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GIORNALE DI MEDICINA MILITARE 1974

Page 1

GENNAIO • FEBBRAIO 1974

ANNO 124° • FASC. 1

DI

MEDICINA MILITARE PUBBLICAZIONE BIMESTRALE

DIREZIONE REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE VIA S. STEFANO ROTONDO , 4 - ROMA Spedizione in abb. post. - Gruppo IV


GIORNALE

DI

MEDICINA

MILITARE

SOMMARIO

Convegno internazionale a Fiuggi sull'educazione sanilaria nelle FF.AA. . V ALERI C. R.: Quality of red cell transfusions (Qualità delle trasfusioni di globuli rossi)

3

F.wuzzr E., TucclARONE R.: La riabilitazione del politraumatizzata della strada nell'ambiente militare 1973 .

42

FAvuzzr E., CAMPANA F. P., DE ANTONI E., Tunm A.: Problemi di tecnica nella chirurgia della parotide .

51

MAFFE1 G., V10LANTE A., DEL GOBBO V., BAZZICALUPO P., SoFIA A.: Studio sull'azione tossica delle dimetil - nitroso- amine: determinazione della DL...o nel ratto albino

75

ZANOTELu F.: L'urgenza medica in pneumologia .

87

BIANCALANA L.: L'urgenza nelle lesioni traumatiche del diaframma

96

DALLE ORE G.: L'urgenza chirurgica in neurologia .

roo

MustLLI C., FAvuzz1 E., T uccIARONE R.: Cupruria e neoplasie delle ossa .

104

RECENSIONI DI LIBRI .

II2

RECENSIONI DA RIVISTE E GIORNALI

II3

SOMMARI DI RIVISTE MEDICO-MIUTARJ

118

NOTIZIARJO:

Notizie tecnico - scientifiche

125

L'antigene Australia persiste in acqua fino al 16° giorno Ripercussioni psicolog,chc in mogli di pazienti con infarto del miocardio - Misurazione della pre~sione :l.rteriosa in elicottero - Il servizio sanitario inccgrale io via di realinazione in Svizzera - Edema polmonare e morte da supcrdosaggio di eroina • Miele nelle piaghe da decubito - Crisi convulsive 1ccidcntalt non - epilettiche.

Confe:cnze

127

Notizie militari

128

Necrologi

129


ANNO 124" • FASC. 1

GENNAIO • FEBBRAIO

1974

GIORNALE DI MEDICINA MILITARE

CONVEGNO INTERNAZIONALE A FIUGGI SULL'EDUCAZIONE SANITARIA NELLE FF.AA.

Il 29 - 30 giugno 1974 -

in Fiuggi -

si terrà, indetto e organizzato

dal Comitato Regionale del Lazio per l'Educazione Sanitaria, in collaborazione con la Direzione Generale della Sanità Militare, il Convegno su « L'educazione sanitaria nelle Forze Armate ».

E' prevista la parteci pazionc di autorevoli esPonenti politici, di cattedratici universitari, di rappresentanti della Sanità militare italiana e straniera, e di eminenti cultori dell'Educazione Sanitaria.

Per informazioni indirizzare a: prof. Alessandro Ciocci - Via di Porta Castello, 25 •

00193 Roma.



OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI ROM A « S. TEN. MED. ATTILIO FRIGGER[ " M.O.V.M.

D irettore: Col. Mcd. Prof. E. FAvuzz1 NAVAL BLOOD RESEARC l-1 LABORATORY (Laboratorio della Marina di Ricerche su l Sangue) CHELSEA - MASSACHUSETTS 02150

QUALITY OF RED CELL TRANSFUSIONS

(Qualità delle trasfusioni di globuli rossi) Com. C. R. Valeri, MC, USNR

I criteri seguiti per valutare l'accetThe criteria used to evaluate the clinical acceptability of liquid - and tabilità clinica di globuli rossi umani freeze - preserved human red cells are allo stato liquido e conservati medianlisted in Table I. Compatible blood te refrigerazione sono riportati nella free of the Australia antigen, malaria, tavola n. r. Il sangue compatibile, licytomegalovirus, and other infectious bero da antigene Australia, malaria, diseases should be transfused. Ideally, virus citomegalico e da altre malattie the blood should be collected in hepa- infettive dovrebbe essere trasfuso. In rin and stored at room temperature condizioni ideali il sangue dovrebbe forno more than 4 hours. Since fresh essere raccolto in eparina e mantenuto whole blood often is not available, a temperatura ambiente per un perio!iquid - and freeze - preserved pro- do non superiore alle 4 ore. Poiché spesso il sangue intero fresco non ducts serve as the best substitutes. è: disponibi.le, i prodotti liquidi e conservati mediante refrigerazione rappresentano i migliori succedanei. La conservazione del sangue intero The practice of storing whole blood in eitber acid-citrate- dextrose (ACD) o in acido - citrato -destrosio ( ACD) or citrate-phosphatc-dextrose (CPD) o in citrato - fosfato - destrosio ( CPD ) at 4 C for up ro 3 weeks before trans- a 4°C sino a un massimo di 3 settifusion is no lon ger considered accep- mane prima della trasfusione non è ritable by many investigators. Although tenuta più accettabile da molti ricercaposttransfusion survival of red cells, tori. Sebbene la sopravvivenza post albumin, gamma globulin, and fibri- trasfusionale dei globuli rossi, delle alnogen are adequately rnaintained, si- bumine, delle gamma globuline e del " Conferenza tenuta all'Ospedale Militare Principale di Roma il 9 ottobre r973. I l presente lavoro è stato finanziato dalla Marina degli Stati Uniti. Le opinioni o le asserzioni in esso contenute sono dell'Autore e non devono in alcun modo essere ritenute ufficiali o rispecchianti i punti di vista del Dipartimento della Marina o del Servizio N avale in genere.


4 TABLE l

TAVOLA [

CRITERlA FOR LIQUID -

CRITERI PER LA CONSERVAZ IONE

AND FREEZE - PRESERVA1'ION

DI GLOBULI ROSSI UMANI ALLO STATO LIQUIDO

OF HUMAN RED CELLS

E ~EDJANTE REFRIGERAZIONE

1. -

24 - hour posttransfusion survival.

r. - ~opravvivenza post - trasfusionale zn 24 ore.

Funzione di trasporto dell' ossigeno.

2. - Oxygen transport function.

2. -

3. - Spontaneous hemolysis (extracellular potassium, supernatant hemoglobin).

3. - Emolisi spontanea ( potassio ex-

4. - Amorphous debris-microaggregates (red celi , white cell, and platelet products; di-2-ethylhexyl phthalate ester; li poprotein.fibrin complex).

4. - Accumuli amorfi di microaggre-

5. - Toxicity of additives and an ticoagulants uscd for preservation.

5. - Tossicità degli additivi e degli

6. - Effects of white cells, platelets, protein and nonprotein substances in the blood.

6. - Effetti nel sangue dei globuli

7. - Risks of homologous serum jaund~ce, malaria, and cytom egalovuus.

7. - Rischi dell'ittero da siero omolo-

8. - Sterility and pyrogenicity.

8. - Sterilità e pirogenicità.

gnifican t deterioration of Factors V and VIII, platelets, granulocytes, and red cell oxygen transport function occurs (figs. I -4).

fibrinogeno si mantenga adeguata, si verifica un significativo deterioramento dei Fattori V e VIII, delle piastrine, dei granulociti e della funzione di trasporto dell'ossigeno dei globuli rossi (fìgg. r - 4).

tracellulare, emoglobina supernatante ) . gati ( prodotti di globuli rossi, globuli bianchi e piastrine; estere di di - 2 - etilexilftalato; complesso lipoproteine - fibrina). anticoagulanti usati per la conservazione. bianchi, delle piastrine, delle sostanze proteiche e non proteiche. go, della malaria e del virus citomegalico.


5 FIGURE I 24 - hour posttransfusion survival and lifespan of red cclls stored at 4 C in either acid citrate - dexrrose (ACD) or citrate - phosphacc - dexrrose (CPD) for up to 3 weeks eithcr as whole blood or as red ccli concentratcs. f Il

·--··--------

·------··

100 ~ ~

~

80

~

et:

~ ~ ~

60

2 Weeks al +4C

40

~

~ S;:

~

3 Weeks al + 4 C

20

(I) ~

o lmmediotely Af ter Tx

TIME Time following crnnsfusion % su rvival donor red cdl lmmediacely Aftcr T x

24 Hrs. 50 Days JOO Oays Day of Collcction , Week at + 4 C Wceks at + 4 C 3 w eeks ac + 4 C 2

50 Doys

24 Hrs.

100 Doys

FOLLOWING TRANSFUSION Tempo succeuivo alla trasfusio11c i'erce111t1alc di ,opravvivenza dei globuli ross, del donatore Immediatamente dopo la tra,fusionc 24 ore 50 giorni 100 giorn.i Giomo del prelievo I settimana ti 40( 2

settima11e " 4°C

3 settimane a 40c

FIGURA 1 Sopravvivenza post - trasfusionale nelle 24 ore e durata della vita di globuli rossi conservati a 4°C in acido - citrato - destrosio ( ACD) o in citrato - fosfato - destrosio ( CPD) per un periodo sino a 3 settimane o come sangue intero o come globuli rossi concentrati [ r].


6 FIGURE 2

A schematic diagram of the 24 - hour posttransfusion survival value and red ccli affiniry for oxygcn of red cells srored in ACD or CPD at 4 C.

Red Cel/s 24 hrs. Post-Tx Survivol / in ACD or CPO

Red Ce/I Function

50 25

o

21

14

7

Days Stored at +4C Days Storcd ar + 4 C

Giomi di co11servazio11c a

% of Originai Valuc

Percentuale del valore originale

Red Cells 24 hrs. Post · Tx Survival

Sopravvivenza posi - trasfusionale dei globuli rossi in ACD o Cl'D nelle 24 ore

Red Ccli Function

...

t- 4°C

Ftmzi01re dei globuli rossi

FIGURA 2

Fig ura sl'hematica del valore di sopravvivenza post - trasfusionale nelle 24 ore e dell'affinità per l'ossigeno di globuli rossi conservati in ACD o in CPD a 4°C.


7 FIGURE 3

A schcmatic diagram of thc dctcrioracion of plasma protein following storage of whole blood in ACD or CPI) at 4 e for up IO 21 days.

100 Cl)

~

~ ...... t)

F ibrinogen

;r- Globulin

.~

.t:h

;::

es

L

50

'~ ~

25

o 0 0

of Originai Value

7

14

P"rcent11ale del t•alore origmale

i\lhumin

Albumina

Fihrinogcn

Fibr1noge110

y

Gamma • glob11/111a

Globulin

21

FIGURA 3

Figura schematica del detet·ioramento delle proteine plasmatiche dopo conservazione del sangue intero in ACD o in C PD a 4°C per 1,11 periodo sino a 21 giorni.


8 FIGURE 4

A schcmatic diagram of the decerioration of platelers, granulocyces, and lymphocyces following storage of whole blood in ACD or CPD at 4 C for up to 21 days.

100

(b

~

75

~ Platelets

t5

-~ -~

ès

'

e)

cytes

25

Lymphocytes

/

* o

2

4

14

6

21

Doys att4C

Days at + 4 C

Giomi a

~ 4°C

% o{ Originai Valuc

Percentuale del valore originale

Platclcts

Piastri11e

G r anulocy1cs

Granulodri

Lymphocy1es

Linfociti

FIGURA 4

Figura schematica del deterioramento delle piast1·ine, dei granulociti e dei linfociti dopo conservazione del sangue intero in ACD o in CPD a 4°C per un periodo sino a 21 giorni.


9 PREPARATION OF BLOOD COMPONENTS.

PREPARAZIONE

DEI

COMPONENTI

DEL

SANGUE.

Whole blood is used when it is necessary to maintain blood volume and increase the oxygen - carrying capacity of the circulating blood. Whole blood may produce a number of adverse reactions that cannot always be detectcd with the technics now used for crossmatching. Such reactions may be triggered by antigens in white cells and platelets, by isoagglutinins, by the anticoagulant preservative, or by protein and nonprotein plasma factors. [ r ·1 To avoid these reactions and to determine the best use of our limited supply of blood, the physiology of red cells and platelets has been examìned, and largescale development of plasma fractionation methods has been undertaken. This concept of component therapy involves separation and storage of cellular and plasma components shortly after collection (fig. 5). Serial or continuous centrifugation is necessary to separate the rcd ccli and platelet concentrates from platelet- poor plasma. f2 - 6].

Blood collected in either heparin, ACD; or CPD and stored at room temperature (22 C) for not more than 4 hours is considered to be « fresh blood ll, and is the best replacement of acute blood loss. During this time there is only minimal damage to red cell s, platelets, and plasma proteins. When the blood is collected in a multiple plastic bag system and is not

Il sangue intero viene usato quando

è necessario mantenere il volume sanguigno ed aumentare la capacità di t,-asporto dell'ossigeno del sangue circolante. Il sangue intero può provocare un numero di reazioni dannose che non sempre possono essere previste mediante le tecniche attualmente in uso per le prove crociate. Tali reazioni possono essere provocate da antigeni nei globuli bianchi e nelle piastrine, da isoagglutinìne, dalla sostanza conservante anticoagulante o da f attori plasmatici proteici e non proteici I r l - Allo scopo di evitare tali reazioni e di determinare il migliore uso possibile delle nostre limitate disponibilità di sangue, è stata studiata la fisiologia dei globuli rossi e delle piastrine ed è stato intrapreso uno sviluppo su larga scala dei metodi di frazionamento del plasma. Questo concetto di terapia comporta La separazione e la conse~vazione dei componenti cellulari e plasmatici del sangue subito dopo il prelievo (fig. 5). Una centrifugazione a cicli o continua è necessaria per separare i concentrati di globuli rossi e di piastrine del plasma povero di piastrine [ 2 - 6] . ll sangue raccolto t'n eparina, in ACD o in CPD e conservato a temperatura ambiente ( 22°) per non più di 4 ore viene considerato « sangue fresco » e costituisce la migliore sostituzione in caso di perdite acute di sangue. In questo caso si verifica soltanto un danno minimo dei globuli rossi, delle piastrine e delle proteine plasmatiche. Quando il sangue viene racrol-


IO

FIGURE S Comparison of prcscrved whole blood and prcscrvcd components of wbolc blood. Within 4 hours of storagc at room temperacure (22 C), placclct concemratcs, rcd cdl concentrates, and plasma proteins can be isolatcd from whole blood, an<l the componcnts individually prcscrved using liquid and freezing procedures.

~

Liquid stored concenl roted RBC(Hct~70%J stored ot t4C ----- Frozen with gl ycerol:

~

{liigì __,,_

~

40% W/V 8 - BOC

• 20% W/V

I ~ 8-I50C

òl ·

PLATELfTS

Austrol io Anti gen AHG Plotelet s

~

Plosmo concentrote 1) Liquid storoge ott4or+22C 2) Frozen storage : o) 6% DMSO 8 - BOC b) 5% DMSO 8 - I50C

-

ACD or CPD

PLASMA PROTEIN

1) Cryoprecipi1ote-AHG 2) Fresh frozen plosma 3) Al bumi n 4) Gommo globu lin

RBC

RBC

Australia Antigcn /\HG Platelets

AHC

An1ige11c Australia Piast1·i11e

RBC Liquid ,tored concentrated RBC (Hct~ 70%) stored :11 + 4 C Frozcn with glycerol Platdets Plasma concen trate ,) Li9uid storage at + 4 or 1 2) Frozcn storage Pl asm:1 protein 1) C ryoprccipitacc • AHG 2) Fresh frozen plasma 3) Albumin 4) Gamma globulin

RBC R.BC ( Hct ~ 70%) concentralo conservato !iqt1ido a + 4°C Congelato con glicerolo Piastrine Pla.s1ua concentrato

22 C

Liq11ido di conservazione a -,. 4° o

+ 22°C

Co11servazio11e mediante congela111en10

Proteine plasmatiche AHG crioprecipitato Pla.sma fresco congelato Albumina Gamma globulina

FIGURA 5 Co11/ro11to fra sangue intero conservato e componenti del sangue intero conservati. Entro 4 ore di conservazione a temperatura ambiente ( 22°C), concentrati di piastrine, concentrati di globuli rossi e proteine plasmatiche possono essere isolati dal sangue inte,-o ed i singoli componenti possono essere conservati usando procedimenti mediante liquidi o mediante congelamento.


l I

transfused within 4 hours of collcction, it can be separateci into its companents and prepared for freeze - preservation (fig. 5).

I t is common practice in Europe to collect blood in glass containers, and to use plastic bags for collection and preparation of platelet concentrates and for plasmapheresis of donar blood. We in the U. S., on the other hand, use plastic containers for blood collcction simply because they makc prcparation of blood companents easicr. With a system utilizing thrcc plastic bags, it is a simple matter to separate red celi concentratcs, platclet concentrates, and plasma from wholc blood. It is a foirly expensive procedure, however.

Thc plasticizcrs used in palyvinyl chloride bags have been reparted to be potentially roxic. Jaeger and Rubin havc reported that phthalate esters accumulate in blood storcd in such bags. I" 7] One of these phthalate estcrs, di (2 - ethylhexyl) phthalate (DEHP), has becn isolatcd from liver, lung, and other tissues at postmortem examination of patien ts who had received transfusions. The substance has also been found in tissucs of patients who had not received tr ansfosions. Therc are no hard data available to show that DEHP actually causcs damagc to red cel ls, pi atelets, lym phocytes, or plasma proteins. Most of the reported data have been obtained by tissue culture studies. Because the polyvinyl chloride plasti-

to in u11 sistema multiplo di contenitori di plastica e non viene trasfuso entro 4 ore dal prelievo, esso può essere separato nei suoi componenti e preparato per la conservazione mediante refrigerazione (fig. 5). In Europa è pratica comune raccogliere il sangue in contenitori di vetro ed usare contenitori di plastica per la raccolta e la preparazione di concentrati di piastrine e per la plasmaferesi del sangue del donatore . D 'altra parte noi, negli Stati Uniti, adoperiamo contenitori di plastica per la raccolta del sangue semplicemente perché essi rendono più facile la preparazione dei componenti del sangue. Mediante un sistema che utilizzi tre co11te11itori di plastica, è molto semplice separare dal sangue intero concentrati di globuli rossi, concentrati di piastrine e plasma. Tale procedura, però, è alquanto costosa. E' stato ri,ferito che i plastificanti usati nei contenitori di cloruro di polivinile sono potenzialmente tossici. f aeger e Rubin hanno riferito che gli esteri di /talato si accumulano nel sangue conservato in tali contenitori f7]. Uno di questi esteri di ftalato, il di ( 2 • etilexil) ftalato ( DEH P), è stato isolato dal fegato, dai polmoni e da altri tessuti all'esame necroscopico di pazienti che avevano ricevuto trasfusioni. La sostanza è stata anche trovata in tessuti di pazienti che non avet1a110 ricevuto trasfusioni. A ttualmente non esistono dati sicuri per dimostrare che il DEHP provoca danno ai globuli rossi, alle piastrine, ai linfociti o alle proteine plasmatiche. La maggior parte dei dati riferiti sono stati ottenuti mediante studi di cultu-


12

cizers are considered to be potentially toxic, severa! commerciai companies bave developed bags of inert materials such as Teflon, bioriente,d Polyole6n (Hemoflex), and polyethylene. These are more expensive to buy, and additional expenses are incurred for disPosable software for the collection and the hardware used for mechanical separation.

re di tessuti. Poiché i plastificanti del cloruro di polivinile sono considerati potenzialmente tossici, molte ditte commerciali hanno approntato contenitori di materiali inerti, come il Teflon, il poliolefin ( Hemoflex) ed il polietilene. Questi contenitori sono più costosi e si sono dovute affrontare ulteriori spese per il materiale non riadoperabile, necessario per la raccolta, e per le attrezzature usate per la separazione meccanica.

DETECTION OF SERUM HEPATITIS.

PREVENZIONE DELL'EPATITE DA SIERO.

In an attempt to curb the transmission of homologous serurn janndice, current regulations demand that all blood be tested for the presence of the Australia antigen. A test that is simple, sensitive, specific, and rapid is being sought. [8 - 12] T he coulterelectroosrnophoresis method, a simple and moderately sensitive technic, takes about 2 hours. The radio - imm unoassay is at least IOO times more sensitive but it takes about 20 hours. Moreover, there is some doubt as to whether its sensitivity is specific for the Australia antigen. Obviously, if the Australia antigen test takes longer than 4 hours, the blood must be stored at 4 C, and at that temperature deterioration of platelets, granulocytes, and certain plasma proteins occurs (figs. 3, 4).

Allo scopo di prevenire la trasmissione dell'ittero da siero omologo, i regolamenti in vigore prescrivono che in ogni campione di sangue deve essere ricercato l'antigene Australia. Si 'l.· attualmente alla ricerca di un metodo semplice, sensibile, specifico e rapido. li metodo della cultura - elettro - osmoforesi, dalla tecnica semplice e moderatamente sensibile, richiede circa due ore. Il metodo radio immunologico è almeno cento volte più sensibile, ma la sua esecuzione richiede circa venti ore. Inoltre sussiste qualche dubbio circa il fatto che la sua sensibilità sia specifica per l'antigene Australia. Naturalmente se la ricerca dell'antigene Australia richiede più di 4 ore, il sangue deve essere conservato a 4°C e a tale temperatura si verifica un deterioramento delle piastrine, dei granulociti e di alcune proteine plasmatiche (figg. 3 e 4).

B LOOD F l LTERS,

FILTRI PER IL SANGUE.

Pulmonary insufficiency in patients who have received massive blood

L'insufficienza polmonare che si verifica in pazienti che hanno ricevuto


transfusi.ons may well be due to embolization of microaggregates of platelets, leukocytes, and amorphous debris from stored blood. After transfusion through a 170- micron filter, there was a significant stepwise reduction in the screen filtration pressure from central venous, to arterial, to peripheral venous blood drawn simu1taneously from these si~es. f 13 l These data suggest that the infused debris was removed mainly by the pulmonary and peripheral microcirculation. Although less debris is infused with small - pored filters, most clinicians prefer the largerpored filters because they aJlow more rapid infusion.

Solis and Gibbs have reported that the 170 - micron filter works more efficiently when stored blood is centrifuged before administration. L14 l Apparently, centrifugati.on causes larger particies to form from smal ler ones, and these are retained in the 170 - micron filter.

When red cells that have been stored with hematocrit values of about 70 V % are not washed before transfusion, they must be administered with external pressure either through a standard fì.lter with 170 microns or through a microaggregate filter with 40 microns. When the nonwashed red cells have hematocrit val ues of about 90 V % they must be <liluted before transfusion or they wil I not

trasfusioni massive di sangue può essere certamente dovuta alla embolizzazione di microaggregati di piastrine, di leucociti o di agglomerati amorfi del sangue conservato. Dopo trasfusione attraverso un filtro di 170 micron, si verificava una significativa riduzione graduale della pressione della membrana di filtrazione dal sangue venoso centrale a quello periferico arterioso e venoso prelevati simultaneamente dai rispettivi vasi [ 13]. Questi dati fanno ritenere che gli agglomerati infusi fossero rimossi principalmente dalla microcircolazione polmonare e periferica. Sebbene con i filtri a piccoli pori vengano infusi meno agglomerati, la maggior parte dei clinici preferiscono i filtri a pori più larghi poiché essi consentono una infusione più rapida. Solis e Gibbs hanno riferito che il filtro di 170 micron agisce più efficacemente quando il sangue conset"vato viene cent,-ifugato p,-ima della somministrazione [ I 4] . Apparentemente la centrifugazione fa sì che gli agglomemti più piccoli si ,-iuniscano per formare agglomerati più g,-andi, che vengono trattenuti dal filtro di 170 micron. Quando i globuli rossi che sono stati conservati con un valore ematocrito di circa 70 V °/4 non vengono lavati p,-ima della trasfusione, essi devono essere somministrati con pressione estema o attmverso un filt,-o standard di 170 miaon o attraverso un filtro a microagg,-egati di 40 micrnn. Quando i globuli rossi non lavati hanno un valore ematoaito di cit"ca 90 V%, essi devono essere diluiti p,-ima della tt"a-


pass easily through the standard 170 micron filter. Clottable materia! accumulates in blood during storage at 4 C. This results from deterioration of white ce!Js, platelets, and plasma lipopro-teins and is relate<l to the accumulation of the plasticizer di (2-ethylhexil) phthalate (DEHP) that is leeched from the palyvinyl chloride plastic bag. 7, 13- 17] McNamara et al [ 13] have suggested that some of this clottable materia! passes through the 170 - micron filter and is removed through the lung, sometimes produci ng pulmonary insufficiency. Micro-aggregate filters may help to solve this problem and they are being investigated. In the meantime, if platelets are separateci from the blood within 4 hours of colJection, some of this risk rnay be reduced.

r

sfusione altrimenti non passano facilmente attraverso il filtro standard di 170 micron. Durante la conservazione a 4°C, nel sangue si accumulano dei grumi. Essi derivano dal deterioramento dei leucociti, delle piastrine e delle lipoproteine plasmatiche: tale fenomeno viene messo in relazione all'accumulo del plastificante di ( 2 - etilexil) ftalato (DEHP ), che viene messo in libertà dal contenitore in plastica di polivinil cloruro 7, 13 - 17]. McNamara ed altri autori [ I 3 l hanno riferito che qualche grumo passa attratierso il filtro di I 70 micron e viene trattenuto nei polmoni, producendo talvolta insufficienza polmonare. l filtri a microaggregati possono aiutare a risolvere tale problema e sono in corso ricerche sull'argomento. Nello stesso tempo il rischio può essere alquanto ridotto se le piastrine vengono separate dal sangue entro 4 ore dal prelievo.

r

W HOLE BLOOD AND BLOOD OOMPONENTS

SANGUE INTERO E COMPONENTI DEL SAN-

IN THE TREATMENT OF ACUTE BLOOD

GUE :NEL TRATTAMENTO DI EMORRAGIE

LOSS.

ACUTE.

Blood volume often is reduced acutely during surgery. Hypavolemia produces a decrease in perfusion of organs whicl1, in turn, leads to acidosis and tissue hypaxia. Usually hemostasis is maintained by adeguate surgical suturing of bleeding vessels as welJ as by activation of the piatelets and the coagulation system. When clotting is accompanied by acidosis, stasis, and bypaxia as a result of hypavolemia, disseminated intravascular

Il volume sanguigno si riduce spesso in maniera acuta du1·ante gli interventi chirurgici. L'ipovolemia produce una diminuzione della perfusione degli organi che, a sua volta, conduce all'acidosi ed alla ipossia tissulare. N 01·malmente l'emostasi viene assicurata da una adeguata sutura chirurgica dei vasi sanguinanti ed anche dal!'attivazione delle piastrine e del sistema di coagulazione. Quando la formazione di grumi viene accompagna-


coagulati.on may occur. Both the de- ta da acidosi, stasi ed ipossia come rigree of blood loss and the duration sultato dell'ipovolemia, si possono veof the hypùvolemic shock influence rificare coagulazioni intravascolari the changes in coagulation factors and disseminate. Sia il grado della perdita in platelets. Treatment of acute blood ematica che la durata dello shock ipoloss may include transfusion of red volemico influenzano i cambiamenti cells to increase the oxygen - carrying dei fattori della coagulazione e delle and releasing capacity of the blood. piastrine. Il trattamento delle emorragie acute può comprendere la trasfusione di globuli rossi per aumentare la capacità di trasporto e di cessione di ossigeno del sangue. Patients in hemorrhagic shock are 1 pazienti in stato di shock emortreated with either colloid or crystal- ragico vengono trattati inizialmente loid solutions initially to restore pla- con soluzioni colloidali o cristalline sma volume. Colloid solutions such per ricostituire il volume plasmatico. as albumin, plasma, dextran, and ge- Le soluzioni colloidali come l'albumilatin solution have been recommen- na, il plasma, il dextran e le soluzioni cied because of their ability to main- dt gelatina sono state raccomandate tain fluid within the intravascular per la loro capacità di mantenersi fluispace. Crystalloid solutions such as de nello spazio intravascolare. Sono sodium chloride and Ringer's 1.actate state anche usate soluzioni cristalline solution have also been used, although come quella di cloruro di sodio e di their osmotic effects are transient. lattato di Ringer, sebbene i loro effetRestoring the plasma volume and the ti osmotici siano transitori. Il fine inioxygen - carrying and releasing capa- ziale nel trattamento dell'ipovolemia city of the blood must be the initial deve essere la ricostituzione del volugoal in treating hyPovolemia. Addi- me plasmatico e della capacità di trational treatment with platelets and sporto e di cessione di ossigeno del coagulation factors may be required, sangue. Un trattamento aggiuntivo àepending Upùll the magnitude of con piastrine e fattori della coagulablood loss, the duration of shock , and zione può essere necessario in rapporthe solutions and blood products used. to alla quantità della perdita di sangue, alla durata dello shock ed alle soluzioni e prodotti di sangue adoperati. During surgery patients may requiDurante l'intervento chirurgico i rc red cells, platelets, or plasma pro- pazienti possono richiedere globuli teins to correct red cdl mass deficits, rossi, piastrine o proteine plasmatiche thrombocytopenia, plasma oncotic per correggere i deficit della massa di pressure, or coagulation factors. [ 18, globuli rossi, la trombocictopenia, la 19 l Liquid or previously frozen red pressione oncotica del plasma o i fatceli concentrates bave been used to- tori della coagulazione [ 18 - 19]. Con-


r6

gether with crystalloid or colloid solutions to replace blood loss. Liquid stored concentrated red cells with hematocrits of 70 V% contain on ly one third as much fi.bri nogen, gamm a globulin, and albumin as liquid stored whole blood (fig. 3). But the posttransfusion survival and oxygen transport function are similar in both. The U. S. Navy has reported favorable results using previousl y frozen washed red cell concentrates together with crystalloid and colloid plasma volume expanders in the treatment of patients in hemorrhagic shock. [20, 211

Blood loss in hemorrhagic shock is usually replaced by preserved md cells and not by fresh whole blood. f 1, 22] For this reason, it is imperative that the number of irreversibly damaged red cells produced by the preservation procedure be known. After storage at 4 C for r week about 90% of the red cdls remain viable, after 2 weeks about 8o°/4, and after 3 weeks about 70% (fig. 1). T hus, when preserved red cells are transfused to a patient who h as lost 5 units of blood, only 4.5 units wil! be replaced by the transfusion of 5 units of red cells stored at 4 C for r week. Only 4 units will be replaced by the transfusion of 5 units of red cells stored at 4 C for I week. Only 4 units will be replaced by the transfusion of 5 units of r ed cells stored at 4 C for 2 weeks, and only 3.5 units will be replaced by the

centrati di globuli rossi liquidi o previamente refrigerati sono stati usati insieme con soluzioni saline o colloidali per ricostituire le perdite di sangue. I globuli rossi concentrati conservati allo stato liquido con ematocrito di 70 V% contengono soltanto un terzo di fibrinogeno, gamma - globulina ed albumina in rapporto al sangue intero conservato allo stato liquido (fi.g. 3). Però la sopravvivenza post - trasfusionale e la funzione di trasporto dell'ossigeno sono simili in entrambi i prodotti. La Marina degli Stati Uniti ha riferito favorevoli risultati conseguiti mediante l'uso di concentrati di globuli rossi lavati e previamente r<;sfrigerati insieme a succedanei del plasma salini e colloidali nel trattamento di pazienti in stato di shock emorragico l20 - 2r] . La perdita di sangue nello shock emorragico viene abitualmente ricostituita mediante globuli rossi conservati e non con sangue fresco intero f1 - 22 I. Per questo motivo è indispensabile conoscere il numero di globuli rossi danneggiati irreversibilmente dalla procedura di conservazione. Dopo conservazione a 4°C per una settimana circa il 90% dei globuli rossi rimane vital<f., dopo due settimane circa l' 80% e dopo tre settimane circa il 70% (fi.g. 1). Pertanto, quando globuli rossi conservati vengono trasfusi ad un paziente che ha perduto 5 unità di sangue, soltanto 4,5 unità saranno reintegrate dalla trasfusione di 5 unità di globuli rossi conservati a 4°C per una settimana. Soltanto 4 unità saranno reintegrate dalla trasfusione di 5 unità di globuli rossi conservati a .4°C per due settimane e


transfusion of 5 units of red cells stored at 4 C for 3 weeks.

soltanto 3,5 unità dalla trasfusione di 5 unità di globuli rossi conservati a 4°C per tre settimane.

PosTTRANSFUSION SURVIVAL AND OXY-

SOPRAVVIVENZA POST - TRASFUSIONALE E

GEN TRANSPORT FUNCTlON.

FUNZIONE DI TRASPORTO DELL'ossrGEN0.

Preservation is considered to be satisfactory when thc red cells circulate and function imrnediately upon transfusion. « Preservation injury » produces a certain number of severely and irreversibly <lamaged cel ls that are rcrnovcd from the circulation at an accelerated rate, usually during the transfusion and in the 24 hours afterwards. The only way to estimate the number of these nonviable red cells is to measure the 24 - hour post transfusion survival in vivo. Preserved red cells that remain in the circulation 24 hours after transfusion have tbe potential for normai long - term survival (fig. 1). But the lifespan may be adversely aHected by the recipient's intravascular environment, especially if ccrtain immunologie, chemical, and mechanicaI factors are present.

La conservazione viene considerata soddisfacente quando i globuli rossi circolano ed esplicano la loro funzione immediatamente dopo la trasfusione. li « danno da conservazione » produce un certo numero di cellule gravemente ed irreversibilmente danneggiate che vengono rimosse dal circolo a ritmo accelerato, abitualmente durante la trasfusi one e nelle 24 ore successive. L 'unica maniera per valutare il numero di questi globuli rossi non vitali è quella di misurare la sopravvivenza post-trasfusionale in vivo in 24 ore. l globuli rossi conservati che rimangono in circolo 24 ore dopo lu trasfusione hanno la possibilità di una normale sopravvivenza a lungo termine (fig. 1). La durata di tale sopravvivenza, però, può essere negativamente influenzata dalle condizioni intravascolari del recipiente, specialmente se non sono presenti alcuni fatto.r~ immunologici, chimici o meccaniet.

OXYGEN TRANSPORT FUNCTION.

FUNZIONE

D!

T RASPORTO

DELL'ossr-

GENO.

Preservation injury not o nly makes some cells nonviable but also alters the surviving cells' ability to deliver oxygen. V altis and Kennedy f23] 2. -

M.

l l danno da conservazione non solo rende non vitali alcune cellule, ma altera anche la capacità di cedere ossigeno delle cellule che sopravvivono.


18 reported that the functional defcct produced <luring storagc of red cells at 4 C for about r week resulted in increased affinity for oxygen. This defect has also been shown to be r elated to deterioration of red cell 2,3 cliphosphoglycerate (2,3 DPG). [ 24 28] A correlati.on has been found between che organic phosphate 2,3 DPG and the affioity for oxygen of preserved red cells. l27, 28] D uring storage of blood in eicher ACD or CPD at 4 C the leve! of the red cell organic phosphate compound, 2,3 DPG, decreased substantialJy while there was only a slight decrease in adenosine triphosphate (ATP) (fig. 6). Valtis and Kenoedy l23] reported that wichin 24 hours of transfusion of red cells with this increased oxygen affinity, the patient's oxyhemoglobin dissociation curve was restored to norm ai. The rate at which these cells are restored in vivo is determined by the quality and quantity of the transfused cdls aod by the pati.ent's metabolic condition.

Valeri and Collins transfused preserved red cells wich an increased oxygen affìnity into nonsurgical patients who were normoteosive and anem ie. 29] The effect of the transfusion on systcmic oxygen consumption and cardiac output were studie<l, as well as the difference in systemic arteriovenous oxygen content, red cell 2,3 DPG and ATP levels, and che oxyhemoglobin clissociation curves. Traosfusion of 3 to 5 units of red cells chat were depleted of 2,3 DPG and

r

Valtis e Kermedy [ 23 l hanno riferito che il difetto funzionale verificatosi du1w1te la conservazione dei globuli rossi a 4°C per circa una settimana consiste in una aumentata affinità per l'ossigeno. E' stato dimostrato anche che tale difetto è in relazione al deterioramento del 2,3 difosfoglicerato ( 2,3 DPG) dei globuli rossi 24-281. E' stata trovata. una correlazione fra il fosfato organico 2,3 DPG e l'affinità per l'ossigeno dei globuli rossi conservati [ 27, 28 J. D urante la conservazione del sangue, sia in ACD sia i11 CPD a 4°C, il livello del composto fosforato organico dei globuli rossi ( 2 - J DPG) è sensibilmente diminuito, mentre si verificava soltanto una lieve diminuzione dell'adenosina trifosfato ( ATP) (fig. 6). Valtis e K ennecly [ 23] hanno riferito che entro 24 ore dalla trasfusione di globuli rosS! con questa aumentata affinità per l'ossigeno la curva di dissociazione dell'ossiemoglobina del paziente veniva riportata alla norma. Il tasso di queste cellule ricostituite in vivo viene determinato dalla qualità e quantità delle cellule trasfuse e dalla condizione metabolica del paziente. Valeri e Collins hanno trasfuso globuli rossi conservati con aumentata affinità per l'ossigeno in pazienti non chirurgici normotesi ed anemici [ 29 l . Gli autori hanno studiato l'effetto della trasfusione sul consumo sistem ico dell'ossigeno e sulla gittata cardiaca ed inoltre la differenza di contenuto di ossigeno nel sistema artero - venoso, z livelli di 2,3 DPG e di ATP nei globuli rossi e le curve di dissociazione del/' ossiemoglobina. La trasfusione da J a 5 unità di globuli rossi, privi di

r


FIGURE 6

Effects of storage of ACD - and CPD - collccted wholc blood at 4 C for up to 30 days on red ccli levels of ATP and 2,3 DPG, and plasma phosphorus levcls. [52 I

Whole Blood stored ot t 4 C 6

REO CELL

ATP

ACO n=3 • CPO n=5

0

4

( µ.moles/g. Hb) 2

12 REO CELL

2,3DPG

s

(µ.moles/g. Hb) 4

PLASMA PHOSPHORUS ( mg% )

20 IO

o Days stored a1 + 4 C Rcd celi ATP ( p.moles/ g. Hb) Whole Blood storcd at + 4 C Re<l celi 2,3 DPG (11moles/g. J lb) Plasma phosphorus (mg%)

Il

t' yl i

§

'i9 q:;

o

5

-. -,· ·~•...•..

•• I :1 • I> • .. • 8 • o o• 8> ~ § § o 8 § § Q)

IO 15 20 25 DAYS STO REO AT + 4C

30

(;ion,i di co111erv,iziont a --1- 40.C ATP dei glob11/i rossi (micromole/g. di Hb) Sangue intero conserva/O a + 4QC 2,3 DPC dei globuli rossi (m,cromole/g. dì H b) Fosforo plasmatico ( mg%)

FIGURA 6

Effetti della conservazione di sangue intero raccolto in ACD e CPD a 4°C pe.1· un periodo sino a 30 giorni sui livelli del!' ATP e del 2,3 DPG nei globuli rossi e sui livelli del fosforo plasmatico [ 52] .


20

had high affinity for oxygen following storagc at 4 C for 2 to 3 wecks had no effect on systemic oxygen consumption (fig. 7). The cardiac index increased immediately after the transfusion, and within 4 hours of the transfusion had returned to normai (fig. 7). The difference in oxygen content in biood obtained from the femoral artery and pulmonary artery decreased immediately after the transfusion, and within 4 hours after transfusion it was within normai limits (fig. 7). During the 4 - hour post transfusion period the increase in oxygen extraction from the systemic circulation was associated with an increase in red cell 2,3 DPG. Kopriva and his collaborators bave repcrted data on severely injured battle casualties who received at l.east 12 units of ACD blood that had been stored at 4 C for 14 days. [30 l Their red cell 2,3 DPG level (4-8 ± 2.8 micromoles/ g Hb, mean ± S.D.) was about half th.e normai value (n.9 ± 2 .2 micromoles/ g Hb) after transfusion; within 12 hours of the initial sampling it had increased to 8.9 ± 2.8 micromoles/ H b, approximately 75°{ of the normal value. By 48 hours after the initiai sampling it was within normai Jimits, and was signifìcantly above normal 5 days after the i nitial sampling. The rapid increase during the first 12 hours was associated with an increase in venous whole blood pH. The rate of restoration of red cdl 2,3 DPG observed in this study appeared to be faster than that previously reported by Valeri and tlirsch, L3I J and similar to that re-

2,3 DPG e con alta affinità per l' ossigeno a seguito di conservazione a 4"C da 2 a 3 settimane, non aveva alcun effetto sul consumo sistemico del/' ossigeno (fig. 7). L'indice cardiaco aumentava immediatamente dopo la trasfusione ecl entro 4 ore dalla trasfusione stessa era ritornato alla norma (fìg. 7). La differenza in contenuto di ossigeno tra il sangue ottenuto dall'arteria femorale e dall'arteria polmonare diminuiva immediatamente dopo la trasfusione e ritornava nei limiti normali entro 4 ore dopo la trasfusione (fìg. 7). Durante le 4 ore dopo la trasfusione l'aumento del!' ossigena di estrazione dal sistema circolatorio era associato ad un aumento del 2,3 DPG dei globuli rossi. Kopriva ed i suoi collaboratori hanno riferito dati su feriti gravi in battaglia che hanno ricevuto almeno 1 2 unità di sangue A CD che era stato conservato a 4°C per T4 giorni 30] . i! lorn livello di 2,3 DPG nei globuli rossi ( 4,8 ± 2,8 micromole / g H b) era circa la metà del valore normale (II,9±2,2 micromole/ g H b) dopo la trasfusione; entro 12 ore dal dosaggio iniziale era aumentato ad 8,9 ± 2 ,8 micromole / g H b, cioè circa al 75°/,, del valore normale; entro 48 ore dal dosaggio iniziale era entro i limiti normali ed era sensibilmente al di sopra del normale 5 giorni dopo i! dosaggio iniziale. li rapido aumento durante le prime 12 ore era associato ad un aumento del pH del sangue intero venoso. La velocità di ricostituzione del 2,3 DPG nei globuli rossi osservata in questo studio si rifJelò più alta di quella precedentemente riferita da Valeri e H irsch [31] e

r


2r

ported by Beutler an d Wood. [32l Thesc differences can be explained principally by the physical condition of the patients, i.e., their acid - base status, degrce of anemia, cardiorespiratory function , and plasma inorganic phosphate leve!.

simile a quella riferita da Beutler e W ood f32] . Tali differenze possono essere spiegate principalmente dalle condizioni fisiche dei pazienti, cioè dai loro stato acido - base, grado di anemia, funzione cardio - respiratoria e livello plasmatico del fosfato inorgamco.

OXYGEN TRANSPORT FUNCTION OF LI-

FUNZIONE DI TRASPORTO DELL'OSSIGE-

QUID - STORED RED CELLS.

NO DI GLOBULI ROSSI CONSERVATI ALLO STATO LIQUIDO.

Il sangue può essere raccolto in diBlood can be collected in one of severa] liquid preservativcs or stabili- versi liquidi conservanti o stabilizzazers- ACD, CPD, ACD plus ade- tori: ACD, CPD, ACD più adenina, nine, CPD plus adenine with or wi- CPD più adenina con o senza inosina, thout inosine, guanosine, or pyruvate. guanosina, piruvato l27, 28, 33]. Si [27, 28, 33 l CPD is believed to be ritiene che il CPD sia il migliore antithe better anticoagulant because it coagulante poiché esso mantiene più maintains the oxyhemoglobin disso- r1 lungo la curva di dissociazione delciation curve and the levels of 2,3 !' ossiemoglobina ed i livelli di 2,3 DPG for longer periods (fig. 6). l34- DPG (fi.g. 6) [34 - 36 J. Diversi ricer36 Several investigators bave sug- catori hanno riferito che iL sangue racgested that CPD - collected blood can colto in CPD può essere conservato a be stored at 4 C for 28 days instead 4"C per 28 giorni invece che per 21 of 21. [37J Howcver, we found no J37 l. Al contrario noi non abbiamo signifìcan t difference in the 24 - hour riscontrato una differenza significatiposttransfusion survival between red va nella sopravvivenza post - trasf ucells stored as whole blood in ACD sionale di 24 ore tra i globuli rossi and those stored in CPD for up to 28 conservati come sangue intero in days at 4 C (figs. 8A and 8B). [38, ACD e quelli conservati in CPD fino 39 l Our results were similar to those a 28 giorni a 4°C (fìgg. 8A e 8B) [38, reported by Shields f40] and by Or- 39] . I nostri risultati erano simili a lina and Josephson. l 41 l We noted quelli riferiti da Shields r40 l e da no signifìcant differences in storage - Orlina e Josephson [ 41]. Noi non ability between ACD- and CPD - col- abbiamo riscontrato differenze signilected cells that were stored at maxi- ficative della conservabilità fra i glomal (about 90 V %) or at submaximal buli rossi raccolti in ACD e quelli rac(about 70 V%) hematocrits (fig. 8B). colti in CPD, che noi abbiamo conser[ 39 l The plasma in which red cells vati a valori ematocriti massimi ( cirare stored does not affect the 24 - hour ca 90 V % ) o sub - massimi ( circa J


22

FIGURA 7

F lGURE 7

22 180

OXYGEN CONSUMPTION ( ml /min /m2 )

140

100 6

7 6

A / V DIFFERENCE 02 CONTENT

5

(V%)

4 3

2 7 6

CARDIAC INDEX

5

( L/min/m2 )

4 3

2

o

PRE Tx

4

8

HOURS

24


FIGURE 7 Oxygen consumpcion, arteriovenous difference in oxygen contcnt, and cardiac output prior to and followi ng transfusion ro scable anemie parients of 3 to 5 units of preserved red cells wich low 2,3 DPG lcvels and high affinity for oxygen. [ 29J

Hours

Ore

Tx

Trasfusione

Prc

Pre

Oxygen consumption (ml/ min/ mZ)

Co11s-umo di oJSigeno (ml / 111iT1/ml)

A/ V difference 02 content (V%)

Differenza ,-1 f V del contenti/o di 02 (V%)

Cardiac index (L / min/ m2)

Indice cardiaco ( l.fmi11 / m2)

FIGURA 7

Consumo di ossigeno, differenza artero - venosa nel contenuto di ossigeno e gittata cardiaca prima e dopo trasfusione a pazienti stabilmente anemici di una quantità da 3 a 5 unità di globuli rossi concentrati con bassi livelli di 2,3 DPG ed alta attività per l'ossigeno [ 29].


FlGURE SA Effect of storing red cells as wholc blood or as concentrated red cells in ACD with hematocrits of about 70 V % on the 24 - hour posttransfusion survival. f381

100-----,------,- -,-----,-- -..----r----, n -2

o

90

80 70 24 HR. SURVIVAL

(%)

60 50 Red Cells stored in ACD os

40

o Whole Blood l Pocked Red Cells

30

5

Da )'S in storage 24 hr. su rvival (% ) Red Cdl s stored in A CD as

Wholc Bluod Packed Red Cells

10 15 20 25 DAYS IN STORAGE

30

Giorni d, conservazione Sopra1111i11e11za nelle 21 ore (%) Globuli roJJi con1ervati in ACD come: Sa11gfle intero Globuli rossi conJe~ionati i11 111cdie11i

FIGURA 8A Ef/etti della co11servazio11e dei globuli rossi come sangue intero o come globuli 1-ossi concentrati in A CD con ematoe1·ito di circa 70 V % sulla sopravvivenza post - trasfusionale nelle 24 ore (38] .


FIGURE 8B Effect of scoring ced cells wiLh hcmatocrits of 45% and 90';0 in acid - cicrare - dexrrose (ACD) or citrate - phosphare - dcxtrose (CPD) on 24- hour posttransfusion survival. [ 39J

HCT

/ 42-0 62

80

1~ : 3 6 6~

• 42

1512 45 a1 o • 0 • e5 66 76 80 • • 62 0 et• 69 e12 52 45 • •i 13• o 74 • 45 • • 45

✓ 70 % Survivol

0 15 0 19

• 6•

------ -

-

-

45 -

78 •

60

-

r,r,S 19

-

81

0 50

89 91

o 1B

• s9 -

85 •

52

4,

• 12

45• • 11 'le..--•8 92 • 65

• 58

e 69

y= 96.4 -0.98/x

40

e 64

r = O. 690 n = 65 p <.002

AntiCoogulont

Wosh

o AGO l

20

• CPDf

5

IO

15

20

None

25

30

DAYS AT 4C Days ac 4 C

24 hr. su rvival (%) J\nticoagulant Wash None

Giorni a 4 oc Soprauvivenza 11e/le 24 ore ( ~{,) A11ticoag11/a11te Lavaggio J\Tessuna soluzìone 70% di sopravvivenza

FIGURA 8B Ef/etti della conservazione di globuli rossi con ematocrito del 45% e 90% in acido citrato-de.rtrosio (ACD) o citrato - fosfato-destrosio (CPD) sulla sopravvivenza post trasfusionale nelle 24 ore [ 39].


posttransfusion survival of cither ACD or CPD preserved red cells (figs. 8A and 8B). [38- 40]

Wood and Beutler have reported on the extended storage of red cells in artificial media without plasma. 42] They collecte<l blood in heparin and ACD sol ution s, remove<l the plasma, and added a solution containing adenine, disodium phosphate, glucose, and sodium chloride to the concentrated red cells. After the red cells had been stored in the arti.fìcial medium at 4 C for 42 days, the 24 - hour posttransfusion survival value was about 75%, an<l the red celi 2,3 DPG level was one - third to two - thirds that of fresh red cells.

r

Many investigators believe that red ccli lcvels of ATP ancl 2,3 DPG can be bcttcr maiotained when the ACD and CPD solutions are supplemented with adenine or inosine at various timcs during storage at 4 C. H owever, the amount of inosine that would be infused into a patient receiving 3 or 4 units of such blood woul,d probably produce a hyperuricemia that would pcrsist for approximately 24 hours. I, 43] A furthcr cause for concern is the possible renal toxicity of 2,8 dioxyadenine, a metabolite of adenine. [ 44]

r

r

70 V%) (fig. 8B) 39 l. Il plasma nel quale i globuli rossi vengono conservati non influisce sulla sopravvivenza post - trasfusionale in 24 ore dei globuli rossi conservati sia in ACD che in CPD (figg. 8A e 8B) [38 - 40]. W ood e Beutler hanno riferito sullr. conservazione su larga scala di globuli rossi in mezzi artificiali senza plasma [ 42]. Essi raccoglievano il sangue in soluzioni di eparina ed ACD, rimuovevano il plasma ed aggiungevano ai globuli rossi concentrati una soluzione contenente adenina, fosfato disodico, glucosio e cloruro di sodio. Dopo che i globuli rossi erano stati conservati nel mezzo artificiale a 4 °C per 42 giorni, il valore della sopravvivenza post tras,fusionale in 24 ore era di circa ii 75% ed il livello del 2,3 DPG nei globuli rossi variava da un terzo a due terzi di quello dei globuli rossi freschi. Molti ricercatori ritengono che i livelli di ATP e di 2,3 DPG nei globuli rossi possono essere meglio mantenuti quando alle soluzioni di ACD e CPD viene aggiunta adenina o inosina diverse volte durante la conservazione a 4°C. Però la quantità di inosina che verrebbe infusa ad un paziente che riceva tre o quattro unità di tale sangue provocherebbe, probabilmente, una iperuricemia che persisterebbe per circa 24 ore 43J. Costituisce motivo di ulteriore preoccupazione la possibile tossicità renale della 2,8 di - ossiadenina, metabolita del!'adenina [44 l -

rr,


OXYGEN TRANSPORT FUNCTION OF PREVIOUSLY FROZEN REO CELLS.

FUNZIONE DI TRASPORTO DELL'OSSJGENO DI GLOBULI ROSSI PREVIAMENTE REFRIGERATI.

Thc organic phosphate leveLs are maintained when human red cells are preserved with high concentrations of glycerol and the sloow freeze - thaw technic or with low concentration of glycerol and the rapid freeze - thaw technic. [I, 22, 45 I O'Brien and W atkins have reported that wen heparini zed red cells and ACD- collected red cells were frozen within 5 hours of collection (high glycerol concentratioo, slow freezc - thaw) they had norma! oxyhemoglobin dissociation characteristics after thawiog, deglycerolization, and resuspension. [ 461 Zemp and O'Brien observed normai levels of the organic phosphak compounds immediately after deglycerolization and resuspension. 147 l The following variables can be expected to affect the levels of orgaoic phosphates in washed, previously frozen red cells : the anticoagulant used for collection, the length and temperature of storage prior to freezi ng, the pH of the glycerolizing solution, the pH of the wash solutions, the composition and pH of the resuspension m edium, and the length of time tbe washed red cells are stored at 4 C before transfusion. Higber red celi 2,3 DPG levels can be obtained by increasing the pH levels of the preservative and wash solutions from 5.5 to 7.5; however, these h.igher pH levels adversel y affect A TP leve-1s.

I livelli di fosfato organico vengono mantenuti quando i globuli rossi umani vengono conservati con alte concentrazioni di glicerolo ed una tecnica lenta di congelamento - disgelo oppure con basse concentrazioni di glicerolo ed una tecnica rapida di congelamento -disgelo [ r, 22, 45]. O'Brien e Watkins !tanno riferito che quando i globuli rossi eparinizzati ed i globuli rossi raccolti in ACD venivano congelati entro 5 ore dal prelievo ( alta concentrazione di glicerolo, lento congelamento - disgelo) essi ottenevano, dopo disgelo, deglicerolizzazione e risospensione, caratteristiche normali de/la dissociazione del/' ossiemo globina [ 46]. Z emp ed O' Brien osservarono livelli normali dei composti di fosfato organico immediatamente dopo deglicerolizzazione e risospensione 47 l • Si può presumere che i seguenti fattori influ.enzino i livelli di fosfati organici dei globuli rossi lavati e previa mente refrigerati: l' anticoagulante usato per il prelievo, il tempo e la temperatura di conservazione prima del congelamento, il pH della soluzione glicerinizzante, il pH delle soluzioni di lavaggio, la composizione ed il pH del mezzo di risospensione ed infine il periodo di tempo in cui i globuli rossi lavati t 1engono conservati a 4°C prima deLla trasfusione. L ivelli più alti di 2,3 DPG nei globuii rossi possono essere ottenuti aumentando i lit·elli del pH delle soluzioni conservanti e di lavaggio da 5,5 a 7,5; però

r


tali livelli più alti di pH influenzano negativamente i livelli di ATP. CPD- collected red cells can be I globuli rossi raccolti in CPD posstored at 4 C for 3 to 5 days before sono essere conservati a 4°C da 3 a 5 freeze - prcservation. [ 48] Altcrnati- g1'.orni prima del trattamento di refrively, the red cells can be stored at gerazione [ 481. Come alternativa, i a C for as long as 3 weeks, at which globuli rossi possono essere conservati time they can be rejuvenated with a a 4'C fino a 3 settimane, dopo di che solution containing pyruvate inosine, essi possono essere ringiovaniti con glucose, phosphate, and adenine, to una soluzione contenente piruvato, restore the 2,3 DPG and A TP levels inosina, glucosio, fosfato ed adenina and to decrease the red cell affinity per ricostituire i livelli di 2,3 DPG for oxygen. [ 49 - 54 l T be rejuvena- e di ATP e per ridurre l'affinità dei ted red cells can then be freeze - pre- globuli rossi per L'ossigeno [ 49 - 54 l · served either with 4o'ì~ W / V glycerol I globuli rossi ringiovaniti possono esand storagc at -80 C, or with 20% sere conservati mediante congelamenW / V glycerol and storage at - 150 C. to o con glice1·olo W / V al 40% e conThe wash procedure tbat is employe,d serMzione a - 80°C, oppure con glito reduce the glycerol concentration cerolo W / V al 20°/,. e conservazione to less than r g in addition, redu- a - r50°C. li procedimento di lavagces tbe concentrations of additives gio impiegato per ridurre la concenused during the rejuvenation proce- trazione del glicerolo a meno di 1 g%, dure, and tbe products of hemolysis, riduce, inoltre, le concentrazioni degli 99 °·~ of the protei n, and 98°<, of the additivi usati durante il processo di white cells and platelets, and signifi- ringiovanimento ed i prodotti delcantly reduces tbe Australia antigeo. l'emolisi, il 99% delle proteine ed il rT, 6, 52 - 54]. 98°fo dei globuli bianchi e delle piastrine e riduce sensibilmente l'antigene Australia lI, 6, 52 - 54] . 0

{

,

RED CELLS WITH I - I / 2 1'0 2 TIMES

GLOBULI ROSSI CONTENENTI DA I - I ,1/2

NORMAL 2,3 DPG AND INCREASED AF-

A 2 VOLTE I VALORI NORMALI DI 2,3

FI NI'fY FOR OXYGEN.

DPG

E

CON AUMENTATA AFFINI.TÀ

PER L'OSSIGENO.

Patients with hypoxic or anemie hypoxia who have normai or elevateci blood pH levels usually have peripheral red cells with <lecreased affinity for oxygen and 2,3 D PG levels that are increased to about twice normai. l55J When the red cell 2,3 DPG level is increased to this leve!,

I pazienti con ipossia ipossica o anemica che hanno livelli di pH nel sangue normali o elevati, normalmente hanno globuli rossi periferici con diminuita affinità per l'ossigeno e livell.: di 2,3 D PG aumentati fino a circa 2 volte i valori normali l55] . Quando il livello del 2,3 D PG_nei globuli


an<l wheo oxygen consumption by the tissue is constant, cardiac output is usuall y reduced. By treating patients in hemorrhagic shock with preserved red cdls with increased 2,3 D PG levels, it may be possible to reduce the cardiac work for 2 or 3 days after the traosfusion.

Using a combination of liquid aod freeze - preservation procedures it is possible to prepare red cells with increased 2,3 DPG levds. [54 l After CPD - collected red cells have been stored for 2 - 3 days they can be incubated at 37 C for I hour with a solution containing pyruvate, inosine, glucose, phosphate, and adenine (PIGPA). During incubation the 2,3 DPG leve! in creases to about 20 vmoles/ g H b (normai value 12 IJ.molcs/ g H b), the ATP leve! to about 6 p.moles/ g Hb (normai value 4 1J.moles/g H b), and the P 50 value increases to about 40 mm H g (normai value 28 mm Hg). The red cells are then concentrated by centrifugation an d the supernatant fluid removed. The red cells are freeze- preserved with either 40% W / V glycero] and storage at - 80 C, or with 20° ~ W / V glycerol and stor age at - 150 C. Red cells prepared in this manner can be store-d in the frozen state for at least 2 years. W hen needed they are thawed and washed, after which they can be kept at 4 C in a sodium chloride - glucose - phosphate m edium for up to 24 hours. On the day of traosfusion the red cells will have 2,3 DPG and ATP levels that are I - I / 2 to 2 times nor mal, an d decreased affìnity for oxygen . [54J

rossi è aumentato sino a tal punto, e quando il consumo di ossigeno da parte dei tessuti è costante, la gittata cardiaca è normalmente ridotta. Trattando i pazienti in stato di shock emorragico con globuli rossi conservati con livelli aumentati di 2,3 D PG, può essere possibile ridurre il lavoro cardiaco per 2 -;- 3 giorni dopo la trasfusione. V sando una combinazione di procedimenti di conservazione con liquidi e con refrigerazione, è possibile preparare globuli rossi con livelli aumentati di 2,3 DPG [54] . D opo che i globuli rnssi raccolti in CPD sono stati conservati per 2-;- 3 giorni, essi possono essere tenuti in incubatrice a 37°C per un'ora con una soluzione conten-ente piruvato, inosina, glucosio, fosfato ed adenina (PIGPA). Durante l'incubazione il livello di 2,3 DPG aumenta fino a circa 20 micro mole/ g di H b ( valore normale 1 2 micro - mole/ g di H b ), il livello di ATP aumenta sino a circa 6 micro mole/ g di H b ( valore normale 4 miero - mole/ g di Hb) ed il valore di P50 aumenta fino a circa 40 mm di Hg ( valore normale 28 mm di H g). I globuli rossi vengono quindi concentrati mediante centrifugazione ed ii" liquido eccedente viene rimosso. 1 globuli rossi vengono conservati mediante refrigerazione o in W / V glicerolo al 40% e conservazione a -80°C, oppure con W / V glicerolo al 20% e conservazione a - 1 50°C. I globuli rossi preparati in questo modo possono essere conservati congelati per almeno due anni. Quando se ne ha bisogno, essi vengono scongelati e lavati, dopo di che possono essere tenuti


These red cells have recovery values iu vitro of about 90%, and 24- hour posttransfusion survival values of about 85% (fig. 9). The lifespan values vary depending upon the recipient's intravascular environment. [ 22, 54] In two patients (L.R. and H.N.) red cells with 2,3 DPG levels of 23 26 1J,moles/ g H b, ATP levels of about 6 \J-moles / g Hb, and in vitro P50 values of about 40 - 45 mm Hg had increased P 50 values both in vivo and in vitro during the 24 to 72 hours posttransfusion (fig. 10). The in vitro P50 values were measured by the IL Co oximeter and the Bellingham and Huchns method. r56 J These systems use different pH and Pco2 conditions. Whole blood is used in the Co - ox.imcter, and washed red cells are used in the Bellingham and Huehns method. Measurements of per cent saturation were similar with the IL Co oximetcr and the Lex 0 2 CON machines (fig. 10). Thc in vivo P50 value was estirnated frorn the Po2 and per cent saturation in an anaerobic periphcral vcnous blood sample and an assumed slope of n = 2,7 of the oxyhemoglobin dissociation curve. [57l This rneasurement reflects the in vivo effects of the following factors on red ce] I affinity for oxygen: venous blood pH, red cell pH, venous blood Pco2, carboxyhemoglobin, and red cell ATP, 2,3 DPG, and inorganic pho-

a 4''C in una soluzione cloruro di sodio - glucosio - fosfato per un periodo sino a 24 ore. Il giorno deLla trasfusione i globuli rossi avranno livelli di 2,3 DPG e di ATP che sono da 1 1 }'i a 2 volte i valori normali e diminuita affinità per l'ossigeno [ 54] . Questi globuli rossi hanno valori di recupero in vitro di circa il 90% e valori di sopravvivenza post - trasfusiouale nel/e 24 ore di circa l'85% (figura 9). I valori di durata della sopravvivenza variano in rapporto alle condizioni intravascolari del recipiente l22, 54]. In due pazienti i globuli rossi con livelli di ~,3 DPG di 2 3 - 26 micro - mole/ g di Hb, livefli di ATP d1 circa 6 micro - mole/ g di Hb e va,lori in vitro di P50 di circa 40 - 45 mm di Hg fecero regi"strare valori aumentati di P50 sia in vivo che in vitro nel periodo dalle 24 alle 72 ore dòpo la trasfusione (fig. ro). I valori di P50 in vitro sono stati misurati mediante !'IL Co - ossimetro e con il metodo Bellingham e Huehns [56]. Tali sistemi usano differenti condizioni di pH e di Pco2 • Nel Co - ossimetro si usa il sangue intero e nel metodo Bellingham e Huehns si usano globuli rossi lavati. Le determinazioni della saturazione pen;entuale erano simili con l'IL Co - ossimetro e con le apparecchiature Lex O2 CON (fig. ro). Il valore cli P50 in vivo veniva valutato dal Po2 e dalla saturazione percentuale in un campione di sangue venoso periferico anaerobico e con una curva presunta di n = 2,7 di dissociazione del!' ossiemoglobina (57l. Questa determinazione riflette gli effetti in vivo sull'affinità per l'ossigeno dei globuli rossi dei seguenti fattori: pH


FIGURE 9 24 - hour rosttransfusion survival and lifespan values of red cells storcd in CPD at 4 C for 2 days prior to rcjuvcnatioo and freeze - preservation with 40% W / V glycerol at -80 C. In 3 patients (R.W., M.L., J.W.) thc red cells werc transfuscd wichin 4 hours of washing. The red cell 2,3 DPG and ATP lcvels and che P60 values are rerorrcd for cach paàcnt. f54] .

100

p50 ( mm )

'

••

c::i "{

'-.J

35.0 M. L . 35.0 J . W. 3 7. I

20. 2

R. W.

80

"{

2,3-0PG ATP ( ,umoles /g. Hb ) 19.3

21. 5

4.9 PI GP ( Sol. A ) 4 . 3 PIGPA( " 5.9 PIGPA( .. ." ) Il )

- ~ 8 1 3 / 1 - J,97! n = 13

60

~

S;:

Q

~ 40

Cri

~

20

• o

40

20

60

80

100

DAYS AFTER TRANSFUSION

Days after rransfusion

% survival (ADA)

(µm olcs/g. llb)

Giomi dopo la trasfusione Percentuale di sopravvivenza (ADA) (Micromole/g. di Hb)

FIGURA 9 Valo,·i di sopravvivenza post - trasfusionalc nelle 24 ore e di d urnta della vita di globuli rossi conservati i11 CPD a 4°C per due giorni p,·im.a del ringiovanimento e della conservazione m ediante congelamento con glicerolo V f W a 40°,~ a -8o°C. In tre pazienti i globuli rossi furono trasfusi entro 4 ol'e dal lavaggio. Per ciascun paziente sono riportati i livelli del 2,3 DPG e dell'A TP nei globuli rossi ed i valori del PSIJ [54] .


32 FIGURE IO = FIGURA 1O

L.R., e!, 23 -Traumotic lnjury REO CELL MASS

RED CELL 2,3·DPG

26

Tx , 3 Units

1000 □ Theoret,cal ISSA)

-..,. 800

~

~ Measured, • 1cr

600

t:,,

'--

Colculoted, Rt1t:1p,ent t Oonor Red Ce/I Hb

~ 24 '.ti, l::: 22

~ 20 ~ 18 16

RED CELL ATP

30 % SAT_

-..,.

t

E:

~

Co·ox1meter

28

26

24L-----'-----'-------'-...._..,__...,__.__ __ 45

p 50 ~ VITRO

......

:g, 55 E:

~ 45

4

% 35 E: ~ 30

,.-- _e_e_1 /9nom pCOz • O, pH 7.2

HbCO

12

1

IO

(%) 8 .

25

6

4

2 pH (37°C)

75

74 73

PLASMA PHOSPHORUS

f'-.....- - - - 0 - - -

Who/e Btood

72 o 6.49 • 638

UNIT Tx DATA

2

4

6

DAVS AFTER TRANSFUSION

UNIT Tx DATA'

2

4

6

8

DAVS AFTER TRANSFUSION


33 FIGURE 10

Effcccs of transfusing to L.R., a 23 - year - old male with traumatic tnJurics, 3 units of red celis wirh 2,3 DPG levcl of 26 p.M/ g Hb, and in vitro P50 of 45 mm Hg, on rcd celi mass, red ccll P,0 value in vivo and in vitro, whole blood and red celi pH, plasma inorganic phosphorus, red celi 2,3 DPG and A TP, Pco2, and carboxyhemoglobi n leve!. Red cclls were stored in ACD for 2 days, rejuvcnatcd wii:h a solution containing pyruvare, inosine, glucose, phosphate, and adenine, frozen wilh 40% W / V glycerol and storcd ac - 80 C, washed in the IBM Blood Processor with 2.2 liters of sodium chloride solutions, and stored at 4 C for 24 hours in a sodium chloride - glucosc - phosphate solution. ( 54l

Unit data Days aftcr rransfusion Traumatic Injur)' Red ce! I mass Tx, 3 Unics Theòrecical (flSA) Measured Calculated, Recipicnt

In vivo

% SAT. Co - oximerer

Lex Oi Con. In vitro Bell,ngham Co - oximctcr

pH l)70C) Whole Blood Red Cells Unit data Days after transfusion Red cel i 2,3 DPG Red cdl ATP Plasma phosphorus

+ Donor Red Ccli Hb

Dati i11 unità Giorni dopo la trasfusione Lesione tra111natica Massa dei globuli rossi Trasfusione, J unità ( BSA ) teorico Misurato Emoglobina calcolata del recipieme più dei globuli rossi del dom1tore 1n vivo Sawrazione perce1111111le Co - ossimetro l. 01 Con. In vitro Bellinghnm Co · ossimetro pH (a 37°C) Sangue imero Globuli roui Dati in uuità Giomi dopo la trasfusione 2,J D PC 11ei globuli rossi ATP nei globuli rossi Fosforo plannatico

FIGURA 10

Effetti della trasfusione, praticata ad un paziente di 23 anni con lesione traumatica, di 3 unità di globuli rossi co11 livello di 2,3 DPG di 20 µM / g di Hb, P50 in vitro di 45 mm di H g, sulla massa dei globuli rossi, sul valore del P50 nei globuli rossi in vivo ed in vitro, sul pH del sangue intero e dei globuli rossi, sul fosforo inorganico del plasma e sui livelli del 2,3 DPG e de!f'ATP nei globuli rossi, del Pcot e della carbossiemoglobina. I globuli rossi sono stati co11se1·vaà in ACD per 2 giorni, ringiovaniti con una soluzione contenente piruvato, inosina, glucosio, fosfato e adenina, congelati con glicerolo W / V al 40% e conservati a - 8o°C, lavati ne/l'apparecchio per il sangue JBM con 2,2 litri di soluzione di cloruro di sodio e conservati a 4°C per 24 ore in una soluzione sodio cloruro - glucosio - fosfato f54 l.

3· - M.


34 FIGURE 11 Effects of H +, Pcoi, carboxyhemoglobin, mcrhcmoglobin, red ccli 2,3 DPG, ATP, and inorganic phosphorus, on red cell . hemoglobin affinity for oxygen.

oc o

DPG - -

/

Meth

Decreased Af finity for Oxygen

lncreased Affinity for Oxygen

I) tH+, ~pH

I) ~H+, t pH

2) tpC02

2) ~pC0 2

3) tDPG, tATP, tPi

3) tDPG, tATP, ~P; 4) tHbCO

4)tTemp

5) tMeth Hb 6) ~Temp Dec:rcascd Affiniry for Oxygen lncrcascd Aifinity for Oxygen

Dimwuita affi11itiì per /'ossigeno A1'me111,u11 affi11illì per l'ossigeno

FTGURA 11 Effetti dell'H➔ , del Pco,, della ca1·bossiemoglobi11a, della metaemoglobina del 2,3 DPG nei globuli rossi, dell' ATP e del fosforo ino,·ganico sul 'affinità per l'ossigeno dell'emoglobina dei globuli rossi.


35

r

sphorus levels (fig. I 1 ) . 57 l An increase in the red celi affinity in vivo i~ usuali y associated wi th Ìncrcased cardiac output, while a dccrease is usuall y associated with a decrease in cardiac output. Thc advisability of using red cells with clevated 2,3 DPG levels in the trcatment of patients in hemorrhagic shock in obvious (fig. ro).

T he physiologic effect of the tran sfusion of red cell s with r - r / 2 to 2 timcs normai 2,3 DPG on myocardial function following extracorporeal circulation is now beìng studied. CircuJating red cells with increased affìnity for oxygen in vivo m ay pose a dem and for increased blood flow or greater extraction of oxygen from the red cells, or both. It is difficult to assess Po2 in tissue, so mixed vcnous blood Po2 is usually measured. T his measurement reElects the com bined effects of blood flow to tissue and the oxygen cousumption by tissue, but it docs not usually reflect the preserved red celi affinity for oxygen. f581

The well - being of some patients may be placed in jeopardy if they are not able to meet the demand fo r increascd cardiac output following transfusion of prescrvcd red cells with h.igh af.fìnity for oxygen. Patients w ho require tran sfusion usually have

del sangue venoso, pH dei globuli rossi, Pco2 del sangue venoso, carbossiemoglobina e livelli di ATP, di 2,3 D PG e di fosforo inorganico nei globuli rossi (fig. II) [571. Un aumento dell'affinità dei globuli rossi in vivo viene abitualmente associato con aumento della gittata cardiaca, mentre una diminuzione si associa abitualmente con una diminuzione della gittata cardiaca stessa. L 'opportunità di usare globuli rossi con livelli elevati di 2,3 D PG nel trattamento di pazienti in stato di shock emorragico è evidente (fìg. IO). L'effetto fisiologico della trasfusione di globuli rossi con 2,3 DPG I z ;/2 a 2 volte i valori normali sulla funzione miocardica a seguito di circolazione extracorporea è attualmente in corso di studi. I globuli rossi circolanti con aumentata affinità per l' ossigeno in vivo possono causare una richiesta di aumentato flusso ematico oppure di maggiore estrazione di ossigeno dai globuli rossi oppure possono causare entrambe le necessità. Poiché è difficile stabilire il Po2 nei tessuti, abitualmente viene misurato il Po2 nel sangue venoso misto. Tale determinazione riflette gli effetti combinati del flusso ematico verso i tessuti e del consumo di ossigeno da. parte dei tessuti, ma, d'altronde, non riflette di solito l'affinità per l'ossigeno dei globuli rossi conservati [58] . Il benessere di alcuni pazienti può essere messo a repentaglio se essi non hanno la possibilità di soddisfare la richiesta di una aumentata gittata cardiaca dopo la trasfusione di globuli rossi conservati con alta affinità per l'ossigeno. I pazienti che necessitano


FIGURE 12

r =055, p<OOOI, n=l23

t

o

o

"..._ 300r ti,

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200

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4 00~

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FIGURA 12

• •

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35.9

• • •

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• Trauma, é xlrem1/y

.l

"

(6 4 )

, Abdom,no/ ( 2}

V

Cord,o-pulmonory D,s. ( 8}

a G. I . Bl eedmr; ( 5 J • Concer ( 28)

o M,scel/oneous (16)

o

o - i L <O

16

18 20 22 24 2 ,3 - DPG LEVE L,µ.moles / g Hb

•- 26•·

28

30

32

34


FIGURE 12

Relation betwecn red celi mas, deficit and red ccll 2,3 DPG leve!. f 55)

2,3 DPG lcvcl, ~Lmolcs/ g. 11.b

Livello del 2,3 Ul'G (111icromole/g. di 1-lb)

Red celi mass delici t /g. llb

Deficit della ,nassa dei globuli rossi/g. di /-1 /,

Trauma, Extremi ty

Trauma delle estremità

Trauma, Abdominal

Trauma 11ddo111i11ale

Ca rd io - pulmonar )' Di,.

Mala11ia. cardio - polmonare

G.!. Bleeding

G .I . emorragia

Cancer

Cancro

Miscellaneous

Casi diversi

FIGURA 12

Relazione fra il deficit di massa dei globuli rossi ed il livello di 2,3 DPG nei globuli rossi r55].

w '-l


elevated 2,3 DPG levels (fi-g. 12). Thus, when improvem ent of oxygen transport during the 24 - to 72 - hour posttransfusion pcriod is desired without an accompanying demand for increased blood flow, red cells with r - r /2 to 2 times normal 2,3 DPG levels should be used. A s m any as 6 uni ts of red cells with r - r / 2 to 2 times normai 2,3 DPG levels have been transfused to a single patient with excellent clinica] respanse.

della trasfusione abitualmente hanno livelli elevati di 2,3 D PG (fìg. 12). Pertanto, quando si desidera un miglioramento della capacità di trasporto di ossigeno nel periodo dalle 24 alle 72 ore dopo la trasfusione senza una contemporanea richiesta di aumentato flusso ematico, dovrebbero essere usati globuli rossi con !ivelli di 2,3 DPG da 1 - I 1/2 a 2 volte i valori normali. In un paziente singolo sono state trasfuse fino a 6 unità di globuli rossi con livelli di 2,3 D PG da 1 - 1 ¼ a 2 volte i valori normali e la risposta clinica è stata eccellente.

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OSPEDALE MILITARE PRlNCIPA LE D I ROMA « S. T EN. MED. ATTILIO FRIGGER! » M.O.V.M.

Direnore: Col. Med. Prof. Dott. E . FAv[;zz1

LA RIABILITAZIONE DEL POLITRAUMATIZZATO DELLA STRADA NELL'AMBIENTE MILITARE 1973 Col. Mcd. Prof. Dott. Enrico Favuzzi

Magg. Med. Dott. Raffaele Tucciarone

I drammatici aspetti della traumatologia stradale costitmscono una caratteristica comune a tutti i Paesi ad alto sviluppo industriale. Ovunque, infatti, il problema dell'entità e del continuo incremento del numero degli incidenti e delle loro tristi conseguenze è all'ordine del giorno di simposi e di congressi nazionali ed internazionali; e l'opinione pubblica, continuamente sollecitata in questo senso, sembra ormai accettare supinamente questa strage quale conseguenza inevitabile del nostro benessere e come tributo di sangue da pagare incondizionatamente ai numi che presiedono al florido sviluppo della « società dei consumi ». Le cifre impressionanti e le immagini paurose, che la stampa quotidiana continuamente sottomette alla nostra attenzione, ben raramente suscitano l'inquietudine e l'apprensione che meriterebbero. T ale fatalistica indifferenza, che con gli anni abbiamo acquisito verso un aspetto così dr ammatico della nostra vita di tutti i giorni, fa sì che le statistiche che ogni anno si pubblicano, pur nel loro eloquente significato, abbiano bisogno ,di un termine di paragone per essere poste nella loro vera e giusta luce. A questo scopo pensiamo che meglio di ogni altro possa servire quanto recentemente pubblicato da una rivista americana di grande diffusione e che consiste nel confronto tra perdite belliche, e morti e feriti per incidenti stradali. Gli Stati Uniti d'America, che n egli ultimi 200 anni di storia sono stati coinvolti in otto conflitti nazionali ed internazionali tra i più sanguinosi e spaventosi, hanno lamentato complessivamente 1.300.000 morti e 1.276.000 feriti per cause bel liche. Per contro, e nello stesso Paese, in soli 60 anni di motorizzazione si è avuta la perdita di r-494.414 vite umane; mentre in media, ogni anno, si è contato più di un milione di feriti (r.350.000 nel 1965); tanto che oggi esistono negli Stati Uniti molti milioni di individui che ancora portano sul loro corpo segni più o meno gravi degli esiti di un incidente stradale.


43 Le cifre del nostro Paese sono più modeste, ma non meno drammatiche, se paragonate all'estensione della nostra rete stradale e alla densità dei veicoli. Dai 167.574 incidenti stradali registrati nel 1955, siamo passati ai 360.015 nel 1963. Una lieve flessione si è avuta nel 1964 con 320.208 incidenti; e nel 1965 con 304.827. L'infortunistica stradale ha provocato 143.346 vittime nel 1956; 240-598 nel 1963; 232.569 nel 1964; 211.923 nel 1965; 270.000 nel 1966; 3rn.ooo nel 1967, e 326.000 nel 1968. La flessione registrata negli ultimi anni, se da una parte costituisce un dato in-dubbiamente confortante, dall'altra, per i .fini che ci proponiamo, deve essere accuratamente interpretata. Infatti da tutte le statistiche risulta, accanto alla contrazione del numero assoluto di incidenti, il preoccupante incremento di lesioni sempre più gravi, con vittime mul.tiple per ogni singolo evento. Il preoccupante fenomeno della traumatologia da incidenti stradali ha interessato anche l'ambiente militare, formando oggetto di studio e di ricerca. Da una relazione statistica redatta dal M.D .E. nel rapporto comparativo che si riferisce al periodo che va dal 1964 al 1968, si è potuto rilevare che il numero degli incidenti, rispetto al numero dei mezzi, si è mantenuto pressoché costante. Infatti ad un numero di 2.579 incidenti nel 1964, segue negli anni successivi una cifra costante con una leggera flessione nel 1967 con 2-517 incidenti; cifra compensata peraltro nel 1968 con un lieve incremento: 2.693 incidenti. Il rapporto tra numero di incidenti e mezzi circolanti fornisce una percentuale che è del 9,07% nel 1964; 9,42% nel 1968; e nel 1967, lieve flessione, dell '8,83 %. Le cifre riportate ci rendono conto di come, anche nell'ambiente militare, il problema della traumatologia stradale si ponga in tutta la sua attualità e gravità; e non solo per lo studio delle cause che intervengono nel determinismo dell'incidente, quanto e soprattutto per ciò che concerne la necessità del recupero del traumatizzato, il quale quasi mai presenta un'unica lesione, ma per lo più subisce nell'incidente lesioni multiple. S.i affaccia così, nel complesso e affascinante quadro della medicina moderna, il problema del trattamento e del recupero del politraumatizzato, espressione nuova, proposta direttamente da quelle che per altri aspetti sono considerate conquiste entusiasmanti della società industriale. Innanzi tutto, prima di intrattenerci sui dettagli specialistici di questo aspetto della traumatologia, occorre definire cosa intendiamo oggi per politraumatizzato. Secondo .Arnaud, per politraumatizzato si intende « un ferito nel quale gli effetti nocivi di lesioni multi pie e regionalmente differenti si intersecano tra loro >). Creyssel, invece, definisce politraumatizzati quei feriti che associano a lesioni degli arti, lesioni addominali, craniche e, talvolta, rachidee.


44 Per Rienau si tratta, infine, di feriti che presentano ,d ue o più lesioni traumatiche maggiori, periferiche, viscerali o complesse, e che comportano un rischio vitale. Nella Scuola di Roma, secondo Monticelli, per politraumatizzato deve intendersi « quel ferito che, in seguito ad un evento traumatico polidinamico di particolare intensità, riporta una o più lesioni anatomiche, cui si associano squilibri funzionali della neuro - attività centrale o periferica o del sistema cardio - circolatorio, respiratorio o dell'apparato endocrino ». Come si vede, l'orientamento della Scuola di Roma tende a considerare nel politraumatizzato non le singole fratture a sé stanti, né le altre lesioni che l'infortunato ha riportato come semplici danni localizzati di questo o quell'apparato, ma bensì a tener conto di quest'insieme di lesioni in un quadro più ampio, quello cioè della malattia traumatica, che compromette, con meccanismi diversi, lo stato generale di salute del paziente. Il trattamento del politraumatizzato, nella Scuola Romana, è stato sempre guidato da alcuni principi base, per i quali la rieducazione e la riabilitazione del paziente sono tenute costantemente presenti come obiettivo fondamenta!e fin dal momento del pronto soccorso, mantenendo tutta la loro importanza durante la fase terapeutica, chirurgica o conservativa, delle lesioni, per concludersi con la precoce applicazione delle moderne tecniche fi.siochinesiterapiche con le quali si portano tali pazienti al recupero delle funzioni motorie temporaneamente perdute. In altre parole, la traumatologia e l'ortopedia dei nostri tempi sono quelle che antepongono le finalità funzionali a qualsiasi altro obiettivo, ivi compreso quello naturale e ovviamente auspicabile del ripristino della morfologia. Non riteniamo azzardato affermare che la riabilitazione del politraumatizzato cominci in sede di pronto soccorso, addirittura nell 'autoambulanza, perché spes~o accade che gli effetti delle misure terapeutiche immediate, in un modo o in un altro, possono compromettere la successiva opera di rieducazione. E in questo caso non si vuole fare riferimento ai cosiddetti danni secondari, attrib-uibili a provvedimenti terapeutici eseguiti in con<lizioni d'emergenza, responsabili di alterazioni o di lesioni che non sono diretta conseguenza dell'evento traumatico. S'intende invece chiamare in causa procedimenti terapeutici che sarebbero ineccepibili, solo se il recupero funziona le oon fosse l'unica condizione del successo o dell'insuccesso della terapia adottata. A questo proposito basti pensare ad una frettolosa applicazione di una trazione transcheletrica in zon a non appropriata, o meglio alla omissione della sua applicazione, q uando con questo semplice mezzo si sarebbe potuto evitare l'immobilizzazione di segmenti articolari non direttamente interessati dal trauma. Il concetto, secondo cui la riabilitazione del peli traumatizzato trova le sue premesse indispensabili al momento del trattamento d'elezione deile


45 varie lesioni, è talmente chiaro e in discutibile che non riteniamo opportuno d ilungarci oltre. Sull'argomento basti ricordare a questo proposito il principio, tante volte sostenuto da Monticelli, secondo il quale, si può arrivare, q uando le condizioni lo richiedano, a sacrificare la forma per la funzione. Oggi le grandi possibilità della riani mazione e della moderna anestesia, e il poter realizzare osteosintesi estremamente solide (e molto spesso multiple), consentono un inizio estremamente precoce della mobilizzazione articolare attiva, premessa indispensabile della riabilitazione di questi pazienti. La statistica riportata <laJla Scuola di Roma, desunta da un'indagine svolta sui referti del Pronto Soccorso del Policlinico Umberto I di Roma, dimostra che i politraumatizzati della strada rappresentano il 4% di tutti gli infortuni osservati negli anni r962 - r965. Per quanto si riferisce all'età di incidenza, la maggiore frequenza (40° o) è stata registrata negli anni compresi tra il 2° e 3° decennio di vita. I soggetti m aschili rappresentano, infine, 1'82°~ dei palitraumatizzati della strada. ell'ambiente militare, invece, la percentuale dei palitraumatizzati è del 2,50°~ rispetto a tutti gli altri infortunati. Per quanto si riferisce all'età, anche fra i militari il periodo della vita compreso tra il 2° e 3° decennio è il più colpito. Tali dati, solo apparentemente sono discordanti da quelli riportati dalla Scuo1a di Roma. Nel valutarli, pertanto, non si deve dimenticare o sottovalutare il fatto che il conduttore di automezzi mi litari deve osservare nel traffico una particolare disciplina, ed è obbligato ad una velocità media che nell'abitato si aggira solo in torno ai 30 km all'ora. Da q uesti dati si è potuto rilevare che, ad una percentuale decrescente di incidenti con politraumatizzati occorsi ad ufficiali, sottufficiali, o carabinieri, corrisponde un aumento di politraumatizzati nei militari di leva. Inoltre, nel militare, si realizza spesso il quadro del politraumatizzato con riflessi neuropsichici derivanti dalla posizione di subordinazione e di disciplina io cui il militare stesso si trova. Gli effetti generali a carattere bio - umorale che caratterizzano la malatti a traumatica, la coesistenza di. ferite più o meno inquinate e di danni viscerali, hanno in passato orientato verso un trattam ento incruento che, richiedendo una immobilizzazione più o meno prolungata, rappresentava la causa del mancato o parziale recupero funzionale. Le moderne acquisizioni medico - chirurgiche ed anestesiologiche, cui abbiamo fatto cenn o sopra, hanno permesso di superare gl-i ostacoli che fino a q ualche anno fa limitavano l'opera dell'ortopedico. A ttualmente si è cercato di evitare, nei soggetti portatori di lesioni multiple, immobilizzazioni prolungate di più segmenti che fatalmente esitano ÌJl rigidità articolari più o meno gravi. A questo scopo si praticano su larga scala in terventi di osteosintesi, impiegando nella stessa seduta più éguipes operatorie in modo da provvedere simultaneamente al tr attamen to di tutti i focolai ,di frattura .

..


Tale metodo ha permesso di iniziare, nella stragrande maggioranza dei casi, la mobilizzazione articolare attiva già nei primissimi giorni post-operatori. E' chiaro che ogni politraumatizzato impone problemi rieducativi peculiari, legati oltre che all'entità e al numero delle lesioni riportate, all'età del soggetto, alle sue condizioni generali, allo stato muscolare, ai fattori sociali, ccc. Altrettanto chiaro è che la fase ,di rieducazione funzionale è particolarmente delicata e complessa, per cui non è possibile schematizzare i provvedimenti fisiochinesiterapici che di volta in volta devono essere adottati. Vogliamo solo ricordare che, pur restando alla base di ogni trattamento la chinesiterapia attiva, attribuiamo una notevole importanza al ripristino del tono e del trofismo dei gruppi muscolari interessati, il che si consegue abbastanza facilmente con l'impiego su larga scala della elettroterapia di stimolazione e con correnti esponenziali. La riabilitazione del politraumatizzato della strada comporta però problemi ben più vasti che non quelli del recupero articolare. E ssa mira, infatti, al ripristino delle funzioni vitali e della capacità lavorativa dell'infortunato. Questo obiettivo di fondo non è sempre facilmente perseguibile, specialmente quando l'incidente ha provocato la perdita anatomica di un segmento di arto, o quando l'evento traumatico abbia interessato i tronchi nervosi. elle amputazioni degli arti inferiori è stata da tempo adottata la tecnica dell'immediato fìtting, che consiste nella protesizzazione immediata del moncone di amputazione, ricorrendo sia all'applicazione ,d i protesi provvisorie sia all'adattamento di protesi definitive, con l'impiego di nuovi materiali plastici oggi disponibili. Con tale premessa, la protesizzazione immediata riveste una importanza fondamentale, in quanto elimina quella lacuna spesso lunga che si interpone tra evento traumatico o operatorio e ripresa della deambulazione, e che risulta oltremodo dannosa specie da un punto di vista psicologico, in quant? concede a.1 paziente il tempo per rendersi pienamente conto della propria menomazwne. Con questo metodo, già al risveglio dall'anestesia, l'amputato si trova provvisto dell'arto protesico, ciò che se da una parte giova al paziente nel senso di ridurre l'impressione di menomazione, dall'altra gli permette di assumere il carico e di iniziare la deambulazione già nei primi giorni post operaton. Infatti al paziente, I.ibero nei suoi movimenti, vengono applicati gli elettrodi nei muscoli da esaminare. Una piccola radjotrasmittente, che il malato porta con sé, invia direttamente i segnali all'apparato radioricevente, collegato con il tubo oscilloscopico dell 'elettromiografo. In tale modo si può ottenere un quadro estremamente fedele del gioco di tutti gli attivatori della deambulazione e soprattutto delle vari.azioni, nell'impegno muscolare, dei gruppi residui e del loro comportamento rispetto


47 al soggetto integro. Un'attenta valutazione dell'impegno dei diversi muscoli del moncone nelle diverse fasi del passo, permette inoltre di adattare la protesi definiti va non solo alla con formazione del moncone, ma anche alle esigenze funzionali dei singoli pazienti. Lo studio è stato condotto sotto l'aspetto di un'indagine - guida per studiare la dinamica della deambulazione dell'amputato, al fine di creare dei parametri standard dell'impegno muscolare in rapporto ai diversi livelli di amputazione. In altre parole si vuole in tal modo stabilire che in una protesi di gamba, ad esempio, il migliore sfruttamento dell'apparecchio, si ottiene quando il bilancio, tra flessori ed estensori del ginocchio, abbia raggiunto un determinato livello di efficienza, ciò che il tracciato elettromiografico misurerà con esattezza. L'elettromiografia ha permesw, infine, di ottenere un orientamento diagnostico e terapeutico estremamente preciso per quello che riguarda il terzo grande aspetto clinico del politraumatizzato della strada, quello delle lesioni nervose periferiche. La violenza dell'evento traumatico, la complessità e il numero delle lesioni, provocano con grande frequenza complicazioni nervose periferiche, che vanno dalle gravissime lesioni dei plessi, in particolare di quello brachiale, fino a semplici interessamenti da compressione o distensione. Tutte si manifestano, come è noto, con fatti paralitici più o meno estesi, alcuni dei quali destinati ad una completa regressione, mentre altri sono persistenti e a volte permanenti. Al momento del trattamento, per ciascuna di queste lesioni si manifesta la necessità assoluta di poter disporre non solo di un criterio ,diagnostico di gravità e di sede, ma anche e soprattutto di una valutazione prognostica attendibile. Lo studio elettromiografico della denervazione muscolare, e in particolare quello della persistenza della conduzione sul tronco interessato e della velocità ,di conduzione dello stimolo, consentono di rinvenire per ogni quadro anatomopatologico il corrispettivo elettromiografico. Da tale analisi scaturisce automaticamente il programma terapeutico che, conservativo per la maggioranza dei casi di neuropraxia e axonotmesis, diviene chirurgico solo nei casi conclamati di neurotmesis. In tale modo gli aspetti più gravi e inva~ lidan ti della traumatologia della strada, quelli relativi alle conseguenze paralitiche, hanno trovato, grazie a questi nuovi mezzi di indagine, un loro realistico inquadramento che rappresenta il presupposto di base per una terapia riabilitativa adeguata, spesso in grado di ottenere successi particolarmente brillanti. Al termine di questa breve e forzatame nte incompleta panoramica degli aspetti riabilitativi del politraumatizzato della strada, quali sono intesi ed applicati nella Clinica Ortopedica e Traumatologica dell'Università di Roma, vorremmo richiamare l'attenzione sull'aspetto sociale del problema ,della riabilitazione del poli traumatizzato.


In nessuno dei numerosi progetti di legge presentati sull'assicurazione obbligatoria automobilistica, il problema della riabilitazione delle vittime della strada è stato tenuto nella dovuta considerazione. Eppure in molti altri Paesi sono proprio le grandi compagnie di assicurazione le più accanite sostenitrici della rieducazione e della riabilitazione del traumatizzato della strada. Il perché di un tale logico orientamento è troppo facilmente intuibile. Una ri,duzione, anche modesta, ottenuta attraverso la rieducazione del tasso di invalidità, non comporta ovviamente solo un risparmio notevole di capitali, ma risponde soprattutto al precipuo interesse del politraumatizzato. Per il singolo, infatti, la possibilità di recuperare le proprie capacità produttive, vale molto di più di qualsiasi capitale o pensione assegnata. Se profondamente sentita è l'istituzione di un principio di riabilitazione del politraumatizzato della strada nell'ambiente civile, ancora di più tale principio è sentito nell'ambiente militare. La riabilitazione del politraumatizzato della strada nell'ambiente militare, infatti, richiede una maggiore oculatezza oltre ad un più sollecito e capillare trattamento in quanto, come già precedentemente accennato, al danno fisico prodotto dal trauma vero e proprio, nel militare, per svariati fattori psicologici, fra i quali gioca un ruolo importante la lontananza dall'ambiente naturale, si verificano facilmente turbe neuropsichiche e somatiche di vario grado, che aggravano le limitazioni funzionali ed organiche determinate dall'evento traumatico. La società, che per obbligo di leva, offre allo Stato un individuo sano, richiede che questi, terminato il periodo di servizio, sia restituito perfettamente integro. Quindi, se durante tale periodo, il giovane militare subisce un grave traumatismo, quale è quello del palitraumatizzato della strada, esso deve essere recuperato al massimo delle sue funzioni. A tal fine solo una moderna, oculata ed attenta fisioterapia riabilitativa, iniziata al momento dell'incidente e proseguita sino al massimo recupero passibile, può ridurre notevolmente il danno economico dell'indennizzo e permettere un valido ed attivo reinserimento sociale del militare.

R1ASSUNTO. Gli AA. hanno studiato il problema della riabilitazione del policraumatizzato della strada nell'ambiente militare. In tale studio gli AA. hanno rilevato la opporcunità di istituire nell'ambiente militare dei centri di fisioehinesiterapia e riabilitazione, onde ridurre il più possibile il tasso di invalidità conseguente a lesioni traumatiche, sia sotto il profilo umàno tendente al ricupero il più rapido e completo possibile del politraumarizzato, e sia sotto que!lo sociale in quanto la sociec.ì, che offre allo Stato un individuo sano per attendere agli obblighi di leva, deve riaverlo nelle migliori condizioni fisiche e psichiche.


49 RisuMÉ. - Les Auteurs ont étudié le problème du polytraumatisé dc la route dans le milieu militairc. Avec cet étude les Autcurs soulignenr l'opportuniré dc fonder, dans le milieu militaire, dcs ccncres dc physiokinésithérapic ct dc réhabilitation, dans le but de réduire, autant que possible, le taux d'invalidité comme conséquence dcs lésions traumaLiques. Tout cela en vuc dc recouvrer, le plus rapidement et complècement possible, le polytraumatisé meme, qui, en cntra11t dans le servicc militairc parfaitemcnr sain, a tout le droit d'en sortir dans les mcilleurs conditions, soit physiques soit psychiques.

SuMMARY. - Thc question of the rehabilitation of the road's polytraumatized in the military enviroomcnt is hcre accurately studicd by tbe authors. In this paper the authors emphasize the convcnience to set up some dcpartmcnrs of physiokinesicherapy and rebabilitation, in order to cut down, to che most possible, the invalidiry's rate rcsulring from thc craumacic lesions.; and this whether under the human's outline tending to the recovery of che polytraumatized in the mosr rapid and complete way, or under tbe social profilc; it is to say that che community, which offer to thc State a sound man to attend che liability co military service, must get again this man in che best physical and psychical co□ dicions.

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I• PATOLOGIA CHIRURGlCA DELL'UNIVERSJT.\ DEGLI STUD l DI ROMA Di rettore: Prof. G. Dt M ATHO OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE D1 ROMA • S. TEN. MED. A'ITILIO FRIGGERl >► M.O.V .M. Direttore: Col. Mcd. Prof. E. FAvuzzt

PROBLEMI DI TECNICA NELLA CHIRURGIA DELLA PAROTIDE E. Favuzzi

F. P. Campana

E. De Antoni

A. Teatini

PREMESSA.

La moderna chirurgia della ghiandola parotide è legata essenzialmente al problema della conservazione del nervo facciale. I primi interventi di exeresi non totale della ghiandola risalgono al XVIII secolo; solo ne.1 1907 si ha notizia di una parotidectomia totale con preparazione del facciale ad opera di T. Cawardinc. Successivamente, tra il r910 ed il 1920, se ne hanno sporadiche descrizioni, sia in America che in Europa (Von Haberer, 1910; W. E. Sistrunk, 1921; A. W. Adson, r923). I primi tentativi di codificare la tecnica si sono avuti nel 1941 ad opera di H. Bailey; successivamente l 'argomento è stato ripreso da H. Redon nel 1951 e nel 1955. Da allora la letteratura si è arricchita di numerosi contributi: la chirurgia della parotide è diventata essenzialmente chirurgia del nervo facciale, legata a numerosi problemi di tecnica sui quali ancora oggi non è stato raggiunto dagli AA. un completo accordo. el nostro studio ci soffermeremo, pertanto, su alcuni aspetti di anatomia chirurgica della parotide strettamente legati alla preparazione del facciale neUa chirurgia delle varie affezioni parotidee. Ci proponiamo, inoltre, di portare un contributo clinico - casistico e tecnico nella preparazione del nervo secondo gli orientamenti. da noi seguiti. ELEMENTI D1 EMBRIOLOGIA E DI ANATOMIA CHIR URGICA DELLA PAROTIDE E DELLA REGIONE PAROTIDEA.

Problemi anatomici più rilevanti e di attuale importanza s.ono la uni o bilobarità della ghiandola parotide (strettamente legata alla sua genesi embriologica), la costituzione della fascia parotidea, i rapporti anatomici della loggia, dei prolungam enti parotidei e del dotto di Stensen , la codificazione dei peduncoli vascolari ed il decorso extradurale del nervo facciale.


52 La ghiandola parotide, solo apparentemente suddivisa in due lobi, uno profondo ed uno superficiale, va considerata oggi, in base alle più recenti acquisizioni embriologiche, anatomicamente e clinicamente come un organo unico ed omogeneo. Il primo abbo(lzo ,della parotide compare, infatti, intorno alla metà del.la sesta settimana dell'embrione, allo stadio di sedici millimetri, come una proliferazione epiteliale, di probabile origine ectodermica, nella parte profonda della guancia, subito dietro l'angolo della bocca primitiva. Nell'embrione di otto settimane costituisce un solco che si trasforma in canale comunicante con le cavità orali. In seguito si accresce, scivola sopra il muscolo massetere, raggiunge la regione dell'orecchio esterno e si situa dietro al tronco ,del nervo facciale che attraversa la regione, essend!osi formato embriologicamente prima della ghiandola paroti,de, all'inizio della quinta settimana. L'abbozzo della ghiandola comincia quindi ad emettere delle gemme piene che si ramificano attorno al nervo e terminano con estremità rigonfiate costituite da cdl ule paliedriche. Verso il terzo mese inizia la canalizzazione delle gemme piene, che al sesto mese è completa. Il processo di differenziazione, infine, è piuttosto tardivo, ed i segni di attività secretoria si osservano solo dopo la nascita. Inizialmente l'uni lobarità della parotide fu sostenuta da J. Mc Kenzie (1948) il quale, iniettando nel sistema duttale una sostanza colorante gelatinosa, evidenziò in sezioni trasversali della ghiandola la presenza di sottili dotti tra l'uno e l'altro lobo anche al di fuori del cosiddetto « istmo >> . Successivamente, intorno agli anni '50, numerosi AA. sostennero la bilobarità della ghiandola in base a dissezioni nel corso delle quali dimostrarono come il nervo decorresse distal'mente attraverso un piano di clivaggio tra lobo superiore e profondo (L. J. Mc Cormack e A. W. Adson, 1956, su 350 dissezioni; Clarke, 1952; C. T. Klopp e T. Winship, 1950; M. Dargent, 1948). Nel 1956, infine, Winsten J. e Ward G. E. dettero una dimostrazione originale e definitiva dell'unilobarità della ghiandola, iniettando in cadaveri freschi venti parotidi con un m etallo a basso punto di fusione (47,2°C): il Cerulow 117. I preparati così ottenuti vennero radiogràfati in tre proiezioni diverse e quindi sottoposti a corrosione con idrossido di patassio al 20%, per ottenere il modello metallico della ghiandola. Gli autori riuscirono così a dimostrare che essa è una massa unica, senza piano di clivaggio nelle diverse proiezioni radiografiche. Gli stessi AA. hanno condotto successivamente ricerche su 56 embrioni da 18,5 ad 80 millimetri, dimostrando per primi che i rapporti tra nervo facciale e ghiandola parotide sono dovuti al fatto che il nervo si forma embriologicamente prima della ghiandola. Più recentemente altri AA. (Donati G. S., 1958; Redon M., 1963) ribadiscono l'unilobarità della ghiandola ed attribuiscono le difficoltà che possono incontrarsi nell'isolare il nervo facciale all'esistenza di tralci connetti-


53 vali piccoli e sottili tra nervo e parenchima cd alla presenza di arteriole che, provenendo dalla stilo - mastoidea, raggiungono il nervo a varie altezze. Infine, a giustificazione del fatto che è sempre possibile una dissociazione tra nervo e parenchima ghiandolare, I. M. Ariel (1954) afferma che essa può ottenersi non perché il nervo corre fra due lobi distinti, ma per la minore consistenza ,del tes.suto ghiandolare nei confronti di quella del nervo facciale. Per quanto riguarda gli altri argomenti più strettamente anatomici diremo brevemente che la ghiandola parotide è contenuta in una loggia osteo muscolo - aponeurotica circoscritta da una lamina designata con il nome di fascia parotidea. La concezione classica considera tale fascia una dipendenza dell'aponeurosi cervicale superficiale. In realtà essa, per la maggior parte della sua estensione, è costituita da uno strato di tessuto cellulare lasso che solo in alcuni punti acquista la dignità di lamina aponeurotica. Per tale ragione la teoria attuale considera tale fascia una capsula propria della ghiandola, indipendentemente dall'aponeurosi cervicale superficiale, dovuta all'addensamento di tessuto cellulare lasso perighiandolare in rapporto alla resistenza incontrata dalla ghiandola contro i piani con cui viene ad urtare nel suo sviluppo eccentrico. La concezione moderna considera quindi una vera e propria capsula perighiandolare in rapporto, lateralmente con la fascia cervicale superficiale, medialmente con l'ala stilo- faringea e la guaina del fascio neuro vascolare del collo, posteriormente con la fascia prevertebrale. La capsula presenta inoltre un orifizio antera - inferiore, attraverso cui entra la carotide esterna, uno inferiore attraverso cui fuoriesce la giugulare esterna, uno profondo in rapparto con il prolungamento faringeo della ghiandola. Tale prolungamento è l' unico non ricoperto dalla capsula perighiandolare e si situa tra processo stiloioideo e muscoli relativi, e<l il muscolo pterigoideo interno, giungendo a contatto con la parete laterale del faringe. La capsula diversamente ricopre tutti gli altri prolungamenti parotidei sia anteriori che posteriori: quello pterigoideo, a partenza dalla faccia anteriore, si situa tra muscolo pterigoideo interno e mandibola; dal margine anteriore il prolungamento masseterino si adagia sul muscolo massetere; i due prolungamenti pasteriori, infine, si situano fra muscolo sternocleidomastoideo e ventre posteriore del digastrico l'uno, e tra quest'ultimo ed il muscolo stiloioideo l'altro, a diretto contatto con il fascio neuro- vascolare del collo (fig. 1). D al margine anteriore del la ghiandola, all'unione del terzo medio col terzo superiore, 15 millimetri al di sotto dell'arcata zigomatica, emerge i.1 dotto di Stensen. Dirigendosi orizzontalmente, lungo una linea che congiunge il trago con il bordo inferiore dell'ala del naso, assume un caratteristico decorso a baionetta. Il suo segmento genieno, che segue a quello masseterino, perfora il muscolo buccinatore e prosegue con un tratto sottomucoso che termina d i fronte al colletto del secondo molare superiore. Esso contrae stretti


54 rapporti con la branca buccale del facciale, costituendo un importante punto di repere del nervo nelle tecniche indirette di preparazione del facciale. Altro problema anatomico, connesso alla tecnica di preparazione del nervo in corso di parotidectomia, è quello dei peduncoli vascolari. Qui di seguito ne riportiamo la classificazione secondo l'ordine con cui J. L. Faure, che ne ha dato una descrizione completa ed accurata, consiglia di legarli e sezionarli: r) peduncolo anteriore: formato dall'arteria trasversa della faccia con il dotto parotideo ed un ramuscolo del nervo facciale (che ovviamente va rispettato); 2) peduncolo cervicale: formato dalla vena giugulare esterna; 3) peduncolo carotideo: formato dall'arteria carotide esterna e da una vena anastomotica tra giugulare esterna e vena facciale; 4) peduncolo extracondiloideo: formato dalle vene che passano innanzi al col lo della mandibola ; 5) peduncolo temporale: formato dai vasi temporali superiori e dal nervo auricolo - temporale; 6) peduncolo sottocondiloideo: formato dai vasi mascellari interni; 7) peduncolo stilo - mastoideo: formato dall'arteria stilomastoidea e dal nervo facciale. Il decorso extradurale del nervo facciale è l'ultimo dei problemi anatomici che richiede un'esatta e precisa conoscenza da parte del chirurgo che si accinge ad intervenire sulla ghiandola parotide. li nervo facciale fuoriesce dal foro stilo - mastoideo, decorre obliquo in avanti, lateralmente ed in basso secondo una linea che inizia posteriormente al di sotto del trago e termina anteriormente all'angolo della bocca. Decorre per alcuni millimetri nel tessuto cellulo - adiposo che separa la parotide dalla base cranica, profondamente ad un piano delimitato dalla porzione cartilaginea del condotto uditivo esterno superiormente e dall'apice del processo mastoideo inferiormente, ed è in rapporto con il margine superiore dell'estremo prossimale ,del ventre posteriore del muscolo digastrico (punti di repere importanti nella preparazione del nervo in corso di parotidectomia). Penetra quindi nella parotide con un decorso quasi orizzontale, circa due centimetri inferiormente all'arcata zigomatica, 1ateralmente aJl' arteria carotide esterna ed alla vena giugulare esterna. Nel contesto della ghiandola, il tronco principale del nervo si divide in due branche, una superiore ed una inferiore, designate da Bichat, che per primo le ha descritte nel 1802, come temporo facciale e cervico - facciale. La biforcazione del nervo avviene all'incirca all'altezza della vena facciale posteriore, superficialm ente ad essa, ad una distanza media dall'angolo <lella mandibola di 3 - 4 centimetri (M. Dargent e P. E. Duroux; L. J. Mac Cormack). I due rami principali del nervo si dividono ulteriormente, nel contesto della ghiandola, in branche per iferiche che si distribujscono ai muscoli della


55 faccia ed al muscolo pellicciaio del collo. Già G. F . Meckel nel 1826 nel suo manuale di anatomia, e successivamente altri anatomisti (H. V. Luschka, P. Sappey, J. H enle, L. Testut), descrissero tale suddivisione nervosa secondo modalità plessiformi. N oi, tra le varie divisioni ,d ella porzione intraghiandolare del nervo riportate d ai. vari AA., pensiamo meritino maggiore attenzione quella di L. J. Mac Cormack e q uella di R . A. Davis; quest'ultima in modo particolare in quanto condotta in base ai dati <li 350 dissezioni. Entrambi gli AA. classificano le modalità di suddivision e del nervo in base al numero di anastomosi tra i rami di una delle singole branche e sul numero di anastomosi tra la branca temporo -facciale e quella cervico - facciale. Otto sono i tipi della suddivisione di Mac Cormack, sei quelli della suddivisione di D avis. Riportiamo qui di seguito i sei tipi della suddivisione di Davis rapportati a q uelli della suddivisione di Mac Cormack (qualora essi corrispondano) con le relative percentuali di incidenza; riportiamo inoltre il tipo VII della suddivisione di Mac Cormack che non trova corrispettivo in quella di Davis, in quanto a nostro avviso particolarmente interessante. Modalità di suddivisione delle branche del nervo facciale (secondo Davis) e Mac Cormack). Tipo I (sec. D. e McC. 13 % dei casi) : assenza di anastomosi tra i rami delle due branche (fig. 2a). Tipo II (sec. D. 20°~ ; McC. II dei casi) : anastomosi tra i rami della branca temporale (fig. 2b). Tipo III (sec. D. 28% ; McC. 22~~ dei casi) : presenza di una si ngola anastomosi tra le due branche (fig . 2c). T ipo IV (sec. D. 24°/,, ; corrisponde alla V di McC. con 12°/,, dei casi): anastomosi prossimali tra i rami della branca temporale e anastomosi distali tra questa e la branca cervicale (fig. 2d). Tipo V (sec. D. 9°/,, ; corrisponde alla VI di McC. con 9 °~ dei casi): due anastomosi tra ramo buccale e ramo zigomatico (-fig. 2e). Tipo vr (sec. D. 6°~; corrisponde alla VUI di McC. con 7°/4 dei casi) : ricche comunicazioni plessiformi (fig. 2f). Tipo VII (sec. McC. 5°<, dei casi; non trova corrispettivo nella classificazione di D avis) : presenza di un ramo trasverso proveniente dal tronco del nervo che attinge l'anastomosi formata dalle due branche (fig. 3). Appare eviden te secondo g li schemi riportati il concetto, che è poi quello degli anatomisti m oderni, secondo il quale la sola branca superiore o temporo - facciale dia origine ad un plesso, mentre la inferiore o cervico - facciale h a delle semplici diramazioni . E ' questa una concezione anatomica particolarmente importante in quanto, dalla lesione chirurgica della branca angolo man-d.ibolare, non presentando essa anastomosi con altre branche, deriva una paresi irreversibile del muscolo triangolare delle labbra da questa innervato. 0

~


Non siamo infine d'accordo con l'opinione di altri AA. (E. Nesci e P. Russo, 1966; I. Popowski e E. Pons -Tortella, 1948) che rifiutano una suddivisione periferica del facciale in rami autonomi ed ammettono umcamente la presenza di ramificazioni plessiformi non classificabili. T ECNICA CHIRURGICA DELLA PAROTIDECTOMIA CON PREPARAZIONE DEL FACCIALE.

Il nostro orientamento attuale nella tecnica chirurgica della parotidectermia totale e superficiale con preparazione del nervo facciale prevede i seguenti tempi operatori: r) incisione cutanea; 2) esposizione della ghiandola; 3) ricerca, isolamento e preparazione del nervo facciale; 4) asportazione della ghiandola: prima lobectomia superficiale, poi lobectomia profonda; 5) linfadenectomia radicale (di necessità); 6) tecnica dell'innesto nervoso (in caso di eventuali lesioni accidentali del nervo o per parotidectornie radicali); 7) sutura. 1. -

Lo scopo dell'incisione cutanea è quello di favorire una buona espo-

sizione del campo oper atorio. Sono state proposte numerose incisioni : a T rovesciata, a S larga, a baionetta, ad Y, a parentesi. Le più usate sono l'incisione ad S larga, a baionetta, ed a Y. L 'incisione ad S larga viene condotta secondo una linea preauricolare che inizia all'altezza del trago, scende in basso condotta al limite con la regione geniena, contorna inferiormente a circa un centimetro di distanza il lobulo dell'orecchio, e prosegue nel1a regione cervicale fra margine anteriore del muscolo sternocleidomastoideo e solco mandibolare. Nell'incisione a baionetta, simile alla precedente, un segm ento obliquo , condotto dall'alto in basso e dall'avanti all'indietro, passante al di sotto del lobulo dell'orecchio, unisce il segmento preauricolare dell'incisione a quello cervicale. Noi eseguiamo abitualmente l'incisione ad Y, che è un a variante delle precedenti. L 'incisione, che contorna il lobulo dell'orecchio, viene prolungata in alto e posteriormente Qella regione mastoidea per alcuni centimetri, quindi scendiamo con l'incisione in basso nella regione cervicale. Lo scopo è quello di sollevare in alto, con un filo di trazione, un terzo lembo costituito dalla parte inferiore dell'orecchio per visualizzare meglio l'estremità della mastoide e la porzione cartilagin ea del condotto uditivo esterno. Condotta l'incisione dei piani cutanei e sottocutanei iniziamo l'jsolamento e l'esposizione della parotide dalla porzione postero - inferiore, là 2. -


57

M. digastrlco -

M. sterno cleìdo mastoideo

-

t Prolungam. interno

Lobo superfic.

Zone d'aderenza

Fig. 1. - Ghiandola parotide, suoi prolungamenti e loggia parotidea. (da PERLFMUTER e \V~LICO. . modific3tO da DE M1CHEL1s)


temp.

b

Fig. :z. - Schema della suddivisione delle branche del nervo facciale secondo la


59 temp.

temp.

temp.

cerv .

cerv. e

classificazione di R. A. 0,1.v1s e L. l. MAc CoRMACK (v<ls. spiegazione nel testo).


60

temp .

Fig. 3. - Schema di suddivisione delle branche del nervo facciale secondo il tipo VII della classificazione di L. I. MAc CoR-

Fig. 4. - Disegni illustranti i tcm pi della parotidectomia totale conservativa con preparazione del nervo facciale con tee. n ica diretta.

MACK.

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6r

Fig. 5. - Fotografie inLraopcratoric mostrami la preparazione del nervo facciale con tecnica diretta in corso di parotidectomia totale.


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Fig. 6. - Disegno schematico illustrante i rami del nervo facciale più usati nella tecnica di preparazione indiretta del nervo. (d~ A,;ouso:-; R., l:lYARS L. T.)

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Fig. 7. - Variabilità dei rapporti della branca angolo-mandibolare con la testa posta in estrema estensione laterale.

(da A:-;oERSO:< R., flYARS L. T .)


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Fig. 8. - Fotografie intraoperatorie. - Preparazione del nervo facciale : a) tronco principale del nervo; b) rami principali di suddivisione.

