham "Bren" Adan, destinata poi a passare in Africa per puntare su Suez - la battaglia della Chinese Farm ter­ minò con la vittoria degli israeliani, che da quel momento fu­ rono in grado di far affluire altre forze oltre il canale e iniziare la manovra di accerchiamento della 3a armata nemica. "Chutzpah" e pace. La catena di comando egiziana si rivelò incapace di reagire con sufficiente prontezza alla controffensiva israeliana. Una volta raggiunte e distrutte le batterie dei missili terra-aria egiziani sulla sponda oc­ cidentale del canale - i SAM-6 sovietici, utilizzati per la prima volta proprio nel 1973, che nei primi dieci giorni di I J J

Gastone Breccia, nato a Livorno il 19 novembre 1962, laureato in lettere classiche a Pisa, dottore di ricerca in Scienze Storiche, dal 1997 è ricercatore di Civiltà bizantina - prima presso l'Università degli Studi della Basilicata, dall'anno accademico 2001/02 presso l'Università degli Studi di Pavia. Come professore aggregato del Dipartimento di Musicologia e Beni Culturali di Cremona tiene i corsi di Civiltà bizantina, Letteratura bizantina e (dall'a.a. 2016/17) Storia militare antica. Negli ultimi anni si è dedicato alla ricerca in campo storico-militare anche al di fuori dell'ambito della bizantinistica. Esperto di teoria militare, di guerriglia e controguerriglia, ha condotto ricerche sul campo in Afghanistan (2011) e Kurdistan (Iraq e Siria, 2015). È membro del direttivo della Società Italiana di Storia Militare (SISM). Nell'anno accademico 2022/23 ha insegnato "Storia della guerra" agli allievi del 203° corso dell'Accademia Militare di Modena. guerra avevano impedito all'aviazione israeliana di do­ minare il campo di battaglia- i corazzati di Adan e Sha­ ron, con l'appoggio dei cacciabombardieri, avanzarono rispettivamente fino ai sobborghi della città di Suez a sud e di lsmailia a nord. 1121 ottobre la 3a Armata di Wasel era ormai tagliata fuori dalle proprie basi di rifornimento; per evitare una completa e destabilizzante disfatta egiziana, quella stessa sera il segretario di Stato statunitense Hen­ ry Kissinger e il segretario del PCUS Leonid Brezhnev si accordarono sui termini del cessate il fuoco, che vennero poi imposti alle parti attraverso tre successive risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Anche il ministro della difesa israeliano Moshe Dayan, che aveva sempre sostenuto "meglio avere il Sinai senza la pace che la pace senza il Sinai", fu costretto a convincersi del contrario: per Israele sarebbe stato molto più vantag­ gioso porre fine alle ostilità con l'Egitto rinunciando al con­ trollo della penisola. Fu una scelta saggia, una delle poche capaci di far segnare un passo avanti sulla strada della convivenza tra arabi e israeliani: dopo cinque anni di fati­ cose trattative, infatti, si giunse agli accordi di Camp David tra Sadat e Begin. La cosa che spesso si dimentica è che quella scelta fu resa possibile dalla chutzpah dei coman­ danti di Tsahal nella notte tra il 15 e il 16 ottobre: perché solo il successo dell'operazione Gaze//e, ripristinando il prestigio militare da cui dipendeva la sicurezza dello Stato ebraico, permise al governo di Golda Meir di aprire tratta­ tive di pace con i nemici che avevano attaccato Israele. NOTE (1) La cosiddetta Chinese Farm era una fattoria sperimenta­ le egiziana dove erano stati impiegati attrezzature e mezzi di fabbricazione giapponese. Quando i soldati israeliani l'ave­ vano occupata, nel giugno del 1967, avevano pensato erro­ neamente che le scritte sul materiale caduto nelle loro mani fossero cinesi, da cui il soprannome. n. 6/2023 I Rivista Militare

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DECADENZA. FINE O PRINCIPIO? (PARTE 1)

Interpretare un mondo a partire dalla sua fine. Il VI secolo delle contraddizioni. Giustiniano: imperatore

o farabutto. Parla Procopio, un suo generale: rispon­

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de Francesco Guccini. I mosaici di san Vitale a Raven­ na: una istantanea sulla storia dell'Alto Medioevo. di Umberto Broccoli

781, parola di Edward Gibbon. "[. . .] la decadenza di Roma fu conseguenza naturale della sua grandezza. La prosperità portò a maturazione il principio della decadenza [. . .]. Invece di chiederci perché fu distrutto, dovremmo sorprenderci che abbia retto tanto a lungo. Le legioni vittoriose, che in guerre lontane avevano appreso

i vizi degli stranieri e dei mercenari, [. . .] il vigore del governo militare fu indebolito e alla fine abbattuto dalle istituzioni parziali di Costantino, e il mondo romano fu sommerso da un'ondata di barbari. Spesso la deca­ denza di Roma è stata attribuita al trasferimento della sede dell'Impero[. . .]. Tale pericolosa novità ridusse la forza e fomentò i vizi di un duplice regno [. . .]. Sotto i


Basilica di san Vitale (Ravenna), mosaici. In apertura: Basilica di san Vitale, Mosaico di Giustiniano e la sua corte.

regni successivi l'alleanza tra i due imperi fu rista­ bilita, ma l'aiuto dei Romani d'Oriente era tardivo,

r Edward Gibbon spiega

lento e inefficace [...

COSÌ

la fine dell'Impero romano. Siamo nella seconda metà del Settecento e Gibbon pubblica la Storia del­ la decadenza e caduta dell'Impero romano. Storico, inglese, buon patrimonio familiare, studi consolidati prima a Oxford poi a Losanna, Gibbon viene a Roma negli anni Sessanta del Settecento e qui si appas­ siona alla storia romana. Negli Stati europei di allora è il fermento delle idee nuove dell'Illuminismo, con la percezione di un cambiamento in atto. Si parla sempre più spesso di razionalità, di conoscenza, ma anche di libertà, di uguaglianza. E negli anni Ottanta del Set­ tecento va tutto in discussione: gerarchie, forme di governo, assetti sociali. Anche in questo caso un mondo sembra finire: il nuovo avanza e il vecchio viene spazzato via o tagliato di netto come le teste sulla ghigliottina, figlia della Rivoluzione francese del 1789. Proprio in questo periodo, nel decennio Ottanta del Settecento, Gibbon pubblica i volumi sulla caduta dell'Impero romano: scrive e descrive la fine di un mondo mentre il suo mondo contempo­ raneo sembra finire. Ed elabora una teoria valida da sempre, tanto semplice, quanto geniale: studiare la fine permette di capirne le cause. Permette di indi­ viduare il principio della fine. Per Gibbon, il collasso si presenta con le sembianze dei barbari in arrivo un

po' da tutte le parti: dall'Africa del nord, dalle steppe asiatiche, dall'Oriente. Non solo, ma colorano il tra­ monto di Roma la politica instabile di certi imperatori come Costantino, la crisi economica, l'inflazione, la tassazione esag erata. Gibbon se la prende anche con i cristiani: ma non c'è da meravig liarsi, visto l'o­ rientamento ideolog ico dell'uomo e del periodo. È la decadenza, un termine di comodo dal quale oggi siamo lontani: la storia, benché vissuta da corpi umani, non è assimilabile alla loro natura. Non c'è una evoluzione biolog ica dalla nascita alla morte, passando per la decadenza. L'Impero romano non invecchia come noi: più semplicemente si trasforma. Ma usiamo pure questa parola: è senz'altro più im­ mediata e - comunque - rende l'idea. 1981. "Anche questa sera la luna è sorta I affogata in un colore tro ppo ro sso e vago, I Vespero non si vede si è offuscata, I la punta dello stilo si è spezza­ ta. I Che oroscopo puoi trarre questa sera, Mago?". Così Francesco Guccini in Bisanzio. Duecento anni dopo Gibbon, Francesco pubblica Metropolis, un long playing in controtendenza rispetto al debutto di Sua Evanescenza il decennio Ottanta. Un vinile di sostanza g rande, quasi a tentar di contrastare la divina apparenza in arrivo dai confini del Nulla. Con Bisanzio manda indietro il nastro del tempo in uno dei momenti più affascinanti della nostra storia. È un'istantanea sulla fine di un mondo, mentre ne sta n. 6/2023 I Rivista Militare

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per iniziare un altro. È lo sfociare lento della grandezza di Roma antica nel mare del tempo medio: l'età me­dia della nostra storia occidentale, il Medioevo. Non decadenza, non nubi/osa aetas così come la definiva­no gli umanisti nel XV secolo, ma cambiamento, crisi, trasformazione di un mondo così come la storia del mondo ci ha abituati da sempre ad osservare. Certo, semplificando si può parlare della fine di un tempo, di tramonto di un sistema politico-sociale. Ma tutto que­sto accade perché deve accadere e, a ben vedere, perché era già accaduto. Per cui, non vedendo chia­ramente il domani, in quella decadenza ci si rivolge alla magia, alla preveggenza. Guccini sogna le parole di Filemazio "protomedico, matematico, astronomo, forse saggio I ridotto come un cieco a brancicare at­ torno, I non ho la conoscenza ed il coraggio I per fare quest'oroscopo I per divinar responso, I e resto qui ad aspettare che ritorni giorno". Filemazio più abituato ad interpretare i segni del cielo, quasi non si rende conto dei cambiamenti sulla terra. Siamo nella Costantino­ poli/Bisanzio della metà del VI secolo dopo Cristo, la Costantinopoli/Bisanzio governata da Giustiniano e da sua moglie Teodora, punto di snodo tra Oriente e Occidente, punto di passaggio obbligato tra antichità classica e Medioevo. Per farci un'idea di loro due e non solo, proviamo ad entrare nella chiesa di san Vi­ tale a Ravenna. Siamo più o meno nel 547 d.C., anno in cui sembra sia stata consacrata dall'arcivescovo Massimiano e costruita grazie alla sponsorizzazione Mosaico di Teodora, Basilica di san Vitale.

di Giuliano l'Argentario. Argentario è sinonimo di ban­ chiere e san Vitale è praticamente una galleria di tutti i protagonisti di questo mondo confuso e contraddetto della decadenza. In quel mondo vive e scrive Proco­ pio di Cesarea. Non è uno strumento musicale della Palestina antica, ma un cronista del tempo, testimo­ ne diretto della politica di Giustiniano del quale pare fosse il segretario. Sua è La guerra gota, la storia della guerra tra goti e bizantini, un evento quasi na­ scosto nelle pagine del tempo, ma in grado di far da ponte ultimo per traghettare l'antichità nel Medioevo. Procopio scrive anche dei suoi sovrani: Giustiniano e Teodora. E ne scrive da bizantino. Per cui da una par­ te racconta il più asetticamente possibile il governo degli imperatori, nello stile della grande storiografia classica tendente all'imparzialità. Dall'altra - si dice - abbia divulgato una Storia segreta nella quale vuo­ ta il sacco e si toglie una montagna di sassolini dai calzari. Ecco, se vi capita di entrare in san Vitale a Ravenna, non fatelo con una guida turistica in mano, ma con i testi di Procopio nella loro traduzione storica e storicamente chiara di Filippo Maria Pantani. Nei mosaici di san Vitale c'è tutta la corte imperiale di Co­ stantinopoli/Bisanzio del VI secolo dopo Cristo. Alti, ingioiellati, incoronati, loro due, Giustiniano e Teodo­ ra. Poi, a scalare, gli altri dignitari di Palazzo, via via più bassi per dimostrare a chi guarda la loro suddi­ tanza: fra costoro, anche Belisario, il generalissimo al servizio del governo e condottiero conclamato del-


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la guerra greco-gota. L'occhio cade subito su Giustinia­ no. È severo, serio, austero, personificazione del potere in tessere di vetro. A lui la storia ufficiale lega la riforma della giustizia, una fissazione imperiale e reale di quel periodo. Evidentemente nella decadenza è necessario mettere in discussione la giustizia e lavorare per una sua rif orma. E così i giuristi di Giustiniano tentano di organizzare le leggi dello Stato e nasce il Novus Justi­ nianus Codex, il Codice giustinianeo ancora oggi tra i fondamenti della giurisprudenza. Sempre lui, Giustinia­ no, è uomo di gloria e grandezza e come tale Dante lo trova in Paradiso, santif icando gli anni del suo impero tra 527 e 565. Procopio uf f iciale celebra i successi del suo signore, sottolineandone i traguardi con il violino dell'adulazione, evidentemente altra caratteristica della decadenza. Ecco Procopio uf f iciale: "Giustiniano im­ peratore concepì questo libro, I a cui Triboniano lavorò per il grande sovrano universale, I come costruendo per Eracle il variegato scudo: I in esso sfavillano tutti gli ornamenti delle leggi, I e gli uomini d'Asia e della Libia, conquistata con la spada, I e d'Europa obbedisco­ no al reggitore dell'intero mondo". Presentando il Codi­ ce giustinianeo agli uomini di allora, Procopio non si fa mancare nulla. Ricorda il lavoro di Triboniano, giurista di fiducia dell'imperatore, artefice primario della riforma. Lo paragona a Ercole e immagina la giustizia come uno scudo grazie al quale il mondo potrà girare protetto. Insomma, un governo illuminato cui aderire incondizio­ natamente. Chissà La decadenza sa parlare anche un altro linguaggio. Quello della quasi-denuncia parallela all'adulazione. Parallela e tendenzialmente anonima, perché può tornare utile schierarsi contro ferocemente, raccogliendo e alimentando chiacchiere al vento con­ trario. Ma fino ad un certo punto: il vento può cambiare di nuovo ed è un pericolo trovarsi con chiarezza contro­ vento. "Di statura non era né alto, né troppo basso, ma giusto, non magro ma un po' in carne, tondo di viso e non brutto; anch e se digiuno da due giorni, era colori­ to". È sempre Procopio a descrivere il suo sovrano. Ma, quasi all'improvviso, si lascia andare ad un crescendo impetuoso di improperi: "Era straordinariamente stupi­ do: pareva proprio un asino pigro, capace di seguire ch i tirava la briglia agitando spesso le orecch ie. Que­ sto imperatore era dunque falso, imbroglione, artefatto, tenebroso nell'ira, doppio, un uomo tremendo, perfetto nel dissimulare un'opinione, capace di piangere non di piacere o di dolore, ma per una grande capacità di adeguarsi alle esigenze immediate, bugiardo sempre, ma non a vanvera, bensì dopo dich iarazioni scritte e giuramenti solenni su quanto concordato, nei riguardi, si badi, dei propri sudditi". È il Procopio uf f icioso, il Proco­ pio della Storia segreta, un libello polemico attribuito al segretario fedele di Giustiniano, quello di prima, quello dello scudo e di Triboniano, quello per cui l'imperatore era "il reggitore dell'intero mondo". Solo chi non ha idee non può cambiarle, si dice spesso. E lo si dice tanto più spesso, quanto quelle idee si ma­ nifestano nei periodi di decadenza. (Continua sul prossimo numero).


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di Alessandra Startari

"Ogni donna di tutti i giorni è una donna che non ti aspetti"

Se fosse uno slogan, diremmo che esistono donne di tutti i giorni e donne che non ti aspetti. In entrambi i

casi

conosceremo

donne

che

hanno dimostrato carattere, spirito di gruppo e coraggio, e le potremo incontrare al supermercato, in una corsia d'ospedale, oppure sul campo di battaglia. Arrivano da ogni tempo, e da ogni luogo del mondo. E hanno in comune una storia da raccontare, perché ogni donna di tutti i giorni è una donna che non ti aspetti.

DONNE DI TUTTI I GIORNI Sulla parete alle tue spalle hai appeso un orologio che gira alla rovescia e sul­ la scrivania custodisci quella pagina di quaderno in cui hai conservato una fa­ lena ormai essiccata. Sono due elementi fondamentali per te, perché a modo loro hanno cambiato la tua vita. Smontavi orologi fin da piccola per capirne e studiarne l'ingranaggio, e quando da grande il primo Bug della storia ti ha messa davanti a un problema informatico da risolvere, hai scoperto che non era stato causato da un errore tecnico ma da un insetto: in un relè hai trovato una falena incastrata. Da quel momento l'ispirazione a cercare connessioni e risposte umane a domande in codice e numeriche si è subito affacciata nella tua mente computistica. Ti chiami Grace Hopper e sei stata matematica, mili­ tare, insegnante, divulgatrice e la vera e unica pioniera dell'informatica. Grace Brewster Murray nasce a New York il 9 dicembre 1903. È una donna e dovrebbe seguire studi appropriati alla figura femminile in un tempo che non prevede grandi vette o importanti carriere per le donne, ma suo padre ne intuisce il genio e la lascia fare. Sarà perché da piccola invece di giocare con le bambole smontava e ricostruiva ingranaggi? Grace diceva "Se è una buona idea, allora dovresti farlo", e ci viene in mente che sia stato proprio suo padre a dirlo per primo. Due anni dopo aver conseguito la laurea in matematica, ottiene il dottorato a Yale e sposa Vincent Hopper da cui prenderà il cognome e divorzierà qual­ che anno più tardi. Durante la Seconda Guerra Mondiale cerca di entrare in Marina e, dapprima, è nella riserva come volontaria del Waves, ma dopo un brillante addestramento le viene assegnato il grado di Tenente al Computation Project dell'università di Harvard. Da qui la strada è in discesa. Anzi è un'asce­ sa. Grace lavora a uno dei primi calcolatori digitali elettromeccanici, e grazie alle sue ricerche, alla fine della guerra, si trova al cospetto del primo computer commerciale prodotto su larga scala: UNIVAC I. È arrivato il momento per Grace di capire come rendere giustizia a quella piccola falena intrappolata che la ispirò. Vuole stabilire una connessione tra ciò che è vivo e ciò che è codice. Deve riuscire a rendere comprensibile per tutti questo stru­ mento che ha davanti, così prodigioso da risolvere calcoli e fornire risultati in pochi secondi. Sogna che il computer diventi di uso quotidiano, che una scoperta così straordinaria diventi accessibile e non richieda una specializzazione in matemati­ ca per essere utilizzato. Così, intraprende un percorso complesso e non privo di ostacoli alla ricerca di un linguaggio naturale che rimpiazzi i soli simboli matemati­ ci. Quando finalmente raggiunge il suo scopo, tutto sembra così logico e facile da apparire dawero naturale: l'uso delle parole per tradurre i codici. Comandi e istru­ zioni in lingua inglese. Qualcosa di rivoluzionario per il mondo a quel tempo set­ tario dell'informatica. E non c'è da stupirsi che la Hopper ne sia stata l'inventrice: cosa di meno ci si può aspettare da una donna che usava dire "Una nave in porlo è sicura, ma non è per questo che sono state costruite le navi". Sarà divulgatrice, stabilirà connessioni con i giovani per creare un futuro che unisca umanità e tecno­ logia facilitando le azioni e le interazioni senza barriere o confini. Conseguirà oltre 40 lauree ad honorem, nel 1969 sarà proclamata donna dell'anno, verrà promossa ad Ammiraglio e dopo aver evitato per ben due volte di andare in pensione, lavorerà fino all'età di ottant'anni. Come diceva sempre: "Senza il mio lavoro, mi annoio da morire". Sarà per questo che la morte la raggiunge nel sonno, cinque anni più tardi, quando anche i suoi ingranaggi iniziano a viaggiare a rovescio come la sua sveglia appesa sul muro. Ma le sue lancette continueranno a girare all'infinito, poiché oggi, dentro ogni nostro gesto quotidiano - dal parlare a una macchina fino all'uso di un semplice Bancomat- c'è il genio di Grace Hopper.


DONNE CHE NON TI ASPETTI Una benda di metallo, un bikini e un microfono che raccontano di punti, di cicatrici e di ferite. Una rivista tra le mani, un volto sfregiato e un fisi­ co flessuoso e scultoreo che indossa per metà un costume da bagno e per l'altra metà una mimetica che finisce negli scarponi di gomma. Alle tue spalle c'è un esercito e intorno a te la radura aperta. Cosa ci fai in due pezzi metallico sulla copertina della prima edizione di "Playboy"? Ti chiami lryna Bilotserkovets e sei stata una modella, una presentatrice televisiva, sei una mamma e sei una volontaria ucraina. Quello di lryna Bilotserkovets è un popolo coraggioso esattamente come lei. Un popolo all'improvviso deturpato esattamente come lo è lei. Così, le cicatrici del suo popolo, sono diventate le cicatrici del suo cor­ po, e le porta con onore per raccontare che anche l'Ucraina tornerà con onore a splendere. Ma questa è solo la metafora. Quello che è accaduto veramente è stato più veloce. Uno spiraglio di sole tra due vicoli nel centro di Kiev, la sua città natale, le fanno socchiudere gli occhi mentre è alla guida. È alta, lryna, è una modella e sono in molti a girarsi a guardarla. È poi è anche un personag­ gio televisivo e questo accresce nei suoi confronti la curiosità. Spesso al mercato, tra le mamme come lei che di figli piccoli ne ha tre e ora sono in auto con lei, c'è complicità e meno concorrenza, perciò ci va volentieri, la fa sentire al sicuro. Le piace quella sua vita a metà un po' normale, quo­ tidiana, un po' vip, sopra le righe, che lei indossa con educazione. Sarà perché è sposata col braccio destro del sindaco di Kiev. Sarà perché la sua anima battagliera resta umile. Così, dicevamo, quel giorno di sole tra i vicoli, tra le voci sovrapposte e le risate, i clacson delle auto in coda con lei, mentre la musica nella radio fa sorridere i suoi bambini, una raffica di colpi potenti esplode a spezzare il giorno, a tagliare il respiro. Non si tratta solo di una eco che ha spento la musica e le risate generan­ do un fischio terribile nelle orecchie, non si tratta di quell'invasione pre­ sunta che i giornali da tre giorni insinuano, si tratta proprio del suo corpo che avverte due stilettate brucianti e si piega su sé stesso. Quei colpi sparati dal nulla sono diretti proprio a lryna. E non è un caso o un fatto isolato, non è colpa dell'invidia per il suo corpo o della fama televisiva, no. È qualcosa di molto peggiore, di inimmaginabile: è lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina. Il tentativo di assassinare la moglie di un politico - si scoprirà in seguito - è stato uno dei primi atti di dichiarazione di guerra delle forze militari filo-russe presenti in città nell'avanzata a Kiev del 26 febbraio 2022. lryna ha perso un occhio. La sua mascella è frantumata, e ha cicatrici su tutto il corpo. Ma è viva. Se ne rende conto in ospedale, dopo essere stata por­ tata d'urgenza a Berlino per la chirurgia ricostruttiva. Desidera ribellarsi a quell'invasione nella sua vita perfetta, ma cosa può fare una modella ferita e cieca da un occhio? Serve una foto simbolo in cui una donna e madre ucraina ferita e umilia­ ta rappresenti l'anima di ciò cha ha subìto il suo stesso Paese, e serve posare con un costume fatto di metallo che sia catene e libertà insieme. Così arriva la copertina del primo numero di "Playboy", e l'idea di devol­ vere i proventi della prima edizione intitolata "Woman Stay Strong" all'ac­ quisto di attrezzature mediche di emergenza per le Forze Armate di Kiev. E sarà lryna stessa ad andare al fronte con la sua benda sull'occhio, una rivista e un casco sulla testa a portare la sua testimonianza. "Dedicata alla resilienza delle donne ucraine che sono state ferite duran­ te la guerra, ma che non hanno perso la sete di vita e sono un esempio di forza e motivazione".


di Emilio Tirone

IL PRESIDENTE MATTARELLA VISITA l' ARCHIVIO STORICO DELL'ESERCITO

Nel 170 ° anniversario dell'Ufficio Storico dello SME Il 19 ottobre 2023 il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha visita­ to l'Archivio storico dello Stato Maggio­ re dell'Esercito (SME) accompagnato dal Ministro della Difesa, On. Guido Crosetto, dal Capo di Stato Maggiore della Difesa, Amm. Giuseppe Cavo Dragone e dal Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Gen. CA Pietro Serino. L'occasione, che ha portato il Capo dello Stato e l'importante seguito di Autorità presso l'Archivio, che ha sede in Roma in via Lepanto, nella caserma intitolata a Nazario Sauro, è stata la ricorrenza del 170° anniversario della costituzione dell'Ufficio Storico del­ lo SME, di cui, alle dipendenze del V Reparto Affari Generali, la prestigiosa istituzione fa oggi parte. Infatti, con l'Ordine del Giorno n. 712 del 16 luglio 1853, a firma del Gen. Enrico Moroz­ zo della Rocca, veniva costituito l'Uf­ ficio Militare del Corpo Reale di Stato Maggiore del Regno di Sardegna da cui l'attuale Ufficio Storico direttamen­ te discende (1). Tra gli incarichi iniziali attribuitigli, dettagliati nella successiva Istruzione del 1856, vi era, infatti, quel­ lo di mantenere vivo lo studio dell'arte e della storia militare. Allo scopo di fa­ cilitare la classificazione e la consulta­ zione dei documenti necessari all'Uf­ ficio militare, che era deputato anche alle informazioni, alla pianificazione tattica e logistica nonché alla politica militare, fu creato un apposito Archivio interno. Gli iniziali compiti di quest'ul­ timo erano, dunque, essenzialmente 20

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operativi, per avere una situazione statistica sempre aggiornata, trarre ammaestramenti dalle campagne mi­ litari concluse e agevolare la pianifi­ cazione. Con lo scorrere del tempo, gradatamente, la documentazione custodita ha cominciato a perdere la sua valenza pratica per assumere, in­ vece, sempre più valore storico. Varie trasformazioni hanno quindi definito il ruolo dell'Archivio dell'Ufficio Storico dello SME (AUSSME) (2) quale isti­ tuto deputato alla conservazione della documentazione storica militare, pre­ valentemente tecnica e operativa. In anni recenti, la legislazione in materia lo ha pienamente parificato ad un Ar­ chivio di Stato (Testo Unico sui beni culturali del 1999 e Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004). Il legislatore, nell'esentare le Forze Ar­ mate dall'obbligo di versamento agli Archivi di Stato, ha amplificato il valo­ re storico culturale del patrimonio così conservato, in quanto l'Ente produtto­ re e quello responsabile della conser­ vazione coincidono senza soluzioni di continuità. La mostra documentale, allestita per la visita del Presidente, ha però evidenziato, oltre all'interesse prettamente storico archivistico, espli­ citato dalla ricca varietà sia contenu­ tistica sia tipologica, il grande valore morale del patrimonio custodito ai fini della salvaguardia della storia patria. I documenti, cronologicamente esposti, hanno, in tal senso, sapientemente illustrato la fondamentale presenza

dell'Esercito nelle principali tappe del­ la storia nazionale. Ad aprire l'esposi­ zione sono stati proprio i documenti fondativi dell'Ufficio Storico, l'O.G. del 1853 e le Istruzioni del 1856, poi, a seguire, una selezione mirata, dal cor­ pus antico fino ai nostri giorni. Tanto e vario il materiale esposto: lettere, fogli d'ordine, editti, disegni, carte topogra­ fiche, fotografie, volantini, taccuini e diari. Una panoramica eccezionale che ha accompagnato i visitatori come in un viaggio nel tempo. Ancora una volta si è ripetuto quel piccolo miraco­ lo che tutti i ricercatori d'archivio ben conoscono: i documenti, da inerti testi­ moni, all'attenta osservazione, hanno gradatamente preso vita, riportando il sentore delle sensazioni dei tempi e dei luoghi che li hanno visti nascere, parlando di uomini e delle loro gesta, che mai dovrebbero essere dimentica­ ti. Dalle prime uniformi della tradizione militare sabauda, da cui trae origine il nostro Esercito, rappresentate dai pre­ ziosi disegni di Quinto e Italo Cenni, alle Guerre d'Indipendenza, passando per la spedizione in Crimea, fino alla presa di Porta Pia, per poi proseguire nel Novecento, con le tragiche guerre mondiali ma anche attraverso i nume­ rosi interventi di soccorso prestati dalla Forza Armata alla popolazione per far fronte alle conseguenze di tante cala­ mità che nel corso del tempo hanno colpito il nostro Paese, ricordando fra tutte il terribile terremoto di Messina del 1908, la tragedia del Vajont del I I

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1963, l'alluvione di Firenze del 1966 e il sisma dell'Irpinia e Basilicata del 1980. Uno sguardo, infine alle opera­ zioni italiane di pace, fuori dai confini nazionali, a partire dalla prima di età repubblicana, quella relativa all'Am­ ministrazione Fiduciaria Italiana del­ la Somalia (AFIS), iniziata nell'ormai lontano 1949 e conclusasi nel 1960. Infine, in chiusura, l'odierna presenza dell'Esercito con l'Operazione "Strade Sicure" per la prevenzione e il contra­ sto della criminalità e del terrorismo, attraverso una suggestiva selezione

fotografica. Poiché tra gli scopi della mostra vi era anche quello di evi­ denziare la presenza e l'evoluzione dell'Esercito rispetto al dipanarsi del percorso storico istituzionale dell'Ita­ lia, tra le carte in visione ha trovato posto un documento molto impor­ tante per la Forza Armata. Si tratta della famosa Nota dell'allora Ministro Manfredo Fanti del 4 maggio 1861, all'indomani della raggiunta unità, con cui l'Armata Sarda assunse la denominazione ufficiale di Eserci­ to Italiano. Erroneamente tale data

è stata considerata come quella di costituzione dell'Esercito. Se così fosse, non solo oggi ci troveremmo con dei reparti che, come la stessa mostra ha evidenziato, paradossal­ mente risulterebbero avere delle tra­ dizioni più antiche dello stesso Eser­ cito a cui appartengono, come lo stesso 170° anniversario dell'Ufficio Storico indica, ma, soprattutto, ver­ rebbe annullato il riconoscimento del valore morale di tutti i sacrifici relativi al percorso risorgimentale, avvenuto, tra l'altro, già sotto il vessillo del tri-


colore. Per evitare questa situazione, lo Stato Maggiore si è recentemente prodigato per attivare una serie di studi e ricerche, al fine di individuare un riferimento cronologico più rispon­ dente alla reale tradizione militare dell'Esercito. Tra questi, lo scorso anno si è tenuto un Convegno di Storia sull'argomento, i cui Atti sono stati recentemente pubblicati dall'Uf­ ficio Storico (3), che ha evidenziato la problematica per individuarne la soluzione più appropriata, coinvol­ gendo anche il mondo scientifico. Tra gli studi che sono conseguiti a

ri di Sardegna" (5), in particolare sul­ la data del 1659 (18 aprile), quella in cui ebbe luogo la fondazione del re­ parto quale reggimento d'ordinanza a carattere nazionale e permanente, cioè stabile sia in tempi di guerra sia di pace. Una data che, per l'autore­ vole storico, risponde positivamente all'esigenza della ricerca di una con­ tinuità precedente all'unità d'Italia. Al termine della visita in Archivio, il Gen. CA Pietro Serino ha voluto consegnare al Presidente, in ricor­ do dell'evento, la copia di uno dei documenti più emozionalmente si-

di conservazione della storia dell'E­ sercito svolto dall'Archivio dell'Uffi­ cio Storico. Le parole e la sensibilità espressa dal Presidente Mattarella sono state accolte con orgogliosa emozione dal personale, militare e civile, concludendo un evento senza precedenti. È la prima volta, infatti, che un Capo dello Stato, seguito da un così alto livello istituzionale, si è recato presso l'Archivio di un Ufficio Storico di Forza Armata, riconoscen­ done l'importante ruolo di custode di alcuni dei momenti fondamentali del­ la nostra memoria nazionale.

questa intrigante sollecitazione si è evidenziato quello del Prof. Walter Barberis dell'Università di Torino (4), eminente storico dell'antico Piemon­ te. Lo studioso si è posto l'obiettivo di individuare, tra le formazioni opera­ tive attualmente esistenti nell'ambito della Forza Armata, quella in grado di assicurare la presenza più antica, offrendo, in tal modo, una garanzia di continuità certa. Ripercorrendo a ritroso nella componente sabauda, fino all'ancien régime, la storia dell'E­ sercito, la scelta si è focalizzata sul Reggimento Guardie, la cui eredità è riposta nell'attuale Brigata "Granatie-

gnificativi tra quelli in mostra, quel­ lo dell'Armistizio di Villa Giusti del 3 novembre 1918, atto che pose fine all'immane tragedia della Pri­ ma Guerra Mondiale e che segnò il pieno compimento dell'unità na­ zionale, assieme ad una statuetta in bronzo di un granatiere, copia in scala di quella posta a Torino in uno degli angoli del monumento a Carlo Alberto, a ricordare l'inizio del percorso risorgimentale e le origini dell'Esercito Italiano. Da parte sua il Presidente della Repubblica, nel con­ gedarsi, ha espresso il riconoscente apprezzamento per il prezioso lavoro

NOTE

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(1) O. Bovio, L'Ufficio Storico dell'Esercito, SME, Roma, 1987. (2) AA.VV. , Manuale delle ricerche nell'Ufficio Storico dello Stato Maggio­ re dell'Esercito, SME Ufficio Storico, Roma, 2004. (3) D. Spoliti, V. Legrottaglie (a cura di), Le origini dell'Esercito. Atti del convegno - Roma, 28 febbraio 2022, SME Ufficio Storico, Roma, 2023. (4) W. Barberis, Le origini dell'Esercito italiano, 2023, in corso di pubblicazione. (5) D. Guerrini, I Granatieri di Sardegna, ed. Rivista Militare, Roma, 1991.