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Fig. 9. - Fotografia intraopcratoria in corso di parot.idcctomia totale con preparazione del nervo facciale e dissezione radicale del collo. (eone.essa da P. CARACCIOLO - New York)


dove la ghiandola è, almeno per la parte in feriore, non aderente alle strutture circostanti ed è rivestita unicamente dalla capsula propria. Portiamo quindi la dissezione sull'aponeurosi del muscolo sternocleidomastoideo nel punto in cui la capsula parotidea si continua con essa (fig. 4a). Durante tale manovra sezioniamo il ramo parotideo del nervo grande auricolare che attraversa obliquamente a ponte la regione, cercando di non ledere il ramo dello stesso nervo destinato al lobulo dell'orecchio, per non determinare nel paziente fastidiose par-estesie della regione. Spingiamo quindi la dissezione in alto fino all'inserzione del muscolo sternocleidomastoideo sulla estremità della mastoide ed in basso fino al punto in cui la vena giugulare esterna incrocia questo muscolo. Legata e sezionata la vena a questo livello facciamo l'emostasi dei vasi temporali superficiali, degli auricolari pcsteriori e loro rami. Divaricato in basso e pcsteriormcnte il muscolo sternocleidomastoideo e sezionate alcune deboli aderenze tra capsula parotidea e ventre posteriore del muscolo digastrico (che si trova su di un piano più profondo rispetto al muscolo precedente), divarichiamo in basso anche questo muscolo ed a livello del suo m argine superiore repertiamo e leghiamo l'arteria carotide esterna, nel punto in cui essa è più superficiale e penetra nella loggia parotidea (fig. 4b). Non tutti gli AA. sono d'accordo nell'allacciare questo vaso, ed altri ricorrono alla sua legatura come tempo prelimin are dell'intervento. Noi, come tutti gli AA. che procedono a tale manovra (M. Redon, G. S. Donati, L. Pietrantoni, C. E. Pini), riteniamo impcrtante questo tempo chirurgico per assicurarci una buona emostasi del campo operatorio durante le manovre più impegnative di preparazione del nervo facciale (tale arteria, infatti, fornisce numerosi rami che si distribuiscono al nervo nel decorso intraparotideo). F . Virno fa notare, a questo proposito, come, in alcuni casi, l'arteria stilomastoidea, ramo della carotide esterna che fornisce appunto alcuni rami al tronco del nervo facciale, invece di nascere come di norma dall'arteria auricolare posteriore (che origi na dalla carotide esterna più in alto dell'incrocio di questa arteria con il ventre posteriore del digastrico e viene quindi esclusa dalla legatura arteriosa) nasca ,d all'arteria occipitale posteriore che origina invece dalla carotide esterna molto più in basso del punto di repere arterioso descritto. Questo A. quindi consiglia, per essere sicuri di ottenere in tutti i casi una buona emostasi dell'arteria stilomastoidea, la legatura del tronco dell'arteria carotide esterna alla sua origine, nel triangolo di F arabeuf (nervo ipoglosso, vena giugulare interna, tronco venoso tireo - lingue - facciale). Terminato il tempo della legatura arteriosa isoliamo, a volte, la ghiandola anche superiormente ed anteriormente dalla loggia parotidea lungo l'arcata zigomatica ed il muscolo massetere, quindi la solleviamo posteriormente per mettere a nudo lo spazio retroparotideo. Questo è delimitato in alto dalla porzione cartilaginea del condotto udi rivo esterno, posteriormente dal processo mastoideo, profondamente ed in basso dal processo trasverso dell'atJan-


66 te ed anteriormente dal processo stiloioideo. H. Redon, per aumentare tale spazio, consiglia l' uso di un divaricatore autostatico maxillo - mastoideo. In tale regione iniziamo la ricerca del facciale, almeno per quanto riguarda 1a tecnica diretta di preparazione del nervo. 3. - Ricerca, isolamento e preparazione del nervo facciale: tali manovre chirurgiche possono essere condotte a carico dei due segmenti liberi, pre e postghiandolare, del tratto extracranica del nervo. Il segmento nervoso intraparotideo non si presta, per ovvii motivi (variabilità nel decorso dei rami, difficoltà nel distinguerli dai settj interlobari) alla ricerca del nervo. La preparazione nervosa, eseguita partendo dal tratto libero preghiandolare e che prosegue lungo il decorso del nervo fino ai rami terminali, viene denominata diretta. Indiretta viene altresì denominata la metodica che partendo da una branca periferica del nervo, nel tratto libero post - ghiandolare, viene condotta a ritroso fino al tronco principale del nervo. A. Tecnica diretta : nello spazio retroparotideo già descritto, opportunamente divaricato, inizia la ricerca del tronco del facciale. Diversi AA. utilizzano come reperì anatomici, ora la punta dell'apofisi mastoide (sulla parte anteriore di questa formazione ossea nel punto ove terminano le inserzioni dei fasci muscolari dello sternocleidomastoideo), ora la porzione cartilaginea del condotto uditivo esterno (a circa 5 millimetri al di sotto della cresta di questa cartilagine), ora il margine anteriore del ventre posteriore del muscolo digastrico. La tecnica da noi abitualmente preferita si giova di tutti e tre i reperì anatomici descritti. Sollevato verso l'alto ed anteriormente il polo postero inferiore della ghiandola, già dissezionata ,dai muscoli sternocleidomastoideo e ventre posteriore del digastrico, spingiamo in alto la dissezione, nello spazio retroparotideo, a scoprire la punta della mastoide inferiormente e la porzione cartilaginea del condotto uditivo esterno superiormente. In tale manovra di identificazione dei reperi ci si può aiutare con la palpazione : il dito che esplora avvertirà tra i due processi (osseo inferiormente e cartilagineo superiormente) un solco a forma di V, delimitato inferiormente dal margine superiore del ventre posteriore del muscolo digastrico opportunamente divaricato in basso ed in profondità dal tubcrco!o dell 'apofisi trasversa dell'atlante. A volte, durante questo tempo, giova disinserire il capo mastoideo del muscolo sternocleidomastoideo. In questo solco spingiamo la dissezione in profondità per circa due centimetri, fino a repertare il tronco del nervo circa un centimetro anteriormente alla punta dell'apofisi mastoide (/ìgg. 5a, b, c, tf). B. La tecnica indiretta (cui noi ricorriamo so1o eccezionalmente) utilizza tra le branche periferiche del facciale soprattutto quella cervicale e mandibolare e più raramente quella buccale (fig. 6). Le altre branche del ramo tempora - facciale non vengono sfruttate, e per ragioni anatomiche (mancan-


za di punti di repcre precisi, abbondanza di tessuto fibroso e cellulo - adiposo che ne rendono difficoltosa la ricerca), e per ragioni funzionali (la loro sezione accidentale comporta oltre al danno estetico il lagoftalmo). N ella ricerca della branca cervicale e di quella mandibolare la dissezione va condotta posteriormente cd inferiormente al gonion. Per individuare il ramo cervicale, sito più in basso dell'altro, seguiamo la vena facciale posteriore verso l'alto e lateralmente per un tratto di qualche centimetro. Per la branca mandibolare la dissezione prosegue dal gonio n in avanti parallelamente al margi ne inferiore della mandibola, sulla superficie esterna del muscolo massetere al di sotto della sua aponeurosi. Tale branca, del tutto anteriormente, a livello all'incirca del margine anteriore del muscolo massetere, incrocia la vena e l'arteria facciale, ponendosi al di sopra del peduncolo vascolare. Circa i punti di repere di tale branca R. Andcrson e L. T. Byars affermano che non sono costa nti, in quanto il ramo mandibolare discende almeno un centi metro nel collo quando la testa è posta in estensione laterale (fig. 7). Ricordiamo inoltre che spesso la biforcazione di tale branca è precoce ed i rami molto esili e di difficile reperto. N oi non abbiamo esperienza personale circa la preparazione del facciale per via retrograda utilizzando la branca angolo - mandibolare. Per la ricerca della branca buccale portiamo invece la dissezio ne lungo il m argi ne anteriore della ghiandola, al limite della regione masseterina. Come punto di repere utilizziamo il dotto di Stensen, all'unione del terzo superiore col terzo medio della ghiandola. L a branca nervosa si situa in stretta vicinanza del dotto, al di sopra o al di sotto di esso (fig. 8). 4. - Asportazione della glzia11dola : eseguiamo tale manovra, per quanto riguarda le tecniche conservative, in due tempi. Prima ricorriamo ad una parotidectomia superficiale, quindi asportiamo la parte profonda, rctroneurale, della ghiandola. A. Parotidectomia superficiale: iniziando dallo spazio retroparotideo, dove si è messo in evidenza il tronco principale del facciale e tenendo sollevato il polo postero - inferiore della g hiandol a con pinze di Allis o con fili di trazione passati attraverso il parenchima, scolliamo il lobo preneurale procedendo anteriormente e verso l' alto. Per liberare la ghiandola dal nervo si deve fare una dissezione progressiva ed accurata usando sottili pinze curve che al contatto del parenchim a isolino i rami nervosi ed assicurino l'emostasi (che deve essere particolarmen te accurata ove non si sia proceduto preventivamente alla legatura dell 'arteria carotide esterna) (fig. 4c). Proseguendo in avanti con la dissezione, a livello della vena facciale posteriore, anteriormente ad essa, identifichiamo i due rami principali di d ivisione del facciale e seguiamo per prima quella delie due branche che è meno interessata dal tumore. Quindi isoliamo la branca ,del nervo che è più direttamente in rap-


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porto col twnore. A questo punto. a volte, può succedere di trovarsi di fronte ad un carcinoma (abitualmente di tipo anaplastico) che inglobando il ramo nervoso viene aspcrtato in blocco con esso (fig. 5a). Sono casi questi in cui preesiste all'intervento una paresi del facciale, ma l'infiltrazione è limitata alle strutture e linfoghiandole prossimiorj ed il tronco principale del nervo nello spazio retroparotideo è libero. Continuando in avanti con la dissezione, a livello del margine anteriore della parotide, si incontra il peduncolo formato dal]' arteria e vena trasversa della faccia, che viene legato' e sezionato. Il dotto di Stensen viene sezionato e, secondo M. Rendon, lasciato pervio perché costituisce una buona via di drenaggio nel periodo postoperatorio. Noi, limitatamente agli interventi di exeresi superficiale, leghiamo solo i dotti tributari del lobo superficiale, perché la legatura del dotto principale parterebbe all'atrofia del lobo profondo resi,duo. B. Parotidectomia profonda: terminato il tempo precedente, divarichiamo all'esterno, con sottili strisce di gomma, le branche del facciale, preparate. Sezioniamo quindi le anastomosi nervose esistenti tra branca superiore del facciale e nervo auricole - temporale (causa, a volte, della Sindrome di Frey), e leghiamo e sezioniamo il peduncolo formato dalle arterie e vene mascellari interne. A questo punto si svincola e si lussa all'esterno il lobo profondo della parotide dalla loggia parotidea insieme all'atmosfera cellula adiposa che lo circonda (fig. 4d). Per asportare il prolungamento anteriore retro - mandibolare occorre divaricare in avanti la mandibola; alcuni AA. preferiscono resecarla. 5. - Per quanto riguarda il problema della linfadenectomia per cancro, c'è da dire che è molto discussa, da parte di diversi AA. (A. Toraya, 1970; S. L. Perzik, 1970), l'eventualità di una dissezione radicale ciel collo. Noi abitualmente, in assenza di metastasi linfonoclali, come si verifica nella maggior parte dei casi, asportiamo, insieme alla ghiandola parotide con attorno un involucro di tessuto normale, i centri linfoghiandolari. paraparotidei extracapsulari ed, ovviamente, intracapsulari. Solo in pochi casi ricorriamo alla linfadenectomia radicale cosi.ddetta « di necessità >> : quando, in presenza di Jinfonodi latero - cervicali e/ o sottoma~cellari. macroscopicamente colpiti, una non eccessiva infiltrazione delle strutture prossiroiori e l'assenza di metastasi a distanza indicano che si può trarre ancora i.n qualche modo un certo giovamento da una terapia chirurgica fortemente demolitiva. L'intervento consiste nello svuotamento delle regioni sottomascellare, latero - cervicale e sopraclaveare omolaterali, con asportazione dei muscoli sternocleidomastoideo ed omoioideo, dell'aponeurosi cervicale media, resezione della giugulare e sezione del nervo spinale accessorio (fig. 9).


6. - Nella tecnica dell'innesto nervoso non abbiamo esperienza diretta. N ell'eventualità di una semplice sezione accidentale del nervo in corso di parotidectomia conservativa, la maggior parte degli AA. consiglia la sutura nervosa diretta dei monconi con punti staccati in catgut sulla guaina di Schwann. Nei casi di asportazione di un tratto più ampio di nervo e nelle parotidectomie totali con sacrificio del facciale, Rankow consiglia u na tecnica di autoinnesto prelevando dal lato opposto un segmento del nervo auricolare maggiore (con le sue branche di divisione) previa incisione trasversa sulla regione sterno - cleido - mastoidea in corrispondenza del suo terzo superiore. Il nervo decorre in prossimità e parallelamente alla vena giugulare esterna ed alle vene auricolari posteriori. Il nervo, trasposto nella regione controlaterale, viene suturato al tronco ed alle branche del facciale con due punti staccati sulle guaine di Schwann; le anastomosi nervose sono rivestite con un foglietto di silicone. 7. - Sutura: dopo emostasi accurata poniamo in situ un tubetto di drenaggio in gomma o para, fatto fuoriuscire preferibilmente attraverso una controapertura, che lasciamo per circa 48 ore. Altrimenti si può usare un drenaggio per aspirazione tipo Redon, che sembra diminuire l'entità di una paralisi temporanea del facciale da compressione, assicura una guarigione per prima intenzione e mette il nervo nelle condizioni ideali per una rivascolarizzazione rapida e precoce. Infine, prima di eseguire la sutura, alcuni AA. consigliano di riempire la loggia parotidea con tessuto grasso prelevato dalla parete addominale (M. R edon), o ribattendovi un lembo muscolare scolpito dallo sternocleidomastoideo (M. Dargent), per evitare un antiestetico affossamento della regione parotidea. CONSIDERAZIONI CRITICHE E CONCLUSIONI.

Questo studio cerca di definire un trattamento idoneo dei tumori della parotide indicando nella tecnica sistematica di preparazione del nervo facciale la possibilità di eseguire interventi di exeresi radicale della ghiandola con rispetto del] 'integrità nervosa. oi poniamo ]'indicazione chirurgica alla parotidectomia totale cosiddetta conservativa, oltre che ovviamente nei tumori maligni senza esteso interessamento alle strutture circostanti e nei quali il facciale non sia stato ancora invaso (o lo sia stato solo parzialmente a carico di. una delle branche periferiche), anche in tutti i tumori benigni situati nel lobo profondo e nella maggior parte di quelli misti o recidivi o in sospetta trasformazione. Una corretta preparazione del nervo si fonda su nozioni embriologiche ed anatomo - chirurgiche, strettamente legate a problemi di tecnica, che richiedono conoscenze anatomiche precise. Per tale motivo inizialmente abbiamo approfondito e codificato taluni aspetti della materia, sia attraverso i


dati della letteratura più recente sull'argomento, sia attraverso un lavoro sistematico di medicina operatoria. Dai primi abbiamo recepito la concezione anatomica dell'unilobarità della ghiandola parotide, soprattutto in base alle più attuali concezioni embriologiche, con tutte le conseguenze che comporta tale concezione unitaria vascolo - linfatica della ghiandola: problemi di tecnica nella preparazione del facciale, concetto di plurifocalità del cancro parotideo e della precoce disseminazione intraghiandolare del tumore, inadeguatezza delle exeresi subtotali per tumore maligno. D alla personale esperienza anatomo - cforurgica e casistico - operatoria abbiamo tratto la convinzione della opportunità della legatura preventiva dell'arteria carotide esterna per una buona emostasi del campo operatorio che agevoli la preparazione del facciale e ci siamo resi conto come sia affatto fre9uente la possibilità, peraltro citata da qualche autore, che l'arteria stilom astoidea nasca dal tronco dell'arteria occipitale invece che dall 'auricolare posteriore. Abbiamo riscontrato invece come sia possibile una classificazione dei rami terminali del facciale, almeno per quanto riguarda le branche principali di divisione ed alcuni rami terminali. Ricche anastomosi plessiformi esistono, inoltre, tra le varie branche periferiche del nervo, eccetto che per il ramo angolo - mandÌbolare, a carico del quale ne abbiamo r iscontrate solo saltuariamente e dj signilicato anatomo - f~nzionale irrilevante. Per quanto riguarda alcuni fondamentali elementi di tecnica, che derivano dalla nostra esperienza chirurgica, ricorderemo come la mobilizzazione della ghiandola si può effettuare agevolmente solo partendo dal suo m argine posteriore. Il tronco del nervo va ricercato nello spazio retroparotideo, nel solco a V formato dalla cresta cartilaginea del condotto uditivo esterno in alto e ,dall'apofisi mastoide in basso. Il limite di profondità di questo spazio è dato dal muscolo digastrico e, a nostro avviso, dal tubercolo dell'apofisi trasversa dell'atlante che costituisce un pun to di repere palpatorio di reale utilità pratica nella ricerca del nervo. Diversamente dall'opiruone di altri AA. siamo dell'avviso che è preferibile legare preventivamente la carotide esterna all'altezza del ventre posteriore del digastrico, in q uanto in tal modo si ottiene l'emostasi dell'arteria stilom astoidea e dei suoi rami il cui sanguinamento ostacola molto l'isolamento del nervo facciale. Non siamo invece del!'avviso di effettuare la legatura della carotide esterna a li vello del triangolo di Farabeuf, per ottenere l'emostasi del.l'arteria occipitale, nella eventualità, peraltro rara, che l'arteria stilomastoidea nasca da questo tronco invece che dal]' arteria auricolare posteriore. Per quanto riguarda la tecnica indiretta di preparazione del facciale partendo da uno dei suoi rami periferici, siamo piuttosto restrittivi nelle indicazioni riservandola ai casi di rei ntervento per recidiva, 9uando nello spazio retroparotideo esistano aderenze cicatriziali o 9uando comunque il tumore abbia uno sviluppo tale che sovrasti e renda inaccessibile lo spazio retroparotideo.


Il ramo da noi preferito nella eventuale preparazione per via retrograda

è quello cervicale: offre precisi punti di repere anatomico ed è inoltre un ramo deputato alla innervazione di un muscolo funzionalmente di minore im portanza quale è il pellicciaio. In via subordinata consideriamo il ramo buccale per i suoi costanti rapporti con il dotto di Stensen. on siamo favorevoli alla utilizzazione del ramo angolo - mandibolare, e per i suoi non precisi rapporti anatomici nella estensione laterale della testa sul collo, e in quanto è l'unico ramo fra le branche del facciale che non presenta anastomosi con altri rami, ed è destinato all'innervazione del muscolo triangolare delle labbra, per cui la sua sezione comporta una paralisi irreversibile dell'emilabbro corrispondente. Inoltre la sua biforcazione può essere precoce ed i due rami che ne derivano di dimensioni molto ridotte ed a volte schiacciate dall'aponeurosi masseteri na contro il muscolo massetere. La nostra condotta chirurgica, infine, nei confronti della linfadenectomia per cancro consiste, nella maggior parte dei casi, nell'asportazione delle stazioni linfatiche paraparotidee extracapsulari, oltre ovviamente a quelle intracapsulari. E' raro infatti, nella patologia tumorale parotidea, che lesioni carcinomatose moderatamente maligne, che più si giovano della terapia chirurgica, diano metastasi ai linfonodi cervicali, mentre le forme più anaplastiche danno contemporaneamente, e spesso più precocemente, metastasi a distanza e linfonodali laterocervicali. Considerato poi che le forme sarcomatose danno affatto metastasi linfonodali, scarso vantaggio offre, ad avviso nostro e di altri AA. già citati, la dissezione radicale del collo « di principio )> in tutti i casi di tumore maligno (come sostiene, invece, J. Conley, 1970); non sono da sottovalutare, inoltre, gli inconvenienti di carattere funzionale ed estetico che tale intervento comporta. E' pur vero che ci si può giovare di una linfadenectomia radicale « di necessità» in quei pochi casi in cui ad una macroscopica lesione di alcune linfoghia ndole cervicali e/ o sottomascellari corrisponda tm quadro clinico ed an atornopatologico di limitata infìl trazione delle strutture -circostanti ed il grado <li mal ignità del tumore, all'esame istologico estemporaneo, vada da basso a moderato.

R1AsSUNTo. - La parotidectomia totale con preparazione del facciale è considerata l'interve nto di scelta in tutti i twnori maligni senza esteso interessamento alle strutture circostanti e nei quali il nervo facciale non sia stato ancora invaso, o lo sia stato solo parzialmente a carico di una delle branche periferiche, ed inoltre in tutti i tumori benigni situati nel lobo profondo e 11ella maggior parte cli quelli misti o recidivi o in sospetta trasformazione. I problemi cli anatomia chirurgica più rilevanti e di attuale importanza sono approfonditi e codificati attraverso i dati della letteratura e attraverso la personale esperienza di medicina settoria e casistico - operatoria. La ghiandola parotide, soprattutto in base alle più attuali concezioni embriologiche, viene considerata come un organo unico ed omogeneo. Vengono considerate le conseguenze che comporta tale concezione unitaria


72 vascolo - linfatica della ghiandola: concetto di plurifocalità del cancro parotideo e della precoce disseminazione intraghiandolare del t umore, inadeguatezza delle cxeresi subtotali per tumore maligno e problemi di tecnica nella preparazione del facciale. G 1i AA. abitualmente nella preparazio ne del nervo ricorrono alla tecnica diretta: ricercano il tronco del nervo nello spazio retroparotideo, tra cresta cartilaginea del condotto uditivo esterno superiorme nte ed apofisi mastoide in basso. L 'aneria carotide esterna è legata preventivamenre a Jivello del margine superiore del venrre posteriore del d igastrico. La tecnica indire tta viene eseguita solo eccezionalmente : abitualmente gli AA. preparano il nervo partendo dalla branca cervicale, in linea subordinata dalla buccale. La linfade nectomia per cancro consiste abitualmente nell'asportazione dei linfonodi regionali paraparotidei; più raramente viene eseguita la linfadenectomia radicale « di necessità ».

RÉsuMÉ. - La parotideccomie totale avec preparation du facial est considérée comme l'intervention a choisir dans roures les tumeurs malignes sans intéret aux srructures environnant, et dans Ics quelles le nerf facial n'a pas e ncore eté envahi, ou l'a eté seulemenr cn partie d'une <les branches péripfériques; cn outrc, dans toutcs le~ rumeurs benignes situées dand le lobe profonde et dans la plupart des tumeurs mixtes ou recidevants ou en transformarion soupsonnéc. Les problèmes !es plus importants cr actu elles d'anatomic chirurgicale sonc approfondis et codifiés par les données de la littératurc et par l'experience pcrsonclle opératoire. La glande parotide, sunou t suivant les conccptions embryologiqucs les plus actuclles, est considérée comme un organe unique et homogène. Les consequcnees apportées par une telle conception unitairc vasculo - lynphatiquc sont ici considérées; conception de la plurifocalité du cancer parotidique et disséminacion incraglandulairc dc la tumeur, disproporrion des !es cxerès sub - totales à cause d'une tumeur maligne, et problèmes de rechniques dans la prepararion du facial. Habituelleme nt les Au teurs recourrent à la technique directe pour la preparation du nerf; ils recherchenr le tronc du nerf dans l'espacc retro - parotidique, entre la crete cartilagineuse du conduit auditìf extéricur supcriorremem, et l'apophysc masto'idale en bas. L'artère carotide est liée en avance au niveau d u marhc supéricur du veocre postérieur du digastrique. La technique indirecte est pratiquée exceptionelment: normaleme nt les Auceurs preparent le nerf e n partant dc la branche cervicale, en ligne subordinée e n partant de la buccale. La lynphadencctomic par cancer consiste habituellcment dans l'extirpation dcs Ics lynpho.ides regionels para parotidiques: plus rarement la lymphadencctomie radicale « dc nécessité » vien pratiquée.

Su MMARY. The total parotidectomy with praparation of the facial nerve is b ere considered, as thc choicc intcrvention in ali malignane rumours, withou t wide inrercsL to the remainding structures, and where facial nerve hasn't stili been involved, or it has becn only parcially, because of one of rhe periphcrical braocbes; and also in a.li benign tumours situated in the deep lobe and in most of mixcd or rccidivind rurnours, or in suspect trabsformation. The most considerablc and of actual importance problcms of gurgical anatomy are bere considered through che « data » of the literature and the persona! surgery experience. The parotid gland, especially following the embryological most actual conceptions,


73 is considered as unique and homogenous organ. Thc consequences of this unitarian and vasculo - lymphatic concepcion are here considercd; and also che concept of plurifocality of parocid canccr and precocious inrraglandular dissemination of tumour, inadequancy of the sub- total exeresis caused by a malignane tumour, and technical problems in che facial's ncrve preparacion. T he authors recur usually to che direct technique in th nerve preparadon; they loock for che trunk of che nerve in thc rcrroparotid space, bctwcen che carùlagincous ridgc of che cxternal auditive conduce in the top, and che mastoid aPophysis in the bottom. The excernal carotid artcry is ticd before at che leve! of the superior margin of che poscerior gastrics. The indircct technique is pcrformed only excepcionally; usually the auchors prepare che nerve departing from the cervical branche; in subordinate lioe from the buccal. Thc lylphoadenoccomy caused by cancer is usually the rcmoval of che regional paraparotidis; more rarely the radical lymphoadenoctomy is performed by necessity.

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Nota. - Alcune delle fotografie intraoperarorie sono state gentilmente concesse dal Dott. P. Caracciolo, M.D. - F.A.C.S., Head and Neck Tumour Surgery - N ew York.


ISTITUT O NAZIONALE DELLA NUTRJZIONE Direttore : ProL G. FABRUNI CENTRO STUDI E R ICERCHE DELLA SANIT,\ MlLITARE Direttore: Gen. Mcd. C. MusILU

STUDIO SULL'AZIONE TOSSICA DELLE DIMETIL -NITROSO - AMINE: DETERMINAZIONE DELLA DLso NEL RATTO ALBINO G. Maffei

A. Violante

P. Bazzicalupo

V. Del Gobbo A. Sofia

INTRODUZIONE.

Il diffuso consumo di cibi inscatolati che richiedono l'uso di additivi e conservanti, alcuni innocui, altri nocivi , come i nitriti e i coloranti di anilina, p0ne in maniera sempre più urgente il problema del controllo degli effetti di tali sostanze a livello bromatologico, su un piano di notevole rilievo socio economtco. L'azione tossica dei nitriti è allo studio da diversi anni; essi sono usati come conservanti antisettici, ma principa]mente come fissatori del colore delle carni, il che è permesso dalla legge (Decreto Ministeriale 31 marzo r965 ; il composto usato è il sodio nitrito, indicato con la sigla E 250) fino a 150 mg/ kg. Nell'organismo, tuttavia, l'ingestione di nitriti non avviene solo sotto forma di additivi per cibi conservati, in quanto anche cibi freschi, soprattutto vegetali, possono contenerli in seguito a formazione spontanea ad opera di batteri ni trificanti. La tossicità acuta dei nitriti è elevata : la DL50 per via orale, secondo Reimann (1950), è di 220 mg/ kg nel ratto maschio, nel ratto femmina invece di 85 mg/ kg. Sono stati segnalati numerosi casi di intossicazione umana accidentale dovuti all'ingestione di alimenti contenenti nitriti. Si calcola che 0,18 - 2,5 grammi possono essere letali per l'uomo, con maggiore sensibilità da parte dei vecchi e dei bambini. Il nitrito ,di sodio è stato utilizzato anche a scopo terapeutico come vasodilatatore, in dosi di 30 - 120 mg. Partendo da tali esperienze Druckrey (r9fo) ha effettuato studi di lunga durata su ratti allo scopo di accertare se anche in vivo potessero avvenire reazioni tra l'acido nitroso ed amine secon darie,


reazioni queste che in vitro producono dialchilnitrosamioe, compasti fortemente tossici e capaci anche di svolgere azione oncogena, provocando infatti il cancro nel fegato dei ratti. Quanto ora esposto ha costituito la premessa della nostra indagine, che, partendo dalle conclusioni citate, ha avuto come principale obiettivo il chiarimento del meccanismo di azione tossica di alcuni derivati nitrosi, come le nitrosamine. A tale proposito è oppartuno precisare che, nei numerosi lavori consultati, non risultavano ben chiari alcuni punti di fondamentale impartanza per stabilire un corretto iter sperimentale, per uno studio farmacologico e tossicologico di dette sostanze nell'animale. In particolare pertanto abbiamo avvertito la necessità di stabilire i seguenti punti: a) definizione metodologica: 1) scelta e standardizzazione della via di somministrazione della sostanza; 2) determinazione della DL50 ; b) studio tossicologico: 1) rilevamento e studio istologico degli organi interessati all'azione tossica acuta della DMNA; 2) studio particolareggiato di vari indici biochimici ed ematologici in relazione all'azione tossica acuta e subacuta della DMNA. Per poter meglio de.finire il nostro studio e le sue finalità, riteniamo opportuno fare una sintesi di tutto quanto è noto sulle nitrosarnine, sia dal punto di vista biochimico che della loro azione biologica, anche perché, a quanto ci risulta, tale m,essa a punto manca in letteratura. Proprietà chimiche.

Le nitrosamine sono sostanze che derivano dalla reazione delle amine secondarie, sia aromatiche che alifatiche (all'atomo dell'azoto sono legati due gruppi alchilici o arilici), con l'acido nitroso: (CH 3) 2 HN + NaNO2 +HCL _ ___, (CH3) 2 N-N = O + NaCl + H 2 O dimetilamina N - nitrosodimetilamina La reazione dell'HNO2 con le amine avviene nel seguente modo: l'attacco elettrofilo dello ione o + con spostamento di un +H. Questo attacco nelle arnine secondarie avviene sull'atomo di azoto, perché in esso è presente la massima disponibilità di elettroni. Le nitrosamine sono composti gialli, neutri, molto volatili; sono insolubili nelle soluzioni acquose di acidi. Riscaldate con cristalli di fenolo e gocce di H 2SO4 concentrato danno una soluzione che vira al bleu in ambiente alcalino (Morrison - Boyde, 1965).


77 Metabolismo.

E' da tempo noto che le nitrosamine, come altri N - nitroso derivati, tanto aromatici che alifatici, hanno proprietà tossiche, mutagene, carcinogenetiche. In effetti i responsabili dell'azione tossica non sono le sostanze come tali , ma i diazoalcan.i da esse derivati in seguito a complessi fenomeni metabolici nei tessuti. A tali risultati sono giunti Dutton e H eath ( 1956) studiando i prodotti metabolici della DMNA nel ratto e nel topo usando il composto marcato con C 14 • Dalle loro ricerche risulta che la dimetilnitrosamina è demetilata presumibilmente via formaldeide, e questo processo avviene per la quasi totalità nelle prime 8 ore dalla somministrazione. La rapidità con la quale la DM A è metabolizzata indica con sufficiente attendibilità che la lesione biochimica è prodotta da un metabolita e non dalla DMN A come tale. I primi segni istologici di danno epatico, infatti, si osservano solamente ad uno stadio aJ quale la DMNA è praticamente degradata in modo completo. Secondo Druckerey, Preussmann e Ivankovic (1969) il com posto attivo, come altri N - nitroso derivati, sarebbe principalmente il diazometano. Il processo primario coinvolto nell'attivazione del cancerogeno consisterebbe in una ossidazione enzimatica, N ADP dipendente, che si verificherebbe a livello dei microsom i, specialmente nelle cell ule epatiche. Preussmann, Druckerey, I vankovic e Van Hodenberg (1969). Il prodotto ossidato verrebbe, quindi, deacilato spontaneamente a monoalchilnitrosamina, ch e spontaneamente si trasforma in diazometano. Il diazometano (CH3 - - N + = - - CH2 = N + = NZ) è un gas giallo, esplosivo, facilmente volatile con vapori di etere, assai velenoso e responsabile dell'azione tossica (Merk Index, 1960). Infatti il diazometano, come del resto tutti i diazoalcani, si comporta come agente alchilante e i l suo effetto è messo in rapporto con l'azione che esso esercita sui gruppi sulfidrilici, proteine, acidi nucleici e forse anche fosfolipidi (Krieck - Emmelot, 1964). - demetilasi (CH 3}i - N - N = O + O - -- - -- CH3 HN - N = O + H CHO dimetilnitrosam ina monometilnitrosamin a e formaldeide spontaneamen te CH3HN = O - - - - - -monometilnitrosamina

CHa+ 2 diazometano

Una serie di brillanti esperimenti di MacLean e MacLean (1969) ha dimostrato che è necessario il metabolismo attivo del tessuto ospite perché avvengano le suddette trasformazioni. Questi autori hanno osservato che ratti


nutriti con una dieta povera di proteine sono più resistenti all'azione <lella DM A. Se la DMNA è somministrata con una sola iniezione di 60 mg/ kg di p.c., i ratti muoiono quasi tutti in pochi giorni per una grave necrosi del fegato. In animali Poveri di proteine alimentari la gravità delle lesioni è molto ridotta e la maggior parte degli animali sopravvive. In questi, a <liffercnza dei controlli, il metabolismo di DM A è molto ridotto nel fegato, sicché il composto non esercita la sua azione tossica essenzialmente sul fegato ma passa in circolo e a livello del rene incontra un altro parenchima in grado di operare quelle trasformazioni che sono neces.sarie per la sua azione. Quasi tutti i ratti superstiti, infatti, muoiono con tumori renali nei successivi 12 mes1.

Azione oncogena. L 'azione oncogena delle nitrosamine è allo studio da parecchi anni. La prima sostanza tra gli N - nitroso derivati descritta come cancerogena da Magge e Barnes (1956) fu proprio la DM A che provoca la comparsa di tumori nel ratto. Druckerey, Preussmann, Ivankovic e Schmahl (1967) descrissero le proprietà di circa 70 N - nitroso derivati dalla formula generale O= N -N

t

mettendone in luce il notevole potere cancerogeno.

Questi composti -sono cancerogeni indiretti; essi, infatti, non agiscono nel luogo dell'iniezione o per somministrazione topica, ma richiedono, come si è visto, un'attivazione enzimatica per dare i com posti attivi; sicché le lesioni cancerogene si manifestano per lo più a livello di quei tessuti che sono in grado di operare questa trasformazione. Per la DMNA questo tessuto è principalmente il parenchima epatico ed in misura minore quello renale; tutt'al più, a seconda della via e della modalità di somministrazione, oltre al fegato, posrnno, in alcuni casi, venire interessati anche altri organi, come, ad esempio, il polmone, l'esofago e lo stomaco (Clapp, T yndall e Otten,

1971). Azione tossica acuta. Nella letteratura alla grande molteplicità e varietà di notizie che riguardano l'azione oncogena delle nitrosamine o di comPosti simili, fa riscontro l'esiguità di notizie sulla loro azione tossica acuta. Infatti, le ricerche finora compiute sull'azione tossica acuta .delle nitrosa.mine sono state condotte essenzialmente a livello cellulare e, in generale, usando sistemi in vitro. Esse hanno messo in evidenza, sotto il profilo morfologico, studiato anche al microscopio elettronico, vacuolizzazione del reticolo endoplasmico con formazione di cisterne rilassate, sacchi e vescicole, distacco dalle membrane dei ribosomi, accumulo di lipidi accompagnato da deplezione di g1icogeno, il che fa pensare che la DMNA possa anche inter-


79 ferire nel metabolismo dei carboidrati delle cellule epatiche, favorendo la conversione ,d el glicogeno in grassi (Emmelot - Benedetti, 1960). A livello biochimico, è stata descritta nelle cellule epatiche inibizione dell'incorporazione di aminoacidi nelle proteine, con degradazione dei poliribosomi. L'effetto sulla sintesi proteica viene attribuito all'azione alchilante del diazometano (le stesse lesioni si osservano usando direttamente questa sostanza) sull'RNA traosfer o sul messaggero (Mizrani - Emmelot, r964).

Scopo del lavoro. I lavori riportati hanno utilizzato tecniche di sommi mstrazione e dosi che variavano moltissimo tra loro, sicché si rende difficile un confronto tra i risultati ottenuti. Infatti, in alcuni di essi la DMNA è stata somministrata, in piccole dosi, per lungo tempa, mediante intubazione gastrica (Tomatis e Cefis, 1967); in altri, in dosi più elevate e sempre per lungo tempo, nell'acqua da bere (Palestro e Codegone, 1968; Clapp, Tyndall e Otten, 1971); in altri ancora, in dosi massicce, mediante una sola iniezione o endovena o intraperitoneale (MacLean e MacLean, 1969). Questa diversità nelle modalità di somministrazione ba portato a risultati non sempre strettamente concordanti. Così Druckrey, Preussmann, lvankovic e Schmahl ( 1967) hanno dimostrato che la N - butiJnitrosamina, somministrata per bocca, produceva tumori epatici, per via sottocutanea invece, tumori vescicali. Pertanto, la prima fase della nostra ricerca ha avuto lo scopo di scegliere e standardizzare la via di somministrazione e le dosi che meglio consentono di studiare l'effetto tossico acuto delle sostanze. A questo propasito ci è sembrato che la via intraperitoneale fos~e la migliore per diversi ordini di motivi: a) una maggiore precisione nella somministrazione de11a dose rispetto a quella per bocca (per questa via, infatti, anche somministrando la DMNA mediante intubazione, una parte può andare perduta a causa dell'evaporazione; l'assunzione volontaria poi non assicura per nulla sulla dose ingerita); b) più sicurezza nel maneggiare la sostanza, data la sua elevata tossicità e volatilità; e) più facilità e più speditezza di somministrazione rispetto a quella endovena. E' noto che la somministrazione di una dose sufficientemente elevata provoca negli animali trattati un grave danno epatico e la morte nel giro di pochi giorni, ma nella letteratura è assente uno studio dettagliato del.l'effetto tossico acuto sull'animale intero. A tale scopo si è resa necessaria una esatta determinazione della DL,0 della DMNA nel ratto. Il presente lavoro comprende pertanto: 1) verifica della metodica dello studio tossicologico della DM A; 2) determinaz!one nei ratti adulti della DL50 di DMNA somm inistrata per via intraperitoneale in una volta.


80 MATERIALE E METODO.

I ratti albini utilizzati per un totale di 250 animali erano di sesso maschile, dell'età media di 24 - 32 settimane, del peso di circa 400 g, derivati da un ceppo Wistar, ed allevati come ceppo puro per oltre 30 generazioni. Essi furono tenuti in gabbie di acciaio in gruppi ,di 5 per gabbia; alimentati con mangime in pellets della Ditta Zoofarm (Padova) e ver<lura con acqua ad libitum. La composizione dei pellets è la seguente: Componenti

Quantità in %

Farina d'orzo integrale . Frumento Granoturco . Erba medica Carne Pesce . Siero di latte Lievito di birra Olio di fegato di merluzzo Poi vere d'ossa . Sodio cloruro . Panello d'arachide Melassa Vitamine: Miscela abituale.

8 circa 35 23 4

))

7

))

2 5 2 o,8 0,4 0,4 5 5

)) ))

)) ))

)) )) ))

)) )) ))

La DMNA della Ditta Schuchardt (Monaco) è stata somministrata per iniezione intraperitoneale in soluzione fisiologi,ca sterile. Le soluzioni necessarie venivano preparate g10rnalmente ad una concentrazione che permetteva di somministrare la dose ad un ratto in un'unica iniezione di r cc. La preparazione sia delle diluizioni che della dose da iniettare, era eseguita usando alcune precauzioni per la elevata volatilità e tossicità della sostanza: tutte le operazioni venivano eseguite sotto cappa e con guanti in modo da evitare, il più possibile, contatti con la DMNA. RISULTATI.

Determinazione della dose che in un'unica somministrazione per via intraperùoneale provoca entro le 48 ore la morte del 50% degli animali

( DLso)Nel nostro lavoro abbiamo cercato la DL50, quella dose cioè, che, somministrata in un'unica iniezione intraperitoneale, determina la morte del 50% degli animali trattati nel giro di 48 ore.


8r In un primo esperimento orientativo abbiamo cercato, somministrando rispettivamente a 3 gruppi di ratti 10, 50, 100 mg/kg di p.c., di individuare grossolanamente la posizione della DL50• Essa, come dimostrano i risultati riportati nella tabella I, è compresa tra 10 e 50 mg/k g di p.c .. In un successivo esperimento, abbiamo somministrato, ad altri gruppi di ratti, dosi superiori a IO mg / k g di p.c. e inferiori a 50 mg/ k g di p.c. , finché non siamo riusciti ad avvicinarci il più passibile alla determinazione della DLso· TABELLA

Gruppo

N. ratti

Peso medio

mg/ kg di DMNA

Ratù morti entro le 48 h

I

IO

390

IO

II

IO

50

ro

III

IO

45° 400

TOO

IO

I

Ratti morti tra il 3° e il

150

giorno

Nella tabella lI sono riportati i risultati ottenuti, dai quali si evidenzia che la LD50 acuta, sommini strata per via intraperitoneale, per i ratti del nostro ceppa, è <li 29 mg/k g di p.c.. TABELLA

Gruppo

N. ratti

Peso medio

IV

IO

V

IO

VJ

IO

VII

IO

440 500 400 510

V ITI

IO

rx

IO

X

IO

XI

IO

490 420 45° 400

mg/ kg di DMNA

Ratti morù entro le 48 h

II

Ratti morti e il 15° giorno

tra il

t

22 22

2

29

5 6

29 29

4

29

4

36

IO

36

9

I

I

Allo scopo di calcolare p iù dettagliatamente la DL50 della DMNA è stata al.lestita un'altra esperienza su 140 ratti, sottoposti a trattamento con dosi crescenti in progressione aritmetica (v. tabella lll).


82 TABELLA

D ETERMINAZIONE DELLA DL50 NEI RATTI T RA1TATI PARE NTERALMENTE CON DMNA CON I NTERVALLO DI DOSE

N. animali

Dose

20

15 20 25 30 35 40 45

20 20 20 20 20 20

Decessi 48 h

% decessi

Peso medio in g

Log.

o

450 435 440 46o 455 440 445

1,1761 1,3010 1,3979 r,477 1 1,5441 r,6o2r r,6532

5 25 55 80 95 100

l

5 II

r6 19 20

15- 45 mg/ kg dose

Curva di azione % mortalita' 100

90

'IO

70

60

50

40

30

?.o

10

15

20

30

25

F ig.

I.

35

40

mg/kg

Probit

3,36 4,33 5, 13 5,84

+

Il[


I dati, raccolti, sono stati quindi elaborati secondo un metodo statistico. E' stata tracciata la curva ,d i azione (fig. 1) che ha mostrato un tipo di curva sigmoide che mal si prestava ad essere interpolata con una funzione lineare; è stato pertanto costruito un altro grafico (fig. 2 ), in cui, su un sistema di assi cartesiani, in ascissa figurano i logaritmi delle dosi e in ordinata le varie percentuali di mor talità nei corrispondenti probit. Probit.

6

dose letale 50 % _ 28,6 mg/kg

4

-cx,/

31---- -~ - - - -~---'------ -1.1 1.2 ----'-- 1.3 1.4 t5 1.6 ------,-Log dose Fig. 2.

Il diagramma così ottenuto, rappresentato da una retta, ha con sentito di determinare il valore della dose letale al 50%, che è risultato uguale a 28,6 mg / kg. L 'interpolazione grafica è stata, poi, controllata con il metodo di Spearman - Kaerber, avendo tenuto presente, però, che nel caso in esame, come si può rilevare dalla tabella sopra riportata, il rappor to tra le dosi successive non è costante, per cui si è fatto ricorso alla seguente formula : lgDL 50 = dove:

Pi = percentuale di mortalità; x1 = logaritmi delle dosi.

2


Applicando tale formula si ha:

100-95 100

lgDL50 =

1,6o21 + 1,5441 2

+

80-55

+

1,4771 + 1,3979

IOO

2

2

1 6, 2 765

95-80 100

I ,544 1

+ 1,4771

IOO

55- 2 5

r,3979 + 1,3°10

+

+

5-0 100

2

+

+

100

1,3010 + 1,1761 2

=

+ 47,1 930 + 75,53 + 86,2 5 + 53,978 + 12,3855 200

D a cui, risalendo al numero, si ha:

valore molto prossimo a quello ottenuto graficamente. DrscUSSIONE E CONCLUSIONE.

Come si è visto in letteratura, pure essendo presente qualche accenno riguardante reffetto tossico acuto della DMNA sull'animale intero, manca uno studio approfondito e completo di questo argomento. I nostri esperimenti hanno lo scopo di chiarire alcune questioni di carattere prelimin are e metterci in grado di programmare successive ricerche in questo campo. Gli esperimenti per la determinazione della DL50 hanno mostrato che la via di somministrazione intraperitoneale, eseguita senza anestesia eterea, è preferibile sia per i motivi tecnici già esposti, sia per l'omogeneità dei risultati ottenuti nei 4 gruppi cui è stata somministrata la DL50 (29 mg/ kg) come può rilevarsi dalla tabella II. Inoltre con la dose di 29 mg/ kg di p.c. iniettata per via intraperitoneale, quasi tutti i ratti, che non muoiono entrc le prime 48 ore, super.ano gli effetti tossici acuti della sostanza, il che conferma che la dose e la via d i somministrazione usate sono le più indicate.


85 In un successivo esperimento, condotto su 140 ratti, i dati raccolti, valutati con un rigoroso metodo statistico, hanno fissato il valore della DL50 in mg 28,7/kg di peso. RIASSUNTO. - Gli AA., dopo una estesa rassegna della letteratura sulla farmacologia e tossicologia delle nitrosoamine, ritengono necessaria una verifica della metodologia di base nello studio di tali sostanze. Espongono quindi i risultati del primo di tali controlli, la determinazione della DLso della DM A iniettata per via intraperitoneale nel ratto albino.

RÉsuMi. - Les AA. exposent les données d'une recherche sur rats Wistar pour la determination de la DLso dc la DMNA injeccée par la vie iatrapcritoneclle.

SuMMARY. - The AA. refer the results of a research carried out on Wisrar racs for dctermining the LD50 of DMNA injécted intraperironeally.

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ISTITUTI OSPEDALIERI DI VERONA DIVIS IONE DI PNEUMOLOGICA Prim:irio: Prof. F. ZANOTELLT OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI VERONA « MED. D'ORO - S.. TEN. MED. G. A. DALLA BONA'"

Direttore: Col. Mccl. Prof. A. M.snoRtLtr

L'URGENZA MEDICA IN PNEUMOLOGIA * Pr-of. F ederico Zanotclli

Egregi Colleghi, durante la recen te epidemia di. virosi respiratoria, un uomo ancora giovane, sofferente da anni di insufficienza respiratoria per bronchite cronica ed enfisema, viene colpito dalla malattia influenzale. Nel corso di poche ore il suo stato diventa grave e la insufficienza respiratoria conclamata. Viene soccorso e fra le altre cure gli si somministra generosamente ossigeno. Le sue condizioni però, continuano a peggiorare e quando si decide il ricovero in ospedale è orm ai tardi: il paziente vi giunge moribondo e poco dopo decede, in preda a cianosi nera e stato shock. Perché? Perché i soccorritori credendo ,di far bene e volendo far presto hanno continuato, purtroppo, a somministrargli ossigeno. Questo esempio evoca una delle moltissime situazioni di urgenza che si possono osservare in pneumologia. Alcune sono « urgenze assolute » cioè quelle in cui la gravità dei sintomi richiede necessariam ente l'immediato interven to pena la morte. Le più importanti e le più frequenti di esse sono state riassunte nella tabella riportata a pagina seguente. Altre sono invece « urgenze relative l> quelle cioè in cui l'intervento medico urgente è richiesto non tanto dalla gravità della malattia quanto dalla pericolosa evoluzione che la stessa può assumere se non trattata in tempo e convenientemente. E' ovvio che 1' urgenza relativa può diventare urgenza assoluta. Eccone un esempio: si tratta di un paziente che viene ricoverato nella nostra Divisione Pneumologica in gravissime condizioni respiratorie. La radiografia del torace è molto eloquente. Questo malato era degente al suo domicilio da circa un mese per una forma di broncopolmonite insorta primitivamente a destra. Nonostante un • Conferenza tenuta il giorno 27 marzo 1973 all'Ospedale Militare Principale di Verona per il ciclo di aggiorna mento 1972 · 1973.


88 « URGENZE

ASSOLUTE >> I

P EUMOLOGIA

EMOFTOE (DA DISTINGUERSI DAU1.MOTTISIJ EMBOLlA DEI (;ROSSI VASI POLMONARI ED INFARTO POLMONARE / l'NEUMOTORACE SPONTANEO -

Al IPERTENSIVO (O A VALVOLA) B) BILATERALE

~ C l CONTROLATERALL AD ALTRA AFFEZIONF POLMONARE

EMOTORACE SPONTANEO ED EMOPNEUMOTORACE

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"--.. _

/

A

O,TRUTTIVA IAS~IA BRONCHIALE, BRONC!IITE CRONICA f.TC.)

A) DA CAUSE TORA<..0 -POLMONARI:

----------- biFFUSOR lA:

DA CORTO-C.IRCUlfl DS.SN, DA VARIAZlUNl lJELLE CARATTERISTIO-!E rISl<..llE DF.1.1.A MEMBRANA 1'01..M ETC.

--• CARDIOGENA (EDEMA POLM. ACUTO, STENOSI MITMLICA ETC l JNSUrFICIENZA RESPlRATORIA CONCLAMATA NEI SUOI VARI TIPI

------ 1

Bl DA CAUSE VASCllLO-EMATICHE: - - - - - - - - - - - ll ATICA (ANEMIA ACUTA, AVVELE:•IAMF.NTO DA CO ETC.I

C) DA CAUSE TESSUTALI · OSTACOLATO SCAMBIO GASSOSO F./.IATO-TESSUTALE. ALTERAZIONI DEI SISTEMI OSSIDO-RIDUTTIVI CELLULARI

D) DA CAUSE CENTRALI TRAUMI CRAN!Cl, INTOSSICAZIONI ETC I

intenso trattamento con penicillina e cefalosporine le sue condizioni erano andate progressivamente aggravandosi fino allo stato attuale. La spiegazione c'è e ce l'hanno data l'esame batteriologico ,dell'espettorato e l'antibioticogramma che hanno dimostrato trattarsi di. una sepsi stafilococcica, la famosa stan.lococcia pol monare con i suoi pncumotoceli. Erano cioè in causa gli stafilococchi coagulati positivi produttori di penicillinasi cd era quindi indicata l'associazione ampicillina didoxacillina appunto per debellare i gram - positivi produttori dell'enzima inattivante. Da questo tipo di trattamento il paziente ha tratto immedi atamente vantaggio ed ora le sue condizioni sono in netta ripresa. Ecco un primo concetto importante sul quale vorrei insistere : la necessità dell'esame batteriologico e dell'antibiotico - gramma ai fini di un trattamento guidato e, pertanto efficace.


Per evidenti limiti di tempo parleremo solo delle urgenze assolute passando in rassegna rapidissimamente gli aspetti meno noti e di più recente acquisizione di ciascuna di esse. E cominciamo dalle emorragie respiratorie, specificando prima di tutto cosa si intende rispettivamente per emottisi e per emoftoe. I due termini vengono spesso confusi. Essi trovano la loro netta qualificazione dalla derivazione etimologica. Emottisi (da 'l'.t fJ.o: = sangue e 1r,'.lcrt~ = sputo) esprime semplicemente la presenza di sangue nell'espettorato, emoftoe (da C'l.t fi-a = sangue e ip,o.: = consunzione, distruzione) es-prime una emorragia conclamata (molto spesso in relazione alla malattia tubercolare) e talora cosl violenta da essere causa di morte rapidissima. In sostanza i due termini, pur essendo sinonimi indicano entità cliniche quantitativamente diverse. Tralasciando gli elementi più noti e tuttora validi dobbiamo rilevare: 1) che l'emoftoe conclamante è divenuta oggi di osservazione piuttosto rara e ciò in relazione con il progressivo ~mantellamento della malattia tubercolare specie nelle sue espressioni più gravi; 2) che si son fatte, invece di più frequente le emottisi e ciò in relazione con l'aumento considerevole delle neoplasie broncopolmonari e delle broncopneumopatie croniche ostruttive; 3) che la diagnosi di emottisi di varici linguali va presa con beneficio di inventario fino a che non si sono escluse con assoluta sicurezza altre cause morbigene emoftoizzanti; 4) che l'emoftoe va spesso differenziata dalla pseudo - emoftoe: talvolta, ad esempio, le varici dell'esofago o delle prime vie digerenti danno luogo a manifestazioni emorragiche facilmente confondibili con la vera emoftoe; così è per le epistassi con discesa di sangue nelle prime vie aeree e successiva espulsione con la tosse; 5) che l'emoftoe non sempre è legata a rottura di vasi dell'arteria polmonare (ricordo i conosciutissimi aneurismi di Rassmussen) ma, più spesso, a rottura di vasi del circolo sistemico (vasi bronchiali): le prime sono controllabili più facilmente delle seconde che, data la loro particolare entità e gravità, tal volta richiedono l 'atto chirurgico di exeresi. Si tenga tuttavia presente che questo tipo di intervento così come la legatura dei vasi intraparenchimali sanguinanti o il pneumotorace emostatico sono possibili solo se si è individuata esattamente la sede dell'emorragia: questa_è, a mio parere, la più grave limitazione della chirurgia urgente nelle emorragie polmonari. Poche parole sulle affezioni trombo - emboliche del polmone. Esse trovano il loro paradigma nell'infarto, conseguenza abituale ma non obbligatoria sia dell'embolia che della trombosi polmonare. Delle due cause, l'embolia è di gran lunga più frequente. Mentre molti infarti palmonari passano inosservati, qualcuno, invece può essere rapidamente mortale: ciò dipende dalla grandezza dell'embolo, dal punto del suo arresto e, in definitiva, ,dal6. - YI".


l'estensione della zona parenchimale bruscamente privata della sua circolazione ematica. Spesso la morte è determinata dall'insorgenza del cuore polmonare acuto. E ' impartante sottolineare, agli effetti di una diagnosi immediata, il valore della scintigrafia palmonare: è una metodica semplice e priva di rischi certo più agevole dell'arteriografia palmonare. La sintomatologia dell'infarto polmonare si presta all'errore diagnostico. Se il quadro è ,drammatico, l'affezione può simtùare ad esempio l'infarto di cuore. Altre volte, specie nel decorso di interventi chirurgici sull'addome, sugli arti inferiori, nel post- partum, ecc., compaiono persistenti episodi febbrili che non ci si riesce a spiegare : sono piccoli infarti polmonari provocati da emboli settici che creano colonizzazioni infettive parenchimali raramente affioranti né alla semeiotica né alla radiologia. Passiamo al pneumotorace spontaneo: è una malattia in aumento. Al pari dell'emottisi e dell 'emoftoe, esso è stato considerato per anni come manifestazione patologica, legata in modo pressoché esclusivo alla tisi pclmonare. Bisogna giungere fino al 1933 perché Kjaergaad introduca il concetto di pneumotorace spontaneo semplice quello cioè che si verifica improvvisamente in soggetti apparentemente sani . Come curiosità storica e data la sede in cui parlo, ricordo che essendo stato osservato per le prime volte in giovani militari appena entrati in servizio, esso è noto come pneumotorace spontaneo dei coscritti. Ecco, allora, delinearsi due tipi di pnx spontanei: il pnx. spontaneo semplice, ed il pnx. spontaneo sintomatico. Il pneumotorace spon taneo semplice ha nell'enfisema e nelle cisti aeree la sua causa patogenetica più frequente. Biancalana indica come altra causa impartante di esso la cosiddetta << debolezza congenita delle superfici pleuroparenchimali » : effettivamente il pneumotorace spantaneo si osserva spesso in soggetti gracili con vistose alterazion i rachitiche del torace, ecc. II pneumotorace sintomatico può verilicarsi nel corso di qualsiasi broncopneumopatia sia acuta che cronica e qu indi tubercolosi, ascessi palmonari, tumori, stafilococcie, ecc. Il pneumotorace spontaneo tubercolare è oggi divenuto di osservazione rara in seguito alla progressiva diminuzione della malattia tubercolare. Il decorso del pnx. spontaneo può essere drammatico e richiedere l'intervento d'urgenza : è il caso del pnx. ipertensivo o a valvola, del pneumotorace bilaterale contemporaneo oppure del pnx. controlaterale ad altra affezione polmonare o ad interventi di exeresi. Di. quest'ultimo tipo noi ne abbiamo avuto un caso eccezionale: un giovane sottopasto a pneumectomia sinistra per malattia bronchiectasica. Dopa due giorni di regolare decorso, in terza giornata compare pneumotorace spontaneo totale destro. Io non so come abbia fatto il paziente a sopravvivere : per fortu na la diagnosi è stata immediata ed immediato l'intervento di detensione.


Questo intervento è cons1sttto nell'applicazione <li un drenaggio tubolare collegato a sistema aspirativo forzato: come si vede da radiogramma dopo un'ora il polmone collassato era già a parete ed il caso si è concluso felicemente. L'insorgenza di un pneumotorace spontaneo controlaterale nel decorso di un intervento exeretico polmonare è da ritenersi rarissima e la letteratura ne riporta segnalazioni assai scarse ( una quindicina in totale); tuttavia è bene tenere presente la possibilità in modo che l'accertamento e l'intervento attivo siano rapidissimi. Noi abbiamo una casistica ,di oltre 120 casi di pneumotorace spontaneo trattati con questa metodica: il drenaggio tubolare viene infisso in 2 " e 3° spazio intercostale cioè in posizione antideclive e collegato con un sistema aspirativo. Esso viene lasciato in situ per 36 - 48 ore, tempo in genere sufficiente per ottenere la completa riespansione del viscere. Il tubo agisce come corpo estraneo e quindi favorisce la sinfisi pleuro - pleurica e si riducono di conseguenza le possibilità di recidiva. Desidero ricordare un'altra semplice metodica di trattamento del pneumotorace spontaneo: la pleurodesi medica cioè l'introduzione nel cavo pleurico di polveri inerti (talco) o di sostanze medicamentose (in genere l'aureomicina): si veri.fica una pleurite asettica reattiva che determina una sinfisi serrata. L'emopneumotorace spontaneo è una sindrome clinica caratterizzata d all'irruzione con temporanea nel cavo pleurico di aria e di sangue: l'emorragia può insorgere, per altro, in un tempo successivo. Alla sintomatologia tipica del pneumotorace sp0ntaneo si accompagnano i segni dell'anemia acuta ed il quadro clinico diventa rapidamente drammatico. Teniamo dunque presente che mentre il pneumotorace spontaneo, salvo i casi di meccanismo valvolare, tende in genere col passare delle ore, ad attenuare la sua sintomatologia, nell'emopneumotorace conclamato si assiste invece al progressivo peggioramento dei disturbi. In questa affezione la diagnosi immediata e- l'immedi ata terapia sono d'obbl.igo pena la morte del paziente. Complessivamente è una diagnosi facile per la q ual'e basta una puntura esplorativa del cavo pleurico che darà esito a sangue rosso vivo che non tende assolutamente a coagulare. Inoltre ad orientare verso la diagnosi di emopneumotorace spontaneo vi sono due segni importanti: J'uno, clinico, ed è la succussione; l'altro, radiologico, ed è la presenza fin dalla primissima radiografia del torace di un livello idroaereo. E' noto invece che nel pneumotorace spontaneo il versamento pleurico reattivo, se si manifesta, interviene dopo qualche giorno dall'insorgenza della perforazione polmonare. Anche in questo campo la nostra esperienza è notevole e si riassume in 15 casi trattati con successo in stretta collaborazione col Prof. Besa. Veniamo infine al capitolo di maggior interesse : l'insufficienza respiratoria. E ' un


92 capitolo vastissimo ed in continuo movimento che, secondo un criterio quantitativo, si articola in due condizioni paradigmatiche: a) l'insufficienza respiratoria latente o compensata che si verifica quando l'alterazione di una o più fasi respiratorie è bilanciata dall'iperfunzione delle rimanenti (è noto che la funzione respiratoria, intesa in senso lato, si compie in quattro fasi: fase ventilatoria, fase diffusoria, fase cardio emato - vascolare e fase tissutale); b) l'insufficienza respiratoria scompensata o conclamata che si verifica quando i com pensi o sono inadeguati o sono insufficienti. e che può m anifestarsi anche in condizioni di riposo. Noi ci riferiamo, in questa sede, esclusivamente all'i ns,uffìcienza respiratoria a sede polmonare e più specificatamente all'insufficienza ostruttiva nella quale confluiscono vari stati morbosi: l'asma bronchiale cronica, la bronchite cronica, l'enfisema da carenza di alfa I - antitripsina, le fibrosi parenchimali complicate da fatti flogistici, ecc. Carattere obbligatorio perché queste affezioni sfocino nel l'insufficienza respiratoria conclamata è la loro cronicità. L'asma bronchiale ad esempio, intesa come crisi <lisponica isolata o ricorrente in deterrrù nate stagioni, è una affezione che a lungo si mantiene priva di complicanze. E ' evidente che un'asma bronchiale parossistico o stagionale non curata o curata male evolve a lungo andare verso l'asma cronico o verso l'asm a infetto con tutte le relative conseguenze. Per il trattamento dell'asma bronchiale allergico le nostre possibilità terapeutiche sono, attualmente, notevoli : a parte la terapia ,desensibilizzante specifica sulla cui utilità non si insisterà mai abbastanza, oggi possiamo contare su molti moderni medicamenti, ad esempio, sul disodio cromoglicato e sui broncodilatatori betaadrenergici beta 2 predominanti. Il primo esplica ]'a sua azione im pedendo la liberazione a livello del mastocita delle sostanze scatenanti e cioè l'istamina, la serotonina, la bradichinina, la sostanza lenta, ecc. I secondi, di cui è capostipite il salbutamolo, risolvono l'attacco asmatico attraverso una stimolazione dei recettori beta, essenzialmente dei beta 2 senza che si manifestino effetti di rilievo sul cuore e sul circolo. A parte questi ed altri medicamenti, le maggiori possibilità di trattare efficacemente l'insufficienza respi rato ria conclamata sono offerte attualmente dai respiratori meccanici. Di f~onte ad un quadro di insufficienza respiratoria conclamata, gli scopi fon damentali da perseguire sono tr e : 1) correggere il deficit di ossigeno arterioso, cioè l'ipossiemia; 2) eli minare l'eccesso di anidride carbonica cioè l'ipercapnia; 3) sostenere le con dizioni cardio - circolatorie e l'insufficienza m10cardica.


93 La cosa sembrerebbe molto faci le: dare ossigeno. Tale condotta invece può essere fonte cli gravissime complicazioni non ultima la morte del paziente; ecco il raccordo con l'episodio che ho citato all'inizio della m ia conversazione. I centri respiratori bulbari infatti sono stimolati, .fisiologicamente ed in via diretta, dal C02 : oltre un certo livello però, lo stesso C02 li deprime, li addormenta. Se si verifica una condizione di ipercapnia, ad agire come stimolo, attraverso i chemoricettori carotidei ed aortici, resta solo lo stato i_possiemico. E ' pertanto evidente che se in un soggetto ipercapnico con centri respiratori bloccati dall'eccesso di C02, si somministra inconsultamente ossigeno, si viene a togliere l'ipossiemia e cioè l'unico fattore ancora capace di stimolare i centri stessi. In pratica possiamo cosl riassumere le indicazioni e le modalità dell'ossigenoterapia: a) in tutti gli stati ,d i ipossiemia senza ipercapnia (sindromi restrittive, gravi stati anemici, shock da infarto del polmone o del cuore, broncopolmonite estese, ecc.): somministrazione discontinua di ossigeno con sondino nasale o con occhiali o sotto tenda, ecc.; b) in tutti gli stati ipossiemici ipercapnici (enfisema cronico ostruttivo, asma bronchiale cronico, bronchite cronica enfisematigena, ecc.) è obbligatorio l'uso dei respiratori meccanici con i quali si realizza un vero e proprio lav~ggio alveolare con asportazione dcli' eccesso di C02 e rifornimento di ossigeno. Almeno nelle fasi iniziali e per motivi suddetti l'os,sigeno non dovrà mai essere dato puro ma sempre mescolato con aria. La ventilazione polmonare meccanica può essere eseguita: in regime assistito (ambulatorio od ospedaliero) quando l'insufficienza respiratoria è ancora parziale, la dinamica toraco- polmonare poco compromessa ed il paziente ancora in grado di collaborare cioè con coscienza libera. La mia Divisione è dotata di vari tipi di respiratori meccanici. Ecco (fig. 1) il tipo Bird Mark 14 che consente l'immissione, con pressione positiva intermittente regolabile fra o e 60 cm di acqua, di aria o di ossigeno al 40% miscelato con aria o di ossigeno al 100%. Alcuni apparecchi consentono anche una pressione negativa regolabile fra o e 12 cm di acqua. Lo stesso apparecchio è dotato di un congegno pneumobwd cioè di una fascia che, viene adattata alla base del torace e che gonfiandosi nella fase espiratoria, determina compressione pneumatica dell'addome con in nalzamento degli emidiaframmi e di conseguenza efficace svuotamento dei lobi polmonari inferiori. _Si stabilisce in tal modo oltre alla ventiloterapia, una efficace ginnastica respiratoria che agisce prevalentemente sul diaframma. . E ' inoltre consentita l'aerosolizzazione di farmaci, in quanto nel cirClllto è inserito un nebulizzatore che genera aerosoli da r fino a 4 micron e


94 che viene attivato 2/ ro di secondo pnma della inspirazione e si arresta durante l'espirazione. Disponiamo nella nostra Divisione, di altri tipi di respiratori meccanici, per esempio del Bird Mark 8, simile al precedente ma fornito di un plus ipertensivo che entra in azione alla fine della fase inspiratoria e che è particolarmente adatto al trattamento degli enfisematosi.

Fig. 1. - Ventilatore meccanico tipo Bìrd 14.

Altri ventilatori sono invece del tipo volumetrico : essi ci consentono di dosare i volumi di ossigeno che si desidera som ministrare al malato. Quando l'insufficienza respiratoria è totale con paziente apnoico o gravemente ipopnoico e con coscienza torbida il trattamento ventilatorio assistito non è più sufficiente e bisognerà ricorrere alla terapia controllata, di pertinenza dei rianim atori : ciò è possibile solo in ambiente ospooaliero con l'uso di apparecchiature ventilatorie più complesse (polmone di acciaio, respiratori a corazza - addominali, Please, Engastrom , ecc.). Bisogna saper scegliere tempestivamen te quale dei 2 tipi di respirazione meccanica è da mettere in atto, se l'assistita o la controllata: per esempio gli stati di encefalopatia respiratoria anche iniziali, gli stati di sonnolenza o di com a leggero richiedono l'immediato ricovero in rianimazione. E' determinante a q uesto fine l'esito dell'emogasanalisi per la quale noi generalmente preleviamo il sangue, con siringa eparinata, da un'arteria femorale o al braccio.


95 E ' ovvio che l'ossigenoterapia eseguita con le metodiche fin qui illustrate rappresenta solo un aspetto della complessa terapia dell'insufficienza respiratoria conclamata: essa dovrà essere, sempre, integrata da altre terapie farmacologiche: analettiche, broncodilatatrici, broncodisostruenti, antibiotiche, cortisoniche, ecc. Un posto di particolare ril-ievo spetta alla ginnastica respiratoria che si propone due scopi fondamentali: ottenere la ricanalizzazione bronchiale attraverso gli esercizi di postura e favorire un migliore ricambio alveolare attraverso gli esercizi di rieducazione muscolare, del diaframma in primis. Egregi Colleghi, io ho finito. Non mi resta che trarre una breve conclusione: spesso un pronto soccorso inadeguato o non qualificato può determinare un rapido peggioramento, fino all'exitus, di una condizione morbosa ancora controllabile. Siffatta conclusione è particolarmente valida in campo pneumologico: è vero, occorre far presto ma soprattutto, occorre far bene.


CENTRO DI CIIIRURGIA TORACO - POLMONARE DELL'UNIVERSITÀ D I TORINO Direttore: Prof . L. Bi.NCALANA

OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI VERONA « 11,fED. D'ORO - S. TEN. MED. G. A. DALLA BONA »

Direttore: Col. Med. Prof. A. MAsTRORtLLI

L 'U RG ENZA NELLE LESIONI TRAUMATICHE DEL DIAFRAMMA * P rof. Luigi Biancalana t 0

Nel quadro dei traumatismi del torace e dell'addome e dei gravi danni viscerali che possono risultarne bisogna conoscere le lesioni dirette o indirette del diaframma. Esse sono diventate più frequenti, sia per l'aumento dei traumi della strada che per il perfezionamento della diagnosi. La nostra casistica in questi ultimi anni si è raddoppiata. Di 55 casi di lesioni diaframmatiche traumatiche che abbiamo osservato (negli anni 1950 1969), 49 furono la conseguenza di traumi chiusi prevalentemente causati da incidenti stradali e 6 di un trauma aperto. Nei 28 casi d i rottura diaframmatica, 20 volte .il trauma era stato toracico e 8 volte addominale. Un trauma toracico o cervico - toracico o puramente cervicale era rintracciabile nei 23 casi di paralisi diaframmatiche, nei 4 di relaxatio diaframmatica e in un caso di ematoma diaframmatico, 27 rotture diaframmatiche erano a sinistra e<l una a destra, ma anche le paralisi e le relaxatio diaframmatiche prevalgono a sinistra. La rottura diaframmatica apre il torace ai visceri addominali e la migrazione toracica è in generale immediata, ma l'ernia diaframmacica può prodursi in due tempi o stabilirsi progressivamente. Il riconoscimen to immediato della rottura diaframmatica è di interesse vitale per il traumatizzato, perché la tempestività dell'intervento anche secondo la nostra esperienza è una delle mi giiori garanzie di successo. La diagnosi immediata non è però taci le; si tratta spesso di pazienti politraumatizzati, anche escludendo le fratture costali, in stato di shock nei guali molte

• Conferenza cenuta il giorno 17 maggio 1973 all'Ospedale Militare Principale di Verona per il ciclo di aggiornamento 1972 - t973. • • La presente è stata l'ultima conferenza tenuta dal Prof. Biancalana deceduto a Torino il 25 giugno r973.


97 volle non tutte le indagini possono essere eseguite. Ma l'associazione di segni toracici ed addominali, la presenza di un emotorace, la dispnea dolorosa debbono mettere in sospetto. Il quadro clinico immediato risulta da un complesso di disturbi: generali, cardiocircolatori, respiratori, addominali. Lo stato di shock è imputabile al trauma ed alle lesioni da esso prodotte. L'emorragia che accompagna sempre le rotture diaframmatiche è spesso imp0rtante e può diventare imponente per danni associati: rottura del rene, del pancreas, fì.ssurazione del fegato. La rottura della milza si accompagna talora ad una sintomatologia diaframmatica spesso insidiosa. La trasposizione toracica della milza è molto frequente ed avviene talvolta per uno scollamento retroperitoneale. La milza si lacera spesso ed a seconda ddl 'ampiezza della breccia diaframmatica e dei visceri in essa impegnati, l'emorragia potrà accumularsi nel peritoneo e nella cavità toracica. Qualche volta è la breccia con i visceri erniati che può fare l'emostasi della milza. Evidentemente la migrazione viscerale dipende dall'estensione della rottura diaframmatica. Nelle grandi brecce deH'emidiaframma destro tutto il fegato con i visceri cavi si possono dislocare nel torace. li fegato aJlora ruota su un asse trasversale facendo anteriore la sua faccia inferiore, come nello spostamento indietro di una capotte. Queste brusche dislocazioni viscerali nel torace comprimono il mediastino e sono cause di gravi disturbi cardiocircolatori. Le comprensioni del cuore destro sono mal tollerate. I disturbi respiratori sono dovuti a due ordini di fattori: 1) perdita della funzione dell'emidiaframma interessato, come nel quadro della paresi e della paralisi diaframmatica; 2) occupazione del cavo pleurico da parte dei visceri addominali, se l'ernia avviene immediatamente con compressione e dis1ocazione del mediastino e del polmone eventualmente aggravata dall'emotorace o anche da pneumotorace. I disturbi addominali sono dovuti ad uno stato di paresi intestinale o a disturbi di canalizzazione se vi è protrusione ed incarceramento dei vifceri. Il quadro si aggrava nelle rotture intestinali. L'esame fondamentale per la diagnosi è quello radiologico. Molto significative sono le immagini arciformj idro - aeree al la base del torace con spostamento controlaterale del mediastino ed atelettasia polmonare nella migrazione dei visceri cavi, la presenza di ombre nelle ernie della milza, del fegato, dell'epiploon. E' certo che se i radiogrammi possono essere presi in posizione assisa e sono esattamente interpretati conducono alla diagnosi a meno -che l'emotorace non mascheri tutto. Un segno formale della rottura diaframmatica si può avere col pneumoperitoneo se l'aria insufflata passa nella cavità toracica, ma anche la diswciazione del diaframma dai visceri sottostanti offre preziosi ragguagli e così l'esame radiografico con m ezzi di contrasto che può mostrare una forma bi-


lobata ,dello stomaco parzialmente erniato e del colon che può servire anche a localizzare la sede della rottura diaframmatica. Ma le casistiche dimostrano che molte volte per un complesso di cause la rottura resta misconosciuta. Col tempo il quadro fisiopatologico generalmente si attenua per la spontanea riduzione <lell'occupazione pleurica da parte dei visceri e dell'emotorace e per l'assestamento respiratorio che realizza un nuovo equilibrio meccanico che alcune volte comporta solo una modesta riduzione dei volumi statici e dinamici massimali simili a quella di una semplice paralisi diaframmatica. 1n un certo numero di casi la diagnosi tardiva è radiologica, accidentale perché la sintomatologia è modesta: vi possono essere dispnea da sforzo, cardiopalmo, disturbi intestinali vaghi. Talora un'ernia post- traumatica può venire scambiata per una neoformazione polmonare o per una cisti pericardica. A destra una causa <li errore difficile da evitare è l'eventratio diaframmatica. L'eventratio diaframmatica è in realtà più frequente a sinistra e viene generalmente come d'origine congenita ma non si può escludere che per effetto di una paralisi traumatica si arrivi ad una degenerazione delle fibre muscolari il che ha interesse anche dal punto di vista medico - legale. Arrivati a questa fase di qtùescenza si potrebbe pensare che le ernie ,diaframmatiche possono essere sempre e definitivamente ben tollerate, ma spesso invece, intervengono complicazioni qualche volta polmonari, ma soprattutto per occlusione e strozzamento intestinale (nel 30% dei casi). L'intervallo libero silente nelle nostre osservazioni è andato da due mesi a 41 anni. Lo strozzamento dello stomaco e del colon sono assai frequenti e<l i visceri incarcerati possono giungere alla necrosi ed alla perforazione. Il versamento del contenuto intestinale nel cavo pleurico è causa di un empiema e di piopneumotorace, più rara la peritonite. La sintomatologia è caratterizzata da vomito, dolori improvvisi a tipo colico alla base dell'emitorace con irradiazioni alla spalla, dolori addominali nei quadranti alti . Spesso si associano disturbi respiratori: dispnea, tosse per la improvvisa distensione dei visceri erniati nel torace. Il trattamento delle ferite transfosse e delle rotture diaframmatiche chiuse è chirurgico e deve essere il più precoce possibile appena la rianimazione abbia corretto lo stato di shock, ma la mancata risposta alla rianimazione, l'intensità del disturbo respiratorio sono a loro volta una u1 teriore indicazione ad accelerare i tempi. L'esperienza ci ha confermato in questo indirizzo perché r~ducendo i visceri nell'addlome riparando la breccia diaframmatica, controllando l'emorragia si possono riportare a condizioni migliori la funzionalità degli apparati respiratorio e circolatorio. Un certo numero di feriti muoiono per mancanza di una operazione precoce, unicamente per causa della rottura diaframmatica e dell'invasione toracica. Tardivamente riconosciute le ernie diaframmatiche debbono ancora essere operate e !'indi-


99 cazione è tanto più imperativa guando l'ernia è voluminosa soprattutto per il pericolo di strozzamenti intestinali. Eventuali zone pclmonari atelectasiche sono ricuperabili anche a distanza di tempo. La via di aggressione è prevalentemente toracica; la via addominale viene scelta nel sospetto ,d i gravi lesi.oni di visceri addominali, o nei vecchi e nei bambini. Io qualche caso potranno essere indicate due incisioni, una toracica e l'altra addominale. Negli interventi tardivi ha maggiore indicazione la toracotomia perché più laboriosa è la dissezione delle aderenze tenaci dei visceri alla breccia cd al pclmone. I nostri risultati sono stati pressoché corrispondenti tanto negli interventi immediati che in quelli di elezione tardiva. Abbiamo perso 4 malati su 27 operati: 2 per embolia polmonare controllata all'autopsia, uno per collasso cardiocircolatorio, I per focolaio broncopneumonico. Gli interventi per le complicazioni sono naturalmente considerati più gravi, ma abbiamo operato 3 casi di strozzamento con perforazione e cancrena estesa allo stomaco e del colon trasverso e pleuriti putride con risultato favorevole e decorso benigno. Ci è apparsa la maggiore tollerabilità che ha la cavità pleurica per queste condizioni in confronto alla cavità peritoneale. D ue di questi malati sono venuti a noi ed operati dopo una settimana dall'inizio della sintomatologia acuta e dopo drenaggio della cavità pleurica. Le brecce diaframmatiche erano generalmente a maggior diametro antero - pcsteriore di IO - 14 cm irradiata dalla regione paravertebrale sinistra alla cupola diaframmatica o a1la regione freno - pericardica. In un caso vi era un'am pia rottura del pericardio con prolasso del cuore nella cavità addominale. Due volte l'ernia era attraverso lo hiatus, in un caso vi era strozzamento dello stom aco. Nelle ferite diaframmatiche da armi ,d a fuoco o da taglio le brecce possono essere in sedi varie. La riparazione della breccia non ha richiesto speciali accorgimenti ed è sempre stata facile ed eseguita con materiale non riassorbibile. Nella paralisi e relaxatio diaframmatiche abbiamo impiegato a seconda della sintomatologia cure mediche e fisioterapiche. In due casi è stata fatta una plicatura diaframmatica ed in un altro, con grave dislocazione dello stomaco dopo pneumectomia, una gastropessia col legamento rotondo secondo Vogel con risultato positivo sui gravi disturbi dispeptici.


OSPEDALE ClVJLE MAGGIORE - VERONA DIPARTIMENTO DI NEUROCIJIRURGIA Primario : Prof . Dr. G. D ...U.E Ou OSPEDALE MI LITARE PRJNC]P ALE DI VERONA " MED. D 'ORO - S. TEN. MED. G . A . DAL LA BONA » Direuore : Col. Med. Prof. A. MAs·rnoi<lLLI

L'URGENZA CHIRURGICA IN NEUROLOGIA * Prof. Dr. Giuseppe Dalle Ore

INTRODUZIONE ALL'URGENZA IN NEUROLOGIA.

L'introduzione all'urgenza in neurologia non può evitare alcune considerazioni generali che assegnano al sistema nervoso l'essenza stessa della vita. Coscienza, intelligenza, memoria, capacità di apprendere e ritenere, possibilità di elaborare i dati memorizzati e di creare o inventare, affettività, carattere, ecc., richiedono integrità ,delle strutture nervose per pctersi esplicare in modo pieno e completo. La vera vita dell'uomo esiste solo se le strutture nervose sono pienamente integre e funzionanti; in caso con trario non vi è vera vita. L'urgenza neurologica è divenuta drammatica in questi ultimi tempi per le possibilità della tecnologia me,dica di sostituzione temporaneamente o <:lefìnirivamente le funzjoni degli organi umani - ad eccezione di quelle più elevate del sistema nervoso - con organi artificiali o con trapianti. Non vi erano gravi problemi, o meglio la morte risolveva tutti questi problemi, quando la lesione di un organo o l'arresto di una funzione determinavano una rapida morte dell'individuo. Attua1m ente manovre resuscitatorie, respiratorie, reni, cuori artifì.ciali, trapianti di organi, ecc., possono ridare in molti casi la vita ad individui già clinicamente morti o destinati a rapida m orte. Questi mezzi possono però anche - e qui subentra il problema del! ' urgenza neurologica - impedire di morire a uomini che hanno ri portato lesioni cerebrali tali ,d a non poter più essere considerati vivi. L'importanza dell'urgenza nelle cure neurologiche risalta da una semplice constatazione : il cervello non sopporta in condizioni di normotermia un arresto del circolo per periodi superiori ai 3 - 5 minuti. Questo limite non deve essere superato se si vuole evitare la comparsa di lesioni definitive ed

* Conferenza tenuta il giorno 28 gennaio 1973 all'Ospedale Militare Principale di Verona per il ciclo di aggiornamento 1972 - 1973.


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irreversibili diffuse a tutto l'encefalo o limitate a singole aree in caso di arresti di circolo settoriali. Il limite proibitivo dei 3 -5 minuti si allunga non oltre le poche ore nelle insufficienze di circolo nelle quali si mantiene un ridotto afflusso di sangue alle aree cerebrali. Le cure offerte dalla moderna tecnologia e specializzazione medica sono molto efficaci se applicate ai primi segni di insufficienza vascolare cerebrale e sono sempre meno valide o del tutto inutili se si differisce l'inizio di alcune ore quando le lesioni sono divenute irreversibili. Nell'urgenza medica la preminenza dell'encefalo sugli altri organi del corpo umano risulta da alcuni dati generali che ne sottolineano l'importanza fisiologica e la estrema vulnerabilità. Il cervello, pur costituendo solo il 2% circa del peso del corpo umano, ha un consumo di ossigeno che equivale al 25% del totale, un consumo di glucosio che rappresenta il 70% del totale e un flusso che costituisce il 15% del flusso ematico generale. Il cervello, a differenza degli altri organi del corpo umano, gonadi escluse, ha un metabolismo quasi esclusivamente aerobio e richiede una grande quantità di ossigeno per metabolizzare il glucosio e produrre la straordinaria quantità di energia che gli è necessaria. Una singola cellula piramidale, ad esempio, si articola con più di diecimila ,d endriti in altrettante sinapsi che assorbono continuamente energia per rimanere in attività. L'assorbimento di energia da parte delle cellule nervose in attività confermano anche dagli studi sulla respirazione in vitro che mostrano un aumento del consumo di ossigeno quando le cellule vengono attivate con stimolazioni elettriche o aumentando gli ioni potassio. L'apporto energetico alle cellule cerebrali viene costantemente assicurato da una perfetta ed autonoma autoregolazione del flusso ematico cerebrale che si mantiene costante indipendentemente dalle variazioni della pressione sistemica anche se questa scende a valori molto bassi. I segni clinici di un arresto funzionale cerebrale sono quindi espressione di un esaurimento delle passibilità di difesa dell'organismo che richiede un urgente intervento terapeutico. Le lesioni dell'encefalo vengono distinte in primitive e secondarie. Le lesioni primitive sono la conseguenza diretta di traumi, infezioni, insufficienze o arresti di circolo, neoplasie e sono situate nell'area encefalica direttamente lesa. Le lesioni secondarie si verificano in un secondo tempo attorno alle lesioni primitive nelle aree cerebrali sane per i fenom eni di compressione, edema ed ischemia provocati dalle lesioni primitive. Per le particolarità anatomiche e fisiologiche del cervello, le lesioni secondarie sono spesso più gravi, più estese e più pericolose di quel.le primitive. Il cervello è l'unico organo del corpo umano racchiuso in un involucro rigido che non gli consente <li aumentare di volume in condizioni patolo-


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giche. La limitazione dell'espansione cerebrale determinata dalla scatola cranica provoca in caso di lesione cerebrale per traumi, neoplasie, edemi, processi infiammatori, un aumento della pressione intracranica che si ripercuote tanto sulle lesioni primitive quanto sulle aree cerebrali integre. L'ipertensione endocranica interferisce con il circolo cerebrale diminuendo il gradiente pressorio del sangue arterioso che penetra nel cranio e com primendo il sistem a venoso cerebrale. Essa determina rapidamente un'insufficienza di circolo cerebrale solo in parte compen sabile dai meccanismi autorcgolatori del circolo stesso. Nel caso limite in cui la pression e intracranica raggiunga i valori della pressione arteriosa sistemica può verificarsi un arresto isolato del circolo cerebrale, mentre la circolazione degli altri organi , non soggetti a fenomeni sovrapponibili all'ipertensione endocranica, avviene ancora normalmente. Lo sviluppo di una lesione espansiva cerebrale esercita una progressiva pressione sulle vicine parti dell'encefalo spostandole dalla loro sede normale. Questi spostam enti di sostanza nervosa all'interno del cranio avvengono verso le ampie aperture tra le cavità emisferiche destra e sinistra, tra le cavità emisferiche e la fossa cerebellare e tra la fossa cerebellare e il canale spinale. Essi provocano un impegno o un'ernia di sostanza nervosa che comprime e lede progressivamente le delicate strutture del tronco cerebrale che vi hanno sede provocandovi le lesioni secondarie molto minacciose. Un'efficace azione di neurologia d'urgenza - se si tengono presen ti i concetti fin qui esPosti - deve: r) rianimare il malato per garantire l'indispensabile apporto energetico all'encefalo; 2) diagnosticare le lesioni cerebrali ; 3) curare immediatamente le lesioni cerebrali primitive per impedire che diventino irreversibili; 4) prevenire l'instaurarsi o l'estendersi ,delle gravissime lesioni cerebrali secondarie. L a rianimazione attua i provvedimenti sintomatici generali volti a mantenere o ristabilire buone condizioni di circolo o di respiro per garantire l'apporto energetico all'encefalo. Sono semplici manovre che mantengono e ripristinano la pervietà delle vie aeree, la respirazione, l'attività cardiaca, il circolo o interrompono delle crisi epilettiche subentranti. Questi provvedimenti generali sintomatici hanno precedenza assoluta e sono indispensabili per passare immediatamente alle fasi successive. La loro esecuzione richiede solo limitate apparecchiature in dotazione anche dei più piccoli ospedali. L a diagnosi neurologica deve essere rapida e precisa. La clinica con i dati anamnestici intelligentemente raccolti, con l'obiettività e con il decorso del malato durante le manovre di rianimazione, è insostituibile per orientare verso i gruppi di m alattie chirurgiche o medico -


neurologiche e medico - metaboliche e per indicare rispettivamente l'esame neuroradiologico o neurofisiologico o di laboratorio che più rapidamente consentirà di confermare o di raggiungere una diagnosi. In linea di massima l'arteriografia resta l'esam e più indicato nel sospetto di lesioni espansive chirurgiche; l'elettroencefalografia nel sospetto di processi encefalitici acuti e lo screening di laboratorio nel sospetto di malattie metaboliche. In neurologia d'urgenza non si ha il tempo per uno studio sistematico e deve essere scelto l'esame che sui dati clinici sembra più indicato per giungere ad una diagnosi. La cura delle lesioni primitive richiede una precisa diagnosi e pronti provvedimenti operatori o di ordine medico a seconda che si tratti di lesioni espansive chirurgiche o di lesioni medico - neurologiche o metaboliche. La cura delle lesioni secondarie è soprattutto preventiva e basata su una rapida rianimazione e un'efficace e precoce cura delle lesioni primitive. Le possibilità di curare le lesioni secondarie con manovre e farmaci volti a dominare l'edema cerebrale e l'ipertensione endocranica sono infatti efficaci solo se le lesioni non sono molto estese ed ancora reversibili. Attualmente il malato neurologico acuto richiede più che l'istituzione di nuovi reparti specializzati o l'acquisto di particolari apparecchiature, uno sforzo organizzativo che coordini l'attività dei già troppi reparti specializzati esistenti e permetta di utilizzare immediatamente - anche nelle ore notturne - le apparecchiature e le attrezzature già in dotazione ,degli ospedali. Una migliore organizzazione delle attuali strutture ospedaliere, riducendo i tempi di rianimazione e di diagnosi, consentirà infatti di iniziare le cure quando le lesioni cerebrali sono ancora reversibili e non troppo estese, premessa indispensabile per l'efficacia delle cure stesse. Tutti gli ospedali hanno ormai in determinate ore della giornata la possibilità di svolgere rapidamente le fasi di rianimazione e diagnosi clinica e di iniziare precocemente le cure mediche neurologiche e metaboliche o nel caso ,dj lesioni chirurgiche, di inviare subito in centri specializzati preavvertiti telefonicamente malati ben rianimati e con un preciso indirizzo diagnostico. La necessità di una valida organizzazione è ancora più sentita nei grandi ospedali dotati di servizi chirurgici specializzati nei quali la neurologia d'urgenza trova ostacoli e ritardi per difficoltà di smistamento nei troppi reparti specializzati e per difficoltà di uso continuato delle attrezzature e degli apparecchi di laboratorio. In questa introduzione all'urgenza neurologica si è insistito più che sui problemi diagnostici e terapeutici, a tutti noti, sulla necessità di agire rapidamente: troppe volte infatti le cure dei malati neurologici acuti perdono gran parte della loro efficacia per il ritardo con cui vengono applicate.


CENTRO STUDI E R[CERCHE DELLA SANJTÀ MILITARE

Direttore: Magg. Gen. Med. Dott. C. MusrLu OSPEDALE MILITARE PRI1'.' CIPALE DI ROMA « S. TEN. MED. ATTLLlù FR IGGER! » M.O.V.M. Direttore : Col. Med. Prof. E. F.wllzzt

CUPRURIA E NEOPLASIE DELLE OSSA Magg. Gen. Mcd. Dr. C. Musilli

Col. Med. Prof. E. Favuzzi

Magg. Med. Dr. R. Tucciaronc

Il capitolo delle neoplasie ossee - sia primitive che secondarie - mantiene ancora oggi tutta la sua importanza sia per l'ortopedico, che è il più direttamente interessato a questa patologia, sia per il chirurgo e il ginecologo, che non raramente si trovano di fronte a localizzazioni scheletriche secondarie di tumori a punto di partenza dei più vari organi. La localizzazione ossea della neoplasia rappresenta a volte il primo segno della malattia: mentre in altri casi la lesione scheletrica, con tutte le sue implicazioni prognostiche e terapeutiche, costituisce soltanto una tappa nella storia evolutiva della malattia. La localizzazione della neoplasia nello scheletro, la sua primitività o la sua dipendenza da precedenti localizzazioni, l'età del paziente, il sesso, ecc., costituiscono tutti elementi che debbono essere attentamente valutati ai fini della istituzione e della scelta di un trattamento terapeutico conseguente. Per tutti questi motivi la chirurgia, la radioterapia e la antiblasticoterapia si contendono i vari casi clinici, 0011 raramente integrandosi a vicenda. Si può anzi dire che oggi il trattamento dei tumori maligni ,delle ossa non è escl usivamente chirurgico, né radiante, né medico, bensì misto in rapporto alle particolarità del caso clinico, alla parte ossea interessata, alle caratteristiche istologiche del.la neoplasia, ecc. Con questo contributo abbiamo voluto esaminare alcuni casi con affezioni neoplastiche primitive o secondarie delle ossa, sottoposti ad antiblasticoterapia. In alcuni di questi casi era già stato eseguito un trattamento chirurgico o radioterapico, mentre in altri la somministrazione dei chemioterapici rappresentava il primo m etodo di cura. Numerosi contributi sperimentali e clinici degli ultimj 15 anni hanno dimostrato come diverse sostanze possono essere utilizzate nella patologia umana nella lotta contro i tumori. Volendo schematizzare (Pescetto e Pi pino, 1963) si può dire che le sostanze antitumorali comunemente impiegate n ella pratica clinica si ,dividono in:


- sostanze alchilanti, che com1.>rendono le etilenimine, le mostarde azotate e i metasulfonati; ' - gli antibiotici antitumorali, che comprendono la sarcomicina, la actomicina, ecc.; - gli antimetabolici, cioè gli antagonisti delle purine, delle pirimidine, e dell'acido folico; - i veleni <lel fuso mitotico, cioè i colchicinici, la podofillotoxina; - gli enzimi nucleolitici (ribonucleasi, desossiribonucleasi); e altri antiblastici (uretano, ormoni, lieviti, ecc.). Nelle nostre ricerche abbiamo utilizzato l'Endoxan, che è un estere fosfoamidico della mostarda azotata. Si è ritenuto interessante seguire le modificazioni della eliminazione urinaria del rame in soggetti normali, in pazienti con tumori ossei non ancora sottoposti a trattamento antiblastico, e nei medesimi soggetti nel corso e dopo la fine del trattamento. La posizione del rame nel metabolismo organico non è ancora ben chiarita. Nel siero si trova normalmente una quantità di rame pari a rno 1 IO gamma %. Il rame è dimostrabile in due frazioni: una prima frazione è legata all'albumina, rappresenta la cosiddetta forma di trasporto del rame nel siero, e assomma a circa il 5% di tutto il rame serico. Una seconda frazione costituisce il 95% del rame nel siero, ed è legata a una alfa- 2 - globulina. Quest'ultima frazione viene anche denominata ceruloplasmina. Le ricerche di Scheinberg e Sternlieb, ,di Adelstein e Vallee, di Mc Elroy e Glass, di Walsche e Cummings, di De Jorge e Coli., di Rothe, Piscacek e Bilek, ecc., hanno cercato negli ultimi anni di chiarire la posizione fisiopatologica del rame nell'organismo e di vedere quali sono i compiti ad esso assegnati. Già le fondamentali ricerche di H eilmeyer e Coll. avevano dimostrato che variazioni del tasso del rame serico si hanno come conseguenza di uno stimolo irritativo portato sull 'organismo; in altre parole le oscillazioni del rame serico rientrerebbero nel quadro della risposta umorale di difesa dell'organismo. Il rame inoltre entra nella costituzione di diverse proteine, quali la cuproproteina, l'epatocupreina, l'emocupreina, la ceruloplasmina, la cerebrocupreina e l'eritrocupreina. Infine nelle molecole di alcuni enzimi, come la tirosinasi e la citocromossidasi, è presente rame. La manifestazione clinica più eclatante ,d i un disturbo del metabolismo del rame è costitui ta dalla degenerazione epatolenticolare. I lavori di Markovitz e Coll. , di Mischd, di Neuwailer, ecc., hanno concordemente dimostrato che il rame interviene nei processi di difesa dell'organismo e in particolare fa parte di quella catena di reazioni di natura umorale medi ante le quali l'organismo si difende da insulti di qualsiasi natura provenienti sia ,dall'esterno che dall'interno. 7. - M.


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Per questo motivo ci è sembrato non privo di interesse vedere se la localizzazione ossea di tumori maligni producesse questa risposta umorale e se eventualmente questa risposta si modificasse sotto trattamento antiblastico. Abbiamo dapprima determinato la cupruria, ossia la eliminazione del ram e nelle urine delle 24 ore, in 12 soggetti normali (Tab. 1 ). La determinazione è stata fatta col metodo colorimetrico ,d i Callan e Enderson, nella modificazione di H eilmeyer e Coll. previo trattamento delle urine in Kieldahl. La Tab. r mostra che l'eliminazione di rame nelle urine di soggetti normali si aggira intorno ai 39 gamma/24 h. con minimi di 38,3 gamma, e massimi di 39,1 gamma. Quindi la cupruria in condizioni .fisiologiche deve essere considerata come un valore abbastanza costante.

ànelle unne di 24 h

CUPRURIA IN SOGGETTI NORMALI

40

3 (i

lit

38

37

36

Eliminazione urinaria di rame null e urine delle 24 h

In 7 casi con localizzazioni tumorali. pnnunve o secondarie a carico delle ossa (Tab. 2) abbiamo determinato la cupruria delle 24 ore, prima dell'inizio del trattamento antiblastico. In un caso sono stati riscontrati 32 gamma; nel secondo, 27; nel terzo, 27; nel quarto, 19 gamma; nel quinto, 20 gamma; nel sesto e nel settimo, 21 gamma. Da ciò si deduce che l'eliminazione urinaria di rame è costantemente diminuita nei pazienti con tumori ossei, sebbene non si possa escludere che, almeno nei casi con localizzazioni scheletriche secondarie, la diminuzione della cupruria sia in parte da imputare alla localizzazione extraossea primaria della neoplasia. La diminuzione della cupruria, sebbene costante, non è univoca: infatti nel primo caso i valori sono diminuiti in misura modesta rispetto ai soggetti normali: mentre nel quarto caso la diminuzione è notevole, sempre rispetto


Tab. 2 CUPRURIA IN PAZ IENTI CON TUMORI OSSEI

N r. casi

20 upr uria

25

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delle 24 h in gamma

7;,J,. 3

~ nelle urine

d i 24 h

CUPRIJRIA DOPO 1 SETTIMANA DI TRATTAMENTO

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-

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-

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6

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ai controlli. In altre parole, sebbene la diminuzione della cupruria rappresenti un dato costante in pazienti con tumori delle ossa, tuttavia l'entità di questo abbassamento varia da soggetto a soggetto. ella Tab. 3 sono riportati i valori della cupruria nei soggetti studiati dopo una settimana di trattamento con Endoxan endovena alla dose di 250 mg al giorno. La tabella dimostra che le diminuzioni dei valori di cupruria sono modeste : il primo caso è passato da 32 a 31 gamma; il secondo ha valori inalterati; nel terzo si è avuta una diminuzione da 27 a 25 gamma ; nel quarto e quinto caso, i valori non hanno subito oscillazioni di sorta: nel sesto e settimo caso, la diminuzione è stata parimenti m odesta. Onelle urine

"J;,f,_4-

di 24h

40 CUPRURIA DOPO 2 SETTIMANE DI TRATTAMENTO

3

20

2

3

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5

6

Quindi, dopo una settimana di trattamento, non si hanno oscillazioni apprezzabili nella eliminazione urinaria di rame. Diverso è il discorso per quanto riguarda la eliminazione del metallo due settimane dopo l'inizio del trattamento. La Tab. 4 dimostra che nel primo e secondo caso la cupruria è scesa a 24 gamma/ 24 ore; nel terzo caso, a 10 gamma; nel quarto e sesto caso, a 7 gamma; nel quinto caso, a 8 gamma; e nell'ultimo caso, a 6 gam ma, che è il valore più basso riscontrato nella casistica in esame. Dopo due settimane di trattamento si vede conseguentemente che i valori di cupruria sono notevolmente abbassati. N ella Tab. 5 è rappresentato sinteticam ente il comportam ento della cupruria nel corso del trattamento: i valori si riferiscono alla media aritmetica dei singoli casi. All'inizio della cura i valori medi di cupruria si aggirano attorno ai 30 gamma/24 ore. Una netta diminuzione si osserva a partire dal


decimo - ,dodicesimo giorno, mentre i valori più bassi (con una media di 12 -

13 gamma) sono stati osservati in torno al 20° giorno dall'inizio della terapia. Si può quindi affermare che la chemioterapia antiblastica provoca un abbassamento della eliminazione del rame con le urine, abbassamento che inizia già dopo circa una settimana di trattamento, ma che raggiunge il massimo, in genere, 2 - 3 settimane dopo }'inizio della cura. In alcuni di questi pazienti così trattati si è potuto ripetere la determinazione della cupruria un mese dopo la fine del trattamento. Alla nostra osservazione sono ritornati solamente i casi n. 1, 3, 4, 5 e 7. Nel caso 1, si è riscontrato un valore di cupruria di 32 gamma, quindi un valore sovrapponibile a quello che era stato riscontrato nello stesso soggetto prima dell'iniQnQUe, urine di 24h 4

30

CUPRURIA NEL CORSO DEL TRATTAMENTO

0

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0

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0

O

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20 gg.

zio del trattamento. Nel caso 3 si è trovato un valore di 26 gamma (27 gamma prima della cura). Nel caso 4, un valore di 20 gamma: il soggetto presentava 19 gamma all'inizio. N el caso 5, 20 gamma (nessuna modificazione rispetto all'inizio). N el caso 7, abbiamo avuto 20 gamma, con 21 gamma riscontrati all'inizio della cura. La Tab. 6 dimostra, quindi, che un mese dopo la fine del trattamento l'eliminazione urinaria di rame è tornata ai valori normali. I dati sperimentali che abbiamo ottenuto si prestano ad alcune considerazioni circa il ruolo che il rame può svolgere nei pazienti con tumori os.sei sottoposti ad antiblasticoterapia. Anzitutto dobbiamo sottolineare la costanza dei valori ottenuti: nonostante alcuni AA. segnalino una modificazione della cupruria io soggetti portatori di neoplasie - ora nel senso dell'aumento ora nel senso della diminuzione - i valori <la noi trovati parlerebbero per una assenza di azione della localizzazione tumorale scheletrica nei confronti del-


IIO

Ja eliminazione urinaria di rame. Quest'ultima, invece, viene modificata dal trattamento antiblastico in maniera costante: tali variazioni in genere non sono immediate, ma compaiono di solito IO - r5 giorni dopa l'inizio della cura. Circa il significato clinico da assegnare alla diminuzione della cupruria nei soggetti trattati con antiblastici, non ci sen tiamo di avanzare una interpretazione precisa. E' già stato detto che il rame partecipa del sistema di difesa umorale dell'organismo: nell'ambito di queste difese, si può prospettare l'ipatesi che questi soggetti, nel corso del trattamento antiblastico, eliminino meno rame perché una maggiore quantità di metallo è richiesta dal-

J nel le urine Udi 24h 40

CUPRURIA 1 MESE DOPO LA FINE DEL TRATTAMENTO

30--

-

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o

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5

7

l'organismo per potenziare i suoi processi di difesa. E' da ricordare però che l'urina rappresenta soltanto una fonte di eliminazione del rame, né certamente la maggiore: il m etallo viene eliminato anche dal fegato e dall'intestino, quindi solo un bilancio comparativo della escrezione urinaria, epatica e intestinale potrebbe confermare o meno la nostra ipatesi. In definitiva ci sembra peraltro di poter affermare che, mentre la localizzazione tumorale nelle ossa non modifica la cupruria, questa è interessata dal trattamento chemioterapico, probabilmente a seguito di un aumento delle richieste di rame da parte dell'organismo. L'eventuale utilizzazione delle variazioni della cupruria in senso prognostico - ossia per dedurne il successo o meno della terapia - non può essere né sostenuta né smentita dalle nostre ricerche. In un successivo studio ci proponiamo di affrontare il problema anche sotto questo angolo visuale.


I I I

R1ASS'UNTO. - Gli AA. svolgono una serie di ricerche tendenti a studiare la eliminazione del rame con le urine in pazienti con tumori ossei primitivi o secondari. Dopo aver accennato ai farmaci solitamente utilizzati come antiblastici, e al probabile ruolo del rame nell'economia generale dell'organismo, vengono esposti i r isultati ottenuti, che parlano per una diminuzione della escrezione del rame nei soggetti sottoposti a trattamento chemioterapico. Questi risultati vengono analizzati e discussi dagli AA. RÉsuMÉ. - Les Auteurs dévcloppcnt une longue suite des recherches visantes à l'étude de l'élimination du cuivre avec !es urines dans Ics porteurs des tumeurs osseux, aussi primitives que secondaires. Après avoir faite mention des médicaments ordinairement employés contre !es cumeurs, et au probable role d u cuivre dans l'économie générale de l'organisme, les Auteurs font conna1trc les résultats obténus, qui parlent pour une réduction dc la cxcrétion du cuivre dans le sujcts soumis au traitemcnt chémyothérapique. Finalcmcnt les Auteurs examincnt et analyscnt ces résultat;. Sm1MARY. - The authors display a scries of researches tending to study che excretion of che cuppcr with che urines on some paticnts suffcring from primitive or secondary rumours of che bones. After mention to che usually utilized drugs as antitumours, and ro che probable role of the cupper on d1e generai economy of the human organism, ilie authors explain the obtained resulcs, which are giving evidence for a reduction of cupper's cxcretion in the patients subjcctcd to a chemyothcrapic trcatment. Tn conclusion che authors discuss and analyze mese results.

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RECENSION I DI LIBRI

DE V1NCENTllS G., C.~LLIERI

forense. L. 32.000.

B., CASTELLANI A.: Trattato di psicopatologia e psichiatria Il Pensiero Scientifico Editore, Roma, 1972 - 1973, voli. 2, pagg. 840,

Coadiuvati da un nucleo particolarmente selezionato di Collaboratori specializzati (Bazzi T., Di Lella F ., Durante E., Giorda R., Marchiori A., Paolclla A., Sciaudone G., Semerari A. e Zangani P.), gli AA. presentano alla vasta platea degli operatori interessati alle prob!ematiche concettuali ed alle implicazioni pratiche della psicopatologia nel mondo del diritto questa opera ponderosa, ma dinamicamente e fluidamente strutturata, che trova adeguata collocazione nella colonna « I Trartali » curata con i consueti criteri selettivi e con la nota accuratezza ed itorialc da cc Il Pensiero Scientifico ». Con l'autorità universalmente riconosciuta, vivificala dalla costruttiva immanenza di atteggiamemi autocritici, gli AA. sviluppano la tematica di fondo secondo un approccio a11tropo - fenomenologico, pienamente in linea con le loro preferenze culturali e volto - come affermano gli AA. stessi nella presentazione - ad <( espandere nell'universo del diritto l'impostazione antro - fenome nologica, basata sull'uomo, sull'essere irreperibile della persona nel suo peculiare declinarsi nel mondo, sulla sua costituzione intersoggettiva, cui in realtà va rivolta l'investigazione giuridica, se vuole mantenersi autenticamente umana ». Dopo le premesse generali di psicopatologia e di psichiatria, lucidamente trattate nei 4r capitoli del primo volume, v•engono discussi nei 27 capitoli del secondo volume gli specifici problemi del diritto civile, penale, canonico ed assicurativo, che, unitamrnte a quelli inerenti al campo minorile cd alla medicina legale militare, costituiscono gli argomenti eminentemente applicativi dell'opera. A tale riguardo ci piace porre in giusto risalto il significativo contributo offeno dal Col. Med. Dr. Filippo Di Lella - noto esperto in materia ed attualmente Direttore di Sanità del Comando Generale dell'Arma dei Carabinieri - alla stesura del Capitolo sugli « Elementi di psicopatologia medico - legale militare >!, che in 40 pagine fittamente annotate condensa un vero e proprio manuale applicativo in tema di idoneità al s.m., trattamento pensionistico di guerra, valutazione del danno in pensionistica privilegiata o rdinaria, dipendenza da causa di servizio, equo indennizzo e dispensa dal s.m .. Non solo per q uesto motivo, già di per sé valido, ma anche per le caratteristiche generali del trattato, che nella fattispecie rappresenta il più aggiornato strumento di puntualizzazione concettuale e valutativa, se ne raccomanda assai vivamente ]'inserimento nelle biblioteche degli enti correlati con l'organizzazione sanitaria e giudiziaria militare.

M. CmoNE


RECENSIONI DA RIVISTE E GIORNALI

MALATTIE INFETTIVE D10P MAR I., Sow A., LAFAJX CH., R EY M. : La Diphtérie à Dakar. d'Afrique Noire de Langue Francaise, 1972, 17, 1 - IO.

Bui!. Soc. Méd.

Per lungo tempo la d ifterite è stata considerata una malattia molto rara, per non dire inesisrente, nell'Africa tropicale. Ciò nonostante, alcune inchieste sierologiche attraverso la reazione di Schick hanno rivelato, malgraJ o l a rarità delle manifestazioni anginose, che l'immunità ancidifterica si acquisisce molto presto. A Dakar, ove la presenza della malattia è stata segnalata ncl 1900 da Armengaud, gli AA. hanno stud iato 575 casi ospedalizzati in 4 an ni: in 226 soggetti la diagnosi fu accertata batteriologicamente. L'incidenza annuale fu di 26 c asi per centomila abitanti; la suddivisione in base all'età ha mostrato che la malattia colpisce pressoché esclusivamente soggetti era 6 mesi e 5 anni. Il 79,4 % dei casi studiaci era costituito dalle forme comuni, mentre il 20,6% era costituito Ja forme gravi o maligne. Tra tutti i 575 malati vi furono 1.39 decessi: la morte fu dovuta a forme con particolare malignità iniziale (20,1°/4), al croup (39,4 %), alle complicazioni tossiche secondarie : miocardite (31,6%) e paralisi (8 6 % ). Gli AA. concludono che, se l'infezione d ifterica il più delle volte passa inosservata nei Paesi africani, ciò non si verifica a Dakar ove la difterite occupa il quinto posto tra le malattie infettive trasmissibili.

M. D 1 MARTINO

MLHALCU F., PASOLEScu O., CoBAN V., CucrUREANU G., Du~11TREseu S.: Aspects actuels de la Méningite cérébro - spinale épidémique en Roumanie. - Arch. Roumaines Path. Expérimentale et Microb., 1972, 31, 125 - 133. A partire dal febbraio 1g69 la Romania ha presentato un notevole aumento dei casi di meningite cerebro - spinale con un massimo nel mese di maggio. Dopo un periodo di declino con incidenza minima in settembre - ottobre si è verificata una nuo•v a ondata epidemica, su periore alla precedente, con la punta più elevata nel marzo 1970. Nel 196g il numero totale de i casi è stato di 687 (103 nel 1968) e d i 1.053 nel 1970. Questa riaccensione epidemica rappresenta la terza e la più importante ondata epidemica di meningite c.s. degli ultimi 40 anni: la prima si ebbe nel 1943 con 870 casi (5 ogni centcmila abitanti) e la secoIJda nel periodo 1949 - 54 con 6oo - 650 casi per anno.


La morbosità annuale interepidemica è in media di 100 casi e tale valore rappresenta l'indice dell'endemia di q uesta affezione. La situazione epidemiologica a ttuale è stata caratterizzata dalla comparsa di f0colai con più di un caso in una stessa collettività (famiglie, scuole, ecc.). La distribuzione geografica ha mostrato per il 19i59 una inciden-;;a sensibilmente più elevata nel nord del Paese. L'analisi della distribuzione dei casi per gruppi di età mostra che l'incidenza più elevata si è avuta nella classe compresa tra o ed I anno. Il numero dei colpiti diminuisce di più del doppio lino all'età d i 5 anni, raggiunge una incidenza quasi costante nei soggetti da 5 a 9 anni e da 10 a 14 anni e presenta una sensibile diminuzione nei soggeui di. età superiore ai 15 anni. Al contrario di quanto accaduto nei periodi precedenti, che hanno visto prcv~lcr_e il tipo B, nel 1969 -70 sono stati isolaci pressoché esclusivamente ceppi di N. men1ng•tidis di tipo A. La determinazione della sensibilità agli antibiotici cd ai chemioterapici ha mostrato che il 41,38% dei ceppi di tipo A era resistente ai sulfamidici, il 4,59% aUa penicillina cd il 2,30°,~ alla streptomicina. T utti i ceppi si sono rivelaci sensibili al cloranfenicolo, aureomicina, eritromicina e tetraciclina.

M. D1 MARTINO

IGIENE A., M ONTACUTELLI R.: V n rapido metodo per la identificazione dell'E. coli nel test di conferma mediante uso di Agar di Levine incubato a 44°C. Nuovi Ann. Ig. Microb., 1972, 23, 239 - 256.

BELLANTE G., D ' ARCA

Gli AA. illustrano la messa a punto di un metodo per l'evidenziamento selettivo dell'E. coli sopranutto nei confronti delle numerose altre specie di colonbatteri che coesistono con l'E. coli in vari materiali ed ambienti naturali. Tale metodo, che si caratterizza per la estrema semplicità e la rapidirà dei risultati. consente di poter avere dati precisi circa la consistenza numerica dell'E . coli nel giro di sole 24 ore. A tal fine viene utilizzato, quale mezzo selettivo, il terreno solido all'eosina bleu di metilene (o Agar d i Levine) il q uale, una volta insemenzato in superFicic con una ansata delle colture dimostratesi fertili al test presuntivo, viene incubato in rermosrato a + 44°C ± 0,5. Lo sviluppo in 18 - 24 ore di colonie con la tipica fluorescenza metallica sta ad indicare la presenza di E. coli. La conferma della validità di q uesta metodica è stata ottenuta saggiando 575 stipiti d i colonbatteri di varia provenienza, appartenenti ai generi E. coli, E. inrermcdiu m, A. aerogenes. Le prove sono state eseguite utilizzando come verifica e termine di confronto il metodo raccomandato dal Comitato degli Esperti dcll'O.M.S. che impiega il Brodo Biliato Vcrde Brillante incubato in bagnomaria a + 44°C per 24 ore. L' indagine ha fornito risu! tati molto interessanti nel senso che la quasi totalità (99,27% ) degli stipiti di E. coli seminati su terreno di Levine ed incubati a + 44°C si sono sviluppati dopo 18 - 24 ore presentando la tipica fluorescenza metallica, mentre non si è avuto, nelle stesse condizioni sperimentali, sviluppo di alcuno degh stipiti di A. aerogencs.


CARDIOLOGIA

BuRCH G. E., G1LES T. D.: Angle of traction o/ the papillary muscle in norma! and dilated heat·tsx: A theoretic analysis of its importance m mitra! valve dynamics. Am. H eart J., HJ72, 84, 14r - 144. I muscoli papillari (MMPP) sn. sono cosùtuenti importanti dell'apparato valvolare mitralico; essi, durante la sistole ventricolare, sviluppano necessariamente una tensione per impedire che i lembi valvolari si cstroflettano nell'atrio sn. e provochino così un rigurgito di sangue. La forza in dine esercitata sui lembi mitralici è data dal prodotto della pressione intravenrricolare (in mmHg) per l'area dell'orificio mitralico (in cmq) e per la costante 1.3333; essa è sostenuta per la metà dalla parete ventricolare e dall'annulus mitralico e per l'altra metà dai due MMPP. In base ad osservazioni anatomiche si è visto che i MMPP formano, nella protosistole, un angolo di trazione di ca.45° con l'orificio mitralico nel punto di attacco dei lembi valvolari, mentre nella telesistole, riducendosi il raggio del ventricolo sn., quest'angolo aumenta sino a ca.90°. Gli AA. hanno pertanto calcolato, su considerazioni teoriche, che ogni MP dovrà sopporta.re, in protosistolc, una forza di 3,01 per I05 dine, mentre, in telcsistole, nonostante l'aumento della pressione intraventricolarc, ma a causa del migliorato angolo di trazione (da 45° a 90°, cioè perpendicolare), detta forza si ridurrà del 30% , cioè a 2,68 per 105 d ine; in defi niùva, quindi, si ha una diminuzione parabolica del carico lavoro imposto a ciascun MP durante la sistole. Nel cuore dilatato invece, essendo modificati, fra l'altro, l'area deli'orificio mitralico e l'angolo di trazione, che è sceso a ca.30°, la forza di trazione per ciascun MP sale a 6,9 per 10" dine, in prorosisto!e; in telesistole, l'angolo di trazione si modifica scarsamente, arrivando a volte a ca.35°, per cui, in questa fase del ciclo cardiaco sistolico viene a mancare il vantaggio meccanico del m igliorato orientamento spaziale dell'angolo di trazione e la forza sale ancora a 7,54 per 105 dine. Se questo è il danno del carico per ogni MP e per sistole, gli AA. hanno calcolato che in un giorno detto carico (che in un cuore normale si aggira sulle 19 tonnellate), nel cuore dilatato si aggrava di altre 5,7 tonnellate. Poiché il cuore dilatato è un cuore ammalato, i suoi MMPP debbono eseguire questo lavoro in condizioni di circolo coronarico non efficienti e q uindi più facilmente potranno essere soggetti ad ischemia. A questo si aggiunga che, poiché la forza sviluppata dai MMPP è esercitata anche sulla parete ventricolare sn., aiutando così la contrazione ventricolare, nel cuore dilatato questo vantaggio meccanico è perduto.

MELCHIO:-IDA

H. D.: Concerning the etiology o/ congenita/ cardiac disease. I-kart J., 1972, 84, 437 - 440.

R uTIEMBERG

Am.

Di fronte all'intenso sforzo scientifico che la medicina sta affrontando intensamente nella prevenzione e nella cura del ca11cro e del!e cardiopatie acquisite, ancora piuttosto modesto è l'interessamento nella prevenzione dei difetti congeniti cd in particolar modo d i quelli del cuore, mentre essi incidono notevolmente sia sul danno fisico e psicologico delle persone colpite e dei loro familiari sia sul costo della loro cura. Se ampia è la varietà delle cardiopatie congenite (CC), circa 1'85% di esse sono formate da un numero relativamente piccolo di lesioni ; la malformazione più fre-


rr6 quente è rappresentata dal difetto del setto interventricolare, seguita a distanza dalla pervietà del dotto arterioso, dal difetto del setto interatriale, dalla coartazione dell'aona, dalle stenosi valvolar i polmonare ed aortica, dalla tetralogia di Fallot e dalla trasposizione dei grossi vasi. Per prevenire le CC è necessario naturalmente per primo comprendere la loro etiologia e la loro patogenesi. Per quanto riguarda i fattori etio!ogici, essi possono essere ambientali (infezioni virali, radiazioni, forse farmaci) e genetici (anor malità cromosomiche familiari ed ereditarie). L' A. esamina criticamente tutti questi fattori, formulando soprattutto quattro questioni fondamentali : l) Quale dei tre processi fondamentali (mitosi, differenziazione, morfogenesi) è soprattutto influenzato? 2) In quale misura l'evento di sviluppo è controllato dalla influenza ambienta'e sulla cellula? 3) In quale misura il patrimonio genetico della cellula altera gli effetti delle influenze ambientali? 4) In quale stadio della gestazione un agente etiologico agisce per produrre una CC nell'uomo? Vasta è la letterarnra su questo argomento, ma non ancora abbondanti sono le ricerche cliniche e sperimentali per potere rispondere a questi quesiti. E' molto suggestivo considerare i virus come possibili fattori etiologici nella produzione delle CC ed a questo proposito l'A. riporta i dati di un prossimo studio di Overall, nel q uale l'evidenza dei dati suggerisce che i virus sono solo dei fattori etiologici minori nella produzione delle CC. Una migliore comprensione, però, dei meccanismi di base della interazione viro - cellulare, conclude l' A., può condurre alla comprensione dei meccanismi patogenetici di altri fattori ed eventualmente a quella dei mezzi preventivi. Forse le ricerche future proveranno che gli agenti virali sono in realtà un fattore più importante nella teratogenesi di quanto la conoscenza presente ci induca ad ammettere. Mf.LCH !ONDA

MEDICINA LEGALE DURANTE E., CITTADINI A.:

Aspetti medico - legali del!' uso dei pacemakers in terapia. Gazzetta Sanitaria, voi. XLI II, 1972, n. I - 2, pagg. 28 - 35.

Dopo aver ricordato che i pacernakers vengono adoperati nei casi di blocco atrioventricolare con disturbi della conduzione dello stimolo dagli atri ai ventricoli cd aver segnalato le varie complicanze dell'impianto di un ritmarore, gli AA. passano alla qualificazione di tale tipo di strumento per il quale ribadiscono il carattere di «protesi >) in quanto sostituisce una unità anawmofunzionale o parte di essa con altra artificiale ed eterologa. Precisano quindi che il ritmatore, in quanto chiamato a surrogare l'attività di conduzione e ritmazione dello stimolo cardiaco, è da ritenere sostitutivo nel solo ambito funzionale. Dopo tal.i premesse, gli AA. passano a considerare i vari riflessi dell'uso dei pacemakers nei vari campi applicativi della medicina legale. Nei riflessi dell'art. 583 del Codice Penale ne discende la irrilevanza giuridica sia riguardo la riparabilità del danno (essendo stato comunque compromesso il bene della integrità somatopsichica tutelato dalla norma), sia riguardo la conlìgurabilità delle cir-


costanze aggravanti (indebolimento di un organo - malattia insanabile), in conseguenza delle numerose complicanze che può comportare l'uso d i tali protesi. In campo infortunistico, secondo il pensiero degli AA., l'istituto assicuratore dovrebbe essere tenuto alla fornitura de1la protesi in questione, se non altrimenti, da parte della speciale gestione per l'assistenza materiale e morale dei grandi invalidi del lavoro. Riguardo le altre ipatesi di reato, come quelli di omicidio colposo o di lesione personale colposa, la condotta del medico deve essere massimamente ispirata ai principi della diligenza, prudenza e della perizia. Nei riflessi civilistici « colpa grave ,, deve attribuirsi al sanitario non adeguatamente esperto e non dotato di attrezzature idonee per un atto professionale di non comune impegno tecnico, così come « colpa grave i, deve riconoscersi al cardiochirurgo che nel corso dell'intervento causi nel paziente, per negligenza, delle lesioni, te nuto conto dell'abilità tecnica necessaria a risolvere il problema trattato. N. BARSI\GALLO


SOMMARI DI RIVISTE MEDICO - MILITARI

INTERNAZIONALE REVUE INTERNATIONALE DES SERVICES DE SANT.É DES ARMÉES DE TERRE, DE MER ET DE L 'AIR (A. 46, n. 3, i973): E. E.: VI Corso Internazionale di Perfezionamento per Giovani Medici Militari - Libourne (Francia), 18 - 28 sertembre 1972; Sudries A.: Studio in vitro dell'azione del Lactacyd su germi patogeni, candida albicans, funghi a cultura lenta. REVUE INTERNATJONALE DES SERVICES DE SANTB DES ARMéES DE TERRE, DE MER ET DE L'AIR (A. 46, n. 4, 1973): Pons f.: Sull'interesse di una collaborazione chirurgico - protesica precoce dei lesi maxillo - facciali; Acuna E.: Organizzazione e funzionamento dei servizi odontoiatrici della Marina messicana; Euroza /. Y.: Organizzazione e funzionamemo dei servizi odontoiatrici dell'Esercito messicano; Reygadas F.: Programma di odontoiatria prevemiv,a nelle FF.AA. messicane; Reda Mabrouk A. W., Alfi A. F.: Trattamento delle ferite maxillo-facciali da shrapnel I; Sudries A. : Azione del Dermacide sui ceppi patogeni selvaggi e sui funghi. REVUE INTERNAT.IONALE DES SERVICES DE SANTÉ DES ARMBES DE TERRE, DE MER ET DE L 'AIR (A. 46, n. 5, r973): Evrard E.: 11 futuro della protezione giuridica dei trasporci sanitari per via aerea in occasione di conflitti armati; Maldonado Simoes A.: Ossigenoterapia iperbarica; Dias E., Paredes F.: Trattamento chirurgico delle causticazioni da agenti chimici; Guérin R., Payet L.: Sperimentazioni cliniche e discussione sulla terapia con Oogmatil; Picard R.: Un nuovo sale d'eparina sottocutaneo nel trattamento delle urgenze trombo - emboliche (epa.rinato di magnesio). REVUE fNTERNATIONALE DES SERVICES DE SANTI! DES ARMÉES DE TERRE, DE MER ET DE L 'AIR (A. 46, n. 6, 1973): Jeffrey H. C.: L'organizzazione dei servizi emotrasfusionali in tempo di guerra; Shields C. E.: Esperienze di impiego di sangue conservato negli Stati Uniti e nel Vietnam; Va/eri C. R.: Conservazione dei globuli rossi; Saint - Blancard f.: Condizioni di utilizzazione del caprilato per frazionare le proteine del plasma; lappola C., Maffei G., Cu1ull D. L., Amiconi G., Antonini E . : Modificazioni biochimiche nel sangue conservato: diminuzione dell'attività riduttiva della metemoglobina durante la conservazione di sangue ACD.

ITALIA

ANNALI DI MEDICINA NAVALE (A. LXXVIII, fase. III, luglio - settembre 1973): Buono S.: Relazione sulla incidenza delle malattie negli allievi volontari durante lo svolgimento dei corsi presso Mariscuole di Taranto; Fanci U.: Attuali conoscenze


I J9

sulle caratteristiche microbiologiche delle acque dei mari e dei litorali e sulla loro autodepurazione; Cafiero V.: Ipoacusia e simulazione; Duce T., Ghittoni L.: Moderni orientamenti sulla classificazione ed il meccanismo d'azione dei farmaci antiaritmici; Lucm·iello A.: Le epatiti croniche evolutive; Sabatini C.: La ricomparsa della scabbia; Terzi f.: Considerazioni sui servizi mobili cmotrasfusionali in campagna; Muscarà M. : Selezione socio - psichiatrica dei giovani affluiti alle scuole militari in cinque anni. RIVlSTA DI MEDICINA AERONAUTICA E SPAZIALE (A. XXXVI, n. 1 - 2 , gennaio - giugno 1973): Vacca C., Koch C., Pizzuti G. P., Castagliuolo P., Pelagalli G. V.: Sviluppo dell'orecchio interno in embrioni di ratti albini sottoposti ad ipossia discontinua. Ricerche istochimiche; Zardi O., Nobili G., Adorisio E., wlli C., Fischetti M.: Indagine epidemiologica per la rosolia in un campione di soggetti apparentemente sani; Rizzo M., Rizzo P. A.: Indagini psicodiagnostiche su un gruppo di piloti militari; Tricarico A.: Stabilità attentiva in volo ed apprendimento del pilotaggio; Rota P.: Efficienza del rapporto uomo - macchina in condizioni ambientali sfavorevoli nell'ambito militare; Rotondo G.: Lo sport nell'età evolutiva e la formazione sportiva dei giovani, con particolare riferimento all'attitudine dei giovani al pilotaggio aereo ed al contributo dello sport quale mezzo di potenziamento fisiopsichico dell'aviatore; Ruggie,·i G.: L'educazione sanitaria.

ARGENTINA REVfSTA DE LA SANIDAD MILTTAR ARGENTINA (A. LXXII, n. r, gennaio- aprile 1973): Torrado O. A ., Bedini /. F., Suarez M.: Immunizzazione attiva e passiva mediante vaccini preparatj con pseudomonas pyoceanea; Santoro F. A., De Marco f. M., Sendra A.: Risultati della tecnica di Bernardi in 50 casi operati di varico.ccle sinistro; Bagnarelli A. E.: T ecnologia della liofilizzazione dei prodotti farmaceutici: ac. ascorbico; Riu /. A., Basile A. A.: Vita di Francisco dc Veyga e considerazioni sulla sua classificazione criminologica; Equioiz L. P., Silva G. A., Patalossi W.: Epatotossicità della associazione isoniazide - ctamburolo; Befarano f. F. R., De Celis M. R.: TI morbo di Chagas - Mazza nella provincia della Pampa.

BELGIO ACTA BELGICA DE ARTE MEDICINALI ET PHARMACEUTICA MILITARI (A. 125, n. 1-2 - 3 - 4, 1972) : Van Houte O., Kesteloot H.: Inchiesta epidemiologica cardio - vascolare nell'ambito dell'Eserciro belga nel 11i8; Verriest G., Van De Casteele /.: li campo visivo clinico.

FRANCIA MÉDECINE ET ARMÉES (voi. 1, n. 6, settembre - ottobre 1973): Bertrand E., Le Bras M., Bouchez P.: Epidemiologia delle epatiti virali e loro prevenzione mediante

gamma - globuline; Gillyboeuf G.: Il Servizio di Sanità delle FF.AA. in guerra; Delaliaye R. P., Sturrnck P.: Voli ad alta quota e railiobiologia; Frossard H., Arnaud G., Morin D.: Controllo medico . radiobiologico del personale esposto alle radiazioni ioniz-


uo zanti; Kiger f. L.: Influenza dei fanori fisici sulla stabilità dei medicamenti urilizzati nelle FF.AA.; And,·e L. f.: Il trattamento dell'amebiasi nel 1973; Labat f., Le Hunsec f.: Cecità isterica e cecità corticale; Duriez R.: Come formulare la diagnosi di una anemia; Goasguen /., Laurens A.: La drepanocitosi; Laurens A.: Una malattia misconosciuta: l'istiolinfocitosi midollare splenica delh'adulco; Misson R., Guenard C., Bobin P., Mitlet P., Arnoux D.: Pitiriasi rosea del Gibert; Meumà f.: Difesa contro l'arma chimica. LE MÉDECIN DE RÉSERVE (A. 6g, n. 4, settembre - ottobre r973): Gillyboeuf G.: Calcoli e tempi in tattica sanitaria; Rostren: Medico della Legione; Sellie,·: Segreto medico in ambiente militare.

LE PHARMACIEN DE RÉSERVE (A. 67, n. r, 1° trimestre 1973): Bourgain: Rassegna di alcuni metodi moderni di analisi strumentale; Yout: Fisiopatologia dell'immersione sottomarina. LE PHARMACfEN DE RÉSERVE (A. 67, n. 2, 2° trimestre 1973): Pelt f. M .: L'ambiente: moda passeggera o scienza della felicità; Ducros: Impiego del superossido di K per la rigenerazione dell'aria delle atmosfere confinate.

GRECIA

!ATRJKJ EPITHEORISIS (voi. 7, n. 3, giugno 1973): Scarpalezos S., Lygidakis C., Velentzas N., Souretis f.: Reperti elettromiografici misti di paresi neurogena e miogena in alcuni casi cLl atrofia muscolare periferica; Vlassis S., Paterakis f., Pappas /., Papavasiliou C., Vasiliadis E.: Radioterapia di supervo!taggio nel carcinoma esofageo a fini palliativi; Spyrou K. , Toutouzas P., Kodomakos A., Lalos J., Demitriades P.: L'elettrocardiogramma nella spondilite anchilosante; Koliopoulos f., Palimeris G., Velissaropoulos P.: Problemi immunologici nell'uveite; Schizas N., A ndriopoulos N., Lalos /., Chlapoutakis E.: Il test di riduzione al nicroblu - cetrazolio su neutrofili in vitro in pazienti adulti con varie malattie; Demoeliopoulos f., Moschos M., Tsianos C., Nacos A.: La prevalenz:i del lobo azygos; Mavroyorgos C.: Emorragia subaracnoidea e cranamento della rottura di aneurismi endocranici; Mandalaki- Yannitsiotou T.: Trasfusione di piastrine, leucociti e derivati del plasma; Velentzas C., lkkos D.: Gravidanza nella sindrome di Sheehan; Kotsifopoulos P.: Manifestazioni dell'anemia emolitica congenita nel neonato; Stratigos f., Vareltzidis A., Capetanakis f.: Sifilide congeni ta; Tsolakidis F., Kinnas P.: Reazioni immunitarie umane contro il cancro; Papoutsakis S.: Trapianto intestinale; Panetsos A.: Alcuni suggeri men ci in tema di controllo degli alimenti in Grecia; Polymenides A., Protopappas T.: La qualità dei prodotti carnei; Soumbasis P., ùekos D., Papadopoulos A., Andritsakis G., Vasilicos C., Avgoustakis D.: Trilogia di Fallot; Sevastos N., Manousos O., Pratsika - Ougoudoglou K., Mountokalakis T. , Kom.ninos Z.: Sindrome di Zieve; Garyfallos C., Amarantos S., Angdidis A.: Stato epilettico ndl'avvelcnamento acuto con esplosivo plastico C4; Tossios f., Kalakonas P., Zlatanos A.: Un caso di rara ghiandola salivare ectopica; Efstatl1iou K.: Diagnosi clinica di insufficienza mitralica acuta; Deliyannakis E.: Persistente sindrome extrapiramidale ipercinetica dopo somministrazione intramuscolare di gamma- globuline; Psarras A.: Chirurgo ed anestesista; Karachalios G.: Convulsioni da farmaci.


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INGHILTERRA JOURNAL OF THE ROY AL ARMY MEDICAL CORPS (voi. l 19, n. 4, ottobre 1973): Conferenza clinica combinata delle FF.AA. anglo -canadesi (8 - 10 maggio 1973); Vellacott H. D. S.: 12 mesi di esperienza con un'unità chirurgica campale in Italia nel 1944- 1945; MacNair D. I.: Un semplice sistema di anestesia campale avanzata; Owen Smith A.: Ascessi post - BCG nei figli dei militari australiani; Padgett L. W.: Parto dopo precedenti cesarei; Bel! R. L.: I quartieri generali di Miss Nightingale.

JUGOSLAVIA

VOJNOSANITETSKI PREGLED (A. XXX, n. 4, luglio - agosto 1973): Vo7vodic V. e Coli,.: Velocità di riassorbimento dell'antidoto TMB - 4 Cl2 dopo somministrazione intramuscolare mediante iniezione, diretta ed autoiniettore in animali di controllo ed intossicati; Risavi A.: Esame della barofunzione dell'orecchio medio mediante il metodo di impedimento; Sokolovski B. e Coli.: E sperienze di eradicazione della dissenteria epidemica mediante una dose singola di ossitetraciclina; Stankovic D. e Col!.: Esperienze ottenute nell'applicazione della tecnica degli anticorpi fluorescenti nella diagnosi della sifilide; Pejuskovic B. e Coll.: Possibilità di decontaminazione radioattiva dei materiali sanitari in condizioni campali; Biocina f.: f\ problema della terapia anticoagulante protratta dopo infarto acuto del miocardio; Lesic Z. e Coll.: Problemi diagnostico - terapeutici negli accidenti cerebro - vascolari; TajfI D. e Coli. : Cefalosporina perorale; Lutovac M. e Coll.: Grave complicazione endocranica otogena combinata; Markovic B.: Lesioni della parete della vescica urinaria durante erniotomia; Birtasevic B.: Il ruolo di alcuni fattori ecologici nell'epidemiologia dell'epatite virale.

PORTOGALLO REVISTA PORTUGUESA DE MEDICINA MILITAR (A. 2r, n. 1, 1973): Cordeim Farraia da Grafa, f.: Studio sul la condensazione di umidità nelle carcasse di ovino refrigerate e congelate; Cruz Ferreira F. S.: Integrazione delle malattie tropicali nell'insegnamento medico universitario; Diaz Flores L., Perez de Vargas ]., Ortiz U,·diain G., Ortiz Gonzalez A.: Studio istochimico ed ultrastrutturale delle alterazioni epatiche dopo intossicazione sperimentale con metilcellulosa; Rodriguez Viegas N.: Epidermolisi bollosa semplice; Petit A.: Alcune misure preventive in caso cli aggressione da esteri organofosforici; Sager H.: Problemi concernenti i materiali di medicatura nell'Esercitosv1zzero.

REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA WEHR:tv1EDIZINISCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. 1, gennaio 1973): Brickenstein R., Faust V.: Le condizioni meteorologiche influenzano la frequenza del suicidio nelle FF. AA. Federali?; Schafer R.: L1 morte di militari delle FF. AA. Federali come risultato di rottura di aneurisma aortico; Weger K. W., Skoluda D., Altwein f. E., Mairose U. B.: Melanoma maligno come causa di morte di militari delle FF. AA. della Germania Occidentale. WEHRMEDIZINTSCHE MONATSSCHRIFT (A . 17, n. 2, febbraio 1973): Kinzl L., Wolter D.: Possibilità del trattamento chirurgico delle fratture; Schirnier M.: Pro-

8. - M.


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cedure neurochirurgiche negli infortuni interessanti i dischi intervertebrali lombari; Breitenfe/der /.: Malattia di Bechterew e sua diagnosi precoce; Schalkhiiuser K.: Biopsia prostatica ambulatoriale; Stocker U.: Razionale impiego del sangue conservato mediante frazionamento dei suoi componenti. WEHR1'1EDIZfNfSCHE MONATSSCHRlFT (A. T7, n. 3, marzo 1973): Knick B.: Diagnostica ormonale nell'obesità e nel d iabete mellito; Saager T.: L, tracheotomia nella cura intensiva; Weber V., Domres B.: Misure chirurgiche per il trattamento <li morsi di animali; Michaelis W., Ricken G.: Tratti caratteristici di personalità dei sommozzatori. WEHRMEDTZINISCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. 4, aprile r973): Schmahl K., Schriip!er P.: Diagnosi e trattamento della sindrome da iperventilazione; Baldauf

H., Fischer H., Liebaldt G.: Patogenesi della rottura spontanea dell'aorta; Rieh W.: Trart:amcnto loca.le delle ustioni. WEHRMEDTZINISCHE MONATSSCHRJFT (A. 17, n. 5, maggio 1973): Sauer H. /., Schmidt H. /., Schiifer E.: Probiemi di clépistage del.l'antigene epatitico B; Van Husen N.: Esperienze cliniche con la rilevazione radioimmunologica dell'antigene Australia; Piissler H. H., Pfarr B.: Complicazion i del cateterismo della vena cava; Balbach R.: Porfiria acuta intermittente. Diagnosi differenziale nell'addome acuto. WEHRMEDIZI ISCHE MONATSSCHRIFT (A. r7, n. 6, giugno r973): Schmah! K.: Esperienze cliniche sulla valutazione cardiologica di idoneità al servizio militare; Pol!man11 L.: Coordinazione di frequenza era ritmo cardiaco e respiratorio durante il sonno notturno; K;rppas H.: T est sierologico per la diagnosi delle malattie renali; Evers H. D., Lorch lV.: Assorbimemo di stagno da parte ciel latte condensato contenuto in scatole aperte; Schulze W.: Sul signifìcato delle malattie tropicali alle nostre latitudini.

ROMANIA REVISTA SANITARA MILITARA ( n. 3, 1973): Zamfi1· C., Tu,·cu E., Efanov A., Macarie C.: Alcuni aspecrj della miocardiopatia idiopatica non -ostruttiva cronica; Apreotesei C., Macarie O., Conicescu O.: lmplicazioni <lei m etabolismo lipidico in patologia; Litarczek G.: T erapia vasoattiva e cardiotonica nel trattamento dei disturbi circolatori dello shock e del collasso; Popescu C., Rosea A.: Aspetti <lei rischio operatorio nello shock con postumi epatici; Suteu !., Bobulescu G. E., Bucur A. I.: Correlazioni tra sistema ABO ed ulcera duodenale, ulcera gastrica e cancro gastrico; Grigorescu C., Marinescu I.: Considerazioni clinico - statistiche sulle cisti idatidee renali; Vainer E., Socosan G., Zamfìr C. N., Serban L.: Considerazioni sulle alterazioni bronchiali nelle adenopacie tracheo - bronchiali tubercolari Jj prima infezione nei giovani; Moldovan f., Gorscovoz V., George;cu l. , Popescu V., Gociu A .: Problemi diagnosticoterapeutici delle adenopatie cervicali; Neagoe G.: Ferite addominali con imeressamento duodenale; Ciobanu V., Tonitza P., Burdescu C.: Meccanjsmo fisiopatologico e terapia d'urgenza delle lesioni traumatiche del sigma e del retro; Ciuca T., Landesman. V.: Studio comparativo dei tre metodi impiegati nella diagnosi della moniliasi vulvovaginale; Pintilie I.: Aspetti fisiologici e fisiopatologici dell'imponderabilirà; Caliani S.: Indicazioni e controindicazioni degli sgomberi sanitari con elicottero; Mladinas D., Ordea11u V.: Consulenza medico- militare in marina per la selezione ed il controllo


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periodico dei palombari; Tudor V., Armasu V., Tocan G., Mihailescu F.: Consideraz ioni cl inico - epidemiologiche su un focolaio di trichinosi in una comunità militare; Nastoiu f. V.: Eosinofilia post -vaccùiale; Banacu I., Botez N.: Occhio rosso; Jonescu C.: Un precursore della medicina aeronautica, il Gen. Med. Dr. Victor Anastasiu.

SPAGNA REVTSTA DE SANIDAD MILITAR (voi. XXXV, n. 6, giugno 1973): I.luna Reig R .: Anemia emolitica del neonato cd cxanguinotrasfusione; Dominguez A1'l'i11iega P.: La radiologia nella sindrome di malassorbimento; Antona Gomez G.: Pressione venosa: sua imp0rtanza in anestesiologia e rianimazione. REVTSTA DE SANIDAD MILITAR (voi. XXXV, n. 7, luglio 1973): Mercha11 Vazquez R.: Chirurgia e dolore; Lopez Fernandez G., Hernandez Gai-rido R., Diz Pintado M., Mena Gomez A., De la Torre Feniandez /. M.: I pertensione secondaria a cisti renale; Perez Puig f. A.: Osteomielite <lella mandibola; Muiioz Cardo11a P.: Il trattamento delle lesioni trofiche nelle infermità arteriose e venose degli arti mediante terapia a livello cellulare; Alvarez Fernandez E., Moraga Llop F.: Porpora necrotica di Sheldon; Montero Vazquez /., De la Fuente Gonzalez M.: Studio statistico e considerazioni sulla dominanza emisferica; Pe,·ez Puig f . A ., fim enez Garcia A.: Un nuovo contributo allo studio delle catene ga nglionari della regione cervicale; Garda M arcos F., Wilhelmi Castro f. , Esteban H emandez A ., 01·tiz de Vi!lajos E., Rebollar Mesa /. , l-lel'l'era de la Rosa A .: Microliriasi alveolare polmonare dimostrata mediame biopsia.

SVIZZERA SCHWETZERlSCHE ZETTSCHRTFT POR MILITARMEDTZT (voi. 50, n. 2 , ottobre 1973): Corboz R. /., Stoll W. A.: Servizio psicologico militare dell'Esercito 1900- 1972; Waridel D.: Traumatismi toraco - addo minal i; l-lossli G.: Anestesia in condizioni campali; Morscher E.: Importanza delle deformazioni congenite e dei disturbi di crescita della colonna vertebrale dal punto di vista medico- m ilitare; Urs L.: Problemi psicologici militari dal punto di vista del medico scolastico; Haas H. C., La Roche U.: Servizio sanitario campale in artiglieria. SCHWE IZE RISCHE ZEITSCHRIFT FOR M!LITARMEDTZIN (vol. 50, n. 3, novembre HJ73): Messet'Schmidt O.: Riconoscimento e trattamento delle lesioni da radioattività e combinate in caso di offesa nucleare; Saube,.mann P.: Esperienze con un indice traumatologico. SCHWEfZERTSCHE ZEITSCHRIFT FOR MrLTTARMEDIZTN (voi. 50, n . 4, dicembre 1973): Kelferhals B. : rI trattamento dei traumi acustici acuti; Angst f., Bauman11 U.: Percezione sociale e personalità dal punto di vista dell'idoneità al servizio militare.

U.S.A. MILITARY MEDJCTNE (voi. 138, n. 6, giugno 1~m) : Wilbur R. S.: Tutti volontari: la medicina militare di domani; Garcia R . L., Davis C. M.: Acido paraammino-


benzoico, un più efficiente schermo solare; Eldridge B. F., Young D. G., Gerha,·dt

R. R.: Una ricerca per valutare i rischi potenziali di malattia umana lungo i tracciati del proposto canale al livello del mare in Panama e Colombia. III. Metodi di ricerca; Wenzel R. P., Adams /. F., Smith E. P.: Quadri di illecito uso di droga in pazienti con epatite virale; Edwards D., Gu11derso11 E., Holm V. M.: Scale prognostiche per i disturbi della personalità ai fini del servizio in marina; Flag J. A., Goffman ]. M.: Caratteristiche di reclute della marina con precedenti di uso di droga. MILITARY MEDICINE (voi. 138, n. 7, luglio 1973): Hardaway R. M.: Contributi della medicina militare a quella civile; Bridges J. R.: Uno studio sull'incidenza della malaria nelle montagne Que Son del Vietnam; Clyde D. F., Rebert C. C., Mc Carthy V. C., Miller R. M.: Profilassi della malaria nell'uomo usando il sulfone DFD con pirimetami11a; Srihongse S., Stacy H. G., Gauld f. R.: Una ricerca per valutare i potenziali rischi di malattia umana lungo i tracciati del proposto canale al livello del mare in Panama e Colombia. IV. Controllo degli arbovirus nell'uomo; Harris f. O., Lischner M. W.: Tbc nel personale militare in servizio attivo; Edwards D., Gunderson E. K. E., Brown D. E., Taylor W. R.: Decisioni e risultati clinici in un servizio psichiatrico della Marina. MfLITARY MEDICINE (voi. 138, n. 8, agosto 1973): Meyer /. A., Kudand K. Z.: Valutazione controllata del Flurazepam cloruro, nuovo ipnotico non - barbiturico; W ells R. F., Dill /. E.: Lo stato attuale della ricerca dell'antigene epatitico al Brooke Anny Medical Center; Shugar R. D., Glasser S. P.: Elettrocardioversione sincronizzata contro quella non - sincronizzata; Ruben H. L.: Uno studio sulle comunicazioni tra il Walter Reed Army Medicai Center e le unità di igiene mentale circoscrizionali; T111der L. E.: Fratture delle ossa facciali e della mandibola in varie forme di trauma: studio <li 4.015 casi; Vick /. A., l-Ieiffe1· M. 1-I., Roberts C. R., Caldwell R. W., Nies A.: Trattamento dello shock emorragico con un nuovo vasodilatatore; Kobrine A. /., Kempe L... G.: Trattamento delle lesioni chiuse del capo; Feagin f. A., White A. A.: Ischemia di Volkmann trattata con fasciotomia transfìbulare; Maxon H. R., Rutsky E. A.: Diabete insipido resistente alla vasopressina associato con terapia a breve termine a base di demerilclortetraciclina (Declomycin).


NOT I ZIA RI O

NOTIZIE TECNICO - SCIEN TIFICHE L'an tigene Australia persiste in acqua fino al 16° giorno.

Lo hanno dimostrato in laboratorio A. !oli e S. Montebianco Abenavoli, dell'Istiruto di Igiene dell'Università di Messina, addizionando antigene Au a campioni di acqua distillata e di sorgente. In attesa di addivenire a conclusioni definitive circa gli effettivi rapporti esistenti tra antigene Au ed epatite suppo~ta virale, la ricerca offre un ulteriore contributo agli aspetti epidemiologici e profilattici dell'iniezione epatitica, tenuto conto che numerosi episodi epidemici di epatite infettiva sono stari correlati con l'utilizzazione di acqua inquinata a scopo potabile (da « Bollettino dell'I.S.M. >>, voi. 52, n. 2, marzo - aprile 1973, pp. 103 - 105).

Ripercussioni psicologiche in mogli di pazienti con infarto del miocardio.

M. Skcl ton e J. Dominian (<1 Br. Med. J. », 2, 101 - ro3, 14 aprile 1973) hanno studiato su 65 mogli di ricoverati in unità coronariche i riverberi psicologici dell'infarto miocardico del marito. Durante la fase infartuale sono stati evidenziati sentimenti di rovina, di depressione e di colpa. li 38% delle mogli visse ansiosam ente il successivo periodo di convalescenza per il ti more di recidive infartuali e per lo staro di tensione dovuto all'accresciuta irritabilità e di pendenza del coniuge; la situazione, ruttavia, migliorò nel tempo e, dopo un anno, solo 8 mogli mostravano ancora significativi d1sturbi psicologici.

Misurazione della pressione arteriosa m elicottero.

J. C. Dillon, W . Hollis e L. Vannostrand raccomandano l'impiego <li uno stetoscopio ultrasonico (« H emiosonide 2300 »), accoppiato con uno sfigmomanometro aneroide convenzionale, per rilevare i valori pressori di pazienti elitrasporcati e ne suggeriscono l' inserimento nelle cassette di pronto soccorso degli elicotteri adibiti a sgomberi sanitari. A differenza delle altre apparecchiature e metodiche sperimentate, sensibilmente disturbate dalla rumorosità e dalle vibrazioni ambientali, il metodo raccomandato ha fornito risultati altamente soddisfacenti con approssimaz ione non superiore a ± 10% ,rispetto ai dati sistolici e diastolici effettivi (da « JAMA », voi. 224, n. 3, 16 aprile 1973, pp. 400 - 401).


Il servizio sanitario integrale in via di realizzazione in Svizzera. In previsione delle implicazioni sanitarie, civili e militari, della guerra totale il Parlamento Federa!e Svizzero ha deFinito nel 1966 la sua concezione in materia di difesa nazionale e nel 1g68 ha incaricato il Capo del Servizio di Sanità Militare di pianificare e coordinare un servizio sanitario integrale. I mezzi disponibili provengono da tre fonti: r) il Servizio Sanitario della Protezione Civile a livello comunale, che assicurerà primi soccorsi e gli inccrventi chirurgici urgenti; 2) il Servizio Sanitario Cantonale, che dispone della rete ospedaliera più fitta del mondo; 3) il Servizio Sanitario Militare, che a livello ospedaliero è in grado di aumentare del 70% il numero dei posti - !erto impiantati in tempo di pace e che in caso di emergenza dispone del 46°-{, dei medici e del 26';0 degli infermieri esistenti in campo nazionale. Per quanto concerne i materiali sanitari e chimico - farmaceutici, le FF.AA. sono a<lcguata~cntc provviste, con magazzini diradati e grosse scorte di plasma e di succedanei del plasma messe a disposizione dalla C roce Rossa. Nel settore ospedaliero le FF.AA. prevedono l'immediaca coscitui.ione di 6o ospedali da 500 posti - letto, mentre la Protezione Civile dispone già di diecine di sale operatorie protette contro l'offesa nucleare. TI gruppo di lavoro « Servizio Sanitario Totale l>, istituito dal Capo del Servizio di Sanità Militare, non è rimasto inattivo nell'impresa coordinativa di estendere a livello periferico, cantonale e comunale, le deliberazioni organizzative già adottate in sede confederale : l'insegnamento universitario della chirurgia di guerra è stato approvato da diverse facoltà di medicina; la fusione dei posti di soccorso civile e militare, la decentralizzazione degli ospedali m i 1itari e la possibilità di ricovero in questi ultimi di pazienti sia civili che militari rappresentano significative realizzazioni del Paese pacilìco, ma previdente, che dette i natali a Henry Dunant (da « Rcvuc Int. des Scrviccs dc Santé des Armécs de Terre, de Mer et de l' Air })' A. 46, n. 5, r973, pp. 443 - 444).

Edema polmonare e morte da superdosaggio di eroina. S. B. Levine e E. T. Grirnes riferiscono che, nel quadriennio 1969 - I9'J2, tra i soldati americani in Vietnam si sono verilìcati 40 casi di decesso improvviso sicuramente attribuito ad iperdosaggio di eroina. La causa della morte, rivelata dall'esame autoptico, consisté in un grave edema polmonare, patogcncticamente analogo a quello che interviene ad alta quota per azione dell'ipossia sull'endotelio dei capillari polmonari (da « Arch. Palhol. », 95, 330 - 332, maggio r973).

Miele nelle piaghe da decubito. Lo raccomanda R. Blomlìeld, che lo ha impiegato con successo, mediante medicazioni da applicare localmente ogni 2 - 3 giorni, non solo nelle piaghe da decubito, ma anche nelle ustioni ed in altre lesioni cutanee ( da << JAMA )), vol. 224, n. 6, 7 maggio r973, pag. 905).


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Crisi convulsive accidentali non - epilettiche.

Su « L'Ospedale Psichiatrico >> (A. 41, fase. 2, aprile - giugno 1973, pp. 193 - 198) G. Rogliani ne riconduce la pacogenesi ai seguenti farcori: r) squi!ib,-io acuto del m etabolismo dell'acqua e degli elett,-oliti, come nella ingestione accidentale di quantità massive di Na Cl, con meccanismo patogenetico legato ad una iperidratazione intracellulare ed utilizzato in clinica nel test di idratazione alla pituitrina per la diagnosi dell'epilessia (ingestione di grandi quantità di acqua dopo somministrazione dell'ormone antidiuretico ipofisario);

2) ipoglicem ia (da iniezioni di insulina); 3) ipocalcemia (dopo ablazione o necrosi ischemica delle paratiroidi); 4) ca,-enza di piridossina, coenzima in forma di piridossalfosfaro di numerosi enz1m1 del metabolismo degli aminoacidi ed in particolare della glutamico - decarbossilasi che catalizza la decarbossilazione dell'ac. glucamico con formazione d i ac. y - aminobutirrico ad azione sedativa sulle sinapsi interneuroniche. La deficienza di piridossina, responsabile d i crisi convulsive accidentali, può verificarsi in conseguenza di carenze alimentari ovvero di somministrazio11e d i sostanze ad azione antivitaminica B6, quale l'idrazide dcll'ac. isonicotinico (TN I) che ha la proprietà di legarsi al piridossalfosfato formando u n isonicorinil - idrazone del piridossalfosfato, sprovvisto cli attività coenzimatica. Sulla base dell'esperienza acquisita presso il Reparto Tbc dell'Ospedale P sichiatrico Provinciale « L. Bianchi i> di Napoli (2 casi di crisi convulsive generalizzate e 3 di m ioclonie localizzate agli arti inferiori in pazienti non - epilettici di sesso femminile trattati con JN l), l'A. raccomanda l'adozione di misure preventive specifiche, consistenti nella somministrazione di vi ramina 8 6•

CONFERENZE All'Ospedale Militare di Caserta: Colonnello medico Prof. dr. Mario Orsini: « Gli agg,-essivi nerv1m e gli anticrittogamici >> (26 giugno t973). All'Ospedale Militare Principale di Milano: Colonnello medico dr. Gaetano Marchianò: « A ssociazione di m esenterium commune con situs viscerum in versus » ( 19 luglio 1973). T en. Colonnello medico dr. E ugenio Caldarella: cc Le anemie enzimopeniche >> (20 settembre r973). All'Ospedale Militare di Perugia: Col. Mcd. Dr. E ttore Scano: « Tachicardia parossistica: sintom atologia e t,-attamento >> (20 agosto 1973). Prof. Dr. Franco Maiotti: « Ulteriori osservazioni su due nuovi casi di balanopostite plasmocitaria di Zoon » (22 ottobre 1973). All'Ospedale Militare Principale di Roma: Comandante C. R. Valeri. MC, US : « Realizzazioni e prospettive sull'uso terapeutico del sangue congelato e dei suoi componenti >> (9 ottobre 1973).


NOTIZIE MILITARI Promozioni nel Corpo Sanitario Militare.

Da Colonnello a Maggior Generale Medico in spe: Tramonti Lucio Reginato Enrico Cironc Massimo Da Colonnello a Maggior Generale Medico « a disposizione»: Sunseri Salvatore Carra Giorgio Da Ten. Colonnello a Colonnello Medico m spe : Ruoppolo Gaetano Sarandrea Pasquale D el Rio Gavino Franceschini Giorgio Basile Rosario Rolle Ettore Iemmola Calogero Da Maggiore a Ten. Colonnello Medico in spe: La Cavcra Enrico Consigliere Francesco ChirulJi Franco Scagliusi Vincenzo De Santis Claud io Prezioso Enrico L iuzzo Basilio Di Diego Franco Ventre G uglielmo Aloia Onofrio Palmieri Pietro Inforna Calogero Parlangeli Renato Reyes Rodolfo Fusco Mario Sampò Franco Poy Carlo N inno Giuseppe Licciardello Sebastiano Parini Costante Reo Gabriele Mattarelli A ntonio Da Maggiore a Ten. Col. Chimico Farmacista 111 spe : Acquaro Armando A tutti i neo - promossi le più vive congratulazioni del nostro Giornale.


Specializzazione. Il Magg. Generale Medico Fisicaro dr. Angelo, ha conseguito il 22 gennaio 1974, presso l'Università degli Srudi di Roma, il diploma di specialista in « Chinesiterapia, Fisioterapia, Riabilitazione e Ginnastica Medica in Ortopedia.

NECROLOGI Magg. Generale Medico Dott. Giulio D e Vivo. TI 29 ottobre 1973 è improvvisamente mancato a Torre del Greco il Magg. Generale Medico ris. Dott. G iulio De Vivo. Nato ad Angri (Salerno) il 21 febbraio 1901, si laureò brillamemcme in Medicina e Chirurgia presso l'Università di apoli nel 1924 cd entrò nel Corpo Sanirario Milicare con il grado di Tenente Medico in spe nel 1927.

Impiegato per circa un decennio in Africa, partecipò alle operazioni di pacificazione della Cirenaica ed alle Cam pagne di Etiopia e cieli' Africa Settenrrionale, con reparti coloniali di prima linea e con significativi incarichi direttivi (Direttore di ospedali militari e da campo, Capo Ufficio Sanità delb gloriosa Divisione Corazzata « Ariete» e dell'l ntcndenza Libia in Tunisia, Presidente della Commissione Medico Legale di Guerra di Tunisi) nei quali rifulsero le Sue elette doti di Soldato valoroso e di Medico sprezzante del pericolo nell'a5solvimento della Sua nobile missione umanitaria, come è testimoniato dal conferimenro di 3 Croci d i Guerra al V.M., di 4 Croci al merito di guerra e di un encomio solenne.


Valga per tutte la motivazione di quest'ultimo, tributatoGli ad El Kteitat il 9 gennaio r929: « Ufficiale Medico distintosi in precedenti scontri coloniali, durante un aspro combattimento, sotto l'imperversare del fuoco nemico adempiva il Suo dovere di soldato e di medico con tanto valore da suscitare il plauso di tutti i combattenti della colonna operante ». Durante un intervallo dei cicli coloniali prese parte anche, quale Comandante della 133 Sezione Disinfezione, alle operazioni di guerra svoltesi sul fronte occidentale. Rientrato in Patria nel r943 con il grado di T enente Colonnello, diresse gli Ospedali Militari di Francavilla a Mare e di Pagani e Il'Infcrmeria Presidiaria di Caserta fino al 1950, allorché, per le Sue eccellenti capacilà direttive ed organizzative, fu chiamato a ricoprire l'incarico di Segretario della Direzione di Sanità del X C.M.T. di Napoli. Promosso Colonnello nel 1956, assunse la carica di Direttore dell'Ospedale Militare di Caserta, che tenne continuativamente fino all'epoca del collocamento in ausiliaria per erà (r96r), confermando le Sue preminenti qualità direttive, organizzative e professionali. In questo triste giorno i Colleghi della Sanità Militare dell"Esercito, attraverso le colonne del « Giornale di Medicina Militare», rendono al valoroso Medico - Soldato l'estremo saluto, unendosi, in silenziosa commozione, al cordoglio desolato dei familiari.

M. CIRONE

T en. Gen. Med. Dott. Carmelo Manganaro. Il 28 gennaio r974 è deceduto in Torino il Te nente Generale Medico della Riserva don. Carmelo Manganaro. La rievocazione delle più importanti tappe della Sua lung:i e luminosa carriera militare non richiede alcun commento ed è per se stessa in grado di scolpire la figura di un Medico, di un Ufficiale, cli un Capo, quale è stata nella più ampia accezione dei termini, quella del Tenente Generale Medico dott. Carmelo Manganaro. Laureatosi in medicina e chirurgia nell'Università di Napoli nel luglio del r907, Carmelo Manganaro entrò subito a far parte dell'Esercito nel novembre dello stesso anno, guale Allievo Ufficiale medico presso la Scuola di Applicazione di Sanità Militare di Firenze. Sottotenente di complemento 11el giugno del 1908, lo stesso anno passò nel servizio permanente effettivo. Tenente medico nel r9ro. el luglio del 1912 lo troviamo in Eritrea quale ufficiale medico del 5° Battaglione Indigeni. Durante la guerra italo - turca fu encomiato solennemente in occasione del l ungo e sanguinoso combattimento a Mabaruga, perché sprezzante di ogni pericolo prestò intelligenti ed dfìcaci cure a numerosi feriti, quasi sempre sulla linea di fuoco; si distinse anche nei fatti d'arme di Soria Scebi ed Eschida. Combattente nel 1° conflitto mondiale, venne impiegato in reparti operativi e formazioni sanitarie e presso l'Intendenza Generale. Su designazione del Comando Supremo fu inviato all'estero quale ufficiale medico delegato per importanti incarichi. Per otto anni - dal 1930 al 1938 - è stato insegnante presso la Scuola di Sanità Militare. H a assolto questo delicato ed impegnativo compito dedicandosi, con tenacia cd entusiasmo, alla formazione professionale degli allievi, sì che essi potessero corrispondere, insieme alla vocazione di medici, alle esigenze del Servizio Sanitario Militare. Io che ebbi la fortuna di averlo come Maestro ricordo le eccelse doti culturali,


morali e di carattere proprie della Sua personalità, in virtù delle quali Egli riuscì a forgiare degli uffìeiali medici pienamente consci dell'importanza della loro nobile missione cd animati da alto senso del dovere e i.pirico di sacrificio. E' stato Direttore dell'Ospedale Militare di Firenze. lla partecipato nel giugno 1940, quale Direttore di Sanità Militare del XV C. d'A., alle operazioni di guerra sulla fronriera alpina - occidentale; gli venne tributato un encomio con la seguente motivazione « nel procedere alla rimobilitazione delle Unità Sanirarie del C. d'A. e nclla complessa organizzazione degli Ospedali Milirari Territoriali di Mobilitazione dava imtancabile impulso pen,onale, alto contributo e perizia tecnica, superando rapidamente ogni difficoltà».

Promosso Maggiore Generale Medico veniva nominato Ispettore di Sanità Militare per la Zona di Torino. Combattente volontario della Guerra di Liberazione, ha fatto parte delle formazioni partigiane CMPR in Torino, quale U(ficiale addetto all'Ufficio Servizio Sanitario. Nell'ottobre 197r ottenne la promozione al grado di Tenente Generale Medico. Ma al di là dei dati biografìci e delle notizie di carriera, non sarà possibile a chi lo conosce,a dimenticare la figura slanciata, il portamento signorile, il caranere limpido e lineare, l'umana comprensione, la rettitudine dell'animo del T cn. Generale Medico dott. Carmelo Manganaro. Ricorderemo la Sua forte cd onesta personalità di genciluomo di vecchia maniera, saldamente ancorata a principi fermi ed irrevocabili. 'cl ricordo indelebile di quanto Egli ha donato, il Sen·izio Sanitario Militare dell'Esercito, grato a Colui che ne onorò le alte tradizioni, in silcnsioso mesto raccoglimento, porge un commosso saluto ad un Uomo integerrimo, ad un medico di :ilta qualificazione professionale, ad un sincero e convinto Ufficiale medico di lunga esperienza di vit.a e di servizio, ad un Capo dall'azione misurata, equilibrata, silenziosa ed instancabilmente attiva. Gcn. Mcd. don. PERICLE TANINI


COTONIFICIO ROSSI Sede Sociale:

VICENZA

Stabilimenti:

CHIUPPANO DEBBA LISIERA VICENZA

FILATI ♦ TESSUTI ♦ CONFEZIONI ♦ MEDICAZIONE

Direttore responsabile : T en. Gen. Med. Dr. Vco PARE~n Redatt01·e capo : Magg. Gcn. Lucio TRAMONTI Autorizzazione del Tribunale di Roma al n. 944 del Registro 1'!POGRAFI A REGIONALE -

ROMA -

I9?4


MARZO • GIUGNO 1974

ANNO 124° • FASC. 2 • 3

GIORNA DI

MEDICINA ·MILITARE PUBBLICAZIONE BIMESTRALE

DIREZIONE REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE VIA S. STEFANO ROTONDO, 4 - ROMA Spedizione in abb. post. - Gruppo IV


GIORNALE

DI

MEDICINA

MILITAR E

SOMMARIO Saluto di commiato del Ten. Gen. Medico Don. Ugo Parenti .

133

Saluto del Ten. Gen. Medico Don. Michele Cappelli nuovo capo del Servizio della Sanità dell'Esercito

135

MARINACCIO G.: L'urgenza in chirurgia addominale .

137

ScuRo L. A.: L'urgenza addominale in medicina

155

MARCEll E.: L'urgenza in traumatologia ortopedica

159

TEICH - Al.ASIA S. : L'urgenza nelle ustioni .

165

FAvuzz1 E., TuccLA.RONE R.: Le fosfatasi seriche ne' le metastasi ossee

175

CHlARUGI C.: Aspetti medico- legali della lesività splenica

185

MusILLI C., TuccIA.RONE R., MAFFEI G.: Sul componamemo della fibrinolisi ematica dopo interventi ortopedici

214

MERLO P., MASCErn P.: Modificazioni <lell'ECG ad alta (!UOta .

223

TuccIARONE R., BRUZZESE E.: Considerazioni di ortopedia ginecologica .

230

D1 MARTINO M., ZAIO A.: Aspetti epidemiologici ddla rosolia nell'esercito italiano

239

Ctt1ARUc;1 C.: L'osteotomia di mcdializzazione quale trattamento delle p ~cudoartrosi del collo del femore .

248

SCANo E.: Tachicardia parossistica: sintomatologia e trattamento .

257

V10LANTE A., MAFFEI G., BAZZICALUPO P., DEL Gonso V.: Studio sull"a1.ione tossica della dimetil - nitrosoamioa. Rilievi emato!ogici nel ratto io corso di intossicazione acura e subacuta

264

PALLI D.: Studio delle frazioni !ipoproteiche del siero umano inibenti l'emoagglucinazione da virus della rosolia .

270

ALESSANDRO A., P1ER1 M., LicuoRI A.: Determinazione complessome1rica di biguanidi nei preparati farmaceutici

279

PoMPE1 R., TRISOLINI P., BoSCAR1No S., CAVALLARO A : Ricerche su un sistema Ji trapianti di cute nei topi: pretrattamento dei riceventi con antigeni dei donatori chimicamente modificati .

285

Cucc1NIELLO G., MoNTRONE F.: Cisti meniscale del ginocchio .

291

SOMMARI DA RIVISTE MEDICO - MILJTARI

2,n

NOTIZIARIO: Notizie militari

3o6


ANNO 124° - FASC. 2 - 3

MARZO - APRILE - MAGGIO - GIUGNO 1974

GIORNALE DI MEDICINA MILITARE

SALUTO DI COMMIATO DEL TENENTE GENERALE MEDICO DOTT. UGO PARENTI

Nel lasciare fa carica di Capo del Sen,izio di Sanità dell'Esercito, compio il dovere di porgere il mio caldo ed affettuoso ringraziamento a tutto il personale della Sanità Esercito per la fattiva, disinteressata e costante collaborazione offer.t ami a tutti i livelli. Si deve infatti allo spirito di sacrificio, al senso di responsabilità, all'abnegazione di tutti se, pur nelle ben note attuali difficoltà, il Servizio ha potuto continuare ad assolvere il proprio compito con dignità e prestigio. Con l'augurio che il futuro potrà riservare migliori fortune alla Sanità Esercito, porgo a tutti il mio cordiale e riconoscente saluto. Roma, 9 giugno 1974.

IL CAPO DEL SERVIZIO DI SA~ITA' DELL'ESERCITO

Tcn. Gen. Med. Dott. UGo PARENTI


Il Ten. Gen. Med. Dott. M1cHELE CAPPELLI nuovo Capo del Servizio della Sanità dell'Esercito


SALUTO DEL TENENTE GENERALE MEDICO DOTT. MICHELE CAPPELLI NUOVO CAPO DEL SERVIZIO DELLA SANITÀ DELL'ESERCITO

Asrnmo oggi la carica di Capo del Servizio di Sanità dell'Esercito. E' mio fermo intendimento dedicarmi al nuovo lavoro con operoso impegno ed ogni /ervore, nel/a consapevolezza di potermi avvalere della fattiva collaborazione che tutto il personale militare e civile del/a Sanità dell'Esercito, ciascuno nell'ambito delle proprie responsabilitù, sarà pronto ad offrirmi. Tale vostra co/Laborazione leale e consapevole sarà per me fonte di legittimo orgoglio, sprone agli impegni che mi attendono, sosteg110 del mio lavoro e varrà a farmi superare con voi le gravi dif'[icoltà che il Corpo della Sanità Militare da tempo va fronteggiando. In tale certezza, fiducioso che continuerete con me sulla via del dovere e della dedizione al servizio in piena corresponsabilità e reciproca fiducia, per le maggiori fortune del nostro Servizio, porgo a tutto il personale della Sanità Militare Esercito il mio più fervido e cordiale saluto. Roma, 10 giugno 1974. IL CAPO DH. SERVIZIO Df SA~ITA' DELL'ESERCITO

T en. Gcn. Med. Dott. MrcHELE CAPI'ELU


'


ISTITUTO DI CLINICA CH IRURG ICA GENER ALE E TERAPI A CIII RURGICA DELL'UNIVERSITÀ DI BARI

Direttore: Prof. G

MARINACc10

OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI VERONA « MED. D 'ORO - S. TEN. MED. G. A. DALLA BONA »

Direttore: Col. Mcd. Prof. Dr. A. MASTRORTLLI

L ' U R G ENZA IN CHIRURGIA ADDOMIN ALE * Prof. Giuseppe Marinaccio

Nella pancreatite acuta (p.a.) non sempre è possibile for mulare nelle prime ore d i osservazione una prognosi molto attendibile, poiché se è vero che nella m aggior parte dei p azienti il decorso non presenta sorprese, è altrettanto noto che, in alcuni, si può avere un improvviso peggioramento delle condizioni generali che modifica sostanzialmente una prognosi fino a quel momento favorevole. Questo repen tino e in atteso deterioram ento del quadro clin.ico purtroppo può anche essere in rapporto con la terapia m edica instaurata e<l essere attribuito all'uso non rigorosam ente valutato di alcuni farmaci, così com e diremo in seguito. E' ovvio che la prognosi immediata è in stretto rapporto con l'intensità e con la varietà delle lesioni anatomiche e ,d i conseguenza funzion ali del pancreas, lesioni c he condizionano anche le eventuali sequele ,i mmediate (pseudocisti) e, secondo alc uni AA., anche quelle a distanza, in particolare le pancreatici croniche. In pratica si può afferm are che circa la metà d ei pazienti affetti d a p.a. ha un decorso benigno : il d olore scompare rapidamente in molti casi (si tratta, assai spesso di form e edematose), anche se ciò non deve far pensare che, in egual m isura, vi sia una risoluzione sicura del processo infiammatorio. A nostro avviso uno dei segni più orientativi della gr avità d ella forma mor bosa è l'andam ento dell'ileo paralitico che, nella m aggior parte dei casi , ha una d urata di 2 - 3 giorni; se persiste esso costituisce l'espressione di un notevole e gr ave interessam en to retroperiton eale, con la possibilità di complicanze serie. Anche il segno di Cullen e quello di Gray- Turner, se presen ti, indicano una severa e diffusa autodigestione e sono quindi, d al pun to • Conferenza tenu ta iJ giorno 26 aprile 1973 all'Ospedale Militare Pcincipale di Verona per il ciclo di aggiornamento 1972 - 73.


di vista prognostico, motivo di riserva anche quoad vitam. La comparsa di una massa palpabile manifesta uno sviluppo di una delle complicanze della p.a. (ascesso pancreatico, zone estese di necrosi di tessuto adiposo dell'omento, peudocisti, ecc.) e rappresenta ql.l!indi un'evoluzione negativa della malattia. Gli esami di laboratorio ancora oggi non sono di grande ausilio ai fini di una corretta e attenta valutazione del decorso clinico di questa affezione. La amilasemia - e cioè l'esame di laboratorio più comunemente usato in 9uesti casi - offre ,dati approssimativi e talora poco significativi nella fase di sviluppo della p.a. p0iché presenta indici assai elevati e non in rap-p0rto con lo stato evolutivo del processo anatomo- patologico mentre, nella fase di risoluzione, la sua riduzione non è assolutamente adeguata, parallelamente, con il grado di guarigione. I livelli di amilasemia dipendono, come è noto, da un insieme di fattori come il grado di scambio dei fluidi ( « fluid shift »), la velocità di reidratazione e lo stato della funzione renale. Le stesse limitazioni devono essere poste alla valutazione degli enzimi urinari con un'eccezione riguardante gli alti livelli dell'amilasuria, con o senza elevazione del valore serico, ritenuta caratteristica della formazione di una pseudocisti. Il numero dei leucociti - che aumenta all'inizio della crisi acuta della p.a. - scende a valori normali alla .fine della prima settimana nella maggior parte dei casi. Se, invece, la leucocitosi resta alta o sale nuovamente nel corso della malattia aJJora ciò indica la presenza di altre condizioni infiammatorie associate quali una broncopolmonite, la continuazione del processo autodigestivo pancreatico o la formazione -di un ascesso del pancreas. Possiamo inoltre affermare che un paziente che non è in stato di piena convalescenza entro due settimane dall'inizio del processo acuto è sicuramente in una fase che prelude il manifestarsi di una delle complicanze e la leucocitosi spiccata può essere un segno di indubbio interesse per la presenza di un processo infiammatorio cronicizzato a livello pancreatico. In aggiunta ai tests citati ricordiamo come esami di laboratorio di un certo valore diagnostico, al fine di identificare precocemente la formazione d i una complicanza della p.a., la caduta del livello serico del calcio e la presenza della metalbuminemia. Il primo dato è stato ben studiato e si ritiene valido solo se ripetuto nei giorni che seguono l'inizio della malattia (dal V all'Vlll giorno) : il dato riveste importanza solo se la caduta è di una certa entità. La metalbuminemia (la cui presenza nella p.a. è stata messa in evidenza nel 1965 da Winstone) viene rilevata quando vi è una componente emorragica: ma poiché un paziente può venire a morte per pancreatite acuta senza che vi siano alterazioni di tipo emorragico il test ha valore solo quando è positivo, anche perché queste modificazioni sono state osservate in altre condizioni acute addominali.


Dal nostro studio statisttco e da quello di molti altri Autori si rileva che l'età gioca un ruolo assai importante nella prognosi, con una mortalità molto più elevata oltre il VI decennio. Le malattie cardiovascolari e il diabete possono causare - molto più frequentemente di altre - una situazione di base sfavorevole. E' ovvio che lo sviluppo •d i complicanze incide notevolmente sulla mortalità, anzi secondo Trapnell, la raddoppia. La causa di morte è variabile, in rapporto a diverse condizioni che si possono instaurare. La maggior parte dei pazienti muore nella prima settimana di malattia e di questi casi la metà nelle prime 48 ore. Gli altri che vengono a morte successivamente presentano un'ampia diffusione del processo necrotico- emorragico in sode retroperitoneale (come quasi costantemente viene rilevato all'autopsia) ovvero un'ascesso pancreatico con tossiemia e setticemia. Ma in realtà questi casi sono la minoranza perché si nota con particolare frequenza che nelle morti precoci la ghiandola presenta lesioni assai poco marcate e quindi la causa di morte è, ancora oggi, di difficile interpretazione. A questo proposito riteniamo utile riportare quanto affermato da Castiglioni e coll. (1971) per spiegare le modificazioni emodinamiche che potrebbero anche da sole essere responsabili dell'exitus. Essi hanno dimostrato che nella p.a. esiste un così detto « adinamie component » negli scambi circolatori ,che si traduce nella grave, iniziale ipotensione arteriosa (non proporzionata alla riduzione del volume ematico), nella constatazione di una transitoria resistenza diastolica associata ad una caduta della resistenza vascolare mesenterico- femorale e della pressione venosa centrale. Ciò contrasta con quanto si osserva nella fase iniziale dello shock emorragico e tale disparità è stata verosimilmente attribuita alla differenza di tono dei vasi periferici i quali sono paralizzati nella p.a. e contratti nella emorragia. Una azione diretta vasodilatatrice permeabilizzante ed ipotensiva è stata attribuita alla tripsina, alla callicreina pancreatica e dalle sostanze liberate da queste chinasi e cioè l'istamina e la bradichinina. Dall'esperienza pratica e da quella sperim entale sappiamo che nelle p.a. gravissime (ed anche in alcuni tipi di shock) si ottiene una riduzione della vasoplegia dopo somministrazione di abbondanti ,dosi di agenti triptici. Fra le cause di morte più comuni ricordiamo brevemente, anche se molto ben conosciute, l'emorragia massiva sotto forma di ematemesi profusa o di melena abbondante che può essere il sintomo che annuncia la pancreatite. (Leger) possono anche prodursi (e sono dal punto di vista prognostico assai sfavorevoli) delle so/fusioni emorragiche diffuse che infiltrano la parete addominale e più frequentemente i lombi, le ghiandole mammarie, la regione perineale ovvero aversi dei veri e propri ematomi. D'altronde una sindrome emorragica capillare (capillarite tossica) è stata varie volte segnalata: essa ,si manifesta con una porpora cutanea, soffusioni emorragiche del tubo digerente ed ematuria con possibile blocco renale tubulare.


L'insufficienza renale può -sopraggiW1gere per altri motivi così come lo squilibrio elettrolitico, l'uremia e l'anuria possono essere la conseguenza di gravi perdite attraverso il vomito (Pargf e coll.). A volte si tratta dì una nefrite che evolve parallelamente alla p.a. ma la cui causa è comune alle due affezioni, per esempio una operazione chirurgica sulle vie biliari. La complicanza renale è solitamente mortale. L'ascesso del pancrea.s, meno frequente ma di eccezionale gravità può presentarsi n ei primi giorni della m alattia o, più tar,divamente. In genere il pus si raccoglie per formare un ascesso localizzato nella testa o nell 'istrno del pancreas; talora la suppurazione interessa tutta la ghiandola. La pseudocisti del pancreas è una complicanza frequente della necrosi; si tratta come è noto di una falsa cisti formata in una cavità intraparenchimale senza membrana propria e contenente liquido pancreatico, sangue emolizzato e materiale necrotico. Le sue dimensioni sono spesso cospicue cd ì segni di compressione sugli. organi vicini (vie biliari e stomaco) sono evidenti e fonte di disturbi anche gravi. Per quanto ancora concerne l'evoluzione della malattia, affinché si possa dare ad essa una valutazione prognostica quanto più possibile vicina alla realtà, ci sembra molto interessante citare un lavoro recente di Gullo, Sahes, e Mott (1972) i quali hanno studiato la funzione esocrina del pancreas mediante aspirazione duodenale e stimolazione con secretina e pancrcozimina .in un gruppo di 27 pazienti a varia distanza di tempo da una crisi di p.a. ed un gruppo di 100 soggetti apparentem ente normali. Nei campioni di aspirato duodenale sono stati misurati il volume e le concentrazioni di bicarbonati, amilasi, lipasi, fosfolipasi, tripsin a e chimotri psina. La diagnosi di p.a. era stata posta 17 volte al tavolo operatorio e IO volte in base ai segni clinici e biochimici. I risultati ottenuti in m edia non hanno dimostrato differenze significative nei due gruppi di soggetti. Secondo gli AA. ciò dimostra che dopo un episodio infiammatorio acuto il pancreas è capace di una completa guarigione funzionale, probabilmente in rapporto con le notevoli capacità rigenerative dell'organo. Questa importante prova convalida pienamente la tesi più volte sostenuta da Sarles e coll. e cioè che nelle forme acute, se la causa iniziale o i fattori favorenti la comparsa della malattia sono stati elimin ati, si osserva una completa << restitutio ad integrum » clinica e biologica del pancreas. Abitualmente, aggiunge Sarles, la p.a. non evolve verso una pancreatite cronica, ma questa eventualità è anche possibile. Quanto Sarles afferma - e che noi condividiamo - è con tro il concetto angksassone della « chronic relapsing pancreatitis >> (e cioè la pancreatite cronica r icorrente) un termine che comprende tutte le pancreatici per cui quella acuta non è che lo stadio iniziale o l'esacerbazione passeggera della malattia cronica. Aggiungiamo infine che, a nostro parere, coloro i quali ammettono questa teoria sul piano concettuale, la dimenticano in quello della pratica cl inica, quando cioè passano alla terapia di queste affezioni perché pachis-


simì AA. trattano nella stessa mamera una p.a. associata ad una litiasi biliare o la crisi dolorosa riconente, anche assai intensa, ma certamente meno grave, <li una pancreatite calcificante. Sarles e Camatte, già dal 1963, avevano affermato che patrebbero essere possibili recidive vere di p.a. che tuttavia non partercbbero generalmente ad una cirrosi di organo e che più spesso sarebbero legate ad una patogenesi litiasica coledocica. Va .inoltre considerato che alcuni tipi di pancreatite cronica evolvono verso la cirrosi d'organo senza passare sicuramente attraverso uno stato di acuzie.

TERAPIA TERAPIA MEDICA.

La terapia della pancreatit,e acuta, nonostante l'interessante ausilio fornito dagli antienzimi, è ancor oggi assai difficile da considerare completa per i fondati dubbi che emergono dallo studio etiopatogenetico della malattia: si tratta di un quadro clinico complesso con manifestazioni anatomo patologiche assai varie, che porta il mooico ad attuare una terapia ad ampio spettro che cerca di limitare o bloccare lo sviluppo di varie « noxae ll patogene. Una corretta terapia della pancreatite acuta presuppone una diagnosi precoce ed un trattamento altrettanto precoce. L'attesa di poche ore dalla insorgenza del quadro clinico può indurre non solo un impegno più massivo ed esteso del parenchima pancreatico ma anche lesioni più gravi dal punto di vista anatomo - patologico. E' ormai accettato, infatti, che esiste la possibilità di successiva evoluzione della malattia, cioè una pancreatite acuta edematosa può evolvere, se non trattata, in un quadro di pancreatite emorragica o di pancreatite necrotico - emorragica. Lo studio dei casi di pancreatite acuta occorsi alla nostra osservazione consente di trarre conclusioni favorevoli soprattutto se viene seguito un trattamento medico selettivo, solo in alcuni casi selezionati associato alla terapia chirurgica. Il trattamento della p.a. p uò essere schematicamente suddiviso in quattro fasi (fig. z): 1 • - rianimazione del paziente, con riequilibrio dei liquidi organici e controllo della pressione arteriosa; 2 ~ - riduzio ne della secrezione acida dello stomaco con conseguente caduta della produzione di secretina; 3° - riduzione dell'attività delle cellule acinose del pancreas, sia direttamente che per m ezzo del1'attenuazione degli effetti degli enzimi prodotti ; 4• - riduzione del dolore.


Il fine più importante che si cerca di ottenere con la terapia m edica è la « restitutio ad integrum » anatomica e funzionale del pancreas. In effetti, cessata la causa iniziale della m alattia, ove si proceda adeguatamente a limitare una vivace ed immediata reazione interstiziale che tende a sostituire il parenchima -danneggiato o distrutto, si assiste alla normale ripresa funzionale della ghiandola.

50

MASCHI · 4 7

45 40 35

FEMMINE : 30

30 25

20 15 10 5

o

61 , 1 %

38,9%

Fig. 1 . - Rapporto secondo il sesso.

Il superamento della fase iniziale della malattia indica un'azione terapeutica efficace, ottenuta però non agendo direttamente sulle lesioni parenchimali, poco influenzabili anche con la terapia la più mirata. La malattia è esplosiva sin dall'inizio e pertanto la sopravvivenza del malato dipende dagli sforzi che si compiono in quel momento cercando di evitare soprattutto l'eventualità futura della sindrome da nutrizione e la successiva cachessia. La sopravvivenza immediata può dipendere dal trattamento dello shock, nei casi in cui la malattia si presenta con questa sindrom e (l'uso dei cortison ici in questa evenienza falsa il quadro clinico e può indurre un ingiustificato senso di sicurezza): il decorso può essere grave e rapido e, se non adeguatamente trattato, lo shock diventa « irreversibile >> . Esso è sostenuto d a sostanze vaso - attive (chinine), liberate dal parenchima pancreatico dannegg.iato, e dotate <li brevissimo tempo di vita biologica e quindi di azione, ma soprattutto dalla m alattia di una parte della massa sanguigna, ciò che si osserva rapidamente. Elliot (1957) indica, in corso


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di pancreatite acuta, come massima una perdita di circa il 30% della quantità totale della massa ematica circolante, nel giro di un'ora. Il plasma si trova nel pancreas, nei tessuti peripancreatici, nel liquido ascitico. Lo scorso anno Trapnell è giunto ad analoghe conclusioni. L'importanza della terapia precoce è dettata inoltre dalla necessità di evitare lesioni ad altri organi « vitali » (fegato, cuore, rene, ecc.) in guanto numerosi AA. intendono il quadro clinico della pancreatite acuta emorragica accostabile ad una vera << sindrome da schiacciamento>>. La terapia anti - shock tende al riequilibrio delle perdite mediante infusioni endovenose, Trasylol, cardiotonici, farm aci vaso - attivi ecc. Riguardo l'impiego di questi ultimi sono da evitare la noradrenalina e i suoi derivati. La infusione di liquidi va continuata fino a che la pressione non giunge a valori pressoché normali, tenendo sotto controllo la situazione polmonare, renale e la pressione venosa. Per ottenere un rappcrto ottimale flusso sanguigno/ parenchima, nonché un corretto bilancio idrico ed elettrolitico ed un equilibrio acido- basico costantemente fisiologico, sarà utile la somministrazione soprattutto della soluzione tampone di Ringer lattato (1 - 2 litri in circa u n'ora), soluzione elettroliti.ca bilanciata, soluzioni glucosate al 5% e fisiologiche (che utilmente insieme possono sostituire l'.ef.fetto della soluzione tampcne di Ringer lattato), soluzione di bicarbonato e Tham (500 ml in 2 - 4 ore), soluzione di destrosio al 5% specie per l'apporto energetico. Onde correggere un deficit di colloidi e disturbi del metabolismo proteico connessi all'evento morboso, è necessario utilizzare il plasma (siero albumina), le trasfusioni, il Rheomacrodex (<lestrano) a questo è comunque da preferire l'impiego di soluzioni di gelatina in quanto il Rheomacrodex può favorire la comparsa di una diatesi emorragica. E' necessario inoltre parre il parenchima pancreatico in riposo funzionale evitando la sua integrazione nei circuiti digestivi bioumorali che ne inducono effetti secretori. Si deve pertanto non solo r idurre la secrezione pancreatica ma anche la funzione gastrica e la secrezion e intestinale, utilizzan<lo droghe an ticolinergiche; in casi selezionati alcuni AA. utilizzano anche la Rx- terapia. D'altra parte se la secrezione gastrica diminuisce, aumenta il pH intestinale (duodenale) e la stimolazione pancreatica duodenale è ridotta. Va ricordato che anche il Trasylo] ha effetto antisecretivo. Si inizia con la somministrazione di atropina (alla dose di 0,5 mg), di bantina e suoi derivati. J. Trapnell (1972) per vari motivi non è favorevole all'impiego di queste droghe anticolinergiche, preferendo ad esse l'applicazione del sondino naso gastrico (che fra l'altro impedisce il vomito, se presente) e la abolizione dell'alimentazione per os nei primi giorni. Inoltre noi attuiamo, come mezzo di controllo della funzione secreti va una dieta priva di grassi nei primi giorni,


mentre nella settimana successiva all'attacco acuto è necessaria l'introduzione di un'abbondante quantità di carboidrati. Il dolore ed eventuali spasmi sfmtera1i vanno combattuti con gli spasmolitici, il Trasylol (data la capacità di inibire le chinine che si formano nel tessuto danneggiato e si versano in peritoneo e che sono responsabili, in buona parte, della sintomatologia dolorosa) e la meperidina che ha escluso l'impiego della morfina e dei suoi derivati per la loro ben nota azione spasmigena (soprattutto sullo sfintere dell'0ddi) posseduta da queste sostanze. A questo proposito Baker (1972) è contrario a1la mancata utilizzazione della morfina ed afferma che gli effetti spasmi geni sull 'Oddi sarebbero solo teorici; egli inoltre consiglia l'uso del « Phenobarbital », non solo per le sue capacità sedative ma anche perché questo farmaco riesce a ridurre il volume delle secrezioni pancreatiche e talora la loro percentuale in enzimi. Anche la infusione venosa di novocaina (2 / mg/ die) in fleboclisi a goccia lenta dà buoni risultati. Altro quadro morboso con cui può presentarsi clinicamente una pancreatite acuta è l'ileo paralitico. La sua persistenza oltre la f- 6" giornata è motivo di prognosi seria o infausta. Da ciò la necessità di combatterlo sia col digiuno, che con l'aspirazione gastrica. Mai saranno utilizzate le proprietà della prostignina o della fisostigmina, poiché queste due •sostanze hanno la capacità di indurre abbondante secrezione pancreatico- intestinale; più utile l'uso di blandi lassativi, di vitamine ,del complesso B, di ormoni ipofisari, capaci di rimuovere l'ileo senza effetti secondari importanti. La terapia medica va vista sempre in funzione del malato e, specie negli anziani, bisogna curare o prevenire eventuali quadri morbosi associati (infezioni) oltre a tenere sotto controllo quelli polmonari o cardiocircolatorie eventualmente preesistenti. Pertanto l'uso di un'adeguata copertura antibiotica può ritenersi intuitivo nella pancreatite acuta ed infatti esso è ormai acquisito dalla pratica clinica, ma spesso non giustificato. Infatti la prevenzione ed il trattamento delle infezioni secondarie (cavità ascessuale, zone di sequestro,) richiedono l'intervento chirurgico, facendo parte delle complicanze vere e proprie della pancreatite acuta. A tal fine è noto l'impiego degli antibiotici a largo spettro d'azione, attivi soprattutto contro i germi Gram-negativi. Si tratta, in particolare, delle tetracicline che unirebbero all'azione antibiotica un'utile attività antilipasica (clortetraciclina) e dei derivati semisintetici ,della cefalosporina. L'impiego degli antibiotici non diminuisce comunque né la mortalità né la morbi lità della p.a., né previene la formazione di ascessi in sede pancreatica. Evidentemente essi risulteranno utili ove fosse presente un'affezione biliare acuta associata (colecistite acuta, angiocolite acuta, ecc.). Annotiamo poi che ci è sembrato giovevole l'impiego degli antistaminici (anche sotto forma di calcio gluconato) i quali hanno contribuito efficacemente al controllo ed alla


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riduzione dei fenomeni iperergici dd tessuto pancreatico. E' noto infatti che l'istamina provoca la diffusione gener alizzata degli enzimi; per questo motivo e per la teoria d ella genesi allergica della p.a. (presentata da Thal) si ritiene utile l'impiego degli antistaminici. Ove il quadro clinico fosse dominato dalla insorgenza del diabete è doveroso fare imm e,diato uso di insulina; quest'azione è giustificata anche dal -controllo che l'insulina esercita sulla lltessa secrezione pane:reatica. L'uso di promazinici, di soluzion e di calcio e di magnesio serve a controllare un quadro a sintomatologia prevalentemente cerebrale. Va ricordato che Wrigh t (1970) sostiene l'impiego profilattico in corso di p.a. emorragica di fibrinolisina (trombolisina) ed eparina. E' il dato sperimentale che ne consiglierebbe l'impiego; tuttavia essendo a tutt'oggi poco chiara la conoscenza dei fenomeni m icrocircolatori parenchimali alterati dal processo morboso, tale uso non è sempre consigliabile. Il trattamento medico, secondo molti AA., si basa anche sull 'impiego dei cortisonici preconizzato nel 1962 da Stephenson) per i ben noti effetti anti- tossici, anti - e<lemigeni ed anti - infiammatori da esse posseduti. Le nostre ricerche sperimentali (Bonomo, Oliva e Gabrieli, 1963; Oliva, Bonomo e Gabrieli, 1965; Bonomo e Nacchiero, 1972 e ricerche in corso) oltre a quelli <li altri AA. dimostrano che in realtà i cortisonici hanno effetto dannoso sul parenchima pancreatico. on sono chiari i motivi di questo danno ma comunque l'utilizzazione dei cortisonici è stata da noi evitata. In alcuni casi e per brevissimo tempo (3 - 4 giorni) essi sono stati impiegati soltanto nella fase finale della malattia, quando le cond izioni cliniche ed i valori amilasemici inducevano a pensare ad una favorevole evoluzione del processo morboso. L'utilizzazione n ella fase risolutiva ci è sembrata particolarm ente utile nei casi in cui l 'infiarnmazione acuta del pancreas si associava, per i ben noti fenomeni edem atosi - ,congestizi del coledoco pancreatico, una condizioni di stasi biliare. Successivamente numerosi altri AA. banno sottolineato l'impùrtanza del trattamento col cortisone in pazienti affetti da pancreatite acuta, con qua<:lro clinico dominato dallo shock. La nostra Scuola n on ha m ai utilizzato dette sostanze ( vedi tabella fig. 2 di Stefanini e Carboni, 1965). Sono ormai numerosi i casj riportati in letteratura che dimostrano l'azione dannosa dei cortisoni: Carone e Liebow (1957) in una rassegna di 54 autopsie di soggetti che erano stati sottoposti a terapia cortisonica per varie affezioni, hanno trovato lesioni a carico del pancreas nel 50% dei casi e 16 di questi soggetti presentavano un quadro anatomo - patologico di pancreatite acuta tipica, con necrosi parenchimale. Un'obiezion e si pone intuitivamente; la brevità dell'im piego clinico dei cortisonici. Questa obiezione può essere agevolm ente superata con siderando l'azione di blocco, operata dai cortisonici, sulla reattività organica.


Il ruolo del cortisone nella genesi della p.a., lo ripetiamo, non è ben conosciuto; sperimentalmente esso può provocare nel coniglio tipiche lesioni di pancreatite acuta (Bencosme e Lazzarus; Stumpf e coli.; nostre ricerche sperimentali in corso di pubblicazione). Secondo Stumpf, Wilens e Sumoza, lo stato di iperlipemia secondario alla terapia cortisonica deve essere considerato come il principale fattore e,tiopatogenico.

Fig. 2 .

Pertanto siamo concordi con quanti, partendo dal concetto che il cortisone faciJ.iti la diffusione degli enzimi pancreatici, proscrivono l'impiego dell'ormone nei primi giorni della malattia. E' più opportW10 iniziare la somm.ìnistrazione del farmaco allorquando i fenomeni enzimatici hanno risolto la loro azione e ci si può quindi utilmente servire del ben noto effetto anti-infìammatorio, che, successivamente, potrà determinare una completa regressione dei fatti flogistici eventualmente ancora presenti. Sempre dal punto di vista sperimentale, i cortisonici impedirebbero la sclerosi intracinosa riparativa e quindi avvierebbero a favorevole risoluzione le lesioni pancreatiche. Altri AA. infine sostengono che il cortisone somministrato sempre nella fase terminale della malattia previene danni parenchimali epatici come è dimostrato dai valori dei livelli enzimatici (transaminasi) che ritornano alla norma ,dopo l'impiego di queste sostanze.


A proposito dell'efficacia e della capacità curativa degli antienzimi, utilizzati per la prima volta da Frey nel 1953, numerose perplessità esistono attualmente circa il loro impiego clinico, dopo una prima fase di generali consensi. Rettori e Grenier (1970), basandosi sull'analisi di 342 osservazioni di pancreatite acuta, nonché sui più importanti risultati riportati in letteratura, concludono che attualmente gli anticnzimi non possiedono alcuna azione sulla evoluzione del danno pancreatico. Queste sostanze meritano comunque di essere ancora utilizzate per la loro azione antishock, soprattutto nei primi 2 - 3 giorni della crisi pancreatica. Sarles e Camatte (1970), insistono anche essi sulla mancanza di una concreta utilità nell'impiego degli antienzimi. In 160 casi (tutti verificati chirurgicamente) .di p.a. in fase di.versa, essi hanno trattato 108 casi con antienzimi e 52 senza. Il risultato è stato - riporto il loro periodo - che << non esiste alcuna differenza significativa né nella frequenza della mortalità, né nella maniera di morire, né della durata della sopravvivenza dei casi mortali, né nella frequenza della complicanza nei due gruppi di pazienti >>. Tuttavia lavori sperimentali di questi ultimi anni (ai quali anche la nostra Scuola ha portato il suo contributo: Paccione, Bonomo, Gabrieli, Oliva, 1965), sostengono l'utilità del Trasylol (Bayer), se questo farmaco viene impiegato io maniera razionale. Infatti spesso viene utilizzato contemporaneamente con i cortisoni ci ; l'utilizzazione contemporanea si è dimostrata capace di aggravare la p.a. sperimenta,le. Questi dati vanno interpretati tenendo conto delle proprietà biologiche del cortisone e del Trasylol: entrambe le sostanze, infatti, sono dotate di spiccato potere antireazionale e antiallergico Q'effetto antiallergico del Trasylol è legato alla sua capacità fibrinolitica) ed inoltre sono capaci di ridurre i poteri di difesa dell'organismo (Laurentaci e co.Jl., Bertelli e coll.). Il sommarsi degli effetti delle due sostanze riteniamo faciliti la diffusione e l'aggravamento del processo pancreatico, realizzando un blocco della normale reattività organica. La terapia con antienzimi (sinora abbiamo m enzionato solo il Trasylol - di cui abbiamo m aggiore esperienza d'impiego - ma ne esistono altri Iniprol, Zymofren) va costantemente controllata, seguendo i tassi ematici di glucosio e di calcio e l'andamento dell'amilasemia. Infatti se persiste l'iperglicemia, se la calcemia risulta inferiore a 95 m g/ roo ml il trattamento m edico deve continuare fino a superare le tre settimane. Gli enzimi proteolitici secondo Groninger vanno impiegati alla dose di 200.000 - 300.000 U .I. Cal / giorno, per circa IO giorni, per via endovena lenta o in fleboclisi. Successivamente la dose può essere portata a 75.000- 50.000 U .I. Cal/ giorno. L'azione più impartante dell'antienzima sembra quella de-


stinata al controllo del dolore e al miglioramento della microcircolazione tissutale (shock). Linder e Grozinger (19i56) hanno utilizzato oltre la normale via infusionale, la perfusione intrarteriosa del pancreas con Trasylol (catetere femorale, introduzione di Trasylol nel tronco celiaco). Essi rifor,iscono d'aver ottenuto con questa metodica buoni risultati. Noi somministriamo il Trasylol in maniera precoce, continua e prolungata. Va ricordato che l'antienzima viene rapidamente eliminato (emivita biologica di circa un'ora e mezza) e possiede scarso potere inibente sulla tripsina, che è uno dei più importanti enzimi nell'autodigestione pancreatica (anzi, sino a poco tempo fa era considerato senz'altro il più importante, mentre attualmente questo ruolo sembra essere ricoperto dalle fosfolipasi). Inoltre, difficilmente il Trasylol raggiunge la zona pancreatica interessata, d ata la presenza di microtrombosi vasali (Rettori, 1970). La sua azione è di inibizione enzimatica e di molecola a molecola, mai di distruzione dell'enzima proteasico ed il legame enzim a proteolitico - inibitore (Trasylol) è molto labile e sensibile a cambiam enti di pH poco lontani dal valore di 7. La scissione del composto porta nuovamente alla presenza di enzima proteasico, con le proprie caratteristiche biologiche. D'altra parte le chinine (nd cui sistema rientra la callicreina, inibita dal Trasylol; responsabili del dolore e dello shock in corso di p.a., hanno azione di breve durata e quasi esclusivam ente locale. Pertanto l'inibizione anti - proteasica si deve realizzare in loco, oltre che per via generale. In questa prospettiva va inquadrato l',eventuale impiego di dialisi peritoneale con Trasylol o la sua introduzione intrarteriosa. Di r ecente è stata attuata la dialisi peritoneale nella p.a. allo scopo di diminuire l'infiammazione, di ridurre il dolore e lo stato tossico. Questa tecnica si realizza introducendo un cateter e in regione sopra ombelicale, sulla linea mediana e, attraverso esso, una quantità variabile dai IO ai 20 litri nelle 24 ore di liquidi dialitici. L'uso di questa tecnica va riservato a quei pazienti nei quali vi è marcata compromission e delle condizioni generali associata a shock e psicosi grave. I risultati sembrano, allo stato attuale, abbastanza soddisfacenti. L'impifgo degli antienzimi può comunque dar luogo ad ipotensione e all'insorgenza di effetti secondari legati alle proprietà antienginiche di ,dette sostanze; il loro impiego clinico va pertanto costantemen te controllato. TERAPIA CHIRURGICA.

Il trattamento chirurgico della p.a. ha seguito tendenze diverse e contrastanti nel corso degli ultimi anni, né allo stato attuale è possibile tracciare una chiara linea di demarcazione tra i vari tipi di interventi proposti o indi-


care i confini tra il trattamento medico o/ e chirurgico della p.a. Sino al 1938 la terapia chirurgica era nettamente preferita da tutti con una mortalità che variava dal 30 all'8o%. In seguito, sia per le valutazioni importanti ricavate da Nordmann, al congresso dei chirurghi tedeschi di Berli no nel 1938, che per la constatazione della mortalità nettamente inferiore che si aveva in seguito a terapia medica (20- 25%), ci si cominciò ad orientare verso una astensione sistematica. Ma questa tendenza anti- operatoria si è molto più accentuata in questi ultimi a[llli per merito soprattutto degli antienzimi e della migliorata terapia rianimatoria che ha modificato in senso positivo la prognosi immediata ed a distanza di questi pazienti. Tuttavia anc&e oggi esistono autorevoli pareri contrari. Così, ,dopo dieci anni di esperienza con gli antienzimi Poilleux (1963) afferma l'insufficienza della sola terapia medica riproponendo la necessità dell'intervento chirurgico; Hollender e coli. molto recentemente hanno esteso 'ulteriormente questo concetto, eseguendo e consigliando interventi demolitori sul pancreas, condotta che non ci sentiamo assolutamente di condividere oltre che per ragioni di principio anche per l'alta incidenza di mortalità da cui è gravata. Creutzfddt, al Congresso Mondiale di Gastroenterologia di Copenaghen del 1970, molto più prudentemente sottolinea an.c ora una volta l'importanza dell',intervento chirurgico nella p.a. ma solo in casi di particolare gravità o per drenaggio di ascessi o asportazione di sequestri pancreatici. Attualmente in tutti i nostri pazienti, seguiamo quanto più è possibile un criterio di astensione, mentre la terapia chirurgica viene proficuamente riservata al trattamento delle complicanze che in circa il 20% - secondo valutazioni generali - gravano il decorso clinico della p.a. Le indicazioni all'intervento chirurgico possono essere distinte in:

a) indicazioni di principio; b) indicazioni d'urgenza. Le indicazioni di principio sono quelle che si pon gono quando la p.a.

è associata ad una lesione biliare, la quale ha una evoluzione più rischiosa e la prognosi peggiora se la lesione biliare resi,d ua (Lataste, 1966). In genere si tratta di un ostacolo litiasico, sia transitorio che persistente, a livello s.finterale o papillare presente in un quarto circa dei pazienti affetti da p.a. emorragica. In questi casi l'indicazione di principio è una sfinterotomia di drenaggio; utile, in ogni modo, la semplice decompressione con colecistotomia, che a noi ha dato buoru risultati. Nelle forme di p.a. associate a calcolosi delle vie biliari, in genere si tratta di microcakolosì. Da ciò la necessità di eseguire una colongiografì a sistematica, associata o meno a manometria. Inoltre, in questi casi, Leger e Lataste avevano preconizzato, circa 20 anni fa, un drenaggjo del Wirsung che noi troviamo perfettamente valido sia sul piano pratico che teorico. 2. -

M.


In particolare risalto vanno poste le not1z1e anamnestiche c la sintomatologia: se si tratta infatti di soggetti in cui si può sospettare un danno epatico la p.a., in essi evidenziata, poco si gioverà di una laparatomia esplorativa o di qualsiasi tipo di intervento chirurgico. Se invece si tratterà di giovani donne, pluripare il sospetto di associazione ,di una tensione della via biliare principale p.a. è più ragionevole e verosimile. Sulla sfinterotomia oddiana e sul drenaggio ai quali abbiamo accennato, molte remore permangono sul loro impiego ,d a parte di numerosi AA. non ultima la possibile creazion e di una fistola sulla duodenotomia per la filtrazione di enzimi pancreatici in fase di esaltata attività digestiva. Fra le indicazioni di principio vanno citati gli interventi di pancreatectomia parziale (Hollender, 1971) e cioè la duodenopancreatectomia cefalica e la pancreatectomia corpo- caudale -o totale; queste ultime sono gravate da altissima mortalità e provocano, come è noto, gravi disturbi di ordine metabolico. Fra le ,indicazioni d 'urgenza comprendiamo le complicanze gravi, dove il chirurgo deve rapidamente risolvere una situazione drammatica creatasi in breve tempo (ascessi, sequestri, raccolte retroperitoneali cospicue, ecc.): n egli altri casi non v.i sono, a nostro parere, indicazioni d'urgenza. Quando il paziente viene sottoposto ad intervento chirurgico ciò avviene perché il quadro clinico non è chiaro ed è quindi necessario accertarsi della diagnosi. In questi casi, eseguita una laparatomia esplorativa è consigliabile astenersi da qualsiasi altro intervento chirurgico. A ltri AA. propongono invece alcuni interventi di minima e cioè l'infiltrazione locale di recorcaina o di antienzimi (cosa che noi abbiamo realizzato solo in pochi casi) associata a drenaggio della loggia pancreatica. Quando al tavolo operatorio una p.a. è stata chiaramente evidenziata è utile - procedere nella seguente maniera: - irrigare la cavità peritoneale con abbondanti quantità di soluzione fisiologica tiepida; - dopo aver inciso il legamento gastro - colico ispezionare con cura il pancreas, aprire ,i l peritoneo posteriore al disopra del pancreas se sussiste Lm ematoma o una raccolta siero - ematica; - evitare manipolazione del pancreas e del duodeno; - palpare delicatamente il coledoco per rilevare eventuali calcoli; - eseguire una colecistostomia di decompressione dell'albero biliare, anche per pcter studiare radio!ogicamente con cura, diversi giorni dopo !.'intervento, le vie biliari; - drenare ampiamente la loggia pancreatica con tubi di plastica ben tollerati; attraverso questi drenaggi, nel periodo post- operatorio, sarà possibile realizzare una dialisi dello spazio rctrogastrico con liquidi appropriati.


Il trattamento chirurgico delle complicanze, infine, riteniamo vada tenuto distinto da quello effettuato per intervento d'urgenza e di principio, i quali ultimi pcssono anche essere eseguiti d'urgenza. Si tratta - e lo ricordiamo molto brevemente - di interventi derivativi (drenaggi biliari esterni o interventi ovvero derivazioni gastrodigiunal,i) o demolitivi (resezioni intestinali, colectomia per .fistole secondarie a processo acuto. In conclusione riteniamo utile riaffermare il principio che la p. a. non deve, in linea di massima, essere trattata chirurgicamente. Le indicazioni all'intervento sono determinate dalle complicanze quali pseudocisti, l'ascesso, l'emorragia massiva in una pseudocisti o nd tratto gastrointestinale. I più recenti progressi ottenuti nel corso degli anni nel trattamento della p.a. trovano la loro spiegazione nella più esatta conoscenza dell'etiopatogenesi della malattia anche se, come abbiamo affermato all'inizio, si tratta di un campo ancora difficile da controllare per cui siamo costretti ad utilizzare un ampio bagaglio di farmaci e di presidi chirurgici, spesso palliativi. A tal fine ci sembra doveroso l'utilizzazione recentissima di altri mezzi farmacologici e di più avanzate tecniche chirurgiche. Intendiamo parlare ad esempio dell',impiego nel trattamento della p.a. del glucagone (S.K. Bathia, 1972 e M. J. Kinight, 1972) di cui da teropc sono note le azioni sul metabolismo dei carboidrati e sul sistema cardiovascolare. Il glucagone viene utilizzato proficuamente nelle primissime fasi della malattia pancreatica ma non sono noti i meccanismi della sua azione. E non va dimenticato l'impiego, in casi selezionati e meno gravi di p.a., della radioterapia, la quale inibirebbe la secrezione pancreatica. Dal punto di vista chirurgico ricordiamo l'uso dell'ipotermia che, se correttamente realizzata, sarebbe utile soprattutto nei casi di p.a. fulminante (Rettori, 1970). CASISTICA (fig.

3).

Il nostro personale apporto si compcne di una serie di 77 casi ngorosamente selezionati, occorsi alla nostra osservazione dal 1950 ad oggi: si tratta, a nostro parere, di una importante casistica, soprattutto tenendo conto della bassa incidenza di pancreatite nella nostra Regione. Questa bassa incidenza è forse in rappcrto con le particolari abitudini alimentari ed al moderato consumo di alcool delle nostre popclazioni. Questo sarà il tema di uno studio che stiamo per intraprendere, allo scopo di eseguire un censimento sulla reale morbilità pancreatica (in senso infiammatorio e non neoplastico) nella nostra Regione. La nostra casistica ha il merito dì essere omogenea ma non ha - e noi aggiungiamo fortunatamente - il costante riscontro chirurgico (33 casi su 77) perché, specie negli ultimi anni, abbiamo cercato di sottoporre ad inter-


50

45

TERAPIA MEDICA . 44

40 TERAPIA CHIRURGICA :

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33

30

25 20

15 10

5

o

57,1 %

42.9 %

Fig. 3. - Tipo di terapia.

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25 20

16 15

12 10

8

8

5

o

4 2,8%

15.5%

10,4%

10,4 %

20,8%

6Ul!l61 0N I

M16ll0UMU TI

EXITU I

OIMI SSIOMI CONTftO IL PAR ERE DEI SINITA!I

KISUl TI TI SCONOSCIUTI

Fig. 4.


1 53

venti w1 numero sempre minore di pazienti, convinti della frequente inutilità del trattamento chirurgico ed incoraggiati dal crescente successo della sola terapia m edica e rianimatoria. RISULTATI

(fig. 4).

Dallo studio della nostra casistica (77 casi, dei guali - e cioè il 57,1% trattati con terapia medica e 33 - e cioè il 42,9% - trattati con terapia chirurgica) possiamo affermare che i nostri risultati sono, specie se paragonati ad altre importanti statistiche italiane e straniere, indubbiamente soddisfacenti. Nei 44 casi trattati con terapia medica abbiamo avuto 15 guarigioni, 9 miglioramenti e 7 exitus (a questo proposito riteniamo doveroso sottolineare che abbiamo rilevato che questi malati erano quelli giunti alla nostra osservazione in condizioni assai gravi e l'exitus è avvenuto molto presto 1 - 2 giorni ,d al momento del ricovero in Clinica quando cioè e presidi medici e rianimatori non avevano la possibilità di dare gli effetti desiderati). Nei 33 casi sottoposti a terapia chirurgica abbiamo ottenuto 17 guarigioni, 3 miglioramenti ed I excitus. Sono usciti dalla Clinica contro il nostro parere e prima della conclusione necessaria della terapia 5 pazienti trattati con terapia chirurgica e 3 pazienti trattati con terapia medica.

CONCLUSIONI

Il nostro attuale indirizzo nella terapia della p.a. è dettato dall'esperienza ricavata in q uesti ultimi anni dall'osservazione de,i 77 casi da noi studiati dai quali abbiamo tratto la convinzione che la terapia medica e rianimatoria (vedi tabella riassuntiva della terapia medica) ha dato buoni risultati se attuata rigorosamente e precocemente: per questo motivo abbiamo riservato la terapia chirurgica - come più volte in precedenza affermato solo nei casi dubbi dal punto di vista diagnostico e per presenza di palesi, importanti complicanze di questa malattia.

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BoNoMo G. M., N.~ccHJERo M.:


ISTITUTO 0 1 PATOLOG IA SPECIALE MEDICA Il DELL'UNIVERSITÀ 0 1 PADOVA SEDE DI VERONA

Di reltore : P rof. Dr. L. A. ScURo OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI VEROKA "MED. D'ORO - S. T EK. MED. G . A. DAL LA BO:-JA »

Direttore : Col. Med. Prof. Dr. A. M MTRORILLI

L'URGENZA ADDOMINALE IN MEDICINA * Prof. Dr. Ludovico Antonio Scuro

Il problema dell'addome acuto è di pertinenza precipuamente chirurgica. D'accordo con il collega Prof. Mar inaccio si è deciso di restringere il campo, così vasto, alla trattazione di quella sindrome addominale acuta, che va sotto il nome di dramma pancreatico. Ciò non mi esime da un rapi.do inquadramento dell'addome acuto, per fornire una visione panoramica del presente capitolo dell'urgenza addominale. Di questo capitolo fanno parte alcuni gruppi sindromici, e precisamente:

1) Le sindromi peritoneali acute; 2) I traumi chiusi dell'addome; 3) Le occlusioni intestinali; 4) Le emorragie gravi del canale alimentare. Ognw10 di essi impegnerebbe in una trattazione ben più a lungo del tempo a nostra disposizione. E' chiaro che ·l'interesse m edico più specifico è da un lato per alcune emorragie gastro - enteriche, soprattutto da rottura di varici esofagee e da ulcerazioni gastriche o duodenali, e dall'altro per la diagnostica differenziale della peritonite acuta. . Fondamentale, a quest'ultimo riguardo, è poter formulare una te-mpest:r.va e corretta diagnosi di affezioni acute di carattere chirurgico, per le implicazioni terapeutiche: peritonite da appendicite, colecistite, diverticolite, peri_toiùte da perforazione di ulcera gastrica e duodenale; di tumori ed organi poduncolari (cisti ovarica ed annessi, grande ometo, milza). . ~aturalmente si impone la diagnosi diffet'.enziale con sindromi addominali non chirurgiche. . . • Conferenza tenuta il 26 aprile 1973 all'Ospedale Militare Principale di Verona per il Clclo di aggiornamento 1972. 73.


Pur non dovendo entrare in argomento, non posso non segnalare la difficoltà che talora si incontra nell'identificare una colica biliare semplice, una colica renale, una colica uterina o tubarica (si pensi anche a certe sindromi acute da tensioni premestruali). on si può tralasciare un aocenno alle coliche saturnine negli intossicati da piombo e-cl ali.e coliche da porfiria acuta, che tante volte per il quadro pseudo peritonitico inducono ad inutili jnterventi chirurgici. Altre crisi dolorose da tenere in considerazione nella diagnostica differenziale sono quelle dovute ad aneurismi dissecanti dell'aorta addominale e ad angor abdominis per trombo - angioite obliterante di Buger o, più spesso, arteriosclerotica. Né v;nno, infine, sottaciute, in ambito medico, l'adenite iliaca, la porpora addominale di Schoenlein -Henoch, la ascite neoplastica alla sua prima battuta. Assidua, quindi, deve essere la collaborazione tra il medico e chirurgo in ogni caso di sospetto addome acuto, ma particolarmente stretto questo rapporto deve essere nell'eventualità che sussistano fondati motivi per ritenere di trovarsi di fronte ad una pancreatite acuta. Infatti, <ialla efficace collaborazione tra internista e chirurgo patranno sortire vantaggi cospicui per l'tofermo, non soltanto ai fini della esatta impostazione diagnostica, ma ancor più ai fini della condotta terapeutica. E' su quest'ultima patologia che ritengo di dovermi soffermare, considerando soprattutto gli aspetti clinico -diagnostici. Sotto il profilo strettamente clinico, il dolore costituisce l'elemento più rilevante essendo presente in quasi la totalità dei casi. Purtroppo la sua intensità variabile (verosimilmente in rapporto all'entità ed al tipa del substrato anatomopatologico) e la incostanza della sua localizzazione e della sua irradiazione (verosimilmente in rapporto oltre che con il segmento interessato del viscere, con la preminenza dell'uno o dell'altro dei numerosi momenti patogenetici) non consentono un perentorio orientamento diagnostico. Può essere utile tener presente che la pancreatite acuta secondaria a patologia biliare non si accompagna mai a dolore né a dolorabilità dell' emiaddome sx mentre il dolore della pancreatite alcoolica può diffondersi a tutti gli addominali. Soltanto indicativa è anche la irradiazione posteriore o all'ipocondrio sinistro di un dolore iniziato in sede epigastrica. In favore della natura pancreatica del dolore parla anche il relativo sollievo ottenibile con alcune posizioni inabin1ali per un « addome acuto » quali quelle genu pettorale o quella supina con arti inferiori ben alti, appoggiati d i solito alla parete. Il vomito (60 -90% dei casi), lo stato col/assiale (40 - 50% dei casi) e la febbre (50% dei casi) nonostante la loro incidenza relativamente elevata e la in<lubbia rilevanza clinica non orientano neppur essi con decisione verso la crisi pancreatica. Questa viene invece suggerita da un altro elemento co-


struttivo e cioè dallo sconcerto glicometabolico (diabete latente, diabete franco) che peraltro è presente in solo un terzo circa dei pazienti. Nella stessa percentuale si riscontra ittero o subittero, ma è un segno questo che può erroneamente indirizzare verso una diagnosi di colica biliare piuttosto che verso un insulto acuto del pancreas. Di altri segni noti e sorprendentemente famosi in letteratura non ritengo di dover dire : essi erano già rari un tempo quando forse alla diagnosi si addi.veniva in fase assai avanzata e attualmente sono cos.l eccezionali da non rivestire importanza pratica. Vorrei solo aggiungere che lo specialista gastro - enterologo può essere in grado di cogliere la discrepanza esistente tra la dolorab.ilità addominale spiccata e la oggettiva rigidità dell'addome che non è molto rilevante; purtroppo, il medico non pratico che affronti una situazione di emergenza di questo tipo è difficile che sappia valutare elementi così sfumati. Emerge da quanto ho sin qui succintamente esposto che in presenza di un attacw di pancreatite la sola clinica non è in grado di fornirci un indirizzo sicuro ma solamente dei dati indicativi. e consegue che il più rapidamente possibile bisogna raccogliere essenziali informazioni attraverso il laboratorio e mediante alcuni accertamenti strumentali. on sono necessarie, come dirò, procedure molto sofisticate ed è sufficiente stabilire un iter diagnostico piuttosto semplice. Un posto di assoluta precedenza e di indiscutibile rilievo spetta al saggio nel siero dell'infermo degli enzimi pancreatici e, in particolare, dell'amilasi e della lipasi che sono, spe<::ie il primo di più agevole esecuzione e pertanto possibili di determinazione anche nei laboratori più periferici. Desidero sottolineare, tuttavia, che in diverse affezioni addominali acute, quali ad esempio colica biliare, occlusione, si ha iperamilasemia ciò che può complicare il diagnostico differenziale. Se non si dispone della lipasemia che se patologicamente aumentata definisce la diagnosi senza dubbi di sorta, sarà bene rammentare che solo una iperamilasemia superiore cin9ue volte la norma può ritenersi in pratica espressione di danno pancreatico acuto. Inoltre, non va dimenticato che l'incremento amilasemico è fugace e che un saggio effettuato dopo 24 - 36 ore può anche risultare negativo. E' sulla scorta di questo rilievo che richiamerei l'attenzione sulla opportunità di saggiare oltre che l'amilasi del siero anche e soprattutto quella urinaria: val.ori elevati (sono sicuramente significativi quelli maggiori del doppio del limite massimo normale) <lell 'enz.ima pers.istono, infatti anche parecchi giorni dopo la crisi pancreatica acuta. Se tale persistenza si prolunga più settimane, e ciò si accompagna a normali valori amilasemici, bisogna allora pensare alla molto probabile formazione di una pseudocisti pancreatica il cui primum m ovens è stato l'attacco acuto di pancreatite, m a la cui evoluzione diviene autonoma; la trattazione di tale possibilità e delle sue implicazioni va tuttavia al di fuori del tema a me assegnato e mi lim ito solo a questo accen no.


Desidero, infine, considerare l'utilità .diagnostica di alcune indagini strum entali e precisamente dell'addome in bianco e della scintigrafia pancreatica. Con il primo di questi esam i è possibile in tanto esdudere altre affezioni addominali acute che devono porsi in diagnosi differenziale e cioè l'ulcera perforata e l'occlusione in testinale. Inoltre, si è frequentemente in grado di individuare alcuni segni radiologici indiretti che sottintendono un impegno acuto del pancreas; i principali sono l'ansa a sentinella (ansa digiunale iperdistesa da gas a seguito di ileo funziona] e) e il colon cut - off - sign (brusca interruzione di contenuto gassoso a livello della flessura sx del colon). Per quanto attiene alla scintigrafia ,del pancreas, essa riesce completamente « muta ))' in ciò dimostrando il deficitario « uptake >> del radionucleide. Questo è secondario sia alla funzione compromessa del viscere, sia all'edema sia, infine, a turbe circolatorie locali e talora generali, presenti in caso di pancreati te acuta. Una volta pervenuto alla d iagnosi di pancreatite acuta, l'internista dovrà valutare molto attentamente le possibilità di un trattamento medico o la necessità di immediato provvedimento chirurgico. A questo fine è indispensabile l'immediato ricovero dell'infermo in ambiente ospedaliero qualificato, sì che si possa disporre della stretta collaborazione tra équipe medica e chirurgica che consenta di evitare ritardi nell'attuazione dell'eventuale intervento operatorio.

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ISTITUTI OSPEDALIERI DI VERONA - DIVISIONE ORTOPEDICO. TRA UMATOLOGICA ISTITUTO DI MEDICTNA DEL TRAFFICO FACOLTÀ MEDICA D I PADOVA - SEZIONE STACCATA DI VERONA

Primario e Dir,cttore [ne.: Prof. Dr. E. MARCER OSPEDALE MILITARE PRlKClPALE DI VERONA « MED. D'ORO - S. TEN, MEO. G. A. DALLA BONA »

Direnore : Col. Med. Prof. Or. A. MasTRORILLJ

L'U R GENZA IN TRAUMATOLOGIA ORTOPEDICA * Prof. Enzo Marcer

In questo corso di aggiornamento su « Le urgenze >> il concetto di urgenza è già stato ripetutamente chiarito dagli illustri oratori che mi hanno preceduto, dal Prof. Valtloni per la parte generale - introduttiva e dagli altri docenti per le varie specialità m edico - clùrurgiche. La necessità di un trattamento d'urgenza nelle lesioni traumatiche degli arti è •Stata affermata già m illenni fa nei cosiddetti papiri medici di Erbers e di Edwin Smith che si ritiene siano stati ispirati o dettati dal sacerdote chirurgo Imhotep vissuto nella terza dinastia. Però solo da pochi anni, soprattutto per l'opera dei grandi maestri dell'ortopedia come Putti, Boehler, Watson Jones, il trattamento urgente nella traumatologia è stato codificato nei suoi var i momenti. Soprattutto Vittorio Putti nel suo famoso cc Decalogo delle fratture» ha posto alcuni principi fondamentali su cui poi si è costruita e sviluppata la traumatologia ortopedica moderna. Così al n. 2 del Decalogo si legge : <e Frattura è lesione locale che provoca una reazione generale, cioè una malattia. Con la frattura curare quindi il fratturato )) . E' stato così valorizzato il concetto di « malattia traumatica )> confermato poi e approfondito dagli studi d i Selye e di altri fisiopatologi e ortopedici. Al n. 3 si legge : « La malattia è acuta. Riconoscerla subito per curarla immedia:tamente». E al n. 7, sempre del D ecalogo : « Ridurre immediatamente. Nessuna r,iduzione è difficile entro le prime dieci ore, tu.tte lo sono dopo le qua.rantotto ore )) . "' Conferenza tenuta il 24 maggio 1973 all'Ospedale Militare Principale di Verona per il ciclo di aggiornamento l972 -73.


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Con ciò Putti ha voluto stabilire il principio che tutta la traumatologia ortopedica comporta la necessità di un trattamento urgente, cioè nelle prime ore. Tale indirizzo terapeutico è stato accettato già da 30 anni ,dagli ortopedici - traumatologici, ma solo negli ultimissimi anni si è notata una maggior rigidità nella sua applicazione, per le ragioni di cui diremo. Anzitutto la riduzione immediata di fratture e lussazioni, e per immediata si intende nelle prime ore, è resa più facile da vari fattori. Infatti le masse muscolari ,sono ancora in stato di stupore e non si oppongono alle manovre di trazione e contrazione che sono necessarie per ottenere una riduzione. Il tessuto connettivale giovane non ha cominciato ancora a proliferare e l'ematoma non ha ancora iniziato la sua organizzazione. Le modificazioni strutturali consecutive a tali processi potrebbero far perdere in poco tempo cc diritto di domicilio » ad un'anca o ad una spalla lussata e potrebbero impedire l'affrontamento esatto dei monconi di frattura. Nelle prime ore non sono ancora comparsi disturbi circolatori gravi, con il consecutivo edema, da cui molte difficoltà riduttive. Infine non è ancora conclamata la « malattia traumatica » e non si è instaurata la « sindrome di adattamento )> di Selye che però la mancata riduzione contribuisce a determinare. Proprio per questi squiLibri e alterazioni del suo organismo che tenderebbero ad evolvere in senso peggiorativo, il traumatizzato è da considerare un malato acuto e come tale deve essere curato. D'altro canto le difficoltà di riduzione di una frattura o di una lussazione compaiono già nelle prime ore e si aggravano nelle successive per i seguenti fattori. Anzitutto compare, molto precocemente, anche per i disturbi circolatori e per l'edema, la retrazione muscolare che si opporrà alle manovre di trazione e controtrazione necessarie per ottenere la riduzione. Già nella prima giornata cominciano a formarsi aderenze tra i vari tessuti dell'arto leso. Il mancato scivolamento tra loro dei vari strati sarà uno dei fattori che renderà difficile la riduz.ione. L'organizzazione dell'ematoma che avrà occupato gli spazi lasciati liberi dalle epifisi lussate o dai monconi diafisari fratturati renderà difficili le manovre riduttive, che comportano l'allontanamento dell'ematoma stesso, per fare -i n modo che epifisi e monconi riempiano il domicilio precedente. Lo stato generale del traumatizzato peggiorerà se non sarà precocemente ridotta la frattura, essendo la mancata riduzione concausa nel determinismo dello shock. Compariranno allora gli squilibri elettrolitici, le alterazioni metaboliche e circolatorie, caratteristiche della grave malattia traumatica. La degenza prolungata a letto e ]'immobilità dovute alla mancata riduzione e fissazione della frattura faciliteranno infine la comparsa delle gravi


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complicazioni come l'embolia grassosa, la flebotrombosi, e decubiti, le sofferenze pleuro - polmonari, ecc. Da tutte queste considerazioni sono nati in questi ultimi anni gli indirizzi della tecnica terapeutica moderna per i fratturati e politraumatizzati. Scopo ,del trattamento moderno delle fratture è quello di ridare la primitiv~, completa funzione dell'arto, mediante una riduzione immediata (entro le prime ore dell'incidente) e anatomica, con osteosintesi stabile che permetta una mobilizzazione precoce ed escluda l'apparecchio gessato. Non in tutti i casi si potranno applicare tali in<lirizz.i terapeutici moderni, ma questi ,debbono essere sempre presenti all'ortopedico - traumatologo che se ne servirà per quanto possibile. L'utilità della tecnica moderna si è vista soprattutto nel trattamento delle fratture ,del collo femorale. Da una alta percentuale di mortalità e di insuccessi, con necrosi cefaliche e pseudoartrosi si è passati in pochi anni ad una percentuale molto bassa di -decessi, ed a una buona percentuale di guarigioni clinico - funzionali e anatomiche. L'intervento di osteosintesi, con viti o placche, per le fratture <li collo femorale, deve essere eseguito entro poche ore dall'incidente, cioè d'urgenza, come se si trattasse di un addome acuto. Solo così, cioè se la riduzione e osteosintesi sono state fatte prima della trombizzazione dei vasi cervicali si può sperare in un ripristino della circolazione cefalica. Si potrà così evitare la necrosi della testa femorale che porterebbe alla necessità di un secondo intervento di endoprotesi o di artroprotesi. Per le fratture - lussazioni vertebrali mi.eliche il concetto è ancora più rigido. Quando il midollo è compresso, non tranciato, dalla lesione vertebrale, solo se la riduzione avviene entro 3 - 4 ore dall'incidente, si può sperare che i gravissimi fenomeni nervosi recedano e che non si instauri una vera paraplegia o una tetraplegia permanente. Anche per le lussazioni traumatiche d'anca o di spalla si impone una riduzione di urgenza. La riduzione è relativamente facile solo se eseguita prima che l'ematoma abbia cominciato ad organizzarsi facendo perdere diritto di domicilio all'epifisi lussata. E' comprensibile anche la necessità di una riduzione fatta al più presto per fratture o lu~sazioni che determinano gravi disturbi circolatori per compressioni vascolari (lussazioni di gomito e arteria omerale, lussazione di spalle e arteria ascellare), e gravi d isturbi nervosi per compressione di nervi vicini (frattura omero e nervo radiale, frattura polso e nervo mediano). Ormai da qualche anno si è cominàato a seguire l'i.ndi_rizzo moderno del trattamento cruento delle fratture diafisarie delle ossa lunghe con fissazione rigida e sotto pressione a mezzo di pJacche a vite, in modo d'abolire l'apparecchio gessato.


Ciò permette di ottemperare al princ1p10 stabilito da Putti al n. 9 del suo decalogo (« mobilizzare precocemente il fratturato») e a quanto ha stabilito Boehler: « immobilizzare la /rottura e mobilizzare l'arto >>. L'osteosintesi rigida, senza apparecchio gessato permette, già pochi giorni dopo l'intervento di mettere in movimento le articolazioni viciniori, prevenendo aderenze e ri~dità. Solo in alcuni casi l'ortopedico- traumatologo moderno accetterà di differire di qualche giorno la riduzione delle fratture. T ale differimento dell'urgenza può rendersi necessario nei politraumatizzati, in gravi condizioni per lesioni concomitanti che rendano gerarchicamente prioritari altri interventi sul cranio, sul torace o nell'addome. In tali casi l'ortopedico attuerà una « attesa operante » mettendo in trazione l'arto fratturato in modo da prevenire retrazioni. Se nel palitraumatizzato non verrà tempestivamente chiamato l'ortopedico, a prestare la sua opera, si potranno avere postumi irreparabili. Il ritardo d i cure ortopediche è particolarmente dannoso nei palitraumatizzati con lesioni craniche e midollari. Negli stati commoti vi cerebrali e nelle paraplegie, la formazione del callo osseo è precocissima, tumultuosa, abbondante come harino dimostrato Dejerine, Zanoli, De Bastiani e Vecchini, Calan.driello, ecc. per cui si passono avere in pachi giorni consolidazioni di fratture diafisarie con monconi lasciati in cattivo atteggiamento. Ecco in sintesi i danni che più frequentemente si osservano nel politraumatizzato che ottiene troppo tardi le cure ortopediche. Anzitutto può rendersi necessaria una riduzione cruenta per fratture che normalmente vengono ridotte incruentemente. Ciò può avvenire per fratture del polso a 12 - 15 giorni dall'incidente e per fratture del femore nei bambini dopo 2 - 3 settimane. Inoltre le fratture del collo femoral e che potrebbero essere curate precocemente con viti o placche di fissazion e, se giungono all'ortopedico in r,itardo, cioè con vasi cervicali trombizzati e con necrosi cefalica in arrivo, dovranno essere sottoposte al più impegnat i.vo intervento di sostituzione ortoprotesica. Lussazione d'anca e di spalla dopa qualche giorno possono divenire irriducibili incruentemente con il pericolo inoltre che si instauri secondariamente una artrosi o periartrite postraumatica con danni funzionali permanenti. Le fratture diafisarie che, per gli indirizzi moderni, debbono essere trattate cruentemente, nei casi che giungono tardivamente all'ortopedico debbono pure essere ridotte cruentemente, ma però per la retrazione delle parti molli l'affrontamento dei monconi potrà avvenire dopo accorciamenti anche di qualche centimetro dell'arto. Inoltre le alterazioni circolatorie e soprattutto la sofferenza del perio~ stio che in questi casi avrà già esaurito il suo potere r,iparatore, avendo già


prodotto callo per i monconi diastasati, p<>rteranno verso notevoli ritardi di consolidazione, verso pseudoartrosi, rottura di placche e necessità di reinterventi. Infine ricerche metaboliche, controlli elettrolitici, ecc. banno dimostrato (Monticelli) che la ritardata riduzione di fratture e lussazioni può impedire l'evoluzione favorevole della malattia traumatica e determinare, in concausa con altr.i fattori le complicanze nel politraumatizzato. Tutti questi inconvenienti si osservano soprattutto nel politraumatizzato che per la complessità delle sue lesioni viene curato -successivamente, non contemporaneamente, da varie equipes chirurgiche. Molto spesso il politraumatizzato giungerà così ali' eq uipes ortopedica a distanza di settimane o anche di mesi dall'incidente quando le lesioni degli arti, del tutto trascurate, avranno determinato danni irreparabili. Il problema di un trattamento moderno del politraumatizzato, che deve evitare tali inconvenienti, è stato posto sul tappeto da pochi anni da precursori come Judet (1961) e Marreffe (1964). Solo recentemente, per trovare una soluzione unitaria è stato portato all'ordine del giorno in numerosi congressi internazionali di Medicina del Traffico (New York 1970, Parigi 1972) di Ortopedia e Traumatologia (Città del Messico 1969) di Chirurgia (Roma 1972). In tali congressi si è cercato soprattutto di coordinare la metodica dei vari interventi di cui il politraumatizzato poteva aver bisogno, in modo che nessuna delle sue urgenze venisse trascurata, a favore delle altre. Le conclusioni in CLÙ in generale si è giunti possono essere bene compendiate da una frase del Monticelli : « Il politraumatizzato deve essere ricoverato sin dal primo momento in complessi ospedalieri traumatologici altamente qualificati, per essere curato, senza diritti di assunta prù;,rità, da una equipe di medici specializzati in perfetta collegialità » . Varie soluzioni sono state proposte per attuare praticamente quanto suggerito dalle conclusioni dei congressi sull'argomento. In Inghilterra e in Francia ci si sta organizzando in prop<>sito. Il politraumatizzato dovrebbe essere ricoverato solo in ospedali riuniti ~ un «_difartit:1-ento traumatologico » con reparto annesso di terapia intensiva e riammazzone. In tale dipartimento i l politraumatizzato dovrebbe essere asS'll.Ilto in cura da un « brain trust >> che comprenderà: anestesista - rianimatore, neuroch irurgo, chirurgo-1toracico, chirurgo - addominale, chirurgo-vascolare, chirurgo -ortopedico, chirurgo- plastico e eventualmente altri specialisti secondo le necessità. La visita collegiale di tutti gli specialisti interessati dovrebbe concordemente stabilire un piano terapeutico, con i vari suoi tempi, secondo la priorità degli interventi da eseguire. Sbagliare la gerarchia delle urgenze po-


trebbe compromettere la vita e il recupero del politraumatizzato (Biancalana). Appena possibile si dovranno eseguire interventi multipli o contemporanei (cranio e femore, torace e tibia, ecc.) da parte di equipes chirurgiche diverse. Si dovrà ricorrere a interventi chirurgici ortopedici anche se c'è una frattura cranica e se non è scomparsa ancora la sofferenza cerebrale (ludet, Marheffe, Va/doni). Lo stato di shock non dovrebbe impedire alcuni interventi ortopedici. Del resto lo shock non recederà facilmente finché le fratture non saranno ridotte e fissate. Si dovrà ricorrere all'intervento ortopedico anche in presenza <li una grave complicanza come l'embolia grassosa. Ponyanne e Buff (1972) affermano che l'intervento di osteosintesi magari con chiodo endomidollare non è controindicato neanche in questo caso e che non è vero che la mobilitazione di tanto midollo osseo, come avviene nell'alesaggio diafisario, possa favorire l'embolia grassosa. A conclusione vorrei affermare che nel politraumatizzato non deve essere trascurata l'urgenza ortopodica, a vantaggio delle altre urgenze. Molto spesso tutte le urgenze del politraumatizzato possono essere trattate, contemporaneamente o quasi contemporaneamente, nei pr.irru giorni dall'incidente. Solo in alcuni casi l'urgenza ortope<lica dovrà essere differita di qualche tempo ma si diminuirà il danno provocato da tale differimento, con l'attuare la cosiddetta attesa operante ortopedica.