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PER L'ITALIA SEMPRE!

di Paola Pucci

Il CalendEsercito 2024 dedicato ai valorosi prima e dopo l'8 settembre 1943

Un anno per 12 eroi. All'insegna della storia, il CalendEsercito 2024 vuole ricordare i fatti d'arme della Il Guerra Mondiale, per rendere omaggio agli uomini che vi presero parte consape­ voli di servire la Patria, sia prima sia dopo 1'8 settembre 1943, onorando il giuramento prestato. Sono quegli Ufficiali, Sottufficia­ li e Soldati, insigniti della Meda­ glia d'Oro al Valor Militare per atti eroici compiuti dopo l'armistizio, e che si erano particolarmente distinti anche nel periodo prece­ dente, Per l'Italia sempre! Quegli stessi uomini, quegli stessi eroi, ricordati nel CalendEsercito. Presso la Biblioteca Militare Cen­ trale di Roma, luogo ricco di pre­ ziose testimonianze del passato, si è svolto, il 1 O ottobre, il convegno di presentazione, organizzato dal V Reparto Affari Generali dello SME,

al quale sono intervenuti: il Sotto­ segretario di Stato per la Difesa, Sen. Isabella Rauti, il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Gen. C.A. Pietro Serino, il Prof. Giuseppe Pardini, Docente ordinario di Storia Contemporanea presso l'Universi­ tà degli Studi della Campania "L. Vanvitelli", e il Prof. Virgilio Ilari, già Docente di Storia del Diritto Roma­ no presso l'Università degli Studi di Macerata e di Storia delle Istituzioni Militari presso l'Università Cattolica di Milano. Moderatrice la giornalista Beatrice Bortolin, Vice Caposervi­ zio Cronaca NewsMediaset. La Senatrice Rauti ha evidenziato come: "Rievocare e raccontare gli episodi che hanno segnato la storia della nostra Repubblica, vuol dire onorare chi ha combattuto per la Pa­ tria; significa ricostruire e tramandare la memoria. E significa anche ricor-

dare la grande sensibilità che l'Eser­ cito Italiano dimostra ogni giorno nel mantenere vivo questo patrimonio ideale condiviso. Essere consapevo­ li della nostra storia, come memoria attiva, è indispensabile per com­ prendere il presente, per disegnare il futuro e per interpretare al meglio il momento che stiamo vivendo". Nel presentare la nuova edizione del CalendEsercito, il Gen. Serino ha raccontato come la scelta del tema sia dovuta alla volontà di onorare la memoria di chi ha rispettato sempre il giuramento di fedeltà prestato alla Patria: "Soldati sempre convinti e con­ sapevoli di quale fosse il loro dovere e quale posizione l'Esercito Italiano do­ vesse assumere, Italiani che ci hanno preceduto e che hanno combattuto fino ad immolarsi, sempre guidati dal­ la fedeltà alle istituzionl'. Tra di essi è stato ricordato anche


Renato Del Din, attraverso un vi­ deomessaggio della sorella, Pao­ la, Medaglia d'Oro al Valor Militare che lo scorso 22 agosto ha com­ piuto 100 anni, per "sottolineare il valore della scelta del giuramento prestato nel rimanere fedele allo Stato e quindi alla Patria". Al centro degli interventi del conve­ gno, l'analisi e rievocazione del pe­ riodo storico compreso tra 1'8 settem­ bre 1943 e il 25 aprile 1945, al fine di contestualizzare e comprendere le scelte e l'azione dei militari, a 80 anni dalla Guerra di Liberazione. "Il giudizio storico è ormai unanime nel ritenere debole e fallimentare la gestione politica della fase aper­ tasi con l'Armistizio di Cassibile, e in un contesto tanto drammatico si evidenzia ancora di più il valore e l'azione dei soldati - ha spiegato il Prof. Pardini - perché uno Stato, muore o si trasforma quando cam­ bia l'idea; ma la Patria no, la Patria resta sempre la stessa e per la Pa­ tria un militare combatte". Il Prof. Ilari, riferendosi alla testimo­ nianza di Paola Del Din, ha eviden-

ziato come la tragedia consumatasi sul fronte orientale implicasse tre questioni aperte: ideologica, etnica, istituzionale, e soffermandosi sul passaggio tra Monarchia e Repub­ blica ha sottolineato: "In questa fase storica i soldati, con la loro azione, le loro scelte, il loro sacrificio, garan­ tirono continuità dell'azione e conti­ nuità dello Stato e dei suoi valori, ponendo le basi per quel passaggio costituzionale che avrebbe portato alla Repubblica attraverso un refe­ rendum democratico". L'anno 2024 è dedicato a questi 12 eroi, selezionati tra molti altri, con la logica di rappresentare la plura­ lità delle componenti dell'Esercito impegnate in quel difficile periodo storico: Cap. Francesco Donnini Vannetti, Cap. Antonio Cianciullo, Cap. Dionigi Tortora, Magg. Cesare Piva, Col. Giuseppe Cordero Lan­ za di Montezemolo, Cap. Alberto Li Gobbi, Col. Giovanni Duca, Serg. Mario Paolini, Cap. Gastone Gia­ comini, Caporal Magg. Gino Fru­ schelli, Ten. Col. Giuseppe lzzo, Serg. Luigi Sbaiz.

Con la dedica: "Troppo giovani per combattere prima, comunque educa­ ti all'amor di Patria", viene ricordato anche il sacrificio dei due allievi della Scuola Militare Teulié: Aldo Zamorani e Mario Grecchi, e dei due allievi Uffi­ ciali dell'Accademia Militare: Giorgio Susani e Renato Boragine. Un calendario ma non soltanto que­ sto, perché grazie a foto, testi e rico­ struzioni accurate, il CalendEsercito rappresenta un'opera di divulgazione storica che ci riporta indietro nel tem­ po e ci aiuta a comprendere meglio, in tutti i suoi aspetti, una fase cruciale della storia del nostro Paese. Giunto quest'anno alla 27a edizio­ ne, il CalendEsercito viene rea­ lizzato dallo SME e licenziato da Difesa Servizi S.p.A., con la colla­ borazione dei partner istituzionali Leonardo S.p.A., IDV (/veco De­ fence Vehicles) e Beretta, e sarà in distribuzione nei 250 punti vendita di Giunti Editore. Una quota del ri­ cavato contribuirà a sostenere l'O­ pera Nazionale di Assistenza per gli Orfani ed i Militari di Carriera dell'Esercito (ONAOMCE).


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DA 80 ANNI A TESTA ALTA

di Paola Pucci

L'Esercito celebra con tre volumi la memoria della Guerra di Liberazione

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ESERCITO

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Una pagina cruciale per la storia d'Italia veniva scritta, a partire dal 1943, con la Guerra di Liberazione. E nell'ora più buia, l'Esercito c'era. Come sempre, come ogni qualvolta gli eventi lo avessero richiesto. In prima linea e a testa alta. L'annuncio radiofonico, 1'8 settem­ bre 1943, dell'entrata in vigore dell'armistizio di Cassibile stipu­ lato con gli Alleati, sanciva la fine delle ostilità contro di loro, ma anche la fine dell'alleanza con la Germania nazista. Nella ricorrenza dell'80 ° anniver­ sario dalla Guerra di Liberazione, il V Reparto Affari Generali dello Stato Maggiore dell'Esercito ha or­ ganizzato un duplice evento, il 13 settembre, a Roma, presso il polo museale di piazza di S. Croce in Gerusalemme (Museo Storico dei Granatieri di Sardegna e Museo Storico della Fanteria). "A Testa Alta ... da Porta San Paolo a Mi­ gnano Monte Lungo, i 98 giorni che portarono alla riscossa", è il titolo di una collana di tre volumi tascabili, redatti dal Gen. B. Filippo Cappel­ lano. Presentata nel corso di un convegno con docenti universitari ed esperti storici, la raccolta riper­ corre la storia dell'Esercito Italiano dall'Armistizio del settembre 1943, fino ai primi combattimenti soste­ nuti al fianco degli angloamericani contro i tedeschi. A seguire l'inaugurazione della mo­ stra rievocativa "A Testa Alta, l'Eser­ cito nella Guerra di Liberazione". Al convegno ha portato il saluto isti­ tuzionale la Senatrice Isabella Rau­ ti, Sottosegretario di Stato per la Difesa, che ha sottolineato: "Ricor-


dare vuol dire ritrovare nella trama e nell'ordito della storia il filo rosso della nostra democrazia e costrui­ re, tassello per tassello, responsa­ bilmente una memoria nazionale condivisa. Un racconto di identità, rappresentata dal nostro Tricolore, di libertà e di pace che sono i nostri valori fondativi. Valori che gli uomini e le donne delle nostre Forze Ar­ mate difendono ogni giorno anche a costo della propria vita, onorando il giuramento prestato. Verso di loro e nei confronti di chi li ha preceduti abbiamo un debito di riconoscenza". Il Capo di SME, Gen. C.A. Pie­ tro Serino, ha ricordato come "Per noi che portiamo l'uniforme riveste un'importanza di grandissimo valo­ re dedicare un momento al ricordo di una pagina della storia naziona­ le". Proseguendo, il Generale Seri­ no ha sottolineato l'impegno dell'E­ sercito, oggi custode dei valori propri della Costituzione, baluardo della Repubblica e dei suoi cittadi­ ni, nell'onorare la memoria del sa­ crificio di quei soldati che scelsero la via del Dovere "conquistandosi il diritto di morire per la Patria". Gli interventi dei relatori hanno pre­ so in esame l'impegno e il ruolo dell'Esercito nella Guerra di Libe-

razione, sotto molteplici aspetti, al fine di poter ricostruire una memo­ ria collettiva condivisa, relativa ad uno dei periodi più controversi del nostro passato più recente. Il professore Giovanni Cerchia, di­ rettore del Dipartimento di Economia dell'Università del Molise, ha parlato della fase che prende il via 1'8 set­ tembre del '43, per soffermarsi a rie­ vocare come si concretizzò la difesa dell'Italia e l'impegno oltre confine. Il "I Raggruppamento motorizzato. La riscossa": questo il titolo dell'in­ tervento del professore Gastone Breccia, docente di Storia bizantina presso l'Università di Pavia. Con una ricostruzione storica, precisa e dettagliata, ha sottolineato l'im­ portanza e il ruolo svolto dal Rag­ gruppamento, che venne costitui­ to il 28 settembre '43. Fu la prima grande unità combattente organiz­ zata dell'Esercito regolare ad en­ trare in linea a fianco degli alleati per facilitare l'avanzata delle truppe anglo-americane e lo sfondamen­ to delle linee nemiche nell'area di Cassino, fino alla riscossa di Monte Lungo: "una battaglia divenuta un caso di studio". Agli "Internati Militari Italiani" era dedicato l'intervento del giornalista

e storico Roberto Olla. Ricordando il sacrificio di quei giovani soldati deportati per aver opposto una re­ sistenza passiva ai tedeschi, grazie ad una "giusta coscienza", con ogni probabilità sviluppata nell'ambito dell'Esercito stesso, Olla ha citato le parole di Liliana Segre: "A dif­ ferenza di noi ebrei che eravamo costretti, a questi soldati fu data la facoltà di scelta e scelsero secondo la loro coscienza, rassegnandosi a finire nei campi di concentramento". Gli internati furono ben 600.000, e se avessero scelto la parte "sba­ gliata", avrebbero sicuramente in­ fluito sull'andamento del conflitto. La Guerra di Liberazione segnò al tempo stesso una rinascita per il Pa­ ese. Il professor Gianfranco Astori, Consigliere del Presidente della Re­ pubblica, nella sua relazione "La vigi­ lia della Repubblica", ha infatti spie­ gato come proprio in quel periodo vennero poste le basi per quel per­ corso che avrebbe portato alla nasci­ ta di uno Stato libero e democratico, nel quale oggi viviamo. Moderatore del convegno il Col. Fabrizio Giardi­ ni, Capo dell'Ufficio Storico. Una rievocazione passa anche attraverso le immagini e la docu­ mentazione dell'epoca. La mo­ stra, presso il Museo Storico della Fanteria, con pannelli descrittivi, cimeli, diorami, touch screen e filmati d'epoca, sviluppa infatti un filo narrativo sul ricostituito Eser­ cito Italiano dopo 1'8 settembre 1943, secondo un percorso che descrive le azioni belliche, di sup­ porto e di assistenza condotte al fianco delle Armate anglo-ameri­ cane, fino al maggio 1945. Quattro le sezioni tematiche: sinte­ si della Seconda Guerra Mondiale fino alla proclamazione dell'Armi­ stizio; le trattative con gli Alleati, l'Armistizio e la Resistenza sul terri­ torio nazionale e all'estero; il I Rag­ gruppamento Motorizzato, il Corpo Italiano di Liberazione e i Gruppi di Combattimento; le altre unità (divi­ sioni ausiliarie, reparti combattenti minori, Corpo di Assistenza Fem­ minile (CAF) e gli Internati Militari Italiani (IMI). La mostra resterà aperta al pubbli­ co fino al 20 giugno 2024. n. 6/2023 I Rivista Militare

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di Fabrizio Luperto

Viktor Taransky (Al Pacino) è un re­ gista con velleità autoriali che colle­ ziona insuccessi. Neanche la ex mo­ glie produttrice (Catherine Keener) è disposta a concedergli un'ulteriore possibilità. A corto di finanziamenti, decide di creare artificialmente la protagonista del suo film a cui dà il nome di Simone, acronimo di Simu­ lation One, il programma messo a punto dal geniale Hank Aleno (Elias Koteas). Il regista riesce nell'impre­ sa e dà origine artificialmente a una donna bellissima, intelligente, in­ stancabile e senza capricci da "star" viziata, in pratica l'attrice perfetta con cui ogni regista vorrebbe lavo­ rare. Il successo sarà enorme ma la situazione gli sfuggirà di mano. Gli ammiratori, stregati dalla bellez­ za di quella che credono un'attrice in carne ed ossa, pretendono di vederla dal vivo, Taransky invece comincia a soffrire tutto il contesto, inizia ad odiare la sua creatura per­ ché gli ruba la scena, ma non riesce a farne a meno. In pratica, il regista Andrew Niccol ribalta la situazione di "The Truman Show", film del qua­ le aveva scritto la sceneggiatura, dove il protagonista era l'unico a es­ sere reale e il mondo circostante, un infinito studio televisivo.

BELLEZZA ARTIFICIALE 51m0ne

Chiariamoci subito, anche se ci sono cose ottime come le scene che ve­ dono Al Pacino alla scrivania con i suoi monitor all'interno del gigante­ sco studio che rendono benissimo l'i­ dea di quanto una piccola tecnologia sofisticata in mano a un solo uomo possa influenzare e ingannare milioni di spettatori o anche l'eleganza regi­ stica di alcune sequenze, "S1 mOne" non è un capolavoro del cinema di fantascienza e forse, purtroppo, non è neanche fantascienza. È una criti­ ca al mondo dello spettacolo, sulla dittatura dell'immagine, la morbosi­ tà dei media. Il film di Andrew Niccol parte bene ma poi il regista, invece di spingere sull'acceleratore, si dimostra incerto sulla strada da prendere, diva­ ga un po' troppo, restando a metà tra fantascienza e commedia di denun­ cia e il film finisce per reggersi quasi esclusivamente sull'istrionismo e la classe di Al Pacino per poi chiudersi con un finale talmente zuccheroso da far venire il diabete allo spettatore. In definitiva, le intenzioni erano ottime, voleva essere una riflessione artico­ lata e profonda sul mondo virtuale, l'ossessione dell'apparire, sulla falsità del mondo hollywoodiano e, invece, si ferma in superficie, non approfonden­ do mai nessuno dei temi trattati.

E allora perché parliamo di "S1 mO­ ne"?. Semplice, perché l'idea di partenza del film non è solo interes­ sante ma è senza dubbio in anticipo sui tempi (il film è del 2002). A più di vent'anni di distanza dalla sua uscita cosa c'è di più attuale della bellezza artefatta e dell'intelligenza artificiale? Non solo l'uso dei social ma anche l'utilizzo massiccio del video nella vita di tutti i giorni; dalle riunioni di lavoro alla semplice chiamata ai parenti, ha proiettato molti in quello che gli esper­ ti del settore chiamano "Lockdown tace". Così, oggi ci troviamo dinanzi a tante persone comuni, che nulla han­ no a che fare con il mondo dello spet­ tacolo, che sentono la necessità di ricorrere alla chirurgia perché insoddi­ sfatte del loro aspetto in video e i chi­ rurghi estetici, addirittura, utilizzano l'intelligenza artificiale per identificare le parti del viso sulle quali intervenire. "S1 mOne" può essere ricollegato a tutto questo, un'intelligenza e una bellezza artificiale mandano in esta­ si una platea infinita di spettatori saziando la loro fame di bellezza e, allo stesso tempo, mandano in crisi un regista al quale non viene ricono­ sciuto alcun merito, mortificando il proprio feticismo dell'apparire. Spe­ riamo resti un film.



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di Pierfrancesco Sampaolo

La frontiera dell'intelligenza artifi­ ciale (Al) può davvero arrivare sul piano delle emozioni? Beh, sem­ brerebbe di sì visto che il colosso di streaming musicale cinese Tencent Music ha prodotto moltissimi brani così, incassando con uno di questi la cifra astronomica di 350.000 dol­ lari in pochi giorni. Il pezzo in que­ stione si chiama "Today" ed è dispo­ nibile su tutte le piattaforme. Il colpo di genio (ma alquanto distopico) è stato quello di riprodurre la voce del­ la celeberrima cantante pop cinese Anita Mui, recentemente scompar­ sa. Il successo è stato repentino e incredibile. Ma c'è di più: a Seul, in Corea del Sud, EveR6, un robot umanoide, ha diretto per tre brani l'orchestra del Teatro dell'Opera fra gli applausi e un certo sgomento del pubblico. Il colosso Kitech, produt­ tore del Maestro EveR6, ha messo a punto l'umanoide rilevando con precisione i movimenti del direttore d'orchestra "originale" con dei sen­ sori posti sul suo corpo: il sistema di Al ha fatto il resto, elaborando spe­ cifici algoritmi. A dire la verità, al ter­ mine dell'esibizione, la direzione del 30

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robot ha lasciato molto a desiderare dal punto di vista artistico, non po­ tendo né ascoltare né donare quel "respiro" fra una battuta e l'altra, fondamentale per la direzione di un concerto. Ma rendiamoci comunque conto di ciò che sta succedendo. Anni di studi, di lavoro su se stessi, di sacrifici riposti sull'altare dell'arte e del talento sembrano ora essere messi in pericolo da queste nuove tecnologie. Che gli artisti in generale non se la passassero benissimo non è un segreto, complici anche le restri­ zioni derivate dalla recente pandemia, ma che anche l'intelligenza artificiale potesse diventare un concorrente ag­ guerrito in quel "cono di bottiglia" che è lo show business, beh, forse non tutti potevano immaginarlo. Eppure, nel corso degli ultimi de­ cenni, moltissimi indizi potevano rivelare uno scenario del genere. Non solo nel complesso mondo della tecnologia in generale ma, e soprattutto, nell'ampio ricorso alla tecnologia stessa all'interno della produzione musicale. "La musica sintetica" ha cominciato a fare ca­ polino sin dagli anni '70 del secolo

scorso, quando venivano costruiti enormi calcolatori di ferro e circui­ ti - molti dei quali ispirati a tecno­ logie militari - capaci di riprodurre innumerevoli suoni: i sintetizzatori. Via via con il tempo si è passati dall'analogico al digitale, sferzan­ do, in aggiunta, negli ultimi anni, un colpo durissimo ai grandi studi di registrazione, soppiantati in buona parte da attrezzature di Home Re­ cording sempre più di qualità, con costi decisamente inferiori. Per non parlare poi di tutto l'universo legato alla musica elettronica (vol­ garmente "da discoteca") che vede Djs e Music Producers comporre brani totalmente in digitale ormai già da qualche lustro, riscuotendo enorme successo. Intendiamoci, le nuove tecnologie sono state e sono tutt'ora un supporto mera­ viglioso che ha messo nelle mani degli artisti una vastissima gam­ ma di nuovi strumenti per donare ulteriore estro alla loro creatività e produrre opere indimenticabili. Ma che, a un certo punto, la tec­ nologia applicata alle logiche di mercato dell'industria dell'arte po-



tesse soppiantare gli artisti stessi, è un qualcosa che, probabilmente, ha in sé un paradosso che, poten­ zialmente, è in grado di annullare il concetto stesso di "arte" come più alta espressione dell'umanità. Il gioco è semplice: i sistemi di Al riescono a riprodurre e a ricreare qualsiasi tipo di suono, melodia e voce naturale, pescando nel mare magnum della rete, rimescolandolo secondo parametri "commerciali" e trend del momento, dando così vita a canzoni totalmente sintetiche che, come si è visto, riscuotono anche clamorosi consensi. È "l'algoritmo" a dettare questi pa­ rametri e a rigenerarli secondo una proiezione calcolata di quelli che potrebbero essere i gusti del pubbli­ co che, costantemente, tiene sotto controllo. Ma, in fin dei conti, sep­ pur tecnologicamente avanzato, il processo in sé non è così innovativo e, in qualche modo, già da decenni si tenta di parametrizzare le grandi opere - e chi le crea - per cercare

di riprodurle "in laboratorio". Ad esempio, le grandi Majordiscogra­ fiche, progressivamente, hanno co­ minciato ad allontanare gli artisti, dif­ ficili da gestire e controllare secondo i parametri del mercato e, soprattutto, dotati di un enorme potere contrattua­ le derivante dalla capacità di creare opere che incantino il pubblico, spes­ so con visioni contrastanti con l'indu­ stria stessa. A questi, gradualmente, si è cominciato a preferire performers "alla moda" capaci di interpretare brani scritti da autori specializzati sui trend del momento, formati, indottri­ nati, vestiti e calcolati secondo speci­ fici parametri di "successo" e logiche di marketing, sempre più desunti da algoritmi piuttosto che da intuizioni. I social media hanno poi fornito un canale fondamentale per affinare e aggiornare in tempo reale questi pa­ rametri e avere, immediatamente, un pubblico al quale proporli. Anche qui, intendiamoci, i social sono uno stru­ mento fondamentale di auto promo­ zione che ha favorito e favorisce innu-

merevoli artisti "indipendenti". Il fatto è che i "numeri" sono decisamente diversi e, ad oggi, sembra quasi che il mondo della musica sia spaccato in due parti che quasi non si toccano mai: da un lato, lo show business di massa del marketing, dei performers e dell'AI e, dall'altro, quello degli ar­ tisti, via via sempre più di nicchia o, comunque, con numeri molto più esigui. Se a questo aggiungiamo la produzione "artistica sintetica" tramite algoritmi, forse ci sarebbe da dire che nella "nicchia" di prima potrebbe finirci l'umanità stessa. E adesso? Ci sarà una regolamen­ tazione? L'avvento dell'AI pone moltissimi quesiti in tutti i campi, compreso quello militare, ed è un tema di grandissimo interesse glo­ bale. In ogni caso, si intravedono moltissime opportunità, ma l'im­ maginazione distopica è naturale che corra: che umanità sarebbe se l'AI soppiantasse gli artisti? Meglio non pensarci e andare ad ascolta­ re un concerto.



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Notizie dal Ministero

Inaugurato l'anno accademico 2023-2024 al CASD e consegnata la Bandiera di Istituto Lunedì 30 ottobre, a Palazzo Salviati, alla presenza del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e del Ministro? della Difesa, Guido Crosetto, si è svolta la cerimonia di apertura· dell'Anno Accademico 2023-2el24 del Centro Alti Stadi Difesa. Nel corso dell'evento, il Presidente tiella Repubblica ha conségnato la Bandiera d'Istituto al Presidente del Centro, Ammiraglio di-Squadra �acinto Ottaviani. "In questi tempi . difficili il CASO è un prezioso strumento di formazione della classe dirigente: interpreta i cambiamenti e aiuta la capacità di reazione. Oggi la consegna della Bandiera d'lstifuto è il giusto riconoscimento per questo Centro di eccellenza della cultura della Difesa, erede di una lunga tradizione", ha aetto Crosetto. Presente alla cerimonia anche il Ministro della Cultura, Prof. Sangiuliano, il Sottosegretario di Stato alla Difesa, Sen. Rauti, il Capo di Stato Maggiore della Difesa, Il 24 ottobre, a Berna, il Ministro della Difesa ha incontrato Viola Amherd, Capo del Dipartimento Federale della Ammiraglio Cavo Dragone, autorità civili, militari e religiose. Difesa, della protezione della popolazione e dello sport della Repubblica della Confederazione svizzera. Tra i temi chiave dell'incontro, la volontà di rafforzare le iniziative di-cooperazione tra i due Paesi negli ambiti della Difesa e dell'industria, la situazione in Medio Oriente, la sicurezza nei Balcani occidentali e in Africa centrale. "Italia e Svizzera sono impegnate per promuovere il dialogo e il rispetto del Diritto Internazionale Umanitario. Abbiamo condiviso il fatto che è necessario_ porre la massima attenzione per le crisi in atto e i conseguenti riflessi sul Mediterraneo Allargato", ha detto il Ministro. Durante l'inCGntro si è parlato anche di iniziative per intensificare l'addestrannento congiunto.

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Il Ministro Crosetto incontra l'omologo francese Il 26 ottobre, il Ministro Crosetto ha incontrato a Roma il Ministro delle Forze Armate della Repubblica Francese, Sébastien Lecornu. "La situazione internazionale richiede impegno, coesione e collaborazione per · promuovere dialogo ed evitare un inasprimento della crisi e delle tragiche e inaccettabili conseguenze di carattere umanitario", ha dichiarato il Ministro Crosetto. L'incontro Il Ministro della Difesa in visita al con­ è stato anche un'occasione per parlare di Mediterraneo tingente italiano in Libano allargato, Sahel, minacce al continente europeo, contesto strategico, esigenze operative, cooperazione Il 23 ottobre, il Ministro Crosetto ha fatto visita al contingente tra le Forze Armate nonché collaborazione nel settore italiano impiegato nell'Operazione "Leonte XXXIV', di base industriale della Difesa. a Shama, in Libano. "Sono qui per dimostrarvi l'attenzione, il 34

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rispetto e la vicinanza dello Stato - ha detto il Ministro - ma anche per vedere di persona come state, come si fa con le persone a cui si tiene. Perché così si fa nella nostra grande __ _ _ famiglia della Difesa". Il Ministro ha poi incontrato il suo omologo libanese, Maurise-Sleem, al qual� ha confermato "l'incessante impegno italiano al fianoo della comunità iotemazionale per trovare una soluzione pacifica della crisl', e il Gen. Joseph Aoun, Comandante delle forze armate libanesi che - ha affermato Crosetto - "in questo momento delicato, possono assicurare più di ogni altra istituzione l'equilibrio regionale ed evitare un inasprimento della crisi'.