CENTRO TRAUMAì'OLOGICO ORTOPEDICO DI TORINO REPARTO DI CHIRURGIA PLASTICA RICOSTRUTTIVA

Primario : Prof. s. T E!CH. A USIA OSPEDALE MIUTAR E PRIN'CIPALE DI VERON A « MED. D 'ORO • S . TEN. MED. G. A. DA LLA BONA»

Dirertore : Col. Mcd . Prof. Dr. A. MAsTRo RJLLI

L'URGENZA NELLE USTIONI * Prof. Simone T eich • Alasia

Il trattamento dei grandi ustionati, di coloro cioè che presentano lesioni per oltre il 25% della superficie corporea, è diventato, fin dalla seconda guerra mondiale, un problema di grandissima importanza, sia dal punto di vista medico che da quello sociale. In un passato non tanto remoto era opinione diffusa che ben difficilmente si poteva sopravvivere ad una ustione che colpisse più di un terzo della superficie cutanea; infatti, era dato per certo che quelli che non decedevano subito nei primi giorni, nelle fasi dello shock e dell'intossicazione, il più delle volte morivano dopo 20 - 30 giorni, in seguito ad inquinamento delle superfici cutanee lese. A distanza di anni, evn il sorgere, nei Paesi anglo - sassoni, dei primt reparti specializzati, questo grave prognostico è notevolmente cambiato; oggi non sono rari i casi di ustioni estese a ben oltre la metà ddla superficie cutanea, nei quali si può ottenere non soltanto 1a sopravvivenza, ma anche un ricupero funzionale di grado tale, da permettere all'ustionato di riprendere la sua vita normale. La creazione, in questi ultimi anni, di « centri per ustionati i> in vari Paesi, ha con sentito di approfondire le conoscenze sulla patologia delle usti.o ni e di studiare :i numerosi problemi connessi all'assistenza dei r icoverati. Ci si è resi conto dell'importanza del trattamento dei pazienti in un ambiente sterile e climatizzato, in cui il pericolo d'infezione delle superfici lese venga ridotto al minimo. Con l'esperienza, si sono venuti perfezionando i metodi del trattamento generale che hanno permesso, attraverso un'appropriata terapia sostitutiva dei liquidi perduti, la prevenzione o la rnra degli stati di shock. Anche il trattamento locale, in questi ultimissimi anni ha subito una evoluzione ,d i notevole importanza, attualmente siamo orientati verso l'escis-

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* Conferenza tenuta il 22 febbraio 1973 all'Ospedale Militare Principale di Verona per il ciclo di agg,i ornamento 1972 • 73. 3· · M.


166 sione molto precoce delle aeree ustionate che da una parte permette di evitare molte gravi conseguenze dell'auto - tossicosi, e dall'altra favorisce una guarigione senza quei gravi esiti cicatriziali che in un passato non tanto remoto erano assai frequenti.

Per comprendere meglio gli attuali indirizzi terapeutici è necessario che ricordiamo molto brevemente i vari aspetti delle lesioni cutanee e le varie manifestazioni generali, che caratterizzano la malattia da ustione. Per quanto riguarda le lesioni cutanee, sebbene la convenzionale classificazione delle ustioni in tre gradi sia .ancora diffusamente accettata, oggi si tende a classificarle piuttosto in base alla loro profondità o, meglio ancora alla loro capacità di guarire spontaneamente oppure soltanto mediante innesti dermo - epidermici. Mentre nelle lesioni del solo strato epidermico e in quelle superficiali del derma su una rapida riepitilizzazione spontanea proveniente dai piani più profondi del derma, le ustioni profonde dello strato dermico e quelle della cute a tutto spessore generalmente richiedono la sostituzione del tegumento andato perduto. ella fase iniziale non sempre è facile determinare la reale profondità delle lesioni cutanee e non sono rari i casi in cui l'aspetto della cute ustionata nei primi giorni possa ingannare e in seguito dimostrarsi in realtà più o meno grave di quello che sembrava inizialmente. Per poter accertare la profondità ,della distruzione cutanea sono stati escogitati vari tests, come quello della sensibilità di Jaclson (1953), quello di Tempest della visualizzazione del tessuto integro mediante iniezione di un colorante vitale (1963), quello di Bennet e Dingman con l'impiego ,del fosforo radioattivo (1957), e ultimamenl'e quello evidenziato da Mladjk col termografo (1966), in cui le zone distrutte dall'ustione risultano più fredde, e perciò più scure, di quelle non lese. Di massima importanza per la prognosi è la valuzione percentuale dell'estensione delle superfici ustionate in rapporto al.J'intero tegumento. Dei numerosi schemi e tabelle proposti, dal punto di vista pratico, meglio risponde quello della « regola del nove» (tavola 1), che suddivide l'intero mantello cutaneo in aree corrispondenti al 9% o a multipli di questo; la testa ed il collo equivalgono al 9%, la faccia anteriore <lel tronco al 18%, la faccia posteriore del tronco .al 18°/4, ogni arto superiore al 9%, ogni arto inferiore al 18% ed il perineo all'r %. Naturalmente tale calcolo vale soltanto negli adulti, mentre nei bambini la testa è di maggior volume in confronto degli arti inferiori. Così pure, mentre negli adulti è considerata grave l'ustione estesa al di sopra de,l 20 - 25~{ della superficie corporea, nei bambini, in cui il rapporto volume corporeo e superficie cutanea è minore, un'ustione che arrivi al 10- 15% è già considerata grave.


TAVOLA I

Il quadro locale del.l' ustione è caratterizzato da un processo infiammatorio con formazione di un essudato nell'interstizio cellulare. N elle cellule e nei tessuti avvengono alterazioni degli equilibri m etabolici con notevole aumento dei fenomeni catabolici. Le costanti fisico- chimiche locali vengono modificate : portano ad un aumento della concentrazione molecolare, ipertonia) e quindi d ella pressione osmotica. L'ipertonia, a sua volta, per ristabilire la normale pressione osmotica, richiama ~equa, il che favorisce la formazione di un edema infiammatorio. Le lesioni dei tessuti sono sem pre accom pagnate, in .corrispondenza delle zone lese, d a alterazioni della permeabi.lità vasale, il che comporta una rapida e continua perdi ta pla·s matica. Lo squilibrio idrico ed elettrolitico che si crea nelle ustioni estese e le altre manifestazioni generali che le accompagnano, possono essere di tale gravità <la costituire il quadro di una vera e propria malattia (malatti a da ustione). Per quanto riguarda le manifestazioni genera.li, E vans con un semplice diagramma illustra i quattro quadri principali che si possono osservare nella malattia da ustione (tavola 2 ). ella fase inizial•e della malattia, in corri-


168 TAVOLA 2

USTIONE BRAVE

~Perdita -

Perdita pla&rnatica Di&tru~ione tis&utale

precoce e tardi't'a di globuli rossi

O•l i go ernia

I

SHOCK

I INFEZIONE

ANEMIA

DISTURBI BIOCHIM I CI

Ritenzione Na Perdita K Metabol i&1110 alterato dei carboidrati lpoproteinemia Caduta di eos i nof il i nel circolo.

spondenza delle superficie ustionate, tutte le determinazioni n ervose sensoriali, vengono colpite da uno stimolo intenso, che può provocare fenomeni di shock neurogeno primario. Ciò si verifica quando lo stimolo periferico, trasmesso ai centri nervosi, provoca, per via riflessa, un quadro caratterizzato ,d a depressione psichica e collasso, con notevole ipatensione e ipotermia. Nella maggior parte dei casi lo shock iniziale è dovuto alla rapida ed abbondante perdita plasmatica che porta ad una considerevole riduzione della massa sanguigna circolante con aumento della viscosità da aumentata emoconcentrazione. In una fase successiva il liquido che si forma nell'interstizio cellulare, e che contiene numerosi derivati del processo catabolico, riassorbito attraverso i vasi sanguigni e .linfatici, può far sorgere uno shock autotossico secondario. Lo shock autotossico non è mai precoce, perché, per la formazione dell'essudato e per il riassorbimento di questo nel circolo sanguigno, è sempre necessario un certo lasso di tempo. La notevole perdita di liquidi ed il passaggio dei prodotti del catabolismo cellulare nel circolo sanguigno causano una sensibile riduzione del flusso circolatorio renale. Ciò avviene nella fase iniziale per uno spasmo vascolare e successivam ente per una stasi circolatoria. In queste condizioni, secon<lo la teoria ,di Trueta, il flusso -sanguigno intrarenale, che normalmente passa attraverso la zona corticale e soltanto in piccola parte attraverso la zona midollare del rene, segue il circuito midollare (esclusione del


flusso circolatorio dei glomeruli corticali. e passaggio attraverso i glomeruli iuxtamidollari), provocando notevole riduzione della diuresi che nei casi gravi può arrivare all'anuria. L a superficie cutanea ustionata si infetta con estrema facilità. Il liquido che fuoriesce dai tessuti distrutti è un ottimo pabulum per i germi, specialmente quando vengono usati abbondantemente me,d icazioni esclusive. La secrezione sierosa o purulenta che s.i forma sotto tali me<licamenti sovente distrugge anche i residui epiteliali sopravvissuti al trauma. Dopo il distacco delle escare, attraverso il tessuto di granulazione formatosi, si riassorbe una notevole quantità di materiale settico e ciò può costittùre, per un organismo già notevolm ente debilitato, un ulteriore onere. N elle ustioni estese si ha con notevole frequenza una più o meno m arcata anemia. Quando le lesioni cutanee sono profonde, una parte dei globuli rossi viene immediatamente distrutta per emolisi. Molti altri si perdono durante le prim e due o tre settimane di malattia. Secondo Muir la perdita dei globuli rossi sul volume totale della massa sanguigna corrisponde dal J /2 all'1 % per ogni frazione percentuale di superficie ustionata in profondità. La persistenza di piaghe e la ridotta capacità emopcietica sono fattori che aggravano ulteriormente l'anemia. Quando non si provvede precocemente a r,i equilibrare i..J volume del san gue circolante, tutto il processo di guarigione rimane seriam ente compromesso. La risposta allo sforzo notevole al quale l'organismo viene esposto durante le varie fasi della malattia da ustione, si manifesta attraverso <listurbi biochimici: la formazione di edemi in corrispondenza del focolaio di ustione favorisce le ritenzioni di sodio, mentre attraverso le urine si ha una aumentata perdita di potassio; una alterazione nel metabolismo dei carboidrati pro-duce, non raramente, anche in individui non diabetici, iperglicemia e glicosuria, dovuti a disturbi ormonali; la notevole perdita plasmatica attraverso le superfici provoca ben presto una ipoproteinemia con deviazione del rapporto tra albumina e globuline (le prim e sono eliminate in maggiore quantità per la loro minor massa molecolare); all'iperattività della corteccia surrenale è dovuta la diminuzione degli eosinofili nel sangue e l'aumento dei 17 - chetosteroidi e dei corticosteroidi nell'urina. Oltre i disturbi biochimici su accennati, nel decorso della malattia da ustione si possono verificare anche altre complicazioni: disturbi respiratori, che possono essere dovuti a inalazione di aria calda o di sostanze tossiche. L'edema polmonare, quando la terapia sostitutiva sia ben condotta, può generalm ente derivare da un'insufficienza cardiaca acuta. Le em orragie gastri,che si verificano soltanto nelle ustioni molto estese e non sempre sono dovute a<l ulcere di Curling. N elle fasi tardive della malattia si riscontra frequentemente un n otevole aumento del volume del fegato e d ella milza. Nei pazienti che sono rimasti immobili per lungo tempo si pcss?no osservare diffuse osteoporosi.


La terap1a del.le ustioni viene comunemente divisa in ,due parti: trattamento generale della malattia e trattamento locale delle lesioni cutanee. Ma tanto il primo quanto il secondo variano notevolmente nei diversi periodi della malattia. Lo scopo della terapia generale nella fase iniziale è quello di prevenire i fenomeni di shock e di compensare le abbondanti perdite di liquidi e di elettroliti che si verificano fin dalle prime ore nelle ustioni di una certa gravità. Quando negli adulti le lesioni sono estese oltre il 20% della superficie corporea e nei bambini oltre il 12%, si provvede ad incannulare una vena per poter immediatamente istituire una efficace terapia sostitutiva che permette di ristabilire iJ livello normale della massa sanguigna circolante. La quantità <li liquido da infondere viene calcolata in rapporto .al peso corporeo e alla percentuale della superficie cutanea ustionata. Secondo la formula di Purnell-Evans il fabbisogno di liquidi da somministrare per fleboclisi nelle prime 24 ore corrisponde a r cc di sospensione colloidale (sangue, plasma e succedanei), più 1 cc di soluzione elettrolitica per ogni centesimo di superficie ustionata e per kg di peso. A questo quantitativo di liquidi si devono aggiungere 2000 cc di soluzione glucosata al 5% per compensare le perdite idriche fisiologiche. Secondo la stessa formula nelle seconde 24 ore la quantità di fluidi viene ridotta alla metà circa. Evans, in Inghilterra, consiglia di ,i ntrodurre nell'organismo, nelle prime 48 ore, quantità inferiore di fluidi di quella calcolata con la formula di Purndl, affermando che sono sufficienti 120 cc di soluzione di Dextran per ogni 1% di superficie ustionata, aggiungendone per via orale 50 cc d'acqua per ogni kg di peso cor,roreo. Di questa quantità la metà viene somministrata nelle prime 8 ore, un quarto nelle successive 16 ore e l'ultimo quarto nella seconda giornata. Si discute ancora molto sul tipo di liquido da usare per la terapia sostitutiva. Mentre molti preferiscono ancora le infusioni di plasma sanguigno, altri sostengono che il plasma non è scevro di pericolo, specialmente per il fegato, e preferiscono i suoi succedanei macromolecolari. Secondo Evans, la soluzione di Dextran non è soltanto un ottimo succedaneo di plasma, ma in determinate circostanze risulta più efficace nel prevenire lo shock e nel mantenere la diuresi ad un livello soddisfacente. Anche altri AA. sostengono che l'infusione di plasma conservato può essere in parte responsabile della distruzione di globuli rossi anche a cura inoltrata. L'uso precoce di neuroplegici si è dimostrato molto vantaggioso in tutti i casi in cui esisteva uno stato di eccitamento e, si è visto, che con esso si ottiene anche un miglioramento nella vascolarizzazione cutanea. E' più discusso l'uso dei cortisonici, poiché, mentre da una parte essi hanno un'azione antinfiammatoria ed an ticheloidigena, dall'altra parte sono catabilizzanti ed energizzanti. Per quanto riguarda gli antibiotici, conviene usarli sol-


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tanto nei casi in cui si hanno segni evidenti di infezioni e sempre dopo aver eseguito un antibiogramma. Dopo le prime 48 ore la quantità di liquidi da somministrare viene calcolata in base ai reperti di laboratorio. Il valore dell'ematocrito, la quantità di emoglobina ed il volume della massa sanguigna circolante sono i dati necessari per poter impostare una terapia sostitutiva efficace. La proteinemia, la sodiemia, .la potassiemia e la calcemia sono tutti dati indispensabiLi per poter ristabilire l'equilibrio elettrolitico. La quantità d'urina emessa per ogni ora e la sua composizione chimica sono gli elementi necessari per trattare adeguatamente gli eventuali disturbi renali. Quando l'ustionato è ben idratato fin dalle primissime ore, difficilmente può instaurarsi un blocco renale. Tale evenienza può verificarsi soltanto quando nella parte filtrante del rene esistono già lesioni irreversibili, e in questo ultimo caso l'esito letale è inevitabile, poiché anche la messa in funzione di un rene artificiale non può essere risolutiva. Ciò viene confermato da molti studiosi che si sono interessati in questo argomento. Mentre una ben equilibrata reidratazione può salvare la vita di un grave ustionato, una iperidratazione costituisce sempre un serio e grave pericolo. Si possono facilmente instaurare edemi nei vari organi, in particolare nei polmoni e nel cervello. Perciò anche nelle ustioni superiori al 50% di estensione, e profonde, la quantità di liquidi somministrati nelle 24 ore non dovrebbe mai essere superiore ad 1 / ro del peso corporeo. Superato il primo periodo, in cui il pericolo di shock e di riassorbimento di sostanze tossiche attraverso le zone ustionate rende molto precarie le condizioni dell'ustionato, il trattamento generale rimane sempre in primo piano. Soltanto attraverso un precoce ristabilimento dell'equilibrio organico si può ottenere un miglioramento delle condizioni locali. Un deficit ematico o proteico o un'alterazione dell'equilibrio elettrolitico rende poco vitale qualunque tessuto di granulazione sul quale gli innesti cutanei hanno ben poca probabilità di attecchire. Quando la terapia infusionale può essere ridotta e si può procedere anche ad un'alimentazione normale, la dieta deve essere di alto valore calorico, tale da compensare tutte le perdite proteiche. Le frequenti trasfusioni di sangue ed infusioni di plasma aiuteranno a riportare su livelli normai.i la quan tità di sangue circolante e l'ematocrito. Sin dalle prime ore dopo l'infortunio il tratta"f!Zento locale delle lesioni cutanee non è meno importante della terapia generale. Il m assimo sforzo deve essere fatto per evitare l'infezione delle superfici ustionate. In un ambiente appositamente creato, in cui questo pericolo viene ridotto al minimo, l'unico metodo veramente soddisfacente consis•te nell'esposizione ali 'aria ,delle superfici lese. Si deve cercare di ottenere una rapida essiccazi.one delle zone disepitelizzate, perché con la formazione di una crosta secca, nelle ustioni profonde, di una superficie necrotica complementare asciutta, _si avrà una


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notevole riduzione della perdita plasmatica. Le flittene vengono aperte e svuotate, ma senza asportare lo strato epiderm ico sollevato. Gli ustionati in condizioni generali molto gravi possono essere tenuti sotto particolari tende di clim atizzazione, nelle quali si può ottenere, in brevissimo tempo, qualunque condizionamento dell'aria, il che permette un rapido essiccamento delle superfici lese. Con il trattamento aperto si possono mantenere i pazienti sempre in posizione corretta ed evitare gli atteggiamenti viziati, mobilizzando precocemen te, tutte le articolazioni ed ,i n particolare quelle delle mani che più facilmente sono soggette a deformazione. Nel passato quando non usavano ancora la tecnica dell'escissione precoce, finché non appariva con evidenza la demarcazione dei tratti di cute necrotizzata o, nelle ustioni più superficiali, il sollevamento dei coaguli essiccati, venivano evitate le balneazioni. Generalmente il distacco delle escare si comincia ad osservare verso la fine della seconda settimana; dopo questo periodo, la balneazione, eseguita ogni due o tre giorni, può favorire ed accelerare l'eliminazione dei tratti necrotici. Le superfici con tessuto di granulazione ben deterso vengono ricoperte con innesti dermo - epi,d ennici: questi possono essere tanto più spessi q uanto più pulita si presenta la superficie senza tegumento. Per ottenere l'optimum delle condizioni delle zone da inn estare, noi preferiamo praticare una balneazione immediatamente prima ,dell'intervento e detergere il tessuto di granulazione con un getto di liquido disinfettante. N el trattamento chirurgico dei grandi ustion ati si im pone sempre un problema estremamente importante e complesso : quello cioè, di ricoprire con la poca cute rimasta integra aree di sepitelizzate molto estese. Per risolvere tale proble01a sono stati proposti vari metodi, dei quali i tre principali sono i seguenti : a) la copertura temporanea con omoinnesti, destinati ad essere eliminati dopo un periodo di tempo relativamente breve, ma che tuttavia consentono all'infortunato di contenere le dispersioni plasmatiche, in attesa che la riparazione spontanea aumenti l'esten sione delle aree donatrici; b) l'uso di innesti autologhi a strisce o a francobolli che, una volta attecchiti, rappresentano il punto di partenza della successiva riparazione epiteliale; c) la tecnica degli innesti omo - ed autoplastici alternati che utilizzano i vantaggi di entrambi e metodi precedenti. Nel nostro reparto usiamo attualmente, prevalentemente, gli innesti autologhi secondo una tecnica ormai affermatasi, che consente di ricoprire vaste aree rimaste senza tegumento, sfruttando una quantità di cute relativamente piccola. Utilizziamo un partiwlare dermatomo (Mesh- graft dermatome) ch e con un sistema tanto sempli~e, quanto ingegnoso, sfrutta l'ela-


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sticità della cute, ottenen<lo la ricopertura di superfici triple di quelle della zona di prelievo. Ricavato un lembo di cute con un dermatomo di qualsiasi tipo, lo si distende su di una sottile lamina sterile di plastica e lo si introduce con essa nell'apparecchio che consiste di due rulli : uno zigrinato ed uno con superficie esterna formata da tante lamelle taglienti, di 3 cm circa, alternate fra loro come i mattoni di un muro. Una manovella fa ruotare il rullo zigrinato inferiore, su cui fa presa la lamina, costringendola ad avanzare fra i due rulli stessi, in modo che quello superiore con le lamelle taglia altrettante fessure sull'innesto precedentemente disteso sulla superficie superiore della lamina. Si ottiene così un lembo di cute che ha la caratteristica di essere tutto fessurato da tanti taglietti. Questi ci permettono, con una lieve trazione sui bordi, di allargare il lembo a forma di rete e di adagiarlo a ricoprire una superficie ben maggiore di quella originaria. Il vantaggio di questa tecnica non è soltanto quello di risparmiare molto della cute integra dell'ustionato. Infatti abbiamo potuto osservare che le fessure, allargatesi in tanti piccoli rombi, fungono da altrettanti punti di drenaggio. Questo fa sì che la sierosità ed il sangue emessi dal tessuto di granulazione dopo l'apposizione dell'innesto possano essere immediatamente eliminati senza raccogliersi al di sotto dell'innesto stesso. Fino a d ue anni fa, come abbiamo già detto, attendevamo il distacco spontaneo delle escare, ricoprendo poi il tessuto di granulazione residuato con innesti dermo - epidermici. In questi ultimi due anni ci siamo invece decisamente orientati verso l'escissione lamellare molto precoce. Questo m etodo consiste nell'asportazione a sottili. strati del tessuto necrotico, fino ad arrivare su tessuto sicuramente sano in cui sono chiaramente riconoscibili vasi ben sanguinanti. Con l'escissione lamellare l'intervento diventa non soltanto una preparazione chirurgica per il letto ricevente l'innesto, ma un vero procedimento diagnostico, .in quanto permette l'esatta valutazione della profondità dell'ustione. Il periodo migliore per tale intervento va dal terzo al quinto- sesto giorno dall'infortunio; oltre a questo limite generalmente in corrispondenza della linea di demarcazione della zona ustionata si forma già una quantità più o meno abbondante di liquido prodotto dalla col liquazione del tessuto necrotico, che può diventare pabul uro favorevole per la moltiplicazione di germi eventualmente comparsi .sullia superficie lesa. Inoltre, attr:averso .il tessuto di granulazione, che comincia a formarsi in profondità già dopo la prima settimana, possono riassorbirsi delle sostanze tossiche o del materiale settico provocando complicazioni tossico - infettive. E' della massima importanza ricoprire immediatamente, dopo accurata emostasi, la superficie cruente. Una ritegumentazione differita renderebbe


1 74

soltanto più problematico l'attecchimento degli innesti senza offrire in cambio alcun vantaggio. elle ustioni estese, ed in particolare nei casi in cui le superfici anteriore e posteriore del tronco o degli arti sono lese contemporaneam ente, non riteniamo opportuno procedere alla completa escissione di tutte le parti lese in un solo intervento, bensì in due o tre sedute a pochi giorni di distanza l'una dall'altra. Finora n ella quasi totalità dei casi da noi trattati abbiamo fatto uso di innesti autoplastici. Per le mani, la faccia ed il collo prderiamo usare innesti a lembi interi, mentre per le altre parti del corpo, con grande frequenza, sfruttiamo gli innesti a rete, i cui risultati, sia funzionali che estetici, differiscono di poco da quelli ottenuti con innesti a lembi incerti. Abbiamo potuto osservare che la proliferazione epiteliale tra le m aglie della rete è già dopo 4- 5 giorni completa e riteniamo che ciò sia dovuto prevalentemente al fatto che gli innesti vengono lasciati esposti all'aria e che sotto di essi, come abbiamo già detto, non si raccoglie alcuna sierosità che potrebbe sollevare l'innesto o favorire un processo infettivo. Infatti nei casi in cui abbiamo potuto praticare un'escissione lamellare molto precoce, l'attecchimento degli innesti è stato quasi totale. Potremo pertanto considerare che con l'escissione lamellare precoce e la ritegumentazione immediata si ottiene una guarigione per certi aspetti paragonabile a una guarigione per prima intenzione. Inoltre con la asportazione precoce delle zone lese, si eliminano i tessuti dai quali numerose sostanze tossiche vengono riassorbite nell'organismo e perciò tutta la fase auto - tossica della malattia da ustione viene non soltanto attenuata ma considerevolmente abbreviata. Con l'immediata ricopertura delle superfici si ottiene una rapida riduzione della perdita di liquido e con ciò un precoce ritorno alla norma d elle condizioni idroelettroliti.che. Infine la precoce riepitelizzazione impedisce che sulle zone lese possa instaurarsi un processo infettivo. Questi ultimi orientamenti nel trattamento dei grandi ustionati permettono oggi non soltanto di abbassare notevolmente la percentuale di esiti letali, ma di evitare quelle deformazioni e deturpazioni che in un passato non tanto remoto erano ancora molto frequenti e causa di gravi invalidità funzionali e di notevoli turbe della sfera psichica.


CENTRO ST UDI E RICERCHE DELLA SANITA MILITARE Direttore : Magg. Gen. Med. Dott. C. Mus1Lu OSPEDALE MILITARE PR[NCIPA LE DI ROMA Direttore : Col. Mcd. Prof. E. F AVUZZI

LE FOSFATASI SERICHE NELLE METASTASI OSSEE Col. Med. Prof. Enrico Favuzzi

Magg. Med. Dott. Raffaele Tucciarone

Il capitolo della oncologia è uno dei più interessanti nel campo della patologia ginecologica sia per la gravità della malattia in se stessa sia per la frequenza con cui i tumori si presentano all'osservazione del medico sia per tutte le implicazioni di ordine organizzativo ed assistenziale che la malattia comparta. Si è assistito negli ultimi tempi ad una sempre maggiore concentrazione dei pazienti affetti da tumori maligni in Centri altamente specializzati: e questo perché, sia <lal punto di vista diagnostico che ed ancor più da quello terapeutico, i pazienti cancerosi esigono una somma di assistenza e di cure, un impiego di mezzi tale la cui disponibilità non è alla portata di tutti : d'altra parte l'équipe di medici, di chirurghi e di radiologi che trattano questi pazienti deve essere altamente affiatata, e ciascun componente di essa deve essere a conoscenza dei problemi fisiopatologici e terapeutici anche delle <lisci pline confinanti. Il lavoro che nasce dalla collaborazione sempre più affinata di medici, di chirurghi, di ortopedici e di radiologi permette in tale maniera il raggiun6rirnento di risultati sempre più qualificati tanto dal punto di vista della diagnosi precoce <lelle neoplasie - tanto importante in rapporto al risultato a distanza che si vuol ottenere - tanto dal punto ,d i vista terapeutico. L 'utilizzazione di mezzi terapeutici associati di natura medica, chirurgjca e radiologica permette d i aggredire nella maniera più completa il tumore e le sue eventuali metastasi, di prolungare la vita di questi pazienti e alle volte di guarirli in maniera definitiva. Nell'ambito di questi concetti abbiamo creduto interessante eseguire una serie di ricerche in pazienti affette da tumori dell'apparato genitale femminile, che presentavano metastasi a carico delle ossa. L a comparsa di alterazioni neoplastiche a carico dell'apparato scheletrico non è di osservazione frequente nell'oncologia ginecologica, almeno nei riguardi della manifestazione neoplastica più frequente che viene alla osservazione del ginecologo, ossia nei riguardi del carcinoma cervicale. Il cancro del collo in fatti si dif-


fonde di solito per via linfatica e per contiguità: nello sv.ilupPo del tumore vengono preferibilmente invasi i parametri, la parte alta della vagina, i legamenti u~erosacrali, mentre le metastasi ossee sono di osservazione paù rara. In genere si ha l'interessamento precoce dei linfonodi otturatori, di quelli del la iliaca esterna, dell'iliaca interna, dell'iliaca comune e i lomboaortici. I linfonodi parametrali, otturatori, iliaci interni e iliaci esterni vengono considerati come grupPo di invasione primaria : m entre i linfonodi iliaci comuni, i lomboaortici, i crurali e i sacrali costituiscono il gruppo di invasione secondaria. Le metastasi a distanza, per via ematogena, sono più rare: tuttavia possono osservarsi delle disseminazioni tumo-rali nel fegato, nei polmoni, nella colonna vertebrale, nel cranio, ecc. Parimenti nel ca. corPoris le metastasi a distanza non sono molto frequenti, quantunque la loro incidenza sia superiore a quella che si riscontra nel ca. del collo. Nell'adenok corporis vengono interessati non raramente il fegato, i polmoni, lo scheletro. Nel ca. della mammella l'invasione ossea è più frequente e si può considerare quasi una tappa obbligata nella evoluzione della malattia. Più raramente invece si hanno metastasi ossee nel campo dei tumori m aligni del!'ovaio. N urnerosi contributi recenti hanno d imostrato l'importanza soprattutto dal punto di vista diagnostico del dosaggio delle fosfomonoesterasi, in particolare delle fosfatasi acide ed alcaline seriche, nelle malattie delle ossa. Le fosfatasi sono degli enzimi idrolitici. In questo gruppo i più importanti - oltre le fosfomonoesterasi - sono le beta - glicuronidasi, le acetikolinesterasi e le colinesterasi. Gli enzimi idrolitici catalizzano la idrolisi di un particolare legam e del substrato mediante introduzione degli elementi dell'acqua. Poiché le reazioni sono reversibili, questi enzimi possono in casi particolari anche catalizzare reazioni di sintesi. L 'equilibrio è a favore della idrolisi in rapporto allo svolgersi delle reazioni in ambiente acido. La reazione catalizzata è la scissione idrolitica di legami di estere tra acidi e alcoli. In particolare le fosfomonoesterasi, cui appartengono le fosfatasi oggetto di ricerca nel presente studio, catalizzano la scissione idrolitica di esteri fosforici di composti organici, ,di cui quello più usato per seguire la reazione enzimatica è il glicerofosfato. La reazione decorre come segue :

CH 2OH

OH

I

/

I

"'- OH

CH-O-P = O c H 2OH

acido beta - gl icerofosforico

glicerolo


1 77

Esistono numerose fosfatasi che sono specifiche per i vari substrati come ad esempio le fosfoamidasi, le metafosfatasi, le ATP - asi, la colinafosfatasi, le apirasi, le glucoso - 6- fosfatasi, le 5- nucleotidasi, ecc. Lo studio di queste fosfomonoesterasi nel sangue e nei liquidi organici non si è dimostrato di particolare interesse, eccezion fatta per le fosfatasi acide ed akaline i l cui dosaggio si è dimostrato di notevole utilità in molte condizioni di patologia umana. La fosfatasi alcalina del siero - che viene anche denominata monoesterasi I - ha un pH ottimale che si aggira tra 9,2 e 9,6. Per esplicare la sua piena attività è necessaria la presenza di magnesio, mentre viene inibita dalla cisteina, ,dal glutatione, dall'acido glutammico e da altre sostanze che form ano complessi con i metalloi.oni. La fosfatasi alcalina serica è in gran parte di derivazione ossea. Si è visto che nel corso dell'accrescimento corporeo il contenuto di fo.. sfatasi alcalina nel tessuto osseo è notevolmente maggiore nel bambino rispetto all'adulto : e in ricerche personali (tabella n. r) abbiamo trovato che Tab. :I U. K in g Armstrong

30

FOSFA TASI A LCAUNA NEL SIERO

D

b.1mbina.

Q ad ulta

25 20

6

28

46

51

J3 anni

la fosfatasi alcalina serica, nelle ragazze tra i 2 e gli 8 anni, è costantemente superiore a quella che si riscontra nelle adulte. In queste bambine abbiamo trovato valori oscillanti tra i 14 e le 20 Unità King- Armstrong : mentre nelle adulte, tra i 28 e i 51 anni, abbiamo trovato valori costantemente al di sotto delle IO Unità. In queste ricerche - come nelle successive - abbiamo utilizzato l'Unità King .. Armstrong che può essere definita come l'unità di enzim a che libera 1 mg d i fenolo ,d a una soluzione 0,005 molare di feni lfosfato bisodico in 30 m inuti. primi a 37,5°C con pH 9 . Col metodo usato il substrato è rappresentato dal fenilfo.sfato.


178 Abbiamo inoltre evidenziato una differenza notevole tra fosfatasi acida serica nella bambina rispetto alla donna adulta. Questo enzima è stato dosato negli stessi soggetti di cui sopra: i valori riscontrati oscillano tra le 4 e le 6 Unità King- Armstrong nelle bambine, mentre nelle adulte i valori riscontrati sono notevolmente inferiori (tabella n. 2).

FOSfATASI ACIDA NE L SIERO U-Kin9

Arrnstrong 10

m:l

~ barnbina

B

a dult a

6

I 6

28

46

51

33 anni

T.;1,_ 3 TUMORI DELL" APPARATO GENITALE fÉMMINILE CON Nr. casi

■ E SENZA B]

METASTASI OSSEE

5

2

Abbiamo pertanto ritenuto interessante studiare il com portamento delle fosfatasi seriche in alcuni casi affetti da tumori maligni. Si sono presi in esame - come mostra la tabella n. 3 - tre casi di cancro della mammella. 5 casi di epit. della portio, 4 casi di adenok corporis e 3 casi di ca. ovarico.


1 79

La presenza di metastasi scheletriche dimostrabili radiologicamente è stata accertata in due dei 3 casi di ca. della mammella, in uno dei 5 casi di epit. della portio, in tre dei 4 casi di adenok corporis e in uno dei 4 casi di ca. ovarico. Come si nota, la maggiore incidenza di metastasi scheletriche si riscontra nell'adenok corporis e nel ca. della mammella. Nella tabella n. 4 sono rip<>rtati i dati ottenuti in riferimento alla fosfatasi alcalina serica. Tutti i valori sono espressi in Unità King-Armstrong col metodo sopra ricordato.

Z.b + fOSFATAS, ALCAL.l~A SERICA NEI TUMORI CON METASTASI OSSEE

10

1S

20

Fosfa ta si alcalina

25

30

35 U. King

Armirrong

N ei due casi di cancro della mammella con metastasi ossee abbiamo trovato valori di 32 e di 23 U. ell 'unico caso di epit. portio con metastasi ossee si è avuto un risultato di 33 U. Nei tre casi di adenok cor poris abbiamo avuto 21,35 e 24 U. Infine, nell' unico caso di ca. ovarico con metastasi scheletriche è stato trovato un valore di 25 O. Come si vede da questa tabella, i valori ematici di fosfatasi alcalina sono notevolmente e costantemente aumen tati in tutte le pazienti con metastasi ossee. Per quanto riguarda la fosfatasi acida, n ell a tabella n. 5 abbiamo raggruppato i risultati ottenuti. Nei due casi di ca. della mammella sono stati trovati valori di 14 e 18 U. Nel caso di epit. della portio, 12 U. Nei tre casi di adenok çorporis, valori di 22,24 e 19 O. el caso di ca. ovarico, un valore di 17 U. Anche questa tabella dimostra che i valori di fosfatasi acida serica sono parimenti aumentati - come per la fosfatasi alcalina - nelle pazienti con metastasi ossee. Ed è interessante rilevare che nelle donne con manifestazioni


r8o tumorali in atto ma senza metastasi 1 valori di fosfatasi acida od alcaljna erano press.'a poco normali. Si è ritenuto inoltre interessante seguire il comportamento dei valori serici delle due fosfatasi nelle pazienti con metastasi ossee da ca. mammario

fOSfATASI ACIDA SERICA NEI TUMORI CON METASTASI OSSEE

cancro

m.1mme-lla

ade nok

corporis

ca ovarico

,o

25 U. Xing

20

15

Armstrong

Fosfatasi acid a

sottoposte - dopo la radicale - a telecobaltoterapia. I relativi dati sono illustrati nella tabella n. 6. L a linea continua indica i valori di fosfatasi alcalina: la linea tratteggiata, i valori di fosfatasi acida.

l:,h 6

Ar":n~ifo9ng

MOOIFlCAZIONI DELLA FOSfATASI ALCALINA E ACIDA SERICA NELLE PAZIENTI CON MCTASTASI OSSEE DA CA. MAMMARIO SOTTOP05TE A TELECOBALTOTERAPIA

35

2

4

8

B

10

12

14

18


181 Il comportamento delle due fosfatasi nel siero è pressappoco sovrapponibile : infatti nella prima settimana di trattamento non si hanno mo<lificazioni di rilievo, mentre dopo 8 - IO giorni i valori sia della fosfatasi alcalina che della fosfatasi acida si abbassano e raggiungono livelli minimi al termine del trattamento, per cui nel primo caso la fosfatasi alcalina passa da 32 a 25 U., nel secondo caso ,d a 22 a 17 U.: mentre i valori della fosfatasi acida passano rispettivamente ,da 18 a 13 U. e da 14 a 8 U. La telecobaltoterapia quindi induce un costante e progressivo abbassamento sia della fosfatasi alcalina che di quella acida nel siero. Nelle d ue pazienti con metastasi ossee da ca. mammario abbiamo potuto seguire a distanza di tempo l'evoluzione dei valori serici delle due fo-

VARIAZIONI DELLA FOSfATASl ALCALINA E ACIDA SERICA IN" PAZIENTI CON METASTASl OSSEE DA CA. MAMMARIO.

20

10

mui - 2

6

8

10

12

14

16

18

20

sfatasi (tabella n . 7). Dopo il primo trattamento di telecobaltoterapia postoperatoria (ra<licale) si nota che per circa due mesi i valori serici enzimatici rimangono per lo più immodificati: indi inizia un progressivo e costan te aumento delle due fosfatasi. Un nuovo trattamento telecobaltoterapico eseguito al 10° m ese provoca un fllUOVO abbassamento dei valori serici sia della fosfatasi alcalina che di quella acida. A l secondo trattamento segue un plateau in cui non si hanno variazioni di rilievo dei livelli enzimatici serici. Successivamente tra il 14° e il 20" m ese si osserva che i valori delle fosfatasi sono di nuovo in costante e progressivo aumento. Si è potuto inoltre seguire il comportamento della fosfatasi alcalina serica in tre pazienti con metastasi ossee ,d a ca. corporis (tabella n . 8). Queste donne erano state sottoposte a isterectomia totale e telecobaltoterapia. Il primo caso ha potuto essere seguito solamente fino al VI mese in quanto la 4· - M.


p. è deceduta: tra il IV e il VI mese i valori enzimatici sono nettamente aumentati. Il secondo caso ha potuto essere seguito solo per un anno, perché poi non è più tornato al controllo: in questa donna si è visto che i valori enzimatici erano in costante diminuzione, ed è interessante rilevare che tale comportamento era sovrapponibile al miglioramento delle condizioni generali della paziente. e! terzo caso la paziente è stata seguita per 18 mesi: dopo tale periodo non è più tornata al controllo. Quest'ultimo caso si è dimostrato notevolmente resistente alla terapia e negli ultimi controlli erano stati dimostrati radiologicamente nuove metastasi ossee : il livello della fosfatasi alcalina serica era nettamente aumentato.

:lab. 8 U.K,nQ Armstrono

,, non p,O torna,a

VARIAZIONI OCLLA fOSfATASI ALCALINA SERICA IN TRE PAZIENTI ,/ CON METASTASI OSSEE DA CA_ CXlRPORIS / /

I

+ I

I

I

al controllo

I

I

I

I I

I 2

I

I

I

I

········· •••,,.___

-•--;<. ...,~' -......_ ...........

-

.,,,,. . . . /

..... ..,,,,,,, ,...,._ ____ _. • ·- · -···· ............ .. non p,ù tomata al controllo

mui-

6

10

12

14

16

18

I dati che abbiamo esposto n elle tabelle precedenti si prestano ad alcun e considerazioni non prive di interesse. Innanzi tutto abbiamo confermato che la fosfatasi acida, come quella alcalina, sono più elevate nel bambino rispetto all'adulto, e questo indub-biamente in rapporto ai processi ,di crescita di cui è sede l'osso in questo periodo. Inoltre nelle m etastasi ossee da tumori genitali si è visto che i valori delle due fosfatasi sono aumentati. L'aumento delle fosfatasi nelle malattie dello scheletro non è costante: prova ne è che in numerose affezioni di interesse ortopedico - come i tumori benigni delle ossa, la spondilite, il morbo di Bechtercw, l'atrofia di Sudek, il granuloma eosinofìlo, la spondilite tubercolare, ecc. - non si riscontrano variazioni delle fosfatasi seriche; mentre per converso alti livelli di fosfatasi alcalina si osservano nella sinòrome di Panconi. E' da ricordare inoltre che le fosfatasi aumentano anche in altre forme di patologia umana, come ad esempio negli itteri. Il tessuto epatico normal-


mente presenta un basso contenuto di fosfatasi alcalina, e l'enzima è per lo più di derivazione extraepatica. L'epatocita è deputato alla escrezione dell'enzima nei canalicoli biliari, donde poi passa nel lume intestinale. La fosfatasi alcalina è aumentata nei sinusoidi ,del fegato in caso di epatite acuta, mentre è invece assente nei canalicoli intralobulari. In altre parole, quando si hanno livelli normali di produzione extraepatica di fosfatasi, l'epatocita provvede alla sua eliminazione nelle vie biliari: mentre quando si ha iperproduzione, come nelle osteopatie generalizzate o nelle metastasi ossee d~ tumori - come dimostrato nelle nostre ricerche - il fegato è sovraccanco. L'aumento delle fosfatasi, specie di quelle alcaline, in corso di osteopatie, è in rapporto evidentemente alla ricchezza di questo enzima nel tessuto osseo e al suo passaggio in circolo per l'azione osteoclastica svolta dalla localizzazione tumorale. In conclusione ci sembra quindi che l'aumento pressoché costante riscontrato a carico della fosfatasi alcalina e della fosfatasi acida nelle metastasi ossee da tumori dell'apparato genitale sia da ricollegare all'azione litica svolta da queste disseminazioni di cellule neoplastiche: il blocco dell'azione osteolitica, svolta dai ni,di tumorali, per effetto del trattamento, porta ad un abbassamento dei livelli serici enzimatici. E per questo ci sembra che le nostre ricerche oltre che documentare un interessante aspetto di biochimica collegato alle metastasi ossee nel campo della oncologia ginecologica meritino un ulteriore approfondimento in relazione ad un eventuale valore prognostico che le variazioni della fosfatasi acida ed alcalina serica potrebbero avere nel corso del trattamento.

RussuNTo. - Gli AA. svo!gono una serie di ricerche sul comportamento della fosfatasi acida cd alcalina del siero in pazienti con tumori dell'apparato genitale e con metastasi ossee. Il dosaggio dell'enzima viene effettuato col metodo di King - Armstrong. I risultati ottenuti sono esposti in tabelle, da cui appaiono interessanti variazioni dell'attività catalitica in rapporto alla localizzazione scheletrica della metastasi. I dari ottenmi vengono discussi criticamente.

RÉ'5ìUMÉ. - Les Auteurs développent une série de recherches sur le comportcment de la phosphacasc acide et alcaline du sérum dans les maladcs avcc tumeurs de l'appareil génital et métastascs osseuses. Le dosage de l'enzyme est réalisé selon la méthodc de King- Armstrong. Les résultats son résumés en tableaux, dans lesquels compara1trent des intéressants changements de l'activité catalitiquc par rapport à la localisation squelettiquc dc la métastase. Les donnécs obtcnus sont examinés critiquement.


SuMMARY. - Thc authors develop a scrics of researches about the acid and alkaline phosphatase's bchaviou r of the serum in patiencs affecced by tumours of the genital's apparatus and w ith osseous m ctascases. The enzym 's dosage is carry out by King . Armstrong's method. The achieved results are put up by tables ; interesti ng variations of th e catalytic's activity are shown in relation co the skeletal's location of che metastases. The obtained results are here critically discussed.

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OSPEDALE MILITARE DI FIRENZE Di rettore : Col. Med. Prof. Or. M. C1c1A'11 UNI VERSITÀ DEGLI STUDI DI FIRENZE ISTITUTO or MEDICINA LEGALE E DELLE ASSICURAZIONI Direttore : Prof. Dr. V. CHIODI

ASPETTI MEDICO - LEGALI D ELLA LESIVITÀ SPLENICA Ten. Col. Med. Dott. Corrado Chiarugi

INTRODUZIONE

Il progressivo aumento della traumatologia addominale direttamente collegato con la presenza sempre maggiore degli incidenti stradal-i ci ha portato a considerare, si nteticamente, gli aspetti della lesività splenica nei ,suoi riflessi m edico- legali .

CARATTERISTICHE ANATOM ICHE DELLA MILZA

Com e è noto la milza è un organo grossolanamente ovoidale, appiattito, la cui sezione trasversa si presenta con un aspetto irregolarmente triango,lare. For~a e ,d imensione sono assai variabili, particolarmente quest'ultima che varia col peso anche a seconda dello stato funzionale dell'organo. Sussiste quindi una variabilità ponderale della milza per cui alcuni AA. ritengono norm ale il peso di gr 150, mentre altr-i lo fanno oscillare da un minimo di gr 100 ad un massimo di gr 200. La m ilza è situata ndl'ipocondrio sinistro, in intimo rapporto con la faccia inferiore dell'emidia.fr.amma corrispondente; con la sua faccia mooiale è in rapporto con lo stomaco. Sulla faccia mediale si inseriscono vasi e nervi, in corrispondenza d ell'ilo. La proiezione della milza sulla faccia laterale del torace, lungo, l'ascellare m <,dia, comprende la zona tra 1'8" e la 9a costa; essa si adagia su di una piega peritoneale tesa tra l'angolo splenico del colon e la parete laterale del1' addome ed è sostenuta dai Iigamenti ga•stro - lienale, pancreatico - ,Jienale e frenico- lienale ch e completano l'apparato fissatore della milza in aggi unta all'incostante presenza <lel ligamento spleno - -colico. La relativa lassità dei ligamenti costitutivi dell 'apparato fissatore permette ,]e normali escursionj dell'organo durante le fasi respiratorie e ,d urante gli spostamenti dello stomaco, nelle varie fasi digestive.


186 Una abnorme lassità ligamentosa la può fare situare ndl'ipogastrio, nella regione iliaca sinistra e nel bacino. Non è infrequente il reperto di milze soprannumerarie o accessorie della grandezza oscillante tra quella di un arancio e quella di un pisello localizzate per lo più a livello dell'cpiploon gastro- splenico e pancreatico- splenico, del grande epiploon e nella capsul a adi~sa perirenale. Ognuna di queste milze accessorie è munita di un peduncolo vascolare. La milza è rivestita da una capsula fibrosa intimamente aderente da una parte alla polpa splenica, dall'altra alla sierosa peritoneale e che, in corrispondenza dell'ilo, penetra con i vasi nell'organo formando le guaine cilindriche che si suddividono seguendo il decorso di quelli. Dalla faccia interna della capsula fibrosa si staccano una serie di prolungamenti o trabecole che si intrecciano con quelle provenienti dalle guaine cilindriche e delimitano così spazi o areole ove è con.tenuta la polpa splenica, con i corpuscoli del Malpighi. Polpa splenica e corpuscoli del Malpighi costituiscono il tessuto proprio della milza. I corpuscoli del Malpighi, annessi alle arteriole pen icilliformi, presentano una struttura analoga a quella dei gangli linfatici. La polpa è costituita da una trama che si attacca da una parte alle trabecole, dall'altra alla periferia dei corpuscoli del Malpighi (polpa bianca). Essa è formata da tessuto reticolo - istiocitario. Tra le maglie del detto reticolo esistono elementi interposti (del reticolo) costituiti da linfociti, fagociti, cellule polinucleate, globuli rossi, granulociti eosinofili, pigmento ematico variamente disposto. La milza è irrorata dall'arteria splenica o lienale, ramo del tronco celiaco, la quale decorre lungo il margine superiore del pancreas. Dall'arteria splenica nasce la gastro - epiploica si nistra che raggiunge la grande curvatura dello stomaco. Da quest' ultima o direttamente dalla lienale, nascono i vasi brevi che raggiungono lo stomaco. La vena splenica, n asce dall'ilo della milza e da due a tre rami fondamentali. Nel suo percorso riceve : 1) le piccole vene spleniche (peri) o spleno - portali che assumono una certa importanza nelle ostruzion i della splenica; 2) le vene gastriche brevi che si gettano dallo stomaco direttamente nell'ilo splenico o in una delle radici della vena splenica. Esse possono fare risentire danni circolatori al fondo ,dello stomaco; 3) la vena gastro - epiploica sinistra; 4) la vena mesenterica inferiore che può sboccare nella splenica; 5) le ve ne pancreatiche; 6) alcuni ramuscoli venosi ,d uodenali che talora sboccano nella splenica; 7) la coronaria stomacica. N el letto venoso formato dalle venule spleniche vi sono delle dilatazioni alle quali, si attribuisce la funzione di stazionamento del sangue permettendo così la diapedesi eritrocitaria e la successiva azione eritropessica delle cellule della pol pa, oltre ad agire come scarico nelle variazioni pressorie.


MODALTTA' DEL TRAUMA

Si producono rotture spleniche senza che nel loro determinismo si possa riscontrare una causa lesiva traumatica, oppure questa fu molto lieve. Ciò ha po•rtato a distinguere le rotture di miJza in : 1) traumatiche; 2) spontanee. Si chiama traumatica una :rottura di milza allorché al trauma possa attribuirsi .il valore di causa efficiente nel determinismo della lesione. Si chiama spontanea quella che si verifica in assenza di un trauma o fu molto lieve tanto da rivestire in rapporto ,con la causa vera della rottura, insita nelle condizioni patologiche dell'organo, il valore di sem plice causa occasionale. I traumi che provocano frattura di milza si distinguono 1n: 1) traumi esterni (o azioni traumatiche esterne) ; 2) traumi interni (o azioni traumatiche interne). I traumi esterni si suddividono, a loro volta, in diretti ed indiretti. I traumi diretti si distinguono, secondo il meccanismo di azione, m: r) diretti per urto; 2) diretti per compressione o schiacciamento. I traumi indiretti si distinguono a loro volta in: 1) indiretti per contraccolpo; 2) indiretti per « frustata >> o « sferzata l> . Dei due meccanismi attraverso i quali si esplica l'azione lesiva dei traumi diretti, l'urto è il più frequente. I traumi diretti agenti per urto, indipendentemente dalla estensione della superficie ·su cui agiscono, •sono muniti di forza viva a differenza d.i quelli agenti per compressione o schiacciamento che ne sono privi. Nell'uno e nell'altro caso la milza è compressa tra l'agente traumatico ed un piano resisten te, costituito dai componenti resistenti della loggia splenica e, prevalentemente, dalla faccia interna ,d ella 9', I0 II' costa e interposte strutture muscolo - aponevrotiche e dal tratto corrispondente della colonna vertebrale. La direttrice di forza, di questo tipo d i traumi, applican,dosi r-ispettivamente all'ipocondrio sinistro ed alla base posteriore dell'emitorace sinistro, può agire in senso antero - posteri,ore e postero- anteriore, lungo un asse perpendicolare alla superficie. Applicandosi rispettivamente sulla parete anteriore dell'addome e sulla faccia esterna dell'emitorace sinistro, lungo un asse obliquo, può agire anche di dentro in fuori e da fuori in .dentro. In tutti e due i m eccanismi, la coesistenza di lesioni costali è condizionata ,d alla potenza del trauma in rapporto al ,l imite di elasticità del tessuto osseo. I traumi d iretti, aumentando la pressione endoaddominale, possono de terminare lo scoppio della milza e così pure comprimendola contro 3

,


la parete interna della cassa toracica, si determina la formazione di ematomi sottocapsulari se non viene vinta la resistenza della capsula splenica oppure quest'ultima si lacera con spandimento emorragico endoperitoneale. L 'azion e traumatica indiretta si esplica o -in punti pit1 o meno lontani dalla loggia splenica o mediante il meccanismo del contraccolpo. Agendo in sede lontana dalla milza, quest'ultima viene spinta contro la parete posteriore costo vertebrale e, a causa del brusco urto, si ha un rapido aumento di tensione del contenuto ematico dei seni splenici per cui può verificarsi la rottura dell'organo. A questo m eccanismo di azione viene dato il nome di « sferzata » o « frustata ». L'azione traumatica indiretta agisce con meccanismo di contraccolpo quando, a seguito di caduta, sulle natich e, sulle mani o sulle ginocchia, o per brusche deaccelerazioni, si causa lo strappamento deU'apparato sospensore della milza e conseguente lacerazione della capsula con rottura del parenchima (sch eletrico) splenico. Si può avere inoltre, per brusche i nflessioni della m ilza lungo il suo asse verticale, un inginocchiamento o una torsione dei vasi dell 'ilo, con conseguente ostacolo al deflusso ematico che causa rottura dei sensi splenici con formazione di ematom i intraparenchimali. In alcuni casi di caduta in piedi da grande altezza, il sangue contenuto nei seni sple nici viene proiettato verso la periferia dell'organo ove l'aumento pressorio ne causa la rottura. L 'azione traumatica interna si esplica mediante il meccanismo della « aumentata prnssione addominale >>, per diminuzione del corrispondente spazio virtuale della cavità addominale, in seguito a discesa del .diaframma e contrazione dei muscoli della parere addominale con reclinazione della colonna vertebrale. Tali sono gli sforzi muscolari, i colpi di to,sse, il torchio addominale da vomito, lo starnuto, la contrazione addominale da parto. La maggior parte delle rotture spleniche conseguenti a traumi interni avvengono su milze rese anelastiche ed ipomobili da spleniti e perispleniti o da processi involutivi propri dell'età senile. Le più frequenti rotture di milza, circa il 63° o, sono quelle dovute ad azioni traumatiche dirette, come risulta ,daJle statistiche -di AA., quali il Panissa, Aghin a, Macioce, Volpe, D ennehj, Stephen Board e secondo la statistica .delle rotture spleniche osservate in questo Istituto di Medicina Legale dal 1927 al r~8. Di questo 63%, il 6o o circa erano rotture spleniche dovute ad azioni traumatic he dirette agenti con m eccanismo di urto, ril rimanen te per schiacciamento o compressione. Le altre rotture d i milza sono dovute per circa il 25 - 30° o ad azioni traumatiche indirette; il 10% ai traumi interni di vario tipo. Molto spesso il trauma si applica sull'organo con meccanismi molteplici susseguentisi nel tempo come ci è dato spesso di vedere, in casi per esempio di precipitazioni in cui è frequente il riscontro accanto a lesioni traumatiche spleniche dovute ad azione diretta quelle dovute ad azione indiretta. 0


Lo stesso ,dicas.i, per un soggetto il quale riPorti, per ca<luta, lesione diretta della milza con ematoma e, successivamente, a seguito <li ,sforzo muscolare, si abbia la rottura della raccolta ,ematica sottocapsulare con spandimento emorragico endoperitoneale e,d anemia. Attualmente le rotture di milza più frequenti sono quelle <lovute ad investimenti, seguite da quelle che si verificano per infortuni sul lavoro.

ANATOMIA PATOLOGICA

Dipendendo la rottura di milza ,dalla eventuale presenza di fattori predispanenti anatomici, fisiologici, patologici, dal vario meccanismo di azione dei traumi e dalle caratteristiche di essi, presenta una estrema varietà di forme, le più frequenti ed impartanti delle quali sono: r) contusione con ematoma sottocapsulare ed ,integrità del parenchima splenico e della capsula; 2) contusione con ematoma intraparenchimale, intrasplenico con integrità della capsula; 3) lacerazioni ,della capsula isolate o associate a lacerazioni parziali del parenchima splenico; 4) lacerazioni della capsula con interessamento a tutto spessore del parenchima splenico, chiamata anche « avulsione >) o « frantumazione della milza » ; 5) lesioni multiple associate della capsula e del parenchima con spappolamento completo dell'organo; 6) distacco totale o parziale della milza con caduta dell'organo e dei frammenti nel cavo peritoneale; 7) ,lesioni del peduncolo vascolare ,determinanti talvolta emorragie rapidamente mortali e che possono giungere alla completa disinserzione dell'organo. Delle varie parti della milza, le più colpite, in ordine decresc_ente sono: r) Ia faccia mediale; 2) la faccia esterna o laterale; 3) il Polo superiore; 4) il palo inferiore.

FATTORI PREDISP0NENTJ

Numerosi sono i fattori predisponenti che favoriscono le rotture di milza. I più importanti sono : r) varietà anatomiche;


2) stati fisiologici particolari; 3) m alformazioni; 4) stati patologici. Tra le varietà anatomiche, la brevità dell'ilo, riducendo la mobilità della milza, la rende più vulnerabile ai traumi esterni ed interni. Un peduncolo splenico lungo mentre da una parte riduce le rotture <la trauma diretto, dal1'altra favorisce quelle da trauma indiretto, specie quelle da strappamento che si, producono con il m eccanismo del contraccolpo e quelle conseguenti a volvolo o torsione del peduncolo medesimo. Altre~anto dicasi per i vari gradi di ptosi splenica, dipendente da lassità ligamentos;t congenita. I seguenti stati fisiologici, determinando per congestione un aumento del volume della milza e dello stato di tensione della capsula, fanno sì che l'organo maggiormente risenta degli effetti degli agenti traumatici: 1) di gestione; 2) ebbrezza alcoolica; 3) gravidanza; 4) fase mestruale.

½ malattie predisponenti le rotture di milza si suddividono in quattro gruppi:

1) malattie che aumentano il volume splenico; 2) m alattie che causano alterazioni necrotiche e degenerative della milza; 3) malattie che riducono la m obilità splenica a seguito di processi perisplenici; 4) malattie che, in di verse proporzioni, favoriscono le rotture spleniche, causando le alterazioni di cui ai nn. 1 , 2, 3. Tra le malattie del 1° gruppo, vanno annoverate: 1) m alaria; 2) mononucleosi infettiva; 3) le forme leucemic he; 4) il Morbo <li Banti; 5) brucellosi; 6) gli emangiomi multipli; 7) l'angina con splenomegalia. T ra le m alattie del 2° gruppo le più note e frequen ti sono: 1) amiloidosi splenica; 2) tubercolosi miliare; 3) emofilia; 4) pioemia;


5) leucemia acuta; 6) tifo; 7) jalinosi splenica associata ad iperplasia del .reticolo splenico. Tra le malattie del 3° gruppo vanno annoverate: r) splenite per infar.to; 2) carbonchio. Tra le malattie del 4° gruppo: r) tifo ricorrente; 2) endocardite maligna di Osler; 3) angina monocitica.

SOPRAVVIVENZA E FORME CLINICHE

Se noi consideriamo la mortalità per rotture di milza abbandonate a sé, si nota che essa è rimasta alta dalle prime osservazioni ad oggi (Celso, pare, descrivesse il primo caso di rottura splenica) per la perdita di sangue che ne deriva e per la conseguente anemia acuta postemorragica. Riguardo il periodo di vita di massima incidenza delle fratture spleniche, statistiche vecchie ~Ceccardli, Guazzini, W right, Progot, Roettig e coli.) e recenti (Par,sons, Dennehj, Hilski- Pasqueir, Vio e Lanzara, Volpe A. e coll., Macioce D.) e la casistica ,delle lesioni di milza accertate presso il nostro I,stituto dal 1927 al 1968 sono concordi nell'indicare nel 3° e 4° decennio di età la massima frequenza. Il sesso maschile è quello più faoilmente soggetto a queste lesioni. L'elevata incidenza del sesso in rapporto all'età può avere la sua spiegazione nel fatto che l'uomo è nell'età di 30-40 anni, nel pieno vigore fisico e quindi lavorativo, venendo conseguentemente a,d essere più esposto ai traumi sul lavoro oltre a quelli accidentali. Le statistiche e la casistica nostra concordano inoltre sul fatto che la mortalità più alta si ha tra gli anni r e 8 e tra i 60 e gli 80. La minore frequenza di questa età, è bene rilevarlo, da meno significatività a questi dati. Questa percentuale delle mortalità dipende inoltre dal fatto che la milza è molto fragile tra r e 8 anni, mentre tra i 6o e gli 80 anni, a causa delle alterazioni regressive cui va incontro che la rendono anelastica ed ipomobile è facilmente fratturabile anche per azioni traumatiche poco intense. La più alta mortalità può inoltre dipendere da altre cause, quali la minore resistenza fisica, la più facile insorgenza di complicanze. La elevata meccanicizzazione della vita ,i n genere e, dd settore lavorativo, in particolare, esponendo l'organismo umano a traumi di ogni genere con sempre maggiore frequenza, ha notevolmente concorso al notevole incremento delle rotture spleniche osservato in questi ultimi anni. Significative sono a questo riguardo le statistiche sotto riportate che dimostrano, dal 1937 al 1966 l'incremento della casistica della lesività splenica.


Nel r937 infatti Ceccarelli, su 100 trawni chiusi addominali, trova che la milza era interessata solo nel 6%, Lazzerini e Guazzini (r939) su 89 traum i addominali, Ergstroèm ( r940) su 70 traumi chiusi addominali, Roettig e coll. (1943) su 135 traumi chiusi addominali trovarono la medesima percentuale del Ceccarelli. Successivamente, come dimostra il seguente specchio, la percentuale/frequenza delle fratture di milza tende progressivamente ad aumentare in tutte le statistiche degli AA . qui ·sotto riportati:

Autori

Anno

MonteUa Aghina e P. Miiller Parsons Dennehj Macioce D. Bilski P. Rossi e Ba. Economj D .

r958 1958 1959 1959 1961 1965 1966 1968 1969

Paz . Traum. Add.

Fratt. Mi!.

133

170,6

65 63 50 83 6o 200 87 68

170{ 20% 21 °fo 22~!.,

240{ 38% 38°,~ 37°~

Dall'esame delle statistiche presentate dai vari AA. di cui vengono, qui sotto, riportate le più importanti, si rileva che, tra gli organi parenchimatosi endad<lominali, la milza detiene il 2° posto, subito dopo il fegato, tra quelli maggiormente colpiti d all'effetto lesivo dei traumi addominali. Bilski -Pasquier 200 pazienti: fegato : 56~/4, milza: 38%, rene: 5%, pancreas: r ;~. Rossi e Boidrini, 87 pazienti: fegato : 6o%, milza: 25 %, rene: 14 %, pancreas: 1~~Logarthe H. F., 285 pazienti: fegato: 54%, milza: 30%, rene: 13%, pancreas : 3%. Dall'esame di quanto sopra - citiamo inoltre anche, per la loro completezza le statistiche del Gratinski, del eff C. e del Novack C. - si •rileva inoltre che sono rare nei traumi addominali le rotture isolate d ella mi lza. A questa conclusione si giunge anche attraverso lo studio della casistica delle lesioni traumatiche di milza raccolte in questo Istituto. Per quanto riguarda la mortalità da rotture di milza gli AA. consultati concordano sulla bassa sopravvivenza alle rotture spleniche, mi·sconosciute e non precocem ente sottoposte ad intervento chirurgico, come risulta dalla seguente tabella:


1 93

Stephen E. Reed Bersel - Hagen Micbelson Ceccarelli Mi.iller Schroll Zabinski e Harkins Wright e Prigot Knopp e H arkin,s

Spleno - lesi

Mortalità

120 27 298 78 40 45

90% 46% 56% 30% 23% 20% 30% 4~% 35%

IO

30 19

Alcuni AA. e tra questi il Dennehj, ritengono invece che l'esito letale non abbia procisi rapporti con il tempo intercorso tra il trauma e l'intervento chirurgico, mentre avrebbe influenza solo il fatto che quest'ultimo venga o meno attuato. I sintomi principali di una rottura splenica sono costituiti dalla anemia e dalla reazione peritoneale. Clinicamente si possono distinguere 3 forme : r) la forma << muta », cosiddetta a causa dell'assenza o quasi di sintomi specifici; 2) la « rottura classica », caratterizzata da una sintomatologia clinica immediata e completa; 3) la << rottura a due tempi » cosiddetta in quanto la sintomatologia si m anifesta iterativamente con un intervallo di « silenzio clinico ». Questa form a viene chiamata anche « rottura di milza con emorragia ritardata », corrispondente alla « Zweizeitige rupture » degli AA. tedeschi ed alla cc delaye<l hémorrhage >> degli AA. anglo - sassoni, in quanto in un primo tempo, si verifica la rottura dell'organo, in un secondo tempo la emorragia. La forma muta è caratterizzata da una più o meno completa assenza di sintomi soggettivi ed obbiettivi, riferibili sia a rottura ,di milza che alla con•seguente perdita d i sangue e stimolazione peritoneale, nel periodo di tempo immediatamen te post-contusivo e, nei casi gravi, dopo la cessazione dello stato di shock traumatico. Diversi fattori giocano nel .determinismo di questa forma clinica, sia di ordine generale che locale, tendenti tutti a limitare soprattutto il flus,so ematico la cui perdita è determinante nello scatenamento della sindrome da rottura splenica. Tra quelli d'ordine generale, oltre il già citato shock, sono: 1) la vasocostrizione; 2) la splenocostrizione o splenocontraz:ione; 3) la ipercoagulabilità ematica; T ra quelli d'ordine locale sono : 1) la retrazione della capsula nel punto di rottura;


2) il tamPonamento da parte di un coagulo ,della soluzione di continuo creatasi; 3) l'adesione di coaguli al perisplenio ed al peritoneo parietale. L'evoluzione anatomo- patologica ddle forme mute tende alla riparazione con una cicatrice sclerotica in sede di rottura o al riassorbimento del sangue e formazione di cisti spleniche facilmente soggette a rottura per lievi traumi interni ed esterni. Può peraltro avvenire, entro le 24 h., dall'evento traumatico e per caduta di meccanismi di difesa che il quadro clinico si tramuti in quello di una rottura classica. H a quindi imPortanza in questa forma clinica una precoce e corretta ,diagnosi che, in assenza di un corredo sintomatologico, può essere fatta ricorrendo a controlli radiografici che rilevano deformità dei contorni splenici, esami di laboratorio che evidenziano variazioni del tasso emoglobinico e del numero dei globuli rossi ed una spiccata leucocitosi, al riscontro di una stabile e lieve ipotensione associata a stato febbrile o sub - febbrile serotino. Significativo il reperto di dolorabilità a livello della loggia ·splenica, dopo avere tenuto lo spleno- ,leso in decubito laterale sinistro per circa due ore. Giustificata, ,i n mancanza di altri dati, la lombotomia esplorativa sinistra. La « rottura ,di milza in due tempi >) o « rottura ,di milza ad emorragia ritardata » è caratterizzata oltre che da un incostante ritmo periodico chiamato <<contusivo>> (nel quale si osserva uno shock grave o transitorio, perdita fugace della coscienza, dolore all'ipocondrio sinistro; irradiazione algica alla spalla sinistra o sintomo di Kehr) da un cc interva:llo libero » con silenzio sintomatologico. Ciò si verifica qualora la emorragia da rottura sia circoscritta e tamponata ,dalla capsula o da aderenze perispleniche e quindi si arresti. spontaneamente. Segue un « periodo di latenza », se la emorragia in atto non ha entità tale da dare luogo a sintomi se non quando abbia raggiunto un certo grado. L'ultimo periodo detto ddla « emorragia tardiva >> è caratterizzato dal dolore alla spalla sinistra prima intermittente, poi continuo e lancinante, da contrattura muscolare e ,difesa addominale; distensione addominale, immobilità respiratoria con inversione addomino- toracica del respiro, aumentata ottusità dell'aia splenica, ottusità al fianco sinistro che non si modifica con il cambiamento di posizione òel paz,iente (sintomi di Pitt e Balance, dovuto al piastrone ematico formatosi per la precoce coagulazione del sangue), dolore alla pr,essione a sinistra tra l'inserzione del capo claveare dello sterno - cleido - mastoideo e dello scaleno medio detto « Punto frenico » (Segno di Saegesser), ecchimosi ombelicale (Segno di Dellanoj), dolore provocato alla estensione della coscia (Segno di Giannuzzi). Notevole pallore della cute, specie ,del volto. Il meccanismo della « emorragia ritardata » che caratterizza il tipo olinico anzidetto è legato alla formazione di un ematoma sottocapsulare o intraparenchimale, se la capsula è rimasta, o ad un ematoma incistato perisple-


nico per rottura della capsula e tamponamento da parte dell'omento o per retrazione della capsula stessa. Nel determinismo della sindrome clinica caratteristica del 3° tempo giocano traumi interni come colpi di tosse, starnuti, movimenti di flessione della colonna, modificazioni fisiologiche del volume della milza e le rotture di capillari neoformatisi nella raccolta ematica. Tutti questi elementi portano ad un aumento di volume della preesistente raccolta ema~ica con lacerazione delle membrane limitanti pre - e neoformate. L'intervallo di tempo fra il 1° periodo ed il 3° può avere ,durata da alcune ore ad alcuni giorni. Un raro caso descritto dal Engellmann arriva a 18 giorni. Un colpo di tosse determinò nel paziente la rottura di una enorme sacca ematica con inondazione emorragica peritoneale. La diagnosi precoce ,di questa forma clinica può essere attuata sulla base dei sintomi obbiettivi e subbiettivi indicati, integiati eventualmente dai seguenti reperti radiologici : 1) perdita più o meno completa dei contorni splenici; 2) opacità massiva all'ipocondrio sinistro; 3) allargamento dell'aia splenica con spostamento dello stomaco verso destra; 4) abbassamento dell'angolo sinistro del colon; 5) perdita dei contorni del rene sinistro e del m. psoas; 6) abbassamento del rene sinistro; 7) presenza di bande opache tra le anse del tenue; 8) elevazione con limitazione dell'escursione respiratoria dell'emidiaframma sinistro; 9) eventuali fratture costali. Con il pneumoperitoneo si può mettere in evidenza : 1) .irregolarità del contorno splenico, suggerente la idea di un ematoma sottocapsulare; 2) opacità fra l'ombra della milza e la parete addominale (presenza di coaguli); 3) presenza di un livello liquido intraddominale. Alcuni AA. negano la esistenza (Backer, Reed) di una forma clinica « .a due tempi » ammettendola solo in senso diagnostico perché solo in un secondo tempo, dopo l'intervallo <ii silenzio sin tomatologico, può farsi una esatta diagnosi di rottura di milza. Nelle forme di e< rottura classica » si ha subito il corredo sintomatologico caratteristico delle rotture di milza, compie-• tato dai dati di laboratorio, radiologico e pressori.i. Dai vari sintomi caratteristici di detta forma, i più frequenti sono: 1) shock, presente nel 92 % delle rotture spleniche; 2) aumentata frequenza del polso: 68 %; 3) contrattura musco! are òell 'addome : 86,2 %; 4) segni di anemia: 63 % ;


5) dolore ,irradiato aHa spalla sinistra: 100%; 6) febbre: 72%; 7) segno di Ballance: 4%.

DANNO PERMANENTE DOPO SPLENECTOMIA

A causa delle difficoltà deUe indagini ed accertamenti sulle funzioni della milza, nell'antichità questo organo fu •definito « misterioso » se non addirittura « superfluo e dannoso ». Attualmente allo stato deUe nostre conoscenze si può ben dire che tutte le funz,ìoni della milza, circa trenta, sono ben defirute e conosciute. Esse sono: 1) influenza sulla digestione mediante i suoi rapporti vascolari con lo stomaco; 2) funzione antitossica e regolatrice sugli i ntrascambi fermenti - ormaorn; 3) è sede di complessi processi immun_itari ed autoimmunitari con produzione di anticorpi; 4) funzione di interelazione fra funzioni timiche e tiroidee; 5) influenza sulle ghiandole sessuali; 6) secrezione di sostanze ad azione correlatrice con le ghiandole endoenne; 7) azione sul metabolismo basale; 8) azione colesterinogena e colesterinopessica; 9) funzione termoregolatrice; 10) correlazione funzionale con le ghiandole linfatiche ed emolinfatiche; r I) azione sul ricambio idrico e sul tasso delle sostanze minerali; 12) secrezione, negli stati di ipossia dell'ormone chiamato ipossiolienina, regolatore degli shunt artero - venosi; I 3) azione linfopoietica; 14) influenza sul ricambio del ferro e la compos1Z1one dei pigmenti biliari; 15) azione di filtrazione rispetto a corpi estranei, ,detriti cellulari, batteri; 16) intervento sul ricambio protidico, glicidico e lipidico; 17) azione fagocitaria; 18) influenza sui processi ossido - ri-duttivi inerenti al ricambio fra diversi elementi awtati; 19) azione intrasplenica proteolitica; 20) funzione monocitopoietica;


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21) influeuza sui processi ,di coagulazione del sangue; 22) azione sul meta bo] ismo del ferro; 23) distruzione di emazie, leucociti, piastrine; 24) influenza sui processi emolitici e sulle malattie ad essi collegati; 25) influenza sulla velocità <li sedimentazione delle emazie, sulla resistenza globulare, sulla porfirinuria; 26) funzione emodinamica (in quanto immette nel torrente circolatorio una certa quantità di sangue in determinate condizioni come durante i fenomeni di fatica, gravidanza, emorragie, asfissie, ecc.) ; 27) ematopo-ietica (diminuisce dopo il 5° mese di vita fetale ma può ricomparire in condizioni morbose come nelle anemie o in condizioni fisiologiche come la gravidanza, il passaggio dalla pubertà all'infanzia, ecc.); 28) intervento sui fenomeni dì agglutinazione; 29) azione ipoglicemizzante; 30) azione sulla riserva alcalina del sangue; 31) azione difensiva generica contro le infezioni. Lo studio accurato <lella costituzione e formazione istologica ,della milza associato a quello della sua funzionalità ha inoltre evidenziato che essa fa parte del complesso apparato reticolo - endoteliale, alla cui costituzione partecipano organi quali il fegato, le ghiandole linfati,che ed emolinfatiche. A seguito della splenectomia si instaurano due sindromi : 1) la << immediata »; 2) la « tardiva ». La prima è caratterizzata <la una anemia ipocromica che raggiunge il suo acme nel secondo mese dopo l'intervento, da una leucocitosi che presenta la sua punta massima ad una settimana dalla splenectomia e da una riduzione della fragilità osmotica dei globuli rossi. Si trovano inoltre nel sangue emazie nucleate o con corpuscoli ,di Howell- Jolly, cellule « a bersaglio », siderocitosi, basofilia e reticolocitosi. Questo quadro ematico, immediatamente successivo alla splenectomia, viene chiamato « disordine ematologico <legli splenoprivi » e si attenua sino a scomparire del tutto. A distanza di qualche anno, scomparso il sopraccennato disordine ematologico, si rileva nel sangue Ull! aumento delle piastrine senza che siano presenti modificazioni della coagulabilità ematica (Volpe e coll.) e, nel 50% degli splenectomizzati, viene riscontrata una facile stancabilità senza segni obbiettivi (Maoioce G., V.io e Lanzara G.). La rapida scomparsa dei disturbi legati alla perdita delle funzioni spleniche con persistenza a varia distanza dì tempo di lievi alterazioni della crasi ematica associata ad incostanti sintomi di ridotta efficienza fisica, è dovuta all'attività vicariante degli altri. organi che assieme alla milza costituiscono l'apparato reticolo - endoteliale. Questi organi, anatomicamente diversi ma funzionalmente affini sono costituiti da: 5· - M.


1) fegato; 2) linfoghiandole; 3) midollo osseo.

Il fegato diviene sede. doPo splenectomia, di un processo trasformativo con proliferazioni mesenchimali ed accumuli linfocitari con ripristino della funzione emopoietica. Per quanto riguarda la rapidità dell'attività vicariante del fegato essa inizia in stretto rapporto cronologico con la splenectom ia, raggi ungendo il suo massimo sviluppo circa tre mesi dopo la asportazione dell'or~ano e regredisce poi lentamente fino a scomparire nel giro di uno -due anm. Il midollo dopo splenectomia, si ipertrofizza diven endo sede di una reazione di « compenso funzionale », coincidendo infatti il massimo d ell'attività midollare con il massimo dell'anemia e ciò dopo circa due anni dopo l'intervento. Le linfoghi andole vanno incontro ad una vera e propria « trasformazione splenoide >> . Inoltre si instaura la cosiddetta « splenosi », trasformaz.ione cui vanno incontro i linfonodi endoperitoneali. Infatti è stato notato la comparsa, dopo splenectomia, nel tessuto linfatico di detti organi, di spazi ed areole contenenti tessuto cellulare simile alla Polpa splenica. Questa trasformazione linfoghiandolare si instaura lentamente m a, a differenza del fegato e del midollo osseo, non è temporanea né episodi ca, m a ha carattere permanente. Recenti studi (Duvoir et Pallet- Ebert e Stead) hanno dimostrato sperim entalmente che con la trasformazione istologica cui vanno incontro gli organi vicarianti, si instaura parallelamente una attività sostitutiva e non solamente surrogatoria delle funzioni spleniche che, con la perdita dell'organo, sono venute a mancare. fn particolar modo, le seguenti attività fondamentali della milza: 1) funzione emoPoietica; 2) funzione emodinamica ; 3) funzione ::intitossica ed antibatterica. Per quanto riguarda la funzione emopoietica d el fegato e delle linfogh iandole ed emolinfatiche è noto che essa può essere ripristin ata in altre circostanze indipendenti dalla splenectomia, Potendo sostituirsi in pieno a quella della milza. L'attiv.ità vicariante del fegato e delle linfoghiandole è Potenziata anche dalla « reazione di com penso >> del midollo osseo. La funzione emodinamica della milza, consistente in una azione di riserva ematica o dePosito di sangue che -viene mobilizzato con spleno - contrazione in casi .di necessità (come la fatica muscolare, le improvvise perdite em atiche, e la diminuita tensione di ossigeno) viene bene vicariata dal sistem a vascolare della cute e dei polmoni funzionando esse da sede mobile di d eposito em atico.


P~r quanto riguarda la funzione antitossica ed antibatterica è stato dimostrato che, indipendentemente dalla mancanza della milza, essa viene svolta da tutto l'apparato reticolo - endoteliale. Dopo splenectomia questa funzione viene svolta dagli altri organi del sistema. Recenti studi (Madevar) hanno stabilito inoltre l'importanza della milza quale costituente del cosiddetto sistema immunitario. Esso è costituito dagli organi facenti parte dell'apparato reticolo - endoteliale nei quali sono contenute le seguenti cellule denominate « immuno - competenti » : 1) cellule del reticolo, normalmente presenti nei tessuti linfatici, di colorito pallido, con un grande nucleo, adese per lo più al reticolo argirofilo, dotate di attitudine all'in globamento; 2) macrofagi, cellule deputate specialmente alla fagocitosi. Assumono morfologia diversa a seconda dei luoghi ove si riscontrano. Presentano un citoplasma debolmente basofilo con granulazione azzurrofile; 3) blasti, ,derivati da una attivazione di linfociti e precursori delle plasmacellule come di nuovi linfociti, chiamati anche, nel corso della differenziazione, linfoblasti o plasmo blasti; 4) plasmacellule, cellule con un citoplasma ricchissimo di acido ribonucleinico; 5) linfociti. Tutte queste cellule costituiscono gli elementi ,dei rispettivi organi che le contengono, deputati al riconoscimento dell'antigene ed alla produzione degli anticorpi; esse sono cioè specificamente impegnate nelle risposte immunitarie. Si ritiene infatti che ai macrofagi spetti il compito di « mformare » le cellule produttrici di anticorpi sulla natura dell'antigene da essi fagocitato. I blasti o linfoblasti passono secernere immunoglobuline e sono deputati alla proliferazione degli immunociti. Le plasmacellule secernono immunoglobuline; in genere la plasmocellula sintetizza un solo anticorpo, in armonia con la teoria di Burnett della selezione clonale. I linfociti sono i vettori degli anticorpi sessili, implicati nella reazione di ipersensibilità ritardata. Essi sono ,i noltre i partatori della memoria immunologica. Studi di Bussard (r967), del Miller (1965} e dello Zlotnik (r967) hanno dimostrato che l'asportazione <!ella milza, viene compensata nella sua funzione -immunologica cd autoimmunologica, ,dagli altri organi immunocompetenti. Essendo accertato quindi che in condizioni normali, in caso di asportazione <li milza, le principali funzioni spleniche vengono vicariate dagli organi del sistema reticolo - endoteliale acquista una particolare importanza la valutazione clinica e medico- legale della ,influenza che stati particolari fisiologici dell'organismo, quali per esempio i fenomeni di crescita, le maternità


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e stati abnormi quali malattie, intossicazioni, ecc. possono avere sulla v1carietà delle funzioru spleniche soppresse. Sul rilievo dell'infuenza sfavorevole o favorevole che lo stato preesistente dell'organismo e le evenmali concause c<lntemporanee e successive possono avere sulla rapidità e completezza di queste attività vicarianti, medicina legale e clinica si trovano d'accordo nel considerare dannosi qualsiasi stato o condizione dell'organismo che esuli da quelle normali. Tra gli stati o condizioni fisiologiche dannose sono: 1) la maternità; 2) il passaggio dalla pubertà all'infanzia. In questi casi l'attività emopoietica ed emodinamica della milza hanno un ruolo molto importante e l'asportazione dell'organo sia che avvenga precedentemente che contemporaneamente o immediatamente dopo ha una influenza negativa, arrecando grave danno, in quanto le predette funzioni non possono essere sufficientemente vicariate dagli altri organi. Tra le malattie e gli stati patologici il cui decorso può essere notevolmente aggravato da una splenectomia sia in epoca anteriore che contemporaneamente o ,d opo il loro insorgere, le più notevoli ed interessanti dal lato clinico e medico - legale sono: emopatie e tossinfezioni. Nelle emopatie (anemia perniciosa, luetica, neoplastica, da carenze alimentari, da epatopatie, da ipofunzionalità del midollo osseo ...). La funzione di ricambio ematico della milza non può dirsi sufficientemente vicariata dal midollo osseo, ghiandole emolin.fatiche, ecc. Così pure n elle tossinfezioni, con la splenectomia viene a mancare uno dei maggiori filtri contro i batteri e sostanze eterogenee. La presenza di stati preesistenti e di ,concause contemporanee e successive, in caso di splenectomia, porta a quadri clinici differenti caso per caso, per il fatto che ai sintomi caratteristici dei primi - quali stati fisiologici e stati morbosi - si aggiungeranno quelli propri di uno « stato di sofferenza da mancanza di milza » che sarà tanto più notevole e persistente quanto più grave sarà la malattia e, più impegnativo per l'organismo, lo stato fisiologico. E' necessario quindi per una esatta valutazione m edico - legale del danno da splenectomia, procedere caso per caso con controlli anche a distanza di tempo, pcnendo in primo piano le funzioni emopoietica, emodinamica, antitossica, antibatterica ed i mmunologica della m ilza e rifacendosi poi, volta per volta e sulla base di precisi esami, ad eventuali dannose ripercussioni sull'organismo dovute alla mancanza delle aitre attività, in maniera da rilevare esattamente quale sia la funzione sulla quale ha inciso l'ablazione splenica (Menesini, Falco, Introna, Grilli). Questo concetto valutativo trova giurisprudenza e dottrina medico - legale concordi in materia civile ed infortunisti,ca, mentre tale concordia non


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sembra sussistere in materia penale, come risulta dall'esame delle più recenti m ass.ime e sentenze, di cui vengono rjportate appresso le motivazioni: r. - Corte d'Appello di Roma, Sez. II, 3-5 -1956, Sabbi. « L'espressione organo insita nell'art. 583 c. p. va intesa in senso fisiologico non in senso anatomico e persiste nel tono medico - legale "Organo è il complesso delle parti di un organismo le quali assolvono una determinata funzione". Ciò comporta che ricorre la contestata ipotesi di lesioni colpose gravissime soltanto quando la funzione cui l'organo presiede è del tutto .abolita, perché neppure parzialmente supplita, in caso di organi plurimi, da quelli rimasti integri ed, in caso di organo unico, da quello vicariante. Poiché la milza assolve a funzioni diverse, quale quella emopoietica, quella regolatrice di tutti i diversi fattor,i che compongono il sangue, quella di concorrere a regolare il ricambio delle proteine, degli zuccheri, dei grassi, dell'acqua, dei minerali dell'organismo umano, quelle digestive, quelle ,d i difese antibatterica ed antitossica, ecc. e tutte queste funzioni sono vicariate da altri organi dell'uomo, parrebbe potersi dedurre che la perdita della milza non può costituire perdita dell'uso ,d i un organo ai sensi dell'art. 583 c. p .. Senonché va rilevato anzitutto che su detto potere vicariante degli altri organi è necessario fare le più ampie riserve per possibili circostanze straordinarie, quali l'emopatia, l'intossicazione, il passaggio dall'infanzia alla pubertà, la m aternità ecc. In secondo luogo è ormai scientificamente dimostrato che alla perdita della milza consegue uno stato di sofferenza organica generale, in quanto glj organi vicarianti vanno soggetti ad alterazioni morfologiche, il sangue va soggetto ad alterazioni della sua composizione, 1] soggetto diventa inevitabilmente, anche se modicamente, anemico, e tutto ciò crea uno stato morboso in atto per il quale non può formularsi alcuna fondata prognosi di guarigione. Siffatte conseguenze dimostrano che il cosiddetto organo vicar iante degli altri organi è tale soltanto in apparenza. Questi organi infatti possono potenziare l'esercizio delle funzioni specificatamente assolte dalla milza, ma non possono né in maniera efficiente né senza danno per la loro specifica funzionalità sostitlllisi alla milza stessa. Pertanto la perdita della milza costituisce perdita dell'uso di un organo e quindi lesione gravissima ai sonsi dell'art. 583 c. p. » . 2. -

Cassazione, Pen., Sez. II, r7- IO - 1957. Raimondi.

« Le imponenti caratteristiche morfologiche e funzionali della milza e la

scarsa rilevanza dell'attività vicariante degli altri organi funzionalmente ad essa comuni inducono a r.itenere che, anche in condizioni pienamente efficienti di salute, la totale perdita della milza non può essere equiparata ad w1 semplice indebolimento permanente ma deve essere invece considerata quale perdita dell'uso di un organo >> .


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3. - Cassazione, Sez. II, 17 - ro - 1958. Rainone (Riv. Pen. 1958, II, Hl). « La totale perdita della milza non può essere equiparata ad un semplice indebolimento permanente ma deve essere invece considerata quale perdita dell'uso di un organo, costituente lesione gravissima >> . 4. - Cassazione Pen. Sez. Il, 12 - 2- 1960. Guarnera, La Marca. « Perché la perdita anatomica di un organo (splenectomia) possa configurarsi, agli effetti penalistici, come lesione gravissima per perdita dell'uso dello stesso, e cioè in base al criterio del1a vicarierà che secondo la scienza medica si riscontra tra determinate attività svolte separatamente da organi diversi, non è sufficiente che l'individuo sia in grado ,di sopravvivere e che l'organismo passa supplire con le residue risorse alla mancanza dell'organo perduto, ma è necessario che quest'ultimo, anziché organo singolo funzionalmente autonomo, possa essere considerato parte di un apparato presidiante una unica funzione, il che è presupposto del concetto medico - legale di vicarietà, in caso di perdita di organi morfologicamente autonomi. La milza è un organo singolo, con propria struttura anatomo - funzionale, differente da quel.la di altri organi con i quali coopera e sta in condizione morfologicamente ben individuata, sede di motteplici attività e quindi di numerose funzioni, che non sono tutte perfettamente compensabili che, comunque considerate nella loro attività globale, non possono ritenersi vicariate da singole attività svolte separatamente da organi diversi. Epperò agli effetti dell'articolo 583 c. p. la perdita della milza costituisce perdita dell'uso di un organo (lesione gravissima) e non già soltanto indebolimento permanente dell'organo (lesione grave) ».

5. - Cassazione, Sez. IV, 16-6 - 1961 Ruggeri. (Giust. Pen., 1962, 135 n). « .•. l'jndivi<luo il quale è stato privato della milza perde per sempre e in maniera definitiva che non ammette possibilità di sostituzione un rilevante potere di difesa organica contro i pericoli di gravi emorragie e di gravi processi di intossicazione dell'organismo ».

6. - Cassazione, Sez. II, 12-2-1963. Viceré (Gius. Pen., r964, II, 178, 192). « Perché la perdita anatomica di un organo (splenectomia) passa non configurare, agli effetti penalistici, lesione gravissima per perdita dell'uso dello stesso e ciò in base al criterio della vicarietà che, secondo la scienza medica si riscontra tra determinate atcività svolte separatamente da organi diversi, non è sufficiente che l'individuo sia in grado di sopravvivere e che l'organismo possa supplire con le residue energie alla mancanza dell'organo perduto, ma è necessario che quest'ultimo, anziché organo singolo funzionalmente autonomo, possa essere considerato parte di un apparato presidiante ad una unica funzione, il che è presupposto del concetto medico - legale di vicarierà, in caso di perdita di organi morfologicamente autonomi. La milza è


un organo sin golo, con Wla propria struttura anatomo - funzionale differenziata da quella di altri organi con i quali coopera o sta in correlazione, morfologicamente bene individuata sede di molteplici attività e quindi di numerose funzioni che non ,sono tutte perfettamente compensabili e che, comunque, non possono ritenersi propriamente vicariate da singole attività svolte separatamente da organi diversi. Epperò agli effetti dell'art. 583 c. p. la perdita della milza costituisce perdita dell'uso di un organo e non già soltanto indebolimento permanente dell'organo ». 7. - Cassazione, 3 - 2 - 1~4. Parisi (Mass. Pen., 1965, 5ro m.). cc La perdita dell 'uso di U1l organo si ha quando la funzione di cui esso è totalmente abolita, in quanto non supplita neppure parzialmente, in caso di organi plurimi dalla parte rimasta, o, in caso di organo unico, da altro vicariante, pertanto la perdita della milza organo unico ed elementare, integra l'estremo obbiettivo della lesione personale gravissima >l . 8. - Cassazione, 30-5-1965. Lorenzetto (Gius. Pen. 1965, II, 681 m.). « Ai fini della configurazione del reato di lesione gravissima nel caso di perdita ,della milza non ha decisiva importanza la considerazione che l'organismo umano possa supplire alla mancanza di detto organo talvolta senza apparente pregiudiz<io della salute; occorre, invece, tenere presente la nozione fondamentale che la mi,Jza è un organo unico, elementare per se stante, non una semplice parte di un apparato presidiante ad una unica fllilzione; ciò porta necessariamente a ritenere applicabile il 2 ° comma, n. 3, dell'articolo 583 c. p. essendo pure certo che la milza non è un organo superfluo e dannoso, come fu ritenuto da taluni anticamente, ma adempie a numerose importanti e delicate funzioni prima fra tutte, quella peculiare dell'organo stesso, detta emodinamica o di riserva sanguigna )). 9. - Cassazione, 29 - 3 - r966. Parisi (M ass. Cass. Pen., 1966, 950 r.). << Le molteplici funi.ioni cui la milza adempie, considerate nella loro globalità, non possono r itenersi supplite da altri organi, onde la perdita della milza cos:titui,sce lesione gravissima l>. La giurisprudenza, sentenziando che la perdita della milza deve essere considerata perdita dell'uso di un organo si basa sui seguenti convincimenti : 1) la peculiare costituzione morfologica della milza non si trova in nessun altro organo; 2) gli organi vicarianti suppliscono alle funzioni dell'organo perduto in maniera insufficiente, parziale o addirittura n ulla; 3) gli organi vicarianti, dopo splenectomja, divengono sede di w1 processo trasformativo dannoso per le loro specifiche funzioni; 4) .Ja cosiddetta attività vicaria è in real tà una attività surrogatoria delle funzioni spleniche;


5) l'attività della milza in circostanze straordinarie quali le emopatie, la fatica, la maternità, lo sviluppo corporeo, le tossinfezioni, non può essere sostituita in alcun modo, senza gravi danni per l'organismo; . _6) la impossibilità, nello splencctomizzato, di poter fare prognosi di guang10ne; 7) la milza, assolvendo a numerose funzioni , non può essere con siderata organo vicariabile; 8) per organo deve intendersi « un complesso di parti dell'organismo aventi una determinata funzione l> . Per quanto riguarda la nozione delle peculiari caratteristiche anatomiche della milza, questa sembra sorgere dall'immagine spaziale dell'organo quale parte an atomica unitaria a se stante, piuttosto che dalla realtà biologica. Infatti la unica caratteristica anatomica peculiare dell'organo in questione è la sua struttura vascolare ch e permette un intimo contatto ddle cellule circolanti con le cellule d ella polpa e che inoltre ha la possibilità di dilatarsi in notevole grado per cui può funzionare come temporanea sede di deposito em atico. Ma è stato sperimentalmente dimostrato che in uno spleno - privo il sistema vascolare d ella cute e dei polmoni vicaria bene la milza in questa sua funzione. La trasformazione splenoide delle ghiandole linfatiche ed emolinfaciche, le proliferazioni mesenchimali con accumuli linfocitari del fegato, la reazione di compenso del midollo osseo non costituiscono dannosi processi trasformativi ripercuotentisi sulle loro specifiche funzioni. E' dimostrato infatti che in altre circostanze, indipendenti dalla splenectomia, può essere ripristinata la funzione emopoietica del fegato e delle linfoghiandole e che l'azione ancitossica ed .antibatterica è praticamente svolta, in condizioni normali, da tutto il sistema reticolo- endoteliale (Menesini). Riguardo la considerazione ,sull'apparen te vicariabihtà delle funzioni spleniche, essa si basa sulla convinzione che gli organi a ciò preposti, che in condizioni ordinarie potenziano le suddette funzioni, non possano invece completamente sostituirsi funzionalmente all'organo perduto, dopo splenectomia. A questo propasito, le indagini catamnestiche svolte dalla maggior parte dei ricercatori (Loro, Parisi, Vio, Macioce, Volpe) a distanza di tempo dall'asportazione della milza, hanno dimostrato che i disturbi post-operatori caratterizzanti la sindrome spleno - priva si attenuano sino a scomparire del tutto. Le rise,rve sul potere vicariante <lcgli altri organi, prospettate a metro di possibili circostanze straordinarie quali emopatic, fatica, m aternità, sviluppo corporeo, intossicazioni ed infezioni e la im possibilità nello splenectomizzato, di poter fare diagnosi di guarigione, porta la giurisprudenza a concludere che la perdita della m ilza è da considerare perdita dell'uso di un organo. Una valutazion e, non aprioristica, ma basata su una corretta e minuziosa indagine clinica e me<lico - legale che tenga conto di ogni aspetto clinico del caso in discussione con l'ausilio di minuziose ricerche di laboratorio


e con controlli medici a distanza, può sciogliere queste riserve e giungere a considerare la perdita della milza indebolimento permanente di organo o, in quei casi nei quali condizioni preesistenti lo impongono, come malattia probabilmente o certamente insanabile, mai comunque come perdita dell'uso di un organo. Nelle sentenze è dato di leggt>re che la perdita della milza deve essere considerata lesione gravissim a in quanto assolvendo essa a molteplici funzioni e non ad una sola non trova alcuna ,soddisfacente vicarietà da parte degli altri organi dell'apparato reticolo - endoteliale di cui fa parte, e sulla base d el concetto che per organo debba intendersi « un complesso di parti dell'organismo che hanno una determ inata funzione >> . Per la prima parte, la maggior parte degli AA. (Menesini, Falco, Introna, Luvoni), oppongono che è stato sperimentalmente dimostrato che allorché per organi plurimi (come nel sistema reticolo - endoteliale e nel sistema linfopoietico) si verifica la perdita di uno di essi, tanto minimi saranno le probabilit à dell'indebolimento permanente quanto maggiore sarà il numero delle parti componenti sì che nullo o quasi sarà l'indebolimento n ei sistemi a componenti innumeri. Per quanto riguarda la definizione di organo, ben diversamente il Leoncini considera « organo », « un complesso di entità anatomiche esplicante una funzione ben delimitata ai fini della vita di relazione ed organica » e con sidera che vi sia perdita di un organo soltan to 9.uando la funzione o le funzioni cui esso presiede è del tutto abolito, perché neppure parzialmente supplita, in caso di organi plurimi , da quelli rimasti integri ed in caso di organo unico da quello vicariante. Oltre questa diversità di valutazione del danno splenico, l'esame èelle sentenze rileva che l'aggravante di 2 ° grado dell'art. 583 c. p. « perdita ,dell'uso di un organo >> sembra av,ere monopolizzato la milza nella sua applicazione, in q uanto, salvo una aberrante sentenza del 1963 che ha defin<ito « la perdita èell'uso di un organo >' nella per,dita di un globo oculare che è stata motivatamente criticata in sede medico - legale, non è stato possibile rinvenire alcuna sentenza che configuri la perdita d ell'uso di un organo che non sia la milza, da venti anni a guesta parte. Un altro rilievo, infatti, deriva dalla linea seguita dalla giurisprudenza nell'applicazione dell'arcicolo in oggetto, in quanto si constata che mentre in epoca antecedente, esaminaudo le sentenze, si poteva affermare, come il Gilli nel 1947, che « sul significato penale della perdita della milza la giurisprudenza è ormai concorèe nel senso di vedere in esso un t!Ì pico esempio di permanente indebolimento d i un organo », successivamente vi è stato un n etto cambiamento di rotta ,di cui difficilmente ci si rende ragione. Alcuni AA. (Luvoni, Fabroni) ritengono che abbiano trovato pronto seguito le ben note considerazion1 svolte nel 1941 dal Colozza, un giurista che sostenne come la perdita della milza dovesse essere considerata « perdita dell'uso di un


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organo » con argomentazioni che AA. come il Gilli, Fucci e Chini definiscono non troppo convincenti dal punto di vista medico. Considerando poi la struttura dell'art. 583 c. p. si rileva che esso distingue i sensi dagli arti e dagli organi. Allorché la menomazione interesserà gli arti o i semi non sarà motivo di discussione l'ipotesi della perdita dell'uso di un organo, in quanto previsto separatamente dal legislatore. Per quanto riguarda gli organi intesi secondo la classica dottrina medico - legale, rimangono in discussione i grandi apparati, in quanto costituiti da organi in senso anatomico duplici o m ultipli, concorrenti alla stessa funzione. Non si può perdere per ovvie ragioni l'uso dell'apparato nervoso o cardio-vascolare o respiratorio o digerente o urinario in quanto ipotesi incompatibili con il proseguimento della vita e la perdita di singoli organi anatomici che concorrono alle suddette funzioni, dovrebbe costitui,re indebolimento del relativo apparato. Neppure sono concepibili, ad esempio, le perdite dell'uso dell'apparato linfatico, emopoietico, endocrino, nella loro totalità. Per quanto riguarda l'apparato respiratorio potrebbe ipotizzarsi la paralisi ,d i orig1ne centrale dei muscoli respiratori, per cui il soggetto necessita ,di permanente respirazione assista, ma in questo caso si verserebbe nella ipotesi ,della malattia certamente insanabile, che già costituisce lesione gravissima. Nella stessa ipotesi potrebbe trovarsi •il caso di perdita di singole ghiandole endocrine (tiroide, surreni, ecc.) in quanto il soggetto è in grado di sopravvivere a tali menomazioni solo a condizione che sia attuata una permanente ed adeguata terapia sostitutiva. Nel caso ,dell'apparato genitale, se la funzione è perduta, è già pre,Jsta la perdita della capacità, di procreare e se la funzione è imperfetta si ricade nell'ipotesi dell'indebolimento. Per l'apparato della fona~ione è già prevista, quale aggravante di 2 ° grado la (< permanente e grave difficoltà della favella » che assorbisce anche la perdita ,d dl'uso dell'organo stesso. L'abolizione permanente della funzione e la perdita anatomica delle ghiandole mammarie nella donna sino al termine dell'età feconda non essendo in nessun modo vicaria bile, secondo il criterio apphcan vo <lell' aggravante di 2 ° grado, dovrebbe essere considerata perdita dell'uso di un organo. Da quanto sopra, sembrerebbe emergere una considerazione e cioè che, attesa la consolidata interpretazione del concetto di organo, ad esso è bene applicabile quello di indebolimento che gode di una estrema elasticità potendo andare da minime, seppure apprezzabili, alterazioni della funzione, sino quasi all'abolizione della funzione stessa, mentre non risulta applicabile con altrettanta facilità il concetto di perdita dell'uso di un organo. Ciò viene a creare un certo squilibrio e la perdita dell'uso di un organo non si pone sistematicamente come forse era nell'intenzione del legislatore, quale situazione più dannosa per l'integrità fisica del leso, di quanto non sia il semplice indebolimento. Anzi l'esistenza di tale aggravante di 2 ° grado ha favorito la scorretta, costante interpretazione giurisprudenziale della perdita della milza come perdita dell'uso di un organo, sia pe,r le caratteristiche anatomiche d i essa


sia per la tendenza di identificare, nonostante ogni premessa, l'organo con il viscere. Concludendo, è augurabile che questa questione venga riproposta per la soluzione delle attuali ,divergenze. Solo qualche nuova acquisizione <li fisiologia splenica patrebbe però consentire un proficuo riesame del tema.

I STITUTO DI MEDICINA LEGALE E DELLE ASSICURAZIONI - FIRENZE

Rotture di milza (periodo : 1927 - 1968). Totale spleno - lesi: 128. Maschi : 122. Femmine: 16. Età: dagli rr ai 79 anni. Età (di massima incidenza): dai 25 ai 40 anni. Rotture spleniche da traumi diretti: 80%. Rotture spleniche da traumi indiretti: rn~/4. Rotture spleniche da traumi aperti: 2% (arma da fuoco a scopa suicida od omicida). Rotture spleniche da traumi esplicantisi con meccanismo imprecisato: 8~lo . Rotture spleniche da traumi interni: o. Rotture spleniche da traumi. diretti per urto: 8 r. Rotture spleniche da traumi compressione: 6. Rotture spleniche da traumi scoppio: r. Rotture spleniche da traumi indiretti per contraccolpo: r. Rotture spleniche da traumi addominali: 55%. Rotture spleniche da traumi toraco - addominali : 40%. Rotture spleniche da traumi misti o multipli: 5%. Rotture spleniche da traumi da investimento: 80%. Rotture spleniche da traumi precipitazione: Rotture spleniche da traumi caduta : Rotture spleniche da traumi arma da fuoco ed imprecisati: 4%.

Organi cointereuati (in percentuale de-crescente). r) Costole. 2) Fegato (lobo sinistro). 3) Fegato (in toto) 4) Rene sinistro. 5) Intestino tenue. 6) Intestino crasso (angolo splenico). 7) Stomaco.


208 8) Surrene sinistro. 9) Vertebre. 10) Pancreas. 1I) Diaframma (emidiaframma sinistro). 12) Polmone e pleura sinistra. r:ù Cuore e pericardio. 14) Emibacino sinistro.

Varietà più frequenti di rotture di milza (in percentuali decrescent:i).

1) Lacerazionj della capsula con interessamento ,d el parenchima: 50%. 2) Lacerazioni della capsula isolata, a decor so sagittale, verticale o a forma di Lo T: 41 %. 3) Contusioni con ematoma sottocapsulare ed intrasplenico: 23% (di cui 8 con accertata rottura in due tempi). 4) Lesioni d el peduncolo vascolare con abbondante emorragia (emoperitoneo variante dagli 800 cc. ai 2.500 cc.) : 12°/4. 5) Frantumazione completa dell'organo : 2%. Delle varie parti della milza erano interessate in ordine decrescente: r) Faccia mediale. 2) Faccia esterna. 3) Polo superiore. 4) Polo inferiore.

Soggetti sottoposti a splenectomia. Totale: 7 di cui : r) Decesso dopo 3 h dal trauma (caduta) durante l'intervento, per anemia acuta metaemorragica. 2) Decesso dopo 3 giorni dal trauma (investimento) per scompenso cardiaco acuto. Splenectomizzato d'urgenza. 3) Decesso dopo 12 h dal trauma (caduta) per anemia acuta metaemorragica. Splenectomizzato d 'urgenza. 4) Decesso dopo 3 giorni dal trauma (caduta) per peritonite. S plenectomia d 'urgenza. 5) Decesso dopo 17 giorni dal trauma (pr-essione) da schiacciamento, per complicazione peritonitica. Splenectomia d ' urgenza. 6) Decesso in 5a giornata d al trauma (investimento) per anemia metaemorragica acuta cd ittero epato- cellulare. Splenectomia in 4a giornata. 7) Decesso in 5~ giornata dal trauma per peritonite (investimento). Splen ectomia d'urgenza.


Sopravvivenza nelle 7 rotture di milza isolate e non trattate chirurgicamente. Ii:i 3 casi il decesso avvenne dopo alcune ore. In 3 casi il decesso avvenne in 2 " giornata. In r caso -il decesso avvenne in 4" giornata, per rifiuto di intervento chirurgico da parte del paziente.

Periodo di massima incidenza di rotture di milza.

Periodo di minima incidenza di rotture di milza. Anni: 1944, 1948.

R1AsSUKTO. L'A. dopo avere rilevato il costante aumento dell'incidenza delle lesioni spleniche in riferimento ai traumi toracici ed addominali, specie a meccanismo complesso, mette in evidenza le carenze di una giusta valutazione dei postumi medico • legali in riferimento specie ad una obbiett~va applicazione dei codici penale e civile al riguardo e delle leggi dell'infortunistica.

RÉsuM.É. - L'auteur, après avoir observé la frequence des b!éssures spleniques au regard des coups du torax et abdom,inale, s urtout ce que compone le mécanisme multiforme, m cttra en évjdence le manque d'une valutation exacte des effets médico - legales en ce que concerne l'application objecrive du c6de pénal et civile e des lois des accidcnts.

SuMMARY. - L'A. rclicvcs the constane rise of incidences of splenic lesions with reference to thoracic and abdominal traumas, which have complex meccanism. Lay in cvidence thc defìciency of a just evaluarion of che postbumous medicai law witb specila refcrence to an objective application of the penai and civil codes ancl regard to the unfortunate laws.

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6. - M.


CENTRO STUDI E RICERCHE DELLA SANITÀ MILITARE

Direttore: Magg. Gen. Med. Dott. C. Mus1Lu OSPEDALE MILITARE PR INCIPALE DI ROMA

Dircltore: Col. Med. Prof. E. FAVUZZ1

SUL COMPORTAMENTO DELLA FIBRINOLISI EMATICA DOPO INTERVENTI ORTOPEDICI Magg. Gen. Med. Dr. C. Musilli Magg. Med. Dr. R. Tucciarone

T en. Col. Med. Dr. G. Maffei

Con questo contributo abbiamo voluto studiare il comportamento della fibrinolisi ematica dopo interventi ortopedici. In particolare ci è sembrato interessante valutare le eventuali variazioni della fibrinolisi totale, della profibrinolisina e dell'antilisina: e questo non solamente per un interesse dottrinale ma anche per correlare le eventuali variazioni ,di questi fattori al quadro clinico presentato dai pazienti. E' noto che in un certo numero di pazienti sottoposti ad interventi di chirurgia generale o chirurgia ortopedica si hanno complicazioni a carattere tromboembolico: nella maggior parte dei casi queste complicazioni rimangono allo stato iniziale, ossia allo stadio di lieve dolenzia, modica tachicardia, ecc. mentre 1n una piccola percentuale di casi compare il quadro clinico vero e proprio dell'in cidente trombotico. ella genesi d i questo fenomeno entrano molteplici fattori: l'età del paziente, le sue condizioni cardiovascolari, preceden ti fatti infettivi, presenza <li varici agli arti inferiori, immobilità più o meno prolungata, ecc. Mentre tutti questi fattori erano stati ampiamente valorizzati in epoca meno recente, negli ultimi anni una sempre maggiore importanza è stata as,segnata alla parete vasale e al concetto di ipercoagulia ematica. Un aumento ,della coagulabilità ematica, infatti, e una alterazione della levigatezza della parete endovasale sono stati riconosciuti come i fattori principali non tanto nell'i nstaurarsi del fenomeno tromboembolico, guanto della progressione e della diffusione del trombo, cioè di quelle caratteristiche della malattia tromboembolica che ne fanno un incidente temuto e talora mortale. Senza voler entrare nei dettagli del processo della coagulazione del sangue - per cui rimandiamo alle nwnerose monografie e lavori elencati nella parte bibliografica - desideriamo solo sinteticamente r ichiamare l'attenzione (tabella n. 1) su quelli che sono i fenomeni principali che portano


215

alla formazione del trombo. L'intervento del sistema nervoso vegetativo è stato valorizzato in tempi recenti: esso attraverso una ,d iminuzione della pressione zonale e una contrazione vasale, favorirebbe la formazione del trombo rosso. L 'importanza delle piastrine è stata sostenuta da tempo: si ha disintegrazione e agglomerazione dei trombociti, formazione del trombo bianco e successivamente del trombo rosso.

7;1,./ S.N.V.

Trombociti

Plasma

Lesiont tissuralP

-------------- j

Agglomerazione

T rombocinasi

Oisfot~~razione

ematica

j

Contrationt vas lP

j

_ _ _ Trombocinasi

tlssural e

~~.T Trombo rosso

~

EMOSTASI

Nel plasma sono contenuti tutti i fattori precursori della emocoagulazione: in particolare, dal plasma come da qualsiasi lesione tissurale prodotta <lall 'intervento, si libera della tromboplastina o trombocinasi, rispettivamente ,definita ematica e tissurale, con formazione finale di trombina. Nella tabella n. 2 abbiamo rappresentato analiticamente i più importanti fattori che intervengono nella formazione del trombo. La trombocinasi tissurale si libera dai tessuti lesi: insieme al calcio e a due ,dei fattori presenti nel plasma - fattore VII e fattore X - si forma la convertin:i, la quale agisce sulla trombocinasi tissurale: su questa agisce inoltre la accelerina, che deriva da un precursore denominato fattore V. La trombocinasi tissurale trasforma la protrombina in trombina: questa agisce sul fibrinogeno e dà luogo alla formazione della fibrina. Per quanto riguarda più in particolare l'oggetto del presente studio ossia l'attività fìbrinolitica - nella tabella n. 3 abbiamo rappresentato naturalmente schematizzando - quella che è l'interpretazione moderna di questo fenomeno. La fìbrinolisina o plasmina in condizioni normali è presente solo in tracce nel torrente circolatorio. Nel sangue si trova invece un.


216

precursore definito prolisina. Questa, per azione di un altro enzima attivante - la lisocinasi - si trasforma in lisina o profibrinolisina. Esiste nsiologicamcnte nel sangue anche un sistema inibente, costituito dall'antilisocinasi - che inibisce la lisocinasi nella reazione prolisina - lisina - e una an-

Trombocinasi tissuratr

'"'"' ~ ?·:::.:,:' l

Convertina

~

Ac~rin.:..------

Fattore

V

Trombocinasi tissural e

----------

Protrombina - - - - - - - - - Trombina

I

Fibrinogeno - - - - -- -- - Fibrina

Pro lisina

Antilisina

Lisocinasi Lis i 1"11 a

( F1brinolisina)

Antìlisoctna.si

tilisina che agisce direttamente sulla fibrinolisina quando questa s1 è già formata. L'equilibrio tra fattori favorenti e fattori inibenti garantisce l'assenza di danni nell'organismo in condizioni normali. E' da ricordare che fisiologicamente un certo grado di fibrinolisi è sempre presente nel sangue lfl quanto ha il compito di attaccare e demolire i microtrombi che s1 possono formare nel torrente circolatorio per le più varie cause.


2 17

L'attività fìbrinolitica è stata studiata su un gruppa di 19 pazienti sottoposti ad interventi chirurgici di natura ortopedica. Si trattava di interventi sugli arti inferiori (6 casi); interventi sugli arti superiori (3 casi); interventi alla co1onna vertebrale (9 casi); intervento sul torace (r caso) (tabella n. 4).

7ah. 4

Casi

2

L'attività fìbrinolitica è stata determinata come .fibrinolisi totale, come prolisina e come antilisina, prima e nei vari giorni del decorso pastoperatorio. Per la determinazione dell'attività fìbrinolitica globale è stato utilizzato il metodo di Kautsch e Rauscher. Que.~to metodo sfrutta il dosaggio dell'equivalente tirosinico della fibrina. 4 cc del sangue citratato del soggetto in esam e vengono centrifugati per quattro minuti; si prelevano quindi dalla provetta 0,5 cc di plasma che viene ricalcificato con 0,5 cc di calcio cloruro all'1, 18% . Si pone il tutto a bagnomaria per 37°C per 45 minuti: si estrae il coagulo ottenuto e dopo ripetuto lavaggio con acqua distillata, per liberare la fibrina dal siero residuo, si pone in una provetta a cont~ltlo di 0,5 cc di NaOH al 10% . Indi si porta la provetta in bagnomaria bollente per 45 minuti: si mettono nella provetta in cui si è disciolto il coagulo 7 cc di acqua distillata, I cc ciel reagente di Folin - Ciocalteu e 3 cc di carbonato di sodio al 20%. Si procede quindi all'analisi quantitativa colorim etrica previa preparazione di una provetta campione in bianco contenente 7,5 cc di acqua distillata, 1 cc di reagente di Folin - Ciocalteu e 3 cc di carbonato di sodio

al 20%. Il contenuto in fibrina espresso in mmg si ottiene leggendo sull'apposito grafico il titolo della soluzione e moltiplicando il valore ottenuto per 10,7.

Per il dosaggio della prolisina abbiamo utilizzato j] metodo di Marbet. In una provetta si collocano 0,10 cc del plasma da esaminare, 0,20 cc di plasma di bue (come fonte di fibrinoge110) e 1,5 cc di tampone al veronal. Si colloca la provetta


218

in bagnomaria a 3fC. Si prepara una soluzione di trombirra in tale concentrazione che 0,10 cc della soluzione aggiunti a 0, 1 0 cc di plasma umano + 0,20 di plasma di bue + 1,7 cc di tampone portano la miscela alla coagulazione in r8 - 20 secondi. Si prepara indi una soluzione di strcptocinasi che contenga miJle U. per cc : allora 0 ,10 cc della soluzione di streptocinasi vengono aggiunte nella provetta d i cui sopra e si fa scattare il cronometro. Dopo un minuto si colloca alla superficie della miscela la rotellina di Studer del peso di circa 250 mgr. La rotellina si equilibra e poi cade di colpo sul fondo della provetta per la fibrinolisi che si determina. La caduta è in relazione alla quantità di prolisina presente. Si pl!'epara una curva di diluizione e si ca1colano i differenti tempi di caduta.