Il Ministro della Difesa alla ministeriale di Bruxelles

"Lo scenario internazionale ci pone di fronte a criticità e sfide difficili per tutti. Dobbiamo lavorare insieme per evitare escalation. Il Governo italiano e la Difesa sono al fianco del popolo d'Israele e ribadisco la piena solidarietà per gl� attacchi subiti e la vicinanza ai familiari delle vittime e ai feriti. Mi auguro che grazie allo sforzo della comunità internazionale si sappia trovare un canale per liberare le centinaia di ostaggi innocenti rapiti dai terrorish''. Così, il Ministro della Difesa, al termine del Consiglio Atlantico in fornti�to Ministri della Difesa che si è tenuto 1'11 e 12 ottobre Visite istituzionali del Ministro in Arabia presso il Quartier Generale della NATO. "Gli eventi di questi Saudita ed in Qatar ultimi giorni dimostrano l'imporlanza e la fragilità del Fianco Sud e quanJo sia necessaria, oggi più che mai, un'Alleanza 11 19 ottobre, il Ministro Crosetto ha conclusQ una ."èilue forte e coesa a 360 ° . Sia17Jo profondamente preoccupati giorni" di importanti incontri istituzionali all'estero: in Arabia per la possibile estensione ciel conflitto in Medio Oriente e Saudita - dove ha incontrato il suo omologo, il Principe· •per il fischio di una nuova stagione di attacchi terroristici. Khalid Bin Salman Bin Abdulaziz, -, e in Qatar, dove ha L'instabilità in questa area, nei Paesi del Nord Africa e incontrato l'Emiro Sheikh Tamim bin Hamad Al T hani e nel Sahel ha infatti riflessi sulla sicurezza dell'intera area il Vice Primo Ministro e Ministro della Difesa, Khalid bin euro-atlantica. Questo significa che anche per il Fianco Mohammed AI-Attiyah. Crisi in Medio Oriente, stabilità/ Sud dobbiamo disporre di forze, con adeguata reattività sic1.:;1rezza del Mediterraneo Allargato, e comune impe no e capacità, da impiegare in caso di necessità, così come nel rafforzare i rapporti di amicizia e cooperazione i avvenuto sul Fianco Est, dove l'Italia sta parlecipando in temi principali in agenda. "L'Italia sta seguendo con maniera attiva", ha aggiunto il Ministro. Alla ministeriale ha grande attenzione e altrettanta preoccupazione l'attuale partecipato er la prima volta il nuovo Ministro della Difesa situazione in Medio Oriente, crisi che potrebbe causare dell'Ucraina, ,Rustem Umerov, quale segnale politico di , pesanti ripercussioni sulla stabilità della Regione con rilievo, oltre a fornire l'opportunità per ricevere aggiornamenti il rischio di un'escalation nel Mediterraneo. Per questo sul conflitto. motivo la Difesa e il Governo italiano sono in campo nel tentativo di promuovere il dialogo e la pace [. . .]. È stato impanante incontrare i miei colleghi per parlare di pace, per cercare di evitare che si superi quella linea da cui non si può tornare indietro, perché in questo momento non soltanto la pace è compromessa nella Striscia di Gaza, dopo il violento attacco di Hamas a Israele, ma perché può incendiarsi una zona più ampia coinvolgendo il resto del mondo"; così il Ministro nel corso degli incontri. n. 6/2023 I Rivista Militare

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A UN TIRO DI SCHIOPPO "Ma è lontano questo posto?". "No è vicino". "Ma vicino quanto?". "A un tiro di schioppo!". Uno scambio di battute frequente che si conclude con un modo di dire abbastanza diffuso, e che ci porta di­ rettamente nel mondo delle armi. Si usa l'espressione figurata "A un tiro di schioppo" per indicare una distanza ravvicinata, la prossimità di un luogo raggiungibile in poco tempo. Sicura­ mente più adoperato per le distanze tra luogo e luogo, l'origine di questo modo di dire è strettamente legata alle armi da fuoco e, in particolare, ai fucili di un tempo passato, con dei distinguo. Se nel linguaggio comune lo schiop­ po molto spesso stava ad indicare il classico fucile da caccia a due can­ ne, in realtà originariamente fu la prima arma da fuoco portatile della storia. Con una gittata abbastanza limitata, si presentava come una sor-

ta di piccolo cannone, abbastanza lungo (tuttavia ne esistono esemplari anche più corti) ma non pesante, en­ trato in voga in Europa intorno al Xli I secolo. Ma in base alle ricostruzioni storiche, sembra che in Cina fosse già conosciuto e adoperato almeno da duecento anni. Era un'arma ad avancarica, cioè an­ dava caricato dal foro di uscita del proiettile, inizialmente con una pie­ tra, o dei sassolini, o addirittura una freccia, dopo aver inserito la polve­ re da sparo. Lungo la sua superficie era previsto un piccolo foro da cui si praticava l'accensione. Per l'accen­ sione veniva utilizzato un oggetto caldo come stracci infuocati oppure legno o chiodi incandescenti. In base a questa forma rudimentale di ac­ censione, gli oggetti caldi venivano messi a contatto con la polvere da sparo, provocando l'esplosione e, di

conseguenza, lo sparo. A volte, l'ac­ censione avveniva con il cannone appoggiato su alcuni supporti lignei, altre volte c'era un aiutante che col­ laborava all'operazione. Ma l'aspetto importante, ai fini della comprensione del modo di dire, riguar­ da la gittata massima. Secondo alcuni calcoli, la gittata dell'arma non andava oltre i 300 metri. E da qui il significato del "tiro di schioppo" come la vicinan­ za. Un significato tramandato sempre in positivo. Paradossalmente, infatti, il contesto che ha dato origine a questo modo di dire è tutt'altro che positivo. Si fa riferimento infatti ad un'arma in gra­ do di colpire e uccidere, seppure sol­ tanto nelle distanze ridotte. Nel tempo, questo significato reale è andato però in disuso e l'espressione oggi viene adoperata solo per indicare la pros­ simità dei luoghi, la possibilità di rag­ giungere un posto agevolmente.

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COS'E IL CUNEO FISCALE? Il termine "cuneo fiscale" si rife­ risce alla differenza tra il costo totale del lavoro per l'azienda e la retribuzione netta che il lavo­ ratore realmente percepisce in busta paga. Attraverso di esso è possibile calcolare gli effetti della tassazione del costo del lavoro sul reddito dei lavoratori, sull'occupa­ zione e sul mercato del lavoro. Il cuneo fiscale è influenzato da vari fattori, tra cui i principali sono le imposte sul reddito e i contributi previdenziali e assistenziali. L'Imposta sul reddito delle per­ sone fisiche (lrpef) è un'imposta progressiva, personale e diretta. Si paga sui redditi da lavoro dipendente, assimilati e di im­ presa e i soggetti passivi sono le persone fisiche. Le percentua­ li dell'imposta, dovuta sulla base del reddito percepito, sono artico­ late in quattro aliquote: 23% per i redditi da O a 15 mila euro; 25% per i redditi da 15.001 a 28 mila euro; 35% per i redditi da 28.001 a 50 mila euro; 43% per i redditi oltre i 50 mila euro. Occorre inoltre evidenziare che, fino a 8.174 euro, è prevista la cosiddet­ ta "no tax area", ossia la soglia al di sotto della quale i redditi non sog­ giacciono al pagamento dell'lrpef. I contributi previdenziali e assi­ stenziali sono, invece, versamenti obbligatori finalizzati a garantire una serie di particolari prestazioni fornite nel corso della vita lavora-

tiva (malattia, infortunio, materni­ tà e disoccupazione) o al termine della stessa (pensione). L'importo dei contributi viene calcolato in percentuale sull'importo della re­ tribuzione imponibile o del reddito di lavoro e l'entità della percentua­ le si differenzia a seconda dei vari enti assicuratori, delle prestazioni da questi somministrate e delle differenti categorie di lavoratori. Le imposte e i contributi sono trat­ tenuti direttamente dal salario dei lavoratori, riducendo l'ammontare netto che viene loro pagato. Que­ sta nozione è particolarmente im­ portante poiché il cuneo fiscale può avere un impatto significativo sulla competitività delle imprese e sulla spinta motivazionale dei lavoratori. Un cuneo fiscale elevato può di­ sincentivare, infatti, l'assunzione di nuovi dipendenti e ridurre il potere di acquisto dei lavoratori, perché le tasse che gravano sulla retribuzione riducono, di fatto, la reale capacità di spesa del lavoratore stesso. Secondo i dati Ocse 2022, il cu­ neo fiscale medio in Italia è pari al 45,9% del costo del lavoro, percentuale ben al di sopra del­ la media europea che si attesta, invece, al 34,6%. Nella speciale classifica redatta dall'Ocse, l'Italia si trova al quinto posto, preceduta da Belgio 53%, Germania 48, 1%, Austria 47,8% e Francia 47%. Per rilanciare le imprese e l'occu­ pazione, i Governi succedutisi negli

ultimi anni hanno promulgato una serie di provvedimenti legislativi fi­ nalizzati alla progressiva riduzione del carico fiscale sui lavoratori di­ pendenti. Nello specifico, con la L. n. 234/2021, è stato approvato, per i redditi sino a 35 mila euro annui lor­ di, un primo taglio del cuneo fiscale dello 0,8%; il D. L. 115 del 2022 ha previsto, sempre per tali redditi, un taglio aggiuntivo dell'1,2%; succes­ sivamente, la legge di bilancio 2023 ha disposto, per i soli redditi sino a 25 mila euro, un terzo taglio di im­ porto pari all'1%; infine, il D. L. 48 del 2023 ha introdotto una riduzio­ ne del cuneo ancora più rilevante, prevedendo, per il secondo seme­ stre 2023 (con eccezione della tre­ dicesima), degli sconti sui contributi previdenziali che vanno dal 3 al 7% per redditi annui fino a 25 mila euro (con un aumento medio stimato in busta paga di circa 50 - 55 euro mensili) e dal 2 al 6% per redditi annui sino a 35 mila euro (con una previsione di aumento medio di cir­ ca 65 - 70 euro mensili). Per quanto attiene, infine, agli effet­ ti sul futuro trattamento pensionisti­ co dei lavoratori interessati al taglio del cuneo, è importante evidenzia­ re che, restando ferma l'aliquota di computo delle prestazioni pensioni­ stiche, ossia l'aliquota virtuale con­ siderata per conteggiare i contributi ai fini della pensione, non vi saran­ no effetti negativi sui futuri ratei di pensioni corrisposti agli stessi. n. 6/2023 I Rivista Militare

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LA GUERRA DEI "TOPI" L'asso nella manica di Hamas, la rete sotterranea di Gaza Negli anni in cui ho insegnato Servizio Informazioni Operativo/Supporlo Informativo ai Corsi di Stato Maggiore, uno degli argomenti su cui insistevo maggiormente - quando spiegavo lo studio dell'lntelligence Preparation of the Ope­ rating Environment (/POE) urbano - era il livello di insidia che presenta il combattimento nei centri abitati, per la caratterizzazione dello sviluppo delle azioni su cinque livelli: aereo, tetti degli edifici, infra-edificio, piano stradale e sotterraneo. Proprio il valore aggiunto rappresentato dai cunicoli, dalla rete fognaria, dai tunnel della metropolitana e da qualunque infrastruttura possa essere sfruttata nel sottosuolo, è sempre stato oggetto di un'attenzione panico/are da parie mia, un mio "pallino" potrei dire, nelle lezioni sull'argomento. Il conflitto scatenato da Hamas, all'alba del 7 ottobre 2023, contro Israele ha portato all'attenzione del mondo la valenza bellica dei tunnel, più di quanto sia mai accaduto in passato. La "guerra nelle gallerie", infatti, non è certamente una novità Senza andare a rivangare l'impor­ tanza dei cunicoli già ai tempi degli assedi medievali e prima di proce­ dere a una rapida disamina dell'uso che se ne è fatto, e tuttora se ne fa nella Striscia di Gaza, soffermiamo­ ci per un momento su un conflitto a noi temporalmente più vicino: la guerra del Vietnam. "Al culmine della guerra del Vie­ tnam, la rete di gallerie si stendeva per centinaia di chilometri, colle­ gando interi distretti e provincie dal confine cambogiano fino alle porle di Saigon. Nessuno ha mai dimo­ strato maggiore abilità dei Viet Gong nel nascondere le loro installazioni - ha ammesso il Generale William Westmoreland - erano vere talpe umane. Il sistema di gallerie ospita­ va un esercito in armi e conteneva tutto ciò che era necessario per te­ nere in scacco la maggiore potenza militare al mondo: depositi di armi 38

e rifornimenti, officine meccaniche, quartieri generali per pianificare le offensive, ospedali per il pronto soccorso e persino cucine, sale per conferenze e dormitori. I guerriglie­ ri, malamente armati, potevano far fronte a un nemico trasportato sul posto dagli elicotteri, solo rintanan­ dosi sottoterra. Nascosti di giorno i Viet Gong uscivano di notte. N e gallerie, operazioni importanti come l'offensiva del Tet del 1968 furono pianificate e preparate nella massi­ ma segretezza e grandi formazioni furono spostate senza essere sco­ perte. I Viet Gong nutrivano un par­ ticolare attaccamento per la loro ter­ ra, e i capisaldi sotterranei erano un simbolo della loro resistenza contro gli invasori stranierP'(1 ). Le gallerie erano usate anche come basi avanzate da cui lanciare at­ tacchi a sorpresa con i mortai con­ tro campi e basi americane. Per la cronaca, l'Esercito degli Stati Uniti dovette istituire il corpo speciale dei Tunnel Rats, per combattere una guerra infernale nelle viscere della terra, uomini esili e di piccola statura, con armamento leggero e coltelli, dotati di un grande sangue

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ddo, oltre che di uno stomaco ro­ busto. Nelle gallerie c'era poca aria, trappole, cadaveri abbandonati... i percorsi sotterranei conducevano a obiettivi remunerativi, ma sovente anche alla perdita del senno! Oggi, nella realtà di Gaza, per i ter­ roristi di Hamas, sembra che sotto il profilo logistico e operativo non sia cambiato molto. Le reti di gallerie bostruite con l'aiuto dei loro allea­ ti iraniani e nordcoreani (2) hanno ssolto a molteplici funzioni. Queti tunnel, tra l'altro, proprio grazie !l'intervento di ingegneri nella loro rogettazione, sono ben più evoluti e attrezzati dei loro omologhi rea­ lizzati in Vietnam. Non si sa quanti tunnel ci siano oggi e l'IDF (3) ha ef­ fettuato molti interventi per distrug­ gerli. Numerose operazioni sono state condotte dalle Forze Armate Israeliane per smantellare la rete e le case, in cui è stato scoperto l'accesso alle gallerie, sono state sistematicamente demolite. Ricor­ diamo l'Operazione "Arcobaleno" del maggio 2004, finalizzata in parte a distruggere i tunnel sotterranei e a danneggiare le infrastrutture terro­ ristiche nella zona. Ciononostante, Hamas ha continuato a utilizzarli per scopi militari. Nel 2006, il nume­ ro due di Hamas, lsmail Haniyeh, dichiarò che il gruppo aveva costru­ ito una rete di tunnel due volte più estesa di quella usata dai comuni­ sti contro i soldati americani nella guerra in Vietnam (4). Onestamen­ te, la stima pare esagerata, ma con la macchina della propaganda ci si può permettere qualsiasi cosa. La rete di tunnel sotto Gaza, comun­ que, non è stata estesa solo verso il territorio israeliano. La Philadelphi Route, ad esempio, costruita pro­ prio per impedire la circolazione il­ legale di materiali (comprese armi, munizioni e droga) e persone tra l'Egitto e la Striscia di Gaza, è stata comunque aggirata dai Palestine­ si che, negli anni, hanno realizzato una fitta rete di gallerie sotterranee per il contrabbando, proprio nell'a­ rea di Rafah. Nel corso degli anni, dunque, Hamas ha sfruttato i tunnel tra la Striscia e l'Egitto per importa­ re illegalmente armi e componenti d'armamento, con l'aiuto soprattut-

to di Iran e Siria e riuscendo, in tal modo, ad ampliare in maniera signi­ ficativa il proprio arsenale. Qualche cenno, adesso, sull'utilizzo "storico" dei tunnel sotterranei da parte dell'organizzazione terroristica, negli ultimi venti anni, per effettuare incursioni e attentati in territorio isra­ eliano. A titolo esemplificativo, andia­ mo a vederne alcuni tra i più signifi­ cativi sotto il profilo delle procedure tecnico-tattiche attuate. Degno di attenzione, innanzitutto, è l'attacco combinato effettuato il 12 dicembre 2004 da una squadra di terroristi dell'ala militare /zz al-Din a/-Qassam di Hamas e dai Falchi di Fatah (5), contro un avamposto delle Forze di Difesa Israeliane situato al confine tra la Striscia di Gaza e l'Egitto. Nell'attacco rima­ sero uccisi cinque soldati delle IDF e undici rimasero feriti. Molto prima che si verificasse l'attacco, i terro­ risti avevano realizzato un tunnel lungo 800 metri che iniziava da una posizione nascosta all'interno delle case palestinesi situate vicino alla barriera di sicurezza tra la Striscia di Gaza e l'Egitto e arrivava a un piccolo avamposto militare israelia­ no oltre la barriera. I terroristi piaz­ zarono 1,5 tonnellate di esplosivo direttamente sotto l'avamposto, facendolo detonare in due luoghi diversi. Subito dopo le esplosioni, due militanti palestinesi aprirono il fuoco contro i soldati israeliani di stanza nell'avamposto, ucciden­ done due prima di essere uccisi a loro volta. Con una terza esplosio­ ne cercarono di colpire le squadre di soccorso, ma senza risultati. A causa del continuo e pesante fuoco di mortaio, tuttavia, le forze dell'IDF poterono intervenire per salvare i feriti solo dopo diverso tempo. Un altro episodio rilevante si veri­ ficò la mattina del 25 giugno 2006, quando una squadra di militanti palestinesi della Striscia di Gaza attraversò il confine con Israele at­ traverso un tunnel lungo 300 metri, scavato vicino al valico di frontiera di Kerem Shalom. I terroristi sali­ rono in superficie, in territorio isra­ eliano, protetti da una fila di alberi e arrivarono dietro le posizioni di confine dell'IDF di fronte a Gaza.


Nell'attacco rimasero uccisi due soldati dell'IDF e due palestinesi; fra gli israeliani ci furono anche quattro feriti; uno di questi era Gi­ lad Shalit, che fu catturato e por­ tato nella Striscia di Gaza, dove è rimasto per cinque anni, prima di essere liberato in cambio di un migliaio di palestinesi incarcerati in Israele. Nel 2014, poi, in meno di un mese, si concentrarono quattro incursioni sotterranee di Hamas in territorio israeliano. Il 17 luglio 2014, un gruppo di tredici uomini di Hamas superò il confine attraverso un tunnel a circa un miglio di distanza dal vil­ laggio agricolo di Sufa, ma furono fermati dalle IDF: "I terroristi ave­ vano pianificato di rapire un isra­ eliano o uccidere civili nell'area del kibbutz di Sufa ... Questo è un successo significativo per noi. Se non ci fossimo riusciti, ci sarem­ mo svegliati con tredici terroristi in un kibbutz" (6). Alla luce dell'attacco del 7 ottobre 2023, le procedure tecnico-tat­ tiche si sono evolute, la portata dell'azione è aumentata, ma la priorità di rapire e uccidere i civili israeliani sembra proprio quella di allora. Arriviamo al 21 luglio 2014, quando due squadre di militanti palestinesi armati attraversarono il confine sfruttando un tunnel vi­ cino al kibbutz di Nir Am. I dieci

terroristi che formavano la prima squadra furono uccisi da un attac­ co aereo israeliano. Una seconda squadra riuscì, tuttavia, a uccide­ re quattro soldati usando un'arma anticarro. Dopo solo una settima­ na, il 28 luglio, i terroristi di Ha­ mas attaccarono un avamposto militare vicino a Nahal Oz, sem­ pre passando da un tunnel. Negli scontri rimasero uccisi cinque sol­ dati israeliani e un terrorista (7). Il 1 ° agosto 2014, i militanti di Ha­ mas, usciti da un tunnel, attac­ carono una pattuglia israeliana a Rafah, in palese violazione di un "cessate il fuoco" umanitario, ucci­ dendo due soldati. Da quanto descritto, si può evincere che lo sfruttamento dei tunnel per condurre azioni militari - e non so­ lamente per garantire il passaggio clandestino di armi, merci e materia­ li o per offrire rifugio ai terroristi - è prassi consolidata. Anche nel conflitto in corso, dun­ que, i tunnel possono fare la dif­ ferenza. Israele ha senz'altro gli armamenti e le tattiche idonee per prevalere sul nemico, ma il valore aggiunto della guerra sotterranea attribuisce ad Hamas un vantaggio che consentirà ai terroristi di creare alle IDF non pochi problemi. Se la guerra urbana è l'inferno, le gallerie nel sottosuolo sono i per­ corsi che conducono a esso.

NOTE (1) La guerra nelle gallerie, NAM, voi. I, Istituto Geografico De Agostini, No­ vara, 1988. (2) T. Beeri, Hezbollah's "Land of Tun­ nels" - The North Korean-lranian con­ nection, Alma Research and Education Center, July 2021. (3) lsrael Defense Forces. (4) I tunnel sotto la striscia di Gaza, Il Post, 18/05/2021.https://www.il­ post.it/2021/05/18/tunnel-hamas-stri­ scia-gaza/. (5) Fatah Hawks è il nome di due grup­ pi militanti palestinesi. Uno è un movi­ mento popolare di giovani palestinesi in Cisgiordania e Gaza sorto nel 1980. L'altro è una propaggine delle Briga­ te dei Martiri di AI-Aqsa che ha legami con il movimento dominante Fatah. Il gruppo ha effettuato attacchi contro il personale militare israeliano nella Stri­ scia di Gaza. (6) Y. Lappin, WATCH: IDF thwarts Gaza terrorists from attempted tunnel infiltration into lsrael, Jerusalem Post, 17/07/2014.http://www.jpost.com/Op­ eration-Protective-Edge/l D F-thwarts13-G aza-te rro ri sts-from-attem pted infiltration-into-lsrael-363133. (7) C. Case Bryant, Hamas attacks by tunnel rattle lsraelis on Gaza border (+video), The Christian Science Moni­ tor, 28/07/2014. Hamas attacks by tun­ nel rattle lsraelis on Gaza border (+vid­ eo) - CSMonitor.com (archive.org).


LE MACCHINE INTELLIGENTI Intervista a Nello Cristianini "La conoscenza è un rimedio all'ansia e alla paura" Il Prof. Nello Cristianini insegna Intelligenza Artificiale all'Università di Bath nel Regno Unito, è un noto ri­ cercatore in questo campo da oltre venticinque anni, avendo pubblicato articoli e libri molto influenti nella teoria dell'apprendimento automatico, sulla compren­ sione automatica del linguaggio, e sugli effetti sociali dell'intelligenza artificiale. Prima di Bath ha lavorato sia all'Università della California sia a quella di Bri­ stol. Ha appena pubblicato il libro: "La scorciatoia. Come le macchine sono diventate intelligenti senza pensare in modo umano" (il Mulino, 2023). Lo abbiamo incontrato al Festival della Comunica­ zione a Camogli ove ha tenuto una seguitissima le­ zione: "Convivere con le macchine intelligenti". Gli abbiamo rivolto alcune fondamentali domande. Professore, che cosa si intende quando si parla di intelligenza? L'intelligenza non è un'esclusiva degli esseri umani, ma esiste da prima di noi: diversi animali mostrano intelligen­ za, pur senza avere le altre caratteristiche di noi umani. Insomma: né la coscienza né il linguaggio sono necessari ad essere intelligenti. La lumaca che cerca e trova il mio basilico fa uso di una forma di intelligenza. Ed è questo il tipo che stiamo creando adesso nelle nostre macchine. Cos'è, quindi, l'Intelligenza Artificiale? La capacità di un dispositivo, o di un algoritmo, di agire in modo efficace anche in condizioni mai viste prima, e quindi quando non è possibile aver memorizzato la rispo­ sta giusta. Immaginiamo un giocatore di scacchi di fronte a una configurazione della scacchiera mai vista prima, o un traduttore di fronte a un documento mai incontrato. Questo è quello che fanno costantemente i nostri algoritmi 42

oggigiorno: raccomandare notizie o video nuovi a nuovi utenti, imparando come migliorare le proprie prestazioni con l'intelligenza. Jean Piaget diceva: "l'intelligenza serve a saper cosa fare quando non si sa cosa fare". Vale un po' anche per le macchine. Ci aiuta a capire che cosa è un algoritmo? L'algoritmo non è necessariamente intelligente, an­ che se oggigiorno c'è un po' di confusione nei me­ dia. È invece una ricetta da seguire rigidamente per trasformare un input in un output: per esempio la procedura che impariamo alle scuole elementari per sommare due numeri. È rigida, è automatica, e fun­ ziona sempre. È un algoritmo per calcolare le addi­ zioni. Ci sono algoritmi simili per trovare il percorso più breve in una mappa, o per trovare rapidamente un'informazione. Alcuni di questi, solo alcuni, sono così avanzati e flessibili da essere in grado di impa­ rare dall'esperienza e di ragionare. Solo questi do­ vrebbero essere considerati "algoritmi intelligenti". Ultima domanda. Dobbiamo avere paura delle macchine che stiamo costruendo? È bene prendere sul serio tutte le cose nuove che non conosciamo, ma la paura non è una risposta produtti­ va. Abbiamo superato molti altri cambiamenti, e quello che ci aspetta tra breve sarà un grande cambiamen­ to, e il mondo che verrà dopo è difficile da prevedere. lo raccomando di conoscere i fatti, che sono semplici quando spiegati bene, perché la conoscenza è un ri­ medio all'ansia e alla paura. Sono certo che troveremo un modo sicuro di convivere con le nostre creature, grazie al contributo di ricercatori, politici, filosofi, inse­ gnanti. Questo è il momento di lavorare insieme.

Rivista Militare I n. 6/2023

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Bellezza: otto lettere per un univer­ so intero. Mai una parola ha rac­ chiuso un intreccio tanto comples­ so di emozioni, sensazioni, a volte contrastanti, come un groviglio in divenire dai molteplici interrogativi e dalle innumerevoli implicazioni psicologiche, sociali, economiche e finanziarie. La scrittrice e filosofa Maura Gancitano con il suo ultimo libro "Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza" (Einaudi, 2022), vincitore del premio Rapallo 2022, fornisce interessanti chiavi di lettura, partendo dalle origini. Tut­ to ha inizio dall'eterna dicotomia bellezza oggettiva-bellezza sog­ gettiva. Per la scrittrice, infatti, la bellezza oggettiva con parametri predefiniti non è altro che una "su­ perstizione moderna", non naturale ma creata ad arte, che ci vampiriz­ za fino a divenire la "gabbia dorata in cui non ci rendiamo conto di es­ sere rinchiusi". Ma possiamo mai liberarci da que­ sta "prigione della bellezza"? Tentiamo con l'autrice stessa di in­ dividuare una ad una le sbarre di questa nostra cella, per abbatterle. I criteri estetici li hanno codifi­ cati gli uomini. Citando il teolo­ go Hugues de Fouilloy, che sin dal Xli secolo descriveva come dovevano essere i seni delle donne, lei sottolinea: "il corpo femminile è diventato progres­ sivamente oggetto di una storia del pensiero, dell'arte e della letteratura scritta e diretta quasi del tutto dagli uomini, non sog­ getto". Tornare indietro non si può, ma oggi le donne potreb­ bero elaborare propri parametri per relativizzare la bellezza? Per come è costruita l'idea di bel­ lezza nella nostra società, non è sufficiente cambiare il genere di chi formula l'idea, perché ciascuno di noi ha assorbito certi standard e sarebbe molto difficile liberarsene. Il problema, in realtà, sono proprio i parametri, cioè i criteri sulla base dei quali giudichiamo chi è "nor­ male" e chi no. Intendiamoci: sono stati svolti esperimenti in tutto il n. 6/2023 I Rivista Militare

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mondo su persone diverse di cul­ ture e generazioni diverse che ci fanno capire che un certo consenso esiste sulla bellezza umana. In so­ stanza, un certo colore degli occhi, un certo incarnato, una certa fisicità creano una sensazione piacevole in quasi tutte le persone. Il problema è che nella nostra società ogni centi­ metro del corpo è stato codificato e chi si allontana da quello standard (che spesso è irraggiungibile) è considerato pigro, senza volontà e disciplina, inaffidabile, meno valido come essere umano. Un'altra sbarra della nostra pri­ gione simbolica è rappresentata dalla ricerca compulsiva della perfezione estetica, attraverso cure e trattamenti. Una strategia di marketing che fa della ricerca della bellezza una professione, che si autoalimenta perché l'o­ biettivo è impossibile da raggiungere e mantenere nel tem­ po, se non spostando sempre oltre l'asticella (non si è mai abbastanza belli, né abbastan­ za giovani). Dove possiamo fissare il punto limite per non naufragare nell'ossessione senza fine? Mi capita spesso di andare nel­ le scuole a parlare di questo tema, e quello che sottolineo è che nessuno di noi può sapere quali sono le ragioni per cui un'altra persona si sottopone a certi interventi, si veste in un cerio modo e quale rap­ porio abbia con il proprio corpo. Non ci sono interventi giusti o sbagliati, perché tutto può nascondere potenzialmente un senso di inadeguatez­ za, e tra l'altro qualcuno può reagire con il disin­ teresse nei confronti di sé, anziché con la cura ossessiva. L'unica cosa che possiamo fare è cercare di capire qua­ li messaggi arrivano dall'esterno (se fanno leva sulla vergogna e

sul senso di colpa) e quali sono le ra­ gioni per cui non vorremmo sottoporci a dei trattamenti. Il discrimine secon­ do me riguarda benessere e senso di colpa: l'intervento "x" può migliorare il mio benessere quotidiano e farmi sta­ re meglio a livello psicofisico, oppure lo faccio perché mi vergogno di ciò che sono? A volte è difficile rispondere sinceramente anche a livello persona­ le, anche per questo è imporiante non giudicare le scelte degli altri. L'immagine di copertina raffi­ gura due donne, e il messaggio del libro è che la bellezza sia ancora declinata al femminile; il corpo della donna come de­ corativo. L'uomo che invec­ chia non perde il suo fascino, tuttavia anche se per ora liberi dall'imperativo dell'eterna gio­ vinezza, gli uomini risultano oggi più sensibili ai criteri este­ tici e la questione bellezza ha iniziato a riguardare anche loro. Il tema interessa sempre di più an­ che gli uomini, è vero, e questo ci mostra come la situazione non solo non stia migliorando per le donne, ma si stia addirittura estendendo. Quando vado nelle scuole, mi suc­ cede spesso che i ragazzi mi dica­ no che non ho parlato abbastanza di loro e delle pressioni che vivono, e ammetto che è così, perché mi sono basata sugli studi più recenti che, purtroppo, sono ancora carenti rispetto al genere maschile. Eppure, oggi ragazzi e giovani uomini sono spinti a confrontarsi - come è ac­ caduto alle donne dall'Ottocento in poi - con standard e modelli irrag­ giungibili, e viene trasmessa loro l'i­ dea che non sono abbastanza virili e mascolini. Questo può avere del­ le conseguenze terribili sotto tanti punti di vista. Una delle peggiori è la sindrome di Adone, o reverse ano­ rexia: i disturbi del comporiamento alimentare nei ragazzi possono es­ sere più difficili da riconoscere per­ ché possono apparire come grande dedizione allo spari e a un'alimenta­ zione salutista, ma in realtà rivelano questioni gravi di salute mentale. Per questa ragione, se è importante

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continuare a osservare l'effetto del­ la pressione sociale sulle ragazze, non si può più pensare che i ragazzi ne siano immuni. Bellezza e moda, bellezza e im­ magine. Due pilastri della nostra gabbia; il primo basato sulla perfezione delle modelle, il se­ condo enfatizzato da photoshop e filtri di lnstagram. E forse pro­ prio dal mondo più fluido dei so­ cial, si potrebbe tentare la rot­ tura. Ad esempio, l'innovazione della casa di moda Gucci, che affidò la sua campagna a Armi­ ne Harutyunyan, la modella che non rientrava nei canoni estetici classici, è destinata a rimanere un caso isolato? Purtroppo, dopo un paio di anni in cui nelle fashion week sono apparsi corpi non conformi (cioè corpi gras­ si, con disabilità e in genere non rappresentati dall'industria della moda), si è tornati alla rappresenta­ zione tradizionale. Del resto, ricor­ diamo come la campagna di Armine Harutyunyan venne accolta in Italia: venne insultata e ridicolizzata per­ ché considerata brutta. lo credo che l'industria della moda abbia il grande potere di influenzare la rappresen­ tazione sociale (un po' come diceva Miranda Priestley in "Il diavolo veste Prada"), e quindi dovrebbe proporre altri modelli non per provocare, ma per non alimentare più un immagi­ nario così selettivo ed escludente. La bellezza diventa culto, ed è un ulteriore quanto insidioso condi­ zionamento, perché permeato di un aspetto mistico, che colpevoliz­ za chi non si adegua. Lei lo ricorda nel libro citando Helena Rubinstein (fondatrice dell'omonima industria di cosmetici): "non esistono donne brutte, solo donne pigre". La donna che non cura il proprio aspetto per­ de in considerazione sociale. Que­ sto diktat potrebbe invece essere in­ terpretato in positivo, considerando la cura della propria persona e della forma fisica solo un giusto stimolo per uno stile di vita più salutare?