L'antilisina è stata dosata col metodo di Marbet nella modificazione di Juergens e Beller. In tre provette si collocano 0,10 cc di plasm a citratato centrifugato a trem ila gm al minuto, e si aggiungono 0,10 cc di una soluzione di streptocinasi, contenente roo U. in 0, 10 cc di tampone veronal -sodico. Si lascia incubare la miscela a 37°C per un minuto: dopo un minuto si aggiungono 1,8 cc d i una soluzione fisiologica alle provette uno e due, mentre nella provetta rre la stessa quantità di soluz ione fisiologica è aggiunta dopo 30 minuti. rl tem po di lisi è determinato subito nella provetta uno, e dopo 30 minuti nella provetta due e tre, nella seguente maniera: si aggiungono 0 .50 cc di una soluzione di fibrinogeno e 0,20 cc di soluzione di trombina: si agitano e si lasciano le provette a temperatura ambiente : dopo un m inuto le provette sono poste in bagnomaria a 37°C. Per tempo di lisi si intende q uel tempo che intercorre dal momento in cui le provette sono state poste a bagnomaria al momento in cui si libera la prima bollicina d'aria. La curva di lettura viene preparata diluendo 1 : 20 la provetta uno, e facendo quindi una d_iluzione i_n serie; i valori sono espressi in doppio sistema logaritmico. Nella provetta tre - in cui il te mpo di lisi è letto dopo trenta minuti - la con• centrazione in fibrinolisina è in funzione dell'attività antilìbrinolitica del plai;ma: il valore percentuale dell'attività antifìbrinolitica può essere desunto dal conEronro dei tempi <li lisi della provetta uno e della provetta tre.

Le determinazioni venivano eseguite al m attino, sempre alla stessa ora. nella tabella 5 è rappresentato il comportamento della fibrinolisi totale seseguita in pazienti operati fino al 21" giorno dall'intervento. Come dimostra il grafico, non sono state trovate oscillazioni significati ve e l'attività litica del sangue presenta valori che sono sovrapponibili a quelli ottenuti prima dell'intervento: la fibrinolisi si aggira intorno al 100% . Questi nostri dati concordano con quelli di AA. che si sono precedentemente occupati di questo problema, e ch e non avevano notato variazioni apprezzabili della fibrinolisi ematica dopo interventi chirurgici. Se però anziché la fibrinolisi globale analizziamo singolarmente i fattori che intervengono nel processo fibrinolitico, e in particolare quelli più importanti ossia la prolisina e l'antilisina, vediamo che il problema dell'attività litica del sangue dopo interventi ortopedici deve essere posto sotto una nuova luce.


Infatti - come illustrato dalla tabella n. 6 - i valori di prolisina, per circa una settimana dopo l'intervento, rimangono intorno al roo% : ma già a partire dal settimo giorno si nota un aumento apprezzabile, che in alcuni casi supera il 125%. Tale aumento della prolisina raggiunge il massimo in°TQb . 5

FIBRINOLISI TOTALE

¼

12

100

60

3

6

9

12

15

18

21 gg.

15

18

2 1 99·

PROLISINA

.

... □ BO

40

6

o

12

torno al dodicesimo giorno del decorso pcstoperatorio per poi ritornare a valori di poco superiori alla norma intorno al quindicesimo giorno. Le nostre ricerche hanno coperto l'arco di tempo .fino al 21° giorno: non sappiamo perciò quello che accadde in questi soggetti dopo tale periodo.


220

Per quanto riguarda l'antilisina (tabella 7) abbiamo notato parimenti scarse oscillazioni nella prima settimana successiva all'operazione: in nona giornata inizia un aumento dell'attività enzimatica che si accentua nei giorni successivi per raggiungere il massimo intorno al dodicesimo giorno. Successivamente inizia una graduale diminuzione, per cui dopo circa tre settimane si sono raggiunti i livelli pre - intervento. I risultati da noi ottenuti si prestano ad alcune interessanti considerazioni. Anzitutto va rilevato che l'attività fìbrinolitica globale non è modificata. Il rilievo di una attività litica postoperatoria immodifìcata ha fatto concludere agli AA. che prece,dentemente si sono occupati di questo problema

ANTILISINA

¼

10

oo

T.,/,. 7

000 ~o

.. o

8

60

4

18

21 99.

che l'intervento chirurgico non provoca ripercussioni sui fattori del complesso fìbrinoli tico. Le nostre ricerche invece erano indirizzate ad analizzare partitamente questo fenomeno, in ispecie attraverso il dosaggio dell'attivatore e dell'inibitore. Solo in questa maniera è passibile avere un quadro sincero dell'equilibrio fibrinol.itico nel decorso postoperatorio. Mediante questa analisi è possibile concludere che nel decorso postoperatorio l'aumento del precursore litico viene bloccato da un corrispondente aumento dell'inibitore, di modo che quello che è il risultato finale (ossia l'attività fibrinolitica globale) non viene alterata. In altre parole, il risultato finale rimane imrnodificato: i valori dell'attività fibrinolitica globale nel decorso Postoperatorio sono sovrapponibili a quelli che si riscontrano prima dell'initervento. Però l'interpretazione da dare a questi risultati è ben differente da quella che veniva formulata dagli


22[

AA. precedenti: ossia, la mancanza di modificazioni della .fibrinolisi totale nel decorso pastoperatorio non è dovuta ad assenza di variazioni dei singoli fattori che intervengono n el processo .fìbrinolitico, bensì è il risultato della neutralizzazione di due oppaste tendenze, da una parte l'aumento della profìbrinolisina, dall'altra l'aumento dell' antilisina. N ella maggior parte dei casi questi due movimenti di segno oppasto si neutralizzano a vicenda, nel senso che la maggiore attività profibrinolitica viene bloccata da un corrispon<lente aumento dell'attività antilisinica: quell'equilibrio cioè che prima dell'operazione si stabilisce tra fattori attivatori e inibitori della fibrinolisi si perpetua pure ,d opa l'intervento, in maniera che determinando solo l'attività fìbrinolitica globale si sarebbe partati a concludere che questo complesso epifenomeno della emocoagulazione non subisce alterazioni nel decorso rostoperatorio. La determinazione invece analitica dei singoli fattori che intervengono nel processo .fìbrinolitico dimostra che le cose si presentano diversamente: se la fibrinolisi globale rimane immodi.fìcata, questo è il r isultato del paraìlelo aumento della prolisina e <lella antilisina. Se queste sono con siderazioni di interesse fisiopatologico, tuttavia questi risultati si prestano ad interpretazioni cliniche non prive di interesse. E' stato infatti dimostrato dai nostri dati che il movimento ascensionale della profìbrinolisina è parallelo a quello dell'antilisina : dobbiamo però ammettere la passibilità di casi in cui l'aumento di questi <lue fattori non è più parallelo, ossia casi in cui si ha un aum en to maggiore della prolisina rispetto all'inibitore, e casi in cui l'inibitore aumenta in maniera più marcata rispetto alla proli sina. Questa passibilità sul piano biochimico trova il suo corrispandente nell'osservazione clinica di quei casi in cui nel decorso postoper atorio si nota o un aumento delle manifestazion i cliniche collegate all'ipercoagulia o per converso altre manifestazioni collegate ad una ipocoagulia. Nei casi in cui l'aumento della profibrinolisina supera quello dell'antilisina l'equilibrio della emocoagulazione si sposta in favore della trombosi: m entre quando l'aumento della antilisina supera quello della prolisina l'equilibrio si spasta in favore della emorragia. Quella che è - in altre parole - l'osservazione clinica di fenomeni trombotici e emorragici nel decorso pcstoperatorio trova nelle nostre ricerche, per così dire, la giustificazione biochimica, caratterizzata appunto dalla variazione degli attivatori e degli inibitori del processo fìbrinolitico. Con queste ricerche ci sembra di avere partato un contributo non privo di interesse a quelle che sono Je variazioni dei fattori del processo fibrinohtico nel decorso pastoperatorio: attraverso l'analisi d i queste modificazioni ci sembra che alcuni aspetti clinici degli operati possano essere meglio compresi ed in51uadrati.


222

R1AssuNTo. - Dopo aver ricordato in sintesi le principali tappe del processo trombogenctico, gli AA. illustrano i più importanti fattori che intervengono nella fibrinolisi ematica. Vengono quindi esposti i dati inerenti ad una serie di ricerche compiute in operati sottoposti ad interventi di natura ortopedica. La Jibrinplisi globale risulta immodifìcat:a non per assenza dj qualsiasi variazione a carico dei fattori che intervengono nel processo fìbrinolitico, bensì perché l'aumento della prolisina - ossia del fattore attivatore - è compensato da un parallelo aumento della ancilisina. Sulla base di questi risultati vengono svolte alcune considerazioni critiche.

RÉsuMÉ. - Les AA. montrent le donneès d ' une recerche sur la fìbrinolyse conduitc sur malades soumis à intervcntions orthopediques. Sur la base dc cene recerchc ils conclueot que cc procès est immodifié parce que l'augmentation de la prolisync est compensè par l'augmentation de l'antilysine.

SuMMARY. - The AA. show the data of a research on fibrinolysis carried out on patiencs who undergonc orthopaedic intervenrions. On rhe basis of that research thcy conclude thac this process is immodified becausc thc incrcase of prolysin is balanced by the increase of antilysin.

BIBLIOGRAFIA ZuKsscHwERDT L. e THtES H. A.: « Koaguloparliien ». Ed. Schattauer, Stoccarda, 1967. MANDELLI F . e coli.: « La tromboelastografia ». Edizione Scient. Leonardo, Roma, 1963. AsTRUP T.: cc Fibrinolysc », Acta H aemat., 7, 271, 1952. BAsERGA A. e D E N rcoLA P. : « I.,:: malattie emorragiche >l, IL Ed., SEL, Milano, 1g63. DE N 1coLA P.: e( La diagnosi dei difetti di coagulazione». Tipografia Viscontea, Pavia, 1954. JuERGENs R. e H i;u .. ER F. K.: << Klinische Metho<le der Blutgerionungs >> - anal yse », Thie me, Stoccarda, 1959. VEcCHTF.Tiì G.: « La fibrinolisi attivata con strcptocinasi nel periodo postoperatorio. Valutazione tromboelastograJica >>. Riv. Ost., 9, 137, r954. ARTZ C. P. e HARDY J. D.: "Le complicanze i11 chirurgia e il loro tra ttamento ». Piccin, Padova, 1963. PRovE:siZALE R.: « Manuale di semeiotica chirurgica >>. Pozzi, Roma, 1963. SADOVE M. S. e CRoss J. H.: « Rianimazione. La terapia nell'immediato periodo postoperatorio>>, Piccin, Padova, 1961. MARPLE C. D. e WRIGI·IT: « Tromboembolie coodit-ions >l . II Edizione, Thomas, Springlì.dd, 1966.


SCUOLA MILITARE ALPlNA - INFERMERIA SPECIALE

Direttore: Teo.Col. Mcd. P. R.Acm 1° REGGIMENTO PARACADUTISTI - SERV!ZlO SANITARIO

Dirigente : Tcn.Col. Mcd. Par. B. D, tu F AZIA

MODIFICAZION I D ELL'ECC AD ALTA QUOTA S. Ten. Med. Dott. Pietro Merlo

S. Ten. Med. Dott. Paolo Mascetti

PREMESSE

Nel 1969 avevamo studiato sul Monte Bianco le modificazioni dell'ECG basale e dopo sforzo in quattro soggetti sani, non allenati a prestazioni SPortive di rilievo, fino alla quota di 4000 m. A detta quota avevamo rilevato: 1) cospicuo aumento della frequenza cardiaca; 2) comparsa di modificazioni del ventricologramma riferibili a sovraccarico ventricolare destro; 3) comparsa di blocco A V di 1° grado in un caso. Una spedizione H im alayana ci ha permesso di estendere il nostro studio, fornendoci ulteriori dati per l'attuale comunicazione.

MATERIALE E METODI

Abbiamo registrato le 12 derivazioni standard a m 200, 2000, 4800, 6000 sul livello del mare. Sono stati esaminati 5 soggetti m aschi di età compresa fra i 27 e i 38 anni, allenati a prestazioni sportive di r ilievo, per i quali non è stato accertato alcunché di patologico alla luce di un'accurata indagine clinica. Un soggetto solamente è risultato portatore di un em iblocco anteriore sinistro incompleto, secondo la recente classificazione proposta da Rosenbaum. Abbi amo utilizzato l'elettrocard iografo Cardioline eta de1la Elettronica Trentina SPA, rivelato-si adatto allo scopo perché leggero, portatile e funzionante a pile. Gli ECG sono stati registrati in condizioni rigorosamente basali, in situazion i .il più possibile analoghe alle varie quote, con qualche comprensibile eccezion e a 6000 m. Ad ogni quota sono stati registrati diversi ECG in giorni diversi, sia per standardizzare eventuali errori o tempDranee anomalie in relazione ad eventi contingenti, sia per cogliere le modificazioni riferibili all'acclimatamento. Altri parametri studiati (pressione arteriosa, alcuni tempi di circolo, frequenza respiratoria, situazione clinica) non sono contemplati in questa sede in quanto ci porterebbero oltre i limiti di una sem plice comunicazione.


RISULTATI

In breve descriviamo gli ECG di 5 soggetti, limitandoci a quelli ritenuti essenziali. CASO N. I

s. R.

Mt. 200: Bradicardia sinusale, 50 / m'. AP = + 70°, atriogramma fisiologico, PQ = 0,13 11, A QRS + 60°, ventricologramma fisiologico. Mt. 4800: Nessuna modificazione. Mt. 6000: Aumento della frequenza sinusale = 66/m'. Invariato l'atriogramma e la depolarizzazione ventricolare, modesta diminuzione del voltaggio dell'onda T in V2 - V •. CASO N. 2

G. L. (figura n. r).

Mt. 200 : Sequenza sinusale ritmica, 72/ m', AP + 65°, atriogramma fisiologico, PQ = o, 15 A QRS + 65°, ventricologramma fisiologico. Mt. 4800: Invariata la frequenza siflusale, sporadiche extrasistoli atriali a focus ectopico parasinusale, condotte con PQ = 0,2411 • Onda P appuntita, anche se non aumentata di voltaggio, in D .D , aVF. Invariata la depolariz11

,

f,o . N' 1

G.L.

D,

a,

VF.

..,r:

600C

11

zazione ventricolare. Aumentata di 0,04 la durata della sistole elettrica con diminuzione del voltaggio ,d ell'onda T in tutte le derivazioni e particolarmente in V2Va, dove si rileva una gibbosità che suggerisce la comparsa di un'onda U. Mt. 6000 : Rispetto all'ECG registrato a 4800 mt. si rileva aumento della frequenza sinusale = 95/ m'; aumento -del numero delle extrasistoli atriali, condotte con PQ = 0,26". Immodificato A P . Onda P spiccatamente più alta od appuntita in D 2D saVF: si tratta di onde P di tipo francamente « poi-


monare >>. A QRS spostato a destra fino a + 85°. Ridotta la sistole elettrica, con durata del QT sovrapponibile a quella registrata a 200 m t. Regredito anche lo spianamento dell'onda T. Comparsa <li anom alie della ri,polarizzazione ventricolare in forma di sottoslivellamento del tratto ST con onda T difasica - + in D 3 , sottoslivellamento del tratto ST in aVF. C ASO N. 3 D. A. B.

Mt. 200 : Sequenza sinusale ritmica, 86/ m'; A P + 6o PQ = 0,15"; atriogramma fisiologico; A QRS + 55°; ventricologramma fisiologico. Mt. 4800 : Unica variazione la verticalizzazione di A QRS = + 70°. Mt. 6000: Tachicardia sinusale, 128; A P = + 70°; modesto aumento di voltaggio dell'onda P in D ,D aaVF; invariata la conduzione AV e la depolarizzazione ventricolare. Onda T spianata in D. aVF, gibbosa e fusa con il tratto ST stirato in alto in V, - V•· 0

;

CASO N . 4 S. E. (figura n. 2).

Mt. 200: Sequenza sinusale ritmica, 88/ m'; A P = + 65°; atriogramma fisiologico; PQ = 0,16"; A QRS orientato a - 45°; QRS = 0,09 11 ; complessi ventricolari rapidi di tipo qRs in D , R, Ss di ti·p o rS con uncinatura

F , o.N'2

SE

D,

della branca ascendente di S in DaaVF ; qr in aVR; qR in aVL; rS in V , ; Rs in Ve V •. Onda T negativa ed appuntita in aVR, V1; positiva in tutte le altre derivazioni. Si tratta quind i ,d i un emiblocco anteriore sinistro incompleto, secondo la classificazione di Rosenbaum [ 1]. N essun reperto anamnestico, obiettivo e laboratoristico permette di definire ulteriorm ente il reperto. nella sua etiologia. Possiam o solo supporne la forma con genita, in guanto non risultano pregressi fatti miocarditici. Mt. 4800: N essuna modificazione significativa.


Mt. 6000 : Tachicardia sinusale, 120 / ro'; A P = + 70°; spiccato aumento di voltaggio dell'onda P in D .D .aVF; si tratta di onde P di tipo francamente polmonare; immodificata la conduzione AV e la dePolarizzazione ventricolare; diminuzione <le! voltaggio dell'on<la T in D ,, comparsa in onda T negativa in aVL, Positivizzazione dell'onda T in V,V 2 , CASO N . 5 M. Z. (figura n. 3).

Mt. 200 : Sequenza sinusale ritmica, 76/m'; A = + 45°, atriogramma fisiologico; PQ = 0,16"; A QRS non determinabile sul piano frontale, cuore « punta indietro ii, con S, S2Sa; QRS = 0,08"; blocco focale D estro con complessi rSr' in V,; onda T difasica - + in D 3, negativa in V, aVR, positiva in tutte le altre derivazioni.

M.Z.

D.

o.,VF

V,

m,I;

4800

Mt. 4800: Invariato. Mt. 6ooo : Aumento della frequenza sinusale, 90/ m'; spiccato spostam ento a destra di A P a + 80°, con comparsa di o nde P francamente « Polmonari» in D 2D 3 aVF; onda T negativa in D 3, difasica - + in aVF. 1n sintesi : non abbiamo evidenziato significative o perlomeno uniformi modificazioni dell'ECG a 4800 m t., se si eccettua un modesto aumento della frequenza ventricolare. Va tenuto però presente che i soggetti esam inati erano alpinisti allenati alla perman enza a-d alta quota. A 6000 mt. abbiamo rilevato: a) spiccato aumento d ella frequenza ventricolare; in 2 casi compare anche tachicardia sinusale. In un caso compare extrasistolia atriale SPoradica; b) in 3 casi com parsa di onde P francamente « polmonari)), con aum ento del voltagi:,rio di P in D2D3aVF e SPoStamento a destra di A P. Negli


altrj 2 casi si è avuto spostamento a destra di A P e modjficazioni della morfologia dell'onda che si è fatta più appuntita; e) significativo, anche se modesto, spostamento a destra di A QRS m tutti i casi. Invariata la depolarizzazione ventricolare, anche n el caso n. 4, in cui essa è alterata lungo l'emibranca anteriore; d) comparsa più o meno evidente in tutti i casi di anomalie della ripolarizzazione ventricolare, in forma di onda T negativa o difasica - + in Ds aVF e di alterazioni varie d ella ripolarizzazione nelle derivazioni precordiali destre.

DISCUSSIONE

Si noti come le modificazioni ecgrafiche da noi rilevate siano in parte sovrapponibili a quelle osservabili nel cosiddetto « cuore polmonare acuto ». Come è noto in tale sih1azione clinica si manifestano acutamente alterazioni del circolo polmonare che comportano ipertensione a livello dell'arteria polmonare con conseguente sovraccarico ventricolo - atriale Dx (embolia polmonare, crisi brancospastica, pneumopatia acuta, perforazione di aneurisma aortico nel cono della polmonare, pneumotorace ipertensivo a valvola). Le modificazioni ecgrafiche ti piche sono le seguenti : a) tachicardia sinusale; b) aum ento di voltaggio dell'onda P in D2Da aVF; e) deviazione a Dx di A QRS; d) rotazione oraria del cuore con complessi di tipo S1Q 3 e spostam ento della zona di transizione a Sn. nelle derivazioni precordiaJj ; e) sottoslivellamento del tratto ST in D2D3 aVF con eventuale comparsa di on,de T negative; f) anomalie non sempre omogenee della ripolarizzazione ventricolare nelle derivazioni precordiali Dx . Le suddette modificazioni ecgrafiche hanno carattere tipicamente transitorio e reversibile col ripristino della fisiologica emodinam ica del piccolo circolo. La reversibilità costituisce un particolare utile elemento di distinzione nei confroP.ti della necrosi inferiore, sospettabile per Q. e T negativa in

D2Da. N ei casi da noi studiati si riscontrano a 6000 mt. tutte le modificazioni ecgrafiche del cuore polmonare acuto, con l'unica eccezione della rotazione orana. Pensiamo pertanto che l'elemento etiopatogenetico principale sia costituito dal sovraccarico del piccolo circolo conseguente all'iperventilazione polmonare destinata a compensare l'ipossia di quella quota. Particolarmente significative son~ le anomalie dell'onda P. Pensiamo che in parte esse siano interpretabili con l'ipertonia simpatica e con modifi-


2 28

cazioni dell'assetto anatomico, che comportino abbassamento del diaframma ed anteriorizzazione dell'atrio Dx, risultante pertanto cc addossato » alla parete toracica e parallelo alla derivazione D.. Ciò determinerebbe ovviamente aumento di voltaggio dell'onda P, indipendentemente dal sovraccarico emodinamico. Una generica sofferenza del miocardio atriale è anche documentata dall'extrasistolia atriale rilevata in un caso. Per quanto riguarda la tachicardia, la deviazione a Dx di A QRS e le anomalie della ripolarizzazione in D2D3 aVF e precordiali Dx, pur essendo più modeste delle modifìcazioni dell'onda P, sono significative e ben si inquadrano nel sovraccarico acuto ventricolo - atriale Dx comparso a 6000 mt. Per quanto riguarda le modificazioni della ripolarizzazione ventricol.are in D2D3 aVF, nelle derivazioni cioè dove si realizza un cospicuo aumento dell'onda P, pensiamo che siano in parte dovute all'onda di ripolarizzazione atriale (ta), che comporta sottoslivellamento del tratto ST. Ricordiamo che l'esperimento è stato effettuato nei confronti di alpinisti allenati a prestazioni sportive ad alta quota. Ci pare pertanto logico ritenere che le modificazioni ecgrafiche comparirebbero a quote più basse conducendo il medesimo studio su campioni più vasti di popolazione, come del resto avevamo già riscontrato in un nostro studio sul Monte Bianco.

CONCLUSIONE

Abbiamo rilevato la comparsa a 6000 mt. di evidenti segni di sovraccarico ventricolo- atriale destro, secondario alla aumentata ventilazione polmonare. Le modificazioni ecgrafiche ricordano quelle rilevabili nel « cuore polmonare acuto». In qualche caso potrebbe essere discusso un aumento del tono simpatico con aumento del voltaggio dell'onda P e comparsa di sottoslivellamento del tratto ST (Ta). Interessante è notare come, nei soggetti da noi studiati, le anomalie significative dell'ECG compaiano solo alla quota di 6000 mt.

RussUKTo. - In 5 alpinisti allenati a prestazioni spartive ad alta quota sono stati registrati elettrocardiogrammi a mt. 200, 2000, 4800, 6ooo sul livello del mare, in condizioni rigorosamente (( basali >>. Non si sono riscontrate modificazioni signffica~ive del lTacciato ecgrafico fino a mt. 4800. A 6000 mt. invece, sono state rilevate anomalie riferibili a sovraccarico ventricolo - atriale Dx, molto simili a quelle riscontrabili nel (< cuore polmonare acuto ».

R:ÉsuMÉ. - À 5 alpinistes specialisés en sport d'haute còte, nous avons registré des electrocardiogrammes a m. 200, 2000, 4800, 6ooo sur la mér en conditionnes rigorèsement « basales ».


On n'a pas rencontré des modificationncs signiiicatives tlu tracé ecgrafic jusqu'à m. 4800. À 6000 m., au contraire, on a r-::levé des anomalie5 référibles au surchargc du ventricule Dt, très pareiHes à celles-là renconll'ables dans le « coeur polmonar aigu».

Sui,.rMARY. - Five experienced mountainecrs were E.C.G. rcgistered at 200, 2000, 4800, 6ooo metcrs above sea level under strict (<basai » conditions. Up to 4800 meters importane changcs were not observed. At 6ooo rneters however wcre watched abnormalitics ·chat could be rcferred to a rig ht atrial - ventr,icular overloading, vcry similar to those presented in « acute pulmonary heart ».

BIBLIOGRAFIA r) RosENBAUM M. B., EuzARI M. V., LAZZA.RI J. O. : <( The herniblocks ». Tampa Tracings, Oldsmar, Florida, 1970.

7· - M.


CENTRO STUDI E RICERCHE DELLA SAl"'IT,\ MIUTARE Direttore: Magg. Gcn. Med. Dott. C. M,'SILLI OSPEDALE MfLITJ\RE PRINCIPALE DI ROMA Direttore: Col. Med. Prof. E. FA vuzz1

CONSIDERAZIONI DI ORTOPEDIA GINECOLOGICA Magg. Med. Dott Raffaele Tucciarone

Ten. Col. Med. Prof. Edoardo Bruzzese

Con questo lavoro iniziamo una serie di studi e di ricerche sui rapporti che intercorrono tra la clinica ortopedica, da una parte, e la clinica ostetrica e ginecologica, dall'altra. Già in tempi meno recenti erano state evidenziate numerose interferenze tra lo sviluppo scheletrico e le varie condizioni fisiopatologiche della donna, ,tanto in campo ostetrico che in campo ginecologico. Questi rapporti p,ossono essere messi a fuoco sotto un duplice punto di vista, e precisamente: 1) da un punto di vista statico, comprendente lo studio delle caratteristiche scheletriche e legamentose della donna sotto un profilo generale, ossia considerando i predetti sistemi nella loro interezza, come pure sotto un profilo particolare o locale, in quelli -che sono i rapporti più strettamente specifici tra sistema scheletrico e legamentoso del bacino della donna e le varie situazioni di fisiologia e di patologia ginecologica; 2) da un punto di vista dinamico,, comprendente lo studio delle modificazioni e dell'evoluzione dell'apparato scheletrico e legamentoso della pelvi in rapporto alle modificazioni (soprattutto di ordine ormonale) che com e dimostrato già da Albrecht, da Berend, da Eymer e Lang avvengono già nella vita intrauterina nei feti di ,sesso femminile, ma si accentuano particolarmente nella neonata e nel corso degli anni successivi fino alla pubertà. Questa rappresentazione dinamica ,dei rapporti tra sistema scheletrico e legamentoso e condizioni fisiopatologiche della donna, sia in periodo prepubere che in periodo postpubere, permette di inquadrare in una visione più moderna quelle che sono le caratteristiche pewliar,i della orm0tnodi pendenza dello sviluppo dell'osso nella donna, e di mettere a fuoco quelle situaz.ioni particolari in cui una qualsiasi alterazione di questa ormonodipendenza porta a reciproche n egative interferenze. Alla luce delle più recenti ricerche - come dimostrato da Gigi, da Grosser, da Guggisberg, da Martius, da von Messenbach, da Bock, da Meema H. E. e Meema S., da Levy e coli., da MueLler, da H yrayama e da altri


- l'analisi delle interrelazioni tra apparato scheletrico e legamentoso, in particolare de_l piccolo hacino, -della donna e le varie situazioni che si osservano nella clinica ostetrica e ginecologica sia in campa fisiologico che in campo patologico ha permesso in tempi recenti di mettere a fuoco alcune caratteristi.che fisiopatologiche, radiologiche, metaboliche e biochimiche oltremodo interessanti per completare la conoscenza di tutti que:i fenomeni legati alle principali tappe della vita sessuale della donna. T ale studio si è <limostrato fecondo non soltanto per il ginecologo che ha così potuto chiarire - sia sul piano dottrinale che sul piano pratico alcuni punti oscuri della fisiopatologia muliebre, ma anche per l'ortopedico che ha potuto delucidare alcuni aspetti non ben inquadrati - o sotto il profilo istologico o sotto il profilo biochimico - dello sviluppo dell'osso correlato alle variazioni ormonali della donna, da una parte: mentre dall'altra una più capillare conoscenza della ormonodipendenza ne.I campo dello sviluppo dell'osso e dello sviluppo dell'apparato legamentoso ha permesso all'ortopooìco di diagnosticare con esattezza alcune turbe che non raramente capitano alla sua osservazione, nd mentre che gli ha offerto le armi più corrette per la terapia conseguente.

gravidanza sviluppo intrauterino ginecologia

S'✓il uppo

neonatale

sviluppo post pubere climaterio

Se ora in una v1s1one sinottica vogliamo comprendere le relazioni tra l'ortopedia da una parte e l'ostetricia e ginecologia dall'altra, possiamo rappresentare - come indica la tabella 1 - l'ortopedia al centro di interrelazioni che da una parte riguardano ,specificamente l'ostetricia e dall'altra la ginecologia.


Per quanto riguarda l'ostetricia, l'rn.teresse dell'ortopedico è attratto sia dal fenomeno della gravidanza in se stessa con le modificazioni dell'apparato scheletrico e legamentoso nei vari mesi di gestazione in rapporto alle variazioni ormonali e .ille alterazioni della statica della gravida sia in rapporto al parto per quello che si ha dal punto di vista meccanico al momento della espulsione del feto come pure in rapporto al puerperio quando parte delle modificazioni riscontrate precedentemente regrediscono mentre altre per,durano più o meno a lungo ed altre ancora denunciano la loro irreversibilità. Per quanto riguarda invece la ginecologia, l'interesse dell'ortopedico è polarizzato da tutte quelle modificazioni che come dimostrato da Menge, da Moehle, da Schopper, da Schuermann, da Young, da Zulauf e da altri si verificano già nel corso dello sviluppo intrauterino del feto, per accrescersi di intensità ndl'epoca neonatale e vieppiù accentuarsi negli anni successivi fino alla pubertà. Sotto questo profilo l'interesse dell'ortopedico è richiamato anche dalle modificazioni della ,d onna in climaterio, cioè in quell'epoca particolare ,della vita muliebre caratterizzata da variazioni dei sistemi organici, ivi compresi l'apparato scheletrico e legamentoso. Nella tabella 2 abbiamo cercato di analizzare più specificamente le interrelazioni tra sistema scheletrico e fisiopatologia ginecologica. Da una

7..6. 2, -SISTEMA SCHELETRICO E FISIOPATOLOGIA GINECOLOGICA

lnflul'nza dl'lla patologia ossea sull'appara.t o genitale

lnfl Ul'nza della patologia ostot rica e ginecologica su\ sisll'ma scheletrico

Climaterio e sistema scheletrico

parte dobbiamo pertanto tener conto delle influenze ormonali sul sistema scheletrico, quali si manifestano come è già stato detto precedentemente già nella vita intrauterina, e che raggiungono il loro culmine al momento della pubertà. Inoltre va analizzat.i dall'ortopedico l'influenza della patologia ostetrica e ginecologica sul sistema scheletrico come pure sul sistema legamentoso della donna. Un terzo aspetto del problema concerne l'influenza della patologia


2 33

ossea sull'apparato genitale femminile. Un quarto punto da studiare è quello che concerne i rapporti tra gravidanza - sia fisiologica che patologica - e sistema scheletrico. Infine vanno ricordati i rapporti tra climaterio e sistema scheletrico. Analizzando i singoli puuti di questa tabella, dobbiamo dire innanzitutto - a proposito dell'influenza ormonale sul sistema scheletrico - che differenze tra peso, conformazione e costituzione delle singole ossa esistono non solo nella vita neonatale, ma già durante lo sviluppo intrauterino. Nota da tempo è l'azione inibitoria degli ormoni sessuali sulla crescita: tale azione è stata documentata ,d a tempo sia in campo sperimentale che clinico. E' noto che in coincidenza dell'entrata in funzione di varie ghiandole endocrine, la crescita corporea subisce dapprima un rallentamento, indi un arresto definitivo. Per converso, in quei quadri disendocrini caratterizzati da una defìcenza o da assenza di increzione ormonale si hanno quelle alterazioni scheletriche caratteristiche dell' eunucoidismo. Le curve di sviluppo dd bambino e della bambina sono differenti come dimostrato da numerose ricerche: e tale differenza si avverte specialmente tra gli II e i 15 anni. Le esperienze dell'ultima guerra hanno inoltre dimostrato come numerosi fattori possono interferire in questo sviluppo: così ad esempio le defìcenze alimentari colpiscono le ragazze circa due anni prima dei maschi. Un secondo aspetto concerne l'influenza della patologia ostetrica e ginecologica sul sistema scheletrico. Tale influenza si può estrinsecare sia sotto forma delle varie malattie che colpiscono la gravida, come la gestosi con tutte le sue ,ripercussioni d i ordine metabolico e biochimico: sia sotto forma di m alattie ginecologiche in •seuso stretto, com e ad esempio tutte le affezioni di carattere oncologico che possono ripercuotersi sul sistema scheletrico o per interessamento diretto dovuto alla diffusione per continuità o per metastatizzazione del tumore, o per ripercussioni secondarie talora anche legate al trattamento terapeutico (radiante). L'influenza ,della patologia ossea sull'apparato genitale femminile è stata am piamente valorizzata dagli AA. meno recenti quando le condizioni di vita e di alimentazioni erano ben lontane da quelle attuali. Le alterazioni del cingolo osseo del bacino muliebre si facevano sentire specie al momento del parto, ed infatti la ostetricia meno recen te elencava tutta una serie di bacini patologici (bacino di Neagele, bacino osteomalacico, bacino spondilolistesico, ecc.) in cui l'espletamento ,del parto era più o m eno impo•ssibilitato. La gravidanza di per se ,stessa ha una influenza diretta ed indiretta sul sistema scheletrico : diretta, per quanto riguarda le modificazioni che lo sviluppo del feto e tutti i fenomeni a questo correlati producono in particolare sull'apparato legamentoso del piccolo bacino, ossia sulla sinfisi e sul]e articolazioni sacroiliache: indiretta, per quanto concerne le modificazioni


del m etabolism o della donna con ripercussioni sulla nutrizione e sullo sviluppo <lell 'osso. Da ultiqio, abbiamo considerato il paragrafo del climaterio ne-i suoi rapporti col sistema scheletrico. Mmtre la menopausa è un periodo della vita della donna, il climaterio è un'era, caratterizzata oltre che da una m aggiore durata rispetto aJla prim a da una ben altra en tità di fenomeni .fisiopatologici. Le modi.ficaziort1 metaboliche, biochimiche e ormonali che si determinano in questo periodo si ripercuotono sul sistema scheletrico come dimostrato da numerosi lavori sperimen tali convalidati dalla osservazione clinica. Di fronte al m0dico sta tutta una serie di .disturbi dell'apparato scheletrico e legamen toso caratteristici di questo particolare periodo della donna, e talora molto difficili da trattare. Le caratteristiche ormonodipendenti del sistema scheletrico della donna possono essere studiate tanto nella vita fetale che nell'.infanzia come pure

~b . ..3, - CA RA TTERISTICHE ORMONO-DIPENDENTI DEL SISTEMA SCHELETRICO

puberi à

vita fe tale

i n fan zi a

nella pubertà (tabella 3). Come dimostrato da Halshofer e Lang già nel neon ato esistono delle differenze sessuali del piccolo bacino. La coniugata vera in genere n ella femmina è di 2,93 cm mentre nel maschio è di 2,97. Il diametro trasverso è rispettivamente di 3,52 cm e di 3,56. L'osso sacro del maschio è pi ù ampio e più corto rispetto a quello della femmi na: m entre il pube di quest'uhima è più pronunciato. In genere il diametro trasverso dell'ingresso pelvico nel n eonato è maggiore rispetto alla neonata. La distanza tra le spine iliache è in media di 7,3 cm nel ragazzo e di 6,8 nella ragazza, mentre la distanza tra le ,d ue creste i,liache è rispettivamente di 7,8 e di 7,5 cm. egli anni successivi e sino al m om en to in cui lo sviluppo corporeo si arresta si assi,ste alla fmmazion e del promontorio attraverso l'incuneamento nel bacino dell'osso sacro : la parte superiore di questo


2 35

si sposta in avanti e si forma la caratteristica lordosi lombare, In tale maniera la coniugata vera diminuisce, mentre il diametro trasverso dell'ingresso pelvico aumenta. Le differenze sessuali già presenti nella vita intrauterina e nella neonata si accentuano con la pubertà. Tra il 10° e l'II anno, ma specialmente tra il 14° e il 16° le misure della ragazza aumentano maggiormente rispetto al ragazw. Secondo Weissenberg,e r la ,distanza tra le due creste iliache presenta il massimo aumento durante i primi anni di vita, successivamente la velocità di guesto sviluppo diminui,sce, per aumentare ancora tra il 10° e l'n" anno di vi:ta. Tale accelerazione persiste in genere fin verso il r 5° anno. Le ricerche di Gellers hanno dimostrato che la coniugata esterna nell'uomo tra il 20° e 21° anno è di 20,5 cm mentre nella nullipara è di 18,9: mentre il diametro trasverso è rispettivamente di 25,9 e di 25,8 cm. 0

Ta6 4, -LE DIFFERENZE SESSUALI DEL BACINO

f i no ne l neonato

alla puberta· nel l'adulto

Da quanto è •stato detto e volendo schematizzare (tabella 4) dobbiamo considerare l'apparato scheletrico della donna - in particolare il bacino in tre distinti periodi ,della vita, e precisamente: 1) nel neonato, 2) fino alla pubertà, 3) nell'età adulta. Quello che è la risultanza della forma e in par ticolare i valori dei diametri del bacino n ell'epoca puberale e nell'adulto sono in rapporto a molteplici fattori: da una parte vi sono quelli di ordine costituzionale ed ereditario: dall'altra, guelli di natura ormonale che sono stati a più riprese ricordati: dall'altra ancora non bisogna dimenticare l'influenza dell'ambiente in cui si -sviluppa il soggetto, la sua alimentazione, i.I regime di vita, ecc.


Schematizzando si può dire che il bacino della donna adulta è più ampio di guello dell'uomo: l'ingresso pelvico è più piatto: il promontorio è meno accentuato: la sinfisi è più bassa. L'arresto nello sviluppo del bacino femmini le si ha più precocemente rispetto a quello maschile : è da tenere però presente che su questo sviluppo può interferire la gravidanza quando questa si verifica in un'epoca in cui il norma-le sviluppo scheletrico della donna non si è ancora completato. Come è importante per l'ortopedico le modalità di sviluppo dell'apparato scheletrico della donna, in particolare lo sviluppo del bacino, non minore importanza ha la conoscenza dello sviluppo dell'apparato legamentoso. Tale importanza scaturisce da un duplice punto di vista, ossia dalla influenza che le caratteristiche di tali mezzi legamentosi possono avere nella meccanica del parto, come pure dalle ripercussioni che le modificazioni dei m ezzi legamentosi pelvici susseguenti al parto possono avere sulla ·statica della donna.

lao. 5,·- MEZZI LEGAMENTOSI DEL BACINO nella gravidanza e ne I parto

meccanica de l parto

ortopedia ginecologica

E' interessante rilevare che mentre nell'uomo - dopo il completo sviluppo dell'apparato scheletrico e legamentoso - si ha quello che è stato definito <( ,sostegno automatico abituale », nella donna invece si ,d eterminano aJterazioni di tale statica al comparire <li ogni gravidanza: tali modificazioni sono importanti e ·dal punto di vista della meccanica del parto e dal punto di vista dell'ortopedia generale. Un particolare aspetto dell'ortopedia ostetrica concerne le m odificazioni dell'apparato legamentoso del bacino che si verificano durante la gravidanza e il parto. Mentre gli AA. meno recenti consideravano queste modificazioni esclusivamente in chiave meccanica, gli studi più recenti hanno dimostrato che tali variazion:i. sono principalmente da riportare aJ.le modificazioni ormonali quali si verificano nello stato puerperale. L'ampiamento della sinfisi è un fenomeno che si nota già in gravidanza, ma specialmente al momento ,del travaglio. E' stato inoltre visto che esiste un rapporto tra ciclo m estruale e allargamento della sinfisi (Massenbach).


2 37

Con questa introduzione abbiamo voluto semplicemente dare uno sguardo d'assieme su quelli che sono i rapporti tra clinica ostetrica e ginecolo~ gica, da una parte, e clin ica ortopedica, dall'altra. Tali rapporti appaiono interessanti sia dal punto di vista ,strettamente .fisiopatologico, in quanto ci permettono di intendere le correlazioni tra apparato scheletrico e legamentoso e vicende del ciclo sessuale femminile: sia dal punto d i vista pratico, in quanto una migliore conoscenza di tali modificazion i permette una diagnosi più corretta di molti aspetti di patologia di interesse comune, e conseguentemente un più esatto approccio terapeutico.

R1AssuNTo. - Viene delineato un quadro di interesse comune e per l'ortopedico e per il ginecologo. Gli AA. trattano schematicamente delle relaz ioni tra ortopedia e ostetricia e ginecologia, nel senso delle varie influenze che le vicende sessuali femminili esercitano sullo sviluppo dell'apparato scheletrico e legamentoS(): com e pure dell'influsso che la patologia dell'apparato osseo può avere sulla gravidanza e sul parto. Le caratteristiche ormonodipendenti nello sviluppo del sistema scheletrico nel feto, nel neonato e nell'adulto vengono analizzate.

RÉsuuÉ. - Les AA. traitent le& problcmcs d'interet commun à l'orthopedie et à la gynaecologie. Ils analysent 1es relations entre les variations endocriniennes gynaecologiques, le developpement du squelette et dc l'appareil ligamenteux, l' i11fluence de la pathologic squelcttique sur la grossesse et le couchement. L cs factcurs influants sur le developpement <lu squclctte <lans l'age foetal, du nouveau - né, et de !'adulte - ont analysés.

SuMMARY. - The AA. d escribe the arcas of common interest in the fìeld of orthopaedy and of gynacco1ogy. They analyze th e relaùonship among th e fcmale endocrinological situatio ns, the skeletal and ligameotous apparatus development, the influ ence of skeletal patho!ogy on che pregnancy and delivery. The endocrinological factors influencing th e skclctal devclopment in the foetal, neonata! ancl adult age are analyscd.

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CENTRO STUDI E RICERCHE DELLA SANITÀ MILITARE Diretrore : Magg. Gcn. Mcd. Dott. C. M us1LLI 30 REPARTO - SEZIONE IGIENE E MICROBIOLOGIA Capo Sezione : Tcn.Col. Med. l)ott. M. D1 MARTI'-'O

ASPETTI EPIDEMIOLOGICI DELLA ROSOLIA NELL'ESERCITO ITALIANO * M. Di Martino

A. Zaio

L 'interesse che da qualche decennio si polarizza intorno alla Rosolia è dovuto, come è noto, al fatto che l'insorgere di questa affezione nella gestante, soprattutto durante i primi tre mesi di gravidanza, può dar luogo ad embrio e fetopatie con conseguenze malformative di notevole gravità. Hilleman, a questo proposito, ricorda -che nel corso dell'epidemia di Rosolia verificatasi negli Stati Uniti nel 1~4 furono colpite un milione e 200 mila persone e si ebbe la nascita di 20.000 neonati con difetti congeniti nonché la morte intrauterina di circa 30.000 feti. La necessità di evitare questi rischi ha indotto a svolgere indagini di natura epidemiologica con lo scopa di accertare la reale diffusione della Rosolia non soltanto nei giovanissimi ma anche negli adulti dato che, come afferma Dudgeon, un numero significativo di bambini sfugge all'infezione per cui molti soggetti di ·sesso femminile sono -esposti al pericolo di un danno nelle future gestazioni. Secondo Abel Prìnzie la probabilità per una donna in gravidanza di ammalare di Rosolia è di 1 a roo ma in caso di epidemia, come avvenne appunto negli Stati Uniti nel 1964, la probabilità è di 1 a 25. Al fine di recare un contributo, sia pure modesto, alle conoscenze su alcuni aspetti epidemiologici di questa forma infettiva, abbiamo rilevato la morbosità per Rosolia nell'Esercito italiano per il periodo che va dal 1952 ai primi siette mesi del 1973. L'indagine è stata effettuata oltre che con l'intento conoscitivo di acquisire elementi sulla incidenza di questa malattia in una delle tre collettività militari, la più numerosa, anch e allo scopo di conoscere, in linea più generale, la diffusione della Rosolia nei soggetti maschili di età compresa tra i 2T ed i 25 anni. " Relazione al Convegno sulla Rosolia organizzato dalle Sezioni Regionali Laziali dell'Associazione Italiana per l'Igiene, della Società Italiana di Malattie In fettive, della Società Italiana di Microhiologia e dall'Online <lei Medici - Chirurghi della Provincia d i Frosinone, 20- 21 ottobre 1973, Fiuggi.


Questi dati possono dimostrarsi di una certa utilità in quanto forniscono ragguagli, sia pure semplicemente indicativi, sulla morbosità potenziale della Rosolia nel sesso fem minile alle predette età, almeno fino a quando non venga dimostrata una diversa incidenza della malattia tra i due sessi. Un ulteriore interesse ad esporre in questo convegno i risultati della nostra indagine è venuto dal fatto che per il nostro Paese mancano informazioni a lungo termine sulla morbosità della Rosolia in quanto, come è noto, questa forma viraJe di fatto soggiace all'obbligo della denuncia solo dall'aprile 1970. I dati che verranno più avanti brevissimamente illustrati sono desunti dalle denunce d ei casi di malattie infettive che mensilmente affluiscono agli organi centrali della Sanità Militare e concernono i militari dell'Esercito di qualunque gra,d o e posizione. E' necessario comunque precisare che la quasi totalità dei colpiti che viene ricoverata in ospodale militare è costituita dai giovani in servizio di leva, in quanto tutte le altre categorie, usufruendo delle prestazioni mutualistiche, sono propense a curarsi privatamente. I dati riguardano, pertanto, un universo che con notevole approssimazione può ritenersi costituito, come già si è detto, da soggetti appartenenti al.la classe di età compresa tra i 21 ed i 25 anni. I casi facenti parte di questa statistica sono quelli accertati negli ospedali militari attraverso il rilievo dell'andamento clinico. Pertanto tenendo presente la possibihtà che alcune manifestazioni esantematiche rubeolo - simili a decorso benigno possono essere sostenute da virus diversi da quello della Rosolia, come ha potuto dimostrare Banatvala utilizzando l'accertaTAB ELLA N. I.

MORBOSITÀ PER RosOLIA NELL'ESERCITO ITALIANO DAL 1952 AL 1973 (Casi per 100.000 della forza media) Anno

\lumero dei casi

Anno

Nu mero dei casi

1952 1953 1954 1955 1956 1957 1958 1959 196o 1961 1962

2,19 8,60 II,42 18,97 23,64 39,27 22,70 21,63 20,25 19,79 76,66

1963 1g64 1 96s 1966 1967 1968 19S9 1970 1971 1972 1973

9o,47 i34,96 90,41 79,33 48,47 67,99 245,IL 156,39 181,66 41,33 419,66 (primi sette mesi)


mento sierologico a conferma della presunta malattia clinica insorta in gestanti in periodo epidemico, è ipotizzabile, nei confronti dei ,dati che andremo ad esporre, un errore per eccesso. L'incidenza della Rosolia nell'Esercito italiano nei 22 anni considerati presenta una netta tendenza all'incremento: infatti dai 2 casi per 100.000 registrati nel 1952 si è passati a 39 nel 1957, a 134 nel 1964, a 245 n el 1969, a 420 nei primi sette m esi del corrente anno (tabella n. 1 ). Più in dettaglio (figura 1) è dato rilevare una prima ond ata che culmina nel 1957 ed alla quale segue una contrazione dei casi con minimo n el 1961;

400

350

300

250

À

200

no

/J ~ \\

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V T

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100

so

, lll2

---l---:::v &4

SG

v1 K._

~

u

50

""

82

Ì\/ &I

70

>2

1i74

Fig. 1. - T endenza generale della Rosolia nell'Esercito italiano (Casi per 100.000 della forza media. Per il 1973 sono riportati soltanto i casi verificatisi nei primi sette mesi).

da questo anno inizia poi una seconda ondata che r aggiunge il suo acme nel 1964 e ritorna a valori m inimi nel 1967. L'esame dei casi, successivamente a questo anno, indica la presenza di W1a terza manifestazion e di notevole recrudescenza che, prendendo avvio dal 1968, raggiunge il massimo nel.l'anno successivo con una inci<lenza di 245 casi ogni 100.000 soggetti, per poi ritornare sui valori minimi nel 1972. Infine nel corrente anno si è m anifestata una ulter iore fiammata che, limitatamente ai prim i sette mesi, ha raggiunto valori mai toccati nei precedenti anni e che si aggirano intorno a 420 casi per 100.000.


I NCIDENZA MENSILE DELLA

RosoLJ

(Casi per 1 00.0

G

Anno

F

M

A

M

--

-

i95.2

-

-

-

1,01

0,37

1

953

0,41

J,47

3,30

1,16

1954

-

-

.2,66

5,56

1,07

1955

0,38

o,8r

3,35

3,69

.2,72

1956

1,92

1,45

2,79

rn,37

5,43

1957

0,34

11,92

15,33

5,93

5,05

1958

0,70

r,o6

l,09

IT,42

5,63

1959

-

0,72

-

4,54

10,81

196o

0,34

0,72

7,85

4,06

3,78

r96r

-

0,71

.2,38

1,93

5,43

1962

2,66

8,98

23,62

22,50

13,95

1963

1,22

n,13

29,co

17,12

19,11

1964

1,43

24,28

41,66

27,06

20,00

1965

0,70

1,37

30,55

.21,5.2

21,ro

1966

3,22

n,36

16,74

23,79.

1 7,43

1967

.2,17

3,88

9,58

8,51

17,06

1968

r,32

3,86

16,22

16,56

15,89

1969

8,97

53,56

71,81

56,33

37,96

1970

o,66

o,64

7,08

24,51

60,62

1971

o,66

8,oo

39,oo

-

57,oo

1972

0,33

1,00

.2,33

6,33

20,66

1973

5,33

12,66

121,00

n 6,oo

120,30

Media

1,49

7, 1 9

20,25

17,82

21,00

I


TAB F,l,LA N. 2

NELL'ESERCITO ITALIANO DAL 1952 AL 1973

della forza media)

G

L

A

s

o

N

D

0,38

o,43

-

-

o,39

-

-

-

-

1,52

-

0,35

1,13

0,31

o,34

0,35

-

-

-

7,20

0,82

-

-

-

-

-

1,05

0,63

-

-

-

-

-

0,70

-

-

-

r,39

-

o,35

-

-

1,06

-

4,57

0,34

o,6s

-

-

-

3,5°

-

-

-

-

8,30

0,36

o,33

o,35

-

-

3,73

-

1,22

-

10,50

2,29

-

-

-

-

14,96

3,33

-

0,64

1,60

-

-

8,43

4,28

1,79

-

-

-

0,67

4,14

0,96

0,32

0,36

o,35

o,66

4,00

0,96

1 ,97

-

o,34

-

8,68

r,91

r,6o

0,67

-

0,65

0,63

9,77

2,84

0,64

0,33

o,6g

i:,26

o,95

43,II

12,25

3,68

1,66

o,33

1,85

-

i:3,00

3,33

o,66

o,66

-

o,66

4,66

3,66

0,33

0,33

I,00

0,33 -

o,66

30,66

13,66

-

-

-

-

-

8,4r

2,42

o,68

0,25

0,22

0,19

0,22

-

-


Queste rilevazioni, eccezion fatta per quanto constatato nel 1973, sembrano armonizzarsi, sia pure parzialmente, con la tesi secondo la quale la Rosolia tende a manifestarsi con ondate ricorrenti che si presenterebbero ogni 10 - 20 anni secondo Bassi, ogni 5 - 10 anni secondo Grilli, ogni 6 - 7 anni secondo Hilleman, ogni 2 - 4 anni secondo Martoni variando l'intervallo tra Paese e Paese in funzione della circolazione ambientale del virus.

,a

15

12

9

J

G

FMA

M

GLAS

O

ND

Fig. 2. - Andamento medio mensile della Rosolia nell'Esercito italiano dal l952 ai primi sette mesi del 1973. (Casi per 100.000 della forza media).

La bassa morbosità della Rosolia nei contingenti di leva alle armi, lo

0,4 % nel periodo .di più alta incidenza, conferma qunto rilevato in campioni di popolazione italiana col dosaggio <lel tasso di anticorpi em oagg-lutinoinibenti. Si è visto infatti dalle rice rche di Galli, Albanese, Fara, Rocchi, Muzzi, Trivello ed altri ancora che nell'8o - 90% dei giovani adulti sono reperibili anticorpi per la Rosolia.


Questa situazione è in gran parte sovrapponibile a quella di altri Paesi: così, ad esempio, uno studio epidemiologico effettuato sotto l'auspicio dell'Organizzazione Mondiale della Sanità nelle popolazioni dei Caraibi, dell'America Centrale e dell'America del Sud nel r968 ha evidenziato che la massima positività sierologica (80%) è stata rilevata nel gruppo di età 10-14 anni e che i tas-si rimanevano invariati o diminuivano lentamente nel gruppo di età s_uperiore. Le osservazioni condotte in quei Paesi hanno però messo anche in evidenza che il grado di immunità verso la Rosolia nelle popolazioni di certe isole è di grado modesto. Circa l'andamento stagionale (tabella n. 2), come ben si evidenzia dal grafico (figura n. 2) i mesi che registrano una più elevata morbosità sono febbraio, marw, aprile, maggio con code che interessano anche il mese di giugno. Le puntate pit1 elevate si sono avute, nella collettività in esame, nell'aprile 1969 con 56 casi per 100.000 e nel marzo, aprile e maggio del 1973, rispettivamente con 121, n6 e 120 casi ogni rno.ooo soggetti. Pertanto anche i nostri rilievi confermano, almeno per l'arco dei 22 anni esaminati, che la Rosolia è malattia che ricorre alla .fine dell'inverno e durante la primavera come generalmente accade per quelle affezioni contagiose che si diffondono prevalentemente a mezzo delle secrezioni delle vie aeree supenon. In sostanza questa affezione, considerando ,la brevità e la benignità del decorso, la rarità delle complicanze e la modesta incidenza tra i giovani alle armi, non costituisce per la collettività militare in es.a.me un problema di rilevante importanza. In considerazione, però, dell'incremento manifestatosi nello scorcio di tempo studiato, che va inoltre integrato dall'aliquota dei casi clinicamente inapparenti, rende auspicabile, in linea generale, un più approfondito studio dei ritmi epidemiologici nel nostro Paese.

RrAsSUNTO. - Gli AA. sulla l>ase di uno studio staosnco relativo alla morbosità della Rosolia nell"Eserciro Italiano per il periodo 1952- 1973 (primi sette mes.i ) concludono che l'incidenza di questa malattia, in detta collettività, mostra un notevole incremento. Confermano che sotto il profilo stagionale questa malattia tende a manifestarsi prevalentemente alla lìne dell'inverno e dura nte la primavera.

RÉsm1É. - Les AA., en se basane sur une érude statistique relative à la morbidité de la Rubéole dans l'Armée icalienoe pendant la p6riode 1952- 1973 (dans le premiers sept mois), concluent que l'incidence de cette maladie, dans la susdite collectivité, rnontre un développement rcmarquahle. fls confirme nc que, au point de vue saisonnière, cette maladie tache de se manifester surtout à la fin de l'hiver et en printcmps.

8. - M.


Su~MARY. - The Authors, through a statistic investigation on the Rubclla morbidness in rhe italian Arrny from 1952 to 1973 (the fìrst seven months), conclude that in these comunity the incidence of the disease is vcry increasing. Thc Authors also con!ìrrn that with regard to the seasonal aspect, the Rubella shows itself prevalenùy in thc end of winner ad in early spring.

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CLINICA ORTOPEDICA DELL' UN IVERSITÀ DI FIRENZE Direttore: Prof. o. S CAGLIETTl

L'OSTEOTOMIA DI MEDIALIZZAZIONE QUALE TRATTAMENTO DELLE PSEUDOARTROSI DEL COLLO DEL FEMORE Tcn. Col. Mcd. Dott. Corrado Chiarugi

L'alta percentuale di pseudoartrosi, nei casi di frattura del collo del femore, trattate incruentemonte o con osteosintesi con mezzi metallici, costringe ad interventi riparatori successivi, i cui risultati sono sovente insoddisfacenti per Ja persistenza della pseudoartrosi o per la comparsa della necrosi. cefalica o per i due fenomeni associati. La causa fondamentale di questi insuccessi è da imputarsi alla mancata ir,rorazione della testa per interruzione delle arterie cir.conflesse e del legamento rotondo, il che provoca sia la necrosi e la successiva disgregazione del frammento cefalico sotto carico, sia la assenza dei fenomeni riparatori da parte della testa, così che il caUo osseo si forma solo per le gittate ossee provenienti d al coHo femorale. La necrosi del frammento cefalico è primitiva se il danno arterioso fu causato direttamente dal trauma, secondaria -se lo fu in conseguenza d i irrazionali manovre riduttive (trazioni eccessive, manovre brusche, imperfetta riduzione) oppure di azione lesiva dei perforatori, o anche di errata infissione della protesi o di eccessiva penetrazione di questa fino nel cotile. La necrosi può inoltre essere causata da un forte dislocamento del frammento distale, da un eccessivo tempo intercorso tra il trauma e la riduzione, da carico precoce, da osteosin tesi in valgismo; fattori responsabili anche della pseudoartrosi. A secondo dell'estensione e della sede, si hanno delle ben delimitate necrosi parziali; le più frequenti sono: 1) la << superolaterale cefalica >> freq uente nelle fratture sottocapitate per interruzione del ramo terminale del!' a. circonflessa posteriore; 2) la cc perifocale » per lesione del legamento rotondo; 3) la << inferiore del collo >> per lesione dei rami collaterali dell'a. Circonflessa posteriore; 4) .la (( anterocentrale del collo » per in terruzione ,dell'a. del Nussbau.m (a. circonflessa anteriore).


Le più frequenti pseudoartrosi sono quelle da frattura mediocervicale, seguite dalle sottocapitate e pertrocanteriche. Nella formazione della pseudoartrosi concorrono gli stessi fattori respansabi li .della necrosi; ma, mentre per la necrosi la causa preponderante era il deficit vascolare, nella pseudoartrosi l'importanza della vascolarizzazione è posta sullo stesso piano dei fattori meccanici (Stringa, Gherlinzoni, Mandruzzato) o addirittura secondaria rispetto al momento meccanico, come ha dimostrato Fineschi basandosi su una abbondante casistica clinica i cui reperti radiografici evidenziavano che nella maggior parte dei casi (66,6%) la testa non presentava alcuna alterazione nevrotica parziale o totale pur essendo presente la pseudoartrosi, talché le cause andrebbero ricercate nella ma_ggior parte in errori di tecnica come: 1) trazioni eccessive e troppo prolungate; 2) tardiva ed imperfetta riduzione, eseguita con brusche manovre; 3) scorretta applicazione della protesi con scarsa immobilizzazione dei frammenti. Da quanto detto, se ne doduce che oltre alla consolidazione della frattura, l'intervento deve tendere a rivitalizzare la testa altrimenti il risultato a distanza non patrà essere che pessimo, infatti il carico prolungato porterebbe ad ulteriori frammentazioni della testa con wppia, dolori e limitazione funzionale. Bisogna però tener presente le condizioni generali dei pazienti, quasi sempre anziani e spesso defedati, per cui un intervento troppa stressante, che costringa ad una lunga degenza a letto, e per di più con apparecchio gessato, sarebbe molto difficilmente tollerato e porterebbe all'exitus del paziente in alta percentuale dei casi. Diciamo subito che, tranne la sostituzione della testa con protesi varie, tutti gli altri interventi richiedono degenza a letto e in gesso per :almeno 2 mesi; pur tuttavia, l'intervento più facilmente sopportato è l'osteotomia di medializzazione, in quanto scarsamente traumatizzante, eseguibile in tempo relativamente breve e non richiede prelievo d i trapianti che indebolirebbero ulteriormente le già scarse capacità reattive del soggetto. Come è noto, le prime osteotomie del femore furono eseguite da Haas, Auschotz e Ponwich e, dopo l'indicazione di Pauwels quale terapia causale delle pseudoartrosi, presero il nome di cc osteotomia sottotrocanterica alla Pauwels ». I principi del! 'osteotomia intertrocanterica sono stati ampiamente illustrati dai lavori di Camèra, Camitz, Mac Murray, Calandra, ma soprattutto da Putti. li fondamento rimane il concetto del già citato Pauwels di trasformare, mediante osteotomia, la frattura di collo femore ad una angolazione al d i sotto di 30°, in maniera che il carico si eserciti direttamente sulla pseudoartrosi e si basa sul concetto di Roux che « ogni pressione è produttrice di osso, ogni trazione è invece produttrice di tessuto fìhroso ». Questa pressione è costituita dalla risultante delle forze che agiscono sui frammenti, rappresentate dal carico, dall'incastro dei monconi di frattura e dal tono muscolare.


Diverse varianti sono state proposte aUa osteotomia inte rtrocanteriea da v.ari AA. al fine di eviLare la diastasi delle superfici pseudoartrosiche, come quella di fissare temporaneamente, mediante (ìlo <li Kirschner o con una vite il massiccio trocanterico alla epifisi prima della osteotomia (Gherlinzoni). L'omerizzaz.ione del femore mediante asportazione di u11 tratto cunei.forme di osso a base esterna a livello dell'osteotomia (Camèra) osteotomia eseguita a livello molto alto in modo da cruentare il polo inferiore della testa onde ottenere una più pronta coosolidazione (Dos Santos). Attualmente l'intervento eseguito con maggiore frequenza è la semplice medializza:òone, con appoggio della testa sul moncone diaJìsario, eseguita nelle sue varianti di osteotomia lineare trasversa o obliqua.

In questo lavoro, basandoci su una vasta casistica, ci proponiamo di stabilire quale tipo di osteotomia sia più indicato a secondo dei vari tipi di frattura e di chiarire i numerosi quesiti che -si possono porre nell'intraprendere la cura di una pseudoartrosi di collo femore. Detti quesiti possono essere così schematizzati: r) quale deve essere l'altezza esatta della osteotomia ; 2) è opportuno ridurre la testa atteggiata in varismo oppure conviene mantenerla nella posizione in cui si trova; 3) si può stabilire un unico tipo di osteotomia come ideale, oppure è preferibile eseguire, a secondo dei casi, 3 tipi diversi (lineare trasversa, obliqua, con asportazione di un cuneo a base esterna secondo Camèra); 4) contenzione in gesso con arto in abduzione o in asse; 5) opportunità di operare appena si osserva che la frattura tende alla pseudoartrosi, oppure attendere, qualora il paziente lo richieda, pur notandosi sofferenza vascolare della testa; 6) .l'osteotomia previene, arresta o fa regredire la necrosi della testa rivitalizzandola; 7) è opportuno fissare i monconi di osteotomia con chiodi vite o è sufficiente medializzare il moncone <listale affidandone la contenzione all'apparecchio gessato; 8) alla luce dei dati precedentemente esaminati, è. opportuno eseguire l'osteotomia, sempre che le condizioni generali lo permettano, ogni volta che ci si trovi di fronte ad una pseudoartrosi, oppure è preferibile eseguire qualche altro intervento a secondo dei casi.

Riportiamo brevemente la nostra casistica e via v1a commenteremo 1 dati riscontrati: Abbiamo esaminato ro5 casi di pseudoartrosi, scelti fra quelli operati di avvitamento o venuti a noi con pseudoartrosi per frattura non trattata in precedenza, di cui abbiamo controlli da 6 mesi ad 8 anni dopo ]'intervento.


necrosi parziale testa: Casi considerati : ro5

31

necrosi totale testa: 32 assenza di necrosi: 42

Casi con necrosi totale: 32

Insuccesso completo: 25 ( necrosi totale - persiste pseudoartrosi) Insu.ccesso parziale: 7 (necrosi rotale - consolidazione) consolidazione con regressione necrosi : 1 consolidazione con necrosi parziale: 1 r

Casi con ne.erosi parziale : 31

Casi senza necrosi : 42

pseudoartrosi con necrosi parziale: 16 pseudoartrosi con necrosi totale: 3 consolidazione senza necrosi: 30 consolidazione con necrosi secondaria:

2

pseudoartrosi senza necrosi: 7 pseudoartrosi con necrosi secondaria: 3

VALUT AZIONE TOTALE DEI RISULTATI totale Consolidazione con necrosi Consolidazione senza necrosi

Pseudoartrosi senza necrosi

5r consolidazioni

31 totale

P seudoartrosi con necrosi

7

parziale 13

28

parziale 19

54 pseudoartrosi

7

Successi completi: 31 Insuccessi completi : 54 Successi parziali: 20.

Di questi : 31 presen tavano una necrosi parziale della testa; 32 necrosi totale; in 42 non c'era necrosi. Consideriamo prima i casi con necrosi parziale : Di questi solo 1 è consolidato con regressione della necrosi, che peraltro era di miruma entità e localizzata al margi ne superiore della testa. u casi sono consolidati con persistenza della necrosi.


In r6 casi sono rimaste immutate sia la pseudoartrosi che la necrosi, in 3 casi .infine la pseudoartrosi non ha risentito beneficio dall'interv,ento, mentre la necrosi si è .accentuata iìno a divenire totale. Casi con necrosi totale della testa: Abbiamo riscontrato 25 insuccessi con persistenza de1la necrosi e della pseudoartrosi e 7 insuccessi parziali con necrosi totale ma con consolidazione della pseudoartrosi. Possiamo qui già trarre alcune conclusioni: r) ,la testa in necrosi parziale o 1totale non si rivitalizza dopo l'osteotomia;

2) più avanzata è la necrosi, più alto è il numero degli insuccessi e quindi meno indicata l'osteotomia come jntervento riparativo sempre che da questo ci si prefigga la consolidazione e la regressione della necrosi; se poi noi già in partenza ci contentiamo di un appoggio della testa che dia dolori più sopportabili e maggiore ,stabilità alla deambulazione, allora anche in questi casi l'intervento è accettabile. Nei casi che non presentavano necrosi, abbiamo avuto: 30 consolidazioru senza necrosi secondaria; 2 consolidazioni con necrosi secondaria; 7 pseudoartrosi senza necrosi; 3 pseudoartrosi con necrosi. Anche da questi dati si possono trarre utilissime conci usioni: 1) l'osteotomia in tali casi porta ad un elevato numero di guarigioni cl irriche senza postumi; 2) si conferma che la testa non si rivitalizza con l'osteotomia, né arresta i suoi processi necrobiotici, pertanto, se si consiglia di intervenire quanto prima possibile ,con l'osteotomia, la ragione va ricercata non tanto nel tentativo di rivitalizzare la testa, quanto nella necessità di lenire i dolori accusati dal paziente. Dobbiamo peraltro notare che l'andamento della necrosi è indipendente ,dalJ'.eprn::a della frattura, vi sono cioè teste femorali in cui si apprezza la necrosi già a 2 - 3 mesi dalla lesione e teste in cui la vitalità è conservata anche dopo la frattura dipendendo questi fenomeni solo dal circolo ematico residuo alla frattura. Vediamo ora quali sono state le cause di insuccesso quando i presupposti erano tali da far preve,dere jnvece la consolidazione completa della frattura. Da una attenta disamina della nostra casistica abbiamo osservato che le cause di insuccesso sono limitate a 3: 1) errori di tecnica; 2) spostamento in avanti della diafisi femorale; 3) diastasi della pseudoartrosi ed incuneamento del moncone distale.


2

53

Gli errori ,d i tecnica a loro volta sono di 3 tipi: 1 ° - Errore di livello : la linea di osteotomia deve essere effettuata a livello non fisso ma stabilito di volta in volta da quella linea orizzontale che passa per il margine inferiore della testa così che, una volta medializzato il moncone ,distale, questo o.ffra un appaggio alla testa; abbiamo infatti visto che in osteotomie effettuate a livello più basso, spesso la testa, con il carico, continua la ,sua progressione in varismo, fino ad andare ad appoggiarsi sul moncone distale medializzato, e solo allora inizia la consolidazione della pseudoartrosi.

Errore di medializzazione: in eccesso o in_ difetto: la medializzazione deve essere esattamente misurata cos.Ì che la rima di pseudoartrosi si incroci con il margine superiore del moncone distale medializzato e questi non vada ad urtare contro il margine inferiore del cotile per eccessiva medializzazione. 2° -

3° - Errore di tipo di osteotomia: abbiamo visto che non esi,ste un tipo di osteotomia migliore di un altro: osteotomia trasversa obliqua o cuneiforme trovano la loro esatta indicazione a seconda della posizione della testa e del ti po di frattura. A) Frattura medio o basicervicale con testa in varismo sconsigliamo la riduzione del varismo (o solo minima riduzione qualora il varismo sia eccessivo) in quanto la riduzione non è ,stabile per le aderenze formatesi talché sarebbero necessari estesi scollamenti con interruzione degli scarsi processi riparativi in atto e della vascolarizzazione stabilitasi. E' indicata l'osteotomia trasversa e dopo aver me<lializzato la diafìsi, lasciare l'arto in asse solidarizzando l'osteotomia con placche o chiodo vite (questo perché i pro~ cessi riparativi inizino subito, altrimenti, se panessimo l'arto in abduzione e facessimo la calloclasia dopo circa 45 giorni la spinta riparativa del1a superficie di osteotomia sarebbe limitata dallo strato fibroso formatosi, con m inore tendenza alla consolidazione fra diafìsi e testa. B) Frattura me<liocervicale o basicervicale con normale valgismo della testa: è preferibile una osteotomia obliqua dal basso in alto in direzione lateromediale, il cui margine mediale vada ad incontrarsi con il margine inferiore della linea di pseudoartrosi; medializzazione ed abduzione -dell'arto <li cir,ca 45° dopo aver varizzato lievemente il massiccio trocanterico e la testa con un chiodo vite posto in tensione. Dopo 2 mesi adduzione dell'arto evitando la calloclasia ma facendo ruotare la testa nel cotile forz.ando sul chiodo vi te verso il basso. ln guesti casi non è .indicata l'osteotomia trasversa perché, per poter offrire un buon sostegno alla te.sta, dovrebbe essere effettuata tropfo in alto, spaccando il collo; l'osteotomia obliqua invece ha il vantaggio di essere bas-


sa a sufficienza per non ledere il collo e il moncone distale, scivolando mediamente, offre l'appoggio necessario alla testa. C) Fratture sottocapi tate: dobbiamo tener presente che j d ue tipi di osteotomia precedentemente descritti, non sono adatti in quanto o si avrebbe uno scarso appoggio per insufficiente medializzazione, o si andrebbe ad urtare contro il margine inferiore del cotile. In tali casi è consigl iabile ricorrere alla osteotom ia cuneiforme secondo Camèra in modo che le linee di forza del carico si scarichino non più solo sul moncone distale del femore (che, come abbiamo visto, non dà appoggio sufficiente) ma anche sul massiccio trocan terico, portando ad im pattare la pseudoartrosi con conseguente sua consolidazione. Altra causa di insuccesso è lo spostamento in avanti del moncone distale; jnfatti questi, tirato dall'ileopsoas, tende a far rotare trasversalmente la testa e il massiccio trocanterico, ponendosi anteriormente ad essi. A ciò si può ovviare flettendo lievemente la coscia (Putti) e solidarizzando l'osteotomia con mezzi di sin tesi. Infine consideriamo la diastasi della pseudoartrosi ed incuneamento del moncone distale fra la rima di pseudoartrosi; è un incidente abbastanza frequente dovuto ai muscoli della coscia che tirano verso l'alto la diafisi femorale, o al carico precoce, specie q uando la pseudoartrosi sia piuttosto bassa. Anche a questo inconveniente si può ovviare solidarizzando la pseudoartrosi con mezzi di sintesi.

CO CLUSfONE

L'osteotomia ,di appoggio presenta una reale efficacia, con cs1t1 ottmu dal lato an atomo- fu nzionale nei casi di pseudoartrosi recenti e serrate, in presenza di resta femorale in buone condizioni di vitalità e valutando il tipo di osteotom ia caso per caso, solidarizzando i vari frammen ti fra di loro, non essendo sufficiente la sola contenzione in a pparecchio gessato. ei casi invece con necrosi iniziali o avanzate della testa, poiché abbiamo visto che la sola osteotom ia non interrompe l'evoluzione verso la necrosi e pertanto non dà alcuno stimolo rivitalizzante, l'osteotomia rappresenta solo un a soluzione di compromesso che se pure m igliora l'appoggio, non elimi na il dolore. Ciononostante r iteniam o che essa rappresenti attualmente l'intervento di elezione presentando indubbi vantaggi nei riguardi dell'artrodesi (che, a parte le difficoltà tecniche, dà scarse garanzie di consolidazione) o della resezione artroplastica o ,d ell 'endoprotesi, interventi notevolmente traumatizzan ti e dubbi nei loro risultati fun zionali a distanza di tem po.


R1,-ssUNTO. - Gli AA. dopo aver esaminato 105 casi di pseudoartrosi di collo femore trattate con osteotomia di medializzazione, considerano i risultati a distanza, ind icano le cause che possono poI'tare ad insuccessi e, dopo aver delineato i vari tipi di osteotomia da eseguire a secondo dei casi, concludono che dcrro intervento offre brillanti r isultati in alta percentuale dei casi; pertanto, data la sua facilità di esecuzione e le condizioni generali dei pazienti, lo considerano come l'intervento di elezione nelle pseudoartrosi di collo femore.

RÉsuMÉ. - Les auteurs après avoir examù1é 105 cases e pseudoarthrosis du col du femur traités avec ostheotomie de medializzation, observent les resultates à disrance de temp et !es motifs de insucces. Après avoir_ decrit les possibiles astheotorrues, ils adferment que cc intcrvent donne des bons resulrates et aussi que l'est très facile, c'est le ,inrervcnc electif pour Ics pseudoarthrosis du col du femur.

$UMMARY. - The AA. after having examined 105 cases of pseudoarthrosis of femur neck treated with osteotomy, consider thc resulrs from adistance, indicate the reasonso which may bring negative results and, after having specified the varous types of osteotomie to be practised depcndiClg on the case, they conclude thatthe siad treatmcnt brings exccllent results in a high percentage of cases; fi.nally, given the facility of operation and the gweral condition of tbc patients, rhey consider this finest operation for pseudoarthrosis of femur's neck.

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OSPEDAl~E MILITARE DI PERUGJ A Dircnore: Col. Med. Dott. P. P1RTS1NV

TACHICARDIA PAROSSISTICA : SINTOMATOLOGIA E TRATTAMENTO* Col. Med. Dott. Ettore Scano

La tachicardia parossistica è una affezione cardiaca caratterizzata da un improvviso aumento della frequenza cardiaca (dai IOO ai 200 e più battiti al minuto) determinato dal fatto <:he l'azione fisiologi.ca del nodo seno- atriale viene bru~camente sostituita da un focolaio ectopico situato negli atri, nel nodo atrio -ventricolare o nei ventricoli. Avremo così tachicardie parossistiche atriali, nodali e ventricolari. Questo gruppa di tachicardie si contrappone a quelle denominate semplicemente sinusali sia per la sintomatologia soggettiva che per il rilievo ecgrafico.

EZIO- PATOGENESI

Per quanto riguarda l'eziologia della tachicardia parossistica, si può ritenere che le cause sono simili a quelle delle forme extrasistoliche da contrazioni premature, in quanto il parossismo r appresen ta essenzialmente una serie ininterrotta di contrazioni premature atriali, ventricolari o della giunzione atrio - ventricolare. Pertanto numerosi sono i fattori che passono provocare una tachicardia parossistica: dalla arteriosclerosi del cuore all'infarto m iocardico e all'ischemia del miocardio; ,dall'ipertensione al reumatismo acuto o cronico, che abbia coinvolto l'organo cardiaco, a tutte le forme di scompenso di cuore; oppure soltanto l'affaticamento, la tensione emotiva, l'ipertiroidismo. Vi sono poi forme di tachicardia parossistica provocata da farmaci, quali la digitale e le sostanze apparentate, l'ipopotassiemia, la nicotina, il tabacco, il caffè, il calcio, il bario o associazioni medicamentose quali cloroformio - adrenalina e ciclopropano- adrenalina. Oppure a determinarla possono essere le stimolazioni meccaniche in corso di interventi chirurgici sul cuore. Mà non mancano casi nei quali non si riesce ad evidenziare nessuna alterazione cardiaca né d'altra indole. • Conferenza tenuta il 20 agosto 1973 presso l'Ospedale Militare di Perugia.


La tachicardia paross1st1ca di tipo atriale o nodale col pisce frequentemente persone ancora abbastanza giovani, indenni da qualsiasi malattia di cuore; però essa può trovarsi anche associata a cardiopatie su base organica oppure far parte della sindrome di Wolff-Parkinson - White.

SINTOMATOLOGIA E DIAGNOSI

Come s'è accennato, un attacco di tachicardia parossistica insorge di colpo: talvolta può essere preceduta e anticipata da poche contrazioni premature dello stesso tipo di quelle che caratterizzeranno l'attacco vero e proprio. Quasi sempre il paziente percepisce nettamente l'instaurarsi dell'episodio tachicardico, in quanto l'insorgenza di questo è accompagnata da sensazioni subbiettive, come di « qualcosa che si sposta nel petto », come un sobbalzo o la percezione di un battito insolito. In alcuni casi il parossismo non è accompagnato dalla comparsa di altri sintomi; più spesso, però, il paziente avverte una sensazione come di ondeggiamento nel torace, si sente debole e come se stesse per svenire; può avvertire nausea. Nei casi più gravi può verificarsi una caduta della pressione arteriosa e aversi mani:festazioni cliniche simili a quelle che si notano nello shock chirurgico secondario; talvolta può insorgere una condizione di insufficienza cardiaca, accompagnata oppur no dalla sintomatologia dello shock. Il pericolo di queste complicazioni è maggiore quanto più elevata è la frequenza delle contrazioni. cardiache; inoltre, a parità di frequenza cardiaca, alla tachicardia ventricolare si associa un r ischio di complicazioni più elevato che non in presenza delle tachicardie sopraventri.colari. Durante un attacco tachicardico alcuni pazienti. si lamentano d i un senso di molestia precordiale : talvolta viene accusato un vero dolore anginoide. All'ascoltazione si percepisce un r itmo cardiaco nettamente più frequente che di norma, ma regolare : questo reperto non consente, però, di differenziare fra i di versi ti pi di tachicardia, si nusale e paross,istica. Più impartan ti, invece, risultano i dati anamnestici personali ai fini di distinguere la tachicardia sinusale dalle tachicardie parossistiche. Le manovre dirette a interrompere l'attacco tachicardico sono certamente utili per la diagnosi, oltre che per il trattamento. Queste manovre sono principalmente le seguenti: a) espirazione forzata a glottide chiusa, cioè come nella manovra di Valsava; b) tentativo di ispirazione a glottide chiusa; e) sdraiarsi sollevando i piedi in aria; d) flettere fortemente il tronco;


e) provocare il vomito m0diante stimolazione meccanica oppure bevendo una soluzione calda di bicarbonato di sodio; f) esercitando una compressione dei globi oculari; g) .facendo pressione sul seno carotideo, da un sol lato oppure bilateralmente. Probabilm ente questa ultima manovra è la più semplice e la più efficace : con essa si riesce spesso ad arrestare una tachicardia parossistica atriale o nodale; l'una o l'altra, però, ricompaiono non appena cessa la compres-sione del seno carotideo; questa manovra non produce nessun effetto in caso di tachicardia di origine ventricolare. La stessa manovra è in grado di determinare un lieve rallentamento nelle forme di tachicardia sinusale, rallentamento che perdura soltanto fintantoché è effettivamente com presso il seno carotideo (per lo m eno nelle persone che non presentano un'ipersensibilità del seno stesso). Per il tempo in cui viene esercitata, la compressione del seno carotid eo riesce a rallentare anche la frequenza ventricolare in caso di flutter o di fibrillazione atriali, senza modificare, però, in m isura sensibile l'andamento in sé né del flutter né della fibrillazione. Il tracciato elettrocardiografico mostra una serie ininterrotta di battiti, individualmente sim ili a quelli che si riscontrano nelle extrasistoli da contrazion i premature a insorgenza rispettivamente atriale, nodale o ventricolare. In effetti la diagnosi del sito di ongme può essere effettuata accuratam ente solo ,dall'osservazione degli elettrocardiogrammi, determinando il rapporto temporale delle contrazioni abnormi o premature nei confronti del ritmo sul quale si trovano savrapposte, e identificando l'abnorme aspetto del complesso P - QRS - T in base alle sue peculiari caratteristiche, che si presentano differenti a secondo del diverso sito di origine - nodale, atri,ùe o ventricolare - dell'eccitazione cardiaca. TERAPIA

A parte la loro durata variabi le, gli accessi di tachicardia hanno abitualmente la tendenza a recidivare: perciò la terapia deve essere diretta da un lato a interrompere un episodio tachicardico in atto, ma d 'altro canto a fare in modo di prevenire il ripetersi di ulteriori attacchi. Per troncare un attacco di tachicardia il medico dispone di due tipi di interventi: l'impiego di farmaci e il ricorso alla stimolazione elettrica esterna. Conviene anzitutto tranquillizzare il paziente e somministrargli un sedativo (per es. fenobarhital, 30 - 60 m g per bocca o 100 m g sottocute). Si ricorre quindi alla compressione del seno carotideo o alle altre manovre suindicate per troncare il parossismo tachicardico, beninteso se questo è di origine


atriale o nodale: fare attenzione, in quanto la compressione del seno carotideo può provocare un blocco atrio - ventricolare completo o l'arresto del cuore, motivo per ctù va preceduta da un moderato massaggio, prima di esercitare la pressione sostenuta sul punto carotideo (queste precauzioni vanno messe in atto particolarmente nel caso di pazienti vecchi). Se le manovre non troncano l'attacco, si deve ricorrere alla terapia con farmaci. Ma, per poter attuare un trattamento razionale, sarebbe desiderabile aver già potuto individuare di che tipo di tachicardia si tratta, in base alla sua caratterizzazione elettrocardiografica, in quanto le risposte ai farmaci variano in modo notevolmente specifico.

TACHICARDIE SOPRAVENTRICOLARI

Come s'è detto, ne fanno parte le forme di origine nodale (o, meglio, della giunzione atrio - ventricolare) e le forme atriali. Dopo aver tentato le manovre, che proprio in queste forme sono indicate, si tenta di stimolare il vago mediante l'impiego di farmaci a energica azione parasimpatico - mimetica. Alcuni autori preferiscono iniziare con la somministrazione sottocutanea di I 5 - 20 mg di metacolina (le dosi magg;iori risultano necessarie soprattutto nei vecchi; si preferisce la metacolina all'acetilcolina, in quanto provvista di una meno fugace durata d'azione); invece della metacolina si può usare la neostigmina, a dosi di 0,5- 1,0 mg per iniezione sottocutanea o intramuscolare. Durante questa terapia, il paziente deve restare in posizione sdraiata, per il rischio di una sincope derivante dalla caduta ,della pressione artetiosa: inoltre deve tenersi disponibile una fiala da o,6- o,8 mg di atropina da poter iniettare prontamente per via intramuscolare o endovenosa, nel caso che s.i verifichi una intensa bradicardia sinusale o addirittura l'arresto cardiaco. In luogo di questi parasimpatico - mimetici classici, si preferisce da alcuni ricorrere alla somministrazione endovenosa rapi<la di una fiala (in genere da 15 - 20 mg) di ATP ( adenosintrifosfato), che quasi sistematicamente riesce a troncare come di colpo il parossismo tachicardico. Questo trattamento risulta anche particolarmente ben tollerato. In caso di insuccesso di tutti i tentativi finora indicati, bisogna provare l'effica.cia del solfato ,di chinidina. Si comin cia col somministrare per bocca una dose di assaggio di 0,2 g per verificare che il paziente non sia ipersensibile a questo farmaco. Se dopo 2 - 4 ore non si verifica nessun inconveniente (esantema, porpora, orticaria, tinnito, sordità, diarrea, caduta pressoria), si passa a somministrare una dose terapeutica di 0,4 g, seguita, a intervalli di 3 - 4 ore, da altre 3 o 4 dosi, ciascuna compresa fra 0,2 e 0,4 g. Con questo trattamento si riesce, spesso, ad arrestare i parossismi di tachicardia. Durante tutto il periodo della cur a con chini-d ina il paziente deve rimanere a letto; la pressione arteriosa va ricontrollata ogni ora, specie se si so-


spetta una form a di idiosincrasia o un'eccessiva posologia; bisognerebbe anche ripetere a brevi intervalli un tracciato elettrocardiografico, in quanto può svelare un blocco misconosciuto (sia seno - atriale oppure atrio - ventricolare o ventricolare) o delle contrazioni ventricolari premature. Se compaiono questi fenomeni oppure la pressione arteriosa si abbassa marcatamente, bisogna sospendere o diminuire la posologia della chinidina. N ella tachicardia parossistica di origine no<lale e più ancora atriale dei risultati notevoli si possono ottenere, anche in assenza di insufficienza o di altre lesioni cardiache, ricorrendo alla digitalizzazione parenterale rapida, utilizzando da 0,75 a 1,0 mg di digossina per somministrazione endovenosa lenta. Durante l'iniezion e è necess.ario ascoltare continuamente il cuore o, molto m eglio, registrarne in continuo il tracciato elettrocardiografico, al fine di scoprire immediatamen te eventuali contrazioni ventricolari premature, che segnalano l'esigenza di rallen tare la velocità dell 'iniezione. La digitalizzazione non sempre è in grado d i troncare un attacco di tachicardia parossistica; ma, anche così, può rendere efficace la compressione del seno carotideo, che prima era stata senza effetto; oppure, almeno, ha il vantaggio di frenare la conduzione nodale e di rallentare ia frequenza di contrazione ventricolare, il che assicura una migliore tolleranza funzionale del disturbo in attesa dello spantaneo esaurimento dell'attacco tachicardico di origine atriale. Sembra piuttosto improbabile che prolungando la digitalizzazione si ottenga con questo mezzo di evitare ulteriori parossismi recidivi di tachicardia atriale o nodale. Per contro, si dovrebbe ricorrere sistematicamente alla digitali.zzazione dell'ammalato per bloccare w1 accesso di tachicardia parossistica sopra -ventricolare ogni qualvolta si tratta di un paziente in preda a una condizione di scompenso o di insufficienza di cuore. Solo dopo aver constatato che con la digitalizzazione rapida di un paziente affetto da scompenso cardiaco non si è riusciti a troncare la tachicar dia, si può sperimentare la somministrazione del solfato di chinidin a, proce<len<lo oppur no a una terapia di mantenimento con la digitale. In base all'esperienza clinica acquisita, sembra lecito affermare che si è esagerato nel valutare i rischi connessi alla somministrazione simultanea della digitale e della chin.idina; probabilmente tali rischi aumentano soltanto se si fa uso dell'uno o dell'altro farmaco a dosaggi più elevati di quelli che abbiamo indicati in precedenza.

TACHICARDIE VENTRICOLARI

Un antiaritmico perfetto no n è stato ancora scoperto: tutti quelli ,di cui disponiamo attualmen te, parallelamente alla loro azione batmotropa, deprimono la conduzione e soprattutto la contrattilità miocardica. Questi effetti 9· - M.


secondari nocivi sono, in verità, più o m eno accentuati a secondo d ei diversi prodotti, ma nel complesso risultano proPorzionali al loro g rado di efficacia. I farmaci maggiormente usati per troncare una tachicardia parossistica ventricolare sono: la ajmalina, la lignocaina, i Potassio - ioni. Nel caso che si decida di ricorrere alla chinidina o alla procainamide, tener presente che da un canto per troncare un parossismo di tachicardia ventricolare può essere n ecessario impiegare dosi elevate e che dall'altro ciò può provocare l'arresto cardiaco o l'insorgere di fibrillazione ventricolare oppure tutte e due queste pericolose complicazioni. Se il paziente è in preda a insufficienza cardiaca e se non ha risposto favorevolmente alla chinidina e / o alla procainamide e neppure all'ossigenoterapia intensiva, alcuni hanno proPosto di ricorrere a una fleboclisi lenta di 500 - 1000 cm 3 di soluzione glucosata al 5° o in cui si trovino disciolti fino a 40 milliEquivalenti di potassio. Qualora sia imPoS· sibile servirsi della via orale per la somministrazione della chinidina o della procainamide oppure sia richiesto un effetto immediato o molto rapido, si può somministrare il solfato di chinidina, disciolto in glicolc propilenico per via intramuscolare : si inizia con una prima dose di 0,2 - 0,3 g, che è ripetuta ogni 3 - 5 ore. cl corso di tutto il trattamento è indispensabile controllare ripetutamente e a brevi intervalli, l'andamento della pressione arteriosa e del tracciato elettrocardiografico. I risultati che si ottengono con la procainami-de sono altrettanto soddisfacenti quanto quelli forni ti dalla chinidina. La dose media giornaliera complessiva, quando il farmaco è somministrato per os, è di 2 - 4 g, frazionati in 4- 6 somministrazioni a intervalli regolari. In caso di bisog no, può essere introdotta per via endovenosa, diluita in soluzione glucosata isotonica (0,5- 1,0 g di procainamide, da iniettare nello spazio di rn - 15 minuti). Anche durante questa terapia è indispensabile controllare l'insorgere di una subitanea ipoten sione arteriosa o la comparsa di un r itmo sopra - ventricolare.

DEFIBRILLAZ IONE ELETTRICA

Indubbiamente questo metodo presenta tre vantaggi rispetto ai trattamenti farmacologici: a) l'azione immediata, b) una elevata incidenza di efficacia e e) una innocuità completa, se viene correttamente impiegato. D 'a'tro canto, però esso necessita di una breve anestesia generale, il che genera sovente un certo ritardo per la sua esecuzione. In linea di massi ma, le sue indicazioni specifiche sono relative a due circostanze: 1) ogni qualvo.Jta no n appare chiara l'origine della tachicardia, per esempio quando si è in dubbio fra tachicardia ventricolare e una tachicardia sopra - ventricolare usuale, ma associata a un blocco di branca (preesistente o funzional e);


2) qualora si abbia a che fare con una tachicardia ventricolare, mal tollerata con segni di insufficienza cardiaca e/ o circolatoria, che i farmaci rischiano di peggiorare. Negli altri casi la preferenza è più opinabile: la tachicardia o la fibrillazione atriale rispondono egregiamente ai digitalici e solo nei casi di intolleranza per i digitalici stessi può giustificarsi il ricorso alla defibrillazione; le forme nodali cedono troppo spesso ai farmaci e d'altra parte reòdivano troppo frequentemente per consigli are un in tervento di defibrillazione, che andrebbe poi ripetuto più e più volte. In presenza di una tachicardia ventricolare, speòe se ben tollerata, la scelta non è univoca : come criterio generale, sembra lecito affidarsi a un tentativo <li normalizzare la tachicardia servendosi dei farmaci opportuni; ma se con questi non si ottiene prontamente un risultato soddisfacente, anziché insistere, dovrebbe essere preferibile ricorrere al metodo della defibrillazione.


ISTITUTO NAZIONALE D ELLA NUTRIZfONE

Direttore: Prof. G. FARRIANI CENTRO ST UDI E RICERCHE DE LLA SANITÀ M ILIT ARE

Direttore : Magg. Gen. Mcd. Don. C. Mc:s1Lu

STUDIO SULL'AZIONE TOSSICA DELLA DIMETIL - NITROSOAMINA RILIEVI EM ATOLOGJCI NEL RATTO IN CORSO DI INTOSSlCAZIONE ACUTA E SVBACUTA

A . Violante

G. Maffei

P. Bazzicalupo

V. D el Gobbo

In precedenti lavori ,è stato dimostrato che il sodio nitrito, somnumstrato per via parenterale a ratti e conigli, induceva in tali animali uno stato tossico subacuto che si manifestava con un quadro patologico complesso ( I - 2 - 3 - 4 - 5). Avendo avviato una ricerca analoga sulla dimetilnitrosamina (DMN A), i cui fini generali sono stati indicati in una nota precedente (6), abbiamo ritenuto opportuno riproporre per tale sostanza lo schema di studio già seguito per jl sodio nitrito. E' noto infatti che le nitrosamine possono derivare, in ambiente acido, dal nitrito <li sodio q uando questo venga in contatto con materiali contenenti amine secondarie. Poiché il quadro patologico indotto dalla intossicazione subacuta con sodio nitrito, com prendeva anche uno stato anemico, abbiamo voluto avviare una ricerca sistem atica sull'azione tossica della DMNA, iniziando con uno studio ematologico per sondarne l'eventuale azione anemizzante.

MATERIALJ E METODO

Per i rilievi ematologici i ratti erano anestetizzati leggermente con etere e, tramite il taglio dell'estremità della coda, veniva prelevato il sangue per un emocromo com pleto con formula e per la conta dei reticolociti. La conta dei globuli rossi e bianchi è stata eseguita con la camera di T homa- Zeiss e con l'autocitometro <li Fisher; l'emoglobina misurata con il meto<lo di Drabkin; gli strisci colorati con May Grunwald - Giemsa.


La conta dei rericolociti è stata fatta stratificando, su un vetrino pulito, una soluzione o,6% di alcool assoluto Brillant Cresyl Bleu e lasciando asciugare: una piccola goccia di sangue Posta su un vetrino coprioggetto veniva applicata sul Bleu Brillante; con tale metodo i reticolociti si colorano vitalmente in pochi secondi. Furono contati i reticolociti sul preparato su r.ooo eritrociti. Sono stati inoltre aJlesti ti strisci di midollo osseo, prelevato dal femore, e colorati con May Grunwald - Giemsa. Della milza sono state eseguite osservazioni istologiche su preparati colorati con Ematossilina - Eosina.

RISULTATI

A) ANIMALI TRATTATI CON SOMMINISTRAZIONE UNICA DELLA DL5o (29 mg/ kg). A ro ratti che avevano ricevuto la DL50 è stato prelevato con la tecnica descritta nel paragrafo dei materiali e metodi, 24 ore dopo l'iniezione della DMNA, il sangue per l'emocromo. I risultati sono esPosti nelle tabelle 111 e I V. Da notare che nei ratti i valori ematologici hanno una grandissima variabilità non solo tra ratto e ratto, ma nello stesso ratto in diversi momenti della giornata e in ,diverse condizioni sperimentali (A. Creacoff, T. Fitg H ugh, E. Y. Farris, 1967). Come si vede dai risultati riportati nella tabelle Ili e IV, i valori riguardanti la serie rossa non mostrano variazioni significative. A carico della serie bianca, si evidenzia un netto aumento dei leucociti, anche se i valori assoluti non oltrepassano i limiti superiori dei valori normali riportati in letteratura (A. CreacoH, T. Fitg H ugh, E. Y. Farris, 1967). E' invece, chiaramente alterata la formula leucocitaria per l'alta granulocitosi riscontrata. I ratti morti in seguito alla somministrazione della DLso hanno fornito il midollo osseo per lo studio ,di eventuali danni midollari. L'esame comparativo degli strisci di materiale midollare non ha mostrato variazioni rispetto ai controlli, sia della cellularità che dei rapporti eritro - leucopoietici. on si sono evidenziati segni di alterazione degli elementi reticolari midollari, né alterazioni dei megacariociti, nei loro vari stadi evolutivi. Per quanto riguar,d a le sezioni dei preparati splenici, anche in questo caso non si sono rilevate alterazioni strutnu-ali dell 'organo a livello dei seni, dell'interstizio, dei follicoli.


TABI.LI.A I

DATI EMOMETRICI

G.R milionii/ mmc Valori medi

c.

T.

G.B. migliaia/ mmc C. T.

8,4

8,6

9,4

Hb

Reric.

gr %

c.

T.

c.

T.

r6,5

15,1

15,1

3,8

3,9

C = controlli

T = Trattati

TABELLA TI

FORMULA LEUCOCITARIA

N%

Valori m edi

E%

B%

L%

M%

c.

T.

C.

T.

c.

T.

C.

T.

C.

T.

16,6

63,3

l,2

l,2

o,r

0,1

77

33,5

1 ,7

r,6

C = controlli

T = Trattati

B) ANIMALI TRATTATI CO

PIÙ SOMMINISTRAZIONE DI DOSI MINORI DI

DMNA

A INTERVALLI REGOLARI.

Dati i risultati ottenuti con la DL. c1 siamo posti il problema di studiare il comportamento della crasi ematica nel corso di intossicazione protratta (subacuta o cronica), somministrando in ratti la DMNA a dosi inferiori alla DLoPer questo lavoro ci siamo serviti di 3 gruppi di 5 ratti ciascuno a cui sono state somministrate rispettivamente dosi ,d i 1, 3, 5 mg/ km di p.c. di DM A, mediante iniezioni intraperitoneali, ad intervalli regolari per 8 settimane. Per poter ridurre il più possibile gli effetti dovuti alla elavata tossicità della sostanza, al primo gruppo venivano eseguite due iniezioni settimanali con Lm dosaggio finale di r6 mg/ kg di p.c., m entre al secondo e terzo gruppo una sola iniezione per settimana, con dosaggio finale di 24 e 40 mg/ kg di p.c. rispettivamente. L'emocromo completo di formula, era eseguito sui ratti sia prima del trattamento sia allo scadere della seconda, quinta e ottava settimana. I risultati sono riportati nelle tabelle III, IV, V, VI VII, VIII dalle quali può ricavarsi che almeno n elle condizioni del nostro esperimento, non si


sono verificate alterazioni apprezzabili o comunque significative nei valori ematologici. Questo risultato, del resto, è in accordo con quello ottenuto da Clapp, T yndal (8) e Otten (1971). Questi autori, infatti, sebbene abbiano trattato con due diverse sostanze, la dimetil nitrosamina (DMNA) e dietilnitrosamina (DE A), due ceppi djfferenti di topi, il Barb/C e l'RF, non hanno osservato alterazioni ematologiche significative. Nelle tabelle qui di seguito espaste sono r iportati i dati medi di ciascun gruppa di ratti non essendosi riscontrate differenze significative tra i ratti di ciascun gruppo. TABELLA III

GRUPPO I

G. R. milioni / mmc

Base

2° sett.

50 sett.

8° sett.

8,5

7,9

8,5

8

10,3 r5,2 3,8

13 14,8 4,2

12,2

13,4 14 4,r

G. B. migliaia/ mmc

Hb g~~ Retic. %

1 4-5

3,9

TABELLA IV

GRUPPO I

N % Base

2° sett. 5° sett. 8° sett.

E%

B%

L%

M%

78

3 2

19 22 26 20

75

73

I

80

TABELLA

GRUPPO II

Ba.se

2° sett.

5° sett.

8° sett.

milioni /mmc

9,2

8,7

9,4

9,0

G. B. migliaia/ mmc

n ,6 15 3,6

13 r4,7 4,0

IO

H bg% Retic. %

13 1 4,9 3,8

G. R.

r4,5 4,6

V


268 TABELLA

VT

GRUPPO II

N% Base

2° sett.

26 18

5° sett. 8° sett.

16 28

E%

B%

L%

M%

72 81 8r

l l

3

71

I

TASELLA

VII

GRUPPO III

Base

2° sett.

5° sett.

8° sett.

7,8

8,8

8,2

8,5

14,8

12,6

Hbg%

13 15,4

15,0

15,r

15,2 14,5

Retic. %

4,3

3,5

3,9

4,5

G. R. milioni / mmc

G. B. migliaia/ mmc

TAB ELLA V llI

GRUPPO

N% Base

2° sett. 5° sett. 8° sett.

17 23 20 28

E%

III

B%

l

2

L%

M%

8r

2

76

l

79 69

I

DISCUSSIONE E CONCLUSIONE

A livello degli organi emopoietici (m~dollo e milza), non abbiamo riscontrato alterazioni, non solo nella loro ardùtettura d'insieme ma anche a carico delle serie cellulari granulo - linfo ed eritroblastiche. A livello periferico i principali valori emometrici non hanno subito alterazioni se si esclude la netta reazione granulocitaria, che è presente solo nel trattamento acuto, e che sembra per questo avere carattere aspecifico.


Questo risultato è concorde con quello ottenuto da Clapp, Tyndall e Otten

(1971). In complesso le osservazioni sul sistema ematico indicano che le cellule che lo costituiscono non sono in grado di operare quelle trasformazioni che sono necessarie all'azione della DMNA. Dall'insieme ,dei <lati osservati si può formulare l'ipotesi che la morte dei ratti sia dovuta ad uno stato ipertossico acuto d erivante dal danno epatico e dal concomitante danno renale, e caratterizzato da un abbassamento acuto ,delle capacità difensive dell'organismo. La granulocitosi sarebbe interpretabile come risposta al danno tessutale epatico in larga parte di ti po necrotico come attestano opportune osservazioni istologiche da noi eseguite di cui sarà fatto riferimento in altro lavoro. Sotto tale pro.filo ci sembra opportuno ricordare le granulocitosi post infartuali e quelle presenti in tutti quei casi in cui vi sia una necrosi di tessuti.

R1AsSUNTO. - G li AA. espongono i risultati di una ricerca sui fondamentali parametri emometrici nel corso d i intossicazione subacuta dei ratti Wistar con DMNA, evidenziando una granulocitosi.

RÉsu MÉ. - Les AA. d emantrent une granulocyrose pendant l'intossication subaigue des rat Wistar avec DMNA.

SUMMARY. - The AA. refer the results of a research on subacute poisoning w ith D MNA on Wistar rats, showi ng granulocy,tosis.

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OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI ROMA « S. TEN. MED. FRIGGERI A'ITfLJO - M. O. AL V. M. •

Direttore: Col. Mcd. Prof. E. Fwuzzr

STUDIO DELLE FRAZIONI LIPOPROTEICHE DEL SIERO UMANO INIBENTI L'EMOAGGLUTINAZIONE DA VIRUS DELLA ROSOLIA S. T en. Farrn. Dott. Domenico PaJli

L 'oftalmologo australiano N. Gregg evidenziò per primo nel 1944 la relazione fra infezione materna da rosolia considerata .fino a quel momento una delle più benigne malattie esantematiche, e malformazioni congenite. Nella violenta epidemia di rosolia avvenuta negli Stati Uniti nel 1964 1965 si ebbero ben 20.000 bambini malformati e 30.000 morti fetali o decessi neonatali da madri che avevano contratto la rosolia nei primi 4 o 5 m esi di gravidanza. Statisticamente è dimostrato che il IO- 20% <li donne in età fertile non è protetta contro la rosolia e che fra queste, in periodi di epidemia il 4 % può essere contagiato. Il rischio di infezione fetale è massimo quando l'infezione materna sopravviene all'inizio della gravidanza, rischio che va diminuendo nel periodo successivo. Secondo studi più recenti si è dimostrato che il rischio per il feto non è limitato al. 1° trimestre di gravidanza ma che si estende anche al 2 ° trim estre. Come è stato già detto le conseguenze di una rosolia intrauterina possono evidenziarsi in malformazioni congenite, in aborto spontaneo per m orte fetale od anche nella nascita di un bambino normale, spesso però portatore di virus. Gli organi più colpiti sono l'occhio, l'orecchio, il cuore ed il cervello : tali malformazioni sono spesso associate, non si manifestano alla nascita, e testimoniano una embriopatia m alformativa, espressione diretta del potenziale teratogeno del virus della rosolia. 1 on si deve però dimenticare che il virus ,del la rosolia è ugualmente responsabile d i una fetopatia che infetta cronicamente i tessuti fetali con caratteristiche evolutive durante tutta la g ravidanza. Gli aspetti clinici della fetopatia da rosolia sono caratterizzati essenzialmente da: anemia, disturbi della osteogenesi delle ossa lunghe, lesioni cerebrali e meningee. Al1a nascita il bambino generalmente ha un peso ed una taglia inferiori alla norma e la sua crescita è rallentata. Il meccanismo perciò del potere taratogenetico del virus ,della rosolia non è ancora con osciuto; si tratterebbe comunque, con tutta probabilità, (li una inibizione della mitosi cellulare.


271

L'importanza del rischio delle malformazioni congenite è conferm ata dalla frequenza elevata di isolamento del virus della rosolia nel tessuto fetale esaminato dopo l'interruzion e della gravidanza. Per quanto concerne i caratteri più importanti di questa m alattia ricorderò che il virus della rosolia ha una forma sferica con dimensioni che oscillano tra 1200 - 2800 A. Se osservato al microscopio elettronico con colorazioni negative si evidenziano sopra alla particella virale delle sottili proiezioni spicolari di 100 - 200 A. L a forma può essere a m attone, sferica o irregolare. Il virus della rosolia è un virus ad RNA, infatti la moltiplicazione del virus non è inibita da 5 - iodio - 2 ,desossiuridina. E' sensibile all'etere, cloroformio, formaldeide, tripsina e desossicolato in quanto è provvisto ,d i un involucro lipidico. E' stabile per lungh i periodi a - 60°; se invece viene incubato a 37° in un ambiente di pH compreso tra 6,8 e 8,2 perde la sua infettività. Esso si coltiva in colture primarie continue e diploidi di cellule di scimmia, di coniglio ed umane. La molti pi icaz.ione vi raie può anche essere messa in evidenz.a m ediante lo stato di interferenza che il virus induce in colture di cellule renali di cercopiteco verso il virus enterico Echo II. L'iso1amento del virus della rosolia ha consentito peraltro di studiare più intimamente lo svolgimento delle infezioni della rosolia post- natale o acquisita e di quella prenatale o congenita. Nel corso dell'infezione rubeolica acquisita, una settimana dopo il contagio il soggetto recettivo comincia a presentare escrezioni virali dalle fauci, e viremia con contempor aneo -ingrossamento delle linfoghiandole; ciò ,d imostra ,che l'individuo infettato immette nell'ambiente il virus rubeolico circa una settiman a prima della comparsa dell'esantema, che in genere si m anifesta d ue settimane dopc il contagio, il quale a sua volta si estingue in tre giorni durante il quale cessa anche la viremia. In coincidenza dell'esantema si ha la form azione degli anticorpi emagglutino -inibenti (E.A.I.) e neutralizzanti (N.), mentre gli anticorpi fissanti il complemento (F.C.) cominciano a formarsi circa una settimana d?po. Tutti e tre i tipi di anticorpi raggiungono il livello più alto un mese nrca dopo il contagio, e due settim ane dopo la comparsa dell 'esantema; però mentre gli anticorpi F.C. tendono a scom parire in tre anni, gli an ticorpi E.A.I. ed N. persistono per decenni pur diminuendo gradatamente. Tra le reazioni comunemente usate per svelare la presenza di anticorpi antirosolia si possono ricordare : la reazione di neutralizzaz.ione, la reazione cl~ immunofluorescenza, la r,eazione di fissazione del com plemento, la reazione di inibizione di emoagglutinazione . . Per quanto rigu~da la reazione d i n eutralizzazion e gli anticorpi neutralizzanti possono essere svelati con varie tecniche quali ad esempio quelle ~ella ~iduzione delle placche su cellule RK - r3. Con questa tecnica il siero e. considerato positivo, se si osserva una rid uzione del numero <lelle placche d1 almeno il 50%.


Anche con la tecnica della immunofluorescenza indiretta si possono dosare gli anticorpi antirosolia. Si fa agire il siero umano su delle cellule infettate con virus della rosolja, m a non alterate, in modo da ottenere la fissazione dell'anticorpo. Questa fissazione si vede in seguito con un siero antiglobuline umane coni"ugato con una sostanza fluorescente. Anche questo m etodo che m ette in evidenza gli anticorpi neutralizzanti non presenta notevoli vantaggi di realizzazione pratica, rispetto al m etodo basato sull 'interferenza. All'inizio fu difficile trovare antigeni fissanti il complemento sia che il virus si coltivasse su cellule renali ,di cercopiteco, sia su cellule di amnios umane. Ora è noto che si deve adoperare un antigene solubile. D a cellule BHK - 21, infettate con il virus della rosolia è possibile ottenere nel liquido di coltura antigeru solubili fissanti il com plemento, a titolo elevato. Rispetto alle altre tecniche la reazione di fissazion e del complemento è di semplice esecuzione, e permette di non consumare quindi grandi q uantità di antigene, in quanto può essere allestita con il micrometodo di Takatsj - Sever. Tuttavia anche questa tecnica presenta inconvenienti. Infatti perm ette <li titolare anticorpi che si formano più lentamente, che raggiungono un titolo piuttosto basso ed inoltre scom paiono più precocemente rispetto agli altri. A causa della sua facilità di esecuzione la reazione di emagglutino- inibizione è senza dubbio la più usata come misura d ella immunità anti - rosolia. Benché vi siano differenze fra i risultati ottenuti nei vari laboratori, per guanto riguarda i totali riscontrati, spiegabili anche per le diverse modalità di tecniche di esecuzione della reazione, vi è un generale accordo nell'affermare che la reazione diventa invariabilmente positiva a seguito di una infezione rubeolica. E' da tener presente però, che nei sieri umani si ritrovano degli inibitori aspecifici di natura beta - Iipoproteica, i quali hanno un titolo inibente l'emoagglutinazione variabile da 1 / 4 a 1 /200. Di conseguenza è necessario rimuovere detti inibitori mediante una m etodica opportunamente scelta e che assicuri, da una parte l'allon tanamen to di questi inibitori e dall'altra, non abbia alcuna azione sulle immunoglobuline anticorpali. Inizi al mente fu usato ad opera di Stewart ed altri il trattamento con caolino, il quale rimuove gli inibitori aspecifici con un meccanismo di adsorbimento. In seguito è stato visto che il caolino non è un assorbente selettivo per determinare proteine sferiche in quanto allontana non soltanto le betaliproteine ma anche parte delle immuno - globuline. La quantità totale delle proteine adsorbite è in funzione d ella concentrazione di caolino aggiunta; se questa è troppo poca gl i inibitori aspecifici possono non essere completamente rimossi, se tale concentrazione è troppo alta possono essere rimosse anche le immunoglobuline. Metodi più specifici sono quelli tendenti a precipitare selettivamente le frazioni sieriche. Tali trattamenti si basano sulla proprietà dei polisaccaridi


2 73

solforati di formare con le beta- lipoproteine, dei complessi insolubili. La formazione di tali complessi dipende dalla natura del polisaccaride solforato, dal pH, dalla forza ionica del sistema, e dalla presenza di ioni metallici, specifici nel mezw di reazione. Sulla base di quanto è stato detto e visto sperimentalmente, è stato proposto il trattamento con Eparina - MnCL2 ; che consente di precipitare elettivamente le beta - lipoproteine a bassa densità. Tale tecnica messa a punto da Mann ed altri fu adoperata per gli inibitori beta - lipoproteici delle emoagglutinine del Reovirus. La stessa tecnica è stata usata da Feidman, Cooper ed altri per il virus ddla rosolia. Tuttavia è stato osservato da alcuni autori che tale trattamento non è sempre riproducibile in quanto la formazione di complessi insolubili Eparina- beta - lipoproteine in presenza di ioni Mh ++ è strettamente dipendente dalla forza ionica del mezzo di reazione. Talvolta si ha una incompleta precipitazione delle beta-lipoproteine a bassa densità: infatti si è visto che maggiore è la forza ionica, minore è la quantità di beta - lipoproteine precipitate. A conferma di tutto ciò, Burstein notò che la forza ionica del siero era troppo alta per questa reazione e suggcrl di diluire il siero con ugual volume ,d i acqua distillata per ottenere una completa precipitazione delle beta - lipoproteine. Recentemente Liebhaber ha sperimentato con successo, e lo ha quindi proposto, il .trattamento del siero con una soluzione al 5% di Destrano- solfato e di CaCL2 che agisce in un ambito di pH tra 5,5 e 7,5 ed in un ambito di forza ionica simile a quella del siero umano. La precipitazione delle beta - lipoproteine del siero a bassa densità con destrano - solfato ed in presenza di ioni Ca++ non presenterebbe gli inconven ienti delle metodiche sopra citate: a causa della sua specificità, e della sua riproducibilità dovrebbe permettere di ottenere dei risultati quantitativamente validi nella reazione di emoagglutino - inibizione per la titolazione degli anticorpi antiro,solia. d 1971 Stella A. Biano e collaboratori hanno messa a punto una tecnica rapida che consentirebbe di evitare la rimozione degli inibitori senza tuttavia modificare il titolo anticorpale. Il procedimento consiste nel prelevare poche gocce di sangue e di farlo adsorbire su dischetti di carta da filtro. Dopo l'essiccazione del sangue gli Autori, eluiscono il siero mediante l'uso di opportuni tamponi assolutamente privi di Calcio e Magnesio. A tale proposito Furukawa aveva già constatato che l'unione dell 'emoagglutinina della rosolia agi i inibitori era mediata <lai suddetti ioni. In particolare Ja Biano ha dimostrato che gli ioni calcio legano gli inibitori aspecifici del siero nella fase iniziale del test della inibizione dell'emoagglutinazione; la omissione del calcio nella fase critica dell'incubazione del virus con il siero previene l'azione degli inibitori aspecifici. In merito a questi vari metodi ,d i esecuzione della reazione emagglutino - inibizione ed in particolare <lei differenti pre - trattamenti del siero per


2

74

l'allontanam ento degli inibitori, penso sia opportuno esprimere alcune considerazioni. La prima è che il pre - trattamento con caolino non appare esente da critiche benché vari Autori lo abbiano usato in parallelo con altri metodi ottenendo risultati molto vicini. Ma è innegabile che il caolino può anche rimuovere parte delle immuno - globuline e quindi è preferibile usare i metodi che danno maggiore affidamento. In merito al m etodo che prevede il contatto fra virus e siero in assenza di Ca++ e Mg++ c'è da ammettere che indubbiamente la presenza di questi ioni è di estrema importanza per il legame fra emoagglutinina ed inibitore. Tuttavia in base a prove da m e condotte su un pool di siero umano privato delle IgG sono indotto a ritenere che anche in assenza di Ca++ e Mg++ gli inibitori riescono seppure in misura molto bassa a svolgere una certa atùvità inibente. Rimangono i ,due metodi basati rispettivamente sul pre - trattamento con Eparina - MnCL2 e con destrano - solfato - CaCL2 • Questi due metodi sono molto simili, seppure non identici. Secondo Liebhaber sarebbe da preferire il metodo con d estrano solfato - CaCL2 ma in effetti da un punto di vista pratico c'è da considerare entrar.J.bi questi due met-0di come accettabili, purché eseguiti molto correttamente. In effetti com e si è detto sono entrambi basati sulla p recipitazione di determinate classi di lipoproteine mediante la formazione di complessi con polisaccaridi solforati in presenza di particolari ioni. Ma a questo punto c'è da chiedersi quali sono queste lipoproteine precipitate? Si afferma in genere che si tratta di beta - lipoproteine sieriche a bassa densità. Tuttavia già sull a base di quanto osser vato ,d a Schmidt e coU. non a proposito della inibizione del virus della rosolia, ma di altri virus agglutinati, il trattamento con destra no - solfato - CaCL2 e con eparina - MnCL2 farebbe precipitare tutte le beta - lipoproteine ma anche parte delle alfa r. H o quindi pensato di eseguire una serie di esperimenti per m eglio chiarire la natura chimica delle lipoproteine d el siero umano responsabili dell'inibizione specifica nei confronti della emagglutioazione da virus della rosolia. MATERIALI E METODI

Siero umano. - E' stato usato un pool di sieri umani provenienti da alcune centinaia di persone di varie età e di ambo i sessi. P1-ecipitazione delle beta - lipoproteine da un pool di sieri con destrano - solfato. --,- A roo ml di siero umano venivano aggiunti 2ml di destrano solfato al ro% e rom! di CaCL 2 1M. La miscela veniva centrifugata per ro' a 5400 g. Il precipitato che conteneva il complesso beta - !ipoproteico destrano solfato, era sciolto con 10 ml di aCL al 5%. Si aggiungevano poi 90 ml di H 2 O distillata e r o ml di CaCL2 r M. Il miscuglio era ancora centrifu-


gato per IO' a 5400 g. Il precipitato era ridisciolto con 5 ml di sodio ossalato 0,1 M ; venivano poi aggiunti 2 gr di NaCL e 2,5 ml di solfato di protamina

al 2%. Dopo centrifugazione si ottenevano due frazioni quella precipitata che conteneva -il complesso protamina più destrano, e quella sopranatante che conteneva le beta - lipoproteine. Tale sopranatante era dializzato contro NaCL O,J5 m per 24 ore.