Maura Gancitano è filosofa, scrittrice e fonda­ trice di "Tlon", scuola di filosofia, casa editrice e libreria teatro. I suoi ultimi libri sono "Ma chi me lo fa fare? Come il lavoro ci ha illuso: la fine dell'incantesimo" (HarperCollins 2023) e "Specchio delle mie brame. La prigione della bellezza" (Einaudi 2022). Con Andrea Colarne­ dici è l'ideatrice della Festa della Filosofia e di ilpod, il primo Podcast Awards italiano.

Dedurre l'impegno di una persona dalla sua forma fisica rappresenta un pregiudizio, e pwtroppo secondo me quell'idea lo conferma, anche perché ci sono degli aspetti di quasi ogni cor­ po che non sono modificabili, perché derivano per esempio dalla genetica. Riconosco però che una critica verso i modelli di bellezza possa far trarre la conclusione che ogni azione per curar­ si del proprio corpo sia sbagliata: non è cos� anzi il corpo può essere un ter­ ritorio imporlante di scoperla e cura. Il modo in cui farlo, però, dipende dalla persona e non è sempre facile. Oggi a una donna che ha appena parlorito si chiede di tornare subito alla forma pre-gravidanza, senza considerare lo stato di stress e stanchezza che vive, e anche il fatto che il suo corpo può essere molto diverso da prima, anche proprio a livello di anatomia. La cura di sé è imporlante, ma andrebbe slega­ ta dagli standard di bellezza: secondo gli studi, per esempio, è più efficace e duratura un'attività fisica condotta per stare bene, più che per raggiungere cerli risultati estetici. Se la cura di sé fosse legata al benessere, anziché al senso di inadeguatezza, forse sareb­ be anche più facile da percorrere. Infine, quella sbarra che le sinte­ tizza tutte: l'inganno, ovvero quel meccanismo che ci ha rinchiu­ so nella nostra gabbia, convin­ cendoci che solo le donne belle avranno una vita meravigliosa, mentre alle brutte non resterà che un'esistenza triste e squallida. Ma è realtà o solo suggestione? Se la contessa Castiglione copriva gli specchi per non vedere più la sua immagine invecchiata e imbrutti­ ta, noi non potremmo invece sve­ lare l'inganno, per tornare a spec-

chiarci senza ogni volta provare la stessa angoscia? Quando ho iniziato a scrivere il libro, credevo che le donne bellissime e conformi agli standard avessero una vita più facile: leggendo le autobio­ grafie di Emily Ratajkowsky e Demi Moore, ho scoperlo che non è affatto cos� e in effetti secondo gli studi rien­ trare negli standard non fa aumentare i livelli di felicità. L'idea che "se fossi più magra sarai finalmente felice" è fal­ sa. Gli scienziati suggeriscono che la via d'uscita all'inganno sia sviluppare un'immagine corporea positiva di sé e alimentare quegli interessi non legati al corpo e alla bellezza: non sei solo quello, e pensare solo al corpo e alla bellezza fa associare il tuo valore uni­ camente all'aspetto. Quello che vedia­ mo quando ci guardiamo allo specchio non siamo noi, ma quello che la società ci ha educato a sentire sul nostro cor­ po. Impariamo a guardarci dall'ester­ no e a essere i nostri peggiori giudici. Possiamo imparare a guardarci con gentilezza e ricordarci che non siamo solo il nostro corpo, e che il corpo è un territorio di vita, non di pelfezione.


LA BELLEZZA FEMMINILE NEI SECOLI Gli "algoritmi" del passato Le prime immagini femminili giunte a noi da un remoto passato ci ricor­ dano quanto sia mutevole il concetto di bello e di bellezza. Le più antiche statuette paleolitiche mostrano corpi opulenti con fianchi larghi e senza volto: le "veneri" di migliaia di anni fa rappresentavano la madre terra, la fertilità, la prosperità. È celebre la Venere di Willendorf, in pietra calcarea, che risale a circa 30.000 anni fa. La statuetta di undici centimetri ha due seni enormi e la vulva mol­ to evidente. È dipinta in ocra rossa che forse riman-

da al sangue mestruale e dunque alla fertilità e alla capacità di genera­ re nuova vita. Questa raffigurazione femminile si ripropone in tante piccole statue rinvenute nel tempo e conser­ vate in molti musei. Le cosiddette "ve­ neri paleolitiche", dette anche steato­ pigie per l'adiposità delle cosce e dei glutei, indicano con assoluta chiarez­ za che la bellezza era coniugata con la fertilità e la prosperità. Completamente diverso il concetto di bellezza raffigurato dagli scultori della Grecia classica che ritraggono nudi di giovani dei due sessi studiando con attenzione l'anatomia e la proporzio­ ne dei corpi. Le veneri greche sono immagini di corpi femminili perfetti; pensiamo alla Venere di Mila della fine del Il secolo a.C. o all'Afrodite di Cnido di Prassitele del 360 a.C. che hanno forme morbide e curve pronunciate. L' a r m o n i a , l'equilibrio, la misura, la grazia,


le proporzioni perfette, l'attenzione all'anatomia rendono i corpi delle dee e degli atleti greci dei capolavori senza tempo. I Greci arrivarono ad elaborare dei "canoni" che codificavano le proporzioni ideali di un corpo. Il più celebre è il canone di Policleto, rielaborato da Vitruvio, mentre l'Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci può essere considerato come un estremo sviluppo del canone policleteo. Questo canone classico sarà poi ripreso in epoca neoclassica da Canova con la sua splendida Paolina Borghese. Nel medio evo troviamo molte descri­ zioni di bellezza femminile. In un so­ netto si legge: Bella quanto te fece mamma tua Dice che stiede un anno in ginocchione E poi si mise /'angeli a pregane Bella t'avessi fatto come er sole Poi te mannò da Cupido a imparane E li imparassi li versi d'amore E quanno incominciassi a compitane Venissi o bella e m'arubassi Er core. Sette bellezze ci ha da ave' 'na donna Prima che bella se passi chiamane Arta dev'esse senza la pianella E bianca e rossa senza /'a/lisciane Larga di spalle e stretta in cinture/la Quella se po chiama' 'na donna bella. La donna, dunque, doveva essere alta, larga di spalle e stretta di vita e con la pelle del volto bianca ma con le gote colorite naturalmente, senza trucco. I tanti ritratti rinascimentali segnalano una grande attenzione ai capelli, al collo e all'abbigliamento delle donne. Infinita la varietà delle acconciature nei quadri di Pisanello, Masaccio, Paolo Uccello, Antonio del Pollaiolo, Filippo Lippi, Piero della Francesca. I capelli sono una potente attrazione sessuale e solo alle giovani donne in

cerca di marito era consentito portarli lunghi e sciolti sulle spalle. La "nascita di Venere" di Sandro Botticelli mostra infatti la giovane donna con una lunga e folta chioma ramata, così come vo­ levano i canoni dell'epoca che privi­ legiavano donne bionde o comunque con i capelli chiari. Le donne sposate invece i capelli li portavano acconciati in mille modi di­ versi, ma una cosa le accomuna tutte: il collo doveva essere lungo e dunque i capelli venivano rasati sulla nuca e alta doveva essere la fronte che co­ stringeva a rasare anche la parte da­ vanti dei capelli. Per evidenziare la spaziosità della fronte e la lunghezza del collo, nonché per poter meglio di­ pingere la ricchezza di perle, fermagli, merletti, treccine, riccioli che arricchi­ vano queste complesse strutture, molti ritratti sono realizzati di profilo. Altissima era anche la fronte della re­ gina Elisabetta I d'Inghilterra che copri­ va il volto rovinato dal vaiolo con una densa biacca che conteneva bianco d'uovo e carbonato di piombo. Il volto bianco e rigido della regina appare in tutti i quadri che la ritraggono e proba­ bilmente l'avvelenamento da piombo fu quello che la portò alla morte. Nel ritratto di Eleonora di Toledo del 1545 alla bellezza del volto si ag­ giunge l'estrema ricchezza dell'abito, vero e proprio manifesto del potere della famiglia di Eleonora sposata con Cosimo I de' Medici: abito carico di simboli della fecondità, che segue la moda del suo paese d'origine (la Spagna), ma anche manifesto della ripresa della lavorazione della seta fiorentina, con perle alle orecchie, al collo e alla cintura. Eleonora ha fatto la storia di Fi­ renze e questo ritratto di Bronzino è la dimostrazione del potere del­ la famiglia Medici.

Accanto ai ritratti, i pittori più cele­ bri del Rinascimento hanno dipinto nudi di donna che ci mostrano un senso della bellezza femminile com­ pletamente diverso da quello odier­ no. Cosce possenti e carni morbide e bianchissime come nel celebre di­ pinto di Tintoretto "Susanna e i vec­ chioni", ma anche nei nudi di Tiziano o di Giorgione. Il corpo florido indi­ cava la ricchezza e il benessere di una società e dunque l'abbondanza diventava bellezza. Nel secolo della ricca borghesia mercantile dei Pae­ si Bassi anche Rubens dipinge una "Venere al bagno" (1612 circa) dalle forme possenti. Per secoli le donne hanno indos­ sato busti e corsetti che erano veri e propri strumenti di tortura, usati per rimodellare il corpo femmini­ le in base ai gusti erotico-estetici delle varie epoche. I corsetti strin­ gevano all'inverosimile, dando al corpo una forma a clessidra o a petto di piccione e le signore ave­ vano bisogno di una o due came­ riere per stringere i lacci fino al ri­ sultato desiderato. Costruiti con fili di metallo, stecche di balena o di legno procuravano malformazioni ossee e difficoltà respiratorie. I ro­ manzi dell'800 sono pieni di donne che svengono per ogni più piccola emozione perché - costrette in bu­ sti strettissimi per poter sfoggiare un giro vita molto sottile - sempli­ cemente faticavano a respirare. Negli anni della Rivoluzione france­ se, l'abbigliamento femminile cam­ biò completamente lasciando libera la figura, ma con la Restaurazione anche la moda tornò a coprire e in­ gabbiare i corpi con busti e crinoline e gonne lunghe sorrette da gabbie di legno o metallo. In tutte le culture il corpo femminile è stato modificato con conseguenze dolorose per adeguarlo a quello che era considerato "bello" e "sensuale". Erano tali colli alti di alcune popolazioni afri­ cane che co­ stringevano le donne a indossare anelli ri­ gidi il cui

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numero veniva progressivamente aumentato fino a raggiungere lun­ ghezze sproporzionate che erano considerate il massimo della bel­ lezza. E che dire delle donne cinesi le cui estremità venivano deforma­ te fin dalla più tenera età perché il piede piccolo era considerato molto sensuale? Era una pratica doloro­ sissima che prevedeva la rottura delle ossa e fasciature strettissime per impedire ai piedi di superare i 1O o 12 centimetri. Il piede "fior di loto" era considerato segno di bellezza e distinzione e garantiva il matri­ monio, ma costringeva le donne a camminare barcollando - in equili­ brio precario - impedendo loro qua­ lunque autonomia. L'ingresso della donna nel mondo del lavoro ha stravolto tutto: scompaiono i La modella Twiggy.

Anna Maria lsastia ha insegnato Storia del Risorgimento e Storia contempora­ nea alla Sapienza Università di Roma. È stata presidente nazionale del Sorop­ timist lnternational d'Italia e attualmente è presidente della Fondazione Soropti­ mist club di Roma. È condirettrice della collana "La memoria e le fonti. Identità e socialità", segretaria nazionale della Società italiana di storia militare (Sism), consigliera nazionale dell'Anrp (As­ sociazione nazionale reduci dalla pri­ gionia, dai campi di concentramento e dalla guerra di liberazione). Scrittrice e conferenziera ha oltre 250 pubblicazioni scientifiche tra cui 16 monografie e 18 curatele. "Il volontariato militare nel Risorgimento. La partecipazione alla guerra del 1859", USSME, 1990; "Soldati e cittadini. Cento anni di Forze ar­ mate in Italia", SMD, 2000; "L'Unità delle donne: il loro contributo nel Risorgimento 2011"; "Donne in magistratura. L'Associazione Donne Magistrato Italiane", 2013; "Una rete di donne nel mondo. Soroptimist lnternational, un secolo di storia (1921- 2021)", 2021. busti sostituiti da abiti morbidi che la­ sciano liberi i movimenti e cambiano i canoni della bellezza. La donna degli anni 1920-1925 è sottile, scattante, indossa abiti corti e porta i capelli alla "maschietta", cioè corti- una vera rivo­ luzione -, ma la magrezza non piace al fascismo che combatte le immagini di esili e flessuose modelle ritratte da artisti famosi e le sostituisce con don­ ne formose, abbronzate e muscolose: corpi giovani e sani che devono dare figli alla Patria. Ancora, negli anni Cin­ quanta, trionfa l'immagine della donna con fianchi e seni prosperosi che se­ gna la fortuna di attrici come Sofia Lo­ ren e Gina Lollobrigida, sostituite però, alla fine degli anni Sessanta, da donne magrissime come l'attrice Audrey Hepburn e la modella Twiggy, una specie di bambola con occhi incredibilmente grandi e truccatissimi che diventa la musa di Mary Quant che esporta in tutto il mondo l'immagine di una donna androgina e adolescenziale con collant e minigonna. L'immaginario femminile e il desi­ derio maschile hanno contribuito a condizionare potentemente la don­ na da un lontano passato al presente. Dovremmo convincerci che "bel­ lezza" è stare bene con noi stessi e non rincorrere le mode, che cambiano continuamente.

Mary Quant in minigonna, 1966.



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LE GUERRE CAMBIANO

Gli hacktivisti, la realtà virtuale e gli ologrammi in 30


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C'è chi ha paragonato la guerra in Ucraina alla Prima Guerra Mondia­ le, ricordando i soldati di entrambi gli schieramenti nelle trincee fangose, in una snervante guerra di posizione; chi invece ha evocato le manovre e le battaglie campali fra carri armati e blindati come nella Seconda Guerra Mondiale; chi ancora l'ha definita un "nuovo" tipo di guerra, dove è mas­ siccio l'impiego dei missili e dei droni rispetto al fattore umano. Tutto vero e condivisibile: in quest'anno di guer­ ra abbiamo rivisto, dopo oltre un se­ colo, scavare sul suolo europeo de­ cine di chilometri di trincee; abbiamo assistito alla ricomparsa e all'impor­ tanza del carro armato, quando i più lo ritenevano uno "strumento" ormai superato negli attuali conflitti; e stia­ mo assistendo, negli ultimi mesi, a un massiccio uso di missili ipersoni­ ci e droni. Ma questa guerra non si consuma solo nei campi e nei cieli: forse, questa volta, stiamo assi­ stendo al primo conflitto informati­ co-virtuale della storia, combattuto dai civili utilizzando una tastiera e attraverso i social, mentre i solda­ ti si addestrano grazie alla realtà virtuale e i leader si fanno "teletra­ sportare" in 3 Dimensioni. KILLNET E L'ESERCITO INFORMATICO DELL'UCRAINA, LA CREAZIONE DEL CONSENSO Mosca ha sparato i primi colpi di­ verse ore prima dell'inizio dell'in­ vasione di terra con ripetuti at­ tacchi DDoS (Distributed Denial of Service) e un'arma informatica costituita da un malware trojan horse wiper, per tentare di mette­ re fuori uso la connettività Internet e paralizzare i centri di comando e controllo dell'Ucraina. La difesa ucraina è stata però rapida nel riversare la propria infrastrut­ tura digitale nel cloud pubblico, dove è stata ospita­ ta in centri dati in tutta Europa. Mentre la Rus­ sia lanciava la sua in­ vasione sul campo, anche i modem della rete KA-SAT dell'operatore satellitare Viasat in

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Europa sono stati disabilitati da un attacco informatico. L'Ucraina ha collaborato con molte azien­ de tecnologiche internazionali, come Cloudflare e Microsoft, per cercare di costruire la resilienza dei propri sistemi e crittografie. Il gruppo hacker Anonymous ha rapidamente dichiarato guerra in­ formatica al governo russo, il cui Centro di coordinamento nazio­ nale per gli incidenti informatici (NCCC), creato dall'FSB (Servi­ zio di sicurezza federale russo), ha classificato il livello di minac­ cia come "critico", poiché sono stati segnalati guasti alle risorse del Ministero della Difesa e ai siti web del Cremlino, del governo,

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dei parlamenti e di parti dell'a­ genzia di stampa Russia Today. I gruppi di hacktivisti di entrambi gli schieramenti, come l'Esercito Informatico dell'Ucraina oppure i filorussi di Killnet - non certo su­ per esperti informatici come gli hacker di Anonymous - contano centinaia di migliaia di membri, ed i loro attacchi cibernetici hanno lo scopo principale di "agitare" la rete: il modello di mobilitazione è quello delle "milizie" informatiche sorte negli ultimi mesi di conflitto, che radunano normali utilizzatori di internet per postare "meme" di propaganda e scaricare semplici script di hacking fai-da-te. Killnet, il gruppo filo-Cremlino, ha inizian. 6/2023 I Rivista Militare

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to a lanciare attacchi informatici alle reti ucraine e occidentali ma gli hacker russi non sembrano particolarmente esperti e il grup­ po conduce quasi esclusivamen­ te campagne DDoS (Distributed Denial of Service) semplici, pub­ blicando sui suoi canali di social media semplici script che i suoi seguaci possono utilizzare. L'attacco del gruppo agli ospeda-

li statunitensi a febbraio è durato solo sei minuti; un attacco più im­ pressionante in L ettonia è riuscito a interrompere le trasmissioni pub­ bliche per mezza giornata. Eppure Killnet ha trasformato la sua atti­ vità bellica in quasi 2.000 membri dichiarati, oltre 50.000 fan iscritti ai suoi canali su Telegram. Poi c'è l'autoproclamato Esercito IT dell'U­ craina, che ha raggiunto un picco di

Tweet Mykhailo Fedorov

@FedorovMykhailo

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We are creating an IT army. We need digitai talents. AII operational tasks will be given here: t. me /itarmyofurraine. There will be tasks for everyone. We continue to fight on the cyber front. The first task is on the channel for cyber specialists. t.me 1T ARMY of Ukraine You can view and join @itarmyofurraine right away.

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400.000 membri dichiarati da tutto il mondo. Ufficialmente indipenden­ te dal governo di Kiev, l'Esercito IT è nato con il sostegno di aziende tecnologiche ucraine, e potrebbe avere uno zoccolo duro di persona­ le ucraino della difesa e dell'intelli­ gence. Tuttavia, l'impatto maggiore di questo "esercito" è stato - come Killnet - quello di sfruttare i social media per creare una comunità locale e internazionale di sosteni­ tori della rispettiva causa. L'atto di condurre collettivamente attacchi informatici relativamente semplici costruisce e rafforza la comunità, fornendo qualcosa attorno a cui ra­ dunare e galvanizzare gli opposti sostenitori. L'effetto principale è po­ litico e internazionale perché questi gruppi aiutano a costruire una co­ munità di sostegno e a plasmare la narrazione del conflitto per il pubbli­ co nazionale e internazionale. REALTÀ VIRTUALE (VR) L'Esercito ucraino utilizza anche sistemi di addestramento in realtà virtuale (VR) per simulare scena-

Rivista Militare I n. 6/2023

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ri di combattimento e addestrare i soldati a tattiche e nuove procedu­ re. Questo tipo di addestramento permette ai soldati di esercitarsi in un ambiente sicuro e control­ lato prima di schierarsi in prima linea. Vrgineers ha donato uno dei suoi "Reconfigurable Portable Trainers" (https://vrgineers.com/ portable-trainer/), un addestratore di piloti che utilizza la realtà virtua­ le, all'Aeronautica militare ucraina per contribuire alla sicurezza dello spazio aereo attraverso l'addestra­ mento di tattiche e prove di missio­ ne. I simulatori di addestramento di Vrgineers sono sviluppati in stretta collaborazione con l'USAF per ac­ celerare l'addestramento dei piloti e aumentare la preparazione. Gli addestratori possono essere impiegati in qualsiasi momento ed essere interconnessi con altri per l'addestramento di gruppo o com­ pleto. I simulatori sono già integrati con generatori di immagini come

Perpar3D, X-Piane, VBS 4 o MCS. I diversi simulatori includono vari livelli di replica della cabina di pilotaggio; il Portable Trainerè dotato di accelera­ tore, stick, timone e sedile regolabile. 3D Nel giugno 2022 Volodymyr Ze­ lensky si è presentato al Founders Forum, un evento tecnologico an­ nuale, con una trasmissione olo­ grafica in 30, grazie alla tecnologia olografica di ARHT Media (https:// www.arht.tech/) chiedendo ad im­ prenditori tecnologici, investitori e leader aziendali di donare risorse finanziarie e tecnologiche per ini­ ziare la ricostruzione dell'Ucraina. Nei mesi successivi è apparso, sem­ pre attraverso il suo ologramma, ad altre sette importanti conferenze tecnologiche, raggiungendo una platea di quasi 200mila persone. Nel 2019ARHT ha venduto la sua tee-

nologia di acquisizione e visualizzazio­ ne ad un cliente ucraino e la prima per­ sona a cui hanno fatto un ologramma è stato il Presidente Zelensky. L'azienda offre anche soluzio­ ni militari (https://www.arht.tech/ verticals/institutions/military/) nei settori della formazione e adde­ stramento (formazione realistica di persona in più siti contempo­ raneamente o in sedi remote, ri­ sparmiando tempo prezioso per gli istruttori e riducendo il budget per i viaggi) comunicazioni all'avan­ guardia (condurre briefing e parte­ cipare a riunioni senza lasciare la sede, trasportando gli esperti della difesa in qualsiasi ambiente di ad­ destramento, dalla sala operatoria di un ospedale militare da campo, a un impianto di manutenzione di veicoli blindati o di aerei), ed an­ che per migliorare il morale dei soldati (avvicinare il soldato alla sua famiglia mentre è schierato in qualsiasi parte del mondo).


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LA GUERRA E LA PACE Ernst JUnger, un protagonista del '900


Ernst Junger nasce ad Heidelberg, nella Germania sud-occidenta­ le, nel 1895. Fu uno dei maggiori scrittori ed analisti militari tedeschi del '900, ma anche naturalista ed entomologo. Personalità sfaccet­ tata e complessa, spirito acuto e intraprendente, nel 1913 fugge di casa e si arruola nella Legione Straniera; solo l'intervento del pa­ dre presso l'ambasciatore tedesco in Algeria servì a riportarlo in Ger­ mania. Due anni dopo si arruola di nuovo volontario, ma questa volta nell'Esercito tedesco allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L'esperienza della guerra mondiale fu decisiva nella sua formazione. Nelle sue opere, romanzi e diari di guerra, si definisce sempre meglio la sua dottrina militare, ma anche il contesto spirituale e, in ultima istanza, politico in cui si inserisce la sua vicenda. Fu uno degli esponen­ ti della cosiddetta "rivoluzione con­ servatrice" tedesca dell'immediato primo dopoguerra (con Thomas Mann, Oswald Spengler, Cari Sch­ mitt ecc.); negli anni '20 fu vicino ai movimenti nazionalisti tedeschi più radicali, su posizioni però più con­ trarie alla Repubblica di Weimar, che al comunismo che pure aveva trionfato in Russia e cresceva in Europa. Negli anni '30 non aderì mai al nazismo e, anzi, nel corso degli anni prese sempre più le di­ stanze; nella Seconda Guerra Mon­ diale fu Ufficiale della Wehrmacht, particolarmente nel drammatico periodo dell'occupazione di Parigi; vicino alla resistenza antihitleriana entro l'Esercito tedesco, per que­ sto, pur fregiato con l'Ordine "Pour le Mérite", maggiore onorificenza militare tedesca, nel 1944 fu con­ gedato perché ritenuto "indegno del servizio militare". In questo breve saggio vorremmo approfondire l'originario definirsi del­ la dottrina militare di Junger, frutto di un'esperienza personale particolar­ mente intensa durante gli intermina­ bili mesi delle battaglie di Verdun, al confine fra Germania e Francia. Nel saggio del novembre 1920 "Ab­ bozzo di una moderna conduzione del combattimento" Junger faceva il punto proprio sulle novità evidenzian. 6/2023 I Rivista Militare

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te dalla guerra appena conclusa. Esordiva in modo apodittico: "la guerra è il più duro dei mestieri, il costo del tirocinio si paga con la carne e con la vita". Nei mesi e negli anni del conflitto mondiale aveva imparato che la guerra era cambiata, non era più quella ve­ tero-moderna dell'800 e dei primi del 1900. Si era trasformata in una "guerra totale", in cui il personale e il pubblico, l'economia e la politi­ ca, il fronte e le retrovie, il militare ed il civile si giustapponevano in un immane processo di "mobilita­ zione totale". Di certo era divenu­ to impossibile il ritorno alla guerra moderna "classica", non c'era più spazio per gli "eccessi formali della rigida forma di addestramento tipi-

ca dell'epoca precedente la guer­ ra". Lo straordinario sviluppo della tecnica, anche in campo militare, aveva cambiato tutto: "macchine e materiali hanno raggiunto un peso soverchiante e conferiscono alla battaglia la sua impronta sempre più spaventosa". Era appunto il trionfo della "macchi­ na" sull'individuo, del quantitativo sul qualitativo. Questo imponeva al soldato, alla sua formazione e uti­ lizzazione sul campo, di cambiare. Non bastavano più "il coraggio fede­ riciano e l'antico spirito prussiano", decisivo era ormai "l'addestramento scientifico nell'uso dei mezzi tecnici". Con la cosiddetta "guerra di ma­ teriali" erano cambiate di conse­ guenza anche tattiche e strategie. Non più grandi masse riversate all'assalto, ma "schiere elitarie" coese e specializzate, perché "se la truppa è relativamen­ te piccola, il suo spirito può compiere prodigi". Le nuove condizio­ ni di combattimen­ to "costringevano ad abbandonare la strada e a rompere le formazioni. Disporsi in colonna, sviluppare una li­ nea di difesa è or­ mai inopportuno". Bisognava passare ad una condi­ zione e conduzio­ ne dello scontro per "piccoli gruppi dispersi che, formando unità di combattimento serrate in sé, si scagliano in serie o in massa, verso l'obiettivo". Chiunque abbia presente l'odierna riflessione sullo swarming warfare può, con la sorveglianza critica del caso, istituire paralleli, trovare spunti, dare profondità

all'analisi ed al discorso. Tanto più che a Junger, già all'inizio del se­ condo decennio del '900, era chiaro che "il fronte che così si costituisce è sconnesso, aggrovigliato; asso­ lutamente non lineare, bensì pro­ fondamente digradante". In queste condizioni velocità e movimento risultavano decisivi: "è auspicabile un assalto il più possibile rapido, per evitare il completo pietrificarsi della battaglia". Il che per altro non escludeva affatto la guerra di po­ sizione. Proprio nella zona opera­ tiva di Junger, i dintorni di Ypern, in Belgio, nell'autunno 1914 gli assalti tedeschi verso Ovest era­ no stati respinti, determinando una lunga stabilizzazione e proprio in queste condizioni diveniva tanto più importante l'azione di piccoli gruppi, coesi e mobili. "L'attacco frontale", scriveva Junger, è an­ cora necessario, anche se "il suo obiettivo è concentrare l'azione contro un punto chiave della po­ stazione nemica", mai più cioè at­ tacchi in linea, ma massima con­ vergenza su un fuoco ed intensità. Proprio a questo riguardo scriveva ne "La tecnica nel combattimento futuro" dell'ottobre 1921: lo svilup­ po tecnologico importa immediata­ mente modifica del warfare perché "sempre maggiore è l'importanza che si dà al proposito di racco­ gliere la forza più intensa in uno spazio ridotto"; ormai "un tank o un carro armato munito di mitragliatri­ ci e cannoni vale una compagnia". Parole profetiche, significative ed illuminanti ancor oggi: "quanto maggiore sarà l'importanza della tecnica, tanto più diminuirà il signi­ ficato del territorio, tanto maggiore sarà l'urgenza di dotarsi di mecca­ nizzazione e di uno schema auto­ matico, come abbiamo visto negli ultimi anni di guerra". E ancora: "gli attori dello scontro, in conse­ guenza dell'aumentata efficacia delle armi, si allontaneranno in mi­ sura crescenti gli uni dall'altri"; di­ latazione degli spazi, ma concentrazione di potenza (per questo parla di "battaglia di elevatis­ simo scaglionamento"). È la tecnica a rendere possibile tutto ciò.