Ultracentrifugazione. - Le lipoproteine erano separate dal siero mediante ripetute ultracentrifogazioni aumentando progressivamente la densità finale del siero con una soluzione di sali quali NaCL e KBr. Si centrifugava il siero a 10.000 x g per 30 min per togliere i chilomicroni. L'ultracentrifuga usata era una Spinco modello L2/ 658 con motore SW50 L. Per la flottazione delle lipoproteine a bassa densità 10 - 400 sf., il siero era centrifugato alla densità .finale di 1,019 a 105.000 x g per 20 ore. Venivano prelevate le lipoproteine flottanti ed il restante siero era nuovamente centrifugato alla densità finale di r,063 sempre a 105.000 x g per 20 ore. Erano così separate le lipoproteine o - 10. Infine era eseguita una terza ultracentrifugazione a 105.000 x g per 24 ore alla densità finale di 1,21 per la flottazione delle lipaproteine ad alta densità. lmmunoelettro - foresi. - Appositi vetrini venivano ricoperti con uno strato della soluzione di agar - gel e poi lasciati per 60' in camera umida. Quindi si praticavano due fori nell'agar di ogni vetrino e si deponevano 5 µml di campione. I vetrini, posti nell'apposito portavetrini, venivano messi nella camera da elettroforesi contenente 750 ml di H igh Reso,lution Buffer, si stabilivano i contatti con un alimentatore di corrente modello Shander Vokam Sae 2761 facendo correre l'elettroforesi per 60' a 350 V. Trascorsa l'ora si praticava un solco centrale nell'agar e vi si deponevano 20 ;.1.m l di ancisiero. I vetrini erano lasciati così ad incubare per 16 - 20 ore in camera umida quindi si immergevano in una soluzione di NaCL al 9 % per un'ora e poi per 2 ore in H20 distillata. La colorazione era eseguita con amido Schwars, e la decolorazione con acido acetico al 5%. Reazioni di emagglutinazione ed emagglutino - inibizione. Virus. - E' stato usato come antigene emoagglutinante << Rubella H A antigen >> (FLOW Laboratories). La titolazione del virus veniva eseguita in micro piastre di plexigas con il metodo di T akatsj- Sever. Venivano effettuate diluizioni per raddoppio partendo sempre ,d a un a diluizione iniziale di r/ 4 e adoperando 4 unità emoagglutinanti. Emazie. - Venivano usate emazie di oca, prelevate dalla vena dell'ala Tali emazie venivano poi lavate per 3- 4 volte in tampone DGV (Destrose Gelatine - Veronal) sterile. Per la titolazione venivano diluite allo 0,16%.


Adsorbimento del siero umano sulle emazie. Prima di titolare le frazioni proteiche queste ultime venivano messe a contatto con emazie di oca alla concentrazione del 50% per eliminare le eventuali emoagglutine presenti verso le emazie. Queste titolazioni venivano eseguite a + 4°C con il micrometodo di Tak ats - Sever, allestendo una serie di diluizioni per raddoppio del materiale da esaminare jn tampone DGV. Per questa reazione di inibizione della emo~ agglutinazione erano impiegate 4 dosi emoagglutinanti di virus ,con un tem_po di contatto tra virus ed inibitore di 6o'. Il titolo dell'inibitore era espresso co~e il reciproco della massima diluizione capace di inibire l'emoagglutinaz1one. RISULTATI

Una prima indagine è stata condotta titolando l'attività emoagglutinoinibente nei confronti del virus della rosolia presente in una preparazione di beta -li_poproteine da me precipitate da un pool di sieri umani m ediante trattamento con dest1ano - solfato - CaCL2 descritto nella parte << Materiali e metodi >,. Queste beta - lipoproteine, alle quali è legata la inibizione di natura non anticorpale, hanno mostrato un titolo inibente d i I/ 254, assai più alto del titolo presente nel siero in toto che era di 1 / 32. Tale .risultato dimostra come con il m etodo adoperato per precipitare le beta-li_poproteine, si sia avuta una concentrazione degli inibitori. A questo punto mi è sembrato interessante sottoporre le beta - lipoproteine da me ottenute ad immunoelettroforesi per accertare la eventuale pre-

Fig. r.


2

77

senza di più frazioni lipoprotciche distinguibili a mezzo di queste tecniche. Infatti l'immunoelettroforesi ha rivelato la presenza di due archi di precipitazione ben distinti (fig. 1). Va in proposito sottolineato che l'eventuale presenza di alfa2- liPoproteine nel precipitato non può essere messo in evidenza con questa metodica perché le alfa-2 sono imrnunologicamente identiche alle beta - r - lipoproteine. Per ottenere ulteriori informazioni al riguardo ho eseguito degli esperimenti con successive ultracentrifugazioni per flottazione a differenti densità del siero, previo allontanamento dei chilomicroni. Con questa tecnica è stato possibile separare le varie classi di lipoproteine flottanti a varie densità e, cioè, rispettivamente, le lipoproteine sf. ro400 flottanti alla ,densità finale del siero di r,019, le .lipoproteine sf. 0-10 flottan ti .alla densità .finale di 1,063 e le lipoproteine ad alta densità separabili alla densità finale ,di 1,2r . Le determinazioni del potere inibente verso il virus della rosolia delle varie frazioni così isolate sono illustrate nella tabella n. 1. TABELLA N. I.

Titolo emagglutino - inibente uerso il virus della rosolia di lipoproteine del siero umano separate a mezzo di ultracentrifugazione per flottazione.

1) Chilomicroni

8

(flottanti a 9.300 x g. per 30 minuti) 2) LiPoproteine

sf. 10- 400 . (flottanti alla densità di 1,019 a 100.000 x g. per 20 ore)

3) Lipoproteine sf. o - 10 (flottanti alla densità di 1,068 a 100.000 x g. per 20 ore) 4) Lipoproteine ad alta densità . (flottanti alla densità di 1,21 a roo.ooo x g. per 20 ore)

= 8

Da questa risulta che il titolo maggiore è in effetti presente fra le beta li poproteine, ma che certamente vi è un lieve potere inibente anche fra i chilornicroni, fra le lipoproteine sf. 10 - 400 e fra le lipoproteine ad alta densità che flottano alla densità finale di 1,2r e che sono certamente delle alfa- 2 lipoproteine (come da accertamenti immunoelettroforesici). In conclusione l'attività emoagglutino - inibente verso il virus della rosolia non dovuta all'anticorpi specifici, ma ad inibitori non anticorpali, è legata, nel siero di san gue umano, alle lipoproteine ed in particolare non ad una sola classe fra esse, benché il titolo maggiore sia certamente da ascrivere alle beta- lipoproteine. to. - M.


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SCUOLA DI SANITA MILITARE Comandante: Magg. Gen. Med. M. CAPPJ:LLJ ISTITUTO DI CHIM1CA Direttore: Col. Chim. F'arm. Prof. A. ALESSANDRO

DETERMINAZIONE COMPLESSOMETRICA DI BIGUANIDI NEI PREPARATI FARMACEUTICI A. Alessandro

M. Picri

A. Liguori

La crescente incidenza del diabete mellito nelle società più evolute, ha Portato, come conseguenza, allo studio ed alla ·ricerca di compùsti chimici di sintesi ad effetto ipùglicemizzante, capaci di sostituirsi od affiancarsi alla ormai più che sperimentata opoterapia a base di insulina esogena. Le ricerche si sono orientate, prevalentemente, verso due gruppi di sostanze, sulfanil - uree e biguani-di, che ad una elevata attività antidiabetica associano la prerogativa di essere efficaci in seguito a somministrazione orale. Lo studio dei derivati guanidinici, iniziato .fin dal 1918 in seguito alle osservazioni di Wanatabe, ha permesso la sintesi di numerosi composti che si possono suddividere nei seguenti tre gruppi:

NH Guanidi

Diguanidi

Il

H 2 N - C - IH - R

NH

NH

Il

Il

H,N - C - NH - R - NH - C - NH,

H Biguanidi

Il

H

Il

H.N - C - NH - C - NH - R

L'azione antidiabetica delle sostanze appartenenti ai primi due gruppi

è risultata inferiore alla terapia. insulinica e talvolta anche discutibile dal punto di vista tossicologico. I derivati biguanidici, invece, hanno dimostrato una notevole efficacia terapeutica confortata, tra l'altro, dalla scarsa tossicità, come dimostrato dall'esperienza dell'impiego per tanti anni della Paludrina, anch'essa a struttura biguanidjca, come antimalarico.


280 Fra gli antidiabetici a struttura biguanidica, in questi ultimi anni, si sono maggiormente affermati la fenetil - biguanide (Fenformina) e la dimetil biguanide. Poiché l'indagine bibliografica ha dimostrato a h1tt'oggi una certa scarsità di notizie dal punto di vista analitico interessanti queste sostanze (r, 2), scopo del presente lavoro è stato quello di mettere a punto un metodo di dosaggio <li facile e rapida esecuzione sia sulla sostanza pura sia sulla stessa in combinazione con altri composti nelle varie forme farmaceutiche. Dato che, com'è noto, le biguanidi hanno tendenza a formare complessi con il rame (3) insolubili in acqua, ne abbiamo sperimentato la determinazione quantitativa mediante titolazioni complessometriche. Alla soluzione acquosa della sostanza si aggiungono alcuni ml di soluzione cupro - ammonica fino a formazione del complesso che si presenta come un precipitato ,di color rosa. Si filtra, poi, sotto vuoto con filtro a setto paroso, si lava con ammoniaca diluita e si ri,discioglie il precipitato con acido solforico r N. La soluzione così ottenuta si neutralizza con soda IN, si porta a pH = 5,6 con apposito tampone e si titola con E.D .T.A. 0,01 M. C;ome indicatori m etallo - cromici sono state provate varie sostanze, ma i risultati migliori sono stati ottenuti impiegando contem poraneamente piridil azo- naftolo (P.A.N.) e bleu di metilene (4). Per la determinazione complessometrica della fenetil - biguanide si può impiegare anche il reattivo di Fehling con il quale si ottiene ugualmente la formazione del complesso; in queste condizioni non si ha però alcun precipitato con la dimetil- biguanide. I risultati ottenuti sono soddisfacenti e nelle varie prove, sia sulla sostanza pura come anche sui prodotti farmaceutici con eccipienti ed altri prodotti attivi, si è osservato un errore del ± 2%.

PARTE SPERIMENTALE REA'I'rIVI.

1) Soluzione cupro - ammonica. Si sciolgono 5 g di solfato di rame in 100 ml di acqua distillata e si aggiunge ammoniaca al 10% fino a completa solubilizzazione del precipitato che inizialmente si forma (140 ml circa). 2) Ammoniaca diluita (0,5 %) .

.3) Acido solforico r r. 4) Sodio idrato r N. 5) TamPone a pH = 5,6. 48 ml di acido acetico 0,2 Me 452 ml di sodio acetato 0,2 M portati a rooo con acqua distillata. 6) Soluzione metanolica di piridil- azo - naftolo (P.A.N.) allo 0,1%. 7) Soluzione acquosa di bleu di metilene allo 0,05%. 8) Acido etilendiamminotetracetico (E.D.T.A.) o,or M.


281

Allo scopo di stabilire le condizioni migliori di lavoro, sono state eseguite diverse determinazioni, con la metodica in seguito descritta, sulla stessa quantità di sostanza in tempi diversi. Come si può notare dalla figura l'andamento della formazione del complesso varia nel tempo e par ticolarmente nei primi 30 minuti si notano le variazioni maggiori. Successivamente i valori tendono a stabilizzarsi, senza però assumere un andamento costante. ml

E, D,T .A 11

,. ,

10

I

8

.-·"'

,,. ,,.

-•-· -

,~--

.-•-·-•

30

60

I

9

--- --- - ------·· --•-•-·-•

,,. /

7 6

90

120

min.

++ dimetil-biguanide + Cu(NHj4++ fenetil•biguanide + Cu(NH3)4

fenetil-biguanide + Fehli~g

Nelle nostre esperimentazioni abbiamo patuto constatare che per avere risultati riproducibili occorre .filtrare subito dopo formatosi il precipitato (1 min. circa). R APPORTO RAME - SOSTANZA.

Da una soluzione acquosa di antidiabetico al 2 % si prelevano 0,5 - 1 2 - 3 - 4 - 5 ml corrispondenti a 10 - 20 - 40 - 60 - So - 100 mg, si aggiunge lentamente, sotto agitazione, la soluzione cupro - ammonica fino a che la soluzione soprastante il precipitato non abbia colorazione azzurra; si fìltra quindi sotto vuoto su filtro a setto poroso G 4. Il precipitato si lava con pochi ml di ammoniaca allo 0,5% e subito dopo si ridiscioglie con alcuni ml di acido solforico 1 lavando successivamente il filtro con acqua distillata. La soluzione ottenuta si neutralizza con sodio idrato I N fino a comparsa di una tenue colorazione azzurra.


T ABt.l.LA N. T,

Fencti l -b iguan i d.1:

- -

Sol. Fchling

Sol. Cuproammonica

mg

Dimc Li l -h , gua nid,·

-

-

--

Sol. Cuproammonica

'

'>OSI.

ml EDTA

mg Cu

M

fissati

0,01

I

ro

-

- - ,-

I

mg >OSI.

---·-

0,01

Jvl.

--

Il

2,2

r,397

0, 1397

4,3

2,630

o, 1315

I

ml EDTA

mg Cu

mg Cu fissati

--

mg Cu I

ml EDTA 0,01 M

mg ,o,t.

mg Cu fi,sati

mg~ 1

m~ sost.

--- - - - - - --·

--

-

r,9

r,206

0, 1206

1,9

1,206

0.1206

3,9

2,476

0,1238

3,7

2,249

0, 1224

7,8

4,953

0.1238

I

r,6

7,366

0, 1227

I

20

'

I

I

I

I

4o

8,5

0-1349

5,397

8,o

5,08o

0,1270

I

I

l1

6o

80

12,6

Il

I

16,9

I 100

21,0

I

8,001

o,r333

11,9

7,556

o, 1259

10,73 I

0,1341

15,8

ro,033

0, 1.254

1

5,7

9,969

o, 1246

13,398

0, 1339

19,8

12,573

0,1257

I9,5

12,382

0, 1238

Media =

(), 1229

I

I Media I

=

0, 1345

Media =

0,1247

tJ 00 N


Si aggiungono ora circa 50 ml di tampone a pH = 5,6, 3 gocce di P.A.N., 1 di bleu di metilene e si titola con E.D .T.A. o,or M fino a viraggio dall'azzurro al verde. Nella tabella n. 1 vengono riPortati i risultati ottenuti e<l i mg ,d i rame corrispondenti ad r mg di sostanza. DETERMINAZI ONE QUANTITATIVA.

Si scioglie la sostanza in acqua in modo ,da avere una soluzione intorno al 2%. Se si opera su preparati farmaceutici solidi, questi si polverizzano in mortaio, si solubilizzano con acqua distillata, si filtra lavando più volte e si pcrta a volume. Gli eccipien ti più comunemente impiegati (talco, stearato d i magnesio, amido, lattosio, polivinilpirrolidone, ecc.) come pure l'associazione con iPoglicemizzanti derivati dalle sulfanil - uree, non interferiscono nella determrnaz10ne. La precipitazione del complesso si effettua normalmente aggiungendo la soluzione cupro- ammonica e seguendo la tecnica precedentemente descritta. Per trovare la quantità di sostanza in esame (x) basta applicare la seguente form ula: X =

a . 0,635

b

dove : a = ml di E.D .T.A. o,or M impiegati nella titolazione: 0,635 = mg di rame per 1 ml di E.D .T.A. 0,01 M; b = mg di rame per I mg di sostanza ed assume i valori di 0,123 per la dimetil- biguanide, 0,134 per la fenetil- biguanide. Nella tabella n. 2 si riportano i risultati ottenuti su forme farmaceutiche (compresse) preparate in laboratorio. TABELLA N. 2.

I

Dimctil - biguanide

Fenetil - biguanide

m g SO.\t.

mg trovati

ctrore %

mg trovati

errore %

IO

9,7

20 30 40 50 60 80

19,4

2,8 1,5 o,6 r,7 2,4 -

9,7 19,6 4o,7

2,0 -

100

29,8 39,3 48,8

-

-

2,5 1,8

-

-

59,3 80,9 99,r

J, I

I,2

0,9


DETERMINAZ IONE

QUANTITATIVA

DELLA

FENETIL - BI GUANIDE

MEDI ANTE

LA

SOLUZIONE DI fEHT.ING.

Alla soluzione acquosa della sostan za si aggiunge, goccia a goccia, la soluzione di Fchling preparata nel noto rapporto F ehling A : Fehling B : H:O (1 : 1 : 8), fino alla comparsa della prima colorazione azzurra; successivamente si procede con la normale tecnica descritta, tenendo presente soltanto che in quest' ultimo caso il precipitato sul filtro va lavato solamente con acqua distillata. Per il calcolo si applica la formula: X

= a . 0,635 0,125

RIASSUNTO. G li AA. descrivono una determinazione quantìtariva dì alcuni antidiabctici biguanidinici mediante titolazione complcssometrica. Il metodo si basa sulla precipitazione delle sostanze con sali dì rame e successiva determinazione del rame fissato.

RfsuMÉ. - Lcs AA. d::scrivenc une déterminarion quantitative de quelques biguanides antidiabétiques au moycn dc titration complexometric. La méthode est fondéc sur la précìpitation dcs substanccs par de sels <le cuivre et successive détcrmination d u cuivrc fixé.

Su~1.,1ARV. - The AA. dcscribe a quantitative method for the determination of some antidiabetes biguanides by complexometric titration. T he method is bascd on substances precipitaùon by copper (II) salts followed by dctcrmination of fixed copper (Il).

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CATTEDRA DJ SEMEIOTlCA C[llRURGICA DELL'UNTVERSJTÀ DI ROMA Di ren ore: Prof. S. STIPA CENTRO TECNICO - CHIMICO - FISICO - BIOLOGICO DELL'ESERCITO Direuore: Magg. Gcn. Dott. F . A,W>Et

RICERCHE SU UN SISTEMA DI TRAPIANTI DI CUTE NEI TOPI: PRETRATTAMENTO DEI RICEVENTI CON ANTIGENI DEI DONATORI CHIMICAMENTE MODI F I CA T I R. Pompei

P. Trisolini

S. Boscarino

A. Cavallaro

Il pretrattamento di eventuali riceventi con antigeni dei donatori, in un sistem a di allotrapianti, può indurre sensibilizzazion e, con conseguente accelerato r igetto, o faci litazione, con aumento della sopravvivenza del trapianto (1, 4, 6, n). La ,diver sa risposta d ipende d alla form a con cui gli antigeni vengono presentati al ricevente, dalla loro quantità, dalla via di inoculazione, d al tem po di introduzione n ell'organismo (4). In genere, antigeni solubili, iniettati endovena 2 - 3 settimane prima del trapianto, tendono a indurre faci litazione (enbancem en t), mentre antigeni corpuscolari, sommin istrati per via sottocutan ea o in traperitoneale, tendono a sensibilizzare il r icevente e ad accelerare il rigetto del trapianto (6). Le globuline antilinfocitarie, che hanno dimostrato di possedere una efficace attività imm unosoppressiva, favoriscono notevolmente l'azione facilitante eventualmente legata ad un pretrattam ento con antigeni specifici del donatore, in quanto eliminano dalla circolazione i linfociti, soprattutto T - dipendenti, eventualmente sen sibilizzati (4). L 'azione facilitante cui sopra è accennato viene considerata specifica, in quanto solo antigeni -prelevati d al donatore d el trapianto sarebbero attivi; tuttavia, alcuni Autori (3, 5, 9, 10, r3) hanno notato che, in sistemi anche diversi ,d ai trapianti, antigeni ch imicamente alterati possono svolgere una azione tol lerogenica, talvolta an che superiore a quella di antigeni normali. ScoPo DEL LA RICERCA. N ella presente ricerca abbiamo voluto studi are l'azione che un pretrattam ento con antigeni specifici ,d d donatore, coniugati con un aptene


286 (DFD B = dinitrofluorodibenzene), ha sulla sopravvivenza del trapianto in un sistema di trapianti di cute tra topi inbred. ~ TERIALI E METODI.

Sono stati usati come riceventi topi BALB / C (H - 2d) e come donatori di cellule e di cute topi DBA / 2 (H - 2d). 60 topi BALB / C sono stati divisi in 6 gruppi, ciascuno di 10 animali: ogni animale ha ricevuto, nel giorno o, un trapianto di cute, prelevata a topi DBA/ 2. Gli animali dei 6 gruppi sono stati così trattati: I gruppo: pretrattamento con cellule linfoidi normali di topi DBA/ 2 nei giorni - 17, - 12, - 8 (20.000.000 di cellule intraperitoneo ad ogni somministrazione). II gruppo: pretrattamento con cellule linfoidi coniugate con DFDNB nei giorni - 17, - 12, - 8 (20.000.000 di cellule intraperitoneo ad ogni somministrazione); inoltre, 0,5 ml di ALG nei giorni - 1 e + 2. III gruppo: come il gruppo precedente, senza ALG. IV gruppo: come il gruppo I, inoltre ALG 0 ,5 ml nei giorni - I e + 2. V gruppo: ALG 0,5 ml nei giorni - I e + 2. VI gruppo: nessun trattamento. Preparazione delle ALG : le globuline antilinfocitarie sono state ottenute per precipitazione con solfato di ammonio da siero antilinfocitario di capra. Il siero è stato prodotto con una modificazione del metodo di Russel e Monaco (14). In breve, la capra ha ricevuto una prima iniezione di una sospensione di timociti e linfociti di linfonodi di topo, contenente 500.000.000 di cellule, emulsionata al 50% in adiuvante completo di Freund, sottocute, in diverse zone del corpo. Dopo 18 giorni è stata effettuata, per la stessa via, una somministrazione ,d i una emulsione contenente 2.500.000.000 di cellule; dopo ancora 7 giorni, una terza somministrazione di 3.000.000.000 di cellule. Il salasso è stato effettuato una settimana dopo l'ultima iniezione. Il siero ottenuto è stato decomplementato a 56° per 30'. Le gammaglobuline sono state precipitate con ammonio solfato 26% , risospese in acqua distillata e dializzate contro acqua distillata per 48 ore. Le ALG così ottenute avevano un titolo di agglutinazione di 1 : 64 e non sono state adsorbite con emazie di topo; i I titolo di linfocitoagglutinazione era ,di 1 : 128; il test delle agglutinazioni miste (8) ha dato un titolo di r :4.000. Il test in vivo, fatto mediante trapianti di cute, ha dato una sopravvivenza media di 19,5 giorni. Preparazione del1e cellule linfoidi: topi DBA/ 2 sono stati sacrificati mediante lussazione cervicale. Sono stati prelevati non sterilmente i linfonodi ascellari, inguinali, mesenterici, il timo e la milza. Le cellule sono state isolate mediante frammentazione dei tessuti e forzatura dei frammenti at-


traverso filtri di acciaio inossidabile. Le cellule così ottenute sono state lavate tre volte con soluzio ne fisiologica e quindi contate. Coniugazio ne dei linfociti con DFD B: è stato usato il metodo di Gozzo e co11. (7). 100 mg di DFDNB sono stati disciolti in r ml di m etanolo. Questa soluzione è stata aggiunta goccia a goccia ad una sospensione di cellule linfoidi in soluzione fisiologica, sotto continua agitazione, in ragione di 1 mg di DFD N13 per rn.000.000 di cellule. La reazione, alla luce e a temperatura ambiente, è stata protratta per 3 ore. L e cellule sono state quindi abbondantemente lavate con soluzione fisiologica e iniettate intraperitoneo, lil ragio ne di 20.000.000 di cellule/topo per ogni somministrazione. Trapianti di cute : è stato seguito il metodo di Billingham e Medawar (2). La cute è stata prelevata dal ventre e ,dal dorso di topi DBA / 2. I lembi di cute, di circa r cm 2 , sono stati privati del pannicolo adiposo e adagiati in un letto preparato sul dorso d ei riceventi, senza suture e non sterilmente. La fasciatura comisteva in una striscia di garza gessata. Le bende sono state tolte 7 giorni dopo il trapianto. RISULTATI.

I risultati sono elencati nella tavola I. Come si vede, le maggiori sopravvivenze si sono avute nei gruppi II e V. Tale differenza, rispetto agli altri gruppi, è altamente significativa. Meno significativa, invece, è la differenza tra i due suddetti gruppi (Tavola ll). T AVOLA

SOPRAVVIVENZA, IN GIORNI , DEL TRAPIANTO DI CUTE, NEGLI ANIMALI DEI VAlU GRUPT'I D I ESPE1UMENTO

Animale n.

Gruppo T

- --

--

Gruppo Il

Gru ppo m

Gruppo I V

Gruppo V

Gruppo VI

I

II

gg.

18 gg.

I O gg.

II

gg.

16

gg.

If

gg.

2

II

))

19

))

II

))

Il

))

18

))

II

))

3

n

))

21

))

II

))

I[

))

18

))

l l

)►

4

II

))

21

))

I[

))

I[

))

19 ))

[I

))

5

II

))

2I

))

IT

))

II

))

20

))

II

))

6

Il

))

21

))

II

))

Il

))

20

))

II

))

7

TT

))

26

))

12

))

ll

))

20

))

rr

))

8

II

))

27

))

))

ll

))

21

))

11

)>

9

12

))

31

))

19 19

))

II

))

21

))

12

))

10

t2

))

31

))

20

))

16

))

22

))

T2

))

-

x =

II ,2

23,6

1 3,5

lI,5

1 9,5

JI,2

Sn = ±

0,4

4,8

4,1

1,5

1,7

0,4

I


TAVOLA

Gruppo I

Gruppo Il

Gruppo Jll

Gruppo IV

Gruppo V

Gruppo VI

-

Gruppo I ·

-

p < 0,001

0, 10 < p < 0,05

0,60 < p < 0,50

p < 0,001

-

Gruppo li

p < o,oor

-

p < 0,001

p < 0,001

0,05 < p < 0,02

p< o,001

Gruppo lil

0,10 < p < 0,05

p < 0,001

-

0,20 < p < o,ro

p < o,oor

o,ro < p < 0,05

Gruppo IV

0,60 < p < 0,50

p < 0,00 1

o,20< p<o, 10

-

p < 0,001

0,60 < p < 0,50

Gruppo V

p < 0,001

0,05 < p < 0,02

p < 0,001

p <0,001

-

p <0,00 1

Gruppo V I

-

p<o,001

o, IO < p < 0,05

0,60 < p < 0,50

p < 0,001

-

II

N 00 00


CONCLUSIONI.

Dai risultati di questo esperimento, che deve essere considerato come preliminare a<l una ulteriore serie di ricerche, si possono trarre le seguenti conclusioni: 1) il pretrattamcnto dei .riceventi con forti dosi di antigeni del donatore, intraperitoneo, sotto forma di cellule linfoidi intatte, non ha modificato il decorso del processo dì rigetto (Gruppo I); 2) la somministrazione di ALG ad animali così trattati (Gruppo IV) non è in grado di aumentare sensibilmente la sopravvivenza dei trapianti al di là di quella dei controlli, probabilmente per la notevole quantità di anticorpi citotossici circolanti, su cui le ALG non hanno alcun effetto; 3) il pretrattamento con antigeni linfocitari coniugati con DFDNB (Gruppo III) ha portato ad un leggero aumento della sopravvivenza dei trapianti. Tuttavia, tre animali di questo gruppo hanno portato il trapianto per un tempo considerevolmente superiore a quello medio, il che può far pensare alla presenza in circolo di anticorpi facilitanti; 4) la somministrazione dì ALG ad animali così trattati (Gruppo Il) accentua notevolmente la sopravvivenza del trapianto. Per quanto la differenza, rispetto al trattamento con sole ALG (Gruppo V) non sia altamente significativa, si può ragionevolmente ritenere che la produzione di anticorpi facilitanti, in seguito al pretrattamento con antigeni modificati, abbia un certo peso. In base a ciò, ci sentiamo autorizzati a continuare la sperimentazione, provando diversi ,dosaggi, e soprattutto cambiando il rapporto quantitativo tra antigene ed aptene.

R1AssvNrn. - Gli Autori hanno srudiaro, in una serie preliminare di esperimenri rn un sistema di trapianti di cute in topi, l'enhancement prodotto dal pretrattamento con anrigeni dei donatori chimicamente modificati con DFDNB. I risultati hanno dimostrato un certo effetto facilitante, modicamenLe significativo, che autorizza la prosecuzione delle ricerche.

RÉsuMÉ. Les Auteurs ont étudié, dans une serie préliminaire d'expériences dans un systèmc de greffes <le peau sur cles souris, I'en.haucemc.nt produit par le prétraitement avec des antigènes des donneurs chimiqucment modifiés avec du DFD B. Les résulrats ont démontré w1 cenain eHct qui rend facile la survie de la greffe, modiquement significatif, qui autorise la continuation dcs rcchcrches.

SUMMARY. The Authors scud icd, in a preliminary series of exper,iments in a system of skin - grafting in mice, the cnhancement produced by the pre- lreatment with antigens of the donors chcmically modified with DFDNB. The results showed a ccrtain facilitating effect, moderatcly significane, which aurhorizes to procecd with the researches.


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CLINICA ORTOPEDICA za DELL' UNJVERSITA DI MILANO Direttore: Prof. V. P 1ETROC RAND E OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE DI MILANO Direttore: Col. Mcd . Prof. E. MELORIO REPARTO DI TRA UMATOLOGI/\ Capo Repano : Tcn.Col. Med. Dott. G. Cucc1N1ELLO

CISTI MENISCALE DEL GINOCCHIO T en.Col. Med. Dott. Guido Cucciniello

S.Ten. Med. Dott. Franco Montrone

E' giunto recentemente alla nostra osservazione un geniere di anni venti, incorporato da sette mesi, lamentando gonalgia destra e ripetuti episodi di blocco articolare da circa cinque mesi. Il dolore era persistente ed esacerbato dall'attività fisica. U paziente non ricordava precedenti traumatici significativi e riferiva la comparsa ,d i una tumefazione, in corrispondenza del condilo tibial e laterale, che era andata aumentando di volume, fino ad assumere le dimensioni di una susina. All'esame obiettivo si evidenziava una tumefazione rotondeggiante, del diametro di circa quattro centimetri, a livello dell'emirima articolare laterale del ginocchio destro (fig. 1). La formazione appariva di consistenza molle - elastica, a superficie liscia, mobile al di sotto del piano cutaneo ed adesa ai piani profondi. La palpazione risvegliava un discreto dolore; dolente risultava anche la flesso - estensione della gamba su1la coscia, pur essendo mantenuta fino agli ultimi gradi. Nulla di obiettivabile a carico delle strutture legamentose periarticolari, non segni di versamento intra - articolare. L'indagine radiologica non evidenziava alcuna anomalia delle strutture osteoarticolari del ginocchio. Posta diagnosi di cisti meniscale laterale del ginocchio destro, il paziente veniva sottoposto ad intervento chirurgico : seguendo la via pararotulea esterna, con incisione ob.liqua, si evidenziava la capsula articolare che, sezionata, lasciava apprezzare una tumefazione cistica delle dimensioni di una susina, di consisténza elastica e con superficie lievemente bernoccoluta, collegata con un peduncolo al corno anteriore del menisco laterale. Si isolava la formazione cistica, che si asportava insieme con il menisco laterale (fig. 2). La formazione cistica appar iva suddivisa da sepimenti in numerose cavità, contenenti un liquido citrino e fi lante. L 'esame istologico confermava la presenza di cavità tappezzate da tessuto connettivale r.icco di fibrociti, addensati e pluristratificati in modo tale da ricor,dare un tessuto epiteliale. Intorno a questo strato fìbrocell ulare si evi-


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Fig. I. - Cisti meniscale laterale del ginocchio destro in un soldato di venti anni. La tumefazione era comparsa da cinque mesi, senza che il paziente ricordasse dei chiari precedenti traumatici.

Fig. 2. - Cisti sinoviale laterale del ginocchio, asportata insieme con il menisco laterale e sezionata. La cisti appare collegata con un peduncolo al menisco laterale e formata da numerose cavità, suddivise da sepimenti.


denziava una ganga connettivale ricca cli infiltrati parviccllulari, a disposizione prevalentemente perivascolare (fig. 3). Le cisti meniscali del ginocchio sono espressione di fenomeni degenerativi della cartilagine semilunare, la cui interpretazione patogenetica è tutt'ora oscura, malgrado gli studi condotti da numerosi autori fin dall'inizio del secolo. Il primo caso descritto nella letteratura risale al 1904 (Von Ebner); in Italia la prima pubblicazione sull'argomento è del 1927 (Serafini). Da allora sono stati pubblicati circa un centinaio di lavori sull'argomento; ricordiamo, tra i più significativi, una revisione mondiale della letteratura di Russe! (1931) e di Poglayen (1950), i lavori di De Palma (1954), di Repaci (1958), Kleinberg e Zadek (r927), Dell'Orto e Allegreni (1966) e di Sangiorgi (1970). La cisti meniscale è meno rara di quanto comunemente si pensi; la frequenza, in rapporto a tutte le lesioni meniscali che portano ad una meniscectomia, varia dal 7% della casistica di Allegreni- Dell'Orto al 23,5 % della casistica di Smillie (su ben r500 meniscectomie). Il sesso maschile è concordemente più colpito cli quello femminile, anche se non così chiaramente come nei casi di lesioni meniscali traumatiche. La cisti meniscale colpisce infatti i maschi nel 60-70% dei casi (Wolf; Poglaycn; Benoit). L'età di maggiore incidenza è compresa tra i 15 ed i 40 an11i (Repaci; Poglayen). Non è chiara una prevalenza del ginocchio destro sul sinistro, mentre q uasi tutti gli autori sono concordi nel rilevare una netta prevalenza della lesione a carico del menisco laterale (Redini 90%; Wolf 85% ; Allegreni 87%). La spiegazione di ciò è da ricercare, secondo Dieterich, nel fatto che il menisco laterale è più mobile, essendo provvisto di una sola inserzione centrale, e q tùndi meno esposto a traumi diretti. Secondo Colonna il menisco laterale è più esposto ai traumi da schiacciamento ( che sarebbero determinanti nella patogenesi della cisti), essendo protetto dai traumi da strappamento dalle efficaci connessioni con il muscolo popliteo. De Palm a, infine, pone l'accento sul maggiore spessore della zona periferica convessa del menisco laterale, rispetto al mediale. oi concordiamo con q uegli autori che ritengono che la maggiore mobilità, le connessioni con il m uscolo popliteo ed il maggiore spessore del corpo evitan o la frattura del menisco laterale, rendendolo più soggetto a ripetuti piccoli traumi ed alle sollecitazioni del carico. L'importanza dell'azione traumatica nella genesi della cisti meniscale è stata in passato, ed è tutt'ora, molto discussa. Secon do alcuni autori il trauma agirebbe come fattore predisponente su una zona in preda a fenomeni m icrocistici che, sotto la sollecitazione meccanica, tenderebbero a confluire, dando luogo alla cisti clinicamente visibile (Delitala; Costanzi). Lo stesso Delitala ha riscontrato dei chiari precedenti traumatici nell'an amnesi del 50°/,, dei pazienti affetti da cisti meniscale; questo

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Fig. 3. - All 'esam e istologico la cisti sinovia le appare formata da cavità tappezzate da tessuto connenivale, ricco di fibrociti pluristratificati e di infiltrali parviccilulari a disposizione perivascolarc.


dato contrasta con l'opinione della maggior parte degli autori, che riferiscono una notevole difficoltà nell'evidenziare un chiaro e singolo episodio traumatico, mentre più frequente è la presenza di ripetuti microtraumi a carattere professionale (contadini, meccanici, autisti, ecc.). Allison afferma che la cisti origina da ematomi formatisi nella fibrocartilagine meniscale, in seguito a ripetute azioni traumatiche. Altre teorie pongono l'accento su una anomalia di sviluppo embrionale; la cisti originerebbe da elementi cellulari embrionali rimasti inclusi all'interno del menisco, durante il suo normale sviluppo (Zadek; Jaffa). Esiste infine la teoria di Kleinberg, secondo la quale la cisti sinoviale deriverebbe dalla anomala dilatazione degli spazi linfatici meoiscali. In ogni caso anche le teorie degenerative riconoscono l'importanza dei rnicrotraumatismi continui, come fattore favorente di fondamentale importanza. on bisogna infine dimenticare, a nostro avviso, che le lesioni degenerative, riscontrate all'esam e istologico, potrebbero essere conseguenza e non causa delle cisti meniscali. Per quanto riguarda la terapia il provvedimento d'elezione resta la meniscectomia totale, che dà risultati buoni nella maggioranza dei casi (80° u nella casistica di Allegreni e Dell 'Orto; 70°,, in quella di Repaci; 75~0 in quella di Smillie). Da scartare la meniscectomia parziale, a causa dell'elevato numero di recidive. Del tutto inadeguata la terapia fisica, la roentgen terapia e la immobilizzazione con apparecchio gessato.

RrA,SUKTO. G li AA. descrivono un caso di cisti meniscalc laterale del ginocchio e ne mo~trano le caratteristiche cliuiche, anatomiche ed istologiche. Viene quindi discusso il problema delle cisti meniscaJi, attraverso una revisione della lerceratura, con particolare riguardo agli aspetti anatomici cd ezioparogcnetici.

J{F.suMÉ. - L'A. déscrit un cas du cyst d u menisque externe du genou; !es dates anatomiques, cliniques et histologiques sont montrés. En suite le sujet des cystes du menisque du genou, clans ses aspects anatomiques et eziopatogcnctiques, est spécialmcnt traité.

SuMMARY. - Thc AA. dcscribe a case of cyst of t he lacerai scmilunar cartilagc of the knee, and shown che clinica! and anatomica! characceristics of chis cyst. Here is discussed che ge nerai problem of che mcniscal cysts and there is particular attention givcn to che anatomica! and ethiopatogenical aspccts. li . .

yf.


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SOMMARI DI RIVISTE MEDICO - MILITARI

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ITALIA

ANNALI D r MEDICINA NAVALE (A. LXX:VlU, n. lV, ottobre - dicembre r973): Moretti G., Fontanesi S., Ghittoni L.: La malattia da decompressione: analisi di una serie di~ casi trattati nell'ambito dc!Ia Marina Militare nel triennio 1969-71; Bogetti B., Dolci M.: Le malattie della gente di mare : le gastroduodenopatie; Buono S.: Relazione sulle cause di inabilità degli aspiranti volontari alla visita medica collegiale a Taranto; Scarpante L. : L 'uomo nel contesto ecologico de 1la Laguna Veneta; Ricci G. C.: Ph ysiopatho!ogie des atteintes pulmonaircs en cas d'accidents dans l'cau et leurs implications therapeutiq ues (problemes du traitemcnt d 'urgcnce concernant certains accidcnts aquatiques); Russo D.: Considerazioni clinico - radiologiche su un caso di colccistosi; Paolella G. : Natura, impiego, note cliniche ed osservazioni personali circa un modernissimo


narcotico, il Ketalar; Renda C.: Contributo alle teorie su!Ja patogenesi dei tumori maligni dell'uomo; Pezzi G.: L'arte farmaceutica sulle navi in Adriatico dagli inizi al sec. XVIJT.

ARGENTfNA REVTSTA DE LA SANIDAD ARGENTINA (A. LXXII, n. 2, maggio-agosto 1973): Abuin J. C.: La sindrome ossea del mieloma; Actis A. S.: Complemento serico nei soldati immunizzati con vaccino TABDT; Rivarola C. H., Lchner L. A., Lazaro A., Lamoratta H.: Rottura spontanea dell'esofago; Andrade f. H., Centofanti M. H., Borg helli R. F.: Studio epidemiologico della carie dentaria, della malattia pcriodontale e dello stato di igiene boccale nella provincia argentina di Jujuy; Sanzolo R. N., Roye H. E.: Sindrome di Wiskott -Aldrich; Tonado O. A., Actis A. S.: Studio comparativo dei metodi di produzione dell'emolisina dal montone; Santoro F. A., De Marco J. M., Sendra A.: Sindrome di Klinefeltcr.

CECOSLOVACCHIA VOJENSKÉ ZDRAVOTNICKÉ LISTY (voi. XLIII, n. r, 1974).: Zeleny M., Navratilova A.: Sul prob1ema della sordità intraauricolare nell'Esercito; Valvoda M., Holub M.: 11 significato dell'audiometria obiettiva per l'esame dell'udito nell'Esercito; Fleischmann M., Polak M.: Sul problema del trattamento delle fratture dell'acetabolo; Dolezal V.: Un contributo al problema dell'immersione p rofonda; Seman R., Miklasova /. : Effetto dell'ossigeno iperbarico nel trattamento del flemmone gassoso in un esperimento su topolini bianchi; Skalicky / .: Evoluzione di alcuni indicatori biochimici, ematologici ed immunologici di idoneità negli allievi delle scuole militari da 15 a r8 anni di età; Danek K., Palan f.: Idoneità fisica cd adattabilità cardiorespiratoria dei membri della polizia; H erch/ M., Svitel f. : Contaminazione di vegetali con stronzio 90; felinek M.: Valutazione clinica di una siringa tipo <e Schnellspritze QD » per uso individuale.

EGITTO ARMED FORCES MEDICAL JOURNAL (voi. XVI, n. r, febbraio r974): Saad El - Din Omar, Maged Barsoum, Nabhan Kaddah: Valutazione delle lesioni addomii1ali della guerra del 6 ottobre; Erfan Y. Gamal El - Din: Impianti endossei in odontoiatria; Aziz A hmed A bdel Aziz: A nomalie cromosomiche come causa di aborto spontaneo; A. M. Afifi: Anemia da farmaci; Roushdi Hassan Diwan: L esioni del capo.

FRANCIA MÉDECINE ET ARMÉES (voi. 1, n. 7, novembre 1973): Villaros G., Richard A .: La chirurgia arteriosa degli arti; Ollivier R.: Le complicazioni dell'infibulazione rituale nel T.F.A.I.; Thomas f., Zimmer C., Motte M .., Gueboul M., Desmerges C., Carsuzaa M.: Manifestazioni e complicazioni vascolari delle endocarditi infettive; Crocq L., R ivolier f., Cazes G.: Selezione psicologica del personale per l'Antartide; Barbotin M., Ducloux M.: Astenia e sintomatologia funzionale nella pratica corrente in Africa; Pattin S., Metges P. /., Doury P., Delahaye R. P.: Ostconecrosi dell'astragalo; Berruti A., Allouard L., Petit /.: Su due casi di embolia grassosa post - traumatica; Renambot f., Bertrand E.:


Gli emiblocchi della branca sinistra del fascio di His; Monteil R., Mena,·d M. , Guilbaud /.: Condotta da tenere di fronte ad un ustionato grave prima del suo ricovero ad un centro ospedaliero; Perdriel G . : Indicazioni delle lenti a contatto; Bordes M ., H 01·del P., Baud on D.: E' utile l'esame batteriologico dell'espettorato?; Froman.tin M.: Diabete renale; Meunier /., L:emontey Y., fesequel R.: Interesse del dosaggio della clorochina nei liquidi bio!ogici; / oly f.: Lo Sprémunan nella profilassi delle affezioni respiratorie stagionali in ambiente militare. MÉDECINE ET ARMÉES (voi. 1, 11. 8, dicembre 1973): Lagrue G.: Immunopatologia delle glomerumonefriti; Giordano C., Badoual f.: Le panencefaliti sclerosanti subacute in Costa d'Avorio; Giudicelli C., J-fa1'delin f., Guilbaud /., Lombard C., Antoine H. , Ma.sbernard A . : Sindrome nefrosica paraneoplastica; A ubry P., Giraud f., Colle M., Massacrier A., Doiteau R . : Studio comparativo della drepanocitosi omozigote SS e del doppio cterozigotismo SC nell'adu lto africano; Gateff C., Mc Bean M., Monchicou1·t D., l,abusquiere R.: Contributo allo studio della vaccinazione B.C.G . m ediante la tecnica delle pressioni mulriple con ago biforcato; Canicave /. C., Garrigue G., Vialette G., Seigneuric A., Lesbre F. X. : Aspetti evolutivi di due cardiomiopatie primitive non -ostruttive con quadri istologici affini; fromaritin M. , Ille H., Dienot B., Archane M. D.: Un morbo di Bascdow particolarmente r ibelle; Siro/ f., Delprat f., Laroche R.: Tropici e meteoropatologia: il colpo di calore; Romani B., Clem ent /., Cael F., Souchere A.: Il dosaggio dell'alcolemia in ospedale; C,-istau P.: Aspetti atLuali della laparoscopia; CasanoV(l P.: Per una nuova organizzazione ed una nuova dottrina di impiego op<:;rativo del serviz io sanitario delle divisioni delle forze di manovra. LE MÉDECIN DE RÉSERVE (A. 0, n. 5, novembre - dicembre 1973) : Franck T.: Il trasporto supersonico. Alcuni problemi posti da q uesto nuovo modo di trasporto; Sellier: Traumatologia del paracadutista. Sua incidenza sulla selezione; Rosenberg C.: Aspetti medico - psicologici dell'addestramento dei commandos; Mureau: Il termalismo nella 5• Regione M ilitare; Chassagne f. : Il ruolo del Servizio <li Sanità nella preparazione militare. LE PHARMAClEN DE KÉSERVE (A. 67, n. 3, 1973) : A udibert M. : L'insuccesso atomico tedesco; Laugier f . f. : La responsabilità sanitaria. LE PHARMACIEN DE RÉSERVE (A. 0, n . 4, 1973): Pingannaud P. M.: L'alimentazione dell'aviatore e del cosmonauta; Mureau: Il termalismo nella 5" Regione Militare; James R.: Il termalismo a Vichy.

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ragia subaracnoidea e trattamento della rottura di aneurism i endocranici; lerodiaconou M.: Sostituzione totale dell'anca; Papageorgiou S.: Dermatofitosi; Nomicos I., Dounis A.: Cisti epididimaric; Antikatzides T., Koutoulidis K.: Tecnologia zoo- laboraLOristica. I. Semplici tecniche di prc1ievo del sangue da piccoli animali di laboracorio; Karydakis G.: i l problema delle cisti pilonidali nelle FF.AA. Greche; Grigoras G .: Carcinoma tiroideo da preesistente adenoma follicolare; Stathakis N., Papayannis A., Scliros P.: Coagulazione intravascolare disseminata in 2 casi con malaria fakiparum cerebrale; Papathanasiou P., Bladzas T .: Neurinoma gastrico; Iordanidis T.: Correzione <lei ritmo ipnico infanti'e m ediante il metodo del condizio namento operante; Argianas E.: Modificazioni istologiche polmonari nel lupus eritemato~o disseminato.

INGHILTERRA JO UR AL OF THE ROYAL ARMY MEDlCAL CORPS (voi. 120, n. 1, gennaio 1974): Hopkins G. O.: Morsi di serpente a C ipro; Je/frey H. C.: Trasfusione di sangue in guerra; Barnes W.: Rifornimento centr:ilizzaLO di materiali Merili nei Servizi Sanitari dell'Esercito; Dick A. B.: I Servizi Sanitari delle FF. AA. Nigeriane; Murphy A. G.: Occhi neri e fratture orbitarie; Thin R. N. T., Gree11 F. , Nicol C. S.: Immunofluorescenza nella diagnosi di gonorrea; Robimon A. R.: Lombalgia.

JUGOSLAVIA VOJNOSANITETSKI PREGLED (A. XXX, n. 5, settembre- ottobre r973): Cosic V. e Coli.: Trattameruo degli stati d 'urgenza in medicina inte rna; Jovanovic B. e Coll. : Organizzazione ed attività dell'unità di terapia intensiva per i malati chirurgici; Modric R. e Coli.: Rassegna delle attività dell'unità di terapia intensiva; Susa S. e Coli.: Alterazioni dell'equilibrio elettrolitico neg1i Hari di urgenza; fo vanovic B. e Coli.: Alteraz ioni elettrol itiche nello shock traumatico; Duknic M. e Col!.: Squilibri elettrolitici nei malati con ileo e peritonite; A nicic S. e Col/.: Interpretazione delle alterazioni acido basiche; Marenovic T. e Coli.: Squ1iibrio acido- basico e sua correzione nel corso della terapia intensiva; Albreht M.: Alterazioni del volume ematico nei malati chirurgici; fanjir M. e Col!.: Sindrome ipoglicemica in m edicina d'urgenza; Bervar M.: Breve ras•egna de 1la terapia parenterale intensiva a base di carboidrati; Mladinic I.: Diuresi negli stati ipovolemici; K raljev,c L. e Coli.: Trattamento in équipe dei politraumatiz, zati; Nikolic V. e Col/.: T era pia intensiva dei palitraumatizzati; Svoboda V. e Coli.: Misure di rianimazione nei politraumatizz:ui; Mladinic I . e Coli.: Lesioni polmonari nello shock traumatico; fovanovic B. e Coli.: T erapia intensiva nelle lesioni addominali gravi co□ emorragia massiva; Albreht M. e Coli.: Terapia intensiva delle lesioni toraciche K usic R. e Col/.: Rianimaz ione e terapia intensiva delle intossicazioni acute da farmaci; A meri V. e Coli.: T erapia dello shock nelle ustion i gravi; Susa S. e Coli. : Insufficienza renale acuta negli ustionati; Kusic R. e Col/.: Rianimazione e terapia intensiva degli annegati; Sim ie IJ. e Coli.: Tre anni di esperienza nella terapia intensiva dell'infarto acuto del miocardio; Apostolski A. e Col/.: Terapia intensiva delle aritmie cardiache; R omano M.: Vedute attuali sulla diagnostica e terapia dello shock card iogeno; Rukavina Z. e Coli.: Risultaci e problemi della ri:inimazione in caso di arresto cardi0polmonare; Cosic V. e Coli.: Arrel.to cardiaco; Plasaj M . e Coli.: Intervento medico nell'insufficienza circolatoria acuta; Aganovic M. e Coli. : Aritmie e shock nell'infarto acuto del miocardio; Sefer S. e Colf.: T erapia intensiva degli operati con


l'ausilio della àrco1azione extra - corporea; Grabaric B. e Colf.: Esperienze sperimentali e cliniche sull'impiego dei vasocostrittori e vasodilatatori nella terapia intensiva d'urgenza; Cvetanovic D. e Coli.: Terapia intensiva nel pneumotorace spontaneo; Aleksandrov R. e Coli.: Trattamento chirurgico dell'emoftoc; Bosnic M. e Coli.: Broncologia d'urgenza; Car M.: Trattamento delle infezioni bronco - polmonari mediante applicazione prolungata di un respiratore; Duknic M. e Coli.: Terapia intensiva nella pancrearite acuta; Berva,· M.: T erapia intensiva della peri ton ire acuta; Susa S. e Coli.: Ruo!o de1 l'emodialisi nella terapia intensiva delle urgenze; Dumovic B. e Coll.: L'emodialisi nella preparazione degli uremici all'intervemo chirurgico; Kaljalovic R. e Colf.: Urgenze nell'infezione meningococci,ca; Ciko Z.: Coagulazione intravascolare d.isseminata; Markovic B.: Terapia intensiva dell'urosetricemia dopo prmtatectomia; Kaljalovic R. e Coli.: Coma epatico in corso di epatite virale acuta; Radojicic 13. e Coli.: Sindrome trombocitopenica in medicina d'urgenza. VOJNOSANTTETSKT PREGLED (i\. XXX, n. 6, novembre - dicembre 1973): Mitrovic M.: Applicazione di omotrapianti timpano - ossiculari in chirurgia otoiatrica; Ledic S. e Coll. : Sui primi tre casi di morbo di Nishimoto - Takeuchi - Kudo (ccMoyamoya )>) registrati in Jugoslavia; Savicevic M. e Coli.: Fratture blow-out dell'orbita; /ovanovic Z . e Coll.: Differenziazione tra forme benigne di anomalie dell'onda T cd alterazioni patologiche dell'onda T su tracciati ecgrafici mediante agenti bloccanti beta adrenergici; Kostic D. e Coll.: Traumi chiusi del torace associati con fratture costali multiple; Krasojevic I. e Coll.: Il problema delle proteinurie; Svecenski N. e Coli.: Titolazione di alcuni psicofarmaci mediante l'acido silicico - wolframico; Bunta S.: Studi sull'eziologia e terapia delle uretriti non - specifiche; Dergovic V. e Colf.: Diffusione delle informazioni scienòfiche: stato attuale nel mon<lo ed attività dell'Istituto di documentazione medico - militare; Pavlovic P.: Trasfusione di Sangue e derivati in dinica; Matic V. e Coli.: Lesioni de'la regione maxillo - facciale da fucile ad aria compressa; Stefanovic Z. e Col!.: Sindrome di Sjogren associata con miopati.1; Grabai·ic B.: Contributo agli studi sul signilìcato del sistema reticolo - endoteliale per la resistenza dell'organismo al trauma.

PARAGUAY REVISTA DE LA SOCIEDAD PARAGUAYA DE MEDICINA MILITAR (A. XXVI, n. 203, maggio 1973): Aree Queirolo A.: Nozioni sul significato clinico delle modificazioni delle proteine plasmatiche e loro manifestazioni elettroforeriche; Giménez Velazco F.: Goagulogrammi nelle gravide e puerpere normali. REVfSTA DE LA SOCJEDAD PARAGUAYA DE MEDICINA MILITAR (A. XXVI, n. 204, agosto - settembre - ottobre 1973): Miquel A., Sola/inde Montiel N.: Immunità e cancro; Ortiz Maya11s G.: Eziologia ed accentuazioni dei disturbi mentali.

PORTOGALLO REVISTA PORTOGUESA DE MEDICINA MILITAR (A. 21, n. 2, 1973) : Da Fonseca N., Viegas N.: Ericrocheracodermia variabilis; Sa Figueiredo f.: Trattamento dell' ulcera peptica; De Morais F.: La sindrome cardiaca ipercinetica nello sport; Perraia Da Grara /. C.: Recenti concetti igienico - tecnologici sul lavaggio delle carcasse


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nei mattatoi industriali; Biscaia Da Silva H.: Un caso d i lussazione - frattura irriducibile dell'articolazione coxo - femorale; Magalhaes F. : Trauamento delle pseudoartrosi infette della diafisi femorale; Lucas G.: Fisiologia respiratoria. Metodologia pratica, applicazioni cliniche ed implicazioni funzionali.

REPUBBLICA FEDERALE TED ESCA WEHRMEDIZINJSCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. 7, luglio 1973): Ritter

G.: Correlazioni tra età e morbilità dei soldati nelle FF.AA. della Germania Occidentale; Ehlert C. P., Briùme,· H.: Diagnosi e trattamento d'emergenza delle emorragie massive del tratto gastro - enterico prossimale; Fischer V., Gasteiger W.: Risultati a distanza delle pseudoartrosi dello scafoide trattate chirurgicamente; Zelle,· W. f.: Cause prenatali del cancro. WEHRMEDfZINISCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. 8, agosto r973): Fischer V ., Grassi G., Riicke1·t A.: Indicaz ioni e limitazioni del trattamento cortisonico locale in medicina sportiva; Frost H., Malinowxky H.: Registrazione radiotelemetrica continuativa della frequenza del polso nei controllori di radar; Rohde B. T., Tegtmeye,· P. G.: Il trattamento della gonorrea acuta con spectinomicina; B1·iese H. H.: Gravi lesioni endoaddominali senza difesa addominale dopo un incidente aereo (lesione da cintura di sicurezza); Haase f. D., Wiisten H.: Un caso di glomerulone&ite postvaccinale. WEHRMEDTZINfSCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. 9, settembre 1973): Ge,·bert K.: Psicologia clinica aeronautica; Hoffelt W.: Lo stress aeronautico, una quantità misurabile?; Beck A.: Valutazione radiologica della colonna vertebrale dal punto di vist~ della medicina aeronautica; Frohlich G .: La frequenza dei barotraumi determinata sulla base dei reperti endoscopici e radiologici dei ·seni paranasali; .Kurschner D. : Funzione oculare ed illuminazione del cruscotto in Aeronautica. WEHRMEDIZJNISCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. 10, ottobre 1973): Sch"dewaldt H.: Rassegna storico - medica sull'interazione della Sanità Militare con la medicina in generale; Scherer E.: 10° anniversario del Consiglio scientifico per la Sanità e l'organizzazione san itaria presso il Ministro Federale della Difesa; Wedel K. W.: Raccomandazioni del Consiglio scientifico per la Sanità e l'organizzazione sanitaria presso il Ministro Federale della Difesa (Consiglio di Medicina Militare).

ROMAN IA

REVISTA SA N IT ARA MlLITARA (n. 4, 1973): M"'·es E.: Organizzazione del tranamento dei pol itraumatizzati; Suteu I., Cindea V., Mancas O., Bucur A.: TI tratta• mento delle lesioni vascolari in condizioni di sgombero campale; Jacob M.: L 'organizzazione dell'assistenza medico - chirurgica d 'urgenza nelle lesioni del capo; Roman I. C., Rosea D. , Mateescu V.: DNA, mutazioni cromosomiche e farmaci; ?etrusca J., Ciocarlie 1., Correni E.: Ricerche sperimentali sul nuovo vaccino antitifi.co orale rumeno; Prundeanu C., Daraban G.: Considerazioni sulla diagnostica degli itteri m eccanici; Moldova11 I., Popescu V.: Contributo al!a ,éalutazione medico - legale militare del piede piatto; Dumitrescu L. 1., Bucurescu M., Orban L.: Fibroangioma della volta palatina;


Szaiay F., Maxim B., Mihai l\ll. : Considerazioni su un caso di angiokeratoma corporis d iffusum (Fabry); Anton M., Cristescu A., Constantinesw L., Nastoiu I. V.: Lo ionogramma serico nell'obesità del personale aeronavigante; Pintilie I., Moise I., Dinu C.: Effetti dell' inalazione di 0 2 sulla circolazione paradentale negli aviatori militari; Calin A., Constantinescu L., Andrei P., Predescu G., Manea G.: Considerazioni su alcune modificazioni fisiologiche determinate dallo sforzo nei cacciatori di montagna; Tudor V., Armasu V.: Aspetti attuali delle malattie infettive eruttive incontrate nella pratica dal medico di Corpo; Olteanu M., Horge I.: La corio - retinopatia da radar, una nuova entità nosologica; Florescu V., Tapliga M., Fforescu R.: Ruolo della proiezione vocale nel processo istruttivo - educativo; Niculescu G., Baciu D.: Una figura indimenticabile della storia della medicina rumena: il Prof. Dr. Ernest Juvara; Apreotesei C., Stefanescu V.: 11 Generale Chimico- farmacista Prof. Dr. Alexandru Ionescu - Matiu nel suo 90° anniversario.

SPAGNA REVISTA DE SANlDAD MLLITAR (voi. XXXV, n. 8, agosto 1973): CmpoNeches y Afuarez de Nicolas A.: L'arteriografia nella diagnosi dei tumori ossei; Perez Puig /.: Tumore misto della parotide degenerato; Perez Puig. f. A., Porcuria Gutierrez A.: Presentazione di un caso di mielomeningocde; De I.Jano Beneyto R., Gra11etl Font f.: Valutazione dell'eritroblastosi fetale mediante spettrofotometria del liquido amniotico; Lopez Astray M.: Lussazioni dell'omero (varietà posteriore); Batista Montes de Oca G.: Venopuntura percutanea della succlavia; Perez Puig f. A., Porcuna Gutierrez A.: Trombosi acuta dell'arteria mesenterica superiore. REVISTA DE SA IDAD MILITAR (voi. XXXV, n. 9, settembre 1973): Lopez Lopez L.: Appendicite cronica e neurogena <li Masson; Garrido de Arroquia f.: Insufficienza respiratoria acuta del neonato; Lucena Palacios A.: Nostra esperienza nel trattamento chirurg.ico dell'ulcera duodenale; Segui Gomila M.: Mammografia; Diez Cascon A.: Schema dell'assistenza sanitaria germanica; Gonzalez Spinola A., Herrero Mo,·ante S.: Immunità cellulare cd umorale; Ochoa de Retana I.: Insuccessi dei sulfamidici nella prevenzione della meningite meningococcica.

URUGUAY REVISTA DEL SERVICJO DE SANJDAD DE LAS FUERZAS ARMADAS (A. 1, n. 1, ottobre- novembre - dicembre 1973}: Gofler W. G., Castigliani f. C., Bergalli L. A., Saccone R.: Lesioni aneriose degli arti prodotte da proiettili <li armi da fuoco; Restuccia Vera / . F., Rodriguez Alasio R., Chiessa de Kruse G., Ton-es de la Uosa L. A.: lpercoagulabilità sanguigna ed ulcerazioni degli arti inferiori in una paziente con infermità drepanocitica.

U .S.A. MILTTARY MEDICINE (voi. 138, n. 9, smembre 1973) : Wilbu,· R. S., Edwards C. C., / ennings H. B., Custis D. L., Patterson R. A., Musser M. f.: I Capi sanitari federal i in rema di progresso e pianificazione; Mille,· M. B. e Co/1.: Esperienza con


infel.ioni miste di plasmodium falciparum e vivax; Robinso11 L. D., Htmter S. B., Greelllee /., Mc u1in G. G.: Programma di selezione e di istruzione per la talassemia; Stein J. I.: Psicosi da Phencyclidina • Necessità di evitare superflue stimolazioni sensoriali; Richardso11 /. A.: Sistema economico di erogazione di soluzioni dialitiche a reni artificiali a flusso parallelo. MILITARY MEDICINE (voi. 138, n. 10, ottobre 1973): Jen11i11gs P. B., Moe f. B.: Medicina e chirurgia veterinaria nella Repubblica del Vietnam; Wdls R. F., Colli11s W. /., Diii /. E.: La melena all'atto dell'accettazione: uno sguardo critico al paziente con emorragia gastrointestinale occulta; Schechter C. L., Mc larey D.: Chirurgia conservativa del laringe e dell'ipofaringe; Shapiro S.R., Breschi L. C.: Epididimite acuta nel Vietnam; Ro11elstad G. //.: fntercorrelazioni della ricerca dentaria, federale e civile; Yager /.: Jl caso dell'autobus: psichiatria militare del primo contatto con l'ambiente militare; llofm V. M., Edwards D., Cunderson E. K. E.: Una valutazione sperimentale della comunità terapeutica; Merenstein G. B.: Centri regionali di igiene neonatale; Mills M .: Evoluzione di un respiratore; Ba/son P. M ., Si/11er /., Bailey B. H.: Innovazioni nel sistema di comunicazioni era servizio di consultazione di igiene mentale ed organizzazione psichiatrica ospedaliera. U.S. NAVY MEDICINE (voi. 63, n. 3, marzo 1974): Gibson K. D., Montgomery

f. E., Shafer C. /.: Atteggiamenti dei medici della Marina circa un appropriato impiego degli assistenti sanitari; De Witt /. E.: Organizzazione sanitaria; Ramine f. S.: Artrografìa del ginocchio nel personale della Flotta; Edwards D., Bucky S. F., Berry N. ![.; Crisi psichiatrica e motivazione all'arruolamento; Firte/1 D. N.: Una nuova apparecchiatura per la preparazione di protesi maxillo - facciali; Stek M.: Prevenzione dell'aterosclerosi; Lukash W. M., Johnson R. B., Gaskins R. D., Fornes M. F.: Epatite da ago contaminato nei consumatori di droga; Hodges G. R., Tlilberg W., Hoeffler D. F .. Gagnon /. D.: Faringite essudati va. U.S. NAVY MEDICINE (,-ol. 63, n. 4, aprile 1974): Bemick S. M.: Rilassamento e suggestione nell'odontoiatria pediatrica; Tansey W. A.: Studio sanitario longitudinale sul personale subacqueo ed incursore; Meadows /. O.: Iperplasia linfoide del piccolo intestino assodata con infezione da G. lamblia; La,-,.-.. S. R.: Metabolismo e nergetico e controllo ponderale.

U.R.S.S. VOE _ ro MEDIZINSKIJ JUR1 AL (n. 2, febbraio 1974): Doninin V. A.: Organizzazione del lavoro nell'ospedale specializzato per craniolesi; Shalin K. V., Sidoro11 V. !. : li problema del potenziamento dell 'addestrame nto del person:ile medico nel soccorso ai feriti; Sosin V. V.: Particolarità dell'organizzazione del primo soccorso in caso di incendio sui naranci; Chomenko N. M., Bondar V. S.: Le ferite da arma da fuoco in tempo di pacr; Kabakov B. D., Chermysh V. F .: Plastica di contorno delle deformazioni traumatiche con masse p1asriche EGMASS - 12 e ftoroplasL - 4; Beljae11 K. M.: Trattamento chirurgico delle lussazioni normali della spalla secondo F . F. Andreev e sperimentazione medico - militare; Si11ash K. M., Sal11iko11 V. P., Krasnobae11a R. /.: Cura delle distor~ioni dell'estremità acromialc della scapola con il bendaggio Portupeja . D el.o; Klimenkov K. A., Ere mina L . A.: Peculiarità del decono clinico e della diagnostica dei tumori maligni delle pani molli; ]/in B. I.: Metodi modern i di ricerca di labo-


ratorio nelle malattie della pelle; Oding V. S., Senchenko V. A.: Peculiarità dell'epidemiologia, del!a clinica e della cura della scabbia; Shaposh11ikov A. A., Kuzmenko S. V., And1·ievskii V. !. : Significato epidemiologico dei meccanismi di formazione delle fonti di infezioni meningococciche; Glebovich O. V., Chernickij G. /., Vasileva N. P., Godemid1er S. M.: Microscopia a luminescenza BK nella diagnostica della tbc polmonare; Zagrjadskii V. P.: L'adattamento quale fondamento fisiologico dell'addestramento militare; Orlovskii TI. M.: li campo c'ettrostatico quale fattore igienico nel problema dell'abitabilità; Vjadro M. D.: TI ruolo dei fattori dell'attività professionale nello sviluppo di alcune forme nosologiche di malattie del personale di volo; Gimaev R. H.: Primo soccorso ai barotraumatizzati ai polmoni durante una lunga navigazione; Kochin E. P., Goncharov E. S.: Esperienze di aortografia translombare; Usachev /. S., Licholobov A. A.: Metodica oggettiva di sperimentazione della sordità; Sergeev G. [.: Nuovo metodo di manometria auricolare; Romanov V . F.: Metodica di trapanazione dei seni &ontali con l'uso del reticolo a coordinate; Kucenko A. K.: La griseofulvina nella terapia delle malattie della pelle causate da funghi; Gorgoliuk J. A. : Metodica di diagnostica microscopica delle micosi del piede; Voloshko A. P.: Metodo semplificato di preparazione delle protesi; Ljashenko G. T., Bashkimva Z. E.: Cura globale della paradentosi con il metodo del vacuum - massaggio e dell'idromassaggio con acido carbonico; Aldushin S. B., Krylov L. I.: Valutazione comparativa della microstruttura dell'acciaio [Xr8H9T nella preparazione della corona con il metodo dello stampaggio esterno; Volyn,kii I. P.: Cura della tbc polmonare con introduzione interna di preparati tubercolostatici; Marosanov R. A., Grechov A. F., Chozhenko V. A.: Peculiarità del controllo igienico - sanitario nel lavoro con sostanze chimiche dannose; Shemelev f. V., Ludolado11 V. P., Treskunova A. S.: Controllo medico delle condizioni del lavoro militare e della vita del personale; Zhadov A. S.: Un famoso chi rurgo; Shestov V. I., Pasjukov F. V., Grickevich V. P.: Breve rassegna della storia dello sviluppo dell'organizzazione della cura e dello sgombero dei militari; Pljanin A. V.: Cooperazione del servizio sanitario dell'esercito e della marina per la cura e lo sgombero del personale del corpo di sbarco sull'iso!a Boricholim.


NOTIZIARIO

NOTIZIE MILITARI 141° annuale della fondazione del Corpo Sanitario Militare: 4 giugno 1974.

In occasione del 141 ° annuale della fondazione del Corpo Sanitario Militare, il Ministro della Difesa, On. Giulio Andreotti, ha inviato al Direttore Generale della Sanità Militare, T enente Generale Medico C.S.A., dr. Salvatore Polistena, il seguente messaggio: << Oggi il Servizio della Sanità Militare celebra il 141° anniversario della sua costituzione. In questa ricorrenza particolarmente soknnc, r ivolgo un commosso pensiero ai Caduti del benemerito Corpo nella cer tezza che il loro sacrificio sarà di sprone ed esempio a quanti oggi hanno l'onore di militare nei suoi ranghi. Le sarò grato se in questa circostanza vorrà far pervenire a tu tto il personale dipendente il mio cordiale beneauguranre saluto. Andreotti Ministt"O Difesa ». Il Capo di Stato Maggiore dell'Esercito, Generale di Corpo d'Armata, A. Viglionc, ha emanato il seguente ordine del giorno all'Esercito: « In centoquarantuno anni di vita il Servizio di Sanità ha sempre assolto la sua alta missione nell'ambito della organizzazione militare ed ha portato ovunque il conforto della sua opera di umana solidarietà. « E' crede e custode di una tradizione di dovere, di eroismo e di sacrificio, non ha mai posto limiti al proprio impegno, sia in pace come in guerra, su ogni fronte operativo, ed ha m eritato u.na m edaglia d'oro, due d'argento e una di bronzo al valor militare, una medaglia d 'oro di benemerenza e una d'oro al merito della sanità pubblica. << TcI rievocare un così insigne passato si rafforzi negli appartenenti al Servizio il proponimento di dedicare ognora tutte le loro energie morali e fisiche al bene supremo della Istituzione e dell'ftalia nostra. << In quesc:i fausta ricorrenza giunga al Servizio di Sanità il fervido saluto augurale dell'Esercito e mio personale. « Roma, 4 giugno 1974.

Il Capo di SM delf'Esacito Viglione ll. Il D irettore Generale della Sanità Militare, T enente Geuerale Medico C.S.A., dr. Salvatore Polistena, ha trasmesso il seguente messaggio: « Ricorrendo 141'' ann iversario costituzione Corpo Sanitario Militare rivolgo at Ufficiali , Sottufficiali, Militari d i Truppa, Personale Civile et Religioso, operanti nell'ambito del glorioso corpo auguri fervidissimi di sempre maggiori affermazioni sulla scia dell'esempio et nel ricordo di qua nti ci hanno preceduto sulla via luminosa del sacrificio, del dm·ere della dedizione alla patria et all'umana sofferenza alt

Tenente Generale Medico C.S.A. Polistena Dù·ettore Generale Sanità Militare ».


li Capo del Servizio di Sanità d ell'Esercito, T en. Generale Medico dr. Ugo Parenti, ha diramato il segueme messaggio: « Ufficiali, Sottufficiali, Accademisri e Soldati di Sanità. « Il 141° Anniversario della fondazione della Sanità Militare scandisce un rito che annualmente si ruinova come un impegno da adempiere, una promessa da rinnovare, un respiro alla nos(!a fatica per renderla più operosa, più feconda, più pura. « La scoda del nostro Corpo è intessuta di serti di gloria, ricca di eroi e di martiri che nel fuoco dell'amore in pace ed ÌJl guerra hanno consumato innumerevoli vite. « Riguardiamo questa nostra splendida tradizione come un momento esistenziale del nostro avvenire, come un tesoro inta ngibile, una riserva di certezze e di energie per la vita della nostra Istiruz ione. « Celebri il Corpo Sanitario Militare questo giorno di raccoglimento e di esultanza ravvivando la serietà del suo impegno cd il senso di responsabilità ad ogni livello gerarchico, accrescendo il contributo d'amore della sua opera; takhé questo discorso ideale si traduca in un disegno di lavoro modernamente aggiornato volto alla preservazione della vira e della salute della collettività militare. « Tn tutti gli Ospedali Mi 1itari, in ogni posto di lavoro, al cospetto della Croce emblematica della sua missione cd al vessillo splendente d'oro della sua gloria il Corpo Sanitar io Militare rinnovi solennemente in questo giorno l'impegno di dedizione alla Patria. « Roma, lì 4 giugno 1974. Il Capo del Se,-vizio di Sanità dell'Esercito T en. Gen. 1'fed. Dr. Ugo Pare1lti >>.

« Largo della Sanità Militare"·

Con solenne cerimonia inaugurale, la parte settentrionale della Piazza Celimontana, nel cuore del popolare rione Celio in Roma, è stata ribattezzata, la mattina del giorno 23 aprile 1974 in « Largo della Sanità Militare ». Con tale iniziativa piena d i significato e che ancor più rinsalda i già stretti ed affettuosi vincoli tra la popolazione della Capitale e le Forze Armate, la Giunta Municipale di Roma ha voluto tributar e un pubblico e permanente omaggio - come è detto nel verbale della delibera - al glorioso Corpo della Sanità Militare in occasione del centesimo anniversario della fondazione dell'Ospedale Militare cli Roma, per le notevoli benemerenze acquisite ». Di cali benemerenze si è fatto portavoce lo stesso sindaco, On. Clelio Darida, il quale, nel1o ~coprire la nuova lapide toponomastica, ha pronunciato un breve e cordiale discorso, sottolineando quanto l'Ospedale del Celio sia caro all'animo del popolo romano, non solo per la sua fervida quotidiana opera istituzionale, ma particolarmeme per quel servizio civile che seppe esplicare in momenti decisiv i per la vita stessa della Capitale, come fu nel senembre 1943, durante la Resistenza Romana. Parole di vivo ringraziamento ali' Amm inistrazione e alla Giunta Capitolina hanno espresso il Presidente dell'A.N .S.M.l., prof. Alonzo, il Direttore Generale della Sanità Militare, T en. Gen. Med. C.S.A. Dott. Salvatore Polistena ed infine il Sottosegretario alla Difesa, Dott. Vito Lattanzio a nome del Ministro. Alla solenne cerimonia sono intervenuti il Segretario Generale della Difesa, Gen. di C. d'A. A. Cucino, il Capo del Servizio di Sanità dell'Esercito, T en. Gen. Med. dr. U . Parenti, il Vice Comandante della Regione Militare Centrale, Gen. di Div. Salatiello, i Capi dei Servizi di Sanità della Marina e del!' Aeronautica, il Presidente Nazionale


Dopo il Sindaco di Roma che ha scoperto la lapide toponomastica, parla il Sottosegretario alla Difesa Vito Latranzio.


della C.R.I., il Presidente del Gruppo M.O.V.M., nonché tutti i Presidenti delle Associazioni d'Arma e de'l'UNUCI; erano altrcsì presenti i rappresentanti del Comando Generale de!l'Arma dei Carabinieri e del Coma11do Generale della Guardia di Finanza. Larga la rappresentanza della Associazione Nazionale della Sanità Militare con il suo Presidcnre, prof. Alonzo ed il consiglio direttivo al completo. Dietro il picchetto di onore in armi del 1° Reggimento Granatieri, faceva cornice alla simpatica cerimonia, una piccola folla di cittad ini che ha calorosamente applaudito le toccanti parole degli Oratori.

Promozioni nel Corpo Sanitario Militare.

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MEDICINA

MILITARE

SOMMARIO DAGRAot A.: L'urgenza toracica in chirurgia.

31 t

MAsTlloRILLI A.: « Pronto soccorso 1,: somma di problemi tecnici ed organizzativi ad ogni livello

322

D1 MARTINO M.: Lo sviluppo dell'educazione sanitaria nelle Forze Armate: elaborazione dei programmi di educazione sanitaria .

334

F,wuzz1 E., BERNI A., FILIPPINI A., Lucci S., BovE E.: Tecnica chirurgica per il trapianto di insule di Langherans nel ratto .

342

C,WA.RZERANI A., ORLANDO G., RuscoN1 C., CoNsIGLIBRE F.: Reperti stetoacustici arteriosi femorali in soggetti sani di giovane età a riposo e dopo sforzo

348

CuccINIELLO G.: L'osteoma osteoide .

355

Cucc1NIELLO G.: Il distacco apohsiario della tuberosità 1schiattca

366

MASTRORILLr A.: L'organizzazione sanitaria ospedaliera militare territoriale in tempo di pace alla luce della riforma sanitaria nazionale (studio organizzativo)

372

Mf.LORIO E.: Aspeni psicodinamici e socio - familiari della condotta tossicofila in 53 casi di giovani militari

395

MELOR!O E.: Aspetti psicopatologici ed ecologici delle reazioni psicogene da disadattamento nel decorso del servizto militare di leva .

400

CALÌ D., GALOl'ARO A.: Considerazioni sulla genesi delle malattie mentali (dalla osservazione di un caso clinico) .

409

MANGANO M., MANGANO G.: Il rumore quale fattore d'inquinamento nella grande città .

415

PAPA."IOREA F.: Aggiornamento profilattico diagnostico e terapeutico sulla infezione colerica

437

DE LAURENZI V.: Sulla paralisi penodica familiare .

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SOMMARI Dl RIVISTE MEDTCO-MILITART

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NOTIZIARIO: Congressi Notizie militari Necrologio


ANNO 124•• • FASC. 4 • 5

LUGLIO • AGOSTO · SETTEMBRE • OTTOBRE 1974

GIORNALE DI MEDICINA MILITARE

ISTITUTO lJI CLINICA Cl IIRL' RC ICi\ (;l.N rnALE f: TERAPIA Cl IIRCRGICA DELL'U'>: l\'ERSI rA Dr P,\DOV.\ • SEDE IN \'ERONA

Dircuur<:: Prof. .\. D.,cR m, OSPEDALE MILITARr PRl~CIPALE 1)1 \"f.RONA , S. TEK. MEl1. C. A. DALLA BONA - MFDACI.I:\ D'ORO , Dire11ore : Co l. Mcd . Prof. A. ~1'" RORILLI

L'URGENZA TORACICA IN CHIRURGIA * Prof. Adamo Dagradi

Mentre si parla comunemente di " addome acuto l> per indicare una qualsiasi condizio ne addominale che richieda provvedimenti d'urgenza, il termine << torace acuto » non è ancora entrato nella consuetudine. Esso s.i presterebbe a sintetizzare con singolare suggestività il tema propostomi dal Direttore di questo Ospedale Militare. « Addome acuto » e ,, torace acuto )> sono nettamente aumentati di frequenza in rapporto al la traumatologia stradale. T uttavia l'addome acuto è ancora riconducibile in misura preponderante a cause non traumatiche (infiammatorie, perforative, occlusive intestinali), mentre per il torace acuto la genesi traumatica è straordinariamente e levata in senso relativo ed assoluto. Il torace acuto post- traumatico è stato in questi ultimi tempi argomento di discussione a numerosi convegni medici in Verona, e mi pare perciò ragionevole fare riferime nto, questa sera, alle forme non traumatiche. Permettetemi di ricordare che l' urgenza chirurgica a livello toracico come a livello addominale può presen tarsi come « differibile >> oppure << indifferibile ». Nel primo caso la vita del malato non è in immediato pericolo e vi è perciò a disposiz ione un margi ne di tempo variamente ampio per preparare il malato all'o perazione (ristabilimento di condizioni circolatorie e respiratorie tranquillizzanti) e per realizzare preziose indagini diagnostiche. el • Conferenza tenuta in <lata 27 marzo 1973 pres"o l'O~pe<lale ~[ilitarc Principale <li Verona per il corso ~ullc «Urgenze» .


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secondo caso il pericolo di vita è imminente e l'intervento chirugico deve essere immediatamente intrapreso. Mentre l'addome acuto rappresenta più spesso una urgenza differibile, il torace acuto rappresenta nella maggioranza dei casi un 'urgenza indifferibile. Una condizione che può imporre rapide scluzioni chirurgiche a livello toracico è la emissione di abbondante sangue dall'albero tracheo - bronchiale. L'emoftoe è sintomo comune a molte affezioni polmonari ed anche quando è di modesta entità riesce a mettere in1mediatamente in allarme il paziente. Può accompagnarsi a bronchiectasie (nel 50 °0 dei nostri malati), specialmente se la forma è caratterizzata da abbondante escreato purulento ed interessa territori polmonari con bronco di drenaggio pervio. Nel caso di ascesso polmonare l'emoftoe è presente in oltre 1 / 3 dei casi e tende a ripetersi frequenmente anche a distanza di tempo dall'episodio iniziale. Più frequenti, capricciose e preoccupanti sono le emorragie respiratorie nel caso di carcinoma polmonare (nei 4000 casi di Leroux il sintomo si era manifestato nel 57°, dei pazienti ed era stato nel 4 ~~ il primo segno della malattia). E ' da sottolineare in questo campo la elevata frequenza delle emorragie in caso di adenoma bronchiale, termine ancor oggi piuttosto confuso in sede di patologia, che raggruppa forme neoplastiche di diversa class.ificazione istopatologica (soprattutto carcinoidi e cilindromi), che hanno in comune lo sviluppo endobronchiale e la vascolarizzazione molto r icca, onde facilità alle emorragie spontanee e pericolo di fronte a biopsie broncosccpiche. Nella tubercolosi polmonare l'emoftoe si presenta solo in lesioni necrotico - escavati ve già conclamate, conservando un carattere episodico di breve durata, in contrasto con la insistenza e la inesorabilità di quelle di origine neoplastica. In tutte le malattie che ho ricordato l'emoftoe non rappresenta di regola un problema grave; essa può venire in pratica trascurata o richiedere una reintegrazione ematica facilmente realizzabile. Può succedere tuttavia che la emorragia aerea diventi così copiosa da non essere più dominabile con trasfusioni, ma da richiedere un provvedimento chirurgico, e sono questi i casi attinenti al terna che sto svolgendo, con ovvia esclusione di quelle emorragie prorompenti, rapide terminali, che segnano talvolta la fine dei malati di carcinoma polmonare. lo ho avuto occasione di intervenire una volta sola per copiose emorragie in caso di ascesso polmonare. Si trattava di tm ammalato di 26 anni, nel quale l'emorragia si era improvvisamente manifestata durante un trattamento medico che comprendeva anche aerosoli di enzimi fìbrinolitici. L'emorragia ha subito assunto carattere di violenza, non è stata per niente influe nzata dal trattamento coagulante, né ha mostrato di compensarsi nonostante la trasfusione di un abbondante quantità di sangue. Nel giro di qualche ora, di fronte all'anemia acuta ingravescente, ho dovuto intervenire eseguendo una bilobectomia destra (lobo


medio e inferiore) ed il malato è stato prontamente recuperato. Ricordo che 4 volte sui 2ro portatori di ascessi pclmonari di Uglov e coli. vi è stata morte per infrenabile emorragia. Seno intervenuto con criteri d'urgenza in 2 malati portatori di carcinoma del polmone, eseguendo entrambe le volte una lobectomia superiore destra. Anche in questi malati l'operazione è stata coronata da successo. Uno di essi di 57 anni era stato a lungo ricoverato in un sanatorio per un quadro polmonare diagnostico come tubercolosi. La diag nosi nGn è stata da noi modificata prima dell'operazione e soltanto l'esame istologico ha messo in evidenza un carcinoma altamente indifferenziato. Oltre alla emoftoe dobbiamo ricordare le emorragie provenienti dal cavo toracico. solitamente secondarie ad un empiema pleurico. E' questo un termine molto generico che indica un processo suppurativo quasi sempre secondario a livello pleurico, che sottintende un'ampia varietà di condizioni a diversa eziologia, la cui gravità è legata in gran parte alla causa morbosa iniziale. A ne i interessano in primo luogo le emorragie toraciche da empiema postoperatorio, che gravano sul bilancio generale della chirurgia polmonare, c che richiedono talvolta una toracotomia iterativa allo scopo di poterle dominare. Senza entrare nei dettagli mi si permetta ricordare per la loro gravità le emorragie insorte su un empiema toracico causato dalla fìstolizzazione del nwncone bronchiale dopo interventi di cxeresi polmonare e dovute alla erosione di grossi vasi arteriosi all'interno del cavo toracico. 1n tanti anni di attività abbiamo fortunatamente osservato soltanto 2 volte tali situazioni, che sono improvvise cd imprevedibili , cltre che altamente drammatiche perché fatali nel breve giro di pochi mi.nuti. Tra le numerose altre cause di infezione batterica dello spazio pleurico ricordiamo tra le più frequenti le polmoniti, g li ascessi polmonari e sottodiaframmatici, la tbc polmcnare, l'emotorace. Ccn l'avvento dei sulfamidici e degli antibiotici l'cmpiema pleurico è regredito drasticamente per frequenza e per gravità. Voi sapete che prima di tak epoca circa il 10°~ delle broncopolmoniti si accompagnava ad empiema durante il loro decorso (empiema sinpneumonico) o dopo la loro apparente guarigione (empiema metapneumonico). Queste forme collegate con broncopolmonite rappresentavano il 60 - 70°o degli empicmi pleurici, della rimanente quota essendo responsabili ascessi, bronchiectasie, pnx spontaneo, ferite pe netranti nel torace, ascessi subfrenici, infarti polmonari, perforazioni esofagee, ecc. La terapia dell'empiema è spesso chirurgica, nel senso che se è sempre indicata la pleurocentesi per aspirare il liquido purulento e per ovvii rilievi batteriologici, è frequentemente richiesto un drenaggio intercostale chiuso accompagnato dalla riespansione del polmone. In caso di mancata detersione del cavo pleurico si dovranno prendere in considerazione interventi molto più impegnativi, come toracoplastiche con


drenaggio aperto della parete (finestra toracica). Si tratta generalmente di una chirurgia di urgenza di fferibile. Soltanto in par ticolari situazioni I'urgenza si propone come indifferibile, allorché l'empiema che si determina per rottura di una cavità tubercolare o di un ascesso polmonare entro lo spazio pleurico può produrre una rapidissima e grave compromssione delle condizioni generali, cianosi, febbre alta e shcck.

Sindromi asfittiche possono emergere in mm1erose condizioni che impediscono il normale flusso di aria attraverso le vie respiratorie. Esse condizionano un blocco più o meno completo degli scambi gassosi con deficit di ossigeno (ipoossia) e accum ulo di anidride carbonica (ipercapnia) nell'organismo. Vi sono situazioni legate ad un evento traumatico, come incidenti stradali, incidenti sul lavoro, ecc., nei quali il danno anatomico a sede facciale e cervicale, l'edema dei tessuti, la caduta ali 'indietro della lingua provocano una riduzione più o meno imponente del lume delle vie aeree superiori. Altre volte il quadro asfittico può essere riferito a corpi estranei tracheali oppure a compressioni o ostruzioni della trachea o dell 'albero tracheobronchiale da parte in genere di occupazioni mediastiniche o di tumori. Sono ostruzioni basse, non ostruzioni alte, e quindi non possono venire risolte come si fa di solito con una tracheotomia, ma che implicano rimedi di emergenza di ben altra importanza. Nel caso di corpi estranei nell 'apparato tracheo - bronchiale dovrebbe essere convocata la competenza dell'O.R .L. o dell'endoscopista; ma poiché in altri tempi mi sono dedicato con entusiasmo all'endoscopia, non compio un grave abuso se accenno alla questione. Sotto il profilo dell'urgenza il corpo estraneo tracheo - bronchiale solleva vari e complessi problemi. Se si è impegnato nella laringe, allora è facile che si raggiunga una situazione d'urgenza estrema, indifferibile : esso può occludere completamente la via aerea, minacciando morte rapida per soffocamento. Anche se di per sé non occlude completamente la glottide, può suscitare spasmo cd edema che realizzano la occlusione. In casi di questo genere il più delle volte è la tracheotomia l'unico mezzo per salvare la vita. Se il corpo estraneo oltrepassa la laringe e si impegna nella trachea, allora può causare soltanto disturbi di tipo irritativo e secondariamente di tipo infiammatorio. E' difficile che determini ostruzione, attese le dimensioni che gli hanno consentito di oltrepassare la laringe. Se riesce ad oltrepassare anche la trachea, finisce per impegnarsi in un bronco, di solito nel bronco di destra che è relativamente più ampio e più dritto del bronco sinistro. In questi casi di impe-g no del corpo estraneo in trachea o nei bronchi non si creano necessariamente quadr i di urgenza indifferibile per asfissia. La situazione, anche se differibile, resta tuttavia urgente, perché il corpo estraneo è destinato a provocare una reazione infiammatoria locale, con ulcerazioni che possono arrivare alla fistola tracheo - esofagea, o anche semplicemente agire da ostacolo


meccanico con conseguente enfisema ostruttivo o, più frequentemente, polmonite ostruttiva. Sottolineo - e mi riferisco non soltanto ai medici ma anche ai parenti di questi malati, che sono solitamente dei bambini - che è molto meglio attendere una équipe di endoscopisti abili i quali rimuoveranno il corpo estraneo con facilità e sicurezza, che non lasciarsi vincere dal1'ansia e tentare manovre pericolosissime con il rischio di provocare danni maggiori e irreparabili. Mi rivolgo ai parenti raccomandando a loro di evitare le e< manate » sulla schiena suggerite da una pessima consuetudine, perché il corpo estraneo piuttosto che << saltar fuori va più giù » e quindi si impegna sempre più profondamente nell'albero tracheo - bronchiale, rendendo più difficile il suo recupero; ed anche di evitare di tenere il bambino a testa in giù prendendolo per i piedi, perché si può ottenere l'espulsi.o ne del corpo estraneo in casi fortunati, ma si corre il rischio che esso si impegni nella laringe trasformando in asfissia quella che era dispnea compatibile con il trasporto ad un pronto soccorso medico. In questa sede il pericolo viene ragionevolmente dimensionato e può accadere, ad esempio, che il medico, di fronte a bambini con stomaco pieno, piuttosto che attuare subito manovre di estrazione, che minacciano vomito e broncopolmonite << ab ingestis n (più dannosa del corpo estraneo stesso), decida di svuotare prima lo stomaco con una sonda o addirittura di attendere 5 - 6 ore perché lo stomaco fisiologicamente si svuoti. Difficili problemi di chirurgia d'urgenza possono essere sollevati dalle flogosi acute del mediastino. La mediastinite acuta spesso è secondaria a lesioni dell'esofago cervicale o toracico. Manovre endoscopiche, infiltrazioni neoplastiche della parete esofagea da tumori di vicinanza, corpi estranei endoesofagei e traumi penetranti costituiscono le cause più frequenti. Non sono da trascurare le complicazioni chirurgiche dopo interventi a carico dell'esofago, come è dato osservare oggi con una certa frequenza dato il notevole sviluppo assunto dalla chirurgia dell'esofago per neoplasie, stenosi cicatriziali, lesioni congenite, ecc. Mediastiniti acute sono state inoltre descritte quali complicazioni di linfoadeniti acute mediastiniche, infezioni dello spazio pleurico che si sono fatte strada nella pleura mediastinica, come pw·e ascessi polmonari a carico di segmenti mediali del polmone. La sintomatologia rileva il quadro di una infezione a carico del mediastino con segni generali (febbre elevata, leucocitosi, ecc.), dispnea, tachicardia, shock, dolore retrosternale. Può comparire enfisema sottocutaneo in regione cervicale specie per lesioni dell'esofago alto. Il quadro radiologico segnala spesso un allargamento dello spazio mediastinico, con eventuale presenza di bolle aeree e livelli idroaerei. Assai caratteristico è l'allargamento dello spazio tra colonna vertebrale ed esofago, come si può evidenziare nel radiogramma latero - laterale durante una esofagografìa. Importante segno dello estendersi dell'infezione al cavo pleurico è il dolore a tipo pleuritico dovuto all'empiema mono- o bila-


terale che talvolta nello spazio di gualche ora può rendersi minaccicso e richiedere un drenaggio tcracico d"urgenza. E' evidente che il guadro semeiologico si farà sempre più drammatico nel caso di un aggravamento dell'infezione con segni di compressioni delle vie aeree, disfagia, ariunie cardiache, segni tutti che depongono per la estrema gravità della stuazione clinica e che impongono un impegnativo cd indifferibile programma terapeutico. 11 trattamento antibiotico dovrà essere applicato precccemente e ad alte dosi per la notevole facilità con la quale l'infezione guadagna la ricca parete linfatica del mediastino e cli qui tutto l'organismo con possibili sepsi generalizzate. La natura della lesione di base condiziona in gran parte i criteri terapeutici. In caso di perforar.iene da corpi estranei appuntiti e prontamente rimossi con opportune mancvrc endoscopiche si potrà inizialmente assumere un atteggiamento di vigile attesa. Più vclte in questi casi si è assistito ad una guarigione spontanea. Se i disturbi locali o generali dovessero aggravarsi si impone l 'immcdiato intervento chirurgico, che mira a ricostruire la parete escfagea cd a drenare le raccolte mediastiniche e toraciche. Mi si conceda una breve digressione sulle cosiddette rotture spontanee dell'esofagc. Tali lesioni. una volta eccezicnali, si sono fatte più frequenti in questi ultimi anni e meritano di essere maggiormente conosciute. La lesione dell 'esofago è riconducibile nella quasi totalità dei casi a ripetuti e violenti episodi di vomito in individui piuttosto anziani spesso con lesioni esofagitiche preesistenti. Se la lesione interessa solo la tunica mucosa del passaggio esofago - gastrico si parla di sindrome di Mallory e Weiss, se viceversa interessa a tutto spesscre l'esofago terminale, si parla di sindrome di Boerhadc. 1 el primo caso il quadro clinico è dominato dalla emorragia intestinale e raramente richiede un trattamento chirurgico. Ben più grave invece il secondo caso nel quale compare un imponente corteo sintomatologico caratterizzato da dolori violenti all'epigastrio cd alle fasce laterali basse del torace. difesa muscolare, dispnea, shcck. Il quadro radiologico sottolinea un allargamento del mediastino con pneumomediastino ed una esofagografia ccn gastrografia conferma la presenza di una rottura dell'esofago con fuoriuscita del mezzo di ccntrasto, che può raccogl iersi attorno al viscere perforato oppure anche inondare il cavo toracico, solitamente di sinistra. fn questi frangenti si impone un intervento chirurgico d'urgenza con toracotomia e sutura per prima dcll'esofagc, ampio drenaggio toracico e mediastinico. Lesioni meno frequenti che talvolta comportano indirizzi chirurgici di urgenza sono rappresentate dal chi!otorace. Come è noto, con questo termine si intende la raccolta di liquido chiloso nel cavo toracico dovuta a lesioni del dotto toracico. L'interesse di tali affezioni è venuto aumentando in questi ultimi tempi con l'evclversi della chi rurgia toracica responsabile dell a magg ior parte dei casi osservati. La raccolta di liquido chiloso nel sacco pleurico mono- o più raramente bilateralmente ccndiziona un corredo sintomatolo-


gico che si impernia da un lato sugli effetti della compressione sul parenchima polmonare ed eventualmente sul mediastino da parte della raccolta liquida, a volte imponente, e dal l'altra sul progressivo decadimento delle condizioni generali del paziente pe r la deperdizione di gran parte dei grassi e delle proteine assimilate con i cibi, di elettroliti, anticorpi e di elementi corpuscolati del sangue (specialmen te linfociti). Si comprende come sindrome compressiva e tendenza alla inanizione possano in taluni casi rappresentare l'indicazione ad un intervento chirurgico d'urgenza, anche se dfferito. A parte i traum i aperti e ch iusi del torace, sono state evidenziate quali cause del cosiddetto chilotorace spcntaneo lesioni congenite del dotto (atresia. linfangiomi del dotto), lesioni seccndarie a tumori mediastinici primitivi e secondari e soprattutto la trombosi venosa della giunzione g iugulo - succlavia. Ma la maggior parte dei casi di chilotorace deve essere riportata a manovre chirurgiche espletate nell'ambito della chirurgia toracica, specialmente nel caso di interventi cardiochirurgici . Inter venti sull'esofago, sul mediastino, sulla pleura e sui polmoni sono in misura minore coinvolti nella genesi del chilotorace iatrogenico. La variabilità a natomica del dotto, la natura ed estensione del processo morboso, primariamente a sede intramcdiastinica o che può raggiungere il mediastino posteriore, rendono r agione della maggior parte dei casi di chilotorace. L 'indirizzo terapeutico immediato è ovviamente rivolto a decomprimere e sv uotare il cavo pleurico, a ricspandere il polmone in modo da portare il più precocemente possibile a contatto la pleura viscerale e quella parietale, in modo da creare una estesa sinfisi pleurica : in tutti i casi da no i osservati si è raggiwua la guarigione attraverso questa via. Al drenaggio toracico aspir ativo dovrà parallelamente associarsi una vigorosa e mirata terapia sostitutiva per via parenterale per controbilanciare il depauperamento calorico e nu tritivo del paziente. Solo in caso di fall imento del trattamento conservativo si dovranno prendere in considerazione altri tipi di interventi più radicali come ad esempio la legatura del dotto o la istituzione di uno shunt linfovenoso a livello toracico. Un rapido cenno infine ad una affezio ne più freque nte di quanto non si pensi, che richiede il massimo ed immediato impegno diagnostico e terapeutico. Mi riferisco alla embolia polmonare, che costituisce un grosso problema che deve essere affrontato in coll aborazione dal chirurgo, dall 'internista e dal rianimatore. E' c,rmai noto da tempo la insospettata frequenza di emboli nelle arterie polmonari, secondo quanto ci segnalano i periti settori. Anche l'eziopatogenesi di tali forme, specie nell'ambito chirurgico, sembra essere sufficientemente chiarita. Stasi venosa, alterazioni parietali delle vene, specie degli arti inferiori, e alterazioni anche transitorie del meccanismo emocoagulativo in senso trombofìs ico già durante ma soprattutto dopo l'intervento chirurgico, specie se difficile ed estese, in malati anziani obbligati alla pro-


lungata immobilizzazione a letto, sono alcune delle cause più frequenti invocate nel meccanismo di insorgenza. Rimangono pur sempre molù punù oscuri, come ad esempio il fatto che un embolo occludente un tronco polmonare principale determina quasi sempre la morte, mentre lo stesso vaso può essere impunemente legato nel caso di una pneumonectomia. Il settore di polmone interessato dalla occlusio ne vasale tende ad avviarsi verso l'infarto polmonare, contrastato in ciò dall'afflusso del sangue delle arterie bronchiali che tendono a limitare i danni locali. La sintomatologia della embolia polmonare è così proteiforme e variabile da costituire un grosso problema ai fini della sua <lagnosi precoce. Spesso è del tutto asintomatica, specie in casi di piccoli emboli, evenienza che secondo alcuni si verifica in circa r / 3 dei casi. Viceversa essa può scatenare il classico quadro della morte improvvisa, brutale, come è ben noto a tutti. E' sulla embolia polmonare non rapidamente fatale che soprattutto si appuntano i nostri sforzi diagnostici e terapeutici. A parte la sintomatologia conclamata di cianosi, dispnea, tachicardia e segni di shock, dobbiamo cercare di tenere presenti i segni più modesti che ci inducono a sospettare una embolia. Transitori episodi di tachicardia e palpitazione, di dispnea, modesti deliqui o vertigini, così frequenti per cause banali negli operaù, passono costituire le prime avvisaglie di una così grave complicazione postoperatoria. Vi sono dei segni più precisi, meno incerti, come il dolore toracico, la reazione pleurica e l'emissione di piccole quantità di sangue con l'escreato. Anche la radiologia tradizionale ed il tracciato elettrocardiografico non sono in grado di fornire elemenù di sufficiente attendibilità, se non in un ristretto numero di casi. Non sempre infatti il cardiologo è in grado di evidenziare un impegno ventricolare destro, né al radiogramma si possono rilevare i classici segni della banda triangolare di aumentata densi tà con base alla pleura cd apice ali 'ilo. Risultali più sicuri si possono ottenere con più delicate indagini radiologiche. cioè con la angiografia polmonare e con la scintigrafia polmonare, ma richiedono personale specializzato, attrezzatura ed esperienze che solo i grossi centri sono in grado di fornire. La angiografia, sia come tecnica standard con iniezione del mezzo di contrasto nelle vene del braccio, sia come tecnica selettiva con cateterismo dell'arteria polmonare, è in grado molto spesso di segnalare la mancata iniezione dei rami dell'arteria polmonare e il deficit di irrorazione a valle dell'embolo. Meno traumatizzante anche se meno sicura, ma pur sempre valida p~r la sua innocuità e per la frequenza di risultati attendibili rimane la s~intigrafia polmonare, specie con traccianti di un certo calibro, come le microsfere di albumina marcata con tecnezio, che vanno ad impig liarsi nella rc,e capillare alveolare. Accanto al trattamento medico basato sull'impiego di


anticoagulanti, fìbrinoliti.ci, cardioattivi, antispastici vasali vi è la terapia chirurgica che si impernia sulla embolectomia in casi particolari. Questo intervento avviene attualmente espletato con l'ausilio della circolazione extracorporea, allorché le attrezzature strumentali e specialistiche a disposizione lo permettano. E ' pur sempre un intervento di assoluta urgenza, gravato anche oggi da una pesante mortalità. Alcune lesioni polmonari possono indurre pneumotorace spontaneo e richiedere un intervento chirurgico d'urgenza. Viene in primo luogo la malattia cistica del polmone intesa in senso lato, ove il termine di « cisti >> è riportato genericamente a tutte quelle forme caratterizzate da cavità aeree sviluppatesi nel contesto del pare.nchima polmonare. Il problema dell'inquadramento nosografico di tali forme è tuttora oggetto di discussioni, anche sotto il profilo della terminologia, ove si pensi che per alcuni il termine di cisti va inteso in senso restrittivo e cioè solo per forme di natura congenita. Non sembra sia il caso di affrontare i più complessi aspetti di questa patologia: mi limito a dire che il quadro è <laminato dall'enfisema polmonare inteso come malattia polmonare cronica ostruttiva. Attualmente se ne riconoscono due tipi fondamentali: l'enfisema diffuso, panlobulare, ove la dilatazione degli alveoli e la distruzione dei loro setti porta, negli stadi più avanzati, al classico enfisema bolloso, e l'enfisema broncrutico, centrolobulare, di scarso significato chirurgico, caratterizzato dalla dilatazio ne e distruzione dei bronchioli respiratori ed è contrassegnato dal predominio della sintomatologia flogistica bronchiale. A seconda delle dimensioni <lelle cisti alveolari si parla di vescicole, bolle e di pncumatccele, ma nella dizione corrente si impiega semplicemente il termine di bolle, gualifìcate a seconda delle loro dimensioni e della loro sede. A volte manifestazioni bollose di notevole entità si trovano localizzate in uno o più distretti polmonari e possono assumere proporzioni considerevoli a causa della distruzione del tessuto polmonare ed a causa di un fenomeno di iperdistensìone gassosa, per cui aumentano progressivamente di volume. Mi riferisco in modo particolare a quel tipo di cisti alveolare che è ricordato come « polmone evanescente » dai radiologi, condizione che inizia agli apici di uno o di tutti e due i lobi superiori, con l'aspetto di grandi vescicole a pareti sottili, che si allargano nel corso di alcuni anni. Non sempre vi è una stretta correlazione tra entità della sovradistensio ne polmonare e sintomatologia: talvolta la cisti arriva ad occupare una metà o più dell'emitorace, senza arrecare particolari disturbi al paziente. Più spesso ci si avvia ad una condizione di insufficienza respiratoria, a volte rapidissima ed imponente, dovuta sia alla compressione del polmone residuo - mediastino - polmcnc controlaterale, sia eventualmente ad una rottura della sacca aerea e ad un improvviso pnx. Iella prima evenienza si può essere costretti a pungere la cisti per svuotarla, in modo da ripristinare in un primo tempo la situazione dinamica ed


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in un secondo tempo intervenire per risolvere in maniera radicale la situazione di base con un intervento di exeresi polmonare. li pneumotorace spontaneo - come abbiamo già visto - è molto spesso collegato con la rotura di una cisti alveolare sottopleurica, inquadrabile nell'ambito dell'enfisema bolloso, a local izzazione soprattutto apicale, in individui che generalmente non avevano presentato alcuna storia clinica di precedenti affezioni polmonari. Meno frequentemente il pneumotorace spontaneo può rivelarsi epifenomeno di gravi malattie polmonari già riconosciute oppure clinicamente silenti, come la tbc, i tumori del polmone, il granuloma eosinofìlo del polmone, per citarne alcuni dei più frequenti. A volte esso può evidenziarsi addirittura senza che sia possibile accertare una qualunque lesione pleurica e parenchimale, come è stato ripetutamente segnalato sulla base di riscontri operatori o autoptici (pnx idiopatico). L'esordio clinico è dei più vari: a volte può essere inavvertito, più spesso è contrassegnato dalla varia partecipazione degli elementi costitutivi della triade caratteristica dolore - dispnea - tesse, talvolta infine può essere drammatico, specie se interviene un meccanismo valvolare che determina la caratteristica iperdistensione del pneumotorace soffocan te. A volte il pneumotorace compare a seguito di sforzi non abituali, come è il caso del cc pnx dei coscritti » degli AA. francesi, a volte sembra dipendere da tosse violenta, sebbene ciò sia contestato da alcuni, negando al la tosse il ruolo di agente causale. Si sa che questo pneumotorace è più frequente nella terza e quarta decade di vita, piì:1 nei maschi che nelle femmine. La diagnosi si basa su rilievi di semeiotica fisica abbastanza tipici, e soprattutto sull'aspetto radiologico così consueto da non meritare ulteriori descrizioni. E' chiaro che in questo campo la urgenza chirurgica non è rappresentata tassativamente da tutti i casi, molti dei quali sono rappresentati da una modesta quantità di aria, un piccolo mantello che circonda il polmone e il polmone può poi ricspandersi spontaneamente senza alcuna terapia, nel giro di un giorno o di qualche giorno. Mi riferisco invece ai casi in cui il pneumotorace è di considerevole entità e quindi il collasso polmonare importante, per cui l'intervento chirurgico consiste, almeno considerato sotto il profìb dell'urgenza, nello svuotamento del pneumotorace, che si può real izzare con un ago connesso con un apparecchio da pneumotorace. Va da sé che se non è possibile determinare e mantenere una pressione intrapleurica costantemente negativa mediarrte l'aspirazione attraverso l'ago, allora è necessario ricorrere a qualche altra misura, nel più comune degli esempi all'introduzione di un tubo di Petzer nello spazio pleurico. Questo procedimento d'urgenza non implica necessariamente un secondo intervento di natura demolitiva. Anche qui voi sapete perfettamente che le possibilità di una guarigione ccn questi semplici accorgimenti per chiusura spontanea della bolla rotta è una eventualità altamente probabile. Soltanto quando questo non si raggiunge allcra diventa indicato un intervento sul polmone, che


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consiste generalmente nella resezione o del segmento o più spesso del lobo, se il processo interessa una superficie polmonare sufficientemente ampia. E' calcolato che il trattamento chirurgico demolitivo sia necessario in circa il ro o delle persone colpite da pneumotorace spontaneo; le altre volte basta l'aspirazione per risolvere definitivamente la situazione. Il pneumotorace spontaneo può accompagnarsi ad emotorace (emopneumotcrace spontaneo). Questo succede quando si siano formate delle aderenze vascolarizzate tra pleura parietale e pleura viscerale, che vengono strappate quando il polmone si col lassa in conseguenza del pneumotorace. Com'è noto la trama vascolare delle aderenze non possiede strutture muscolari, ccsicché non è pcssibile la retrazione dell a parete vascolare che è un meccanismo naturale di emostasi (Deatcn e Jchnston). In questa condizione ai segni caratteristici del pneumotorace spontaneo si asscciano quelli del collasso circclatorio, quando la perdita di sangue è massiccia. Complessivamente il quadro può simulare infarto del miocardio, embolia polmonare o anche un addome acuto (pancreatite acuta, ulcera gastroduodenale perforata - Ross). L'emopneumotorace incide nel 2 - 5 ° o dei pneumotoraci spontanei (Mili e Baisch) ed è più facile ad osservarsi nei maschi tra i 20 ed i 40 anni (Rydell). li problema terapeutico resta imperniato sulla aspirazione dell'aria, cui deve aggiungersi lo svuotamento della raccolta ematica. Sono dunque necessari almeno due drenaggi toracici. Se questo trattamento viene rapidamente instaurato, è possibile ottenere una completa espansione del polmone, che è anche il mezzo più efficace per frenare l'emorragia. Si tenga presente che la perdita ematica può essere anche particolarmente imponente: in un caso di Mills sono stati aspirati 8 litri di sangue puro nel corso di 18 ore. In linea generale però il volume del sangue aspirato si aggira sui 1500 - 2000 millilitri (Abyholm). E' chiaro che, se eco l'aspirazione non si riesce ad ottenere nel giro di qualche giorno la completa riespansione del polmcne e l'arresto dell'emorragia, diventa necessaria una toracotomia con criterio d'urgenza differibile, al fine di : 1) realizzare l'emostasi ed evacuare i coaguli dalla cavità p leurica (questi ultimi ostacolano la r iespansione del polmone e favoriscono la formazione di empiemi saccati); 2) realizzare la aerostasi eventualmen te attraverso la resezione polmonare; 3) sistemare nel modo più opportuno i drenaggi sotto il controllo della vista. 0


OSPEDALE MILITARE PRIN CIP,\ LE D I VE RON A « S. TEN. ME D. G . A . DALLA BONA - MED AG LIA D'ORO »

Direttore : Col. Md . Prof. i\ . .M•1>Tl<0RILU

<< PRONTO

SOCCORSO >> :

SOMMA DI PROBLEMI TECNICI ED ORGANIZZATIVI AD OGNI LIVELLO * Col. Mcd. Adamo Mastrorilli, l.d.

Il convulso, rapido e continuo evolvere della tecnica e soprattutto della meccanizzazione e l'aumento imponente della motorizzazione ha portato oramai la nostra epoca ad un tratto di tale esasperante tensione che, non è inopportuno dire, che ogf,ri. ogni uomo viva in funzione di un mezzo, sia esso utensile o mezzo di trasporto. E ciò sarebbe da chiamarsi (< progresso >l se l'uomo riuscisse sempre a dominare la macchina, ma molto spesso è la macchina che domina l' uomo a tal punto che questi ne diventa succube e ne subisce le più terribili conseguenze. Le statistiche in tutti i settori della vita sono piene di cifre impressionanti di morti, di feriti, di malati derivanti da questo capovolgersi .anomalo del rapporto uomo - mezzo, per cui in definitiva possiamo dire che oggi ne uccida p iù la macchina in senso lato che una guerra. E' interessante sapere, per esempio, che per q uanto riguarda gli incidenti stradali, nel solo 1973 in Ital ia; e sono dati dell'ISTAT che vi cito, sono stati 301.685 contro i 305-456 del 1972, con 9838 morti contro I0.093 del 1972. Sono cifre che fan no rabbrividire poiché ci portano ad u na considerazione anche se poco piacevole: fi nché la macchina uccide tutto finisce là, il peggio è quando ciò non accade e la macchina provoca delle lesioni che danno inizio a tutta una catena di « quid agendum » (che cosa fare). Uno di questi << quid », a mio modo il più importante, è il « Pronto soccorso >> che è il primo ed essenziale atto che ognuno di noi deve compiere per porre rimedio ai danni provocati dal trauma e dalla malattia. Il << pronto soccorso >> è du nque l'insieme di quegli atti medici e non, che ogni cittadino deve porre in atto per ridurre al massimo il danno che un trauma o una malattia possono arrecare ad altra persona o a se stessi.

* Con fere nza di chiusura d el corso di aggiornamento sull e << Urgenze », tenuta all'O speda le .Militare Principale di Verona il 24 maggio r973.


Abbiamo detto prima che ogni cittadino deve porre in atto, perché la legge ce ne pone obbligo tassativo. Infatti l'art. 593 del Codice Penale recita testualmente : « Omissione di soccorso: chiunque trovando abbandonato o smarrito un fanciullo minore degli anni 1 0 o u!l'altra persona incapace di provvedere a se stessa per malattia di menie o di corpo, pei· vecchiaia o per altra causa, omelie di darne immediato avviso all'Autorità, è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la multa fillo a lire 120.000 . Alla stessa pena soggiace clzi, 1rova11do un corpo amano che sia o sembri inanimato, ovvero una persona ferita o altrimenti in pericolo, omette di prestare l'assistenza occorrente o di darne immediato avviso ali' Autorità. Se da siffatta condotta del colpevole deriva una lesione personale, la pena è aumentata; se ne deriva la morte la pena è raddoppiata ».

Inoltre l'art. 133 del Codice della Strada è ancor a più esplicito e cita testualmente : « Obblighi del conducente in caso di investimento: il conducente in caso di investimento di persone ha l'obbligo di ferma rsi e di presta,·e l'assistenza occorrente alla persona investita. ll conducente che in caso di investimento di persona non ollempera all'obbligo ,ii fermarsi è punito con l'arresto fino a quattro mesi. li conducente che in caso di investimento ometta di prestare l'assistenza occorrente alla persona investita, è punito con la reclusione da quattro a sei mesi e con la multa da lire venticinquemila a lire centomila. Se da tale condotta deriva un aggravamento delle lesioni, la pena è aumentata; s.e deriva la morte la pena è raddoppiata. Qualora l'investimento den'vi da col{'a, si applicano le norme sul concorso di reati. li conducente che si fermi ed, occorrendo , presti assistenza alla persona investita mettendosi immediatamente a dispo,·iz ione degli agenti di polizia giudiziaria, non è soggetto all'arresto preventivo stabilito per il ca., o di flagran za di reato e le pene da infliggere possono essere ridotte di un terzo . li co11duce11te che fugge dopo un investimento è in ogni caso passibile di arresto prevemivo )>.

Non credo che questi due articoli abbiano bisogno di parole di commento, tanta è la loro chiarezza ed incisività, ma da essi si evince chiaramente che su ciascuno di noi ricade una grossa responsabilità che non può essere scaricata ad altri, ma che dobbiamo affrontare e come singoli e come comunità. Per affrontar la bisogna perciò essere sempre preparati ad affrontarla nella sua interezza e nel più logico modo possibile. Le FF. AA. in maniera particolare, in quanto comunità di giovani, e perché munite di mezzi meccan ici e tecnici che possono procurare danno e possono portare soccorso, hanno l'obbligo tecnico e morale di primo p iano di essere preparate ad affrontare tali responsabilità. Il << pronto soccorso >) si basa su tre condizioni fo ndamentali: tempestività, razionalità, rapidità di trasporto. Svisceriamo questi pilastri uno per uno onde elaborare alla fine la somm a dei vari problemi che costituiscono il pronto soccorso stesso.