"Guerra di posizione" certo, ma che senso ha in una condizione in cui "diminuisce il significato del territorio"? Problemi inediti ed inusitati. Il punto è che attacco e difesa, estensione ed intensi­ tà, posizione e movimento erano destinati a cambiare significato, a determinare articolati "campi di forze" dove le vecchie categorie, rigide e formalizzate, avrebbero rivelato presto tutta la loro obso­ lescenza. Di certo però trovare una sintesi e trovarla nel fuoco della battaglia era qualcosa che non si sarebbe mai imparato sui libri, restava un' "arte" connatura­ ta "all'innato istinto al comando". La conclusione era che una "tattica nuova" s'imponeva dopo la guerra mondiale. Nel celebre "La battaglia di materiale", del gennaio 1925, Junger parla della necessità di "ren­ dere mobile la pura massa", cioè di rendere mobile l'immobile, contem­ perare movimento e posizione. Una circolarità di modi e pratiche decisivo nella guerra futura. Jung­ er parlava di "macchine ruotanti e masse mobili", non poi così distanti dalle odierne "loitering munitions". Può essere interessante conclu­ dere con un testo tardo di Ernst Junger. Nel 1979 egli tornò infatti a Verdun. Insieme allo scrittore francese Henri Amblard, anch'e­ gli sopravvissuto alla battaglia, commemorarono tutte le vittime dell'immane massacro. Il discor­ so di Junger fu del tutto scevro di ogni residuo del giovanile bellici­ smo, per lasciare spazio solo ad un'analisi al solito acuta, che con­ cludeva con la convinzione che il '900 della "guerra totale" doveva considerarsi definitivamente chiu­ so. Era finita cioè l'epoca di una forma di ostilità che non poteva che concludere con la distruzione di tutte le parti in combattimen­ to. Perché "il fuoco non minaccia più di annientare questo o quello, bensì tanto l'amico quanto il ne­ mico". Due guerre mondiali e le atomiche giapponesi stavano a dimostrarlo. Di conseguenza su­ perare la logica della "guerra to­ tale" significava riscoprire "quella verità secondo cui l'uomo è misu-

Fabio Vander, laureato in filosofia e scienze politiche, lavora presso il Senato della Re­ pubblica. F ra i suoi libri di argomento militare: "Metafisica della guerra" (Milano, 1995); "Kant, Schmitt e la guerra preventiva" (Roma, 2004); "Posizione e movimento. Pensiero strategico e politico della Grande Guerra" (Milano, 2013).

ra di tutte le cose". L'"uomo", non il "materiale". Una nuova stagione dopo il seco­ lo dei totalitarismi era possibile. Ma per questo era indispensabile riscoprire il senso della civiltà e della politica, non più della "guerra di annientamento". Si deve torna­ re ad essere "adversaire, qualora le circostanze lo richiedano, non ennemi. Agon e non polemos". Nel 1993 il presidente francese François Mitterand e il cancelliere tedesco Hulmut Kohl andarono in­ sieme a trovare uno Junger ormai quasi centenario nella sua casa di Wilflingen. Il riconoscimento e il tributo ad un grande scrittore, ma anche la sanzione della fine di un'epoca. Un'epoca di odi, incomprensioni, razzismi, guerre sangui­ nose. Un'epoca di cui Junger fu, prima che te­ stimone, acuto e sofferto protagonista. BIBLIOGRAFIA Junger E., Abbozzo di una moderna con­ duzione del combat­ timento, La tecnica nel combattimento futuro, La battaglia di materiale in Junger E., Scritti politici e di guerra: 1919-1933, LEG, Gorizia, 20032005, Voli. 3. Junger E., Di­ scorso di Verdun, in Junger F.G., Junger E., Guerra e Guerrieri (a cura di Guerri M.), Mimesis, Mi­ lano, 2012.


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SIATE LO STANDARD CHE GLI ALTRI DEVONO SEGUIRE Intervista al Gen. Nick Borton, Comandante di ARRC UK


Lieutenant Generai Sir Nick Borton KCB DSO MBE Commander Allied Rapid Reaction Corps Il Generale CA Sir Nick Borton si è arruolato nel 1991 nei Royal Highland Fusiliers prestando servizio con il battaglione fucilieri nel Regno Unito, Belize, Bosnia, Irlanda del Nord, Cipro e Iraq. È stato istruttore presso la Jungle Walfare School in Brunei e Assistente Militare del Capo di Stato Maggiore dell'Esercito. Ha comandato il Royal Regiment of Scotland, schierandosi in Afghanistan nel 2008 come parte della 16a Air Assault Brigade, dove ha comandato il Battlegroup No,th West a Musa Qal'eh. Per questo mandato è stato insignito del OSO (Distinguished Service Order). Ha completato il periodo da Colonnello presso lo Stato Maggiore dell'Esercito. Nominato Generale di Brigata, ha comandato la 16a Air Assault Brigade dal 2013 al 2015, e, successivamente, ha svolto l'incarico di Capo delle Operazioni (militari) presso la Direzione delle Operazioni del Ministero della Difesa. Promosso Generale di Divisione ha comandato la 3rd (UK) Division dal 2016 al 2018 prima di ricoprire l'incarico di Capo di Stato Maggiore delle Operazioni presso il Comando Congiunto Permanente dal 2019 al 2021. Successivamente è stato promosso al grado di Generale CA e ha assunto il comando dell'Allied Rapid Reaction Corps nel dicembre 2021. È stato nominato Cavaliere Comandante dell'Ordine nel 2023, Colonnello del Royal Regiment of Scotland e Colonnello Comandante dell'Army Air Corps. È sposato con Amanda e hanno due figlie. Signor Generale, in qualità di Comandante di un Co­ mando di reazione rapida della NATO di così alto li­ vello, come vive l'improvviso cambio di scenario che da poco più di un anno ha riportato l'Europa, e forse il mondo intero, in un'atmosfera da Guerra Fredda? La guerra in Ucraina continua a dominare il panorama ge­ opolitico e noi militari continuiamo a trovarci al centro del dibattito nazionale sulla sicurezza globale. L'aggressione della Russia ha affinato la nostra attenzione verso la dife­ sa alleata, in un modo mai visto nella nostra storia recente. Questo ha di fatto avvicinato tutti i Comandanti dei Corpi d'Armata alleati, evidenziando la necessità di una piani­ ficazione dettagliata per la difesa dell'Alleanza, al fine di garantire la protezione dei nostri territori. Come risultato di questo conflitto, un nuovo meccanismo di difesa della NATO (NATO New Force Model) è adesso in fase di completamento: questo nuovo modello vedrà sia una maggiore prontezza operativa che la creazione di nuovi piani difensivi che parleranno cambiamenti signifi­ cativi nel modo in cui affrontiamo la deterrenza strategica. Gli scenari di combattimento in Ucraina mostrano l'utilizzo, oltre che dei sistemi d'arma più tradiziona­ li, anche di assetti che si sono rivelati determinanti come droni, munizioni vaganti, sistemi senza pilo­ ta, App e sistemi Cyber. Anche la comunicazione e i media sembrano avere un effettivo ruolo attivo nel conflitto dove la propaganda e le fake news, in par­ ticolare, condizionano lo sforzo bellico attraverso le proprie narrazioni. Che tipo di "miglioramenti" devo­ no essere apportati nell'addestramento ed equipag­ giamento delle unità per affrontare tutto questo? Un maggiore accesso all'intelligence "open-source" ha permesso a tutti noi di osservare lo svolgersi di questa guerra in Europa in tempo reale. È chiaro che la natura della guerra non è cambiata, e gli eventi recenti ci stan­ no duramente ricordando quanta violenza e caos sono intrinsecamente coinvolti nei conflitti armati. In molti casi, alcune di queste lezioni non sono nuove: l'arliglieria è

ancora il dio della guerra, i carri armati e le corazze con­ tano ancora, gli ostacoli sono ancora ostacoli, il camuf­ famento e l'occultamento sono ancora essenziali, e sca­ vare trincee salva ancora vite. Dall'Ucraina forse stiamo reimparando molto di ciò che avevamo dimenticato sulla guerra terrestre tra Stati. In una guerra di aggressione e di conquista ci viene ricordata la centralità del dominio terrestre. I progressi tecnologici nell'Intelligenza Artificiale e nel machine learning, insieme all'uso di nuove tecniche di raccolta di informazioni, hanno richiesto un nuovo ap­ proccio al modo in cui gestiamo, elaboriamo e utilizzia­ mo i dati. In quella che alcuni chiamano un'era di "Data Centric Walfare", la capacità di condurre targeting di pre­ cisione a ritmo sostenuto è di vitale imporlanza. In Ucrai­ na, abbiamo visto che quando questa capacità è unita a quella di condurre attacchi di precisione in profondità, i risultati sono letali e decisivi, costringendo le forze avver­ sarie ad adattarsi. Come Corpo d'Armata, la nostra sfida è incentrata sul convergere coerentemente gli effetti af­ ferii dalle tecnologie operanti in tutti i domini, compreso quello dei sistemi informatici e informativi. L'integrazione multi-dominio rimane un indicatore chiave per il futuro e qualcosa che il mio Comando continua a esplorare attra­ verso l'innovazione e la sperimentazione. L'interoperabilità rimane sempre un obiettivo chiave dei nostri impegni ad ARRC e in tutta l'Alleanza. Lo abbia­ mo dimostrato attraverso recenti esercitazioni complesse come la Dynamic Front, mirata a sincronizzare e inte­ grare effetti multi-dominio e targeting in un arlicolato am­ biente multinazionale. Inoltre, qui ad ARRC manteniamo strette le collaborazioni addestrative e operative con i nostri amici di NRDC-ITA: negli anni abbiamo maturato un rappo,to molto folte, dal quale tutti impariamo molto. Come nelle guerre mondiali, ancora una volta ci troviamo a osservare come l'esito della guerra può essere crude­ mente determinato dalla nostra capacità di rigenerare mezzi e materiali - mantenendo sufficienti scorte - attra­ verso l'industrializzazione dei Paesi. Infatti, benchè tutti possiamo beneficiare dall'impiego delle ultime tecnologie sul campo di battaglia, sussiste una questione di scala in gioco.

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Nella sua carriera ha ricoperto molti incarichi, anche in luoghi piuttosto "caldi" come l'Iraq, l'Afghanistan, il Belize e l'Irlanda del Nord. C'è una lezione appresa in particolare, che ritiene fondamentale per svolgere al meglio il suo deli­ cato ruolo? Nella mia esperienza, ho scoperto che gli insegna­ menti riguardanti la costante "Natura della guerra" e il mutevole "Carattere della guerra" rimangono vali­ di. Abbiamo subito un'altra dura conferma del caos e della viscerale brutalità insiti nei conflitti armati tra Stati nazionali. La velocità e il ritmo dell'azione sono fondamentali per l'approccio manovriero alla guerra: non dobbiamo necessariamente superare in astuzia il nemico, ma spesso dobbiamo solo essere in grado di orientarci, decidere ed eseguire più velocemente del nemico per vincere la battaglia decisiva. La com­ ponente morale della guerra è ancora dominante ri­ spetto alle componenti fisiche e concettuali. Come ci ha ricordato il conflitto ucraino, lo spirito combattivo e la volontà di continuare a lottare per conquistare e difendere terreno restano elementi fondamentali. Il morale del soldato si è dimostrato vitale nel corso della storia e, ne sono certo, continuerà a essere decisivo anche nelle guerre future. La tradizione militare del suo Paese ha profonde radici nella storia. In una fase di crisi come quel­ la attuale, segnata anche da tante ansie e preoc­ cupazioni per il prossimo futuro, trova maggiore coesione ed empatia tra la popolazione civile e i suoi soldati?

La guerra genera spontaneamente empatia per i sol­ dati da parte della popolazione civile. Empatia che rafforza i già forti legami che gli Eserciti di entrambi i nostri Paesi hanno con le rispettive controparti civili. Siamo orgogliosi di servire le nostre Nazioni e le no­ stre comunità, e siamo molto grati per il meraviglioso sostegno che continuiamo a ricevere dai nostri popoli. Da Comandante ed Ufficiale esperto, cosa consi­ glia alle nuove generazioni in divisa che si trova­ no a vivere questi cambiamenti epocali in una del­ le più gravi crisi internazionali degli ultimi tempi? Inviterei le nuove generazioni a conoscere e capire la no­ stra storia, perché questa tende spesso a ripetersi. Molte cose cambiano, ma i principi fondamentali della guerra che hanno resistito alla prova del tempo per centinaia di anni restano ancora validi. In secondo luogo, le tradizioni militari hanno un'imporlan­ za significativa e sono una fo,za vincolante all'interno dei nostri Eserciti. Tre cose spronano i Soldati a combattere: la tradizione, l'addestramento e il commilitone. Quindi invito le nuove generazioni di Soldati a fare tutto il possibile per favorire il lavoro di squadra e lo spirito di corpo. Te,zo, una buona leadership rappresenta ancora il veico­ lo del successo. La NATO cresce Ufficiali ben addestrati e ben istruiti che comprendono l'imporlanza della leadership, che alla fine rappresenta un elemento chiave per vincere le guerre. Conducete dal fronte e siate parlatori di Speranza. Infine, siate sempre orgogliosi di quello che fate e dell'u­ niforme che indossate. Fomite sempre il miglior esem­ pio e fatelo per i vostri soldati. Siate lo standard che gli altri devono seguire.



"LA COMINA"

Il precursore dei progetti "verdi'' dell'Esercito Da anni la Difesa approccia in manie­ ra propositiva alle problematiche am­ bientali con svariati progetti; l'Eserci­ to ha così avviato un programma di ammodernamento e rinnovamento del proprio parco infrastrutturale, "Caserme Verdi", per ripristinare edifici esistenti e realizzare nuove costruzioni più aderenti alle attuali esigenze dei reparti. Così, per 26 caserme, è stato deciso di costruire basi militari di nuova ge­ nerazione, efficienti e funzionali, con aree aperte anche alla collettività, concependo la caserma come uno spazio aperto alla città e contenitore anche di pubblici servizi. "La Comina" in San Quirino (PN), sarà la prima infrastruttura "verde". Un'area di 86 ettari, che ospiterà il Comando della Brigata corazzata "Ariete" e il suo Reparto Comando, attualmente dislocati presso la ca­ serma "Mittica", che sarà ceduta. L'idea è quella di creare un nuovo comprensorio militare, al di fuori del centro abitato, con basso im-

patto sul contesto cittadino. È stata avviata la fase di progettazio­ ne e il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, massimo organo tecnico consultivo dello Stato, ha rilasciato il parere favorevole al progetto agli inizi dell'anno. Attualmente si sta ultimando il progetto definitivo, che sarà sottopo­ sto alla Regione per la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA). Fin dalla prima fase, grazie anche al Building lnformation Modeling, è stato valutato l'impatto dell'opera dal pun­ to di vista ambientale ed economico, analizzando caratteristiche costruttive e funzionali di ogni singolo edificio. Il nuovo comprensorio sarà diviso in aree funzionali (comando, logisti­ ca, alloggiativa, sportivo-ricreativa, addestrativa), permettendo di se­ parare agevolmente le zone riser­ vate al personale militare da quelle aperte alla collettività. Sul lato sud, le due aree che sono aperte alla collettività: l'area alloggia­ tiva, composta da due edifici destinati al personale, e l'area sportivo-ricrea-

tiva, che rappresenta il punto di forza del complesso. Oltre alla piscina co­ perta già esistente e che sarà oggetto di riqualificazione, saranno realizzati una palestra, cinque campi sportivi, un asilo nido, una chiesa, un locale pizzeria, alcuni spazi commerciali e una nuova tribuna a servizio del cam­ po da calcio e della pista di atletica. Proseguendo verso nord, oltre all'a­ rea comando, si trova l'area logisti­ ca, con tutte le funzioni di supporto alle attività dei reparti militari: mensa, infermeria, officina, armeria, riser­ vetta munizioni, deposito carburanti, isola ecologica, piani lavaggio e au­ torimesse per i mezzi. Essendo l'a­ rea logistica la più estesa in termini di superficie coperta, sarà destinata ad ospitare il parco fotovoltaico per la produzione di energia elettrica a servizio del comprensorio. Anche l'area addestrativa vi farà parte e, oltre al poligono di tiro in galleria (già esistente), ospiterà due torri di ardimento, il circuito gin­ nico, sportivo militare, un'area per


l'addestramento al combattimento nei centri abitati, una pista per la guida off-road e altre per i carri. L'impiantistica di supporto prevede sette pompe di calore polivalenti (riscaldamento invernale e raffre­ scamento estivo), un assorbitore e un cogeneratore. Con questa orga­ nizzazione, assieme al fotovoltaico e al solare termico installato diret­ tamente su alcuni fabbricati, è sta­ to massimizzato il ricorso alle fonti di energia rinnovabile, sfruttando i vantaggi della cogenerazione e tri-generazione (produzione combi­ nata di energia elettrica, termica e frigorifera), per raggiungere l'obiet­ tivo di Nearly Zero Energy Buildin­ gs. I nuovi edifici del comprensorio seguono altresì il protocollo LEED (Leadership in Energy and Environ­ mental Design), ovvero lo standard mondiale più utilizzato per ricono­ scere gli edifici ad alta efficienza energetica e ambientale. I locali di lavoro avranno dispositivi di controllo per la gestione degli im­ pianti (riscaldamento, raffrescamen­ to, ventilazione e illuminazione), tenendo conto di fattori quali la rile­ vazione dell'occupazione e la quali­ tà dell'aria. Insomma, una gestione finalizzata all'ottimizzazione. Il progetto del nuovo comprenso­ rio "La Comina" rappresenta, se non un unicum per l'intero settore infrastrutturale di Forza Armata, un precursore, punto di riferimen­ to per il futuro.

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PER GLI ALLOGGI ' IL FUTURO E "MIRRAAL" 16 abitazioni di ultima generazione, moderne, modulari e sostenibili

Si scrive MIRRAAL e si legge alloggi militari di nuova generazione. Un'in­ novazione nell'edilizia dell'Esercito, in nome della rapidità, replicabilità e del green. Acronimo di "Modulo Infrastrut­ turale per la Rapida Realizzazione di Alloggi e Ambienti di Lavoro", MIRRA­ AL apre un'era tutta nuova nella moda­ lità di costruzione di strutture residen­ ziali e lavorative. E alla Cecchignola il futuro è già realtà All'interno della cit­ tadella militare sorgono infatti le nuove palazzine, realizzate dal personale del

6 ° rgt. genio pionieri, e progettate con il supporto del Comando Genio. Il taglio del nastro ha dato anche il via simbolicamente ad un nuovo modo di concepire ed attuare l'edilizia militare. Un format replicabile in altri luoghi, in base alle esigenze di Forza Armata. La cerimonia di inaugurazione si è svolta lunedì 18 settembre, alla presenza delle massime autorità civili e militari. Il Sottosegretario di Stato per la Difesa, Senatrice Isabella Rauti, nel suo inter­ vento ha affermato: "Il Genio dell'E-

sercito, con tutte le sue arlicolazioni, rappresenta un'eccellenza della Dife­ sa e un assetto prezioso per l'intero Sistema-Paese, in grado di intervenire in ogni circostanza in Patria e all'este­ ro, grazie alla sua grande versatilità". Ha poi sottolineato che "è massima l'attenzione del mondo della Difesa e dell'Esercito verso il benessere del personale in servizio; la realizzazione di questi alloggi e l'attenzione posta per i Centri Sporlivi Militari conferma quanto il concetto di benessere del


personale rappresenti una priorità nel­ la famiglia delle Fo,ze Armate". Il Capo di Stato Maggiore dell'Eserci­ to, Generale di Corpo d'Armata Pietro Serino, dopo aver ringraziato tutto il personale che si è prodigato per la re­ alizzazione dell'opera, ha evidenziato che "in realtà è ben più di una palaz­ zina alloggiativa, è un concentrato di tecnologie, un luogo dove abbiamo accumulato esperienza e incremen­ tato le capacità della Fo,za Armata". Presenti alla cerimonia inaugurale: il Sottocapo di SME, Gen. CA Gaeta­ no Zauner, il Comandante delle Forze Operative Terrestri di Supporto, Gen. CA Massimo Scala, il Capo del V Reparto Affari Generali dello SME, Gen. D. Paolo Raudino, il Capo Di­ partimento per le Infrastrutture dell'E­ sercito, Gen. D. Luigi Postiglione, il Comandante del Comando Genio, Gen. D. Gianpaolo Mirra, il quale nel­ la sua relazione ha ripercorso le fasi del progetto, e il Comandante di reg­ gimento, Col. Crescenzo lzzo, che si è soffermato sugli aspetti tecnici, de­ scrivendo le peculiarità delle strutture. Destinati ai militari in servizio, i nuovi alloggi, immersi nel verde, presenta-

no linee moderne, con un'attenzione all'aspetto estetico ed al colore. L'e­ dificio alloggiativo, di pianta rettan­ golare, è costruito su due piani con ascensore, completo di parcheggio e con una superficie di circa 1.200 mq, in grado di ospitare fino a 64 persone all'interno di 16 differenti ap­ partamenti, due dei quali dedicati a persone diversamente abili. Questa modalità di costruzione prevede un effetto moltiplicatore per aumentarne i volumi, in orizzontale, o in verticale, tramite pannelli scorrevoli. Predisposto con l'obiettivo di soddisfa­ re le esigenze alloggiative del perso­ nale dell'Esercito nell'area di Roma, il MIRRAAL è un progetto sperimentale con una molteplice valenza innovativa. Le procedure di costruzione infat­ ti rispondono a criteri di modularità, semplicità e rapidità di realizzazione, sicurezza anti-sismica, basso con­ sumo energetico (Nearly Zero Ener­ gy Building). Il principio green viene concretizzato grazie all'impiego di impianti tecnologici e pannelli fotovol­ taici, e impianti di energia geotermica, flessibili e multifunzionali. La struttura dell'edificio è dunque

progettata per favorire il massimo rispetto dell'ambiente, potenziare il comfort indoor e ridurre il fabbisogno energetico tramite sistemi impianti­ stici volti al riscaldamento invernale, al raffrescamento estivo nonché alla produzione dell'acqua calda sanita­ ria mediante pannelli solari termici. Prevista anche la funzionalità domo­ tica con collegamento Wi-Fi, per ge­ stire da remoto gli impianti. La suddi­ visione degli interni e l'arredamento, moderno e funzionale, realizzati da­ gli architetti, garantiscono un ottimo standard di vivibilità. Con il MIRRA­ AL è stata inoltre sperimentata con successo una nuova modalità pro­ cedurale riguardante l'impostazione ed esecuzione dei lavori. Le strutture sono state concepite per essere re­ alizzate mediante l'impiego di unità del genio, facendo quindi ricorso a manodopera militare. In questa at­ tività, il 6° rgt. genio pionieri è stato affiancato da un'impresa privata per l'esecuzione di interventi specifici, realizzati in job training per far ac­ quisire al personale militare alcune competenze, a completamento della propria preparazione.


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SUL FIANCO SUD-EST DELL'EUROPA Il Multinational Battle Group Bulgaria a guida italiana Il 24 febbraio 2022, dopo mesi di tensioni, le Forze della Fede­ razione russa hanno fatto il loro ingresso in Ucraina dando inizio alla "operazione militare speciale" così come l'ha definita il Presiden­ te Vladimir Putin. In realtà, tale attacco rappresenta l'ultimo atto di un conflitto iniziato de facto già a partire dai primi mesi del 2014 quando, a seguito della destituzio­ ne del Presidente ucraino filorusso Viktor Janukovyc, la Russia decise di annettere in maniera unilaterale la regione della Crimea nel marzo dello stesso anno. A seguito di tale annessione, con il summit NATO di Varsavia del luglio 2016, si decise di rafforzare la presenza militare degli Alleati sul fianco Est dell'Eu­ ropa, con la costituzione, a partire dal 2017, di quattro Battle Group multinazionali, in Estonia, Lettonia, Lituania e Polonia, guidati rispetti­ vamente da Regno Unito, Canada, Germania e Stati Uniti, nell'ambito dell'iniziativa denominata "enhan­ ced Forward Presence". Con l'invasione russa dell'Ucraina,

la NATO ha deciso di istituire, nel­ la prima metà del 2022, la presen­ za di ulteriori quattro Battle Group multinazionali di oltre 1.000 uomini sul fianco Sud-Est europeo a ri­ dosso del Mar Nero, in Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria, rispettivamente guidati dall'Unghe­ ria, dalla Repubblica Ceca, dalla Francia e dall'Italia, avviando l'ope­ razione "enhanced Vigilance Activi­ ty" (eVA). Il Battle Group "Bulgaria" viene costituito il 1 marzo 2022 ed è inizialmente guidato dalla stessa Bulgaria. A partire dalla fine di giu­ gno 2022, l'Esercito Italiano inizia a dispiegare le prime forze presso la Novo Se/o Training Area, una base americana nel distretto di Sliven. Dalla fine di luglio fino alla secon­ da metà di settembre arrivano più di 700 militari italiani, che vedono 1'82 ° reggimento fanteria "Torino", unità di fanteria media della Briga­ ta meccanizzata "Pinerolo", quale reparto framework. Oltre all'82 ° , il Battle Group è costituito da altri as­ setti appartenenti al reggimento lo­ gistico "Pinerolo", 232 ° reggimento

trasmissioni, 7 ° reggimento di dife­ sa CBRN "Cremona", 1 ° reggimen­ to genio guastatori, 17 ° reggimento artiglieria contraerei "Sforzesca", reggimento cavalleggeri guide (19 ° ) e 8° reggimento d'artiglieria "Pasubio". A queste unità si affian­ cano carabinieri e personale dell'A­ eronautica Militare. Da settembre 2022, si sono ag­ giunte agli Stati Uniti, quali membri Battle Group Bulgaria, anche l'Al­ bania, la Grecia, la Macedonia del Nord e la Turchia. Il 17 ottobre 2022, alla presenza del Presidente della Repubblica della Bulgaria, Rumen Radev, si è svol­ ta la cerimonia del trasferimento di autorità all'Italia. "Per la prima vol­ ta - così come anche sottolineato dal Generale Christopher Cavoli, Comandante delle truppe NATO in Europa - c'è stato un trasferimen­ to di autorità tra due Paesi membri dell'Alleanza Atlantica". In Bulgaria sono stati schierati as­ setti da combattimento tra i più pregiati del nostro esercito: il VBM (veicolo blindato medio) "Freccia"


nelle sue tre configurazioni (com­ bat, controcarro e porta mortaio) in dotazione alle unità di fanteria me­ dia, la Blindo Centauro in dotazione alla cavalleria di linea, il VTLM (vei­ colo tattico leggero multiruolo) "Lin­ ce 2", in dotazione alla fanteria leg­ gera. Quest'ultimo è di nuovissima introduzione nella Forza Armata e andrà a sostituire il VTLM nella sua prima versione. Infine, il PzH 2000, obice di artiglieria, come il "Freccia" controcarro e porta mortaio, schie­ rato per la prima volta al di fuori dei confini nazionali. Sin da subito, è stato messo in atto un intenso addestramento con le unità straniere per migliorare il livel­ lo di coesione e di interoperabilità. Tra la fine di ottobre e la metà di dicembre sono state condotte mol­ te esercitazioni a fuoco, ambientate in uno scenario warfighting. Questo ciclo è culminato con l'esercitazione "Strike Back", con il raggiungimento della piena capacità operativa. Nel febbraio di quest'anno 1'82° è stato sostituito dal 7 ° reggimento bersaglieri, un'altra unità della Pi­ nerolo, che ha ceduto, dopo un se­ mestre, il comando al 6 ° reggimento bersaglieri della Brigata "Aosta". L'Operazione "eVA" in Bulgaria è una misura di natura difensiva, pro­ porzionata e pienamente in linea con l'impegno internazionale della NATO che intende rafforzare il principio di deterrenza e difesa dell'Alleanza. La presenza italiana in Bulgaria, ol­ tre a sottolineare il ruolo preminente dell'Italia nello scacchiere internazio­ nale, rappresenta una grandissima opportunità addestrativa per l'Eserci­ to Italiano e per le Forze Armate.


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IL LEONE ALATO IN PUGLIA L'Esercito si addestra davanti al Presidente della Repubblica "Grande apprezzamento per la dimostrazione della capacità operativa sviluppata che è stata esemplare e significativa. L'apprezzamento non è solo per questa manifestazione ma è per l'attività che svolgete

costantemente, per l'impegno e la dedizione all'Italia" sono le parole rivolte dal Presidente della Repub­ blica, Sergio Mattarella, al perso­ nale dell'Esercito impegnato, a fine settembre, nell'esercitazione "Leo-

ne alato 23". In azione in Puglia presso l'idroscalo "Ivo Monti" - oltre 550 militari con 9 elicotteri e 17 im­ barcazioni appartenenti alla Brigata di cavalleria "Pozzuolo del Friuli", alla Brigata aeromobile "Friuli" e al


Comando Aviazione dell'Esercito, con il supporto (anche tecnologico) della locale Brigata meccanizzata "Pinerolo" e del Comando Militare "Puglia". Le unità sul campo hanno dato dimostrazione delle tecniche e delle procedure per condurre un'e­ sfiltrazione di civili. Insieme, costitu­ ivano il complesso minore "Isonzo", su base rgt. lagunari "Serenissima" con il rinforzo di un plotone aeromo­ bile del 66 ° rgt. "Trieste", cui si sono aggiunti un nucleo del genio (11 ° rgt.) e cinofili (un binomio del Centro Militare Veterinario), oltre ad un as­ setto UAV del 41 ° rgt. "Cordenons" e un nucleo Tactical Air Contro! Par­ ty. L'operazione anfibia - recupero ed evacuazione di connazionali non combattenti da un'area di crisi - è stata svolta in uno scenario "fluvia­ le", contraddistinto da ambienti con acque interne o adiacenti al lito-

raie, con tratti di terra e vie di co­ municazione limitate o, addirittura, inesistenti. "Un saluto ai lagunari in trasferta qui, in questa laguna. Sie­ te una specialità formalmente gio­ vane, 72 anni dalla costituzione, in realtà la vostra storia, esperienza e tradizione, nasce tanti secoli fa, dai fanti del mare nel 1200 a Venezia e oggi avete reso onore a questa lun­ ga storia" parole di riconoscimento del Presidente che lasciano il segno in chi l'emblema del "leone marcia­ no" lo veste da anni, operando in ambienti come quelli anfibi, dove all'asprezza del mare si uniscono le inside della terra. Salsedine e vento sulla pelle accompagnano il lungo, costante e attento addestramento che unisce le potenzialità delle nuo­ ve tecnologie alla tempra e al came­ ratismo che i lagunari costruiscono con la fatica e le esperienze comuni.

"La complessa e difficile situazione internazionale comporta che le no­ stre Forze Armate siano sempre pronte a operazioni rapide per l'eva­ cuazione di civili. E l'addestramento è il modo migliore per garantire la sicurezza del nostro personale, del personale civile, come del Paese. Le nostre Forze Armate devono po­ tere e sapere operare insieme e in un ambiente multidominio: dalla ter­ ra al mare, dall'aria allo spazio fino al cyber-spazio", ha commentato il Ministro della Difesa, Guido Croset­ to. Attività complesse che richiedo­ no capacità e dedizione, sottolineate dal Capo di SME, Gen. C.A. Pietro Serino: "oggi abbiamo mostrato (. . .) la capacità dell'Esercito di condur­ re una manovra tridimensionale, manovra che si aggiunge a quella tipicamente terrestre. Esercito che (n.d.r) (. . .) grazie alla disponibilità


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di aree addestrative come quella di Cagnano Varano, prepara i suoi sol­ dati a svolgere in sicurezza i compiti che il Governo ci affida". Un impe­ gno, quello di soccorrere concitta­ dini, che non conosce soste come sottolinea il Grd.Sc. Andrea Cacca­ vale: "addestrarsi e operare in am­ biente anfibio richiede concentrazio-

ne e spirito di adattamento perché le variabili sono sempre tante: maree, vento, stato del mare ... l'addestra­ mento è aderente alla realtà e per­ mette di immergerci nel film. È im­ pegnativo, anche stancante, mesi di preparazione specifica si sommano ad anni di esperienza, ma in una giornata come quella di oggi, con

l'acqua di mare spruzzata dalle pale degli elicotteri che ti schiaffeggia, il rumore che sovrasta i pensieri, I'a­ drenalina in circolo, il compito chiaro in mente e l'orgoglio di avere il Pre­ sidente a pochi passi, tutto diventa ancor più entusiasmante. Capisci, ancor di più, che la scelta che hai fatto è quella giusta".



STUDIARE LA GUERRA IN UN MONDO CHE CAMBIA (PARTE 1)

Il motto della Scuola di Applicazione "Doctrinas bello aptare" (adeguare le dottrine - i modi - alla guerra), oltre ad ammonirci sulla necessità di una continua opera di studio, affinché la nostra dottrina sia adegua­ ta, ci suggerisce che la guerra è la prima fonte di ispi­ razione del cambiamento. Le principali innovazioni del tempo di guerra, infatti, generalmente provengono dal campo di battaglia e, spesso, sono i giovani, talen­ tuosi e appassionati Comandanti che, attraverso la loro esperienza diretta, riescono a proporre le nuove vie. I giovani Ufficiali, appunto, veicolando le loro esperienze attraverso la naturale propensione al cam­ biamento, riescono a suggerire nuovi "modi" per im­ piegare vecchi sistemi d'arma o a intuire come usare i nuovi mezzi messi a disposizione dalla tecnologia (1 ). R. Scales, infatti, citando una celebre affermazione del Gen. Balck ci ricorda che "sono le pallottole a scri­ vere rapidamente le nuove tattiche" (2). Da qui l'incipit di questa analisi: la necessità di studiare come l'inno­ vazione tecnologica stia cambiando il modo di fare la guerra, riflettendo sui principali ammaestramenti che si possono trarre dallo studio dell'impiego dei droni nel conflitto del 2020 in Nagorno Karabakh e, soprat­ tutto, nella guerra russo-ucraina. Il ritorno della guerra in Europa ha fatto sorgere molti interrogativi sulla ne­ cessità di dotarsi di strumenti adeguati per affrontare un nuovo, eventuale, prossimo conflitto: come se le 74

nuove tecnologie avessero cambiato la natura della guerra. Eppure, tale speculazione appartiene alla ca­ tegoria dei problemi mal posti, perché la natura della guerra non cambia. La guerra, infatti, è come un mo­ stro, il famoso camaleonte clausewitziano (3), una sorta di Proteo, che, pur assumendo forme diverse, nella sua vera essenza è sempre uguale a sé stessa. Il ragionamento, quindi, va spostato sulle forme attua­ li assunte dalla "bestia" facendo attenzione a non con­ ferire eccessiva importanza al mezzo con cui essa viene combattuta. In effetti, il ritorno della guerra indu­ striale a elevato contenuto tecnologico potrebbe in­ durre all'errore di focalizzare l'attenzione sulle innova­ zioni tecnologiche che, per quanto importanti, rimangono comunque solo un mezzo. Nel condurre questa analisi è quindi importante concentrarsi sui nuovi "modi" in cui i mezzi vengono utilizzati (4). Da tale studio dovrebbero emergere tre importanti linee d'azione: una, la prima, che afferisce allo sviluppo dottrinale; la seconda, legata all'addestramento delle unità; una terza, strettamente connessa con le prime due e riguardante l'esigenza di adeguare la formazio­ ne degli Ufficiali, ai quali sarà devoluta la responsabi­ lità di gestire il caos dei futuri conflitti. Per necessità di sintesi, in questo articolo l'attenzione verrà posta sulla formazione degli Ufficiali. Sulla base di tali premesse è utile fare alcune considerazioni sulla guerra combat-

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tuta nel 2020 tra Armenia e Azerbaijan nel Nagorno Karabakh, che, dal punto di vista dell'impiego dei dro­ ni, costituisce la premessa, il laboratorio esperienzia­ le dell'attuale conflitto russo-ucraino. Nel 2020, gli azerbaigiani dimostrano di saper impiegare questo mezzo, ormai conosciuto da decenni, in "modi" total­ mente innovativi e finora inesplorati. La via azerbai­ giana alla guerra è incentrata sul Command & Contro! Warfare e si fonda su due assi di sviluppo: il primo, che ha lo scopo di mitigare le proprie debolezze indi­ viduate nella funzione operativa Comando e Controllo e il secondo, che mira a degradare i punti di forza av­ versari, primo tra tutti, la migliore qualità della leader­ ship che nei due precedenti conflitti ha sempre garan­ tito il successo alle armi armene. La flotta stratificata per classe e capacità di droni azerbaigiani viene, quindi, impiegata in maniera integrata per garantire la decision dominance (5), attraverso una capacità di fu­ sione delle informazioni provenienti da tutte le tipolo­ gie di sensori. Tale modalità di impiego è in grado di assicurare una common operational picture costante­ mente aggiornata e una straordinaria compressione della ki/1 chain. Così facendo, la leadership militare di Baku riesce a decidere prima e meglio degli armeni, potendo anticipare sistematicamente il nemico, spez­ zando il suo ciclo decisionale (6) guadagnando un vantaggio cognitivo incrementale. Al contempo, gli stessi assetti vengono usati per rintracciare e colpire sistematicamente dall'alto, anche attraverso l'impiego sinergico con loitering munition, i centri nodali della struttura di Comando e Controllo armena, che, una volta decapitata, lascia il resto della struttura paraliz­ zata e, come un corpo esanime, alla mercé delle forze avversarie. Gli azerbaigiani aprono la strada a un nuovo modo di fare la guerra che prevede l'impiego di vecchi sistemi d'arma ma in maniera innovativa e co­ ordinata attraverso una serie di combined arms te­ ams, fatti di droni e munizioni orbitanti. Veniamo ora all'uso dei droni nella guerra russo-ucraina; il tratto distintivo che emerge da subito è la capacità ucraina di integrare una serie di droni di diverse classi, tipolo­ gia e derivazione, soprattutto commerciale, in pac­ chetti di forze orientati alla ricognizione e all'azione cinetica. Gli ucraini creano la cosiddetta "mosquito air farce", basata essenzialmente su droni commerciali e

immediatamente impiegata in maniera sinergica con i tradizionali assetti usati per la ricognizione, la mano­ vra e l'ingaggio attraverso la terza dimensione in sup­ porto alle forze terrestri (7). L'elemento di continuità con il Nagorno Karabakh è la caccia ai Posti Coman­ do, anche in questo caso, infatti, gli High Pay-off Tar­ get (HPT) sono i Posti Comando russi, principale pre­ da della capacità d'ingaggio ucraina (8). Per gli scopi dell'analisi condotta, l'aspetto più rilevante è la capa­ cità ucraina di creare zone di ingaggio persistenti con­ traddistinte da una elevata precisione, grazie all'im­ piego coordinato di droni, loitering munition e il fuoco di precisione in profondità. Quindi, pur muovendo dal­ le lezioni apprese nel conflitto caucasico, i pensatori militari ucraini, grazie all'intuito e a geniale originalità, riescono a fare un salto quantico passando da un uti­ lizzo innovativo di droni militari a quello a massa di droni commerciali integrati con gli altri assetti aerotat­ tici. Il tutto soggiace chiaramente a un attento bilan­ ciamento dei vantaggi e degli aspetti negativi associa­ ti a tali scelte: le limitazioni legate alla progettazione non militare dei droni commerciali restano pressoché trascurabili rispetto al loro limitato costo di acquisizio­ ne e all'assoluta celerità di messa in servizio allo stato dell'arte. A tal proposito, va sottolineato come la pro­ cedura di acquisizione non sottostà alle tempistiche dettate dal procurement tradizionale. Inoltre, l'elevato rapporto costo/efficacia assicurato dall'impiego dei droni militari rispetto alla difesa aerea/controaerei è addirittura incrementato se si prendono in considera­ zione i droni commerciali. A questo punto, occorre, tuttavia, ricordare come tutti i sistemi d'arma contrad­ distinti da spiccata specializzazione, così come è ac­ caduto per i siluri e i missili controcarro, siano esposti alle contromisure (9) che, nel caso dei droni, sono in vorticoso sviluppo limitandone appunto l'efficacia (1 O). Un adeguato tasso di efficacia, quindi, può esse­ re preservato solo attraverso una lotta continua tra misure, contromisure e contro-contromisure. Per que­ sti motivi, un tale utilizzo dei droni commerciali costi­ tuisce, sul piano tattico, una svolta nella condotta del­ le operazioni militari e, sul piano della generazione delle forze, un'efficace risposta all'elevato tasso di perdite di un conflitto d'attrito (11). Dal canto loro, an­ che i pensatori militari russi, seppur in ritardo, ammetn. 6/2023 I Rivista Militare

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tono che i droni commerciali hanno un impatto rivolu­ zionario nel modo di fare la guerra (12) e forti di questa consapevolezza hanno iniziato a introdurli in servizio unitamente a munizioni orbitanti di fabbricazione ira­ niana. Ai fini della condotta delle operazioni militari, è interessante rilevare come l'affollamento di sensori imbarcati nelle piattaforme remotizzate renda, di fatto, il campo di battaglia "nudo", limitando, se non addirit­ tura azzerando, la "sorpresa", principio fondamentale dell'arte della guerra. Tale importante limitazione in­ duce a dover, addirittura, ripensare lo studio del terre­ no imponendo di ragionare non più solo in termini di morfologia ma anche di affollamento dei sensori. Un tale impiego di droni commerciali induce, perfino, a rivedere anche il concetto di "massa" (13). Nella defi­ nizione della struttura dei pacchetti di forze, infatti, sarà necessario valutare attentamente come ottenere il corretto bilanciamento tra quantità di piattaforme tradizionali (costose e di difficile gestione in esercizio) e numerico di mezzi remotizzati (estremamente eco­ nomici (14), disponibili e spendibili soprattutto in ter­ mini di costi umani in caso di perdita). Sempre ragio­ nando sugli sviluppi futuri, è possibile affermare che siamo di fronte a una "democratizzazione" del potere aereo, perché il contendente che disporrà di un'ade­ guata forza di droni commerciali sarebbe, addirittura, in grado di guadagnare una nuova forma di superiori­ tà aerea: questo, a patto che disponga di un'artiglieria contraerea perfettamente integrata e stratificata capa­ ce di tenere al suolo l'aviazione avversaria. È ovvia­ mente probabile che anche l'avversario si doti di una simile capacità, pertanto, per poter consolidare tale guadagno, dovrà porre in essere una contromisura ef­ ficace mediante l'artiglieria contraerea che, oltre a es­ sere integrata e stratificata, dovrà essere capacitiva­ mente ottimizzata per la scoperta e l'ingaggio al fine di contrastare efficacemente le formazioni di droni commerciali nemiche (15). NOTE (1) Occorre tuttavia evidenziare come le innovazioni siano un acceleratore di processi, però, affinché si sviluppi una riforma dottrinale è necessario che si verifichino una serie di condi­ zioni che vanno oltre la semplice disponibilità di nuove tecno­ logie. Classico esempio è l'introduzione del carro armato che inizialmente viene impiegato in modo improprio, per restituire mobilità alla guerra di posizione della I GM, e, solo dopo due decenni di studi e sperimentazione, giovani ed entusiasti Uf­ ficiali riescono a individuare una nuova Dottrina, un "modo" nuovo e finalmente adatto per impiegarlo. (2) R. Scales, Tactical Art in Future Wars, https://waronthe­ rocks.com/2019/03/tactical-art-in-future-wars/ (3) C. von Clausewitz, Della guerra, Arnoldo Mondadori Edito­ re, Milano, 1970, pag. 35. (4) In questa prospettiva, risultano di grande valenza le mas­ sime riportate nel libro "Guerra senza limitt". Infatti, i due Co­ lonnelli cinesi sottolineavano come in una guerra ciò che conta 76

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non è tanto la mera disponibilità di sistemi d'arma (quantita­ tivamente e qualitativamente superiori rispetto all'avversario), quanto piuttosto la modalità innovativa e creativa con cui essi vengono impiegati. Qiao Liang e Wang Xiangsui, Guerra senza limiti. L'arte della guerra asimmetrica fra terrorismo e globaliz­ zazione, Libera Editrice Goriziana, Gorizia, 2007, pag. 18, 182. (5) J. Antal, Sooner than we think: Command Post survivabi­ lity and future threats in Future The convergence. Army mad scientist, podcast. (6) W. Smith, Manouvre warfare handbook, Westview Press lnc., Boulder, 1985, pag. 6. (7) K. Chavez, Leaming on the f/y: drones Russian-Ukrainian war https://www.armscontrol.org/act/2023-01 /featu res/lear­ ning-fly-drones-russian-ukrainian-war (8) Al riguardo, occorre rimarcare come i Posti Comando si­ ano il cuore della componente cognitiva di ogni unità militare perché in essi vengono fisicamente concentrati, nello stesso spazio, il Comandante e il suo staff, a sua volta costituito dalle menti più brillanti dell'organizzazione. (9) E. Luttwak, Strategia. Logica della guerra e della pace, BUR, Milano 2013, pag. 70. (10) Nel caso dei droni commerciali, tale rischio è ancora mag­ giore perché, essendo acquisibili a libero mercato, chiunque può studiarli e definire appropriate contromisure per contrastarli. (11) Il 90% dei droni impiegati nel conflitto russo-ucraino sono stati abbattuti, https://www.rusi.org/explore-our-research/pu­ blications/special-resources/preliminary-lessons-conventio­ nal-warfighting-russias-invasion-ukraine-february-july-2022 (12) Nella premessa del libro "Storm Over the Caucasus", stu­ dio sul conflitto del Nagorno Karabakh del 2020 pubblicato nel 2021 dal think tank moscovita Center for Strategies and Technologies, l'ex Capo di Stato Maggiore delle Forze Armate della Federazione Russa, Yuri Baluyevsky asserisce che ... "l'impiego di droni commerciali (segnatamente il drone cinese OJI Mavic) ha un impatto rivoluzionario nella condotta delle operazioni militari migliorando significativamente la precisio­ ne dell'artiglieria ... i droni commerciali sono diventati il sim­ bolo del nuovo modo di fare la guerra". https://www.uasvision. com/2022/08/16/russian-gen eral-pra ises-dji-mavic-d rone-as­ true-symbol-of-modern-warfare/ (13) M. Ryan, Ukraine and Lessons tor Future Military Le­ aders, https://mickryan.substack.com/p/ukraine-and-les­ sons-for-future-military?r = 2n33c8&utm_medium = ios&utm_ campaign = post1 (14) L'Ucraina ha recentemente introdotto in servizio nuovi droni di cartone al costo di 3,500 dollari, https://www.busines­ sinsider.com/ukraine-is-using-a-cheap-flat-pack-cardboard­ drone-australia-2023-8?r = US&IR= T (15) A tal proposito, occorre evidenziare come le principali dif­ ficoltà dell'artiglieria contraerea armena nel 2020 siano state individuate nell'incapacità di rilevare e quindi ingaggiare i dro­ ni azerbaigiani. Questo perché le Forze Armate di Yerevan, essendo armate con sistemi di epoca sovietica, non aveva­ no né radar con adeguata capacità di scoperta né tantomeno un'efficace capacità di ingaggio contro tale minaccia. La situa­ zione sarebbe stata ancora peggiore, se Baku, anziché dotar­ si di droni militari (turchi e israeliani) avesse scelto di costituire una "mosquito air torce" sul modello ucraino, il che avrebbe reso gli armeni letteralmente ciechi e inermi.



L'INGEGNO CONTRO I RETICOLATI Il "Lanciaruote Cantano'' "Avanziamo cautamente sino all'av­ vallamento; dopo una breve sosta, strisciando ventre e muso a terra, ci parliamo sotto i reticolati nemici. Ci colleghiamo i due gruppi e iniziamo l'appostamento dei tubi. [. . .] Accoppia­ mo le due micce, i quattro compagni si ritirano coll'ufficiale nostro. In due pre­ pariamo la capsula di accensione e ci ritiriamo anche noi dietro a un sicuro riparo già scelto in precedenza. Ecco uno scoppio, un secondo scoppio; due vampate di fuoco rischiarano la notte buia. Subito il nemico apre il fuoco di fucileria e mitragliatrice intenso e furi­ bondo. [. . .] L'ufficiale si rende conto del risultato dell'esplosione dei due tubi: un varco è stato ape,to nella pri­ ma fila dei reticolati nemici, ma vedia­ mo esiste una seconda fila di reticolati intatta, forse ce ne sarà una te,za".

È uno stralcio dal diario di Giuseppe Cardano, che parla degli assalti della Brigata "Milano" al trincerone Durer, sull'altipiano di Folgaria, nel 1915. Quelle parole restituiscono l'incubo dei reticolati, fra i sistemi difensivi più diffu­ si durante la Grande Guerra. Economico, di facile produzione e messa in opera, il filo spinato fu steso per milioni di chilometri su tutti i fronti europei diventando un autentico sup­ plizio per le fanterie. Nel primo periodo del conflitto, tanti fu­ rono i sistemi escogitati per creare dei varchi in quei rovi di ferro, dalle compa­ gnie tagliatili, armate di tenaglie, ai tubi di gelatina, fino alle bombarde. Solo pochi di questi ritrovati, benché talvol­ ta anche brevettati, trovarono modo di essere realmente costruiti ed ancora meno ebbero un impiego operativo o

raggiunsero la produzione in serie. Altri, testati sul campo, non fornirono i risultati pratici desiderati, per le diffi­ coltà di adattamento al terreno e il de­ licato funzionamento. Presto vennero abbandonati preferendo la soluzione più pratica costituita dalle bombarde, le quali lanciavano grosse quantità di esplosivo che, con la forza d'urto e la vampa di calore, spazzavano via il filo spinato. Presso l'Istituto Storico e di Cultura dell'Arma del Genio, un edificio da 4400 mq sul Lungotevere della Vittoria, a Roma, è comunque conservata una di quelle prime inven­ zioni italiane - e tra le più ingegnose - che furono applicate alla risoluzione di questo problema. Si tratta del co­ siddetto "Lanciaruote Cantano", o, "ap­ parecchio a catapulta Cantano", ideato da un omonimo Maggiore, conservato


in una delle sale a piano terra. Aveva lo scopo di distruggere i retico­ lati consentendo di restare in trincea senza segnalare la propria posizione e operando anche di notte. Ne spiegava il suo funzionamento una pubblicazio­ ne prodotta dal Campo esperienze della 3a Armata dedicata ai materiali da trincea: "Apparecchio Cantano: è un lanciaruote dentate munito di un in­ volucro contenente 2 kg di esplosivo; le ruote procedono a sbalzi sul terreno rotolando e, se nel loro tragitto incon­ trano un reticolato, vi s'impigliano e quando la miccia con cui sono inne­ scate è consumata, esplodono produ­ cendo distruzioni di circa un metro di raggio. L'apparecchio è molto sempli­ ce, funziona per mezzo di molle e se tenuto con cura non può dare luogo a inconvenienti; il suo raggio d'azione può spingersi in favorevoli condizioni fino ai 50 m. Le condizioni del terreno fanno variare l'efficacia della ruota. In terreno molle, questa rotola raggiun­ gendo distanze prossime ai 100 m; in terreno roccioso o duro, la ruota pro­ cede a sbalzi talora grandi, raggiun­ ge distanze maggiori, ma può saltare addirittura i reticolati. In terreno acci­ dentato, gli ostacoli possono rendere precario il funzionamento delle ruote. Siccome il braccio di lancio è molto vi­ sibile, converrà generalmente parlare di giorno la batteria negli schieramenti prescelti, disponendo che il braccio di lancio non sporga dalle trincee e pre­ parando minutamente tutti i materiali per poter poi di notte eseguire il mag­ gior numero di colpi possibile". Nel dicembre 1915, erano in allesti­ mento 100 lanciaruote esplosive tipo Cantano, destinati ad essere assegna­ ti in parti uguali alla 2a ed alla 3a Arma­ ta. Tuttavia, l'applicazione sul campo si rivelò insoddisfacente: l'apparec­ chio era ingombrante e poco pratico, le molle si allentavano con l'uso, ma soprattutto, l'esplosivo delle ruote non era sufficiente ad aprire varchi pratica­ bili fra i reticolati. Si parlò di trasformarlo in un lancia­ bombe, tenuto conto che, essendo si­ lenzioso, sarebbe stato adatto per un impiego nelle trincee a breve distanza da quelle del nemico. Tuttavia, di que­ sto riutilizzo non abbiamo notizia, e questo sistema, pur ingegnoso, forse troppo, finì nel dimenticatoio.



È notevole l'influenza che ebbero le condizioni meteorologiche nelle campagne napoleoniche, che spes­ so assunsero un ruolo centrale nel decretare il successo o l'insuccesso di Napoleone. Questo breve articolo tratta il caso specifico della battaglia di Eylau, svoltasi tra il 7 e 1'8 febbraio 1807, nella campagna di Polonia, che vide l'Esercito francese fronteggiare quel­ lo russo e quel che restava dell'Eser­ cito prussiano. Diverse fonti concordano nel definirlo un vero e proprio inferno combattuto in condizioni invernali proibitive e sul fatto che rappresenti il primo smacco nella carriera di Napoleone, che non riuscì ad avere la meglio sul nemico. Già dall'ottobre del 1806 l'Esercito francese era entrato in Polonia senza incontrare resistenza. Le difficoltà arrivarono principal­ mente a causa delle disastrose con­ dizioni delle strade polacche e del repentino cambio delle condizioni meteorologiche a partire dalla metà del mese di novembre. Proprio que­ ste avrebbero compromesso il pia­ no di Napoleone, che prevedeva una grande battaglia contro i russi per mettere fine alle ostilità. Gelo, neve, pioggia e soprattutto fan­ go, furono le costanti di quei mesi. L'Imperatore non si era mai trovato a combattere in una situazione del ge­ nere, in cui risultava impossibile ma­ novrare con la necessaria velocità per bloccare il nemico. Le operazioni militari vennero dun­ que sospese, ma ripresero im­ provvisamente alla fine di gennaio, quando il Generale russo Bennig­ sen con un improvviso attacco colse di sorpresa i francesi. Napoleone stesso ne rimase interdet­ to. È interessante notare come il Ca­ pitano Marbot ne attribuisse il motivo alle condizioni del tempo: secondo quest'ultimo, infatti, i russi calcolarono che il maltempo avrebbe dato agli uo­ mini del nord un vantaggio sui francesi, poco avvezzi a sopportare tale freddo. In parte aveva ragione: il terreno fan­ goso, che aveva precedentemente se­ gnato l'insuccesso dell'inseguimento francese, si gelò al punto da rendersi particolarmente adatto al movimento delle truppe. n. 6/2023 I Rivista Militare

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Napoleone prese subito dei provvedi­ menti per prevenire l'attacco nemico e lanciare un'offensiva. Predispose una manovra che, se ben riuscita, avrebbe tagliato le vie di fuga all'esercito av­ versario. Sfortunatamente i suoi ordini finirono nelle mani del nemico, che riu­ scì così a sottrarsi alla Grande Armée. La sera del 6 febbraio però, i russi rag­ giunsero la località di Eylau e lì si deci­ sero a dare battaglia il giorno seguen­ te. Gli studiosi discordano sul fatto che Bonaparte volesse combattere. Sem­ bra infatti che lo scontro fu una sorta di escalation non voluta. A quanto pare, gli addetti ai bagagli dell'Imperatore si erano erroneamente addentrati nella cittadina di Eylau, non sapendo che i russi fossero lì vicino. Vennero assaliti e riuscirono a fuggire grazie all'intervento del distaccamento della Guardia imperiale. I Generali nemici, pensando che i fran­ cesi volessero impossessarsi di Eylau, inviarono a loro volta rinforzi. Lo scontro continuò finché la cit­ tadina non venne conquistata dai francesi. La giornata dell'8 febbraio si presentò da subito pervasa da un cielo grigio e da consistenti tempeste di neve, che avrebbero influenzato le dinamiche della battaglia. Questa si svolse su una zona collina­ re ricca di stagni ghiacciati, dove tut­ to il terreno era ricoperto di neve e le truppe non sapevano su cosa cammi­ nassero. Di conseguenza fu continuo, durante lo scontro, il timore di una im­ provvisa rottura del ghiaccio. La carica di cavalleria, Battaglia di Eylau, dipinto di Jean-Antoine-Siméon.

Sul numero degli uomini impiegati nel­ lo scontro si dibatte ancora oggi: Na­ poleone sembra ne avesse all'incirca 49.000 (poi saliti a 76.000) e 300 can­ noni; Bennigsen 67.000 soldati (poi 76.000) e 400 cannoni. Nonostante l'inferiorità numerica, la tattica napoleonica rimase comunque offensiva. La battaglia iniziò con il fuo­ co dei cannoni russi, a cui i francesi risposero dando vita ad un bombarda­ mento di grandi proporzioni. Mezz'ora dopo l'inizio del duello di artiglieria, Napoleone ordinò al Mare­ sciallo Soult di compiere una manovra verso la destra russa, per attirare l'at­ tenzione di Bennigsen e distoglierlo dalla sua sinistra, dove avrebbe lan­ ciato l'attacco decisivo. I francesi iniziarono a muoversi nella tempesta, ma verso le nove vennero ricacciati indietro. Nel frattempo, la ca­ valleria russa lanciò un duro attacco contro il corpo di Davout, sulla destra francese. Napoleone si trovò in difficol­ tà su entrambi i fronti e iniziò a pensare ad una contromisura. Non c'era tempo per riorganizzare le truppe di Soult, dunque decise di far avanzare l'Armata di Augereau contro la sinistra russa, appoggiata sulla de­ stra dalla Divisione di St. Hilaire. Il VII Corpo di Augereau iniziò len­ tamente ad avanzare quando infuriò una violentissima tormenta di neve: perse completamente l'orientamen­ to e il contatto con gli uomini di St. Hilaire, iniziando a deviare dal suo obiettivo e dirigendosi verso il cen-

tra russo e i 70 cannoni lì schierati. Le truppe di Augereau vennero qua­ si decimate, Marbot parla di quasi 12.000 perdite. St. Hilaire, rimasto solo, non fu in gra­ do di aprirsi un varco senza l'appoggio del VII Corpo. I russi non poterono però a loro vol­ ta attaccare subito, poiché anche la loro visibilità era limitata dalla tem­ pesta di neve. La situazione era ormai tragica e il cen­ tro francese era sul punto di cedere. Napoleone decise quindi di ricorrere ai 10.700 soldati della cavalleria di ri­ serva di Murat a cui venne ordinato di schierarsi al posto del centro francese e di caricare le colonne russe. La carica ebbe uno strepitoso suc­ cesso e Murat riuscì a far guadagnare tempo prezioso a Napoleone. Questa tregua permise a Davout di schierarsi, facendo pressione sulla sinistra russa. A Murat e al resto del Corpo di Augereau venne invece ordinato di occupare il centro, men­ tre Soult aveva il compito di mante­ nere la posizione. Alle ore 13:00 il Corpo di Davout era finalmente in posizione e ven­ ne lanciato da Napoleone in una manovra di accerchiamento dell'Ar­ mata nemica. Verso le tre i russi cominciarono a retrocedere e a piegare il loro schieramento. Ma ecco comparire, all'ultimo momen­ to, il corpo prussiano di Lestocq. Questi era riuscito a sottrarsi all'inse­ guimento del Maresciallo Ney, il quale


non sapeva cosa stesse accadendo ad Eylau, poiché il vento e la neve svolsero un effetto smorzante dei rumori della battaglia. Egli ricevette soltanto alle due l'ordine, inviatogli alle otto, di muoversi verso il grosso dell'Esercito francese. Il messaggero aveva avuto difficoltà a far reperire il messaggio sempre a causa del tem­ po. Finalmente però, verso le sette, iniziarono a fare la loro apparizione i primi soldati del lii Corpo e un'ora dopo si lanciarono sulla destra russa. Gli scontri continuarono fino alle un­ dici e, dopo un dibattuto consiglio di guerra, Bennigsen decise di ritirarsi. Terminava così uno dei più sanguino­ si scontri delle guerre napoleoniche. Volendo provare a fare una stima si può dichiarare che le perdite per i francesi si aggirarono tra i 25.000 e i 30.000 caduti, mentre per i russi e i prussiani tra i 15.000 e i 25.000. Quel che è certo è che fu una carneficina, tanto che Ney si lasciò andare ad un duro commento: "Che massacro, e senza risultato!". Aveva ragione: lo scontro ad Eylau non fu risolutivo e la Campagna sarebbe continuata an­ cora. Sono evidenti, arrivati a questo punto, le difficoltà dovute alle condi­ zioni meteorologiche, che dovette affrontare Napoleone. Ma bisogna specificare che egli ne trasse anche dei vantaggi. Le rigide temperature non permisero ad esempio ai russi di costruire delle trincee. Se il terre­ no fosse stato abbastanza morbido da poter essere scavato, la carica di

Murat avrebbe incontrato un osta­ colo che ne avrebbe sicuramente ridotto l'effetto ed è evidente come questa manovra di cavalleria ebbe un ruolo fondamentale. Ma è ora opportuno chiedersi: perché la cavalleria russa non si è subito lan­ ciata per fronteggiare la carica fran­ cese come solitamente avveniva in dinamiche di questo tipo? La risposta è legata probabilmen­ te alle diverse razze di cavallo di cui disponevano i due eserciti e alla ca­ pacità di questi animali di muoversi in mezzo alla neve. I francesi montavano infatti i cavalli prussiani della razza Trakehner, la cui altezza al garrese andava dal 1,63 m all'1,68 m, che non ebbero difficoltà a cavalcare in mezzo alla neve, anche con il senno di poi vi­ sta la buona riuscita dell'attacco. Lo stesso non si può dire dei cavalli dei russi: è plausibile, in virtù delle fonti che descrivono animali che quan­ do attraversavano la neve soffice finivano per esserne quasi comple­ tamente coperti a causa della loro scarsa altezza, che buona parte dei soldati cavalcasse la razza Bashkir, che presenta un'altezza al garrese che oscilla tra il 1,32 m e 1'1,42 m. Proprio questa piccolezza impedì ai cavalieri russi di raggiungere la velocità adeguata a una carica di contenimento su un terreno inneva­ to e permettendo così a Napoleone di ottenere solo uno smacco e non una cocente sconfitta.