LA TEMPESTJVITA'

Vediamo che cosa accade in genere quando avviene un incidente o un malore. Prima di tutto un rapido accorrere d i gente sul luogo dell 'incidente che, però, intorno al ferito o ai feriti, comincia a discutere, ma non fa nulla. Subito dopo tutti si buttano sul ferito o malato per fare qualcosa e tutti sanno o dicono di sapere che cosa fare, ma fanno pcco e male finché non prevale la t 1olontì, o più spesso la t 1oce. di qualcuno che comincia a compiere tutta una serie di atti più o meno incongrui per liberare la vittima, per trasportarla col primo mezzo al primo ospedale. Quanto meglio sarebbe se stessero tutti buoni e uno solo che sapesse cosa fare si decidesse a fare la cosa migliore cli questo mondo: avvertire il più rapidamente possibile un medico perché vada sul posto per soccorrere, secondo scienza, il malcapitato o quanto meno chiamare telefonicamente il « 113 '-' per far arrivare sul posto una autoambulanza per il trasporto del malcapitato al più vicino posto di pronto soccorso. E' questo dunque che caratterizza la tempestlt1it?z: un rapido arrivo nei pressi dell'incidentato; un rapido colpo d'occhio che possa consentire di capire più o meno di cosa si tratti; ed infine una rapida richiesta, possibilmente telefonica, di soccorsi con uom ini e mezzi adeguati. Il secondo cardine è la razionalità del pronto soccorso. Qui il discorso si fa più complicato, perché coinvolge la responsabilità di molti in quanto raz10nalità vuol dire applicare nei confronti dell 'incidentato quelle norme mediche e non, che ognuno di noi dovrebbe conoscere perché dovrebbero esserci state insegnate. Ecco sorgere quindi il problema della educazione sanitaria ed in particolare della educazione al pronto soccorso, che quindi coinvolge la responsabilità dello Stato, della Scuola, delle FF. AA., delle industrie, perché è gui che ogni cittadino deve apprendere quei principi elementari e quelle semplici norme che ne regolano lo svolgimento. Nelle FF. AA. per la verità qualche cosa si fa, perché nelle norme addestrative sono contemplate delle lezioni relative al pronto soccorso, anche con l'aiuto di sussidj audiovisivi, ma è necessario che i sigg. Comandanti facciano in modo che a tali lezioni, tenute dagli ufficiali medici, tutti g li uomini del Reparto prendano parte, invece avviene spesso, per mille motivi validi e non, che tali lezioni siano poco frequentate, sicché la preparazione in tal senso ne risente. Sono norme semplici e nello stesso tempo importanti, che possono essere utili non solo nel periodo contingente del servizio d i leva, ma sempre nella vita. Quanti sanno, per esempio, il significato del vecchio proverbio : « Braccia al collo e gamba a letto )) delle nostre nonne? Eppure è di una validità tecnica ancora attuale nel senso che per immobilizzare un arto superiore ferito o malato, non è necessario avere a disposizione una attrezzatura sanitar ia particolare, ma basta appenderlo al collo con una benda, una


sciarpa, una cingh ia e perfìnc infilando il solo pollice nello spazio fra dL·e bottoni della camicia abbottonata. Questa pcsizione infatti detende i fasci muscolari e tiene in asse per ra6,ioni di peso e gravità eventuali fratture. Lo stesso dicasi per l'arto inferiore per il quale la migliore immobilizzazione si ottiene con una stecca di qualsiasi tipo applicata alla faccia esterna dell'arto, sì da tenerlo completamente disteso. La concscenza incltre dei pw1ti di emergenza anatomica delle arterie più importanti (carotide, ascellare, omerale, femorali, tibiali, ecc.), mette nelle co~dizicni ciascuno di noi di arrestare una emorragia, che può essere mortale, con l'applicazione di un laccio o con la semplice compressione digitale continua. 1 el 1945 ci è capitato in un ospedale civile, durante un servizio di guardia, di salvare un bambino investito da un automezzo cingolato inglese, che aveva riportato una grave ferita del collo ccn lesione della carotide, perché un soldato inglese ce lo portò comprimendo col suo pollice la carotide contro la parete scheletrica della colonna cervicale e tenne il dito fermo finché non riuscimmo a fare la legatura chirurgica dcli 'arteria. E gli episodi da raccontare potrebbero essere tanti, positivi ma anche negativi, quando per la mancata applicazione di tali elementari norme di soccorso rapido sono residuate delle minorazioni gravi o non si è perduta addirittura una vita umana. In definitiva dunque la razionalità del pronto soccorso è in diretto rapporto con quanto il scccoritore sà sulle norme di pronto soccorso ed è in diretto rapporto pertanto con 1'istruzicne che in tal senso è stata data ad ogni livello. In un recentissimo convegno anglo - italiano di traumatclogia tenuto a Firenze, il prof. London di Birminghan ha ribadito la utilità delle piccole conoscenze mediche e chirurgiche che in Inghilterra vengono date alla popolazione a tutti i li velli (scuole, caserme, industrie, ecc.) con ricchezza di sussidi audio - visivi e con una capillare propaganda televisiva, presentando una statistica nella quale ha dimostrato un calo di circa il 20 ° ~ di morti per incidenti nel confronto del periodo antecedente alla seconda guerra mondiale, in rapporto proprio con questa maggiore istruzione sanitaria ad ogni li vello, cominciata in Inghilterra proprio durante tale conflitto nelle tragiche giornate del 1941. E' quindi a questo scopo che dobbiamo tendere tutti nelle FF. AA. dando la più ampia collaborazione ai medici, che sono i tecnici, nella preparazione del personale perché il tutto, in definitiva, si risolve in un vantaggio socio - economico per la comunità e per il singolo. Il terzo cardine del pronto soccorso è rappresentato dalla rapidità del trasporto dell 'incidentato dal luogo della disgrazia al posto di pronto soccorso più vicino.


Qui il discorso si fa più ampio ancora, perché investe a sua volta tre ordini di fattori: - i mezzi per il trasporto; - i tempi minimi e massimi per il trasporto; - i luoghi su cui deve essere effettuato il trasporto. Il trasporto, è bene premetterJo subito, deve soggiacere anch'esso alle norme che regolano il fondamentale criterio della razionalità e quindi non va effettuato comunque e ovunque. Esso deve essere effettuato con tutte le norme cautelative che il tipo di lesione, le condizioni generali del ferito o del malato, le distanze da coprire ed i mezzi a disposizione, impongono. Il tipo più elementare di mezzo per la rimozione, e successivamente di trasporto, è rappresentato dalla barella. Di barelle ne esistono di tutti i tipi e dimensioni, più o meno semplici o complicate, né io qui starò ad elencarvele, ma tutte sono basate sul concetto fondamentale che il ferito deve essere raccolto e deposto sulla barella. Quindi il ferito alla barella. E' a questo punto che si impone una serie di problemi, non certo in casi di lesioni semplici, ma quando, come nei fratturati della colonna vertebrale o nei gravi emorragici addominali e toracici, un movimento talvolta minimo, può compiere l'irreparabile. Come ci si deve comportare allora? Il problema non è di semplice soluzione, tanto che ha impegnato molti traumatologi, compreso il sottoscritto, nello studio di un mezzo che fosse idoneo a raccogliere il ferito senza fargli compiere il minimo movimento ed inoltre consentisse il trasporto ed i successivi accertamenti senza stare a spostare dalla barella il ferito. Ci siamo interessati dell 'argomento fin dal r960 e nel r96r alle Giornate medico - chirurgiche internazionali di Torino presentammo un nuovo tipo di barella metallica in metallumal che abbiamo chiamata <( sub corpore », proprio per la caratteristica del suo piano che ha la possibilità di passare al di sotto del paziente senza muoverlo, con dei piccoli movimenti di bascullamento. Tale piano metallico diviso in tre segmenti, viene poi reso rigido con l'agganciamento dei piani stessi a dei ganci molleggiati applicati ai longheroni laterali della barella stessa. Tali longheroni sono snodati e ripiegabili su se stessi per cui tutta una barella di m 2 di lunghezza per 70 cm di larghezza viene ripiegata e racchiusa in una custodia metallica le cui pareti sono rappresentate dagli stessi segmenti di piano. Tutta la barella, compresa la sua custodia, pesa circa 12 kg, mentre la comune barella in dotazione ne pesa oltre 15 kg. Personale addestrato compie il montaggio della barella in 2 - 3 minuti. I piani in metallumal sono radiotrasparenti e consentono pertanto gli accertamenti xgrafìci senza spostare il paziente sul tavolo radiologi.co. Il concetto indubbiamente è stato ritenuto valido anche da altri AA. sicché oggi vi sono altri tipi più o meno sofisticati ma basati tutti sullo stesso


concetto (barella del dr. Green): non più il ferito alla barella, ma la « barella al ferito » . Ma se la barella risolve il problema della raccolta del ferito, non risolve quello del trasporto cbe deve essere affidato a mezzi che devono essere consoni allo scopo pratico, veloci e sempre tenuti nella massima efficienza. Il mezzo qualsiasi o meglio l'automezzo o autovettura che passa per prima sul luogo dell'incidente è guasi sempre più dannoso che efficace. Prima di affidare a questo mezzo il ferito, il soccorritore deve rendersi conto, almeno grosso modo, delle condizioni del ferito stesso, del modo migliore per trasportarlo. Per l'esperienza pratica che abbiamo, a nostro modo di vedere, andrebbero scartate a priori tutte le autovetture, specie quelle di piccola cilindrata, mentre utili sarebbero sempre i mezzi furgonati con portello posteriore, più simili di ogni altro alle comuni autoambulanze. Questo ultimo resta il mezzo veramente idoneo ed ideale per il trasporto dell'incidentato, meglio se attrezzata per una rianimazione immediata e per infusioni di plasma liofilizzato. Badate bene, abbiamo detto con cognizione di causa (< infusione » e non trasfusione, poiché la trasfusione di sangue comporta una serie di atti medici e di ricerche estemporanee che non possono essere fatte dovunque e da chiunque, ed inoltre il sangue, per evitare l'emolisi, deve essere trasfuso ad ammalato fermo e non certo in una autoambulanza che subisce tutti gli scuotimenti ed i sobbalzi dovuti alla irregolarità del terreno. Quindi ripetiamo infusioni di plasma liofilizzato o suoi succedanei allo scopo di vincere lo shock sia esso emorragico sia esso neurogeno dovuto all'incidente. Ma il problema dell'autoambulanza è rappresentato soprattutto dal numero che dovrebbe essere notevole ed invece è piuttosto scarso. Da calcoli fatti nell'ambito del.la popolazione civile ne occorrerebbero circa 50.000 (1 ogni 5 - 10.000 abitanti), mentre in tutta Italia ve ne sono appena 5.000 ed inoltre mal distribuite, geograficamente parlando. Iell'ambito delle FF. AA., il parco delle autoambulanze esiste, ma anche se geograficamente è distribuito con logico rapporto con le sedi dei vari Reparti, è insufficiente a rispondere ai compiti di eventuale soccorso anche per la popolazione civile, cosa che può capitare come è capitato in caso di pubblica calamità (inondazioni, terremoti, disastri di vario genere) o in caso di guerra. Perciò esso rappresenta un altro aspetto del problema del pronto soccorso ad ogni livello e va studiato in funzione non solo strettamente militare, ma anche nei riflessi con la popolazione civile, dato che in Italia ancora non esiste un ben defi nito, inquadrato ed organizzato servizio di protezione civile. 2. - M.M.


Per il trasporto dei feriti e dei malati in tempo di guerra sarebbe bene prevedere anche la rapida trasformazione di alcuni tipi di mezzi cingolati in autoambulanza per il trasporto su terreni particolarmente accidentati. Lo studio è stato già fatto da alcuni AA. (Greco - De Sario) e noi, tecnicamente parlando, lo riteniamo valido ed interessante. Altro mezzo di trasporto da considerare è quello aereo: per elicottero o per mezzo di aerei sanitru·i particolarmente attrezzati . Sembrerebbe il più moderno, il più razionale, il più logico, specie il primo, ma è purtroppo soggetto a delle remore soprattutto meteorologiche, orografiche e fisio - patologiche che non sempre è possibile superare. Ciò non toglie però che per il vantaggio della celerità dell'arrivo, della celeri tà del trasporto e delle distanze che consente di compiere, lo si debba considerare come un utilissimo e valido ausilio, un elemento di trasporto che va potenziato al massimo e di grandissimo ausilio in caso di incidente di massa. L'eliambulanza è un mezzo ideale specie per il trasporto dei feriti e malati a grandi distanze, ma esso comporta problemi di tecnica del trasporto e di infrastrutture che debbono essere ben definiti prima, specie in rapporto al tipo di ferito da trasportare. Ed ceco entrare qui in discussione un altro aspetto del problema del pronto soccorso: lo « smistamento » che altro non è se non la selezione dei feriti ed ammalati che consente il loro sgombero su quelle formazioni sanitarie ospedaliere di pace e di guerra, le più idonee ad un trattamento più completo possibile delle ferite o delle maJattie. Sorge così la necessità che ognuno di noi sia in grado di sapere fare una logica cernita per stabilire un ordine di priorità nello sgombero. Questo ordine di priorità, le distanze ed il tipo di mezzo di trasporto più idoneo, li abbiamo riuniti in questa tabell a chiara ed esplicativa per tutti (tabella n. r). Dall'esame della tabella si evince chiara la eccellenza dell'autoambulanza, specie se attrezzata, cioè munita di apparecchiature per rianimazione e di pronto soccorso chirurgico, sul mezzo aereo, elicottero o aereo sanitario che sia, mezzi questi ultimi che oltre ad un coslo economico piuttosto alto comportano la obbligatoria presenza a bordo di un medico che possa affrontare le eventuali modificazioni fisio - patologiche, cardiocircolatorie e respiratorie dovute all'iperbarismo, alla temperatura, al rumore cd alle vibrazioni. Vedete dunque che questi tipi di trasporto, anche se utilissimi e da incrementare, sono da considerare eccezionali. Gli sgomberi anche se di masse debbono pertanto soggiacere a questa regola e non possono essere affidati a personale non tecnico, per cui è questa una ulteriore dimostrazione della necessità che lo sgombero del ferito o del malato sia effettuato su parere di un medico che oltre ad approntare il primo soccorso, indicherà come e <love trasportare il malcap itato. Siamo giunti così ad affrontare un altro fattore del grosso problema del pronto soccorso, cioè il luogo dove smistare il ferito per dargli rapidamente le cure necessarie e le più complete possibili.


TABELLA N . I.

ORDINE DI PRIORITÀ E MEZZI PER LO SGOMBERO E SMISTAMENTO DEI FERITI E MALATI

Priori1/1

I

!.""ione o m alattia

Mezzo

Tempo in ore

I'

Località

I

Emorragici

Più breve possibile: r ora

Autoambulanza

Il più vicino ospcJale

2

Toracici aperti

Idem

Auwambulanza possibilmente attrczzata

Il più vicino ospeJale con centro d i rianimazione

3

Asfìuici per qualsiasi causa (gassati)

Idem

Idem

Idem

4

Addominali

Entro 12 ore

Autoambulanza o anche elicottcro o aereo

OspcJalc cli qualsiasi tipo con reparto chirurgico

5

Cranici e vertebrali

Entro 24 ore

Idem

Ospedale di qualsiasi tipo con rep. chirurgico e rep. neurochirurgico

6

Ustionati

Entro 24 ore

Idem

Ospedale con centro ustionati e rep. chirurgia plastica

7

Fratturati

Entro 36 ore

fdem

Ospedali ortopedici

8

Malati cardiopatici

Entro 24 ore

Autoambulanza

Ospedale con centro rianimazione

9

Malari polmonari

Entro 36 ore

Autoambulanza

Idem

IO

Malati nefrologici

Entro 36 ore

Autoambulanza o aereo

Ospedali con centri emodialisi

fT

Malati neuro!ogici

Entro 48 ore

Autoambulanza o aereo

Ospedali o ospedali psichiatrici

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33° E' indubbio che tale luogo non può essere che un ospedale civile o militare, piccolo o grande che sia. Da quanto abbiamo detto prima non si può pretendere che l'eventuale soccorritore faccia centinaia di chilometri per portare l'infortunato nei grandi complessi ospedalieri delle grandi città, che sicuramente sono attrezzati per qualsiasi bisogno. Se ciò sarà possibile tanto di guadagnato, ma se non lo sarà, sarà già sufficiente che questi lo porti al più vicino posto di pronto soccorso qualunque esso sia, purché vi sia un medico che possa giudicare le reali condizioni del paziente e provvedere ali 'ulteriore sgombero, dopo aver provveduto alle prin1e cure. Quello che si deve pretendere da ogni cittadino soccorritore è che con una telefonata al « u3 » metta in allarme tutti quegli organi preposti all'organizzazione del pronto soccorso, così come rappresentato in questo schema (grafico n. 1) dove con la linea intera abbiamo indicato la catena di sgombero di cui abbiamo già accennato prima e con la linea tratteggiata quella di comunicazione tele- radiofonica tra il luogo dell'incidente e le varie unità ospedaliere, sia ai fini dello sgombero che del pronto soccorso. La dislocazione degli ospedali purtroppo in Italia è anch'essa nJolto disomogenea. Si passa da zone ricche di ospedali nel nord a quelle meno ricche del centro Italia a quelle addirittura povere del meridione, per cui il primo problema di fondo da affrontare è quello della distribuzione logica e razionale degli ospedali e dei posti di pronto soccorso nelle varie regioni. In altre azioni (Inghilterra, Francia, Germania, Svizzera) sono stati istituiti i cosiddetti e< distretti traumatologici » che sono zone che abbracciano nel loro complesso, formazioni sanitarie di pronto soccorso e di ricovero (ospedali civili, case di cura, ospedali militari) che fanno capo ad una unica sorgente di allarme (Vigili del Fuoco per Germania e Inghilterra, Polizia per Svizzera e Francia) che a sua volta avverte tutte le formazioni sanitarie nell'ambito del distretto stesso che interessa 300.000 abitanti e per un raggio di 100 chilometri. Con questo sistema è evidente che il paziente viene subito soccorso e portato il più rapidamente possibile nel luogo giusto dove possa ricevere le cure necessarie fino al trattamento definitivo. Al Convegno anglo - italiano di Firenze traumatologi inglesi e francesi hanno detto che a tali servizi contribuiscono anche formazioni sanitarie militari dislocate nelle zone. Noi siamo ben lungi da una situazione di questo genere, ma è bene pensarci specie nella ristrutturazione del Servizio Sanitario civile e militare che è ormai indilazionabile nell'uno e nell'altro campo. Sarebbe inoltre un altro anello di quella catena ideale che fa delle FF. AA. l'espressione del popolo che alle FF. AA. si rivolge in caso di grandi disgrazie e calamità.


33 1

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Grafico I. - Schema tipo di un Distretto Traumatologico e catena informativa radiotelefonica e trasporto.

Ma per far fronte a questa organizzazione distrettuale, è necessario che gli ospedali siano a loro volta strutturati non solo ai fini terapeutici ma anche ai fini di pronto soccorso, in senso lato, in maniera più razionale. Lo schema seguente rappresenta il tipo ideale di pronto soccorso in un complesso ospedaliero, che non può essere relegato oggi di fronte alla realtà e complessità del poli- traumatizzato in una sola stanzetta, attrezzata alla meno peggio. Oggi il pronto soccorso, abbiamo visto prima, comporta problemi di diagnostica e cura talvolta molto complessi che possono richiedere l'intervento contemporaneo di più medici specialisti e di personale paramedico che non possono non essere presenti sul posto 24 ore su 24 ore (grafico n. 2). Ciò però presuppone innanzitutto la soluzione del problema del personale medjco e paramedjco che in ogni campo civile, ma soprattutto militare, è urgentissimo.


33 2

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Grafico I f. - Organizzazione schematica del Servizio di pronto soccorso in un ospedale tipo civile o militare.

1e va della nostra dignità di

uomini, di organizzazione e di professionisti, ma ne va soprattutto della nostra responsabi lità morale e penale ad ogni livello né si può giocare a scaricabarili con la pelle dell'infortunato. Ciò che oggi si dovrebbe fare nell'ambito del pronto soccorso, modernamente inteso, e nell'ambito ospedaliero in genere, lo si fa dopo un certo tempo, anche se breve, presso i reparti di cura, che invece dovrebbero ricevere pazienti abbisognevoli solo di trattamento definitivo. Vanno invece potenziati i servizi di guardia e di accettazione con la presenza non solo del medico di guardia ma anche di una équipe medico - chirurgica specialistica (chirurgo, cardiologo, a nestesista, rianimatore, analista) e la pronta reperibilità di tutti gli altri specialisti. Ciò non è facile, ma la soluzione che a nostro avviso è di carattere unicamente economico ed infrastru tturale, può essere e deve essere trovata altrimenti noi ci squal ificheremmo agli occhi del cittadino che avesse a far capo ai nostri ospedali.


333 Al termine di questa nostra conversazione che spero abbia raggiunto lo scopo di interessarvi tutti ad un problema di così vasta portata, mi piace concludere con quanto ebbe a dire il nostro maestro prof. Valdoni nel novembre 1972 nella sede del Circolo Ufficiali di Presidio di Verona, da noi invitato ad inaugurare il corso di aggiornamento nelle << Urge1lze » da noi organizzato. Egli disse: cc In caso di incidente 1111 augurerei: - di essere soccorso da un cittadino istruito sul pronto soccorso, a scuola, in caserma, o in fabbrica; ~ che pensasse prima di tutto a chiamare un medico e una autoambulanza tramite il " II 3 "; - che sapesse provvedere nell 'attesa alle più elementari norme di rianimazione senza strapazzarmi inutilmente; - che fossi avviato possibilmente ad un ospedale civile o militare che avesse un pronto soccorso attrezzato ed affidato ad un medico di provate capacità che sapesse subito decidere sulle possibilità terapeutiche dell'ospedale stesso e che avesse il buon senso, in caso negativo, di inviarmi, subito dopo la rianimazione, all'ospedale per poli - trawnatizzati più vicino; - che in tale ospedale ci fosse un chirurgo, mente direttiva, capace di decidere sulla priorità del trattamento da farmi ». ln questo è racchiusa tutta la vasta problematica comune col più moderno concetto di pronto soccorso. Oggi questo è stato possibile realizzare solo in pochi grossi centri ospedalieri; ma non è 'Una utopia. Occorrerà solo capire ad ogni livello politico, organizzativo, amministrativo che ciò può e deve diventare realtà a tutti i livelli e specialmente nell'ambito della nostra comunità militare.


CENTRO STUDI E RICERCHE DELLA SANITÀ .V!ILITARE Direttore: Tcn. Gcn. Med. Dr. C. MustLLI SEZ[ONE DI IG IENE E MICROBIOLOGIA Capo Sezione: Ten. Cui. Mcd. Dr. M . D1 MAR1'tr<o

LO SVILUPPO DELL'EDUCAZIONE SANITARIA NELLE FORZE ARMATE: ELABORAZIONE DEI PROGRAMMI DI EDUCAZIONE SANITARIA * T en. Col. Med. Dr. Mario Di Martino

Non vi è dubbio che tra le numerose conquiste di carattere dottrinario che la Medicina rivendica a suo merito vi s.ia anche quel lento ma continuo modificarsi del pensiero medico che, dopo aver posto inizialmente all'apice delle sue aspirazioni la cura del malato, si è indirizzato e si indirizza con crescente interesse alla riabilitazione e recupero dell'infermo ed alla prevenzione di ogni forma morbosa. Non deve pertanto meravigliare come già alla fine dell'Ottocento un medico, illustre per la serietà della ricerca professionale non meno che per la universalità delle sue conoscenze - Guido Baccelli - , con visione lungimirante ed altamente precorritrice indicasse nell'incontro tra clinica ed igiene la soluzione dei più grandi problemi che assillano, al tempo stesso, lo spirito del medico e quello de Il 'uomo di Stato moderno. Quale ideale punto di congiunzione tra queste due branche del sapere medico si colloca l'educazione sanitaria. Essa, infatti, riproponendosi, come è stato autorevolmente affermato, « la scelta di comportamenti consapevoli e coerenti per quanto attiene la difesa e la promozione della salute attraverso il concorso attivo dei singoli )), rappresenta nello stesso istante premessa e completamento della profilassi e supporto operativo della medicina preventiva. In Italia, per guanto concerne l'educazione sanitaria, svolgono un loro ruolo, più o meno istituzionalizzato, l'Opera nazionale maternità ed infanzia, le organizzazioni sanitarie e non della Scuola, i servizi sanitari di fabbrica e più in generale del lavoro nonché, per certi aspetti, gl i istituti mutualistici a certi li velli. • Relazione tenuta al convegno sull'(( Educazione sani taria nelle Forze Armate)), organizzato rd indetto dal Comitato regionale del Lazio per l'educaz ione sanitaria, F iuggi T erme, 29 - 30 giugno 1974.


335

La convinzione che in questo specifico campo potessero arrecare un utile contributo anche le collettività militari era già in essere sin da quando a tali organizzazioni si volle attribuire non soltanto l'ufficio di addestrare il cittadino alla difesa del Paese, ma anche, in armonia con quel fine ed in una visione più moderna delle Istituzioni che operano all'interno dello Stato, un compito di formazione ed elevazione morale e sociale. é diversamente poteva accadere sia perché le FF.AA. si collocano, per un numerosissimo stuolo di giovani, a ponte tra due strutture di base, scuola e lavoro, sia perché il modo di essere delle comunità militari ben si presta a realizzare finalità educative in ambito sanitario. Esse, infatti, inseriscono il cittadino in un sistema che, insieme all'addestramento specifico tecnico militare, impone al singolo un modello di vita che comprende gran parte delle sue manifestazioni esistenziali. Sussistono però anche numerosi elementi di situazione, propri dell'ambiente militare, che, malgrado ogni più lodevole intento, limitano quantitativamente il raggiungimento di quelle finalità educative ed essi vanno attentamente considerati se si vuol puntare su traguardi realisticamente proponibili e concretamente attuabili. Questi limiti sono innanzi tutto rappresentati dal breve periodo durante il quale i giovani rimangono a disposizione delle collettività militari, periodo che tende ulteriormente a contrarsi con la riduzione della ferma obbligatoria di prossima attuazione. In secondo luogo la massa dei giovani che affluisce nelle FF.AA. per svolgervi il servizio di leva, se da un lato è omogenea per sesso ed età, fattori che indubbiamente facilitano il compito educativo, è per altro verso estremamente eterogenea in relazione al livello culturale, formazione educativa, estrazione sociale. L'eterogeneità, per quanto ci può interessare, si coglie anche nei soggetti aventi uno stesso grado di cultura: infatti la provenienza da ambienti scolastici diversi spiega il disuguale patrimonio informativo che tali giovani hanno in campo igienico - sanitario. Vi è ancora da considerare che la nozione di collettività militare è obbligatoriamente legata a quella di disciplina per cui ne deriva che nella generalità dei casi tutto ciò che si promuove e si attua in seno ad essa viene psicologicamente accettato dopo lungo e severo esame critico. D'altra parte è noto che la << strutturazione del gruppo militare viene notevolmente complicata dall'esistenza nel suo arnbito di un gruppo fisso (gli effettivi) e da un avvicendarsi di raggruppamenti successivi (i complementi) che si inseriscono, di volta in volta, in una rete preformata di struttura » (Cirrincione). Infine c'è tutto il problema dell'effetto che l'assoggettamento gerarchico esercita su l'individuo: la gerarchizzazione « rigida e senza possibilità di intercambi.o di ruoli può favorire disadattamenti acuti, situazioni difficili di


adeguamento con tutte le conseguenze che ne derivano in campo psico patologico» (Cirrincione). Una linea programmatica concernente l'educazione sanitaria nelle FF. AA., nel quadro di uno sviluppo delle iniziative già realizzate e compatibile con i compiti istituzionali ad esse devoluti, può prendere avvio, a nostro avviso, dal criterio che la partecipazione consapevole dei cittadini ad ogni atto medico, da chiunque eseguito. è premessa e condizione all'instaurarsi di una coscienza sanitaria. Sotto questo profilo si ha motivo di ritenere che non vi sia una eccessiva adesione psicologica dei giovani di leva alle numerose misure di prevenzione, intese nel significato più lato del termine, che vengono di continuo e periodicamente attuate nelle collettività militari. Cosl gli interventi vaccinali di routine, gli accertamenti sierologici per la lucs, gli esami schermografici, le visite mediche di controllo e la stessa visita di leva sono atti che gli arruolati sembrano accettare, o meglio subire, solo perché inserite nel quadro di una più vasta imposizione disciplinare. Sarebbe estremamente produttivo che i quadri dell'organizzazione militare, sanitaria e addestrativa, completassero lo scopo preventivo dell'intervento medico realizzando, per lo specifico aspetto, dapprima una informazione medica semplice ma esauriente e, successivamente, attraverso una adeguata penetrazione psicologica, un più maturato e convinto atteggiamento dei singoli verso pratiche che in ogni collettività salvaguardano l'integrità fisica dei singoli ed il normale funzionamento del complesso. L'attuazione di tale indirizzo appare tanto più pressante in quanto, soprattutto in campo vaccinale, episodi recenti e passati hanno dimostrato come in Italia sia fortemente carente una matura coscienza sanitaria. Tale carenza, come è noto, si è manifestata e si manifesta non soltanto quando, a causa di ingiustificati assenteismi, determinate pratiche vaccinali devono essere imposte con l'imperio della legge, ma anche quando, al contrario, in assenza di un pericolo concreto le immunizzazioni attive vengono richieste senza la prescrizione medica e spesso ad onta di essa. Comportamenti, questi, inidonei a promuovere ed a proteggere la salute ma anzi destinati a perpetuare assetti mentali a carattere istintivo che se pur traggono, come è ovvio, consensi nella solidarietà di gruppo in nulla giovano agli equilibri sanitari. Altro punto sul quale le collettività militari possono svolgere un ruolo non secondario nel concorrere alla formazione di una coscienza sanitaria dei giovani alle armi è rappresentato dall'educazio ne sessuale. Si tratta di un problema molto delicato che richiede una oculata impostazione cd una accorta realizzazione pratica in quanto l'età alla quale i giovani svolgono il servizio di leva è caratterizzata dalla piena vigoria fisica e dall"impetuoso erompere degli istinti sessual i.


337 I giovani che vengono a costituire la compagine militare si trovano nell'età che va dai 19 ai 25 anni, in quella fase della vita, cioè, che l'Ell ha definito di <e pubertà sociale » e che è caratterizzata, tra l'altro, da una revisione critica delle esperienze e conoscenze cumulatesi nel periodo dell'adolescenza. La tematica dell'educazione sessuale nelle FF.AA. non è nuova in questi convegni e non si può certamente dimenticare che già nella l a Conferenza italiana di educazione sanitaria, tenutasi nell'ormai lontano 1966 presso l'Istituto superiore di sanità, non furono risparmiate severe censure al modo di trattare la sessualità nelle caserme e all'efficacia delle varie profilassi locali consigliate ai militari. Tali critiche non sono state certamente sterili e qualche cosa da allora si è realizzato, anche se la mancanza nei giovani ventenni di una informazione organica su questi problemi, acquisibile in età precedente, rende obiettivamente più complesse, e quindi meno efficaci, le attività promozionali realizzate e realizzabili dai responsabili militari in questo campo. Tuttavia, pur nella varietà dei livelli culturali ed educativi dei soggetti di leva, pnr nella estrema variabilità delle posizioni da loro assunte, sotto il profilo etico e sociale, nei confronti delle problematiche sessuali , si è dell'avviso, che l'azione informativa e formativa svolta a riguardo dalle FF.AA. potrebbe essere più incisiva ed esauriente. Scrive il Pellegrini che e< sessualmente educare non significa istruire e meno ancora solo rilevare; ma implica insegnamento complesso di quanto è necessario onde rendere se stessi razionalmente padroni della propria vita sessuale ». Ciò lascia intravedere nella tematica sessuale, e quindi negli aspetti educativi ad essa legati, tutta un'altra serie di questioni che non si identificano né si esauriscono con la profilassi delle malattie veneree. D'altra parte non si può ignorare che l'immediato futuro dei giovani, al termine del servizio di leva, prospetta per un gran numero di essi la tematica della famigl ia. E' necessario pertanto che dal bagaglio informativo di educazione sessuale essi sappiano trarre insegnamenti e comportarnenti validi non soltanto a proteggere se stessi e gli altri dal pericolo venereo ma idonei a considerare responsabilmente tutta una serie di altri elementi quali il dominio e l'umanizzazione degli impulsi, la pianificazione della famiglia, la salvaguardia dell'eredità gcnninale, la profilassi delle alterazioni congenite o connatali e, per guanto concerne l'erotismo, la diversa sensibilità ed il diverso ruolo dell'uomo e della donna sul piano fisico e psicologico. Altro punto sul quale le FF.AA. possono a buon diritto e con fruttuosa messe di risultati indirizzare j loro programmi è rappresentato dall'igiene ind.ividuale, oggi detta anche igiene del comportamento perché, come afferma Seppilli, in effetti cc essa dipende da tutto ciò che ciascun individuo fa o non fa, accetta o respinge, in ogni momento della sua esistenza ».


L'igiene dell'alimentazione, la pulizia personale, l'esercizio fisico e soprattutto l'autocontrollo delle emozioni e dc Ile reazioni istinti ve sono tutti aspetti sui quali sarebbe forse non estremamente difficile indurre nei giovani un comportamento consapevole e costruttivo per quanto concerne la promozione sia della salute fisica sia dell'equilibrio psichico. Anche per quanto recentissimamente (marzo 1974) è emerso nel corso del Congresso di psichiatria sociale e igiene della psiche tenuto a Locarno dalla Società svizzera di psichiatria, le FF.AA. dovrebbero avere un ruolo non secondario nell'ambito dell'igiene mentale se è vero, come è stato detto in quella sede, che qualsiasi gruppo sociale è responsabile dell'igiene psichica la quale non insegna ad evitare i conflitti psichici, ma a superarli, accettandoli quando sono giustificati e facilitandone una soluzione che non comporti danni per gli altri. In una epoca, qual è l'attuale, caratterizzata « dal rifiuto dell'autorità imposta ma anche estremamente avida della sicurezza derivante da validi schemi di riferimento» (Cirone), i programmi di educazione sanitaria devono tener in somma considerazione il corredo comportamentale dei giovani nonché gli influssi della società militare sui soggetti alle armi, in quanto, come ha ricordato Cirone nel corso di un Congresso tenutosi lo scorso anno sull'igiene mentale nelle collettività militari, si rileva una « crescente diffusione di problematiche disadattive tra i militari di truppa , per l'uso della droga e per lo scadimento dei valori tradizionali con l'implicito rifiuto anche della figura di sostegno del Cappellano ». In conclusione si può affermare che nelle comunità militari c'è realisticamente possibilità di migliorare e potenziare l'azione di educazione sanitaria già da tempo intrapresa nel campo dell'igiene comportamentale, dell'ed_uca_zione sessuale e per quanto concerne la collaborazione con gli organi samtan. Ma a fugare facili ili usioni è anche doveroso ricordare che risultati costruttivi potranno essere colti soltanto se la comunità non cadrà mai in contraddizione con se stessa soprattutto là dove, promuovendo encomiabili atteggiamenti nel gruppo discente, si mostrasse pai carente a soddisfare le esigenze di quegli atteggiamenti positivamente indotti. Così come poco ci si potrà attendere dalle FF.AA. se, nel quadro di una ormai imprescindibile unitarietà di indirizzo in campo nazionale, l'attività ad essa affidata nell'ambito dell'educazione sanitaria non si affiancherà armonicamente alle iniziative prese da altri enti interessati e se tra organismi militari ed enti civili operanti nel settore non vi sarà un copioso travaso di pensiero e di esperienze. RtASSU:-JTO. La elaborazione di programmi di educazione sanitaria nelle FF.AA .. nel quadro di uno ~viluppo delle iniziative già realizzate, d eve tener conto dell'influenza che alcuni elementi di situazione possono svolgere sulla attuazione di ta li

programmi.


339 T ali clementi vanno identificati nella eterogenea compos1z1one dei contingenti di leva per quanto concerne livello culturale e formazione educativa, nel breve periodo di tempo durante il q uale si espleta il servizio militare e nelle peculiarità proprie della Società m ilitare che è caratterizzata dall'assoggettamento gerarchico e da una precisa regolamentazione disciplinare. Ciò nonostante i programmi di educazione sanitaria già in atto nelle comunità militari potrebbero essere opportunamente incrementati nel campo dell'igiene comportamentale, dell'educazione sessuale e per quanto concerne la collaborazione dei giovani di leva con gli organi sanitari militari.

RÉsu~IÉ.. - L'élaboration des programmes d'éducation santta1re dans les Forces Armées au point de vue d'un développement <lcs initiatives autrefois réalisées, doit tcnir compre dc l'influcncc quc dcs éléments de situation peuvenr développer sur la realisation dc ces programmcs. On doir idenrifier ces éléments dans la composition hérérogènc des conringcnts de recrutement pour ce qui concerne le nivcau dc culture et la formation éducative, dans la brèvc périodc dc tcmps pendant laquellc on achève le service m ilitaire et dans !es qualités spéciales typique de la société militaire qui est caractérisée par l'asservissemenr hicrarchique et par une précise régleme ntation <lisciplinaire. Malgré cela Ics programmes d'c<lucation sanitaire déjà en acte dans Ics communantes militaires pourraienr etre développés de l'hygiène du compartiment, de l'education sexuelle et pour ce qui concerne la collaboration des jeunes de recrutement avec !es organes sanitaires milicaires.

Su:MMARY. - The claboration of sanitary e<lucation programs in the Armed Forces, with a wiew to a devclopment of the initiatives already carried out, m ust rcly on influence which some situation e!ements can carry out on the accomplishment of such programs. Such elements shoul<l be identifì.e<l in the heterogeneus composition of conscription contingents as regards their cultura! leve! and their educational form ing, in the short period during which they do national service and in the typical peculiarities of military society, which is characterizcd by the h icrarchical subjecrion and by an exact disciplinary regularions. In spire of that the sanitary educarion programs, already being carried in m ilitary communities, could be suitably increased in the field of behaviour hygiene of sexual educarion, and as regarcls the lcvy young pcoplc co!laboration with medicai corps.

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Ja l'ATOLOCIA Cll!RUR())Ci\ UNIVI.RS[T,\ 01 ROMA Direttore: Prof. G. D, M,rrEo OSPEDALr MILITARE PRl:--ICIP.\LE DI RO}.IA ,, S. Tf.N. MED. ATTILIO FlUGGERI » M.O.V.M. Direttore: Col. Mcd. ProL E. FAvt•zz,

TECNICA CHIRURGICA PER IL TRAPIANTO DI INSULE DI LANGHERANS NEL RATTO E. Favuzzi

A. Bcrni

A. Filippini

S. Lucci

E. Bovc

PREMESSA.

La metodica del trapianto delle insule di Langherans nel ratto prevede l'asportazione di tutto il tessuto ghiandolare pancreatico del donatore e l'isolamento delle singole insule. Nel ratto questa operazione è resa difficile perché, come è noto, il pancreas non è un organo anatomicamente individuabile, ma gruppi di cellule di tessuto esocrino ed endocrino sono dispersi nel meso - duodeno e nell'epiploon. I dotti pancreatici principali, in numero vario (da 3 a 9), sboccano ad angolo relto nel dotto biliare principale. li ratto è privo di colecisti. Ad occhio nudo è facilmente individuabile un dotto biliare principale che, dall'ilo epatico, si dirige verso il duodeno nello spessore del suo meso. Tale dotto, pel calibro di pochi decimi di millimetro, decorre prima ad angolo retto rispetto al duodeno e in tale tratto riceve il maggior numero di dotti pancreatici; poi, descrivendo un'ansa, si porta tangenzialmente ad esso e vi sbocca a distanza dal piloro (fig. 1). TECNICA.

Tralasciamo di descrivere le metodiche di Hellcrstrom C. (1964) e di Keen H. (1965) per l'isolamento delle insule di Langherans nel ratto, in quanto non più in uso e molto soggette a critiche. Ci riferiamo qui alla tecnica di Lacy P.E. e Kostianovski M. (r967) da noi modificata. Si esegue una laparatomia mediana xifo- pubica e si esteriorizzano le anse intestinali. Si repertano la prima porzione del duodeno e la piccola curvatura gastrica. Eseguendo una leggera trazione in basso su queste strutture si isola il dono biliare principale fino all'origine, in vicinanza della vena


Fig. I. - La klemmer posta lungo il duodeno esercita una trazione sul meso. La punta della pinza indica il dotto biliare principale.

Fig. 2 . - Il dotto biliare principale è preparato e incannularo.

3. - M.M.


344 porta e dell'arteria epatica (fig. 2). Posta una klemmer curva a morso dolce sul duodeno (fig. 2) parallelamente al margine mesenterico e in modo da clampare lo sbocco del dotto biliare, si incannula il dotto biliare stesso il più prossimalmente possibile. Per questo scopo noi usiamo dei normali aghi da linfografia adeguatamente piegati con un angolo di circa mo gradi per rendere più agevole l'incannulamento. Si iniettano quindi IO cc di liquido di Hank's che, refluendo attraverso i dotti pancreatici, dilatano le strutture nelle quali l'organo è contenuto. Questo comporta una prima dissociazione delle strutture stesse e la protezione delle insule per la presenza del liquido nutritivo. La pressione di perfusione deve essere tale da distendere i foglietti del meso - duodeno e dell'epiploon senza romperli. La loro eventuale rottura si manifesta con una brusca diminuzione della pressione di perfusione e con l'inondamento del peritoneo col liquido di Hank's. Quando ciò si verifica è bene sospendere l'esperimento. Con la perfusione si sviluppa una formazione del volume di una noce costituita dalle strutture suddette completamente dilatate (fig. ù

F ig. 3. - Completa edemizzazione delle strutture contenenti il pancreas.

La sua asportazione non pone alcun problema. Facendo trazione su di essa la si prepara e la si libera da tutte le connessioni con gli organi vicini cercando di sezionare per ultimi i vasi al fine {h non inondare di sangue il campo operatorio (fig. 4).


~

Fig. 4. - Il pezzo è asportato insieme alla milza.

F ig. 5. - I nsemensamcnto delle insule irr peritoneo attraverso l'incisione della parete addominale.


Il pezzo asportato viene posto in una capsula di Petri contenente liguido di Hank's e tagliuzzato in piccolissimi dadi della grandezza di circa due millimetri. Questo materiale è pronto per essere messo a incubare in collagenasi a 37°C per 20' al fine di digerire la parte esocrina e i fasci connettivali senza alterare la funzionalità delle insule. Noi eseguiamo successivamente la separazione di queste insule, dal restante tess uto digerito, su gradiente di ficoll (Berni A. e Coll., in corso di pubblicazione). Q ueste insule vengono poi iniettate nel peritoneo del r icevente (fig. 5) attraverso una piccola incisione della parete addominale in corrispondenza della regione epigastrica.

RIASSUNTO. - Gli AA. descrivono la mcwdica da loro usata per isolare il tessuto pancreatico endocrino nel ratto a i fini del trapianto sperimentale nell'animale diabetico. Vengono esposte le difficoltà incontrate e le soluz ioni proposte.

RÉsuMÉ. - Les AuLeurs décrivcnt la méthodique crnployée par cux pour isoler le tissue pancrcatique endocrine dans le rat, dans le but d'une transplantation expérimcntale dans l'anima[ diabétique. On expose les difficultés rencontrécs et lcs solurions proposécs.

SuMMARY. - The authors relate Lhe method used by thcm to isolate the pancrcatic and endocrin cissuc in che rat, for an expcrimeotal grafring in tbc diabctic animai. Diffìculties and solutions proposed are hcre cxposed.

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OSPEDALE MII.ITARE 1)1 HRESCIA

Dircuorc lnt.: Tcn. Col. Doli. A. MLz10 SPED.\LI C IVILl DI BRESCIA

-

!STITCTO DI CARDIOLOGIA

Prim~rio: Prof. G. F• \U

REPERTI STETOACUSTICI ARTERIOSI FEMORALI IN SOGGETTI SANI DI GIOVANE ETÀ A RIPOSO E DOPO SFORZO

A. Cavarzerani 1

G. Orlando :

C. Rusconi :

F. Consigliere 1

Nell'ambito di una ricerca che abbiamo intrapreso al fine di utilizzare l'ascoltazione delle arterie femorali per la diagnosi dell'aterosclerosi preclinica (1) si è ritenuto necessario indagare il comportamento dei reperti stetoacustici arteriosi periferici nei soggetti giovani normali allo scopo di avere un dato di controllo cui fare riferimento per valutare adeguata.mente i reperti in soggetti con presunta aterosclerosi.

MATERIALE E Ml::TODO.

Fanno parte della nostra ricerca 100 soggetti maschi di età compresa tra i r9 e i 22 anni ricoverati nell'Ospedale Militare di Brescia senza affezioni di natura cardioangiologica (tab. n. 1 ) . Tutti i soggetti sono stati sottoposti ad ascoltazione delle arterie femoral i sia in condizioni basali che dopo uno sforzo standard con g li arti inferiori. Lo sforzo è stato eseguito facendo compiere 6o sollevamenti sulla punta dei piedi in 45 secondi circa. La sede di asco! tazione è stata fissata all'arcata ing uinale e lungo il margine mediale del muscolo sartorio. Si è tenuto conto della presenza dei toni e soprattutto di eventuali soffi arteriosi, questi ultimi classificati in base alla intensità secondo i criteri di Levine.

1

2

Dell'Ospedale Militare di Brescia. Degli Spedali C ivili di Brescia.


349 TABELl,A N. I.

T ono

Nome

Anni

G . G. :z B. F. 3 G. E.

20

no

:zo

SI

:Z l

4

F. s.

:zo

no no

5 c. M. 6 B. s.

20

SI

20

no no no

N.

I

7 G . F. 8 Z. f\. 9 c. W . 10 II

c . c. s. D.

T2 B. A. 13 A . F.

23 21

~

riposo

2r

SI

20

20

no no no

20

SI

20

14 M. A.

21

SI

R. G.

:Z2

:Z J

no no no

20

SI

2!

15

r6 R. D. 17 G. A. 18 C. P. 19 M. D.

21

20

P. A.

22

21

R.

A.

r9

no no no

2:Z

B. P.

20

SI

23

R. G.

19

no

24

s. c.

25

P. A.

26

V . G. P. E.

27

19

SI

19 19 19

no no

21

no

SI

29

c. E. L. T.

22

SI

30

B. G .

21

Jl P. G. 3:z I. L. 33 L. G. 3 4 L. E. 35 R. A. 36 B. T. 37 B. O .

22

21

no no no no

22

SI

28

22

22

no

:z:z

SI

20

SI

a

Soffio riposo

T ono sotto sforzo

Soffio sotto sforzo

no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no

SI

SI

no no no no no

SI

2/6

SI

SI SI SI

SI

no no no no no no no no no no no no no no no

SI

2/6

no

no

SI

2/ 6

no 110

no no

SI

2/6

SI

no no no no no no no no no no

SI SI SI SI SI SI SI

no no SI

S1

no SI

SI SI SI

no no SI

no SI SI


35° Segue: TABELLA :-.. I.

N.

Tono

l':omc

Anni

o.

19 19 21 22 21 21 21

no

21

no SI

6o F. c. 6i F. D . 62 G. G.

19 19 19 20 21 20 20 21 21 22 21 20 20 20 21 20 21

63 R. c.

19

SI

64 B. A.

19 21

no no no no

38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52

53 54 55 56 57 58 59

B.

s. F. F. G. R. G.

P. B.

s. G. A. G.

G. A. B. P.

G. P. D. G. V. C. c. A. G. A. M. A. L. A.

F.

~[.

c. M. L. G. M. o. T. D.

c. G.

6s J. G. 66 c. G. 67 M. U. 68 B. D. 6g z. A. 70 B. F. 71 M. D. 72 R. F. 73 B. G. 74 V. R.

22

20

21 20 21 21 22 22 22

a ripo,o

no si Sl

SI

no SI

SI

no SI SI

no SI

no SI

no si no no SI

no no no

SI SI

no SI

no no no

I I I -----1-Soffio n ripùso

Tono ,otto sforzo

Soffio ,otto sforzo

no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no no

no

SI

no no no no no no no no no

SI

2/ 6

no

no no no no no no no no

SI

si

no SI SI

no no

SI SI SI SI

si SI

no si no no

2/6

no no no no no no

no no no no no no no no no no no no

SI

2/6

SI

no no no no no

SI

no no SI

SI

no no no


35 1 Segue: TABELLA N. I.

N.

Nome

75 V. D. 76 G. R. 77 B. M. 78 C. S. 79 P. G. 80 c. D. 81 R. E. 82 S. S. 83 Z. G. 84 P. c.

8:5 R. G. 86 87 88 89 90 91 92 93 94 95

B. M.

V. A.

T. B. D. D. L. V. M. I. Z. P. T. M. G. G. G. F. S. M. ~ T. A. 97

98 L. o. 99 T. L. 100 c. F.

Anni

a

Tono riposo

no no no no no no no no no no SI

si

SI

21 20 22 22 20 20 20 20 19 2! 20 21 19 19 19 21 21 22 19 22

no si no

19

Soffio riposo

no no no no no no no no no no no no no no no no no no no

21

19 22 22 20

a

SI

no si

no SI

Tono sotto sforzo

Soffio sotto sforzo

SI

SI

no no no no no no

SI

2/6

SI

no

no no no no no no no no no

no SI SI

SI

SI

no SI

Sl SI

no SI

SI

2/ 6

no no

no no

2/6

SI

2/6

Si

no

no no no no

no

no no no no

SI

2/6

SI

2/6

no

no

no

no

SI

Sl

I

SI SI

In 39 soggetti abbiamo riscontrato un tono arterioso spontaneo a riposo. Dopo lo sforzo il tono si è presentato in 63 soggetti. I soffi si sono evidenziati in condizioni basali solo in 2 soggetti con intensità massima di 2/ 6, in entrambi i casi preceduti da un chiaro tono arterioso. Dopo lo sforzo il soffio si è reso apprezzabile (intensità 2/ 6) m II soggetti e in tutti i casi preceduto da un tono (tab . n. 2).


35 2 TABELLA N. 2..

Tono Soffio

:\ ri poso

Dopo sforzo

39

63

2

II

Drscuss10NE. E' noto (5) che l'aterosclerosi clinicamente evidente dell'aorta addominale o dei suoi rami si manifesta spesso alla esplorazione stetoacustica con importanti soffi. E' d'altra parte acquisito (3) che l'aterosclerosi è una affezione polidistrettuale pur con differenze di ordine quantitativo. Riteniamo pertanto che la possibilità di evidenziare l'aterosclerosi preclinica in un determinato distretto arterioso periferico quale, ad esempio, quello femorale, costituisca un importante elemento di valutazione in riferimento anche ad altri e più « vitali » distretti con tutte le implicazioni ad esso conseguenti. Le arterie femorali, per il loro decorso superficiale, si prestano bene alla esplorazione stetoacustica e pertanto hanno, da questo punto di vista, un particolare interesse. La presenza di soffi arteriosi è ritenuta (4), in determinate circostanze, un segno diretto di alterazione del lume vasale. D'altra parte anche se esistono alcune proposte (4) per definire il limite fra reperti stetoacustici arteriosi fisiologici e patologici, il problema, a nostro avviso, è ancora aperto e necessita di ulteriori precisazioni in quanto, per l'intervento di fattori esclusivamente .funzionali (in parte legati all'attività cardiaca e in parte alla dinam ica della parete arteriosa), si possono produrre reperti acustici arteriosi di incerta interpretazione. ei soggetti da noi esaminati il rilievo stetoacustico più freq uente è costituito da11a presenza di un tono sia in condizioni basali che, soprattutto, dopo sforzo. Come è noto (4) tale tono è espressione di una brusca variazione di tensione del la parete arteriosa all'inizio della fase sistolica e quindi ha buone possibilità di realizzarsi nel soggetto giovane normale soprattutto dopo sforzo fisico, condizione in cui aumenta la pressione arteriosa differenziale. Per ciò che concerne i soffi arteriosi è da sottolineare che si sono presentati in un numero veramente esiguo di soggetti. e che in ogni caso essi si sono rivelati preceduti da un tono. In base al significato del numero di Reynolds si è autorizzati a credere che tali soffi non rappresentino altro che l'esasperazione emodinamica dei


353 fenomeni che hanno portato alla formazione del tono che li precede, e, pertanto, riconducibili ad eventi del tutto fisiologici. In base alle nostre osservazioni e analogamente a quanto riscontrato da altri Autori (2) dobbiamo concl udere quindi che il rilievo di soffi arteriosi con le caratteristiche sopraddette non rappresenta un elemento semeiologico di patologia arteriosa ovvero d1 aterosclerosi. A conferma di ciò riferiamo che in soggetti con aterosclerosi clinicamente evidente o con indici bioumorali di predisposizione a tale malattia, da alcuni di noi esaminati in altra sede (1), si è potuto dimostrare un'alta incidenza di soffi arteriosi, sia in condizioni basali che dopo sforzo, con caratteristiche diverse da quelle riferite in questo lavoro (soffi non preceduti da tono, di intensità superiore ai 2/6 ed irradiati in basso). Rapprese ntando d'altra parte l'aterosclerosi una patologia che va interessando sempre più vasti strati di popolazione in giovane età, ed essendo notoriamente molto lungo (alcuni decenni) il periodo di latenza clinica di detta malattia, si impone l'esigenza di individuare in fase preclinica dei soggetti con tale patologia. A nostro avviso, l'ascoltazione delle arterie femorali ci sembra poter rappresentare a questo proposito, un utile elemento di semeiologia clinica.

RussuNTo. - In prev1s1one cli utilizz are l'ascoltazione del 1e arterie femorali (a riposo e sotto sforzo) nella t.liagnosi clell'aterosclerosi cli dette arterie, gli Autori hanno cercato di definire i reperti steloacustici normali, al fine di differenziarli da quelli a possibile signifìcato patologico. Sono stati esaminati 100 soggerri di giovane età (19- 22 anni) m ediante ascoltaz ione delle arterie femorali a riposo e dopo sforzo standard degli arti inferiori. I risultati ottenuti indicano che la percezione d i un soffio arterioso preceduto da tono non ha significato patologico.

RÉsuMÉ. - En vuc dc se servir d e l' auscultation dcs artères fémoralcs (au rcpos et après l'effort), dans la diagno~e de l 'athéromasic dcs susdites artères, les Auteurs onr précisé les répertes stéthoacustiques normaux. On a cxaminé 1 00 subjecrs en jcunc age (19- 22 ans) par l'auscultation <lcs artèrcs fémurales au rcpos et aprés cffort standard des membrcs mfericurs. Les rèsu ltals obtenus indiqucnt quc la perccption d'un souffle arterie! précédé par un ton n'a pas de scns patho!ogique.

SuM~IARY. - Forecascing to make use of fcmorals arteries auscultation, at put down and aftcr an effort, in thc diagnosis of fcmorals arteries athcrosclcrosis, th e Authors hake looked for the normals acoustics findings scttlcment. 100 young men (19- 22 years) have bccn investigateci by meens of thc fcmorals arterics auscultation at put clown a n d afrer a standard effort with che lower limbs. The results indicate that arteri cl blowing perception come first by a rone hasn'l a pathologycal meening.


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CLINICA ORTOPEDICA 2• DELL'UN!VERSIT.\ DI :VIILANO

Direttore : Prof. V. PrETROGR, ,,DE OSPEDALE MILITARE PRINCIPt\LF. DI MILANO Direttore : Col. Mcd. Prof. E. :VIELORIO

L'OSTEOMA OSTEOIDE Tcn. Col. Mcd. Dott. G. Cucciniello Caporeparto Ortopedia e Traumatologia

Abbiamo osservato nel Reparto Traumatologico dell' Ospedale Militare Principale di Milano un caso clinico che, indagato e studiato, è servito a stimolare il nostro interesse alla migliore interpretazione e conoscenza di una alterazione ossea, l'Osteoma- osteoide, e di 9uelle forme che entrano nella diagnostica differenziale con esso. Si tratta di entità morbose che non creano problemi di ordine terapeutico, essendo la loro ablazione un provvedimento sufficiente nella maggioranza dei casi; ciononostante suscitano interessanti quesiti sul loro inquadramento nosologico, alla luce de lle svariate interpretazioni etiopatogenetiche. Il nostro paziente era un militare di leva, L. R. , nato il 18 novembre 1952, alle armi dal 25 ottobre 1972: era stato ricoverato nell'Ospedale Militare di Milano il 25 maggio 1973. Individuo di sana e robusta costituzione, non presentava precedenti anamnestici patologici. Da circa cinque mesi accusava coxalgia destra, spontanea, presente anche a riposo, con esacerbazione notturna. 11 dolore non cedeva a.i comuni analgesici, mentre veniva notevolmente attenuato dall'acido acetii salicilico. Dato obiettivo era la limitazione funzionale articolare antalgica dell'anca Dx: particolarmente vivo il dolore nella abduzione forzata e nella in tra - extrarotazione; gli esami di laboratorio erano negativi - G.R. 4.300.000; G.B. 6.800; I.K. (VES) 4 - . Temperatura corporea normale. La radiografia del torace evidenziava una fibrosi calcifica ilare Sx. L'esame radiologi.co dell'anca Dx., in proiezione antero - posteriore (fig. r), in regione sottotrocanterica, lateralmente, evidenziava una zona di osteosclerosi circondante una osteolisi nummulare della grandezza di un grosso cece; .i n proiezione laterale (fig. 2) si osservava nella regione sottotrocanterica anteriore il pro.filo corticale sollevarsi a bombé, per una intensa reazione osteosclerotica che comprendeva nel suo contesto l'area di osteolisi precedentemente descritta. L'esame clinico della regione dell'anca destra, a parte


Fig. 1. - Proiezione antero - posteriore dell'anca Dx: si evidenzia area osteolitica circoscritta da intensa osteosclerosi.

Fig. 2 . - Proiezione assiale dell'anca Dx: si evidenzia in regione sottotrocanterica anteriore ispessimento osteosclerorico a bombé del profilo corticale con inserita !"area rotondeggiante di osteolisi.


357 la già descritta limitazione fonzionale articolare, non evidenziava tumefazione od arrossamento della parte né dolore provocato alla pressione. Veniva proposto intervento di exeresi del foco laio osseo che, accettato, veniva eseguito il 9 giugno 1973. Si asportava un tassello di osso, di cm 4 x 2, comprendente l'intero focolaio osseo, come dimostrava la radiografia del pezzo (fìg. 3).

Fig. 3. - Radiografia del pezzo anatomico: si osserva il « nidus » completamcme compreso nel tassello osseo asportato.

Eseguita con seghetto elettrico la sezione del tassello osseo, a livello del focolaio osteolitico (fig. 4), si evidenziava nel contesto dell'ispessimento osteosclerotico una zona rotondeggiante di piccole dimensioni ripiena di tessuto bianco - grigiastro di consistenza molliccia. Si inviava il pezzo in laboratorio per l'esame istologico che portava alla diagnosi di « Osteoma - osteoide >> (figg. 5, 6, 7 e 8). Questo caso si può considerare un esempio tipico di Osteoma - osteoide. L'Osteoma - osteoide è una affezione propria dell'età giovanile, più frequente nel secondo decennio di vita, con una certa prevalenza nel sesso maschile. Può essere repertato in tutte le ossa dello scheletro, ma le localizzazioni più classiche sono a carico del femore e della tibia, sia a livello dell'osso spugnoso che più elettivamente a livello de1la corticale ossea.


Il suo quadro clinico è caratterizzato dal sintomo dolore, che è vivo, spesso urente, talora cupo, sempre spontaneo, ad esacerbazione notturna. Naturalmente, in conseguenza del dolore, è presente una compromissione della regione corporea interessata, che si configura in limitazione funzionale delle articolazioni viciniori e dell'apparato muscolare satellite. Segni esterni della lesione possono essere una lieve tumefazione, un arrossamento non marcato, accenno a marezzatura venosa cutanea e lieve calore cutaneo; segni cioè di una flogosi attenuatissima.

Fig. 4. - Sezione del tassello osseo a livello del focolaio osteolitico che si dimostra ripieno di tessuto bianco - grigiastro.

Gli esami di laboratorio sono negativi, eccezionalmente la velocità di eritrosedimentazione può essere lievemente aumentata. Gli esami batteriologici sono sempre negativi. Tutti i medicamenti sono inefficaci, salvo una peculiare azione dell'acido acetii - salicilico che si dimostra il solo capace di diminuire la sintomatologia dolorosa. Il quadro radiologico è particolarmente caratteristico, anche se non patognomonico. L'aspetto peculiare è dato da una piccola area osteolitica rotondeggiante di diametro da qualche millimetro a tre o quattro centimetri. Intorno a questa area osteolitica, chiamata « nidus », è presente una reazione osteosclerotica che nelle localizzazioni nell'osso spugnoso può essere di modesta entità, ma che nelle localizzazioni della corticale ossea è sempre


359

Fig. 5. - SeLione istologica a piccolo ingrandimento (20 x) del « nidus » costituita da tessuto osteoide immerso in matrice connettivale intensamente vascolarizzata, con presenLa <li dementi gigantoccllulari: quadro tipico di osteoma osteoide.

molto cospicua, tale, spesso, da alterare il profilo osseo esterno od interno con un ispessimento a bombé della corticale ossea. Talora la densità ossea può essere tale da mascherare la presenza del nidus nelle comuni proiezioni radiologiche, rendendosi necessaria per la sua dimostrazione l'indagine stratigrafica. Il nidus nell 'aspetto anatomo - patologico macroscopico si dimostra come una cavità rotondeggiante, inclusa nell'osso sclerotico - addensato, ripiena di tessuto molle, talora friabile, di colorito dal rossastro al bianco grigiastro, isolabile dal contesto dell'osso. Patognomonico è il quadro microscopico istologico. Il nidus è formato da tessuto connettivale, molto vascolarizzato, con elementi cellulari istiocitari, po1igonali o Eusati, in evoluzione osteoblastica. Incluse in tale tessuto ed originate da esso si riscontrano trabecole osteoidi, disposte in una rete più o meno regolare. Di forma e dimensioni diverse, sono talora circondate da un orletto osteoblastico. 4. - M.M.


Fig. 6. - Q uadro istologico dell'osteoide incluso nel tessuto connettivale ostcogeno, i_ntensamente vascolarizzato e ricco di elementi gigantocellulari (100 x ).

La presenza di elementi gigantocellulari polinucleati ha significato di elementi osteoclastici, deputati al rimaneggiamento del tessuto trabecolare. Ciononostante non si giunge mai ad un reticolo trabecolare costituito da sola matrice ossea matura. ella maggioranza dei casi il tessuto più maturo è alla periferia del nidus e quello maturo al centro, ma spesso la disposizione è inversa, oppure la parte osteoidc più immatura è localizzata ad uno dei poli del nidus. Mancano comunque zone cli atipia citologica, ed anche segni a chiaro significato fl ogistico, come infiltrati leuco - linfo - plasmocellulari . La reazione ossea perifocale non è caratteristica, trattandosi di un processo osteosclerotico reattivo, costituito da trabccole ossee, mature, ispessite, disposte irregolarmente in un substrato di tessuto connettivo fibroso lasso. Spesso si riscontrano in questa zona dementi di natura infiammatoria : infiltrati parvicellulari linfocitari, edema interstiziale, fenomeni di endoperivasculite.


Fig. 7. - Particolare delle trabecole osteoidi circondate da orletto calcifico (260 X).

L'Osteoma - osteoide ha una prognosi nettamente benigna. La terapia consiste nella exeresi completa del focolaio e di parte del tessuto sclerotico circostante, in maniera da avere la certezza di asportare completamente il tessuto del nidus, sicura garanzia contro una eventuale recidiva. Del resto queste non sono descritte; mentre sono conosciute guarigioni spontanee descritte da alcuni Autori (Calandriello, Sabanas, Moberg, Shermann). Per quanto abbiamo detto l'Osteoma - osteoide è giustamente un'entità patologica ben precisata, soprattutto per il quadro istologico, peculiare e patognomonico. E' merito indiscusso di Jaffe aver individuato, dal gruppo delle forme osteolitiche fra le quali si confondeva, l'Osteoma - osteoide. Jaffe e Lichtenstein in anni successivi, con l'ausilio di una casistica sempre più nwnerosa, ne precisarono meglio il quadro clinico - radiologico ed anatomo - patologico, riconfermando e sostenendo la primitiva interpretazione etiopatogenetica


Fig. 8. • Particolare del tessuto mesenchimale osteogeno con una cellula gigantocellulare (400 x ).

indicata da Jaffe nel suo pnmo lavoro (1935), come di natura neoplastica benigna. Neoplasia caratterizzata dalla formaz,ione di sostanza osteoide, più o meno calcificata, in un ambiente connetti vale osteogenico altamente vascolarizzato. Tale interpretazione etiopatogenetica, pur sostenuta da insigni maestri, quali Jaffe e Lichtenstein, non è stata accolta da un'unanime consenso, soprattutto per alcune caratteristiche che meglio inquadrerebbero la forma in una genesi flogistica: 1) l'intensità del dolore, come mai si osserva nelle neoplasie benigne; 2) la notevole reazione ossea sclerotica, più tipica dei fatti flogistici ossei; 3) la tendenza del focolaio a mantenere nel corso degli anni le stesse proporzioni, senza poussé accrescitive; 4) l'assenza di recidive o di degenerazioni maligne dopo asportazione;


5) i segni, pur attenuati, di flogosi, quali gli infi ltrati parvicellulari, l'arrossamento ed il calore cutaneo; 6) la localizzazione descritta in ossa contigue; 7) la regressione spontanea descritta in alcuni casi; 8) l'accrescimento centripeto, con la zona più giovane ed attiva al centro del nidus, tipica dei focolai flogistici. Tutte queste ragioni hanno spinto Autori qualificati ed autorevoli a prospettare soluzioni etiopatogenetiche alternative a quella puramente neoplastica : processo di natura infìammatoria, simile alle osteiti croniche, sia pure con caratteristiche particolari (Mondolfo, 1938; Brailsford, 1942; Brown e Ghormley, 1943; Pines , Lavine e Grayzel, 1950; Calandriello, 1956); processo disontogenetico, a partenza da un germe embrionale mesenchimale osteogeno (Bergstrand , 1930; Bombe lii e Martelli, 1959); processo di origine displasica, su stimolo flogistico (Rossi, 1950; Pietrogrande e Maiotti, 1957); patogenesi rnicrotraumatica, paragonabile a quella delle necrosi asettiche (Saegesser, 1947); evoluzione in guarigione di un infarto osseo (Geschickter e Copeland , 1949). D'altro canto l'assenza di chiari segni infiammatori, come la negatività dell'indagine di laboratorio, non possono far pensare ad una genesi infiammatoria osteitica anche se cronicizzata ed attenuata, mentre la presenza del tessuto osteoide, ben si adatta all'ipotesi di un tumore benigno del mesenchima osteoblastico. Più interessante è l'ipotesi avanzata da alcuni Autori (Parrini e G . Randelli) che individuano nel tessuto di granulazione, esito di una lesione flogistica qualsivoglia dell'osso. la presenza di elementi cellulari totipotenti, i poliblasti, il cui destino futuro può aprirsi verso una qualsiasi modificazione metaplastica connettivale in senso fibro - condro od osteoblastico. Non è necessario che si realizzi una progressiva successione dei vari stadi della suppurazione, ma possono istaurarsi sin dall'inizio e prevalere i caratteri istologici tipici di uno specifico stadio e soltanto di quello. ron è altresì indispensabile che lo stimolo sia necessariamente infiammatorio, ma è sufficiente che sia capace di produrre una modificazione del metabolismo locale, tale da condizionare una reazione del mesenchima cambiale in senso fibro - osteogenetico. Possono così essere accumunate alcune lesioni osteolitiche circoscritte dell'osso, come l'osteite acuta di Leriche che è un tipico ascesso dell'osso circoscritto con presenza di pus nel nidus; l'osteite circoscritta di Paltrinieri, ove il nidus è costituito da tessuto di granulazione; l'osteite cronica di Phemister, ove il nidus è costituito da tessuto connettivale fibroso; l'Osteoma osteoide ove il nidus è caratterizzato dall'osteoide; l'osteoblastoma benigno, caratterizzato dalla presenza di tessuto trabecolare osseo maturo.


Tutte queste forme morbose diventerebbero espressione di una diversa reattività osteotissutale di fronte ad tma noxa variabile, spesso identificabile in un processo flogistico più o meno attenuato. Come si vede, a quarant'anni dalla sua individuazione, l'Osteoma osteoide non svela ancora chiaramente l'essenza della sua genesi, ma stimola appassionate disquisizioni che non restano sterili esercitazioni filosofiche ma contribuiscono all'approfondimento ed all'inquadramento della fisiopatologia del tessuto osseo.

RussuNTO. - L'Autore illustra un caso tipico di Osteoma - osteoide, traltato presso il Reparto Traumatologico dell'Ospedale Militare di Milano. Si sofferma brevemente sulle carancrisLiche cliniche, radiografiche ed anatomo patologiche di questa lesione ossea. Viene in particolare discusso l'inquadramento nosografico dell'Osteoma - osteoide, alla luce delle varie ipotesi etiopatogcnetiche.

RÉsuMÉ. - L' Auteur illustre un cas typique de Osteoma - osteoìde soigné à la Section Traumatologique de l'Hcìpital Miliraire <le Milan. li considère rapidement Ics caractéristiqucs clinigues, radiographiques et anatomo parhologiques de ceree lésion osseuse. C'est l'eneadrcmenr nosographique de l'Osteoma - ostcoìde qui est le plus particulièreme nt approfondi à la lumière des differcntcs hypothèscs etiopathogéniques.

SuMMARY. - Tbc Aurhor describcs a typical case of Osteoid - osteoma Lreated at the Traumatologie Division of Milan Hospital Army. Hc bricfly dwclls upon clinica!, radiografie and anatomo - pathologie charactcristic of this bone lesion. In particular hc discusses the nosographic arrangement of Osteoid - osteoma in the light of the differcnt etiopathogcnetic hypotheses.

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CLINICA ORTOPEDICI\ 2' DEI.L'UKI VFRSIT.\ DI MILANO

Diretton·: Prof. V. Pn,TJtcx,H,OE OSPEDALE M ILITARE PRINCIPA L E DI i\11Li\'l0 S. TEN. ~!ED . .-\N;:,-:'IBALD! LORI S - M .O. i\L \ ',l\l. "

Direttore: Col. Med. Prof. E. M, 1-0i10

IL DISTACCO APOFISIARIO

DELLA TUBEROSITÀ ISCHIATICA Tcn. Col. Mcd. Oott. G. Cuccinicllo Caporeparto Ortopedia e Traumatologia

Trattandosi d i una entità nosologica relativamente rara , abbiamo ritenuto opportuno far riferimento con breve nota, ad un caso di apofisiolisi ischiatica traumatica giu nto recentemente alla nostra osservazione. B. Giancarlo di anni 21, soldato di leva, dopo circa un mese di servizio militare accusava ischialgia sinistra e veniva ricoverato nel reparto ortopedico - traumatologico di questo ospedale militare. All'ingresso lamentava una blanda sintomatologia sciatalgica sinistra a partenza dalla regione glutea. L'esame obiettivo non rilevava reperti patologici a carico dei vari organi ed apparan endotoracoaddo~inali. Rachide in asse, indolente e mobile in tutte le escursioni, non turbe sensitive periferiche, reflessivitì1 normale, segno di Lasègue accennato a sinistra, segno di Valleix gluteo 1.ievemente positivo a sinistra. La palpazione profonda in regione g lutea ed ischiatica sinistra suscitava dolore e permetteva di apprezzare una deformazione della tuberosità ischiatica. L 'indagine radiologica (fìgg. 1 e 2) dimostrava la presenza di una formazione ossea di cm 5 ¾ x T disposta parallelamente all'osso ischiatico di sinistra e diastasata da q ucsto di cm 2, con superfici sclerotiche e molate, mentre il letto dell'ischio si presentava a m argini irregolari ed alquanto frastagliati. Tale formazio ne venne interpretata quale esito di antico distacco apofisiario dal nucleo della tuberosità ischiatica. Una attenta indagine anamnestica permise di rilevare che il giovane, all'età di 15 anni circa, mentre eseguiva un eserciz io fisico in spaccata, aveva avvertito un vivo dolore alla regione gl utea inferiore sinistra.


Fig. r.

Fig. 2.

Fu accompagnato in un pronto soccorso ospedaliero ove venne posta diagnosi di distrazione muscolare e venne consigliato qualche giorno di n poso.


In effetti la sintomatologia dolorosa regredl totalmente dopo alcuni giorni di rip0so a letto senza lasciare alcun reliquato che limitasse le attività normali e sportive. Durante la breve degenza nel nostro reparto il paziente è stato tenuto a riposo acamatico e trattato con terapia medica antiflogistica, miorilassante e c~n un ciclo di applicazioni radar con scomparsa dell a sintomatologia ischialgica. Lo strappamento dell'apofisi della tuberosità ischiatica, per distacco dal nucleo di ossificazione, ha una rara incidenza in traumatologia. In letteratura i casi descritti non superano il centinaio anche se una certa percentuale di essi passa misconosciuta per la modestia del quadro clinico e delle turbe funzionali e quindi induce il curante a porre diagnosi di semplice distrazione muscolare ed a non richiedere il sussidio dell'i ndagine radiologica. Il nucleo che ossificando costituisce l'apofisi della tuberosità ischiatica è uno dei cinque nuclei secondari di ossificazione del bacino. Ha una forma a semiluna, a guisa di una lente che ripete il contorno del corpo dell'ischio con direzione obliqua - craniale e che compare verso i r4- 15 anni di età per saldarsi intorno ai 22 - 24 anni. Il distacco apofisiario della tuberosità ischiatica è una lesione tipica da strappamento in soggetti di sesso maschi le appartenenti al secondo decennio di vita, proprio durante il periodo della comparsa e saldatura del nucleo di ossificazione. Si verifica soprattutto in giovani sportivi, dotati di masse muscolari ben sviluppate e che praticano attività agonistiche quali la corsa, il salto, rugby, baseball, calcio, tutti sport caratterizzati da scatto, velocità e bruschi arresti. Ricordando che sulla tuberosità ischiatica si inseriscono gli ischio - tibiali (bicipite femorale, sernitendinoso e semimembranoso) ed il grande adduttore, il gracile, il quadrato femorale cd il gemd lo inferiore, si comprende come una richiesta funzionale dinamica che superi la soglia fisiologica possa causare una semplice distrazione muscolare nell'adulto ed un distacco della tuberosità ischiatica nel giovane, per la mino re resistenza del nucleo di ossificazione, disposto a guisa di sottile lente concava. Se nza dubbio il meccanismo traumatico è del tipo indiretto o per brusca e violenta contrazione muscolare o per distensione muscolare in seguito a contrazione di antagonisti. In particolare la frattura da strappamento della apofisi ischiatica è dovuta alla brusca e violenta distensione dei flessori del ginocchio ad anca flessa e ginocchio esteso come avvie ne nella corsa e nel salto in lungo, mentre alcuni casi trova no spiegazione patogenetica nella contrazione violenta degli adduttori che si ha nel tentativo di rialzarsi dopo un esercizio in spaccata. La rarità del reperto nei giovani sportivi ha posto in discussione da parte di varii Autori la esistenza <li concause predisponenti il distacco e lo stesso meccanismo traumatico.


Milch, Mr. Master e Castellana ritengono che il distacco apofisiario venga favorito dalla persistenza di alterazioni della cartilagine di accrescimento per sofferenza di origine disendocrina od osteocondritica e tale da causare un locus rn inoris resistentiae. Lapidari ritiene che ripetuti traumi subliminari con conseguenti emorragie nel tessuto cartilagineo creino una diminuita resistenza. Vacirca attribuisce a determinati sports che ipertrofizzano particolari gruppi di muscoli lo squilibrio tra potenza e resistenza sugli attacchi apofìsiari. Rampoldi e Boni ritengono che successivi insulti traumatici possano intervenire nel distacco apofisiario col reiterarsi delle medesime condizioni meccanico - dinamiche, specie nei casi di precoce ripresa di attività agonistiche. La sintomatologia è caratterizzata da un acuto dolore in regione glutea ischiatica con impotenza funzionale transitoria dell'arto inferiore omolaterale, che il paziente pone in flessione antalgica di anca e ginocchio. L'esame obiettivo può evidenziare un cospicuo ematoma della regione ischiatica che si estende sulla superficie posteriore della coscia ed una tumefazione dolente alla palpazione della zona ischiatica con acuzie algica durante la manovra di estensione dell'arto. L'esame radiologico evidenzia la presenza del distacco della tuberosità ischiatica con diastasi verso il basso e l'esterno di ampiezza variabile e tale, spesso, da spiegare la conseguente pseudoartrosi. In genere la sintomatologia dolorosa si attenua fino a scomparire dopo dieci- quindici giorni di riposo acamatico senza lasciare reliquati funzionali, il che ha indotto la maggior parte degli Autori a propendere per il trattamento incruento e praticamente conservativo della pseudoartrosi. Solo nei pochi casi in cui si instaurano sequele dolorose, a volte spiegabili con compressione sul nervo sciatico è preferito dalla maggior parte degli Autori l'intervento di asportazione del distacco più che la fissazione - osteosintesi dello stesso. Significativa nei riflessi del trattamento è la recente ricerca ( 1972) effettuata da Bernes e Hinds, tenenti colonnelli medici del servizio sanitario degli Stati Uniti, che su 39 casi di apofisiolisi ischiatica controllati nella letteratura inglese hanno riscontrato che il 68°<, non si è saldato, che dei 14 casi trattati chirurgicamente in IO si era effettuata l'asportazione secondaria del distacco per risolvere la sintomatologia dolorosa, che 3 delle apofisiolisi trattate precocemente con osteosintesi una era esitata in pseudoartrosi.

RIASSUNTO. Viene descritto un caso di distacco traumatico della tuberosità ischiatica sinistra che ha una rara incidet1za in letteratura. Si tratta di una lesione da strappo da parte dei muscoli ischiotibiali sulla inserzione prossimale e che trovano condizioni predisponenti in una minore resistenza del nucleo di ossificazione in giovani soggetti.


In genere si ha una guarigione in pseudoanrosi a,incomatica che consiglia il trattamento incruento con immobilizzazione seguita d a fisioterapia. So'o nei casi in cui si instaurano sequele dolorose limitanti il ritorno alla acriviti't sportiva può essere indicato il trallamento cruento con asportazione del distacco. La osteosintc,i, per quanto fana precocemente. non sicuramente c,·ita la pseudoartrosi secondaria.

Rfsm1É. - On fait ici la dcscripcion d'un cas dc détachcmem trau matique de la tubcrosité ischi:nique gauche che l'on trouvc raremcnt en li ctcraturc. Il s'agit d'une lésion par arrachement de~ musclc~ ischiotibiaux au point d'insertion proximale, cc, muscles trouvant chez les jeunes les conditions fa vorahles à cause d'une moindre resiscancc du noyau osseux. Géncralcmcnt la guérison se fait en (orme dc pseudo - arthrosc asympromatiquc pour la quelle l'immobilisation suivie de physioLhérapie est plus indiquée que l"operanon. L'opcration qui a pour but d'oter la partie détachée peut ctre préféréc seulmcnt dans le cas où se produisienc des séquelcs doulourouses limitane la reprise d'accivités sportives. On n'cst pas ccrtain d'evitcr la pseudo - arthro,c seconda ire mcmc si l'ostco - synthèse est fait prccoccment.

Su~tMARY. A case, rather uncommon in che literaturc, of trauma tic a, ulsion of lefc ischial tuberosity is described: it consists of a damagc caused by the tearing of ischium tihial musclcs on rhcir proximal inscrtion while thcrc is a predisposing con dition in thc !esser rcsiHencc of the nucleos of ossifìcation in young people. Generally there is a rccovcry whith an asymptomatic pseudo - :irthrosis which rccommends bloodless trcalmcnt by immobilizacion and successivcly phisiothcrapy. Only in cases whith painful scquence~, restricting physical cxcrcises, ~urgical act with removal of 1hc ischial tubero~ity may be recommended. The ostco- syntcsis, cven though it is precociously pcrformed, not always prevcnts from secondary pseudo - anhrosis.

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R ,,NDELL!


REGIONE MILIT ARE NORD EST • V COMAN DO YIILITARE TERRITORIALE DrREZlONE Dr Si\:--JITÀ · VERONA

Direttore: Gen. Med. Don. M . Gu.,R,-ERA

L'ORGANIZZAZIONE SANITARIA OSPEDALIERA MILITARE TERRITORIALE IN TEMPO DI PACE ALLA LUCE DELLA RIFORMA SANITARIA N AZION ALE (STUDIO ORGAN IZZATIV O)

Col. Med. Prof. A. Mastrorilti

L'argomento sul quale c1 siamo proposti di scrivere potrà sembrare strano dato che nel nostro ambiente, tutto è basato su rigidi schemi fissi regolamentari, secondo i quali si svolge tutta l'attività ospedaliera. E' bene però, ogni tanto, vedere, con una mentalità più aperta e libera da schematismi, che cosa si potrebbe fare per rendere più efficiente, più snello, più moderno in una parola, l'attuale organizzazione ospedaliera militare territoriale di pace, alla luce anche della riforma sani tari a nazionale. Quanto esporremo, rappresenta quindi il nostro personale pensiero sull'argomento, intendendo con ciò portare il frutto della nostra ultra ventennale esperienza ospedaliera allo scottante problema della modernizzazione delle strutture ospedaliere che, avendo investito in maniera radicale l'ambiente civile, non può trovarci legati a vecchi schemi ormai superati dai tempi e dall'aggiornarsi delle tecniche ospedaliere. Consideriamo perciò q uesto nostro studio, come collaborazione viva, partecipe e diretta alla soluzione del grande problema ospedaliero in generale, e stimolo ad eventuale discussione, che tenga conto alla fine delle idee di tutti coloro che al centro o alla periferia sono in teressati al problema. Il problema ospedaliero oggi è in prima linea nell'ambiente civile tanto che ha portato ad una vera rifor ma della quale da tempo si sentiva il bisogno urgente, unitamente alla riforma di tutta l'assistenza sanitaria e sociale, che non è ancora completata. Le proposte di riforma al sistema di sicurezza sociale sono tante, ma tutte si basano sul concetto del rispetto del dettato costituzionale che attribuisce allo Stato l'impegno di salvaguardare la salute del cittadino durante tutto l'arco della vita e quindi anche durante il periodo di servizio militare.


373 Vediamo, un po' in dettaglio, l'attuale legge ospedaliera e raffrontiamola alla nostra regolamentazione ospedaliera. Vediamo quali punti di contatto tale legge ospedaliera ha con la nostra attuale organizzazione. Il raffronto è semplice ed evidente: la legge sanitaria ospedaliera non fa altro che, nelle sue grandi linee schematiche, ricalcare la nostra attuale regolamentazione sanitaria ospedaliera. Per esempio, il « tempo pieno » per i medici ospedalieri non è altro che l'obbligo per i medici a rispettare ordini ed orari di servizio, come già avviene nel. nostro ambiente in maniera che il malato abbia sempre al suo fianco chi lo deve assistere, non solo con competenza ma anche con amore. Ed ancora: la suddivisione delle unità ospedaliere civili in Ospedali Regionali, Provinciali e Zonali, corrisponde quasi esattamente al criterio circoscrizionale da noi già in atto da tempo. Ci si potrà obiettare: ma se l'ambiente civile cerca di impostare la propria nuova struttura sull'attuale nostra regolamentazione, vuol dire che ' questa e' perf etta. I n realta' non e' cosi. Se non studiassimo di rinnovare la nostra organizzazione ospedaliera ci fossilizzeremmo in una cosiddetta crisi di quiescenza, che ci porterebbe un giorno ad avere strutture ospedaliere vecchie e non più al passo coi tempi. Del resto, isolatamente e diremmo inconsciamente, ognuno di noi si accorge di ciò che ormai è superato nel proprio ambito e cerca di adattare la regolamentazione attuale alle più aggiornate tecniche ospedaliere, creando però delle sfasature di base alla vecchia regolamentazione che, pur avendo i suoi meriti, è, indubbiamente, da aggiornare in taluni punti. Ci siamo riletto il Regolamento sul Servizio Sanitario per la parte che riguarda gli Ospedali. Dopo averlo letto, ci siamo chiesti che cosa si dovesse modificare in un settore che è, diremmo, quasi perfetto; dove tutto è previsto nei minimi particolari. Contemporaneamente abbiamo però dato anche uno sguardo retrospettivo a tutta la nostra ormai ultra ventennale attività ospedaliera militare, anche in raffronto a quella ospedaliera civile fatta in vari ospedali piccoli e grandi e centri universitari ed abbiamo subito notato due inconvenienti: 1) non è possibile svolgere la parte tecnica sempre o quasi in funzione medico - legale; 2) non è più possibile oggi avere contemporaneamente una responsabilità sanitaria tecnica ed una responsabilità amministrativa. Basta solo l'impostazione e lo studio di questi due problemi per incrinare la nostra regolamentazione fin dalle fondamenta. E' un sommovimento che, in un tempo non lontano, dovrà, per forza di cose, avvenire e sarà molto più grave per noi, se non ci saremo preparati in tempo per le giuste modifiche.


374 Questo sconvolgimento interesserà uomini ed infrastrutture e non solamente sanitarie, perciò sarà bene cominciare a parlarne e prepararsi almeno spiritualmente. Abbiamo sempre considerato l'Ospedale non un unico fattore, ma una somma di fattori tutti intimamente connessi tra loro a costituire il problema unico: l'Ospedale. Un primo fattore importante da considerare è il fattore umano: esso si riferisce non solo al malato ma anche al personale sanitario e di assistenza. Senza entrare nel problema economico, collegato a tanti fattori superiori alle nostre idee e alla nostra volontà, ma che resta un elemento importante di base, è bene considerare, prima di tutto, l'opportunità di invertire il rapporto sulla dizione attuale di Ufficjale medico, onde considerare il fattore uomo preminentemente sotto il profilo tecnico - professionale, sia per quanto riguarda g li Ufficiali medici che il personale militare e civile di assistenza. La nostra duplice veste di Ufficiali medici, perciò, se da un lato è ancora compatibile sotto il profilo di rapporto gerarchico - disciplinare, non può più esserlo sotto il profilo tecnico - professionale, che dovrebbe farci considerare invece « Medici Ufficiali >>. I progressi della scienza medica sono tali che si è arrivati alle specializzazioni nelle specializzazioni, perciò non è più compatibile oggi l'Ufficiale medico che sappia di tutto e faccia di tutto, dal medico aJ chirurgo, al cardiologo, al neurologo, ecc. Ed invece avviene che oltre a saper di tutto un po', l'Ufficiale medico è anche investito di una funzione medico legale che è funzione squisitamente specialistica e piena di gravi responsabilità verso se stessi e verso gli altri, al meno a determinati livelli. Quella mentalità fiscalistica che ognuno di noi acquisisce durante il servizio può essere logica e giusta nel proprio campo di competenza, ma non in altri campi. Ecco perché non possiamo essere più un corpo sanitario « bon a tout faire >> come purtroppo ancora accade. E' tempo che ognuno faccia e sappia fare bene il proprio mestiere nella sua branca, scelta spontaneamente e che va coltivata ed aggiornata sempre, per seguire, di pari passo, il progresso tecnico - scientifico. Si ricaverebbe così il duplice vantaggio di avere dei medici veramente preparati nel proprio campo con sfera di competenza specifica, ma tutti, intimamente legati fra loro, nel complesso ospedaliero, dalla reciproca stima professionale e degli Ufficiali legati da vincoli disciplinari reali e sentiti. In parole povere, l'Ufficiale medico ospedaliero deve essere inquadrato in tre diversi ruoli: 1) ruolo tecnico; 2) ruolo organizzativo; 3) ruolo medico legale.


375 Cosl facendo, sarà valorizzato il meglio di ogni singolo Ufficiale medico che, libero da problemi economici e libero da problemi di cumuli di incarichi, potrà dedicarsi veramente ali 'affinamento delle proprie capacità in campo tecnico, organizzatjvo e medico legale. Si valorizza così il fattore umano del medico e dell'assistito in genere, in guanto da medico più preparato, il malato è servito meglio, da medico legale più preparato, il cittadino è giudicato con animo più sereno e con maggiore precisione; da medico organizzatore più preparato, si avrebbe una organizzazione ciel servizio più perfetta e più consona alle esigenze del momento proposte dagli organi direttivi delle varie FF.AA. Ci si potrà obiettare che questo sarebbe possibile con un maggior numero di Ufficiali medici, ma abbiamo premesso che questa esposizione è uno schema ideale che presuppone indubbiamente l'impostazione e la soluzione di problemi legislativi ed economici che non ci sembrano però trascendentali ed irrisolvibili, specie se si entra nell'ordine di idee di considerarci (( Medici - Ufficiali », e se si farà in maniera che la nostra organizzazione sanitaria non venga considerata avulsa o inesistente dalla nuova legge di riforma sanitaria nazionale. In altre parole se si riesce a farci considerare parte integrante ed importante della Sanità nazionale. A questa condizione le nuove leve non potranno mancare certamente. In questo schema ideale, e nel fattore umano, è bene inquadrare il problema della Libertà professionale dell'Ufficiale medico. E' notorio che l' (< Ufficiale medico è libero nelle ore libere dal servizio di esercitare la libera professione ». Sembra un gioco di parole sul tema << libertà», ma quale libertà dal servizio ha l'Ufficiale med ico, sempre con la spada di Damocle sul capo, di una improvvisa chiamata in servizio per mille motivi, sempre soggetto ad un improvviso trasferimento; che deve essere soprattutto inattaccabile dall'ambiente esterno proprio in virtù di quella tale funzione medico legale e fiscale che gli viene attribuita ? Ed inoltre, dove è più la libera professione in una Nazione dove la socializzazione della medicina è già in atto da molto tempo col servizio mutualistico e che tende verso la nazionalizzazione del servizio stesso? Sarebbe invece tanto più semplice, dopo aver ridimensionato il problema economico, inibire all'Ufficiale medico di prestare servizio presso enti vari, lasciandogli quel po' di libero esercizio professionale privato che residuerà. Tale concessione consentirà all'Ufficiale medico di esercitarsi in una patologia estesa a tutte le età ed ai due sessi e non limitata alla patologia dell'età giovanile e del sesso maschile solamente, come avviene attualmente. In cambio sarà giusto pretendere, però, un continuo aggiornamento tecnico professionale faci litando e stimolando la partecipazione a corsi di specializzazione, pubblicazioni, partecipazione attiva a congressi e simposi vari a carattere regionale, nazionale e internazionale. 5. - M.M.


Dopo una faticosa giornata ospedaliera, tornare a casa scevri da preoccupazioni economiche, dedicarsi alle cure della propria famiglia ed allo studio per aggiornarsi e tenere dietro al progresso scientifico, sentirsi chiamati dalla fiducia di pazienti privati a svolgere la propria attività di medico, credo che sarebbe gradito a tutti. Ci si sentirebbe più uomini, più medici, nonostante il cumulo delle proprie responsabilità. Anche il personale di assistenza merita qualche parola in questo studio del fattore umano. Disponiamo di pochi infermieri, civili e militari, ci lamentiamo che i reparti e gli ospedali non funzionano bene ed intanto abbiamo personale qualificato, anche se col vecchio sistema, infermieri, perché proveniente dalla Scuola di Sanità dove ha svolto un regolare corso, disseminato negli uffici vari degli ospedali. Mi riferisco ai Sottufficiali di Sanità. Sono stati tutti classificati ed abilitati ali'esercizio de Ile prestazioni intermieristiche ma soltanto pochissimi sono quelli che la esercitano, mentre in tutti gli Uffici, dalla Direzione, all'Amministrazione, ai Magazzini, questi Sottufficiali sono impiegati in compiti per i quali non sono stati né reclutati né istruiti a Scuola. Imparano a lungo andare un nuovo mestiere: quello del <e burocrate », mentre dimenticano lo scopo e la fina lità per cui hanno frequentato una Scuola ad hoc; e nei Reparti si va avanti alla meno peggio con le Suore, dove ancora ci sono, con qualche infermiere civile, qualche Sorella della C.R.I., o con i piantoni che talora adempiono per necessità anche a qualche mansione infermieristica. Il problema c'è e non lo si può disconoscere e non è difficile a risolversi, affidando a Sottufficiali di amministrazione o di arma la parte amministrativa e di magazzino ed a quelli di Sanità transitati nei ruoli e< con mansioni d'ufficio », quella burocratica dei vari Uffici. Si valorizzerebbe così la vera personalità tecnica dei nostri Sottufficiali, alcuni dei quali vivono e soffrono la vera vita ospedaliera, mentre altri vivono la vita del funzionario di concetto con scarsa responsabilità e che si riconosce per Sottufficiale di Sanità solo dalla mostrina che porta sulla divisa. Possono sembrare delle considerazioni crude ed amare, ma sono realtà in tutti gli Ospedali e la nostra esperienza ospedaliera militare in varie sedi ce ne dà conferma. Si creano così guelle forme di assoluta competenza in un determinato campo che portano alla facile quali fica di insostituibile e creano guello che noi chiamiamo il cc complesso dello scaffale )) , nella mentalità del Sottufficiale burocrate il quale non ragiona più con la sua logica ma con la mente imbrigliata dalle rigide norme regolamentari imparate ed eseguite per prassi continua di lunghi anni.


377 Quanti dei nostri Sottufficiali addetti da anni agli uffici sanno più fare una iniezione ? Crediamo pochissimi, ma tutti sanno discutere di stato giuridico, leggi di avanzamento, pensioni, leggi amministrative, ecc. Così facendo, hanno inconsciamente cambiato la funzione per cui sono stati arruolati. Di chi la colpa? Forse un po' dell'attuale organizzazione che per la verità risente in tutti i settori dell'ambito militare di una carenza di personale veramente grave. Sul fattore umano, ci sarebbe ancora da dire qualcosa a riguardo del personale civile, religioso sempre più scarso e sempre più indispensabile. L 'importanza del personale paramedico è da tutti riconosciuto, sicché tutti gli Ospedali Civili tendono a fabbricarselo, come si suol dire, in casa con la istituzione di corsi per infermieri generici e specialistici. Altrettanto si dovrebbe fare almeno presso gli Ospedali Militari più importanti, garantendo ai freg uentatori però l'immediata assunzione in ruolo presso i vari Ospedali. Ciò contribuirà a poco a poco anche a risolvere il problema della scarsezza delle Suore infermiere che si vanno riducendo sempre più di numero per la scarsità di vocazioni. E' un vero peccato vedere scomparire a poco a poco le Suore dagli Ospedali eh.e, a nostro modesto avviso sono insostituibili, almeno per il loro spirito di sacrificio e di adattamento, oltre all'innato senso dell'ordine e della precisione nelle loro mansioni uniti a quello spirito di carità cristiana, che solo una vita dedicata al prossimo può estrinsecare; ma purtroppo bisogna fare di necessità virtù. Poche parole sull'altro tenni ne del fattore umano: il malato o il cittadino in genere che viene a visita. La ~ocializzazione della medicina ha indubbiamente sviluppato la coscienza sanitaria del cittadino. Oggi il cittadino non è più un ignorante delle cose sanitarie, talvolta ne sa più del medico. Ma mentre nel l'ambiente civile il cittadino va in ospedale disinteressatamente per il recupero della propria salute o per l'accertamento del suo stato di salute, da noi invece viene prevenuto o per eccesso o per difetto. Da parte nostra, peraltro, è difficile vincere quella particolare forma mentis fiscale che tanti anni di attività finiscono per formare in ciascuno di noi. Si crea così un conflitto di mentalità che solo la persuasione, la calma, la serenità unita ad una solida preparazione professionale, riescono a risolvere e a ridare al cittadino la fiducia verso di noi ed in noi la serena coscienza di trovarsi di fronte ad un malato. E ' necessario quindi ricreare, anche nel nostro ambiente, il rapporto <, fiducia » tra il cittadino e noi, dimostrando a tutti quanto si valga nel cam-


po specifico professionale, se nza falsa modestia, ed accogliendo il cittadino stesso in ambienti attrezzati perfettamente e modernamente, sicché in lui si formi la convinzione che è stato fatto tutto quanto era possibile fare sernndo scienza e coscienza per curarlo o per accertare a fini medico legali. Ricreata così la reciproca fiducia tra medico militare e cittadino, sarà più semplice far funzionare la nostra complessa macchina burocratica. Intimamente collegato col fattore umano è il secondo termine del problema: il fattore organizzativo. Vediamo dal nostro « Regolamento sul Servizio Sanitario n, la definizione dell'Ospedale Militare (para. 42, art. 10) : « E' istituito per accogliere in cura ed in osservazione gli uomini di truppa, i sottufficiali, gli iscritti di ler,a ed i loro parenti inviati in osserr•azio11e . .. gli Ufficiai, in servizio, gli Ufficiali in licenza di qualunque specie, in congedo provvisorio, in aspettativa, in posizione ausiliaria, gli impiegati civili, truppa e Ufficiali, Sottufficiali e personale tiella Marina, Aeronautica e tutte le Forze Armate, ecc. », e più avanti al para. 43 : (( ... potranno pure essere ricotierati negli Ospedali Militari persone estranee ferite o colpite da gravi malori che abbiano bisogno urgente tli soccorso e di cui non sia possibile il trasporto altrot1e . .. » . Bastano solo questi due paragrafi dell'art. IO per definire con parole scarne ma precise le attuali funzioni dell'Ospedale Militare: cura ed accertamenti no n solo a scopo diagnostico e medico legale, ma anche di pronto soccorso per tutti. Inoltre è previsto molto chiaramente chi può fruire delle prestazioni dell'Ospedale Militare. Può l'Ospedale Militare far fronte a tali funzioni secondo l'attuale strutturazione? E' qui che il fattore umano si completa col fattore organizzativo e sorge il problema chiave che già abbiamo esposto : quello cioè della illogica dup licità della nostra personalità che si deve estrinsecare sempre in modo plurimo in ogni sfera di attività: quella tecnica, quella statistico - burocratica e quella fiscale. Come è possibile concepire oggi questa moltep licità di funzioni nella branca medica quando, a stento, si riesce a tener dietro, per sommi capi, al continuo evolvere della scienza ? La soluzione l'abbiamo già anticipata e consiste nello scindere il servizio nei tre ruoli: tecnico, organizzativo e medico legale. Ed ecco la nostra proposta, che non penso sia di difficile attuazione, sempre che non la si giudichi sotto un profilo di importanza prioritaria da attribuire a ciascun ruolo. Questi ruoli distinti permetterebbero l'affinamento degli Uffi ciali medici nella propria branca di competenza e si ripercuoterebbe nella maggior precisione del serviz io in favore dei cittadini alle armi e non.


379 Tutti gli Ufficiali dovrebbero partire da una comune piattaforma di servizio ai corpi: terminato questo servizio, mediante opportuni corsi di qualificazione da svolgersi come diremo, dovrebbero indirizzarsi nel ruolo cui intendono dedicarsi e da loro liberamente scelto. TAVOLA N. I.

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l RUOLO MBoÌco LEGALE !

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I RUOLI (tav. r ).

a) Ruolo organizzativo. Deve raggruppare gli Ufficiali medici da Capitano in su che, dopo aver frequentato un corso a caratter e prettamente logistico - organizzativo presso la Scuola di Sanità, dovrebbero assumere nell'Ospedale Militare le funzioni


organizzative generali (Aiutante Maggiore. Segretario, Vice Direttore, Direttore Sanitario). Dovrebbero conseguire la specializzazione m Igiene e Tecnica ospedaliera.

b) Ruolo medico - legale. Deve raggruppare quegli Ufficiali che dopo aver frequentato un particolare corso a carattere prevalentemente medico - legale presso la Scuola di Sanità e conseguita la specializzazione di medicina legale presso Istituti Universitari, dovrebbero provvedere al funzionamento della Sezione Medico Legale ed accertamenti di ciascun Ospedale, di cui diremo in appresso.

c) Ruolo tecnico. Dovrebbe raggruppare tutti gli Uffìciali medici specialisti e non, Clii deve essere affidata la cura dei ricoverati. Questi Uffìciali dovrebbero essere specialisti nelle vane branche della scienza medica. Di questo ruolo, parleremo un po' più dettagliatamente ora parlando della organizzazione ospedaliera. G li Ospedali Militari si dovrebbero distinguere in: r) Ospedali Militari Principali o Centro Clinico Militare; 2) Ospedali Militari Regionali; 3) Ospedali Militari Circoscrizionali; 4) Convalescenziari - Cronicari; 5) Stabilimenti balneo - termali ; 6) Ospedale Specializzato per forme neoplastiche (tav. 2); 7) Ospedale Specializzato per la cura delle cardio - reumopatie. Tralasciamo di parlare degli Stabilimenti balneo - termali, la cui funzione ed organizzazione è a tutt'oggi ben nota, anche per esperienza diretta e che può essere conservata. Diciamo qualche parola per l'Ospedale Specializzato per forme neoplastiche. A tale scopo potrebbe essere adibito l'attuale Ospedale Militare per le forme reumatiche di Anzio. A nostro modesto modo di vedere dovrebbe ampliare i suoi compiti allo studio ed alla terapia delle forme neoplastiche che si fanno sempre più frequenti nel nostro ambiente. aturalmente dovrebbe avere una più ampia attrezzatura diagnostica e terapeutica e ricettiva tenendo conto che il neoplastico è q uasi sempre un malato a lunga degenza. Oggi la maggior parte di queste forme fin iscono ricoverate, a spese della nostra amministrazione, nelle cliniche universitarie e specializzate a cui si pagano rette alte, mentre pensiamo che la cura diretta accentrata in un unico Istituto, affidato a personale altamente specializzato nelle varie


TAVOLA N. 2. ORGANIZZA ZIONE OSPEDALIERA NAZI ONALE

CENTRI CLINICI

MI LI TARI

OSPEDA LI MILITARI REGIONALI

! OSPEDALI MILI 'NRI CI~COSCRIZèO:fi,LI !

CONVALESCF:NZIAf!I

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OSPSJALll Ji'ciCI-\l,I½ .. A':0 P:m LA LOTTI\ E LA Gt/H.\ D!ìI Tm..Oln !

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branche (oncologia, radiologia e terapia ad alte dosi, ematologia ed analisi cliniche) porterebbe ad un minor costo di esercizio e quindi una economia di gestione di tutto il servizio sanitario. Non è umano oggi in tem.po di medicina sociale avanzata, dopo aver individuato e riformato i neoplastici restituirli alle famiglie che dovranno poi assistere il malato dove e come potranno, creando così loro, talvolta , gravi problemi economici e tecnici. La medicina è anche prevenzione e noi abbiamo anche una funzione sociale importante che non possiamo sottovalutare; inoltre noi abbiamo in consegna dalle famiglie dei giovani ed abbiamo quindi la possibilità di un dépistage di massa per la evidenziazione e la eventuale terapia di forme neoplastiche allo stato iniziale, con tutte le relative conseguenze di carattere medico, economico, sociale. E' ovvio che l'organizzazione di tale Ospedale Specializzato, che chiameremo Centro Ospedaliero Militare per la cura dei Tumori, andrebbe studiata in maggiori dettagli .


La scelta dell'Ospedale Militare di Anzio non è casuale, ma è dettata dalla vicinanza al grande Centro Ospedaliero Militare del « Celio n di Roma, della cui consulenza specialistica ed attrezzature particolari potrebbe fruire. Le attuali funzioni dell'Ospedale Mili tare di Anzio potrebbero essere devolute a qualche altro Ospedale Militare vicino a qualche Centro Universitario. Trattiamo ora dell'Ospedale M ilitare Regionale e guardiamolo prima sotto il profilo della organizzazione generale e poi ne faremo le nuove classificazioni.

T AVOLA N. 3-

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Ogni Ospedale Militare dovendo svolgere la duplice funzione per cui è stato istituito, avrà quindi (tav. 3): I) una Direzione; 2) una Sezione Clinica; 3) una Sezione Medico - Legale ed accertamenti; 4) un Poliambulatorio specialistico: 5) una Se1,ione Igiene e Profilassi (tav. 4): La Direzio11e dovrebbe essere scissa in: a) Direzione Sanitaria; b) Direzione Amministrativa. La Direzione Sanitaria dovrebbe comprendere : a) una vice Direzione Sanitaria: b) un Ufficio del Segretario; e) un Ufficio dell'Aiutante Maggiore; d) un Ufficio Personale Militare; e) un Ufficio Ordinamento e pubbliche relazioni; /) un Ufficio Maggiorità; g) un Ufficio Rapportino e statistica; h) un Ufficio Posta; i) un Ufficio Tecnico. La Direzione Amministrativa dovrebbe comprendere: a) Direttore amministrativo o Relatore; b) Ufficio Conti e Cassa; e) Ufficio Magazzino ed approvvigionamento: d) Ufficio Personale civile; e) Ufficio Archivio e Matricola; /) Uffici Amministrativi vari. La Direzione Sanitaria è retta dal Direttore : Col. Mcd. o Geo. Mcd. nei Centri Clinici Militari di cui diremo dopo. La sola lettura dei compiti e delle attribuzioni del Direttore dell 'Ospedale previsti dall'attuale regolamentazione, fa tremare le vene ed i polsi. Basti solo pensare alla gravosità delle responsabilità amministrative e medico - legali a lui devolute per (ar concludere, con tutta obiettività, che la direzione ospedaliera presuppone un impegno veramente notevole. Ecco perché noi proponiamo di scindere le responsabilità amministrative e medico legali del Direttore sanitario devolvendole per intero: quella amministrativa al Direttore amministrativo e quella med ico legale al Vice Direttore Capo della Sezione Medico Legale cd accertamenti . Su entrambi, il Direttore conserverebbe solo una funzione di alta vigilanza.


TAVOLA N. 4·

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Sgravato da queste due g randi incombe nze, il Direttore potrà veramente dedicarsi alla organizzazione tecnico - sanitaria e funzionale del complesso ospedaliero. Il Vice Direttore dovrebbe rappresentare in teoria la continuità della gestione tra i vari Diretto ri ; pertanto deve e ssere al centro di tutta l'attività ospedaliera a fianco del Direttore, inoltre dovrebbe avere la funzione di collegamento tra i vari Capi Reparto e la Direzione. D 'altra parte g li Ospedali gestiti dalla Marina Militare hanno sempre avuto la carica del Vice D irettore.


Il Segretario (Ufficiale medico superiore) conserverebbe le attuali funzioni prescritte dal Regolamento e sarebbe il responsabile dell'Ufficio coordinamento e pubbliche relazioni. Il coordinamento va inteso nell'ambito ospedaliero e tra Ospedale ed ambiente esterno pubblico e privato. E' un ufficio molto importante cli cui si sente oggi la necessità per alleggerire il lavoro enorme del Direttore e dell'Aiutante Maggiore. Si creerebbe così nel contempo un limite netto alle competenze del!' Aiutante Maggiore che, il più delle volte giovane, può, per la sua inesperienza, creare delle situazioni critiche o non saper affrontare la soluzione di talune questioni. L'Aiutante Maggiore (Capitano medico) ha la responsabilità attribuitagli dall'attuale regolamentazione e sovraintende al perfetto funzionamento degli uffici della Direzione da lui dipendenti. Nella qualifica di Comandante della Compagnia di San:ità dovrebbe essere sostituito da Ufficiale di Arma che dovrebbe badare alla parte prettamente riguardante la disciplina ed il funzionamento del predetto reparto. I vari Uffici della Direzione Sanitaria conservano le attribuzioni affidate loro dalla attuale organizzazione. Qualche parola sull'Ufficio Tecnico: dovrebbe essere affidato ad un Sottufficiale od Ufficiale ciel Genio e dovrebbe avere le funzioni dell'attuale ufficio minuto mantenimento con una duplice dipendenza: amministrativa, dal Direttore amministrativo e dal Capo Ufficio Magazzino approvvigionamento; direttiva, dal Vice Direttore Sanitario e dall'Aiutante Maggiore. La Direzione Amministrativa con relativi uffici, dovrebbe essere affidata ad Ufficiali e Sottufficiali di amministrazione ed a personale impiegatizio civile. Della Di1ezione fanno parte anche il Cappellano ed il responsabi le della biblioteca che dipendono: il primo direttamente dal Vice Direttore, dal Segretario, dall'Aiutante Maggiore; il secondo da quest'ultimo che è il consegnatario della biblioteca. Della Direzio ne fa parte il Vice Direttore, Capo Sezione medico legale ed accertamenti che è direttamente responsabile dei provvedimenti medico legali del Reparto Osservazione, mentre avrebbe solo il controllo e la vigilanza sulle decisioni della C.M .O. e del C.M.I. La Sezione Medico Legaie ed accertamenti sarebbe così organizzata (tav. 5): 1) un Reparto Osservazione con un Ufficio rassegne ed un Ufficio Statistica medico - legale; 2) C.M.O.;

3) C.M.I.; 4) Reparto Speciale per accertamenti tbc 5) Ambulatori e laboratori specialistici van con funzionamento esclusivo a fini medico legali.


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Vediamo o ra la organizzazione fu nzionale della Sezione Clinica dell'Ospedale Militare tipo. Essa comincia dalla istituzione e funzionalità dei seguenti Reparti :

r) Reparto Deposito. Dovrebbe accogliere tutti i ricoverati nuovi entrati di qualsiasi natura ad eccezione dei neurologici, degli infettivi, dei traumatizzati di una certa importanza e dei chirurgici e medici di particolare gravità che l'Ufficiale medico di g uardia o l'Ufficiale di vigilanza ritengono opportuno ricoverare direttamente nei rispettivi reparti. D ovrebbe essere affidato alla direzione di un esperto Ufficiale medico generico che dovrebbe operare la cernita dei casi veramente abbisogncvoli di cure particolari nei vari reparti specialistici. Provvederà invece all'accertamento ed alla dimissione di quegli ammalati affetti da malattie o lesioni di breve durata, non complicate e di scarsa importanza medico - legale. D ovrebbe essere perciò indubbiamente un grosso reparto che sgraverebbe notevolmente il lavoro attuale dei vari reparti specialistici di cura talvolta intasati da malattie di lieve entità. La degenza nel reparto non deve superare la settimana dopo la quale il malato passerebbe al competente reparto di cura, o verrebbe dimesso o passato alla Sezione Medico Legale ed accertamenti per i provvedimenti. In altri termini, l'attuale Reparto Osservazione, spogliato delle sue funzioni medico legali, potrebbe svolgere la fun zione di Reparto Deposito. D a questo Reparto i vari Capi Reparto possono far trasferire gli ammalati che interessano loro per ragioni di studio o per motivi particolari.


Al Reparto Deposito fanno seguito i vari reparti di cura la cui costituzione varierà solo secondo il tipo di Ospedale di cui fanno parte. Nell'Ospedale Militare Territoriale Tipo, noi prevediamo i soliti reparti di cura con la sola differenza che riguarda i reparti misti. Li vediamo scissi in due: - Reparto Misto A, comprendente una sezione oculistica e otorino; - Reparto Misto B, comprendente una sezione dermoceltica e stomatologica. La notevole quantità di traumatizzati consiglia la istituzione di un Reparto Traumatologico con annesso gabinetto di fisioterapia, scissi dal Reparto Chirurgia. Vediamo ora il personale di un Reparto (tav. 6). TAVOLA N. 6.

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Il Capo Reparto: ha le funzioni direttive tecniche e disciplinari che l'attuale regolamentazione gli attribuisce. E' da considerarsi come il Primario degli Ospedali civili. e sarebbe opportuno che così si chiamasse. La sua nomina dovrebbe avvenire mediante regolare concorso a carattere nazionale. I posti di Capo Reparto dovrebbero essere messi a concorso tra Ufficiali superiori specialisti provenienti dal ruolo tecnico e che pratichino veramente


la specialità e che abbiano conseguito la idoneità in concorso a carattere nazionale, sì da rendere valido il titolo di idoneità conseguito a tutti gli effetti ed in tutti gli ambienti. Tali posti potrebbero essere messi a concorso, secondo la classificazione e l'importanza dell'Ospedale, anche a personale civile, posto però su scala di parità economica col personale militare. Si otterrebbe così il vantaggio di affidare la direzione di un reparto di cura a persona veramente qualificata. Si stimolerebbero così gli Ufficiali medici allo studio per consegtùre il traguardo del primariato che darebbe adito anche ad una certa stabilità di sede. Dovrebbe essere istituito in organico il posto di Aiuto, oggi inesistente, e che dovrebbe essere assegnato per concorso a carattere territoriale fra gli Ufficiali medici (Capitano, Maggiore). Il posto di Assistente dovrebbe essere messo a concorso a carattere territoriale con prove di esami a carattere generale. Tutti i concorsi dovrebbero avere svolgimento secondo le leggi vigenti per l'ambiente civile. Così facendo, si garantirebbe agli Ufficiali medici una certa stabilità nella sede di servizio e si eliminerebbe uno dei motivi della defezione di neolaureati dai nostri concorsi di arruolamento. Così organizzata, la carriera ospedaliera degli Ufficiali del ruolo tecnico, porterebbe a salire ad uno ad uno i vari gradini della carriera stessa, che dovrebbe essere sempre svolta nella propria branca specialistica. Anche per gli altri due ruoli, organizzativo e medico legale, gli incarichi dovrebbero essere affidati per concorso tranne quelli di Assistente dei Reparto Osservazione e di membro del C.M.L e della C.M.O., che dovrebbero ~ssere assegnati ai vincitori del concorso per assistente medico - chirurgo genenco. Per tutti e tre i ruoli la carriera ospedaliera sfocierebbe nella q ualifìca di Vice Direttore e, successivamente, di Direttore. A tali qualifiche si arriverebbe su valutazione tecnica della carriera ospedaliera nei tre ruoli, fatta dalla superiore Direzione Generale. Seguendo questo sistema che noi proponiamo, si avrebbero come Direttori di Ospedali Ufficiali medici edotti e pratici completamente nella difficile vita ospedaliera. Indubbiamente, quanto abbiamo prospettato, può sembrare una utopia, perché sconvolge l'attuale sistema della carriera militare. Ma uno studio logico e sereno della carriera stessa, anche così come è oggi, porta a farci concludere che non sarebbe difficile far coincidere la promozione nel grado con quella nelle funzioni, ponendo il termine minimo di permane nza nel grado guale sistema infrenante sia per la partecipazione ai concorsi che per la promozione al grado superiore.


2) 11 Poliambulatorio specialistico. Rappresenta il completamento di ognj ospedale. Dovrebbe essere organizzato in locali distinti dai Reparti di cura, per non intralciare il loro funzionamento. Ai vari ambulatori, che dovrebbero avere giorni ed ore prestabiliti dì funzionamento o cura di ogni singola specialità, devono essere avviati tutti coloro che dai corpi o da altri e nti e reparti sono ritenuti abbisognevoli di consulenza specialistica.