BIBLIOGRAFIA Baron de Marbot J.B.A.M., The Memoirs of Baron de Marbot: Late Lieutenant-ge­ neral in the French Army, Longmans, Green and Company, London, 1892. Baron Paulin J.A., Les souvenirs du général Baron Paulin (1782-1876), E. Plon, Nourrit, Paris, 1895. Chandler D.G., Le campagne di Napole­ one, Bur Rizzali, Milano, 2020. Comte De Saint-Chamans A.A.R., Mémoires du général Cte de Saint-Cha­ mans ancien aide de camp du Maréchal Soult, 1802-1832, E. Plon, Nourrit et cie, Paris, 1896. De Montesquiou Fezensac R.A.P.J., Souvenirs militaires de 1804 à 1814, J. Dumaine, Paris 1870. Hendricks B. L., lnternational Encyclo­ pedia of Horse Breeds, University of Oklahoma Press, Norman-Oklahoma, 1995. Napoléon 1 8 ', Correspondance de Na­ poléon 1er_ Tome 14 I publiée par ordre de l'Empereur Napoléon lii, H. Plon, Pa­ rigi, 1858-1870. Naulet F., Eylau (8 février 1807): La campagne de Pologne, des boues de Pultusk aux neiges d'Eylau, Economica, 2007 (Copia digitale). Parquin D.C., Souvenirs et campagnes d'un vieux soldat de /'Empire: 1803-1814 (38 éd.) I par le commandant Parquin; avec une introduction par le capitaine A. Aubier, Berger-Levrault, Paris, 1903. Petre F. L., Napoleon's Campaign in Po and 1806-1807, Sampson Low, Marpa y, 1901.


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siderate che un bambino che gattona arriva ovun­ que, se voi sapete che, anche se non ce lo avete sottocchio, non rischia niente, sarete più rilassati voi e sereno lui! • la facilità di lettura dell'ambiente: poche cose e chiare. Tirate fuori pochi giochi per volta e cambia­ teli ogni settimana o due a rotazione. L'arredamen­ to, in particolare della cameretta, sarebbe meglio se fosse caratterizzato da colori pastello, tappeti e mobili a tinta unita e una buona illuminazione. Dai diciotto mesi circa in poi, si può coinvolgere nelle faccende di casa e nella cura di se stesso, predisponendo in ogni stanza un angolo dedicato. Ad esempio, in cucina uno straccetto e una piccola scopa e paletta a sua disposizione, oppure in bagno una mensolina bassa con un pettinino, spazzolino e asciugamano. Comunque, alla base di una sana e viva relazione, qualunque sia la corrente educativa che sentite di voler seguire, il primo e più grande lavoro da fare è quello di un'attenta, umile e neutra osservazione. Grazie a questo, sarà il bambino stesso ad indicarvi le sue aree di interesse in quello specifico momento. Se, ad esempio, vedete il vostro bambino di 18 mesi che continua ad infilare oggetti vari nei contenitori a sua disposizione, significa che ha bisogno di esercitare quel tipo di manualità. I genitori, dal primo momento in cui diventano tali, vengono bombardati da suggerimenti, consigli e istruzioni d'uso varie, che sembrano facili, ma non lo sono nella vita reale. Quanto scritto sopra, mi rendo conto che non fa eccezione. Infatti, il lavoro a monte per raggiungere l'obbiettivo di avere una casa a misura di bambino, è piuttosto impegnativo, sia sul piano pratico che, come al solito e soprattutto, su quello interiore. Ma una volta fatto, sarà di grande aiuto ai bambini, e finalmente, anche ai genitori!

Una delle difficoltà più frequenti che ho ascoltato da parte dei genitori, rispetto alla vita con i loro figli nei primi anni, è quella di non riuscire ad avere momenti di recupero per loro stessi. E particolarmente difficile è per quelli che hanno lavori con orari impegnativi come i militari. Inoltre, fino ai due anni e anche più, i bambini vivono una fase di intensa scoperta del mondo, ma non essendo il mondo circostante a loro misura, hanno bisogno di una continua supervisione adulta e questo può risultare molto stressante. Il metodo Montessori sottolinea l'importanza di un contesto adeguato, per sostenere un completo sviluppo psicofisico. Infatti, Maria Montessori diceva: "Per aiutare un bambino bisogna fornirgli un ambiente che gli consenta di svilupparsi liberamente". Il sistema pedagogico era stato elaborato per la scuola, ma poi nel corso del tempo è arrivato anche nelle case delle persone. Quello che la dottoressa probabilmente non aveva considerato è quanto la sua eredità non è di aiuto solo ai bambini, ma anche ai genitori! Infatti, se vostro figlio vive in una casa "a misura di bambino", quindi sicura, facilmente usufruibile e che favorisca autonomia e concentrazione, significa che voi genitori avrete diversi momenti di quiete, tutti per voi! Ma quali sono i primi passi da fare? Innanzi tutto, il più difficile, abbandonare l'idea di un'educazione autoritaria ed iniziare a mettersi "a fianco" del bambino, lavorando dentro noi stessi sul dare fiducia e sostenere le sue innate capacità. Poi, rispetto all'organizzazione dei vari ambienti domestici tenere a mente alcune cose: • la sicurezza, quindi rendere usufruibili i ripiani bas­ si di casa. Che non significa che debbano esserci solo cose sue, ma anche e soprattutto, cose di uso quotidiano che possa maneggiare (pacchi di pasta, pentole e pentolini di metallo, spugne ecc..), più tutto il resto (paraspigoli, copriprese, ecc...). Con-

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Alice Sciucchino nasce a Orvieto nel 1985. Dopo aver lavorato come tata per dieci anni, l'amore per questa pro­ fessione e per i bambini l'ha spinta a studiare, presso il Centro Nascite Montessori, il metodo Montessori per la fascia di età 0-3 anni, che ha poi messo a frutto come stru­ mento di sostegno pratico alla genitorialità. Con il desiderio di stare accanto alle mamme e ai papà con più efficacia nei loro primi momenti, nel 2017 si è formata come doula (fi­ gura professionale, in grado di potenziare le capacità ge­ nitoriali, che assiste emotiva­ mente e praticamente la fa­ miglia durante la gravidanza e dopo il parto). È laureanda in Scienze dell'educazione. Contatti: alice.sciucchino@gmail.com


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SOLDATO DEL GIORNO

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Graduato Capo Andrea Caronia

Nato a Catania il 17 novembre 1985 ed effettivo al Plotone EOD (Explosive Ordnance Disposa/) del 32 ° reggimento genio guastatori della Brigata alpi­ na "Taurinense", Caronia è uno degli operatori CMD (Conventional Munitions Disposa/) della sua unità Appassionato di rugby e aviazione, si è arruolato nell'Esercito nel 2007, ha servito inizialmente presso il 24° reggimento artiglie­ ria terrestre "Peloritani" e, dal 201 O, è in forza al 32 ° di stanza a Fossano (CN). Ha superato negli anni tutti i corsi di alpinismo della specialità. Ha al suo attivo missioni inAfghanistan con il team di ricognizione avanzataACRT del genio e oltre 200 interventi in patria e all'estero (in Kosovo e in Afghanistan), grazie ai quali sono stati bonificati centinaia di residuati bellici costituenti una grave mi­ naccia per le comunità. Nella sua carriera spiccano, per complessità e rischio, la neutralizzazione di una bomba d'aereo da 500 libbre rinvenuta nel centro di Torino nel 2020, e quella di un'altra bomba sganciata dall'alto, da 1.000 libbre, scoperta a Taggia (IM) nel 2022.


Dopo centinaia di interventi di boni­ fica di ordigni convenzionali in Italia e all'estero, Andrea Caronia è stato protagonista di primo piano di un in­ tervento unico nel suo genere, in cui ha messo alla prova con successo le sue doti di esperto artificiere e di appassionato alpinista: in quattro giorni di delicato lavoro ha rimosso un potente ordigno da un anfratto di una scogliera verticale a picco sulla Spiaggia delle Canoe, a Lerici, sulla costa ligure di levante. Tutto è suc­ cesso a metà settembre quando gli specialisti del suo reggimento sono intervenuti dal Piemonte per neu­ tralizzare una vecchia granata d'ar-

tiglieria, modello "Palliser", da 10 pollici e 140 chilogrammi, risalente al XIX secolo e segnalata dalle au­ torità locali al 32 ° genio. Una bomba priva di spoletta, progettata in modo che l'esplosivo (sensibile) al suo in­ terno detonasse all'impatto col ber­ saglio, ma soprattutto un pericolo da neutralizzare. Per avvicinarsi al residuato, la Squadra Soccorso Alpino Militare, ha attrezzato - in mezzo a una fitta vegetazione - decine di me­ tri di vie di calata e di recupero, azione che ha permesso a Caro­ nia di lavorare sospeso per ore nel vuoto, adoperando martello e

scalpello antiscintilla per liberare la bomba. Con sangue freddo e dominio della vertigine, Caronia e il suo team hanno estratto con de­ licatezza la "Palliser", dalla parete di arenaria. Poi, il lento librarsi in aria del vecchio ordigno appeso a una teleferica che lo ha porta­ to sulla riva, dove ad attenderlo c'erano gli specialisti del Gruppo Operativo Subacquei della Marina Militare. Adagiata su una struttu­ ra galleggiante, la bomba è stata trainata al largo e resa inoffensiva per sempre. Caronia è stato il co­ raggioso interprete di un saggio di competenza in riva al mare.


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I�ll llf))lllil il )11\Nf) )11�2f)f)f) Il 17 luglio 2003 furono presenta­ te, dallo Stabilimento Militare del Munizionamento Terrestre di Baia­ no di Spoleto (SMMT), tre richie­ ste di deposito di domande di bre­ vetto a nome del Ministero della Difesa per due versioni (da guerra e da esercitazione) della bomba a mano denominata MF2000 e per le relative spolette. Questo atto, che determinò la successiva conces­ sione di corrispondenti titoli di pro­ prietà industriale in data 26 mag­ gio 2009, terminava formalmente un consistente periodo di ricerca e sviluppo, condotto autonomamen­ te dalla succitata articolazione dell'Agenzia Industrie Difesa, per la messa a punto di una bomba a mano nazionale che incontrasse i più moderni standard di efficacia e funzionalità, sottraendo le Forze Armate dalla necessità di approv­ vigionamenti dall'estero di tale ti­ pologia di arma.

)I OJ)IJl,J.\lll'I'À. E su� UllEZZJ.\ Tra le numerose linee guida che ispirarono il progetto della MF2000 (Fig. 1 ), una particolare attenzione fu riservata alla perfor­ mance terminale, intesa non solo come capacità lesiva del bersaglio ma anche in termini di costanza di rendimento e di sicurezza per l'utilizzatore, che andava protetto dal coinvolgimento nell'esplosio­ ne e dagli effetti correlati (praie88

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zione di schegge). In tal senso, la progettazione dell'ordigno previde una tota­ le separazione tra il dispositivo di attivazione (meccanico) e la parte esplodente della bomba, in modo che il primo non fosse coinvolto dal blast diventando un

corpo proiettato di massa con­ siderevole e dalla traiettoria im­ prevedibile e comunque estesa. Tutta la meccanica, infatti, è con­ tenuta in un modulo assemblato separatamente dal corpo della bomba e destinato a separarsi da questa all'atto del lancio (Fig. 2).


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Questa architettura comporta an­ che vantaggi legati alla bonifica di eventuali ordigni inesplosi, ormai privati del percussore e con l'inne­ sco a vista, prevedendo di fatto un meccanismo di auto-disattivazio­ ne che li rende inattivi anche nel caso di un'eventuale persistenza sul campo di battaglia. La proiezione di splinters, quando la bomba sia approntata in mo­ dalità difensiva, è determinata da un apposito assieme separabile dalla parte energetica e conte­ nente 2.500 elementi di acciaio:

gli esaustivi test condotti in fase omologativa hanno verificato l'as­ senza di schegge lesive oltre i 25 metri dal punto di esplosione, for­ nendo all'utilizzatore un sicuro pa­ rametro di sicurezza. La modularità del disegno dell'arma si è concretizzata infatti nella pos­ sibilità di configurarla, direttamente sul campo e a cura dell'utilizzatore, in modalità "offensiva" (con effetti terminali prodotti dalla solo con­ cussione e assenza di schegge oltre i 13 metri) e "difensiva" (con proiezione di schegge preformate)

(Fig. 3). L'esplosione è determinata da una carica compressa di 100 g circa di "Composition A-3" (91% di RDX), con detonazioni di alto ordi­ ne e conseguenti effetti concussivi di tutto rispetto. Nella consapevolezza che la bom­ ba a mano è forse l'unica arma distribuita "pronta all'uso", ovve­ ro fornita di tutti gli elementi per produrre, con semplici azioni di messa in opera, gli effetti terminali richiesti, la MF2000 è stata corre­ data di una ridondanza di dispo­ sitivi di sicurezza, sia manuali (da disattivare per il lancio) sia com­ presi nella catena pirica per evita­ re scoppi anticipati. Dotata di una spoletta brevettata, la bomba progettata nello SMMT è di tipo a tempo, con un ritardo compre­ so tra i 4±1 secondi, componente pirica incapsulata e separata dall'e­ lemento innescante, tre sicure mec­ caniche e la già descritta sicurezza in caso di mancate esplosioni. Fornito di un traversino metallico rigido, reinseribile nel dispositivo di attivazione in caso di ripensamento in extremis, l'ordigno può essere predisposto con la linguetta di estrazione sia nel lato destro sia sinistro, consentendo un'i­ dentica manipolazione a tiratori destri e mancini. Inoltre, la bomba può essere corredata, in produzione, di linguette in entrambi i lati, realizzando un'ulteriore sicurezza di allestimento, stoccaggio, trasporto e distribuzione che inattiva di fatto l'ordigno, impedendo l'estrazione della sicura principale (traversino); una

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delle due linguette potrà essere rimos­ sa dall'utilizzatore al momento del cari­ camento delle armi, rendendo la bom­ ba immediatamente operativa. JllJNZIONJUIEN'l'O E IJ'l'IUZZO La MF2000 è, come detto, dotata di una spoletta a tempo che ne deter-

mina l'esplosione dopo un intervallo dal lancio in linea con la generalità delle altre bombe a mano dello stes­ so tipo, cioè di circa 4 secondi. La percussione dell'innesco, attuata attraverso un percussore caricato a molla compreso nel sistema di atti­ vazione, può verificarsi previo svol­ gimento di tre azioni deliberate: la pressione esercitata, con l'indice e

il medio della mano che impugna la bomba, sulla piastrina di consenso; l'estrazione del traversino; il rilascio della cuffia del dispositivo di attiva­ zione, che avviene contestualmen­ te al lancio. La percussione è ac­ compagnata dalla separazione del citato dispositivo dal corpo bomba e dall'avvio della catena incendiva, che vede, nell'ordine: la combustio­ ne del ritardo pirico, realizzato con una miscela conforme alla norma MIL-C-13739 (Composition, Delay); la fusione di un diaframma in lega piombo-stagno che separa il ritardo dall'esplosivo innescante (azotidra­ to di piombo, MIL-L-30558); la con­ seguente attivazione di quest'ultimo e la successiva esplosione del boo­ ster (in RDX, MIL-R-398C); l'attiva­ zione della carica principale (RDX flemmatizzato, MIL-C-4408). La sicurezza di prima traiettoria è realizzata separando fisicamente il ritardo pirico (una miscela in grado di bruciare ad alte temperature) dal detonatore attraverso un diafram­ ma metallico che deve essere fuso affinché la fiamma inneschi l'esplo­ sione. L'energia necessaria può essere ricavata dalla sola combu­ stione del ritardo, escludendo quin­ di un'esplosione indotta dalla sola cassula (il tempo minimo di sicu­ rezza garantito e verificato anche in caso di anomalie della catena pirica è di 2, 7 secondi). Il carico di splinters, di circa 100 g, garantisce rilevanti effetti terminali, anche anti-materiale, almeno entro i 5 metri dal punto dell'esplosione (in Fig. 4 un esempio di perforazione su acciaio dolce). f�ONC�UJSIONI Com'è comprensibile dai bre­ vi cenni fatti, la struttura della MF2000 basa la propria sicu­ rezza d'impiego su una spoletta semplice progettata rispettando standard militari consolidati e sfruttando le proprietà fisiche in­ variabili delle sue varie compo­ nenti; la pertinente specifica mili­ tare (SPE-SMMT-002) ne prevede peraltro un rigoroso controllo ra­ diografico, verificando in partico-

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lare le caratteristiche del ritardo e l'integrità del succitato diaframma metallico (Fig. 5). La separazione del congegno di attivazione dal corpo bomba, in modo tale che non sia coinvolto nell'esplosione, rappresenta una significativa innovazione rispetto al panorama delle hand granade più diffuse, consentendo di realizzare una scheggiatura interamente con­ trollata, a garanzia della costanza

delle prestazioni e a tutela del tira­ tore, eliminando inoltre il pericolo costituito dagli ordigni inesplosi. Dimostrandosi un prodotto pen­ sato per conservare una propria attualità anche in presenza di esigenze cangianti, la MF2000 esprime una concezione modula­ re e flessibile che si articola nella possibilità di aggiornare l'assieme scheggiante, essere configurata in modalità offensiva o difensiva, im-

piegare spolette del commercio di ingombro compatibile con quella originale. Progettata e realizzata interamen­ te in proprio dallo Stabilimento Militare del Munizionamento Terre­ stre, la MF2000 si presenta come una tra le più complete e funzionali bombe a mano del mercato, non­ ché come esempio delle poten­ zialità tecniche e industriali delle strutture della Difesa italiana. n. 6/2023 I Rivista Militare

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11IS'I11llJ'I1'11f)lll� 1)1�1111'1,Il�I..IJf�f�III Il figurino è realizzato in scala 1:30. Scolpito da Piersergio Allevi e dipinto da Danilo Cartacei.

Abdallah D'Asbounne nacque a Betlemme nel 1776, fu guida e interprete di Napoleone in Egitto, entrò poi come tenente nei Mamelucchi della Guardia Conso­ lare, arrivando nel 1811 al grado di capo squadrone e istruttore del reggimento. La tempra fisica dei cavalieri di epoca napoleonica ha in Abdallah uno degli esempi più chiari; nel corso della sua carriera ricevette infatti ben 12 ferite e per­ se in battaglia sette cavalli. Fu colpito alla pancia da una pallottola a Heliopolis nel 1798, a Golymin il 25 dicembre 1806 fu colpito da sette sciabolate, nel 1807 a Eylau si ruppe un braccio in seguito alla morte del suo cavallo. Alla battaglia di Altenburg il 28 settembre 1813 un colpo di lancia lo colpì al petto mentre stava salvan­ do la vita al colonnello Kirmann; a Weimar, esatta­ mente un mese dopo, ricevette un secondo colpo di lancia. Il mese successivo ad Hanau fu ferito da un colpo d'arma da fuoco, tre ferite in tre mesi. A causa dei colpi subiti non fu in grado di partecipare alla battaglia di Waterloo e fu successivamente congedato. Nel 1831 venne richiamato in servizio divenendo due anni dopo comandante della piazza di Arzew in Alge­ ria, nel 1835 ricevette la sua ultima ferita a una spalla e fu definitivamente messo a riposo l'anno successivo. Il figurino rappresenta Abdallah come istruttore dei Mame­ lucchi della Guardia Imperiale, mentre è impegnato nel-

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la "corsa delle teste", esercitazione tipica delle cavallerie dell'epoca che consisteva nel colpire sia con la sciabola sia con la pistola dei simulacri di teste di soldati nemici. La "corsa delle teste" è ben spiegata e illustrata nel ma­ nuale di cavalleria dell'Esercito napoleonico del 1805. Il figurino di Abdallah d'Asbounne è riprodotto con gli abiti che indossa nel suo ritratto, opera di anonimo, conservato al museo di Melun, città in cui il Mame­ lucco passò gli anni della pensione dopo la sua av­ venturosa carriera militare. Lo yalek, su cui è appuntata la Legion d'Onore ricevuta nel 1804, è decorato da una fila di minutissimi bottoni e rispettive asole, portato aperto mostra una beniche le cui maniche recano un complesso gioco decorativo. Originale e un po' contraddittoria è la spallina porta­ ta sullo yalek. Le uniformi degli ufficiali mamelucchi prevedevano infatti i gradi a gallone sulle maniche e non le spalli­ ne; in questo caso sono portati, in maniera anomala, entrambi i simboli di grado, ma nelle uniformi del pe­ riodo napoleonico, l'ordinanza era spesso disattesa e la pratica d'uso ben diversa. Abdallah monta uno stallone purosangue arabo con sel­ la e finimenti mediorientali caratteristici dei Mamelucchi. L'elemento in cuoio dorato posto tra le orecchie del cavallo e sulla nuca serviva come scacciamosche e come difesa durante le mischie dai colpi di sciabola.



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I 7!1(1- 1751 Le uniformi dell'Artiglieria rimasero sostanzialmente invariate fino al 1736, quando il contratto generale per il vestiario sti­ pulato il 15 novembre tra l'Ufficio del Soldo ed i due impresari vincitori dell'appalto, Giuseppe Ottianico e Samuele Davide Ghidiglia, ci fornisce finalmente una descrizione dettaglia­ ta dell'uniforme del battaglione d'artiglieria, i cui componenti continuavano ad indossare la severa uniforme di panno tur­ chino con tasche vere, abbellita dai bottoni in ottone, da tre alamari di gallone tessuto in oro applicati al paramano in cor­ rispondenza dei bottoni e dalle cordelline di "bava" (1) gialla con i puntali d'ottone applicate sulla spalla destra; i caporali ed i sergenti si distinguevano dai cannonieri per la gallonatura in oro del giustacorpo, della quale però non conosciamo la disposizione anche se veniva probabilmente applicata lungo l'orlo superiore dei paramani. È solo grazie al "Regio Biglietto che manda eseguire il regola­ mento per la distribuzione dè nuovi uniformi ai reggimenti di fan­ teria, cavalleria e dragoni', pubblicato il 17 settembre 1741, che è possibile descrivere in dettaglio i numerosi particolari che distin­ guevano il taglio, i colori e le guarnizioni dell'uniforme dell'artiglie­ ria rispetto a quella del resto dell'Esercito. Il documento recitava quanto segue: "Battaglione Artiglieria, con vestiario tutto bleu. Sargente. Giustacorpo sarà di panno picco/ /odeves bleu, fodra di pirlata dello stesso colore, fatto a mezzo surtout con colletto o sia bavaro fodrato di detto panno e bordato di picco/ galone d'oro della stessa qualità e bontà di quello della mostra, manica a caccia e paftelefta ad essa, paramenti a botta di panno suddetto bordati d'un galone d'oro della suddetta qualità e bontà, et altro più largo in forma d'alamari a ponta in numero di tre per ogni paramento della stessa qualità e bontà di quello della mostra, paftelefta in largo alle saccoccie bordata di galon d'oro della qualità, larghezza e bontà di quello della bordura di detto colletto, con altro gallone largo sud­ detto che gira tuft'all'intomo di detta saccoccia e bottoniere num. 6, cioè una, due, tre sino alla saccoccia per ogni davanti, altri tre in mezzo a/l'alamari del paramento, altra piccola sotto il paramento, altre num. 3 alla paftelefta di caduna manica a caccia (2), altre num. 3 a caduna paftelefta delle saccoccie, e finalmente tre per ogni dietro, facienti in tutto bottoniere num.38. E tutte di bava con /uoro bottoni d'ottone con corda di violi­ no secondo la mostra, in num. di 34 compresi uno per ogni fianco, e num. 8 piccoli cioè 6 alle patte/effe della manica a caccia, e due sotto li paramenti, e rispetto a/l'ampiezza del dissofto secondo la mostra.

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Panno picco/ /odeves bleu R.4½ Pirlata bleu per la fodra (3 ) R.8½ R.½ Tela sotto li bottoni e bottoniere R. 1 Detta per due saccoccie Ga/one d'oro per la bordura del colletto, R.4¾ paramenti e paftelefte delle saccoccie Detto più largo per gli alamari ai paramenti e giro della saccoccia R. 5 7112 Veste sarà di panno picco/ /odeves bleu, fodra di mezzalana bianca, con num. dieciofto bottoniere da una parte del davanti, altre tre alla paftelefta d'ogni saccoccia, et altra a caduna manica e tutte di bava con /uoro bottoni d'ottone con corda di violino se­ condo la mostra e rispetto a/l'ampiezza delle fa/dine del davanti, e dietro secondo la mostra. Panno picco/ /odeves bleu R.2¼ Mezzalana bianca per fodra R.4¾ R.¼ Tela sotto li bottoni e bottoniere Calze saranno d'alphetich (4) bleu, bottoni d'ottone. Caporale. Il giustacorpo sarà di panno picco/ /odeves bleu, fo­ dra di pirlata dello stesso colore, picco/ colletto dritto di panno e fodra di pirlata suddetti, e nel resto come a quello del sargente esclusi li galoni d'oro al bavaro, paftelefta delle saccoccia, intorno di questa, et alamari alfi paramenti, dovendo però questi esser bordati d'un galone d'oro della qualità e bontà di quello del ba­ varo del sargente con galoni tre d'oro a forma di ponta accanto delle bottoniere d'ogni paramento della qualità e bontà di quello dell'alamari del sargente e rispetto a/l'ampiezza del dissofto se­ condo la mostra. Panno picco/ /odeves bleu R.4½ Pirlata bleu per la fodra R.8 R.½ Tela sotto li bottoni e bottoniere Detta per due saccoccie R. 1 Ga/one d'oro per la bordura dei paramenti R.2 Detto più largo per applicarlo a detti paramenti a forma di ponta R. 1 1 1 2 1 Veste e calze, come al sargente. Soldato. Il giustacorpo come quello del sargente escluso il collet­ to, e tutti li galoni d'oro, dovendo però li paramenti esser bordati d'un galone di seta color d'oro, et altro più largo al dissofto le botto­ niere d'essi, e rispetto a/l'ampiezza del dissofto secondo la mostra. Veste e calze come al sargente': Fino al 1751 questa uniforme non subì variazioni ad ecce­ zione dei paramani di panno turchino che a seguito dell'or­ dine del 21 agosto 1748 furono sostituiti da altri confeziona-

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ti con la felpa di colore nero: "Sa/e Bartolomeo. Provisione di panno negro per li paramenti de Giustacorpi del Reggimento Artiglieria in luogo del 8/eu. Ad ognuno sia manifesto che avendo S.M. approvato il progetto formatosi di cambiare li paramenti de' Giustacorpi del Reggimento Artiglieria con farli fare di pana (5) negra invece che sono presen­ temente di panno bleu ... " L'equipaggiamento dell'artigliere era co­ stituito dalla "poire a poudre", una fia­ schetta a forma di pera contenente la polvere per gli inneschi appesa ad una cinghia di pelle ingiallita e dal cinturino della stessa pelle (6) con giberna di cuo­ io annerito bordata di rosso ed ornata dalle armi reali in ottone; l'armamento comprendeva, oltre al fucile da fanteria, la pesante sciabola da granatiere.

NOTE (1) Cascame di seta. (2) La "manica a caccia" era caratteriz­ zata dalla parte terminale aperta lungo la cucitura dove formava una pattina sagomata chiusa da quattro bottoncini con asole, tre dei quali esterni di me­ tallo ed il quarto, interno al paramano, ricoperto di panno turchino. (3) I termine "pirlata" aveva origine dal­ la città francese di Pierrelatte, situata nella pianura del Delfinato, sede di in­ dustrie tessili che producevano questo tipo di stoffa, una qualità di sargia tes­ suta a maglia "perlata" che presentava un effetto in rilievo su fondo liscio (4) Alphetick: dall'inglese "Half-thick'', tessuto di medio peso utilizzato per confezionare vesti, calzoni, mostreg­ giature. (5) Il termine "pana" o "panna" indica­ va la felpa, un tipo di tessuto morbido a maglia in trama che simulava il velluto. (6) I cuoiami tinti di giallo costituiranno una delle caratteristiche dell'artiglieria sabauda e poi italiana rimasta in vigore fino alla vigilia della Grande Guerra.

FONTI Livre de l'uniforme des Regimens d'lnfan­ terie au service de S.M. le Roi de Sardai­ gne se/on l'etablissement, qui en a etè tait en demier lieu, 1744, Archivio di Stato di Torino, Biblioteca Antica, Jb 11116. n. 6/2023 I Rivista Militare

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Ogni anno vengono varati nuovi, silenziosi e sempre più letali killer degli abissi, ma l'idea di esplorare le profondità risale a tempi antichissimi. Una leggenda racconta che intorno al 333 a.C. Alessandro Magno volle farsi calare nelle acque del mar Egeo, racchiuso in un barile rico­ perto da placche in bronzo con degli oblò in vetro, de­ nominato "skaphe andros" (da cui deriva il più moderno termine scafandro). Nel 1775 l'americano David Bushnell battezzò in Turi/e un piccolo guscio in legno azionato da due eliche mano­ vrate a mano. Fu impiegato nella Guerra d'indipendenza americana nel 1776 per attaccare le navi inglesi. Il passaggio dai più arcaici sommergibili ai più recenti sot­ tomarini avvenne intorno alla fine della Seconda Guerra Mondiale, quando la Germania nazista completò la co­ struzione dell'U-BootTipo XXI, considerato come il primo vero e proprio sottomarino della storia, ovvero sviluppato per poter navigare e combattere in immersione, con uno scafo cilindrico di forma affusolata. Dai tempi del leggendario "Da Vinci", che avrebbe do­ vuto attaccare la baia di New York, o dell'USS Nautilus, il primo sottomarino nucleare al mondo, la tecnologia e la cortina di segretezza che hanno avvolto le flotte subacque mondiali sono cresciute esponenzialmente. Seawolf, Astute, Le Triomphant, sono rispettivamente i nomi di classi di sottomarini nucleari americani, ingle96

si e francesi, che costantemente pattugliano gli abissi, giocand0 una pericelosa partita di proiezione delle for­ ze, contro veri colossi come il russo K32_9 Belgorod, armato con i siluri Poseidon, in grado di provocare uno tsunami nucleare. Le missioni dei sottomarini sono da sempre segrete ed estremamente pericolose e numerosi sono i battelli che nel corso della Storia non hanno fatto ritorno alle basi. C'è una tradizione nella Marina degli Stati Uniti secondo cui nessun sottomarino va mai perduto. Quelli che vanno in mare e non ritornano sono considerati "Stil/ on patrol" (ancora di pattuglia). Comandare un sottomarino richiede grandissime capaci­ tà; muoversi e combattere a 360 ° in un fluido, servendosi solo dei dati forniti dai vari apparati, senza la possibilità di "vedere", in un ambiente dove bombe di profondità, missili, siluri, collisioni e pressione sono solo alcuni dei numerosi fattori che potrebbero uccidere noi e tutto il no­ stro equipaggio non è da tutti... Però a farci provare un assaggio di acqua di mare, odore dei motori diesel, sudore e tensione ci ha pensato Wor­ ld of Warships, un videogioco multiplayer free-to-play, sviluppato dall'azienda Wargaming.net, sulle battaglie fra unità militari navali del periodo compreso fra gli anni Dieci e gli anni Cinquanta del XX secolo. Attraverso mouse e tastiera ogni giocatore comanda la

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che non sa dove andare" Seneca. propria nave e dovrà cercare di distruggere le navi nemi­ che e/o conquistare la base avversaria. Dotato di un'elevata accuratezza storica (ogni battello è realmente esistito e ha addirittura una scheda a corredo) e di una eccellente interfaccia grafica, il gioco offre ai gio­ catori un'ampia gamma di opzioni di combattimento. Cir­ ca 400 battelli tra cui scegliere, dai sottomarini fino alle portaerei, moltissime le nazionalità opzionabili, quindi il giocatore può spaziare dagli U-Boat tedeschi ai sottoma­ rini tascabili giapponesi. Tre le possibilità di navigazione per i sottomarini: quota periscopio, immersione o superficie. Ovviamente ogni scelta ha i suoi pro e contro, scegliere la velocità della navigazione diesel ma con il rischio di essere individuato oppure la lenta navigazione in immer­ sione per avvicinarsi furtivamente? Diverse le tipologie di armi su cui fare affidamento, dal cannone sul ponte ai siluri di vari modelli, come quelli a ricerca sonar, che "ag­ ganciano" l'obiettivo una volta scoperto a colpi di "ping". World of Warships è un gioco che va pensato, esattamente come nella realtà non ci si può buttare nella mischia e sparare all'impazzata. Ogni mossa va ponderata e richiede la conoscenza dei propri mezzi e di quelli avversari. Per esempio le coraz­ zate sono lente, ma compensano con uno scafo spesso e cannoni in grado di distruggere avversari a miglia di

distanza, le portaerei non hanno artiglierie, ma i velivoli imbarcati possono essere un enorme problema se ven­ gono sottovalutati. La diversità tattica, la combinazione di navi da guerra leggendarie abbinate al formato giocatore contro gioca­ tore offre un'ampia gamma di opzioni tattiche e scenari, rendendo ogni battaglia un'esperienza unica. Sei i tipi di battaglie tra le quali scegliere: In squadra, Casuale, tra Clan, Training Battle, Ranked Battle, ovvero per giocatori dello stesso livello. Vincendo le battaglie, si sale in classifica e si ha la possi­ bilità di ottenere ricompense. La scheda Rank del vostro profilo, vi aiuta a seguire i vostri progressi e vi mostra le ricompense accreditate per ogni livello raggiunto. Il gioco è gratuito basta scaricarlo dalle varie piattaforme, pur­ troppo sono a pagamento alcuni upgrade e optional. Ma per iniziare a giocare, bastano solo una tastiera e una buona connessione. World of Warships fa parte della serie World (World of Warplanes e World of Tanks) e viene costantemente ag­ giornato, avendo una foltissima schiera di appassionati, un ricco e articolato training ed addirittura una campagna di "reclutamento". Bel gioco appassionante da provare, ma.. studiatevi bene l'uso del sonar, fate pratica con gli idrofoni nella vostra vasca da bagno e studiate delle con­ tromisure nel caso veniste scoperti! n. 6/2023 I Rivista Militare

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Il Carro Veloce C.V.33 è l'icona dei corazzati italiani sia per l'esteso impiego protrattosi dal 1933 sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale sia per essere il carro armato più prodotto in Italia. Era il frutto della filosofia inglese che dopo la Grande Guerra propose la costituzione di reparti di piccoli economici carri (tankette) e che portò in diversi Paesi alla nascita di vari modelli di questo tipo di corazza­ to. In Italia, dopo l'acquisizione da parte del Regio Esercito di poche decine di C.V.29, variante della tankette Vickers, ne venne commissionato all'Ansaldo un ulteriore sviluppo, il C.V.33 che si affiancava al FIAT 3000 (derivato dal Re­ nault F T-17) venendo dapprima distribuito nel 1934 al rgt. cavalleggeri guide (19°), poi ad altri reparti di Cavalleria e dal 1935 ai rgt. Carri Armati in quantità sempre più consi­ stenti. Mentre in altri eserciti si passava alla realizzazione di carri di maggiori dimensioni, in Italia, per carenze dot­ trinali dei vertici del Regio Esercito e per l'inadeguatezza tecnica dei fornitori nazionali di materiale bellico, solo nel 1939 vennero realizzati modelli un po' più pesanti. F u così che sino al 1945 il C.V.33 e i suoi derivati (C.V.35 e C.V.38) tutti poi rinominati "leggeri" furono sempre presenti su tutti i fronti che negli stessi anni videro impegnate le F F.AA. ita­ liane, venendo usati anche in compiti per i quali non erano certo all'altezza. Ben presto emersero molti difetti fra cui la scarsa efficacia dell'armamento che dalla seconda serie della versione 33 era costituito da due mitragliatrici cali­ bro 8 mm: nel tentativo di porre rimedio a questa carenza, nel 1935 venne realizzata una versione lanciafiamme del C.V.33. Per il ridotto spazio interno del carro fu adoperato un rimorchietto-serbatoio per il liquido infiammabile che tramite un tubo flessibile di gomma che attraversava gli interni del mezzo arrivava alla pistola di lancio ubicata al posto della mitragliatrice di destra. Nel modellismo non sono molte le riproduzioni in scala 1/35 del C.V.33 ma for­ tunatamente una ditta artigianale italiana la Model Victo­ ria, i cui prodotti sono fra le migliori realizzazioni in questo settore, ha in catalogo pure la versione lanciafiamme del C.V.33. Il kit è in resina, materiale che va adoperato pro­ teggendosi le vie respiratorie con cautela fin dal distacco delle parti dalle materozze di stampa e avendo una buo­ na esperienza; per le loro microscopiche dimensioni molti pezzi sono delicati e per posizionarli correttamente si deve 98

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studiare bene il foglio istruzioni con le tante foto a colori dei vari sotto insiemi del modello. È un prodotto preciso nella raffigurazione degli esterni ed interni del carro: il gruppo cambio-differenziale, il motore (ci sono anche le riprodu­ zioni delle candele!), gli interni della casamatta sono dei modelli nel modello che, grazie alla possibilità di fissare in posizione aperta i vari sportelli, sono visibili ed apprezza­ bili a costruzione ultimata. Inoltre, nella confezione ci sono anche un ottimo figurino di un carrista italiano e un bidone del Regio Esercito. Il corpo del carro è diviso longitudinalmente in due pez­ zi con la parte superiore cui sono collegati i parafanghi, il rimorchio è in un pezzo unico cui vanno unite ruote e parafanghi. C'è una lastra in foto incisione per particolari come il distintivo del R. E. posto sino al 25 luglio 1943 sulle piastre frontali dei mezzi militari italiani e le targhe (come quelle reali hanno lettere e cifre in rilievo). Gli esempla­ ri proposti dalle decals (di ottima qualità) sono un C.V.33 in kaki sahariano in Libia nel 1940 del 61° btg., uno nello schema in grigio verde uniforme del 31° rgt.f.car. introdot­ to nel 1939 nei Balcani. Le opzioni della Model Victoria si basano su foto da cui si evincono le immatricolazioni, cosa non semplice in realtà in quanto tutti i CV avevano sole targhe posteriori. La costruzione del kit inizia con la verni­ ciatura degli interni seguendo le indicazioni del foglio istru­ zioni, usando però l'alluminio per il pavimento interno. Non ci sono difficoltà nell'assemblare i vari pezzi, e lo stucco va usato in quantità ridottissime; per un arricchimento del mo­ tore si possono riprodurre i cablaggi con filo di rame sotti­ le; le tubazioni del sistema lancia fiamme vanno realizzate con guaine di filo elettrico dal diametro molto piccolo, più spessa per quella fra rimorchio e carro. L'esemplare usato dal 31° rgt. aveva dei rettangoli di colore rosso con le lette­ re bianche LF posti sulle fiancate, un particolare unico che ne rende più interessante la sua riproduzione con la mime­ tica esterna che si può realizzare con l'Humbrol 75 mentre le maglie dei cingoli sono in alluminio. Dalle foto di questo mezzo la sua colorazione appare in buono stato e quindi va invecchiata oculatamente, ad esempio, con adeguati passaggi di terre di colorificio. A modello finito, ci si rende conto che la Model Victoria ha tributato un degno omaggio a questo piccolo ma importante carro armato italiano.


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during a conference attended by university pro­ fessors and history experts. This was followed by the inauguration of the commemorative exhi­ bition, which will remain open until 20 June 2024. 80 years after the Arm istice of Cassibile, the Cal­ endEsercito 2024, wants to remember the feats of arms of World War Il, to pay tribute to the men who took part in it, conscious of serving their Country, both before and after 8 September 1943, honouring the Oath they took. Far ltaly always! This is the dedication of the Cal­ endEsercito to honour the memory of a number of Officers, Non-Commissioned Officers and Soldiers who were awarded the Gold Medal far Military Valour far heroic acts performed after the armistice and who also distinguished themselves in the period before. At the Centrai Military Library in Rame, on 1O Octo­ ber, the new edition of the CalendEsercito was pre­ sented at a conference attended by the highest civil and military authorities and university professors. With photos, texts and accurate reconstructions, the CalendEsercito, produced by the Army Generai Staff, in­ creasingly represents a work of historical popularisation.

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YEARS WITH HEAD HELD HIGH 80

by Paola Pucci

With the armistice of Cassibile, signed with the Allies and entered into farce on 8 September 1943, one of the most complicated historical phases far our country began. On the 80th anniversary of the War of Liberation, the Army Generai Staff - V Historical Office Depart­ ment, organised a double event, on 13 September, in Rame, at the Polo Museale in S. Croce in Geru­ salemme square, in the presence of the Undersec­ retary at the Ministry of Defence, Senator Isabella Rauti and the Chief of the Army Generai Staff, Lt. Gen. Pietro Serino. 'A Testa Alta... da Porta San Paolo a Mignano Monte Lungo, i 98 giorni che portarono alla riscossa' (Head Up... from Porta San Paolo to Mignano Monte Lungo, the 98 days that led to the redemption), is the title of a series of three paperback volumes, presented 100

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Chinese music streaming giant Tencent Music has produced a song 'synthetically' using ar­ tificial intelligence, grossing an astronomical $350,000 in just a few days. In Seoul, South Ko­ rea, EveR6, a humanoid robot, conducted the orchestra of the Opera House far three songs to the applause and some consternation of the au­ dience. The new frontiers of artificial intelligence are also pushing into the realm of emotions, into artistic production, putting the work and creativi­ ty of artists at risk towards colder market logics. The artistic aspect of this affair is part of a global debate on Al that is rapidly affecting all fields of our existence, from defence to culture.

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FEMALE BEAUTYOVER THE CENTURIES by Anna Maria lsastia

The author develops a rapid and incisive path on the evolution and changes in the canons of ternale beauty throughout history. Between curiosities and historical events, pass­ ing through art, culture, oppression and new trends of each time, the ternale figure seems to have always been modelled according to what the male figure required at the time The article fits in perfectly with the in-depth study of the modem system of computing al­ gorithms, which guide society's tastes and cus­ toms through social channels and marketing mechanisms. The repercussions are global and, at times, may even seem borderline dystopian.

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Today's wars are not only fought on the battlefields, in the skies and on the sea: in Ukraine we are witness­ ing the first computer-virtual conflict in history, fought by civilians using a keyboard and through social net­ works, while soldiers train through virtual reality and leaders are 'teleported' into 3 dimensions. Between past and future, today's wars are changing so fast that it is hard to imagine them in their complexity.

A multifaceted and complex personality, an acute and enterprising spirit, Ernst Junger was one of the greatest German writers and military analysts of the 20th century, but also a naturalist and entomologist. T he experience of the First World War was decisive in his education. In his works, novels and war diaries, his military doc­ trine is increasingly defined, but also the spiritual and ultimately politica! context in which his story is set. In this short essay, we would like to examine the originai definition of Junger's military doctrine, the result of a particularly intense persona! experience during the interminable months of the battles of Ver­ dun, on the border between Germany and France.

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CONFLICTS ::::::a::

In this short article, we wanted to investigate the in­ fluence that weather conditions had on the first set­ back of Napoleon's career, which occurred in 1807. In fact, this year represents a kind of cross-section in Napoleon's wars because between 7 and 8 February the Battie of Eylau took piace within the dynamics of the French campaign in Poland. lt is one of the bloodiest battles Napoleon took part in, and is the battle most affected by weather conditions in all the campaigns. Of course, the weather often played a crucial raie in some of the Emperor's most famous battles, such as the world-famous Battle of Austerlitz where fog allowed the French to conceal their forces that would later break the enemy's ranks in two. In the case of Eylau, however, the clash was influenced by the weather in its entirety and represented the first setback in Napoleon's career.

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PROPOSTE DI LETTURA Franz Nc11rna1111

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Filippo Cappellano, A testa alta... da Porta San Paolo a Mignano Monte Lungo, i 98 giorni che por­ tarono alla riscossa, SME Ufficio Storico, 2023, pp. 523, € 18,00.

Paolo Ghibaudo, 8 settembre i segreti svelati. Indagine sui gior­ ni che hanno cambiato l'Italia, Idrovolante Edizioni, Alatri, 2023, pp. 223, € 17,00.

Franz Neumann, Behemoth: struttura e pratica del nazional­ socialismo, Bruno Mondadori, Milano, 2007, pp. 55 8, € 13,00.

Riavvolgere il nastro della storia non è impossibile. Lo dimostra la collana "A testa alta", composta da tre volumi incentrati sull'Eser­ cito Italiano dopo l'Armistizio dell'8 settembre del 1943. Il cofanetto si ispira al Calendesercito del 2023 "A testa alta ... da Porta San Paolo a Mignano Monte Lungo, i 98 gior­ ni che portarono alla riscossa". La trilogia parte dall'Armistizio e rac­ conta il coraggio dei soldati del Re­ gio Esercito contro il nazifascismo. Gli italiani ed i suoi militari erano allo sbando, privi di una guida isti­ tuzionale i primi, e di una linea di comando i secondi. L'Esercito Ita­ liano fronteggiò il nemico con la riorganizzazione della componen­ te operativa e con la costituzione del I Raggruppamento Motorizza­ to, che nel dicembre del 1943 si distinse nella battaglia di Monte Lungo contro i tedeschi. A Roma, in Corsica, nel Dodecaneso, in Dal­ mazia, Cefalonia e Corfù ci furono le controffensive più vivaci. Altro fi­ lone è dedicato ai militari schierati sull'Appennino e sulle Alpi, che ali­ mentarono la lotta partigiana. Oltre 700.000 tra soldati, Sottufficiali ed Ufficiali vennero catturati e internati in Germania perché si rifiutarono di collaborare con i tedeschi. I tre vo­ lumi, in formato tascabile e con 119 foto, sono stati redatti grazie alle fonti dell'Archivio dell'Ufficio Stori­ co dello Stato Maggiore dell'Eserci­ to; la lettura gradevole richiama un pubblico eterogeneo.

Sull'8 settembre 1943 si è scritto molto, ci ricorda l'autore, anzi mol­ tissimo: "oltre duemila libri". In que­ sto volume, però, la meritoria opera di Ghibaudo è proprio quella di raf­ frontare tutte le fonti dirette disponi­ bili che, invece, sono una cinquan­ tina. Un lavoro certosino, dunque, frutto di pazienza e di una smisu­ rata passione per la ricerca storica. Sull'argomento specifico, peraltro, l'autore stesso è curatore del sito www.8settembre1943.it. Piacevolis­ simo da leggere, il testo risulta ben strutturato e si conclude con due uti­ lissimi capitoli: "Profili umani e psi­ cologici dei protagonisti" e "Ruoli e compiti nel settembre 1943". Di tutta questa complicata vicenda - che, francamente, non sfigurerebbe qua­ le trama di un articolato romanzo giallo - l'attenzione di Ghibaudo si è concentrata su due enigmi. La fuga di Vittorio Emanuele lii fu concorda­ ta con i tedeschi? La zona di sbarco a Salerno, anziché Roma, era nota ai vertici militari italiani? L'autore fornisce puntuale risposta... che non anticipiamo. I fatti sono narra­ ti con scrupolo e non si tralasciano neppure momenti di difficoltà o di imbarazzo. Ad esempio come quan­ do il Maresciallo Badoglio, svegliato di notte, voleva ricevere in pigiama due Ufficiali statunitensi giunti a Roma per dare il via all'Operazione Giant Il. Questo ottimo testo, curato anche nella resa grafica, è imprezio­ sito dalla prefazione del prof. Gasto­ ne Breccia.

L'introduzione di quest'opera - pubbli­ cata per la prima volta a New York nel 1942, Franz Neumann era ebreo e si rifugiò negli USA -, è a cura di Enzo Collotti che così la definisce: "Pietra miliare della storiografia, che non va relegata (. . .) tra le interpretazioni so­ ciologiche del fascismo". È lavoro cor­ poso e accuratissimo cui molti, dopo la prematura scomparsa di Neumann (1900-1954), sono debitori. In partico­ lare, Raul Hilberg, autore dell'impo­ nente opera "La distruzione degli ebrei d'Europa", conferma di aver tratto ispirazione da Neumann. Gli è ricono­ scente per aver individuato in 4 pilastri la forza del sistema nazista: il partito, la burocrazia, le Forze Armate e l'in­ dustria. Quindi, anche per l'Olocausto, non ci fu un unico cervello, ma un con­ corso di ben 4 strutture. Le osservazio­ ni di Neumann sono sempre articolate e motivate, così come le definizioni cui ricorre sono semplici nella forma, ma dal carico concettuale poderoso. "Il proletarismo razziale è la teoria ge­ nuina del nazionalsocialismo e la sua espressione più pericolosa", giusto quale esempio. In possesso di vastis­ sima cultura, Neumann agilmente si muove nel tempo e nello spazio con in­ cursioni in ogni ramo del sapere: dall'e­ conomia alla sociologia, alla geografia e alla storia. Difatti, il suo approccio al nazionalsocialismo è di tipo strutturale, ogni aspetto ne è analizzato. Si tratta, in sintesi, di un classico - da leggere e rileggere, tante sono le informazioni contenute - che non può mancare in una buona biblioteca.

P.P.

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GuidoA!lìner

I TRENI OSPEPaLE INIT1llla NEL POPO�IJERRa

DUEANNI SULCARSO DALSAN MICHELE A CASTAGNEVIZZA CON LA BRIGATA FERRARA

Guido Alliney, Due anni sul Carso. Dal San Michele a Castagnevizza con la Brigata Ferrara, LEG, Rimini, 2023, pp. 364, € 20,00.

Edoardo Tripodi e Maurizia Rinal­ di, I treni ospedale in Italia nel do­ poguerra. Il declino e un progetto di rinascita, Edizioni Artestampa, Modena, 2023, pp. 209, € 58,00.

Frans de Waal, Il bonobo e l'ateo. In cerca di umanità fra i primati, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2013, pp. 322, € 28,00.

Il Prof. Alliney - che ha già lavorato a lungo sulla Prima Guerra Mondiale - affronta le vicende militari della Brigata Ferrara nei primi due anni di conflitto. Gli eventi bellici, però, non sono l'unico tema affrontato. Con abilità l'autore ampia o restringe la narrazione, da collettiva ad indivi­ duale, così come vari sono gli stru­ menti dell'analisi: relazioni tecniche, documenti ufficiali, memorialistica e fotografie. L'autore, insomma, vuole renderci partecipi di quei momenti attraverso spaccati di vita quotidia­ na al fronte: il rancio, la paura, le malattie, così come gli atti di valo­ re, ma anche di insubordinazione o di rivolta, e la dura disciplina. Va notato, infatti, che la Ferrara fu una Brigata duramente provata dai com­ battimenti. I suoi militari, quasi tutti calabresi e pugliesi, furono uomini valorosi. Un esempio per tutti: il 5 luglio 1915, il 47 ° Reggimento della Ferrara perse in combattimento 12 Ufficiali, tra cui il comandante di reg­ gimento e due comandanti di bat­ taglione. Questo in un solo giorno, mentre in poco più di sedici mesi: "Ciascun reggimento aveva ricevuto circa 7.500 complementi e il reparto, dunque, era stato ricostituito quasi tre volte". Un altissimo tributo di sangue. Ottimo l'approfondimento su Leo Pollini e Mario Puccini: "Per Pollini quello che conta è l'attivismo inesausto del guerriero, per Pucci­ ni, invece, è la tenerezza verso gli uomini e le cose". Entrambi ufficiali subalterni, intellettuali e scrittori.

Gli autori, coniugi e medici, hanno licenziato a giugno 2023 questo pre­ zioso volume frutto di molti anni di ricerca. Tale fatica va a colmare una carenza sull'argomento - ricono­ sciuto tema "affascinante per gli ap­ passionati e romantico per il grande pubblico" - e lo fa in maniera tecnica e rigorosa, dal dopoguerra ad oggi. Va rilevato subito il generoso forma­ to del volume (21x30 cm) e il vastis­ simo apparato iconografico (oltre 300 le foto, i disegni e gli schemi, il tutto di ottima qualità e dimensio­ ni). Nella "Chiave di Lettura" iniziale gli autori aiutano il lettore: "Il treno ospedale è un mezzo, o meglio uno degli attuatori finali di un processo complesso". In sintesi: la medicina ed il treno si sono incontrati grazie al mondo militare che ha funziona­ to da catalizzatore. Graditissima la citazione dalla rivista "T he Lancet" del 1914: "Il trasporto dei feriti e dei malati dalla sede delle operazioni per ferrovia è il miglior mezzo per una evacuazione veloce e si adot­ ta sempre dove fattibile". Infine, il 2017 vede chiudere in Italia "l'era dei Treni Ospedale classici a gestio­ ne militare", ma l'emergenza CO­ VID-19 rilancia lo strumento, quan­ tunque come solo treno sanitario civile (AREU-L, Azienda Regionale Emergenza Urgenza della Lombar­ dia) non collegato alla CRI. Termi­ nata l'emergenza COVID, scoppia la guerra in Ucraina: il treno AREU-L è "ripellicolato in bianco con le croci rosse simbolo di neutralità".

Frans de Waal è un primatologo di fama mondiale e grande saggista. Non a caso, a Padova nel 2014, que­ sto suo testo ha ricevuto il "Premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica". Per l'autore la suddivi­ sione del mondo in animale - sprov­ visto, cioè, del controllo razionale e soggetto unicamente alle proprie pulsioni - ed umano - ovvero il re­ gno della razionalità comportamen­ tale - è un falso. Insomma, non è vero che gli animali agiscono solo per istinto. Nei mammiferi, infatti, i sentimenti di ingiustizia e trattamenti iniqui sono ben percepiti, così come la solidarietà e la compassione. De Waal testimonia le sue teorie con nu­ merosi esempi, tratti da osservazioni sul campo e test su scimpanzé e bo­ nobo. I risultati sono impressionanti. Punto di partenza: le emozioni. Esse si collocano alla radice della moralità che esiste dacché le si provano; ben prima, dunque, della nascita delle re­ ligioni. Tema importante e molto ben argomentato lungo tutte le pagine di questo scorrevolissimo volume. Abbiamo molto in comune con i pri­ mati, ben più di quanto si possa im­ maginare. D'altronde: "è impossibile guardare una grande scimmia negli occhi e non vedere se stessi. (. . .) L'essere che ti restituisce lo sguardo non è tanto un animale, bensì una persona seria e volitiva quanto te". La riflessione sul comportamento animale, in definitiva, è strumentale alla riflessione su se stessi, in manie­ ra comparata e molto efficace.

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Martin Ford, Il dominio dei robot, Il Saggiatore, Milano, 2022, pp. 315, € 24,00.

Manuela P elleg rino , Ucraina: "invenzione geo grafica" o "Sta­ to sovrano"?, SME Ufficio Stori­ co, Roma , 2006, pp. 263 , € 18, 50.

Massimo De Angelis e Giampao­ lo Cadalanu, La guerra nascosta. L'Afghanistan nel racconto dei militari italiani, Laterza, Bari, 2023, pp. 216, € 19,00.

Martin Ford ha fondato un'azienda di software nella Silicon Valley e scrive per prestigiosi giornali. Dopo la pub­ blicazione del suo precedente libro "Il futuro senza lavoro", ha viaggiato in più di trenta nazioni e partecipato a conferenze di altissimo livello ovun­ que. È, quindi, tra i massimi esperti sul tema. In questo ottimo testo dal carattere divulgativo - gli va ricono­ sciuta la capacità di spiegare con chiarezza anche a chi non ha com­ petenze informatiche - l'autore ci im­ merge nel mondo della ricerca legata all' IA, alle sue applicazioni e al suo futuro. Machine leaming e deep le­ aming, dopo la lettura, non saranno più concetti sconosciuti. A differenza del precedente testo, in questo egli ha un approccio più ottimistico che, quantomeno, un poco conforta. Ful­ cro del libro e assunto di base: l'IA "finirà per coinvolgere e trasformare praticamente ogni cosa". Non sarà necessariamente un male, perché amplificherà enormemente il nostro intelletto. Un esempio? Il nuovo po­ tente antibiotico Halicin (da Hai il famoso computer di "2001 Odissea nello spazio") che, scoperto dai ricer­ catori del MIT in pochi giorni, "sem­ bra attaccare i batteri in modo com­ pletamente nuovo". È, in definitiva, un libro attraente, invoglia alla lettura perché incuriosisce sempre più, pa­ gina dopo pagina, lasciandoci con la convinzione, o forse la speranza, che proprio per le difficilissime sfide che dovremo affrontare "l'IA sarà in­ dispensabile".

Lettura quanto mai utile ed attuale. Pubblicato nel 2006 - dall'Ufficio Sto­ rico dello Stato Maggiore dell'Esercito - questo volume aiuta nella compren­ sione della delicata storia europea rife­ rita agli anni 1917-1920 ed imperniata sulle vicende del granaio d'Europa. L'autrice sfrutta, tra gli altri, un privile­ giato osservatorio su quelle vicende: la Missione militare italiana in Russia, pri­ ma, ed in Polonia, poi. A capo di quel­ la Missione fu posto il Gen. Giovanni Romei Longhena. Le prime pagine offrono al lettore una panoramica della storia ucraina, dalla quale si percepi­ sce il secolare contrasto con la Russia - come motivo dominante - cui si ag­ giungono, da non sottacere, rivoluzioni interne e forti spinte indipendentiste, occupazioni militari e mai sopiti appetiti territoriali stranieri (non solo russi, val la pena di anticipare). Una terra, in­ somma, che ha vissuto rari momenti di pace, proprio perché crocevia o ponte tra l'Est e l'Ovest: non a caso, Ucraina significa "terra di confine". Con la firma del trattato di Riga, 18 marzo 1921, l'Ucraina perde, a favore della Polonia, una parte dei territori occidentali. Dal dicembre 1922, invece, entrerà a far parte dell'URSS. Già allora, il Gen. Ro­ mei aveva ben chiaro che l'inserimen­ to dell'Ucraina nella sfera dell'URSS non avrebbe "chiuso" tutte le questioni che la riguardavano. Così fu. L'effettiva indipendenza e liberazione nazionale sarà faticosamente realizzata solo nel 1991. Indipendenza per la quale, men­ tre recensiamo questo libro, si trova ancor oggi a combattere.

"La guerra nascosta" è un libro che tutti i mille militari del contingente "Nibbio" e i colleghi che li hanno avvicendati dovrebbero leggere. Uno strumento per fare chiarezza sui meccanismi tra politica, impegni internazionali e uo­ mini sul terreno che spesso, anche a chi si è trovato in quelle terre vestendo l'uniforme, non erano poi così chiari. Leggi, norme e azioni che, per l'autore, spesso sono state in contraddizione andando a far calare una nebbia sul­ la missione. Una ricostruzione, dav­ vero unica, del ruolo avuto dai militari italiani in quella terra corredata da un sapiente lavoro di ricerca di testimo­ nianze che danno una luce personale ad un impegno che è stato per il nostro Paese particolarmente gravoso. Per Giampaolo Cadalanu (storico inviato di "Repubblica") autore, assieme a Mas­ simo De Angelis, di questo libro pub­ blicato nel febbraio del 2023 e già alla seconda edizione, "La guerra nasco­ sta" "non è più cronaca (alla luce del nostro ritiro dal Paese degli aquiloni) ma nemmeno storia: speriamo possa essere esperienza". 53 morti e 723 fe­ riti ed una spesa attorno agli 8,7 miliar­ di di euro è stato l'impegno dell'Italia in ISAF, Enduring Freedom e Resolution Suppo,t, in un Afghanistan che, dopo 20 anni, ha visto tornare di nuovo al potere il regime talebano. Ma la storia (si spera) potrà raccontare un'evolu­ zione diversa del Paese asiatico. Chi racconta invece impegno e dedizione sono questi due inviati che raccolgono in poco più di 200 pagine uno spaccato di professionalità e artifizi politici.

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