3) Sezione Igiene e Profilassi. Si basa sulle stesse strutture igienico - profìlattiche ospedaliere, cioè: reparto infettivi, reparto speciale, reparto accertamenti tbc, affìdati ad Ufficiali medici specialisti in igiene ,e malattie infettive e virologia. Definita nei suoi dettagli, l'organizzazione dell'Ospedale Militare Territoriale, che dovrebbe rappresentare l'Ospedale Tipo, passiamo a dire qualche parola sugli altri tipi di Ospedale che abbiamo previsto parlando della organizzazione ospedaliera nazionale. E' notorio che la medicina oggi ha raggiunto un notevole grado di perfezione soprattutto grazie alle più alte e qualificate specializzazioni delle sue branche. Oggi, negli Ospedali Militari, queste specializzazioni sono rispettate nelle grandi lince generali (medicina, chirurgia, otorino, oculistica, radiologia, ecc.), mentre per quanto riguarda la soluzione di casi piuttosto complicati di ogni branca specialistica, ci si serve in genere della organizzazione di centri universitari, il che comporta una notevole spesa per le lunghe degenze e per le costose ricerche e contemporaneamente ci si trova sempre di fronte al problema della valutazione medico legale in tutti i sensi, che l'ambiente civile non fa. Ecco perché noi prevediamo la costituzione di una nuova grande unità ospedaliera a carattere plurispecialistica, qualificata e con giurisdizione molto ampia. A questa unità diamo il nome di << Centro Clinico Militare)) . Questo Centro sarebbe costiituito da una Direzione affidata ad un Generale Medico e dalle solite Sezioni Cliniche formate da: una Sezione Chirurgica, che comprenda: 1) Reparto Chirurgia Generale; 2) Reparto Traumatologia e Ortopedia; 3) Chirurgia Plastica; 4) Reparto Urologia; 5) Reparto Neurochirurgia; 6) Reparto Chirurgia Toracica. Una Sezione medica comprendente: 1) Reparto Medicina Generale;


2) Reparto Cardio - Reumatologia; 3) Reparto Malattie Endocrine; 4) Reparto Malattie sangue e ricambio; 5) Reparto Neurologia e Neuropsichiatria; 6) Reparto efrologia con Centro dialisi. Una Sezione mista, comprendente: r) Reparto otorino; 2) Reparto oculistico; 3) Reparto dermatologico; 4) Reparto odontostomatologico. Una Sezione La.boratorio : r) Laboratorio analisi cliniche, biologiche, anatomo - patologiche. 2) Reparto Radiologico per diagnostica e terapia (tav. 7). E' ovvio che questo Centro deve essere ampio e noi, in realtà, ne prevediamo solo tre nel territorio nazionale: uno per il ord, uno per il Centro ed uno per il Sud, potenziando strutturalmente e funzionalmente tre grandi Ospedali già esistenti in tali settori, e possibilmente sedi universitarie. Alle Sezioni cliniche, il Centro aggiunge le solite Sezioni medico legali ed accertamenti come l'Ospedale Militare Territoriale. Questo Centro svolgerebbe, per il territorio dove è ubicato, anche la funzione dell'Ospedale Militare Territoriale. Altra unità ospedaliera che noi prevediamo, è rappresentata dall'Ospedale Mi"litare Circoscrizionale. Esso avrebbe la stessa struttura e gli stessi compiti dell'Ospedale Militare Territoriale solo con capacità ricettiva inferiore e con possibilità specialistiche limitate solo alle branche più comuni della medicina e chirurgia. La sua organizzazione non comporta radicali trasformazioni delle attuali strutture organizzative ospedaliere, in quanto sarebbe, grosso modo, paragonabile agli attuali Ospedali Militari di 2 • categoria. Le Infermerie Presidiarie noi le vedremmo inquadrate non più in funzione ospedaliera ma solo in funzione di primo r icovero presso quelle unità militari, che siano distanti da una unità ospedaliera sopra descritta. Sarebbe opportuna la istituzione di alcuni convalescenziari ubicati in zone climatiche salutari e che dovrebbero servire almeno la giurisdizione di un attuale comando territoriale. La loro organizzazione dovrebbe essere solo di tipo ricettivo e le prestazioni terapeutiche debbono essere solo limitate a quelle di carattere generale e ricostituente. A tali convalescenziari dovrebbero far capo i dimessi dagli Ospeda)j Mi litari che non abbiano bisogno di particolari cure e che siano in scadenti condizioni generali e che non abbiano i mezzi di sussistenza in famiglia. In tali convalescenziari, la parte servizi generali, potrebbe essere svolta dagli stessi degenti che nel graduale riadattamento al lavoro troverebbero il


39 1 TAVOLA N. 7.

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mezzo per il proprio completo inserimento nella società e si eviterebbero così, specie nei lungo degenti, la insorgenza di nevrosi da indennizzo. A tale scopo potrebbe essere utilizzato qualche complesso attualmente adibito a soggiorno montano o marittimo. Altra unità ospedaliera che sarebbe utile is tituire è rappresentata dal Cronicario.

6. - M.M.


39 2 Purtroppo capita spesso di vedere malati affetti da infermità irreparabili o da lesioni, che vengono sballottati da un Ospedale Militare all'altro con la comoda etichetta di cc avvicinamento alla famiglia » che nasconde, invece, la volontà di liberarsi di un grosso peso che comporta lavoro, assistenza, pazienza, spi rito di sopportazione, ecc., in un determinato ospedale. é d'altra parte è giusto bloccare un posto letto con relativo personale in un reparto di cura per un tempo indeterminato. E' anche giusto che a questi poveri ammalati, in attesa solo della loro fine, si dia tutta la possibile assistenza quando le famiglie, per vari motivi, non possono o non vogliono accettarli in casa. Non sono pochi i casi, né sono rari come frequenza ed incidono fortemente sul costo economico di un Ospedale. Sono, molto spesso, ammalati lucidissimi di mente che si adattano e rassegnano con difficoltà all'idea della loro lunga malattia, quindi richiedono spesso consulti , ricoveri presso centri universitari od ospedalieri che incidono notevolmente sul costo economico. Ecco perché noi proponiamo di istituire tale unità ospedaliera, a carattere anch'essa Territoriale, a cui possano far capo, non solo militari in servizio, ma anche i vecchi militari di ogni ordine e grado, pensionati, in assoluta e comprovata indigenza e senza mezzi di assistenza. Potrebbero essere utilizzati alcuni attuali piccoli Ospedali Militari che come tali non hanno alcuna utilità. Avremo così contribuito a quella opera di assistenza sociale che la nostra organizzazione non può ignorare nei confronti del personale mi litare. L'organizzazione di tali Cronicari dovrebbe essere oltre che a carattere terapeutico sintomatologico, anche a carattere assistenziale e ricettivo. Lo studio della organizzazione va risolto con maggiori dettagli che esulano dal quadro generale di questa trattazione. Abbiamo completato così il fattore organizzativo nelle sue grandi linee generali, ponendo a base l'organizzazione dc li 'Ospedale Mi li tare Territori ale del quale, tutte le altre formazion i sanitarie ospedaliere, dalle più grandi alle più piccole, ricalcano le orme generali di struttura, di personale, di compiti e di funzioni ad eccezione delle unità speciali tipo convalescenziari, cronicari, stabilimenti balneo - termali e centri tumori. Ma l'Ospedale ha anche un'altra funzione che non si deve sottacere o sottovalutare. Intendiamo parlare della funzione didattica che costituisce un altro termine del grave problema ospedaliero: i/ fattore didattico. Checché se ne dica, la Sanità Militare ha nelle sue mani il polso della preparazione tecnico - professionale di giovani laureati ed ha la grande responsabilità di affìdare nelle loro mani la vita di tanti giovani. Non può, né deve, né vuole sostituirsi alle Università che sono sempre la fonte prima del sapere e della scienza, ma ha il dovere di affiancare e completare il lavoro teorico universitario con la preparazione pratica di questi giovani colleghi.


393 Ecco perché siamo dell'avviso che i giovani colleghi, dopo la frequenza presso la Scuola di Sanità, dovrebbero essere assegnati agli Ospedali Militari per almeno due mesi per completare la parte pratica professionale generica presso il Reparto Deposito, e successivamente essere avviati ai Corpi per il' servizio quale medico di battaglione. Così facendo, i nostri soldati saranno affidati alle cure di medici che, alla preparazione teorica universitaria più o meno solida, avranno aggiunto almeno una preparazione pratica generica sufficiente per le prime cure e per i soccorsi più urgenti. Ma l'azione didattica non deve essere rivolta solo verso i giovani colleghi, ma verso tutti gli Ufficiali medici, anche più anziani, come opera di aggiornamento tecnjco - professionale ed organizzativo, mediante organizzazione di conferenze, congressi e simposi a carattere regionale e nazionale, da svolgersi nei vari Ospedali e che darebbero la possibilità ai colleghi di conoscersi fra loro e di conoscere le attrezzature e le strutture dei vari Ospeda) i Militari. Siamo giunti così alla conclusione di questa nostra fatica, che se può sembrare utopistica, ha invece il suo fondamento nel fermento delle nuove scelte ospedaliere nell'ambito civile di fronte alla quale non si può segnare il passo, pena la squalificazione tecnico - scientifica. Dobbiamo perciò cercare di rendere ancora più perfetto e più razionale quanto di perfettibile è nella nostra organizzazione ospedaliera. E ' il fine che questa nostra nota si è proposto e che, ci auguriamo, possa essere di aiuto e collaborazione a guanti, ai vari livelli gerarchici, sono interessati alla risoluzione del grosso problema ospedaliero modernamente inteso. R1ASSUNTO. L' A., acLraverso un confronto con la nuova legislazione sanitaria ospedaliera nazionale, propone un suo studio di ristrutturazione della auuale organizzazione saniLaria miliLare ospedaliera di pace, suggerendo alcune modifiche che porterebbero a<l un più logico e razionale sviluppo del1a organizzazione militare ospedaliera e ad una esatta equiparazione di essa alle nuove strutture sanitarie ospedaliere civili, anche nei rifle5si della futura riforma sanitaria nazionale.

RÉsuMÉ. - L'Auteur, altravers u n confronc avec la nouvelle loi sanica1re hopitalière nationale, propose un de ses études sur la ristruturation de l'actuelle organization sanicaire militairc de paix proposant des mo<lifìcations qu i auraient come point d'arrive un plus rational dévelopment dc l'organiza tion militaire hopitalière et une cxate equiparation de l'organizacion aux nouvelles srruclures sanitaires hopitalières civi les, aussi e n regard de la fuwre reforme sanitaire nacionale. S u~tMARY. -

The A., through a comparison with the new national medicai hospi-

tal lcgislation, recommcnds his study of restructure of the present military medicai hospital organization in peace, and suggests some changes which would lead to a more logica! and rational development of the military hospital organization and ro a complete comparison with the new civilian medicai hospital structures, in view, also, of the future national medicai reform.


OSPEDALE MILITARE PRINCIPALE D I MILANO " S. TEN. MED . ANNIBALO I LORlS - M. O. AL V.M. »

Direttore: Col. Med. Prof. E. M ELORI O

ASPETTI PSICODINAMICI E SOCIO - FAMILIARI DELLA CONDOTTA TOSSICOFILA IN 53 CASI DI GIOVANI MILITARI * Col. Mcd. Prof. Dott. E. Melorio

Tra le varie categorie di ammalati psichiatrici , che in qualità di militari di leva gravitano sul reparto neuro - psichiatrico nell'Ospedale Militare Principale di Milano, di sempre maggior riscontro è quella rappresentata da soggetti dediti, da tempo più o meno lungo, all'uso di sostanze stupefacenti, allucinogene, psico - stimolanti e ipnotiche. Ciò che ci ha indotto a studiare il fenome no della condotta tossicofila giovanile tra i militari di leva è il carattere di omogeneità (per età, sesso e situazione esistenziale attuale) del campione da essi rappresentato. Poiché d'altra parte, ben 53 casi sono giunti alla nostra osservazione nel tempo limitato di circa r r mesi, era senz'altro opportuno studiare un fenomeno sulla cui diffusione in tutto il mondo occidentale, oggi si getta un vero grido d'allarme. Considerando, infine, che tutti i soggetti esaminati erano già tossicofili prima dell'inizio del servizio di leva, l'impatto con l'ambiente militare è servito più che altro a fare da rivelatore di situazioni preesistenti, per cui lo studio del comportamento tossicofilo dei giovani militari di leva, r ientra nel contesto più vasto dell'analisi delle condotte tossicofili giovanili con tutte le implicazioni psicodinamiche e sociofamiliari ad essi inerenti. Prima di passare all'analisi delle risultanze della nostra indagine casistica, vogliamo aggiungere qualche nota sulla diffusione dei comportamenti tossicofili giovanili in Italia. Al riguardo bisogna ammettere come hanno lamentato Ermentini e Citterio, Della Rovere e Vacchini che la situazione n on è ancora chiara, in quanto non esistono esatte statistiche ufficiali effettuate sistematicamente su scala nazionale: si conoscono soltanto dati dei vari centri per le tossicosi da stupefacenti e farmaci psicoattivi redatti dagli organi di polizia, ma la massa, in continuo aumento, dei giovani che fa uso di questi farmaci sfugge, almeno per ora, ad esatte statistiche. Quanto " Comunicazione presentata al Simposio dell'Unione Europea per la \1edicina Sociale ( Ascona, r7 - 19 marzo HJJ2).


395 alle sostanze stupefacenti ed a quelle psicoattive più frequentemente usate dai giovani italiani possiamo citare nell 'ordine : hashish, marjhuana, cocaina, morfina per le sostanze stupefacenti; anfetaminici, cardiazol, efedrina e suoi derivati, per le sostanze psicostimolanti; barbiturici per quelle ipnotiche; LSD per le sostanze allucinogene.

· MATEH.IALE E METODO

La nostra indagine è stata condotta, come si è detto, su un gruppo di 53 giovani di leva, di età dai 20 ai 22 anni, giunti alla nostra osservazione per stati confusionali da eccesso di assunzione di droghe abitualmente usate, o in rapporto a tentativi di nuove associazioni., o per sindromi da astinenza conseguenti a difficoltà di approvvigionamento delle droghe, o per anomalie comportamentali collaterali al comportamento tossicofilo o attinenti allo stimolo caratteropatogeno delle sostanze stesse. Nessun soggetto aveva fatto esperienza con una sola sostanza stupefacente o con un solo prodotto ad azione psicostimolante od ipnotica : ma tutti avevano assunto, per un periodo più o meno lungo, un insieme di droghe stupefacenti con frequenti sostituzioni nel tempo di una con un'altra, associate ad una o più sostanze psicostimolanti o ipnotiche. Tutti i soggetti, superata la fase acuta iniziale, sono stati esaminati dal punto di vista clinico e psicodiagnostico ai fini dell'approfcndimento degli aspetti psicodinamici e di quelli della personalità di base. Per quanto attiene invece agli aspetti sociofamiliari, oltre che basarci sulle dichiarazioni dei militari esaminati, ci si è valsi di rapporti informativi presso i luoghi di provenienza e presso le famiglie.

RISULTATI DELLA INDAGINE PERSONALE

Prima di parlare degli aspetti psicodinamici e di quelli socioculturali, riteniamo valga la pena di mettere in evidenza alcuni dati di significato più generale emersi dalla nostra indagine casistica. Tali dati si riferiscono al tipo di personalità di base, alla modalità di assunzione e di scelta delle droghe ed infine al carattere più o meno transitorio o più o meno strutturato del comportamento tossicofilo. Per quanto riguarda il tipo di personalità di base, i giovani di leva da noi indagati possono essere suddivisi in due categorie. La prima comprende giovani con una personalità di base essenzialmente immatura sul piano affettivo con segni di insicurezza, di scarsa integrazione dell' lo e con evidenziazione di nuclei di conflittualità nevrotica; la seccnda (leggermente prevalente sulla prima) comprende invece dei giovani dalla personalità abbastanza strutturata in senso nevrotico sul piano del carattere con più o meno spiccate componenti sociopatiche.


Per quanto riguarda la modalità di scelta e di assunzione delle droghe, un dato costante che emerge dalla nostra rilevazione è la non specificità della via di assunzione (facilità di passaggio o contemporaneità di utilizzazione delle vie inalatorie, orale e parenterale). eanche il tipo di droga, salvo in un paio di casi, risulta scelto in via elettiva. Infatti in tutti i casi si è constatata la facilità di interscambio tra le varie droghe stupefacenti (cocaina, morfina, marjhuana, hashish, ecc.) e la quasi costante associazione di esse con anfetaminici, psichedelici e sonniferi. In pochi casi era presente anche una tossicofilia alcolica. Benché l'età media dei soggetti giunti alla nostra osservazione (21 anni) non abbia permesso un giudizio definitivo, tuttavia considerando attentamente i dati anamnestici ci è stato possibile suddividere i 53 soggetti in due gruppi : il primo gruppo (cui appartengono le personalità immature) comprende quei soggetti in cui la tossicofilia ha le caratteristiche di un << comportamento transitorio>> con scarsa dipendenza psicofisica delle singole droghe, benché in tal uni casi non sia da escludere la possibilità di una futura strutturazione di una autentica tossicomania; il secondo gruppo (cui appartengono le personalità nevrotiche e caratteriali) comprende invece quei soggetti in cui la tossicofilia ha già quasi tutte le caratteristiche di una cc vera tossicomania » con spiccata dipendenza psicofisica delle varie sostanze e possibilità di comparsa di una sindrome da astinenza per brusca soppressione dei prodotti come è accaduto facilmente nei nostri soggetti che, chiamati alle armi, non hanno avuto la possibilità di procurarsi le droghe. Per quanto poi attiene agli aspetti psicodinamici e sociofamiliari, le rilevazioni fatte, frutto della interpretazione dei vari dati anamnestici - informativi, clinici e psicodiagnostici, possono essere così riassunte. ASPETTI PSICODINAMICI.

Benché solo una prolungata osservazione in chiave psicoterapica permetta di cogliere gli aspetti psicodinamici più profondi, tuttavia il tipo di osservazione fatta, ci ha permesso di evidenziarne degli aspetti abbastanza significativi, tali da costituire una costellazione sufficientemente specifica: r) bassa soglia di frustrabilità sia per il prevalere del principio del piacere sul principio di realtà, sia per un fondo di carenza affettiva; 2) orientamento narcisistico dell'Io con oscillazioni fra sentimento di insicurezza e di onnipotenza; 3) tendenza all'angoscia ed alla depressione con ipercompensazione a livello regressivo orale e cutaneo; 4) difettosa maturazione dei processi di differenziazione sessuale e di individuazione del Sè con evidenziazione di valenze omosex e facilità della messa in atto di comportamenti mimetici di gruppo, quali modalità di evasione rispetto alla realtà e di rassicurazione;


397 5) tendenze sadomasochistiche con prevalenza dell'orientamento masochistico diversamente raffigurantisi, a seconda del maggiore o minore sviluppo del super - Io o della maggiore o minore maturazione dell'Io. ASPETTI SOCIOFAMILIA1U.

L'uso del rapporto informativo ha permesso di integrare i dati forniti dal singolo militare di leva circa la propria situazione familiare e g uella ambientale di origine. Inoltre ha permesso di completare l'anamnesi personale con particolare riguardo a comportamenti abnormi precedenti l'inizio del servizio militare di leva. Parecchi sono i dati emersi dalla duplice fonte di informazione e, in molti casi, sono risultati utilissimi ai fini della precisazione diagnostica riguardo alla struttura della personalità cd al grado di disadattamento sociale. I vari dati rilevati possono essere sintetizzati in alcuni punti fondamentali: r) nuclei fami liari tendenzialmente non coesi, con carenza delle figure parentali, con particolare riguardo a quella paterna risultata eccessivamente punitiva o al contrario debole ed evasiva di responsabilità; 2) figura materna del tipo (< simbiotico» con spiccata tendenza alla possessività e nello stesso tempo alla iperprotetti vi tà; 3) estrazione sociale assai variabile con lieve prevalenza dei bassi livelli socio - culturali di origine; 4) dal punto di vista eredo - familiare si è evidenziato una discreta familiarità non per quanto riguarda le tendenze tossicofili, ma per quanto concerne alterazioni del timismo e manifestazioni caratteropatiche.

CONSIDERAZTON T CONCLUSIVE

Passando ora a delle considerazioni conclusive vorremmo innanzitutto porre l'accento sul problema della " personalità di base >>. Dai dati della letteratura, le conclusioni inerenti agli aspetti personalogici delle tossicomanie giovanili sono piuttosto controverse. Ciò deriva non solo dalla diversità delle metodiche di studio utilizzate, ma anche dal fatto che non si insiste sufficientemente sulla necessità di suddividere i giovani tossicofili in due categorie (anche se non sempre ciò è facile per l'insufficienza della catamnesi): la prima comprendente i giovani affetti da << tossicomania in senso stretto >>; la seconda comprendente quei giovani in cui si deve parlare di « condotte tossicofili transitorie >> . Come risulta dalla nostra indagine nel caso delle « condotte tossicofili transitorie )), è di prevalente r iscontro una personalità di base di tipo immaturo con insicurezza, scarsa integrazione dell'Io e modesta conflittualità di tipo nevrotico. Nell'ambito << delle tossicomanie in senso stretto>> è di assai frequente riscontro una personalità strutturata in


senso nevrotico sul piano del carattere con più o meno spiccate componenti sociopatiche. Sia nell'uno che nell'altro caso sostanzialmente, in accordo con i dati della letteratura, la personalità di base non presenta caratteristiche di assoluta specificità. Maggiore specificità presentano invece gli « aspetti psicodinamici » già esposti e quelli sociofa1niliari. In conclusione, tenendo conto della personalità di base, ci si può dar ragione del continuo incremento sia delle tossicomanie in senso stretto, sia delle condotte tossicofile transitorie giovanili, se si tiene conto dei fattori microsociali e macrosociali. I primi, attraverso il dilagare delle situazioni di gravi carenze di coesione familiare e di carenza paternale, alimentano la messa in moto di meccanismi psicodinamici abnormi. I secondi si concretizzano in un clima socioculturale favorevole all'uso di sostanze stupefacenti e psicoattive per l'aumento deJle possibilità offerte dal mercato, per l'aumento della pubblicità che si fa su di esse sollecitando la curiosità dei giovani sui loro effetti e soprattutto per la facilità aJla strutturazione di comportamenti mimetici di gruppo di tipo evasivo, oblativo e rassicurativo, resi sempre più agevoli dalle crescenti difficoltà di maturazione dell'Io individuale, dalla tendenza alla contestazione dei valori delle istituzioni tradizionali, dalla fa lsa interpretazione della libertà umana, dalla emancipazione prematura dei giovanissimi, dalla sempre più frequente interscambiabilità di ruolo nei due sessi, dalla carenza di idonei diversivi in una società del benessere programmata tn via di troppo rapida e tumultuosa trasformazione.

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OSPEDALE MILITARE PR fNC IPALE DI J\1fLi\ ;\O ,, S. T E N. MED. ANNlBALD I LOR IS · M.O . AL V.\I. »

Direttore: Col. Mcd. Prof. E. M tLORTO

ASPETTI PSICOPATOLOGICI ED ECOLOGICI DELLE REAZIONI PSICOGENE DA DISADATTAMENTO NEL DECORSO DEL SERVIZIO MILITARE DI LEVA Col. Med. Prof. Dott. E. Melorio

L'ecologia psichiatrica trova nello studio del problema dell'adattamento dei giovani a lla situazione del servizio mi litare di leva un terreno ideale di applicazione, dal p unto di vista di una corretta impostazione metodologica, per la sufficiente purezza dei parametri utilizzabili ai fini dell'indagine. Tal i parametri sono rappresentati: 1) dalla « comunità militare >> intesa come un « isolato socio- culturale » (Hullingshead e Redlich). Pur essendo possibili dei muta1:ienti del clima socio - umano per il rapido ricambio dei giovani militari di leva, tale comunità mantiene una sua tipicità ed un suo clima per la relativa stabilità delle sue strutture operative e delle sue finalità intrinseche e la lenta variazione degli stereotipi psicosociali che ad essa ineriscono; 2) dal fattore << adattamento sociale » relativo a tale struttura. Si intende che questo fattore è relativo all'epoca in cui viene studiato il fenomeno in questione e che, pertanto, esso fa riferimento ad un tipo di adattamento standardizzato alla comunità mi litare che è quello medio - statistico rilevabile sul territorio nazionale in questi anni settanta; 3) dal tipo di manifestazione psico - patologica da disadattamento presa in considerazione e cioè da « reazioni psicogene » tipizzate in senso strettamente nosografico; 4) dalla « popolazione di giovani incorporati di età abbastanza omogenea ( dai 20 ai 26 anni). Quest' ultimo parametro mantiene ancora di più la sua purezza se, ai fini dell 'i ndagine viene suddiviso in ulteriori parametri che tengano conto della provenienza regionale, urbana od extra - urbana dei giovani, del loro livello socio - culturale e delle caratteristiche della loro struttura personalogica di base. Prima di riferire le risultanze della personale indagine sulla patologia reattiva da disadattamento si ritiene opportuno illustrare in breve le caratteristiche struttural i ed operative delle comunità militari di leva italiane (con specifico riguardo alle forze di terra), considerate come << eco - sistemi » con


proprie finalità e intrinseche necessità di adattamento. Per quanto attiene alla struttura l'aspetto più evidente è quello di una rigida gerarchizzazione che non ha, al di là di un certo grado, un analogo riscontro negli ambienti extra - militari. Tale gerarchizzazione tende da un lato a intrattenere una dinamica relazionale centrata sul principio di autorità e dall'altro a stratificare latitudinalmente le caratteristiche individuali secondo degli stereotipi di gruppo del sè. Questi ultimi risultano, altresì, subordinati alle specifiche esigenze del servizio militare, comprensive oltre che di una finalità tecnico militare e di politica nazionale, anche di una finalità educativa, condizionata dalla gamma degli stereotipi del « buon soldato», dello « spirito di corpo ». L'adattamento alla dinamica re]azionale ed operativa di tali comunità militari presuppone dal punto di vista dell'igiene e della profilassi mentale, un filtro attitudinale ed un filtro personalogico che solo in parte risultano nella nostra Nazione idonei allo scopo: il primo perché la ricerca attitudinale è basata sul riconoscimento di prassi troppo elementari, sulla base delle quali non è possibile una congrua e gratificante valorizzazione e utilizzazione di personali attitudini se non limitatamente ad un ristretto gruppo di soggetti; il secondo per l'insufficienza delle indagini sulla personalità di base che sarebbe necessario effettuare al fine di accertare oltre al grado di livello intellettivo il potenziale adattativo al particolare eco - sistema. Basta scorrere d'altra parte un poco i dati della letteratura in merito per avere la conferma di come il problema dell'adattamento alla comunità militare anche nelle altre Nazioni sia sempre stato considerato da un lato come un problema di struttura e di finalità dell'ambiente e dall'altro come un problema di filtro attitudinale e personalogico. Già nel r950 Banhoorn e Taverne esaminando i fattori che influenzano in senso positivo ed in senso negativo l'adattamento delle reclute concludevano che un complesso di inferiorità era in genere all'origine di tutti i meccanismi di difesa e di fuga. Tra i vari meccanismi di adattamento secondo tali AA., acquistano particolare rilevanza quelli di rimozione di bisogni e di desideri, l'immaginazione, la compensazione, l'identificazione, la proiezione e la sublimazione. La lotta per l'adattamento, porterebbe a sintomi nevrotici quali depressione, ansia, irritabilità, astenia ed a tutta una serie di distmbi, espressione di automatismi di difesa e di offesa. Nello studio di questi AA. erano, altresì, enumerati i requisiti che deve avere un ufficiale per assicurare una buona possibilità di adattamento delle reclute alla vita militare. Glass (1952) in merito alla capacità di adattamento alla vita militare sostiene che la selezione dei soldati deve basarsi sulle capacità del singolo di trovare appoggio nel gruppo e di superare le sue frustrazioni. Questo significa accertare quale sia « l'amore verso se stesso del soldato >> che preclude ]'apertura verso gli altri. In particolare, secondo Glass, le personalità immature e quelle schizoidi devono essere particolarmente indagate e, se necessario, scartate.


Egli sostiene, altresì, che il miglior modo di prevenire il disadattamento

è di far sì che avvenga un'identificazione del militare col suo gruppo e di garantire la presenza di buoni ufficiai.i. Secondo Guiora (r957) gli abituali criteri di scelta per stabilire l'idoneità al servizio militare non sono adatti a rilevare malattie latenti e altrettanto inefficaci nel prevenire i disturbi psichici che possono derivare dalla vita militare. L'Autore preconizza uno screening psichiatrico più completo con l'impiego di una batteria di tests di personalità oltre che di livello intellettivo. Bieger (1957) sulla base di una indagine condotta su oltre 6 .000 casi ha conci uso che le reclute con deficit intellettivo mostrano precocemente disturbi dell'adattamento. Radermecker (1959) ha constatato che molti giovani di leva, benché apparentemente in buone condizioni psichiche al momento dell'arruolamento, vanno incontro a reazioni psicotiche acute di varie intensità nei primi giorni del servizio militare, potendosi distinguere: gruppi ecologici « costituzionali >> e << di situazione >> . Alcune di queste reazioni psicotiche sono dovute, secondo tale Autore, a mancanza di adattamento mentre altre sono il risultato di un graduale e progressivo peggioramento di personalità schizoidi e paranoidi. Le personalità immature, insieme alle schizoidi sono, secondo l' Autore, le più vulnerabili agli stress della vita militare e le abituali visite di selezione non possono garantire l'eliminazione di ogni potenziale malato psichiatrico quando non sono segnalati dei precedenti. Sempre secondo questo Autore, i fattori più importanti per faci litare l'integrazione e l'adattamento delle reclute sono il senso di unità del gruppo, l'atmosfera dei locali di ritrovo e i contatti con gli ufficiali. L'educazione, l'intelligenza e la collaborazione degli ufficiali medici sono ritenuti necessari, per questo Autore, ai fini di un miglioramento della situazione adattativa ed in tutto questo il compito dello psichiatra militare è ritenuto di valore integrativo e preventivo. In uno studio più recente di Kaudic e Jovenic (1968) vengono descritti i profili, le caratteristiche e alcuni tipi di condotte di personalità immature ed emotive. Sono prospettate le difficoltà di queste persone ad adeguarsi alla vita militare mediante un'analisi di 30 casi osservati e trattati in un esame diretto. La conclusione degli Autori jugoslavi è che la percentuale di soggetti disadattati è maggiore nel primo mese di servizio rnilitare. Durante lo sviluppo queste persone, spesso, sperimentano situazioni conflittuali e la maggior parte di esse reagisce in modi nevrotici prima di entrare nell'Esercito. Una volta arruolati questi soggetti entrano in una situazione conflittuale attuale, dovuta alla esagerata dipendenza emotiva dai genitori ed a stress psico - fisici. Essi reagiscono con ansia; depressioni e reazioni psicogene. Dopo osservazione clinica questi soggetti furono trovati momentaneamente disadattati. Dalla letteratura meno recente appare chiaramente come il maggiore interesse degli AA. sia stato volto più all'analisi della personalità dei militari di leva, alla critica dei metodi di selezione attitudinale ed al la sistematizzazione clinico - nosografica della patologia psichiatrica insorta dopo


l'inizio del serv1z10 di leva, che non allo studio clinico della comunità militare considerata di per sè in quanto « eco - sistema >>. L'attuale spostamento d'accento è il frutto della più recente sensibilizzazione a più specifici punti dj vista ecologici e della più consapevole integrazione dal punto di vista sociologico con quello strettamente psichiatrico, vuoi clinico nosografico, vuoi psicodinamico. Al riguardo il lavoro di Reda su << ecologia e psichiatria l> , in quanto messa a punto di valori essenzialmente metodologica, appare quanto mai significativo del clima nel quale oggi si muove l'operare psichiatrico. Soprattutto, in tale messa a punto, è importante l'avere posto l'accento sulla necessità di estendere l'ambito ecologico alle stesse strutture comunitarie umane (oltre alla città, il quartiere, le comunità di lavoro, la microsocietà familiare, ecc.).

La nostra personale indagine è stata condotta su un gruppo di 100 militari di leva, isolati fra tutti quelli avviati, in un periodo ben definito, presso l'Ospedale Militare di Milano, per il 9o'ì~ dei quali il denominatore comune è stata la diagnosi di « reazione psicogena », mentre per il restante J0 ° ~ la diagnosi è stata di << sospetta simulazione di reazione psicogena >i. L'analisi della casistica, da noi centrata sugli aspetti di più schietta rilevanza ecologico - psichiatrica, ha permesso di giungere ad alcune conclusioni sulle più importanti delle quali intendiamo porre l'accento in questa sede. J . Per quanto riguarda la nosografia delle reazioni psicogene da disadattamento si è potuto constatare ( diversamente da quanto un decennio addietro era risultato da un'analoga indagine del sottoscritto condotta in collaborazione con Spiazzi) una netta prevalenza delle « reazioni depressive )), in discreta percentuale accompagnate ad un tentativo di suicidio. Seguono, immediatamente dopo, le << reazioni ansiose >>, facilmente sovrastrutturate in senso ipocondriaco ed accompagnate a plurimi fenomeni di somatizzazione. A tali due principali raggruppamenti seguono le « reazioni isteriche )) , ed in misura ancora più rie.lotta le « reazioni primitive » (« esplosive », « a corto circuito», <1 ipobulico iponoiche n). Solo in due dei 90 casi si è ritenuto, inlìne, possibile formulare la diagnosi di << reazione schizofrenico - simile i> (casi differenziati da altri in cui la diagnosi portava verso il riconoscimento di forme processuali schizofreniche, insorte nel decorso del servizio militare, vuoi per slatentizzazione di potenzialità psicotiche, vuoi per recidiva di pregressa patologia psicotica). La suddivisione, ai fini dell'indagine, del gruppo di giovani m ilitari di leva in sottogruppi che tenessero conto della provenienza regionale, urbana ed extra - urbana, del livello socio - culturale individuale e delle caratteristiche personalogiche di base, ha permesso di meglio comprendere da un lato la psicogenesi e dall'altro la sociogenesi dei vari aspetti cl.i patologia reattiva da disadattamento con particolare riguardo al rapporto tra la reattività psicogena e l'individuo e a quello tra la reattività psicogena


e l'eco - sistema militare. Di particolare rilievo sono apparsi l'aumento, nell' ultimo decennio, della percentuale di reazioni psicogene depressive a scapito delle altre (in particolare delle e, reazioni isteriche » e delle « reazioni primitive ») soprattutto nei soggetti provenienti da zone extra - urbane di regioni meridionali ed insulari e la discreta incidenza di comportamenti autenticamente suiciclari nel contesto di tali reazioni. Tali comportamenti sono stati realizzati prevalentemente mediante l'assunzione di psico - farmaci e per il resto mediante svenamento con armi da taglio (lamette da barba, coltelli, pezzi di vetro). 2. Per quanto riguarda il rapporto tra la reattività, psicogena e l'i11dit iduo si è potuto constatare, nell'ambito psicopatologico preso in considerazione, una significativa concentrazione di personalità immature, insicuro - dipendenti con stigmate di carenza affettiva, di personalità caratteriali a strutturazione schizoide e di personalità ipodotate con difetti di acculturazione e provenienti da comunità chiuse socio - culturalmente ancora intessute di aspetti cli primitività. Mentre le personalità immature, le insicuro - dipendenti e le caratteropatiche sono risultate essere in prevalenza le responsabili delle reazioni timogene (depressive ed ansiose) e dei relativi comportamenti suicidari, le personalità ipodotate sono risultate, a tutt'oggi, essere le principali responsabili delle reazioni isteriche, di quelle primitive (esplosive, a corto circuito e di tipo ipobulico - iponoico) oltre che dei correlativi comportamenti pseudosuicidari, intesi come gesti dimostrativi, più o meno finalistici o parassitari. 3. Per quanto riguarda, invece, il rapporto tra la renttit•ità psicogena e l'eco-sistema mii/tare l'analisi della casistica ha evidenziato sostanzialmente il modo in cui l'ambiente della comunità militare è stato vissuto dal singolo individuo, sia per quanto riguarda il contesto relazionale, sia per quanto riguarda la soddisfazione delle aspettative in ordi ne con i sentimenti del sè, sia, ancora, per guanto attiene al grado di investimento affettivo cd attitudinale che l'ambiente rende possibili cd alla idonea funzione di situazioni deterrenti (svaghi , contatti con l'esterno, avvicinamenti a casa, ecc.). Il &uno dell'analisi di questo particolare aspetto del vissuto può essere riassunto nei seguenti punti indicatori dei dati critici della comunità militare vista nel suo ruolo ecologico: 1

- critica del rapporto d'Autorità, nei suoi aspetti di esasperazione gerarchica e di punitività; - insoddisfazione dei sentimenti del sè, con scarsa reattività ad un di gruppo centrato sui stereotipi del e< buon soldato » e dello « spirito di corpo>>;

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- scarsa adesione affettiva ad un ambiente non catalizzante interessi intracomunitari, modestamente in grado di saturare attitudini personali e poco incline a riconoscere il valore deterrente dello svago e del mantenimento di contatti con l'esterno ed in particolare con l'ambiente originario.


Naturalmente un giudizio più globale ed obiettivo sull'eco - sistema militare richiede una integrazione dei dati del vissuto ad esso inerenti e relativi ad un gruppo casistico ben delimitato, con quelli deducibili dalla osservazione diretta delle comunità militari di leva esenti da patologia reattiva e con quelli del vissuto di militari affetti da altri tipi di patologia psichiatrica. 4. L'analisi del fattore « adattamento sociale )) , condotta sulla popolazione di militari di leva affetti da reazioni psicogene ritenute espressione di disadattamento alle comunità militari, ha messo in luce un fatto di notevole importanza ai fini di un punto di vista ecologico - psichiatrico. Tale fatto si traduce nella constatazione che « adattabilità sociale», con riferimento al proprio habitat e « adattabilità alla comunità militare » non necessariamente coincidono nel senso che 1'uno non è necessariamente la misura dell'altro. In molti dei casi indagati si è evidenziato, infatti, che il disadattamento alle comunità mili tari, è espressione non tanto e non necessariamente di una autentica carenza di capacità di adattamento sociale, intesa nel senso più proprio di integrazione sintonica e adattata individuo - ambiente, quanto di frustrazioni affettive, esistenziali e socio - culturali in rapporto alla situazione di obbligatorietà del servizio militare di leva in soggetti particolarmente reattivi per caratteristiche personalogiche nel senso già descritto. Talora si è potuto anche constatare che l' « adattamento sociale » al proprio habitat appare come acuito nella nuova obbligata situazione esistenziale a scapito dell'adattamento alla comunità militare. Talora si crea un conflitto tra il sentimento di responsabilità (anche di tipo economico) verso il proprio entourage e le esigenze poste da un servizio vissuto come un'inutile e ingiustificata interferenza sulla propria vita relazionale. Talvolta ancora il conflitto, che scatena la reazione psicogena in specie di tipo depressivo ed ansioso, si pone tra le aspettative di gratificazione del sè (in soggetti ben acculturati ma con un ideale dell'Io sotteso da forti sentimenti di insicurezza) e le richieste, vissute come depersonalizzanti, dell'ambiente della comunità mili.tare che sollecita delle identificazioni di gruppo secondo gli stereotipi socio - militari. I mesi critici dell'adattamen to alla comunità militare sono risultati, anche alla luce della attuale indagine, essere i primi e l'occorrenza delle reazion:i _psicogene è massima fra il terzo ed il quarto mese dall'inizio del serv1z10. 5. Si è ritenuto opportuno completare l'indagine prendendo in considerazione oltre ai 90 casi da ritenersi autenticamente affetti da una patologia reattiva da disadattamento, anche una decina di casi in cui è apparso possibile il sospetto di un comportamento simulatorio o quanto meno volto ad esagerare delle possibili difficoltà emotive in rapporto al servizio militare. L'analisi in questi casi è risultata difficile non solo per le intrinseche difficoltà di discriminazione diagnostico - differenziale tra patologia vera e simulazione od esagerazione, ma anche per la scarsa disponibilità di questi


soggetti (per una logica intrinseca alla loro posizione simulatoria) ad un dialogo approfondito che permetta uno studio longitudinale soprattutto con riguardo alla struttura della personalità di base. Anche la resa ai tests mentali, per le stesse ragioni, è risultata pregiudicata (per una tendenza al rifiuto, ad es., delle singole tavole del Rorschach). In ogni caso è stato possibile evidenziare in questi soggetti, in misura più o meno significativa, una sostanziale immaturità della personalità sul piano affettivo ed una forte carica di aggressività non integrata, l'una e l'altra rappresentate sia dal rifiuto di aderenza al gruppo della comunità militare - non vissuta come contesto socio - umano con cui identificarsi in una certa misura, ma come negazione del sè - sia da un certo clima di intolleranza esistenziale in cui si muovono questi soggetti in carenza di capacità di adattamento alla realtà, laddove non si realizzino delle situazioni obbiettivamente precarie per il singolo individuo o per il suo entourage in rapporto al servizio militare. A conclusione dell'indagine svolta si ritiene di poter affermare che molto si debba e si possa ancora fare per ulteriormente modificare la situazione del servizio militare di leva se si vuole soddisfare ad un tempo un punto di vista di igiene e profilassi mentale ed un punto di vista di etologia psichiatrica. Per soddisfare un tale doppio punto di vista si dovrà intervenire in senso migliorativo sia a livello della selezione psicologica ed attitudinale sia a quello della comunità militare, intesa come « eco - sistema », avente una sua struttura e delle sue specifiche finalità. Il frutto delle suddette indagini confrontate con i dati della letteratura in merito e con gli orientamenti già espressi dalle superiori Autorità può essere riassunto nella sollecitazione alla attuazione da parte degli organi e del personale competente, di alcuni provvedimenti di significato igienistico - mentale ed ecologico - psichiatrico come: 1) più severa selezione psicologica con eliminazione delle personalità immature, di quel le orientate in senso schizoide oltre che di quelle decisamente ipodotate, anche al di fuori dei casi di più schietta rilevanza psichiatrica (psiconevrotici, personalità psicopatiche, psicotici in genere, oligofrenici, epilettici, ecc.); 2) più approfondita selezione attitudinale, al fine di utilizzare al meglio le giovani reclute potenziandone il livello di interesse, di adesione al gruppo e di gratificazione personale; 3) adeguamento delle strutture e delle attrezzature delle caserme alle esigenze di vita comunitaria oltre che di svago di una popolazione di giovani; 4) modificazione migliorativa del tipo di rapporto interpersonale nel contesto dell'eco - sistema militare; rapporto che va reso meno stereotipamente gerarchizzato ed autoritario, ma più umanizzato, più personalizzato e, nell'insieme, meglio orientato secondo una finalità psico - pedagogica. E ' necessario, pertanto, che le attitudini e la preparazione del corpo militare


di carriera siano sempre più rispondenti alle esigenze messe in luce dall'attuale maggiore sensibilità igienistico - mentale ed ecologico - psichiatrica; 5) facilitazione dei contatti con il proprio habitat per ovviare, fra l'altro, agli inconvenienti stressanti dello sradicamento.

R1AS~'UNTO. - La comunità mi 1itarc intesa com e ecosistema ha una sua t ipicità ed un suo clima per la relativa stabilità delle sue scrurcurc operative e per le sue finalità intrinsec he. Il frutto delle indagini svolte presso il Reparto Neuropsichiatrico dell'Ospedale Militare di Milano sulla psicopato1ogia reattiva da disadattame nto sulla casistica dell'ultimo d ecennio, si riassume nella sollecitaz ione di una più severa selezione psicologica, di una più approfondita selezione atticudinalc, di una mod ificazione m igliorativa dc! tipo di rapporto inter personale nel complesso dell'ecosistema militare, sulla facilitaz ione dei contatti del soldato con il proprio habitat per ovviare, fra l'altro, agli inconvenienti stressanti dello srad icame nto.

RisuMÉ. La communauté militairc, considérée comme éch osyscém c, garcle sa caractériscique en ce qui concerne scs fìnal ités et la stabi lité des ses struc tures accivcs. Les recherches effcctuées ch ez le Pavillo n Neuropsychiatrique e.le !'H opital Militaire de M ilan su r !es cas de psychopaco'ogie réactive d e disadapcarion vérifiés au cours de dix derniéres années conseillcn t une sélection psychologique p lus rigoureuse, une rechcrche des aptirucles plus scrupulcuse, une amélioration des rappon s e ntre Ics personnes dc Nchosystéme m ilitaire ainsi qu'une simplification clcs contacts du militaire avec son h abitat pour obvier au stress d u arrachement.

SuM~ARY. - The Military community, consider e<l as echosystem, is an efficacious estab'ish ment for firmnes of ics operative stru<.:tures and for ics final ites. The in~ uirics accomplish ed in th e Neuropsychiatry D epartcmcnt of Military H 0spital of Milan about the cases of psychopathology reactive from un fitness in che lasr decennium req uesr a srerncr psychological ,election, a deeper inclinat ion research, an improvemenr in che in tercouorsc among the pcoplc in the mi li tary ech osystem. a simp lification of tbc soldier 's relations w ith habitat to obviatc a stress from uprooting too.

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Dept. of Psych., Yale Univ. Schoo! of Med., New Haven Comm . Am. forn. Psyd1., 123, 854, rg67.


OSPF.DA LE MlLIT A RE P RINCIPALE DI P ALE RMO « fv! EDAG LI A D 'ORO MICH E LE FE RRAR A »

Direttore : Col. Mcd. Dott. G. C ARClOM RE PARTO :\'EU ROP.SICI-!IATRlCO

CONSIDERAZIONI SULLA GENESI DELLE MALATTIE MENTALI (DALLA OSSERVAZIO NE DI UN CASO CLINICO)

T cn. Col. Mcd. D. Calì, Caporeparto

S. T cn. Mcd. A. Galofaro, Assistente

La spiegazione della genesi delle malattie mentali ancora oggi rappresenta una meta lontana da raggiungere; il motivo dipende ovviamente dalla estrema complessità della psiche umana anche di quella normale. Le difficoltà principali sussistono sia sul piano clinico descrittivo sia su quello psicopatologico; dal punto di vista eziopatogenetico invece le turbe mentali sono distribuite su di un grande arco, i cui estremi sono più pregnanti di concetti di biogenesi e di psicogenesi. ella parte centrale di questo arco si trovano le grandi psicosi, sulla genesi delle quali si sono divise criticandosi aspramente tra di loro due correnti : quella organicista e quella psicogenetjca. Gli organicisti, forti del fatto che molte malattie mentali sono state inquadrate in base ad una chiara origine organica (psicosi post- tossiche, infettive, parassitarie, encefalopatie infiammatorie, forme epilettiche, frenasteniche, ecc.) hanno profetizzato che in futuro verranno certamente consegnati alla biogenesi anche parecchi altri settori della patologia mentale. Essi sostengono che tutti gli squilibri psichici siano da ricollegarsi ad una patologia d'organo, la quale perturbando l'equilibrio metabolico, viene a scompaginare le sensibilissime strutture nervose. Pur essendoci un fondo cli verità in queste teorie, tuttavia in molti punti sono estremamente lacunose; per questo motivo si è fatto spesso ricorso a postulati e ad affermazioni fa ntasiose non sempre dimostrate. Tra i tanti ricordiamo gli studi sugli aspetti genetici ed ereditari (Lombroso, Kretschmer). le teorie meccanicistiche di De Clerembault, quelle degenerative di Magnan ed ancora i vari Jackson, Monakov, Kraepelin, Bleuler per arrivare alla scuola italiana di Buscaino che si è indirizzata sugli aspetti tossici esogeni (intestinale ed epatico) che verrebbero ad alterare le funzioni mentali attraverso turbe biochimiche.


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La corrente psicogenetica è preceden te a quella biologica e affonda le sue radici sulle concezioni magico mistiche degli albori della civiltà umana. ~reud ha aperto la strada di queste nuove teorie con la scoperta dell'inconsc10. Da qui è nata la teoria secondo la quale fatti psichici elaborati a livello inconscio sono alla base delle pulsioni che non solamente si rivelano determinanti nella valutazione della psiche normale ma che possono diventare spesso autentici conflitti e creare reazioni abnormi, sindromi psiconevrotiche e somatiche. Per Freud g li anni più importanti per la vita dell'uomo sono i primi cinque dell' infanzia quando viene tracciato il suo destino futuro . In effetti studi successivi hanno dimostrato che realmente l'inconscio influenza molti fenomeni psichici quali i sogni, la memoria, gli automatismi , ccc. Sulla strada intrapresa da Freud hanno poi proseguito Adler e Yung distaccandosi progressivamente dalle sue idee e quello che è più importante svincolandosi via via dalle ultime pastoie organistiche a cui era rimasto in parte legato lo stesso Freud. Oggi i vari Sullivan, Mayer, ecc., cioè i rappresentanti più eminenti della scuola inglese riconoscono l'assoluta preminenza dei fattori psicogenetici in tutte le psicosi. Anche questa corrente, come la precedente, presenta le sue pecche per il fatto che una psiche disimpegnata dalle strutture organiche sembra un concetto senza senso e per il fatto che ogni comportamento normale od anormale è il risultato di una attività organica di fondo e che particolari condizioni biochimiche comuni del resto ad altri esseri viventi sono alla base del comportame nto. Come ben si p uò notare da questa rapida e succinta descrizione le teorie predominanti non sono scevre da incongruenze, però noi crediamo che in entrambe ci sia del vero e che la loro integrazione possa portare molto vicini ad una risoluzione del problema della genesi della patologia mentale. Per esprimere il nostro pensiero su questo interessantissimo problema abbiamo voluto presentare un recentissimo caso venuto alla nostra osservazione. CASO CLINICO

I. Vincenzo di anni 24. ato a Casaria (1 A) 1'8 agosto r949. Di professione finanziere. Anamnesi Familiare: Gentilizio paterno e mater~o, esente da particolari turbe nervose e mentali , negativo per qualsiasi altra malattia. Anamnesi Fisiologica: Nato a termine da parto eutocico. Regolare sviluppo psico - fisico. Scolarità eccellente. Normali malattie esan tematiche nel-


4rr l'infanzia. Nessuna malattia degna di nota prima di arruolarsi come finanziere. Come carattere, a detta dei familiari, degli amici e dei superiori, è stato sempre un po' timido, introverso ma coscienzioso e ligio ai propri doveri di uomo e di militare. Anamnesi patologica remota: Ha contratto epatite virale nel 1973 e per tale malattia è stato curato in O.M. usufruendo successivamente di congrua licenza di convalescenza. on riferisce di aver sofferto in passato di altre malattie organiche. Anamnesi patologica prossima: Dai primi giorni del mese di novembre 1973 presentò un comportamento strano con tendenza ad appartarsi, ad evitare il dialogo con gli amici verso i quali anzi manteneva un atteggiamento di evidente ostilità, nonché manifestazioni aberranti nel contegno e nella condotta. Detta situazione di tipo psicopatologico condusse al ricovero presso l'O.M. di Palermo per le indagini e le cure del caso. Negli ultimissimi giorni pre - ricovero il paziente aveva anche accusato astenia, nausea, inappetenza, cefalea, alvo irregolare. Esame obiettivo genera.le: Soggetto normolineo, normosomico, pannicolo adiposo discretamente rappresentato e regolarmente distribuito. Cranio dolicocefalo. Subittero alle sclere, cute ed altre mucose rosee. Non rilevabili alterazioni linfoghiandolari. ulla di patologico a carico dell'orofaringe. Lingua impaniata. Nulla da rilevare a carico del torace e dell'apparato cardio - circolatorio. Addome normalmente avvallato. Fegato dolente alla palpazione profonda e debordante dall'arcata costale di circa tre dita. Non segni di patologia endocrina. Scheletro a conformazione e sviluppo regolari. Esame neurologico : Completamente negativo. Esame psichico: Atteggiamento autistico, comportamento di rifiuto all'ambiente ed alle cure, ipoprosessico, iposemico, abulico, critica fiacca, umore deflesso, notevolmente iposintonico. Tra tutti gli accertamenti clinici che vengono eseguiti dopo il ricovero, si ottengono risultati patologici solo per i seguenti : transaminasi G .O.T. e G.F.P. rispettivamente 150 e 200 U.; prove F .E. + + + ; bilirubina D.T. 7,80 - J.T. 7,50. In seguito a questi risultati viene instaurata prontamente una intensa terapia epatoprotettiva. Il 5 dicembre 1973, cioè ad undici giorni di distanza dal ricovero, si ha il manifestarsi di una chiara crisi negativistica con tentativo dì fuga dall'O.M. Sottoposto il giovane a visita collegiale, viene fatta diagnosi di « Sindrome depressiva con note dissociative » ; si decide pertanto di iniziare una


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terapia antidepressiva con Clorirnipramina e Sulpiride per infusione lenta, da associare alla terapia epato protettiva già da tempo iniz iata. Purtroppo alla seconda somministrazion e di Sulpiride il giovane marnfesta una violentissima crisi Oculogira con spasmo dei masseteri e rialzo termico; tale crisi risoltasi dopo tre ore con una profusa sudorazione e dopo somministrazione di Valium ha deposto per una chiara forma anafilattica. In seguito a quanto successo, si è preferito continuare la terapia soltanto con la Clorimipramina potenziando al massimo la somministrazione di epato protettori. Nel giro di qualche settimana, con lo stabilizzarsi della terapia, le condizioni del paziente migliorano progressivamente; successivi esami biologici rivelano un nettissimo miglioramento della funzionalità epatica; infatti si ha un ritorno alla normalità dei valori delle transaminasi mentre la bilirubina rispetto all'esame iniziale è scesa rispettivamente a 2,70 e 2,80. Il miglioramento della funzionalità epatica è coinciso con il miglioramento delle condizioni psichiche. Noi siamo propensi a ritenere che l'Epatite ricorrente non sia stata la causa prima della Psicosi, ma piuttosto la Noxa scatenante in un soggetto schizotimico di base. Questo caso abbiamo voluto presentarlo non perché raro, in quanto psicosi in soggetti con squilibri epatici ne potremmo citare parecchi, ma perché data la linearità e la successione ordinaria dei sintomi rappresenta un esempio tangibile delle conclusioni a cui vogliamo arrivare in tema di genesi delle malattie mentali. DISCUSSIOI\'E

Gli Autori ad in dirizzo organicistico, iu m erito al caso citato, direbbero certamente che l'Epatite Virale, scompaginando le strutture epatiche, ha alterato il metabolismo di tutto l'organismo determinando quindi la sindrome psicotica. E ' intuitivo che tale affermazione è estremamente lacunosa perché in rapporto ai frequenti casi di infezioni epatiche le psicosi sono rare. Gli Autori ad indirizzo psicogenetico invece ammetterebbero che il giovane era fondamentalmente uno psicopatico e che solo casualmente in concomitanza col deficit delle resistenze organiche si è man ifcstata la crisi psichica. Come al solito non si troverebbe una via d'uscita. oi invece abbiamo la convinzione, come già detto, che l'integrazione delle due correnti possa fare approdare a risultati validissimi . Nel caso specifico in esame, quantunque non ci siano precedenti anamnestici per M. .M., no n è da escludere che l'educazione del giovane nell'infanzia, particolarmente in quei primi cin que anni critici secondo Freud,


sia stata turbata da emozioni e da stress non rilevati dagli stessi genitori ma tali da lasciare una traccia indelebile nel suo inconscio. Creazione dunque di conflitti mai risolti e forse ingigantiti col tempo e con il cambiamento di abitudini determinato dalla intrapresa carriera militare. Infatti come ben ricordiamo dall'anamnesi il giovane sebbene apparentemente perfetto nel suo lavoro, nei suoi studi, nei suoi affetti è stato sempre un introverso, un timido, in poche parole un soggetto estremamente contenuto nei suoi rapporti con gli altri. Tutto ciò fa sì che a ragion veduta noi, in base alle moderne acquisizioni della psicologia, possiamo definire quel carattere « Schizotimico », in sintesi soggetto più degli altri esposto agli stress emotivi. Spesso si riscontra in varie sindromi psicotiche una più o meno marcata ins~flìcienza epatica, la qual cosa si concilia con le teorie sostenute da Buscamo. Anche nel nostro caso è il fegato il principale interessato; noi riteniamo nel caso in esame che, quantunque il paziente fosse potenzialmente predisposto, se non avesse contralto una malattia epatica, forse non avrebbe avuto una manifestazione psicotica così eclatante. Si realizza così quella integrazione a cui avevamo accennato all'inizio della nostra discussione e cioè sulla predisposizione psichica vengono ad agi.re in maniera determinante gli squilibri metabolici. L 'organico e lo psich ico sono due polarità diverse ma non eterogenee; lo spirito è una struttura superiore che implica un terreno organico ben limitato e preciso ma che lo può sorpassare e condizionare per cui le psicosi funzionali sono forse organiche nella etiologia e psichiche ne lla patogenesi. on si potrà mai presci ndere dalla clinica ossia dall'uomo malato, come non si potrà mai prescindere dalla psicologia e specie dalla psicologia infantile, ne ll'epoca cioè della formazione dell' uomo. A conclusione della nostra breve disamina possiamo dire che nell'ambito delle malattie psichiche esiste come già metaforicamente ammesso un po' da tutti un arco ad un estremo del quale si raggruppano le forme organiche ben note ormai cd all'altro estremo quelle più pregnanti di psicogenesi, come le Psiconevrosi; mentre nel tratto intermedio, che raccoglie le grandi psicosi, i due fattori sono correlati e reciprocamente influenzantisi.

RIA~~UNTO. Gli Autori, dopo aver fatto un rapidissimo excursus sulle teorie organicistiche e p~icogenetiche, rclatiYe alla genesi dcl!e malattie mentali, e dopo a\'er commentato in chiave critica i sostenitori di tali correnti, ~i sono soffermaci su <l i un caso venuto d i recente alla loro osservazione. Dopo aver descritto in maniera dettagliata la storia clinica, hanno fatto rilevare l'importanza del fauore organico, rappresentato nel caso ~pecifico dal fegaw; raie fattore agendo su di un substrato psicologico, ha scatenato !"insorgenza di una psicosi d issociativa.


Sull'abbrivio d i questo caso s1 e auspicata la necessità di una simbiosi tra teorie organicistiche e psicogenetiche, in quanto solo con la loro integrazione si può arrivare a spiegare la genesi delle malattie mentali.

JHsuMÉ. - Les Autheurs, après avoir brièvemcnt fait quelques considérations gé.nérales sur les teories organicistiques et psychogcnètiq ues des troubles psychiatriques, examincnt un cas clinique (homme ~gé dc 24 ans). 11s discutcnt sur les possibilités d'inrcgration dcs tcories organicistiques et psychogenètiques, pour arrivcr a la spicgation pathogénique dcs troubles psychiarriques.

SuMMARY. - The Authors, afrer some generai considerations about organic and psychologic theories of psychiatric symptoms, examine the case of a 24 years man. Possible fusion of organic and psychologic teories is advanced to explai n the origin of psychiarric symptoms.


COMMJSSIONE MEDICA SUP ERIO RE P EKSIO:--Jl DI GUERRA

Presidente : T t n. Gcn. Prof. F . l ADEVAIA

IL RUMORE QUALE FATTORE D'INQUINAMENTO NELLA GRANDE CITTÀ PARTE I

Col. Med. Prof. M. Mangano

D ott.ssa M. G. Mangano

Ogni corpo solido, liquido o gassoso che compia, sotto un qualsiasi impulso, dei movimenti alternati assai rapidi, delle vibrazioni, produce una scossa dell'ambiente elastico circostante, la guale, pervenuta all'orecchio, genera un suono. L'orecchio,' ricevendo le vibrazioni della materia o dell'aria, le trasforma, avendo come intermediari il nervo uditivo ed il e:eryello, in un fenomeno fisiologico, la sensazione uditiva e in un fenomeno psichico, il concetto uditivo. La qualità e l'intensità dell'elemento eccitante e lo stato del tono affettivo del soggetto ricevente concorrono, come dice J. L hermitte, a determinare l'elemento conoscitivo, intellettuale e il valore piacevole o spiacevole della sensazione. Esiste, pertanto, una componente psicologica che può, almeno fino ad un certo punto, rendere mal precisabile la distinzione tra suono propriamente detto e rumore. In generale, in un suono periodico esiste presenza regolare di suoni armonici; nel rumore, invece, sono presenti dei tracciati assai irregolari, come risulta dall'analisi di adatti spettroscopi o risonatori. Tuttavia esistono dei rumori periodici e regolari, come ad esempio molti rumori industriali, i rumori dei motori, ecc. L a norma d'irregolarità non sembra, perciò, indispensabile, ad una netta delimitazione tra suono e rumore, mentre a carico di quest'ultimo rimarrebbe una sola caratteristica, quel la di recare motestia. In fondo, la definizione di carattere musicale del suono, come dicono Trémolières e Coli., non è una definizione prettamente fisiologica, ma una definizione intellettuale, perché l'interpretazione del. carattere musicale varia secondo le epoche e secondo i luoghi, per non parlate poi della estesa variazione della gamma che, con il passare del tempo, si è andata sempre più arricchendo di nuove sfumature.


Se dal punto di vista soggettivo, il rumore può essere definito come fenomeno acustico sgradevole e non desiderato, dal punto di vista fisico esso può essere definito, con gli Autori succitati, come « un fenomeno sonoro in cui sono presenti numerosi suoni fondamentali e musicali non armonici, contemporaneamente a suoni fondamentali arbitrari più o meno numerost » . Le vibrazioni che provocano la sensazione uditiva hanno una frequenza che è compresa tra i 20 e i 20.000 cicli- secondi (o vibrazioni doppie o hertz). Il limite minimo di udibilità si aggira intorno ai 20 c/s. Quando l'intensità è troppo forte, si tocca il limite del dclore ed allora la sensazione cessa di essere uditiva e si trasforma in una percezione tattile dolorosa. Numerosi fattori generali e individuali evidenziano il limite di udibilità e di dolore. Il limite d 'udibilità, cioè il suono più debole che possa venire percepito da un orecchio normale, corrisponde in pratica ad un decibel. Poiché però il decibel non tiene conto della variazione di sensibilità dell'orecchio con la frequenza delle vibrazioni da cui dipende l'altena del suono, si è creata una valutazione più generale dell'intensità acustica soggettiva, che è stata espressa in phon. Alla frequenza di circa 1000 hertz, vi sono dai 120 ai 130 decibel e all'incirca dai 120 ai 150 phon tra il limite di udibilità e quello del dolore. Per la frequen za di 1000 hertz, decibel e phon sono identici; tra i 4000 e 5000 hertz presso a poco essi si corrispondono. Al di qua e al di là delle frequenze che costituiscono le ccmuni vibrazioni sonore, esistono delle vibrazioni che, pur ncn essendo percepite dall'uomo esercitano su di lui e, in genere, sugli esseri viventi una no n trascurabile influenza: esse sono gli infrasuoni e gli ultrasuoni. Contrariamente alle vibrazioni infrasonore (fino a 30 hertz) che si propagano in lontananza, le vibrazioni ultrasonore non possiedono che un debole potere di penetrazione; tuttavia gli esperimenti ne han.no dimostrato l'azione noci va. Come ricorda Trémolières esse possono uccidere un animale di laboratorio in pochi minuti e nell' uomo possono determinare delle alterazioni elettroencefalografiche paragonabili a quelle che si riscontrano nell'epilessia. Alle vibrazioni trasmesse dall'aria vanno aggiunte quelle trasmesse attraverso i solidi. Al di sotto dei 18 c / s, esse vengono percepite dalla cute come scosse distinte, dai 18 ai r500 c / s come sussulti, al di sopra dei r500 c/s, come un contatto permanente (Grandpierre). Esse si confondono con le vibrazioni trasmesse dall'aria, con gli infrasuoni, i suoni, gli ultrasuoni.


Pur non producendo sensazioni uditive, le vibrazioni infra e ultra - sonore ed i sussulti contribuiscono all'azione lesiva del rumore. Di grande interesse pratico sono i concetti di fastidiosità e di tollerabilità di un rumore. Il concetto di fastidiosità dj un rumore è strettamente legato, oltre che ai parametri intensità, altezza e composizione spettrale, anche allo stato dell'organismo in generale e dell'organo uditivo in particolare, al fattore tempo di esposizione e al fattore luogo, ai quali si aggiunge, a volte in maniera determinante, la situazione psicologica del soggetto nei riguardi del rumore considerato (Collatina e ColI.). Un rumore sopportabile dal punto di vista fisico può non esserlo dal punto di vista psichico e viceversa. In condizioni particolari, anzi, il rumore ambientale può favorire il lavoro specifico di soggetti che siano ad esso condizionati. Il concetto di tollerabilità di un rumore è legato ai medesimi fattori del concetto di fastidiosità, ma in modo quantitativamente diverso. Così un rumore, aumentando progressivamente il suo contenuto di fastidiosità, si avvicinerà sempre più alla « sogl ia di tollerabilità n, fino a superarla e quindi a divenire intollerabile, cioè capace di generare un vero e proprio danno somatico e psichico, anche irreversibile. Al concetto di tollerabilità sono legati, altresì, il fenomeno di adattamento uditivo e quello di fatica uditiva. Per adattamento uditivo s'intende (Collatina e Col!.) l'innalzamento fisiologico immediato e temporaneo della « soglia di udibilità », che segue l'inizio della stimolazione acustica. Esso è un atto riflesso di difesa nei riguardi di qualsiasi stimolo acustico. Il cittadino, ad esempio, è relativamente abituato ai rumori della città, che invece possono impedire di dormire al campagnolo che vi si trovi per un breve soggiorno (Trémolières). D 'altra parte, una persona che dorme nonostante un rumore moderato può essere destato dalla cessazione di tale rumore o dal sopraggiungere di un altro insolito. Fra i numerosi esperimenti che comprovano l'adattamento al rumore va ricordato quello di Day Flcchter: un gruppo di topi adulti viene allevato in una camera insonora, a temperatura e stato igrometrico costanti, mentre un altro gruppo di topi vive in una conigliera, in ambiente cioè abitualmente rumoroso. l due gruppi, dopo tre mesi, vengono sottoposti a vibrazioni di 9000 hertz, cioè a un rumore di forte intensità: i primi, allevati in ambiente insonoro, sono presi, in meno di 14 minuti, da gravi disturbi, perfino mortali; i topi della conigliera, invece, sopportano le stesse vibrazioni, senza disturbi di rilievo, per 50 - 60 minuti.


Frings dimostrò che l'esposizione dei topi a vibrazioni di una determinata frequenza può provocare in essi sia una sensibilizzazione, sia un adattamento trasmissibili ereditariamente. Importante è anche il concetto di fatica uditiva che consiste (Pagano) nel 11 fenomeno per il quale in un orecchio sottoposto ad una stimolazione acustica prolungata, si nota una diminuzione temporanea della capacità uditiva, che si esaurisce in seguito gradatamente in un periodo di tempo che varia in rapporto alla intensità e alla durata della stimolazione stessa ». Si ha, pertanto, in rapporto alla fatica uditiva, l'innalzamento della soglia che si verifica, nel massimo grado, mezza ottava al di sopra del tono affaticante e, particolarmente, intorno ai 4096 db. Tale innalzamento al cessare dello stimolo si riduce prog ressivamente, fino a scomparire in un breve arco di tempo, chiamato tcmporary treshold shi(t (T.T.S. degli Autori anglosassoni) o « tempo di recupero ». Qualora la stimolazione di grado elevato persista per periodi di tempi più o meno lunghi, la fatica fisiologica si trasforma in fatica patologica, per cui l'innalzamento della sog lia di udibilità non sarà più rapidamente reversibile; la maggior durata de l tempo di recupero verrà ad esprimere in tal caso un reale danno sensoriale uditivo. Collatina e Coli. insistono, giustamente, sulla necessità di poter definire in maniera selettiva ed individuale la tollerabilità ad un determinato rumore d'alto livello energetico, soprattutto ai fini preventivi. All' uopo, il Collatina ha in via di elaborazione una metodica originale che si fonda, essenzialmente, sul disturbo funzionale della parola, provocato nel soggetto dall'ascolto della sua stessa voce con un certo ritardo di tempo nei riguardi dell'emissione. Si tratta di un'opportuna modifica, per raggiungere lo scopo prefisso, della " voce ritardata » di Azori. Il Fowler, servendosi dei metodi audiometrici, e stabilendo in tal modo una percentuale d'importanza per ogni suono, ha ottenuto la scala seguente : Per db

250

3 00

))

500

150~

))

1000

250

))

2000

3000

))

3000

150~

))

4000

10°

))

8000

2 ~o

Praticamente i suoni che hanno la maggiore importanza ne lla vita sociale vanno dal 500 al 4000. Servendosi come unità di misura ciel fon (la più piccola variazione possibi lc d'intensità acustica soggettiva che l'orecchio sia in g rado di disting uere


per tutte le frequenze), Trémolières ha stabilito, nei confronti dei rumori, i seguenti valori : a) al di sotto di IO fon: rumorosità assai debole; b) da IO a 35 fon: rumorosità diurna tollerabile; e) da 35 a 70 fon: rumori fastidiosi; d) oltre i 70 fon, i rumori assumono le caratteristiche di particolare e forte intollerabilità. Tra la soglia del dolore e la soglia di udibilità v'è una scala di circa 120 fon. Riferendosi alla capacità lesiva, debbono essere anzitutto ricordate le caratteristiche più tipiche del rumore. Esse sono essenzialmente 1'intensità, la frequenza, la durata di espos1z1one. L'intensità considerata come nociva dalla maggioranza degli Autori si aggira tra gli 80 e i roo decibel. Va precisato, peraltro, che nel caso del rumore l'intensità va intesa come media di uno spettro sonoro composto, e sempre tenendo presente che si tratta di vibrazioni di differente frequenza, delle quali le più nocive sono quelle che hanno maggiore intensità. I rumori abituali delle fabbriche si aggirano intorno ai II5 decibel. Tuttavia, molte vc lte, l'intensità globale di certi rumori industriali supera di molto i li.miti di tollerabilità. Dimostrativi sono i dati della tabella riportata dal Pagano, che ha registrato le intensità acustiche medie rilevate in taluni ambienti d i lavoro: Motori di aerei a reazione . Piattaforme di portaerei con aerei a reazione . Soffione boracifero non imbrigliato Pressa idraulica . Perforatrice per roccia Battitura per lamiere, calderai Sega a nastro per metalli Cianfrinatura caldaie Motore Diesel 50 HP senza tubo di scappamento Aeroplani a pistoni (a sei metri) . Colpi di mazza da 15 kg su lamiera da 12 mm Valvola di freno ad aria compressa (automotrice) Fischio di locomotiva (a 8 metri) Maglio pesante . Cabina di automotrice in corsa . Fischio di locomotore (nel la cabina) . Cabina di locomotore cc 626 » m corsa Sala telai e< Brembo n

r6o- 190 db ))

170

45

» e oltre

130

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118 -130

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94 - 104 )) 102

))


420

Piallatrice a spessore per legno Sala telai « Stafford » Sala telai << Ruti >> Ufficio meccanografico con perforatrice . Sega a nastro per legno Reparto calcolatrici .

100

db

100

))

98 94 90 88

)) ))

)) ))

Nella lesività di un rumore va tenuto conto, oltre che della pressione sonora, della frequenza (le frequenze acute hanno un'azione lesiva maggiore di quelle gravi), della durata di esposizione (specie se continua e senza pause), del ritmo (per Pestalozza ha maggiore importanza il livello medio che non quello di picco o di cresta), della concomitanza aggravante di effetti lesivi dovuti a vibrazioni meccaniche di attrezzi o di pavimenti sui quali poggiano le macchine, oltre che delle condizioni dell'ambiente di lavoro e di fattori individuali. Il lavoro in ambienti a cielo aperto è molto meno lesivo di quello in ambienti chiusi, specie se si tratta di ambienti a pareti molto riverberanti o allorché in uno stesso ambiente siano in funzione contemporaneamente più macchine. Fra i fattori individuali va tenuto conto della suscettibilità individuale, dell'età (dopo i 40 anni gli orecchi si dimostrano più suscettibili di lesioni), del sesso (femminile), delle affezioni generali presenti e delle pregresse o persistenti affezioni dell'orecchio medio ed interno. A detti fattori è correlato sia l'adattamento dell'organo uditivo, sia la fatica uditiva. Tale ultimo fenomeno è legato, presumibilmente, al metabolismo cellulare e si verifica quando o l'apporto di materiali energetici è troppo scarso in rapporto al consumo di essi per il funzionamento delle cellule, o l'accumulo di prodotti catabolici è troppo elevato. Per quanto riguarda l'importanza della durata di esposizione al rumore, Borge L arsen, nello studiare il deficit di percezione della voce bisbigliata su 200 operai che lavoravano in un cantiere di costruzioni navali, ebbe a rilevare che la percentuale degli operai che potevano sentire la voce bisbigliata a più di 8 metri dinlinuiva man mano che aumentavano gli anni di lavoro. Il 70% circa dei soggetti, che lavoravano da meno di 5 ann i, percepiva invece la voce bisbigliata. Nessuno di quelli che lavoravano da 30 anni e più poteva percepirla a otto metri di distanza. In tale esperimento, potrebbe invocarsi, tuttavia, unitamente alla lesività da rumore , il danno dell'età. Ciò non sembra togliere eccessivo valore alle osservazioni dell'Autore, il quale ha altresì rilevato che la percentuale dei lavoratori, che non sentono la voce bisbigliata neanche ad un metro di distanza, cresce rapidamente con la durata del lavoro.


42 [ Tale deficit può essere espresso con la seguente equazione: deficit = funzione (I T), dove I rappresenta l'intensità ciel suono traumatizzante e T il tempo di esposizione. Nel caso cli scoppi, esplosioni, fenomeni cioè che determinano i più intensi traumi uditivi, I rappresenta un'energia enorme e assai superiore alle intensità che si riscontrano abitualmente nel campo dell'industria. In tal caso, superata la tolleranza del fragile sistema timpano - ossicolare, viene interessato l'orecchio interno, determinandosi spesso un deficit assai rilevante e permanente. In detti traumatismi, costituisce circostanza aggravante il fatto che le vibrazioni che accompagnano il colpo o lo scoppio hanno una frequenza relativamente poco elevata (le più acute sono dell'ordine di 60 c/ s). In tal caso, però, oltre alle vibrazioni sonore, si formano vibrazioni infra - sonore che agiscono come un colpo materiale e che, per le pressioni e le aspirazioni esercitate su tutto il timpano, possono disarticolare tutto il sistema (Trémolières). Va fatta, inoltre, una netta distinzione tra rumori continui e discontinui. Con i rumori continui si verifica piuttosto rapidamente un adattamento. I rumori discontinui, quando si tratta di rumori di media intensità, provocano invece le reazioni più violente. A lungo andare un soggetto si può adattare ad un rumore continuo, anche se insolito; in tal caso anzi la cessazione delle vibrazioni ne può procurare il risveglio mentre dorme. Tale adattamento non si verifica, però, per i rumori troppo intensi e i disturbi che ne conseguono sono proporzionali alla durata dell'esposizione. La sovrastimolazionc acustica impegna l'apparato uditivo in tutta la sua totalità, ma è l'orecchio interno e particolarmente l'organo del Corti, nelle sue delicate cellule sensoriali, la sede più frequente delle lesioni da rumore, sia dirette, sia indirette. Da quanto riscontrato in soggetti sottoposti da circa sei mesi a sovrasti molazione acustica, ma con sensibilità uditiva, almeno apparentemente, normale agli esami audiometrici di « routine )) , è da dedursi, secondo Collatina, che gli organi uditivi di tali soggetti possono essersi adattati più rapidamente all'agente affaticante per l'intervento, oltre che di fattori organici ancora sconosciuti (ma paragonabili per detto Autore a quelli notevolmente complessi che intervengono negli allenamenti atletici), anche di fattori strettamente psichici. In altri individui, invece, i poteri di difesa dell'organismo e quelli in particolare dell'organo uditivo, non sono facilmente adattabili alla continuiù dell'azione traumatizzante. fn soggetti sottoposti a sovrastimolazione acustica possono aversi, anche, turbe dell'equilibrio, associate o meno a sordità, espressione d'un danno a carico dell'apparato vestibolare .


422 Tuttavia, tale apparato offre, comunemente, una resistenza al trauma acustico notevolmente maggiore dell'apparato cocleare. La presenza di vertigini in operai con lesioni uditive da rumore si verificherebbe, almeno secondo Collatina, in percentuale inferiore al 3° 0 circa rispetto alle lesioni cocleari. La lesione uditiva può precedere od essere contemporanea a quella vestibolare per il verificarsi d'un medesimo meccanismo lesivo sia net riguardi della coclea che dell'apparato vestibolare. Se invece la lesione vestibolare è isolata o anteriore a quella uditiva, si deve invocare, fondatamente, un meccanismo patogenetico di tipo vasomotorio (Collatina). Tal.e crisi vasomotoria a livello del vestibolo induce quei fenomeni , dapprima funzionali , che vanno sotto il nome di sindrome meniériforme. Crisi vasomotorie su base neurovegetativa da piccoli << stress » da rumore possono riscontrarsi, altresì, sia nel distretto nasale che faringo - laringeo sia in altri distretti (Collatina). Tale Autore e Coll. hanno ipotizzato, sulla base di una casistica convincente, l'esistenza d'una (( laringopatia da rumore ». Questa è stata da loro evidenziata in soggetti accuratamente selezionati e che .lavoravano in ambienti, la cui rumorosità superava sicuramente i 90 db, parecchi mesi e spesso anni dopo l'assunzione al lavoro. Le alterazioni a carico dell'apparato uditivo e degli organi annessi costituiscono, nel loro insieme e in medicina del lavoro, la malattia da rumore che interessa soggetti costretti a lavorare in ambienti troppo rumorosi. Tale malattia presenta un'evoluzione peculiare e in essa è possibile distinguere un certo numero di stadi caratteristici. Al riguardo, e con particolare riferimento all'otopatia da rumore nei lavoratori, sono stati descritti tre distinti periodi preceduti da una fase (periodo di ambientazione di Ghirlanda o periodo di installazione del deficit permanente di Maduro), che non supera per lo più un mese, durante il quale l'operaio si adatta gradatamente agli effetti lesivi quotidiani e prolungati del rumore violento (Pagano). 1 el primo periodo (di latenza totale) il deficit uditivo, che si è già iniziato sulla frequenza db 4096, è del tutto latente e la sua progressione varia a seconda della suscettibilità individuale. Solo un accurato esame audiometrico permette di riconoscere uno scotoma sul 4000 che si estende per 1 - 2 ottave, scavando un V che si estende tra il 28q6 e il 5792. La voce afona è normalme nte percepita e l'esame obiettivo è assolutamente negativo. Tel secondo periodo (di latenza subtotale) che può durare da pochi mesi a IO- 15 anni, l'operaio nota una forte difficoltà a percepire la voce afona. La caduta sul 4000 è accentuata e può raggiungere un volume fino a 70 - 80 db.


L'ampiezza della incisura può occupare anche vane ottave estendendosi dal 2000 al 1'8000. Nel periodo terminale il deficit auditi.vo è molto accentuato e assai notevole anche per la voce di conversazione. La breccia sull'audiogramma si è ulteriormente approfondita ed allargata specie a carico delle frequenze acute che investe totalmente, raggiungendo anche sulle medie la frequenza 500 ed interessando, in seguito, anche i toni gravi. I rumori possono agire sfavorevolmente altresì su altri apparati, ad esempio, quello cardiovascolare. Maugeri ha segnalato riduzione dell'ampiezza, alla registrazione del pletismogramma (circa 50°~), delle pulsazioni digitali e delle rispettive onde dicrote. Tali modificazioni sono espressione di uno spasmo arteriolare, dimostrabile altresì nella riduzione di calibro dei vasi della congiuntiva. Lo stesso Autore, in una sua esperienza, condotta registrando i rumori della città e facendoli poi ascoltare in laboratorio ad alcuni volontari, ha constatato che questi reagiscono, sia pure in modo del tutto individuale, con una vasocostrizione periferica ed una tendenza all'agglutinazione delle emazie. E' stata anche rilevata, in tali circostanze, una pressione sistolica inizialmente aumentata per alcuni secondi ed una lieve aritmia transitoria del polso. Il rumore sembra causa di un ergotropismo, ossia di una progressiva simpaticotonia del sistema vegetativo. Sembra molto probabile che l'ergotropismo costante, indetto da un rumore superiore a 90 db, possa provocare un'evidente alterazione della regolazione circolatoria e riuscire chiaramente dannosa per un cardiopatico. Né è da escludere che il rumore favorisca quelle condizioni morbose, quali le ulcere gastro - duodenali, legate patogeneticamente a distonie vegetative. La reazione vegetativa agli stimoli acustici di breve durata si prolunga infatti per un certo periodo dopo la cessazione dello stimolo stesso. Se questo dura anche solo alcuni minuti, il tempo di reazione completo del sistema neurovegetativo è di circa quattro volte più prclungato. La comparsa e l'ampiezza delle reazioni neurcvegetative al rumore dipendono altresì dall'intensità di esso. Al di sotto di 60 db non si verifica ordinariamente alcuna costrizione periferica allo s~ato di veglia : essa compare invece verso i 75 db e aumenta in proporzione dell'intensità del rumore. Il rumore è dannoso anche perché disturba il riposo dell'individuo. E' stato, infatti, rilevato che perfino ad intensità sonore molte basse (5S db) si possono produrre durante -il sonno notturno fisiologico (caratter izzato, come è noto, da notevole vagotonia) reazioni simpaticotrope e specialmente vasocostri~icm periferiche.

8. - M.M.


Sono state altresì rilevate, per ogni stimolo acustico, sensibili diminuzioni dell'ampiezza del polso, molto più accentuate che nello stato di veglia alle stesse intensità. Le vasocostrizioni periferiche e le sincrone alterazioni del tracciato EEG si manifestano dopo un tempo di latenza di tre secondi, qualunque sia la durata della stimolazione acustica. Sia le stimolazioni acustiche prolungate, di media intensità (da 55 a 80 db), che le improvvise sollecitazioni acustiche di brevissima durata sono causa di reazioni intense, tali da modificare la qualità e la profondità del sonno. L'azione simpaticotonica del rumore si manifesta anche in altri ambiti fisiologici, ad esempio determinando una dilatazione pupillare. Gli esami dell'oroptero hanno confermato che il rumore influisce sulla funzione della pupilla e sulla percezione del rilievo. Gli effetti persistono fino ad otto minuti dopo la cessazione dello stimolo, né si è notato alcun segno di adattamento. La reazione che si produce durante la durata del suono è in relazione all'intensità di esso. Si hanno deboli reazioni a partire da 75 db; a 95 db la reazione è molto intensa. Con stimoli acustici alternati di 75 e 95 db, ad intervalli di 20 secondi, la reazione segue le variazioni di intensità del rumore. L'influenza negativa del rumore sulla visione stereoscopica (almeno per valori di intensità superiori a 90 db) si rivela soprattutto nelle professioni che esigono un perfetto contrcllo muscolare sotto la guida de lla vista: chirurgo, tornitore, orologiaio, conducente di autotreni, ecc. E' evidente il maggiore sforzo del soggetto se è costretto a riadattare continuamente la sua percezione in rilievo. Controversi sono i rapporti tra rumore e rendimento lavorativo. Secondo non pochi Autori il rendimento del lavoro è diminuito notevolmente e si ha un maggiore numero di infortuni. L'abbassamento del livello sonoro alto determinerebbe un maggiore rendimento ed una notevole diminuzione di incidenti. Altri sostengono invece che l'effetto del rumore continuo non abbia alcuna azione sul rendimento lavorativo. In alcune lavorazioni il rumore delle macchine sembra perfino utile. Per il tessitore, ad esempio, il suono emesso dalla macchina tessitrice è una delle indicazioni che lo guidano nel lavoro, un vero e proprio mezzo di comunicazione tra uomo e macchina. In apparente contrasto con tale osservazione sembrano i risultati delle ricerche di Weston e Adams effettuate n.el 1932 su operai dell'Industria tessile Britannica. Tali Autori dimostrarono che l'applicazione di tamponi alle orecchie aumentava il rendimento individuale di circa il 12°~ . Si potrebbe, però, arguire che l'operaio cui vengono applicati tamponi alle orecchie, non avendo che la vista per rilevare gli intoppi della produ-


zione, sia costretto ad una vigilanza più attenta, che può essere di per sé sufficiente ad aumentare il suo rendimento. Né può escludersi che il fatto di essere al centro dell'interesse dei ricercatori possa provocare nei lavoratori uno sforzo supplementare, sia pure a livello del tutto subcosciente. Sembra che il disturbo provocato dal rumore sia tanto maggiore quanto più monotono è il lavoro e differenti i suoni. Indubbiamente il rumore ha un'azione perturbatrice in alcuni tipi di lavoro che richiedono un'attenzione costante. Al riguardo va però precisato che l'effetto maggiore è dovuto ad un rumore improvviso cd insolito, in quanto in tale caso si aggiunge anche uno stress emozionale. V'è da osservare, altresì, che grave ostacolo ad un buon rendimento lavorativo e frequente causa di infortuni, sono anche le rumorosità ambientali che ostacolano o impediscono la possibilità di comunicazione orale tra gli operai o l'ascolto di suoni e rumori necessari al riconoscimento di elementi utili per la buona condotta della lavorazione. La patologia da rumore non si esaurisce però nelle alterazioni del solo apparato uditivo e fonetico, ma investe, più o meno, a determinate intensità e ritmo, tutti gli organi e le funzioni dell'organismo. é, d 'altra parte, appare giustificata odiernamente la restrizione di detta patologia ai soli lavoratori dell'industria. Come per le sostanze inquinanti prodotte in ambienti industriali , così per il rumore, non è solo il lavoratore come tale che ne risente gli effetti dannosi, ma è tutta la popolazione cittadina che è soggetta alla sua molestia e al danno da esso provocato. La tecnica ha sommerso di rumori tutta la società. Il rumore è dovunque: nelle fabbriche, in cielo, nelle strade, nelle case. Per lungo tempo l'attenzione dei medici e dei legislatori è stata attirata precipuamente dai danni provocati dal rumore nelle officine siderurgiche, nelle fonderie, negli stabilimenti metallurgici, ecc.; oggi il progresso della tecnica, le accresciute esigenze della società e la sua diversa mentalità hanno finito per scatenare il rumore in ogni momento ed in ogni ambiente. Dagli aerei a reazione, che hanno portato il rumore al suo più alto grado, ai rumori meno violenti, ma persistenti , quali quelli degli autoveicoli, dei motocicli, dei ciclomotori, dei camions e degli autobus si arriva fino ai ritmi ossessionanti dei juke - box, aBe radio a transistor, ai televisor1 a pieno volume. Molte persone riescono difficilmente a sopportare l'aggressione del rumore. Allora, dice Trémolières, le vibrazioni diffuse dall'aria e le scosse trasmesse dai solidi possono determinare una serie di reazioni, di disturbi funzionali e perfino lesioni organiche. Alcune di esse sono specifiche e proporzionali all'intensità e alla frequenza dell 'eccitazione sonora, come le complicanze otologiche che vanno dalla difficoltà dell'audizione al trauma acu-


stico e alla sordità professionale; altre, non specifiche, indotte da qualsiasi rW11ore, provocano disordini nervosi o generali che rientrano nella sindrome di adattamento a tutte le aggressioni esterne. Nella letteratura più recente, è stata segnalata, in sede clinica e sperimentale, la possibilità che il rumore eserciti effetti nocivi sulla normale funziona lità dei principali organi ed apparati della vita organica. Sono stati così evidenziati clisturbi a carico dell'equilibrio ormonale e psichico, dell'organo della vista, dell'apparato gastro - enterico, dell'apparato respiratorio e cardiocircolatorio. Per quanto riguarda gli effetti del rumore sul sistema endocrino, discordanti sono le conclusioni dei diversi Autori che si sono interessati al1'argomento. Potrebbero, tutta via, rivestire una certa importanza alcuni reperti sperimentali sugli animali che dimostrano un'attivazione più o meno intensa delle varie ghiandole endocrine. La corteccia surrenale, sotto protratto e intenso stimolo acustico, si ispessirebbe notevolmente e diverrebbe ricca di granulazioni sudanofile nella zona fascicolata; l'ipofisi, dopo un iniziale regresso (12 - 24 ore) presenterebbe una intensa attività acidofila e la scomparsa pressoché totale delle cellule beta; la tiroide dimostrerebbe un epitelio iperattivo ed un intenso riassorbimento della sostanza colloidale vescicolare. Sarebbero stati, inoltre, osservati eosi nofilopenia (preceduta spesso da eosinofilia della durata di J - 6 ore), linfopenia, iperglicemia, aumento della velocità di eritrosedimentazione, modificazioni degli elettroliti, ecc. Al ril?."uardo si è prospettata l'ipotesi di una sindrome ormonale da irritazione di Reilly. Naturalmente è ben difficile trasferire il risultato di tali ricerche all'uomo. 1n numerose osservazioni cliniche sull'uomo è faci le, invece, osservare sotto l'azione ciel rumore un aumento del tono muscolare e della secrezione gastrica ed un aumento della pressione endocranica. Le surriferite osservazioni cliniche e sperimentali hanno indotto non pochi Autori ad attribuire all'azione del rumore alcune forme morbose considerate come vere malattie da adattamento od espressione di instabilità neuro -vegetativa (ad es. le malattie gastriche dalla dispepsia fino alla malattia ulcerosa, l'aerofagia, la stipsi, ecc.). Alle riserve su dette conclusioni va aggiunto che l'azione patogena di un rumore è condizionata non solo dall'intensità del rumore, ma anche dalla sua composizione spettrale. Ad esempio le modificazioni descritte sulla dinamica circolatoria non si osservano se un rumore della stessa intensità è costituito esclusivamente da una sola frequenza; esse invece sono più intense quanto più alte sono le frequenze di cui esso si compone (Maugeri).


11 sistema nervoso centrale è certamente sensibile all'azione del rumore, che aumenta la fatica dei centri cerebrali e turba il loro funzionamento, impedisce il sonno riparatore e la distensione nervosa, determinando una irritabilità che non può non aggravare la già precaria situazione psicologica di chi vive in grossi agglomerati urbani. Significative possono essere considerate le modificazioni elettroencefalografiche osservate in soggetti sottoposti per anni al rumore di motori di av.iazione: in tal caso sono stati rilevati tracciati piatti con una fotostimolaz10ne molto insufficiente. Poiché è noto che la frequenza dei tracciati piatti nell'uomo diminuisce con l'età, si può ccn sicurezza concludere ammettendo un 'azione perturbante dei rumori intensi sull'elettrogenesi cerebrale nei soggetti esposti al rumore (Maugeri). Granati e Coll.. nello studiare l'influenza del rumore sul sistema nervoso centrale, hanno osservato in un'alta percentuale di soggetti una sindrome di tipo psico - nevrotico. In alcuni casi i tracciati encefalografici erano del tutto sovrapponibili a quelli di psiconevrotici e <li persone con modificazioni della personalità. Secondo Bugard certi rumori, come quelli dei turboreattori al di sopra di r5 dB S.P.L., agirebbero nello stesso modo dei traumatismi cranio - cerebrali contrnuati con interessamento del nervo uditivo. Sotto l'azione di un rumore violento si può osservare uno stordimento, un affievolimento della parola, un balbettamento ed una obnubilazione del sensorio con netta diminuzione della mernoria di fissazione. Quanto ai rapporti tra salute mentale e rumore sembra, però, possa escludersi una relazione diretta, come venne dimostrato dal Comitato nominato dal Governo I nglcse nel 1963, presieduto da Sir Alan Wilson. Tuttavia anche se un abnorme stimolo acustico non sembra avere conseguenze misurabili sull'individuo medio_(eccezion fatta per qualche disturbo nervoso occasionale) è ovvio pensare che oei soggetti non perfettamente equilibrati dal punto di vista em.otivo o comunque in stato di surmenage per i più vari motivi, il rumore possa riuscire dannoso esteriorizzando tendenze nevrosiche latenti o aggravando quelle già evidenti. Ciò ha tanto più importanza quando la salute di un individuo non venga cc-nsiderata soltanto come assenza di malattia o di infermità, ma, come la definisce l'Organizzazione Mondiale della Sanità, uno stato di perfetto benessere fisico, morale e sociale. L'irritazione provocata dal rumore varia anche a secondo delle circostanze; ad esempio il rumore prodotto da una fabbrica in funzione anche di nette non dà, per lo pit1, luogo a proteste di alcun genere se essa dà a vivere a tutti gli abitanti dei dintorni. E ' noto, altresì, che gli abitanti della città sono più tolleranti al rumore di quelli che abitano in campagna.


Lo stato psicologico del momento influisce, poi, chiaramente sugli effetti nocivi o meno del rumore. Osserva, al riguardo, il Maugeri che in una sala da ballo le coppie danzanti si muovono al ritmo della musica, ma questa non è da essi subita, in quanto chiacchierano, sorridono; al contrario quelli che assistono alle danze seduti intorno alla pista presentano non raramente uno stato di torpore. Per questi ultimi la musica è solo subita, non possono né utilizzarla né respingerla passivamente. Per rifiutarla essi debbono mettere in gioco o un meccanismo di inibizione che sopraffacendo l'area cerebrale uditiva fa sopravvenire la sonnolenza o un fenomeno di eccitazione promuovendo la conversazione. Ora è noto che questo conflitto tra fenomeni antagonisti di eccitazione e di inibizione, soprattutto nel medesimo soggetto, viene utilizzato con i riflessi condizionati di Pavlov per creare le nevrosi sperimentali. Il rumore soprattutto molesto determina sempre fenomeni antagonisti negli individui che lo subiscono e non può non essere talora considerato fattore importante nella determinazione di svariate alterazioni psichiche. La partecipazione emotiva ad uno stimolo acustico può ridurre certamente il possibile danno psichico, il che spiega la notevole tolleranza degli abituali frequentatori delle discoteche, dei club jazzistici, ecc., anche se sembra dimostrato che chitarristi e danzatori vanno incontro ad una presbiacusia precoce. ei soggetti predisposti il rumore esagera l'instabilità e l'irritabilità del carattere, accresce la depressione nervosa nei depressi, può provocare l'ossessione negli ansiosi, la cui emotività esacerbata fa presagire l'imminenza di un nuovo ru1nore. Negli isterici e negli epilettici il rumore può provocare una grande crisi , specialmente quando il rumore è inaspettato (Maugeri). Anche, però, a prescindere da condizioni particolari predisponenti si deve ritenere, fondatamente, che un rumore protratto, intenso e molesto o acuto e improvviso, agisca sfavorevolmente sullo stato d'animo di qualsiasi persona, soprattutto ove si pensi che molto spesso si ha nello stesso soggetto una sovrapposizione di rumori delle più varie origini (rumori industriali, rumori del traffìco, rumori di aerei, da cause comuni, ecc.). Autori americani hanno dimostrato che il traffico stradale può aumentare l'intensità sonora del cortile di una scuola da 58 a 78 db. La differenza sembra poco rilevante, ma tale non è ove si pensi che la scala dei decibel è logaritmica, per cui 78 db rappresentano un'intensità sonora dieci volte maggiore di quella di 58 db. Si comprende perciò anche come a causa del rumore le comunicazioni tra i diversi soggetti vengono disturbate, la cenestesi alterata, impedita quella pausa di distensione e di intima solitudine di cui ogni essere umano in un'epoca convulsa come la nostra ha assolutamente bisogno.


Non tutti i rumori sono però dannosi. Al pari dei suoni a carattere musicale sono stati utilizzati degli stimoli acustici composti artificialmente, come la luce bianca, mescolando opportunamente frequenze diverse (cosiddetti suoni bianchi). Essi sono stati usati per ridurre l'apprensione e il dolore durante il trattamento odontoiatrico e anche tentati per facilitare il travaglio del parto. In una Clinica Ostetrica di Phoenix (Arizona), 240 partorienti, alle quali era stato applicato un auricolare, potevano scegliere tra due canali, uno dei quali trasmetteva un << suono bianco >) e l'altro musica leggera, potendo regolare a loro piacere il volume. Nei confronti di un altro gruppo di controllo, le partorienti affermarono di aver sopportato, con l'a udizione dei suoni bianchi, meglio i dolori, soprattutto all'inizio. Tuttavia non venne rilevata alcuna diminuzione nella somministrazione della quantità di analgesici. In particolare, 75 donne su n6 avevano provato un certo sollievo nella prima fase, 20 su 33 nella seconda e II su 19 al momento del pano. Altri Autori ritengono che con tale mezzo possa ottenersi un netto miglioramento anche nelle nevralgie facciali gravi. Prescindendo da tali ristrette applicazioni, è indubbio che il rumore è dannoso sia psicologicamente che sui vari organi, specialmente e ovviamente su quello dell'udito. Né ci si può adagiare passivamente sul vecchio detto che esso è il prezzo che si paga al progresso, essendo invece esso spesso solo la prova di una insufficienza di mezzi tecnici atti a contenerlo e a renderlo inoffensivo. La difficoltà di risolvere tale problema tecnico risiede anche nel fatto che, come già detto, l'irritazione provocata dai diversi rumori, anche se tutti della stessa intensità, dipende non solo dalle caratteristiche del suono, ma anche, e spesso preminentemente, dalla personalità di chi lo percepisce. Impossibile è perciò stabilire una soglia comune di non gradimento, anche se è da considerare che, per la grande maggioranza dei sog~etti, il rumore di qualsiasi origine, almeno in determinati momenti psicologici e specie nell'ambito domestico, possa determinare un'irritazione, una << reazione ostile contro un'intrusione nei nostri pensieri e sentimenti o nel tranquillo isolamento nel quale ci eravamo momentaneamente ritug;iati l> ( dal Rapporto del Comitato Inglese per i problemi del rumore, H.M. Stationery Office, 1964). Un tentativo, abbastanza valido, di stabilire una relazione tra le qualità fisiche del rumore e la reazione di un soggetto, può essere considerato q uel1o del Lehmann (suddivisione del rumore in tre gradi) : r) rumore fastidioso (grado I) = da 36 a 60 fons (azione psichica); 2) rumore che costituisce un pericolo per la salute (grado II) = da 60 a 90 phon (effetto psichico e vegetativo);


3) rumore dannoso alla salute (grado lll) = da 90 a 120 fons (effetto psichico, vegetativo ed otologico, con lesio ni dell'orecchio interno che possono giungere fino alla sordità). I r 20 phon costituirebbero la soglia delle sensazioni dolorose per 1'orecch io, oltre la quale il rumore causa una sordità immediata e provoca rapidamente alterazioni permanenti dell 'orecchio interno. La lotta contro il rumore eccessivo comincia ad impegnare l'attenzione delle a utorità di non pochi Stati. Ai fini d'una efficace azione preventiva dei rumori necessita analizzare, nelle loro linee essenziali, le cause obiettive, perallro molteplici e complesse, sia dei rumori da ambiente lavorativo, sia d i quelli che, in vario modo, interessano o colpiscono la quasi totalità degli abitanti d'una g rande cinà. Per quanto attiene al rumore industriale, esso è quasi sempre una mescolanza di suoni, una risultante di onde e di vibrazioni sonore. Mediante adatti apparecch i è possibile scomporlo nelle sue componenti e conoscerne le intensità sonore g lobali in un determinato punto. Va rilevato, al riguardo, che un livello sonoro sopportabile a determinate frequenze (tonalità bassa), può non esserlo più a frequenze elevate (suoni acuti). Con un grafico che registra l'intensità secondo le frequenze (spettro sonoro) si può stabilire il livello sonoro accettabile in (unzione delle due caratteristiche indispensabili ad ogni giudizio: la frequenza e l'intensità. Le principali sorgenti del rumore industriale sono, come precisano Trémolières e Coli., le macchine e i comandi ; g li apparecchi di trasmissione; i depositi igienici. Pur fabbricandosi attualmente macchine relativamente silenziose, ve ne sono non poche che, nonostante gli sforzi fatti e spesso proprio per le loro caratteristiche intrinseche, continuano a dar luogo a rumori eccessivi e sicuramente nocivi. Come è già stato detto, al di sopra dei 95 db e specialmente a partire da 100 db, il rumore cos tituisce indubbiamente un agente traumatico capace di provocare lesioni; intorno ed oltre i 130 db il rumore può provocare dei disturbi gravi in chi ne subisce l'aggressione. Sperimentalmente, per rumori di 130 db, si hanno nell'animale (Monaco), modificazioni ematiche ed endocrine che ricordano la sindrome di adattamento di Selye, e, quando l'azione sonora è ripetuta e sufficientemente protratta, una sordità progressiva con lento ritorno alla norma delle alterazioni ematiche cd endocrine succitate. Rumori di oltre 16o d b (prodotti per esempio dalle sirene di Pirnonow o dai fischietti di H artmann) possono provocare rapidamente la morte in a111111ali da esperimento.


43 1 In non pochi casi l'intensità globale di certi rumori industriali supera, anche di molto, i limiti considerati tollerabili, come si deduce dai dati r ilevati dal Raymond: Maglio . Chiodatura (cantiere navale) Martelli pneumatici . Perforatrici da miniera . Cementificio Industrie tessili o metallurgiche

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La scelta dei procedimenti ,d i lavoro, un'oculata sistemazione dei diversi posti di lavoro, accortezze tecniche relativamente semplici possono, però, attenuare le gravi conseguenze di rumori e di vibrazioni eccessive. Cosl ad esempio Chavasse, registrando le cifre relative ai diversi effetti rilevati nel corso d' un'operazione di r ibaditura, osservò notevoli differenze, a seconda che detto lavoro veniva effettuato con il martello pneumatico, con una chiodatrice pneumatica portatile o con una macchina chiodatrice fissa. cn difficilmente eliminabili possono essere talune vibrazioni o rumori eccessivi, come quelli che si verificano alla messa in marcia delle macchine, all'atto del funzionamento o al momento del frenaggio: mancanza di regolazione, difettosa manutenzione o lubrificazione, mancata sostituzione di pezzi vecchi o consumati, difettosa installazione di impianti e di montaggio, errori nella manovra delle macchine o nel maneggio dei comandi sono i principali fattori di detti rwnori. Una sorgente non indifferente di rumori può essere costituita, nelle fabbriche, dagli apparecchi di trasmissione e dai comandi. Essi possono essere causa diretta di rumore, come pure possono trasmettere le vibrazioni, dovute ad azioni meccaniche, ad altri elementi che divengono, a loro volta, sorgente secondaria di vibrazioni sonore. Un accurato esame della loro struttura e della loro tecnica di funzionamento potrebbe condurre agevolmente ad una sensibile riduzione di tali rumon. Una modifica della natura e della sezione delle cinghie e delle loro fibbie o delle loro cuciture, una revisione dei modi di fissaggio degli alberi di trasmissione e l'introduzione di articolazioni elastiche, di ,g iunture flessibili o di rivestimenti appropriati, possono produrre un sensibile ammortizzamento e permettere di isolare sufficientemente le leve di comando, assi od organi di collegamento, ostacolando in tal modo il trasmettersi delle vibraziom e il loro trasformarsi in rumori . Per quanto concerne gli ingranaggi, tanto spesso causa di rumori, esistono tecniche di fabbricazione e di messa in opera che permettono di rendere il funzionamento pressoché silenzioso; di ciò sono prova i nuovi mate-


43 2 riali impiegati e i recenti modelli e profili adottati nelle industrie più progredite. Una sorgente particolare di rumori nelle fabbriche può essere costituita dagli stessi apparecchi indispensabili per l'igiene e la salubrità dei locali: ventilatori, aspiratori, aspirapolveri. I rumori generati da tali apparecchi sono dovuti essenzialmente al fischio e alle vibrazioni delle lamiere che costituiscono i condotti di ventilazione. In alcuni di tali condotti, R. Fleurent registrò livelli sonori che raggiungevano i 95 - JOO phon, il che aggravava chiaramente e spiacevolmente la rumorosità dell'ambiente. Riferendosi, per esempio, ai ventilatori ed alle cause che possono renderne il funzionamento fonte di rumori, bisogna ricordare che, allorché l'aria li attraversa passando tra le pale od alette, essa viene ad urtare a grande velocità i pezzi dell'apparecchio; si producono allora sui pezzi fissi dei vortici generatori di rumori (Trémolières). Il movimento delle alette e delle pale produce inoltre un rumore simile a quello della sirena, detto rumore di ventilazione. T utti detti rumori dipendono, in gran parte, dalla velocità periferica. Un elemento. di rilievo è costituito dal fatto che il rumore causato dai vortici comprende soprattutto le basse frequenze. Il livello sonoro si abbassa quando aumenta la frequenza. Poiché il rumore prodotto si accentua notevolmente, per lo più, allorché aumenta la velocità, è preferibile scegliere deboli velocità di rotazione, inferiori a 600 giri al minuto. W. Zeller ha riscontrato la seguente relazione tra numero dei giri (g/ m) e livello suono (fon) : g/m phon

= =

200

42

Secondo detto Autore perché un vent ilatore possa essere considerato silenzioso, non si deve superare il livello di 60 phon a un metro di distanza dall'apparecchio propriam ente detto. Tale condizione limite si raggiunge, in genere, su una pressione d'acqua di 35 mm ad una velocità periferica di circa 23 metri al secondo. Una costruzione rigida del carter impedisce, inoltre, la produzione in esso di vibrazioni, il cui irradiarsi diverrebbe percettibile quando il livello sonoro è sufficiente a determinare un ronzio, e cioè soprattutto, nel campo del le basse frequenze. L'isolamento dei condotti di ventilazione, la natura del materiale di cui essi sono composti possono impedire o per lo meno attenuare la formazione di rumori molesti.


433 Per quanto attiene alle pompe centrifughe che devono girare a grande velocità è possibile evitare rumori molesti, ove esse siano scelte di piccole dimensioni, ben isolate e cappottate. Nei riguardi degli impianti di ventilazione e di condizionamento W. Zeller, ai fini di un'attenuazione del rumore, consiglia gli ammortizzatori per assorbimento e a risonatori, i filtri acustici e gli ammortizzatori interferenziali, che servono ad ammor tizzare determinate frequenze. La necessità di realizzare nella maggior misura possibile un ammortizzamento dei rumori, specie di quelli a bassa frequenza, s'impone soprattutto in quegli impianti industriali nei quali si riscontrano livelli sonori elevati: in tali ·casi. si tende a raggiungere un massimo di 70 o di 80 phon. Dalle considerazioni succitate emerge la necessità che, ai fini di ridurre il livello sonoro degli ambienti, vengano tenuti presenti, nel progettare uno stabilimento o nel riadattamento di uno già esistente, alcuni principii generali di valore fondamentale, che Trémolières e Coll. riassumono nei seguenti: a) tener presente la legge di attenuazione o di indebolimento delle onde sonore in funzione del loro allontanarsi dalla sorgente generatrice e l'efficacia di alcuni schermi sonori; b) legge dell'addizione dei livelli sonori. Allorquando due livelli sonori si assommano, prevale sempre la sorgente sonora il cui livello è più elevato. Tra le deduzioni pratiche di tale legge nell'ambiente industriale è da ricordare la seguente : se le intensità <li tutte le macchine sono all'incirca uguali, non si otterranno risultati sensibili, se non agendo su tutte le sorgenti contemporaneamente; se, al contrario, alcune sorgenti sono decisamente più rumorose, occorrerà in precedenza, cercare di abbassarle al livello delle altre; e) regole e principii concernenti le operazioni di correzione acustica. Al riguardo bisogna tener presente che ogni locale possiede una sua propria sonorità, indipendentemente dalla presenza delle sorgenti di rumori che vi si trovano. Tale sonorità dipende essenzialmente, da una parte, dal volume del locale, e, dall'altra, dalle pareti di cinta (verticali ed orizzontali) sulle quali si producono gli effetti di riverbero. 11 riflesso o riverbero delle onde sonore contr.ibuisce ad elevare sensibilmente il livello sonoro generale e, per le forti sonorità, ad estendere detto livello a tutte le parti dell'officina. Per evitare tale inconveniente è necessario, ovviamente, l'adozione di pareti e di rivesti.menti interni delle pareti del locale, costituiti da materiali e sostanze con forte coefficiente di assorbimento fonico. Nella pratica, ai fìni del miglioramento acustico d'un'offìcina o di una fabbrica, necessita, dopo aver stabilito il grafico sonoro ed avere individuate così le principali sorgenti di rumore, ridurre il rumore alla sorgente, instal-


434 lando le macchine più rumorose in un determinato settore ed isolandole in camere collettive o individuali in appcsite nicchie o sotto cappotta. Questa deve essere costituita da una materia avente buone proprietà di inerzia e di rigiclità e nella parte interna deve contenere un materiale assorbente, il cui spessore abbia i ccefficienti di assorbimento adeguati al suono prodotto dalla macchina. Importanti sono, altresì. i metodi e i procedimenti d'insonorizzazione dei locali. Ai fini di ridurre la risonanza e diminuire il riverbero si è ricorso all'uso di pareti assorbenti, con le quali si ottiene lo smorzamento dei suom nei locali. Al riguardo, come ricorda Trémolières, va tenuto presente essenzialmente quanto segue: 1) è necessario ridurre di tre quarti almeno il tempo di riverbero iniziale. Tale regola è valida specialmente nelle fasce di frequenza in cui l'intensità sonora è assai forte; 2) quando l'altezza dei soffitti è assai elevata o comunque supera i quattro metri, è opportuno attuare una sistemazione speciale (un finto soffitto, vari dispositivi che forniscono uno schermo assorbente supplementare, ccc.). Tali dispositivi verranno anche installati possibilmente in prossimità delle principali sorgenti di rumore. Potranno consistere in tramezzi parziali, in schermi orizzontali sopra le macchine, in riquadri verticali sulle armature, ecc. Con tali metodi si può arrivare a triplicare la capacità di assorbimento dei locali e a diminuire di molti decibel il livello del rumore ambiente. Per quanto concerne l'assorbimento acustico esso si può effettuare principalmente: a) per porosità (con materiali costituiti da isolanti termici, quali lane vegetal i, feltri, lane minerali, ecc.); b) mediante pannelli risonanti (sistemi vibranti, il cui massimo di assorbimento si verifica per suoni di frequenza vicini alla frequenza propria del pannello e il cui coefficiente di assorbimento è ottimo per le basse frequenze, da 100 a 300 hertz); e) mediante risonatori di aria. In questi ultimi, la massa in m o vimento è il volume d'aria contenuto nel collo del risonatore. L'aria ivi contenuta si sposta alla freque nza del suono e, riempiendo la cavità posteriore, fa <la ammortizzatore. Un sistema del genere ha una frequenza propria (fascia compresa tra i 50 e i 400 hertz) e il suo coefficiente di assorbimento su una parete forata da una serie di risonatori può avvicinarsi ad uno. L'applicazione delle misure di assorbimento fonico richiedono spesso, per la loro complessità, l'intervento di specialisti di acustica, soprattutto per


435 quanto riguarda le grandi officine, che sono appunto quelle che presentano la maggiore difficoltà ad essere insonorizzate, in quanto la sonorità e il tempo di riverbero sono in funzione diretta del volume del locale considerato. Tra le cause di rumore vanno, inoltre, inclusi i « sussulti )) determinati da corpi solidi entrati in vibrazione. Si verificano in tal caso delle vibrazioni sonore che si diffondono nell'atmosfera e delle vibrazioni ( denominate altresì oscillazioni meccaniche), situate nelle zone infrasonora e sonora a bassa frequenza, che si propagano attraverso la massa del corpo soggetto alla causa eccitante, trasmettendosi talora assai lontano dai corpi con esse in contatto. Alcune delle vibrazioni succitate, trasmesse a distanza attraverso i materiali, provocano dei fenomeni di irradiazione sonora e divengono così ulteriori sorgenti di rumore. Il classico tipo di apparecchio, il cui uso trasmette all'organismo violenti sussulti, è il martello pneumatico a mano. E ' buona norma preventiva generale evitare che gli operai rimangano per troppe ore su placche o piattaforme animate da movimenti sussultori. ln ogni caso è necessario limitare gli effetti dannosi, munendo la placca o l'operaio di suole di caucciù. La pericolosità insita nei << sussulti ii rende necessaria l'adozione di dispositivi antivibranti, basati sul principio di interporre tra il corpo vibrante e il supporto (supporto indeformabile) dei dispositivi o dei materiali deformabili. Un montaggio perfetto di detti dispositivi antivibranti richiede la conoscenza preliminare (Trémolières): a) delle caratteristiche meccaniche e fisiche dell'apparecchio da isolare; b) delle caratteristiche intrinseche e particolareggiate dei dispositivi neutralizzanti (forza di ammortizzamento, pressione di schiacciamento, coefficiente di fatica, capacità di durata); e) delle caratteristiche del « supporto >> (natura del terreno d'impianto, comportamento delle fondamenta, dei pavimenti e dei muri quando servono da supporto, ecc.). I dispositivi isolanti possono essere distinti, essenzialmente, in tre categorie: le molle (a lamine, elicoidali o coniche); le placche antivibranti (costituite da sughero e più generalmente da caucciù naturale o sintetico); i cuscinetti neutralizzanti (per i guali si possono impiegare fe ltri , caucciù, fibre di vetro, fogli di piombo o di sughero, granulati di sughero incollati a feltri asfaltati, il tappeto di caucciù pieno, ecc.) . . Iei riguardi delle placche antivibranti, Pillon ricorda le seguenti caratteristiche essenziali: 1) l'elasticità di placca non dipende unicamente dalla natura del materiale, ma anche dalle sue tre dimensioni e dalla sua facilità di. deformazione (incastratura, ecc.);


2) i limiti degli sforzi o dei carichi che possono essere tollerati sono in genere piuttosto limitati, sicché non bisogna oltrepassare un dato grado di deformazione; 3) esse possono essere deteriorate dalle temperature elevate o dal contatto di corpi grassi (olii). Il loro logorio è più rapido di guello delle molle metalliche; 4) il materiale possiede, invece, una certa capacità di ammortizzamento che aumenta, per il caucciù, senza che sia necessario aggiungervi altri ammortizzatori.

riassunti e la bibliografia verranno pubblicati con la seconda parte del lavoro.


OSPEDA LE MILITARE PRL'\TCI PALE DI MILANO ,, S. TEN. MED . AKNIBALl)J r. ORIS • M.O. AL V.M. "

Direttore : Col. Mcd. Prof. E. MELORIO

AGGIORNAMENT O PROFILATTICO, DIAGNOSTICO E TERAPEUTICO SULLA INFEZIONE COLERICA * Col. Mcd. Dott. F . Papandrea

I recenti casi di infezione colerica verificatisi in regioni ormai immuni, riportano alla ribalta la necessità di un'oculata vigilanza delle condizioni igieniche individuali ed ambientali, di un'attenta profilassi, di una precoce diagnosi e di una appropriata terapia. Com'è noto l'infezione colerica, relativamente facile a riconoscersi in periodo epidemico ed in località endemiche, pone invece altrove la necessità di una diagnosi differenzia]e con le tossinfezioni alimentari, salmonellosi, dissenterie batteriche, diarrea staiilococcica. Il contagio avviene per via orale attraverso alimenti contaminati o le mani sporche. L 'incubazione varia da poche ore a 5 gg.; la contagiosità dura per tutto il periodo di incubazione e di malattia e per due settimane nella convalescenza. I vibrioni vengono eliminati con le feci e con il vomito. Clinicamente l'inizio può essere graduale con feci semiliquide, senza prodromi con la comparsa di violenti dolori epigastrici, angoscia precordiale e con deiezioni, dapprima giallastre, poi con un aspetto di acqua di riso con scariche a (< getto di siringa » che aumentano di numero sino a giungere nelle 24 h a So ed anche a 100. Contemporaneamente si hanno vomiti acquosi, sete violenta, oliguria, anuria, tachicardia, ipotensione, ipotermia, algidità: la voce si attenua sin quasi ad estinguersi, la faccia assume un aspetto caratteristico << facies cholerica )), le condizioni generali precipitano e se non si interviene, in due o tre giorni si ha la morte, che talora, in casi gravissimi può succedere anche in poche ore. Nei casi favorevoli al periodo algido sussegue un periodo di reazione, il cuore riprende la sua energia, la cute ritorna rosea, la temperatura risale alla norma, riprende la diuresi ed il paziente si avvia alla convalescenza.

* Conferenza tenuta dall'Autore presso l'Ospedale Militare Principale di Milano il 15 ottobre 1973.


Nella fase acuta i vibrioni sono numerosissimi nelle feci risiformi e nel vomito; sono dotati di una vivace mo bilità, sono gram negativi, possono essere isolati in acgua peptonata e per la loro identificazione si procede alla sieroagglutinazione con sieri test specifici. La prognosi è sempre riservata anche nei casi apparentemente lievi. La mortalità oscilla in assenza di terapia dal 40 al 50 e persino all'8o 0 ~ mentre si riduce a circa il ro~<, nei casi trattati con opportuna terapia. L a terapia aspecifica impone asscluto riposo a letto. Il paziente va tenuto ben coperto con bottiglie di acgua calda. Si somministrano farmaci per una terapia sintomatica sui disturbi cardio - circolatori e soprattutto si cerca di ristabilire l'equilibrio idrosalino. Rispende bene a questo scopo la terapia di perfusione con soluzioni di elettroliti onde combattere la disidratazio ne e l'acidosi. Contro l'acidosi ogni 3 litri di soluzione fisiologica 1 litro di soluzione di bicarbonato di sod io al 41~- La terapia di perfusione con elettroliti può essere fatta con la soluzione indicata 5 - 4 - r adottata da « The Pachistan Seato Cholera research Laboratory n; contiene 5 gr. di NaCI, 4 gr. di Na H CO:i ed r gr. di KCL per litro ed ha quasi la stessa concentrazione di elettroliti delle feci del coleroso. Questa soluz ione deve essere somministrata all'inizio del trattamento per infusione endovenosa rapida, preparando se necessario la vena femorale, ed in quantità variabile dal ro 0 ~ al 2,5 °~ del peso corporeo ed in rapporto alla disidratazione del paziente, in rapporto quindi equivalente alla guantità di liquidi perduti con le feci e con il vomito. Come terapia specifica vengono utilizzati gli antibiotici, Tetraciclina e Cloramfenicolo alla dose di 250 - 500 mgr. ogni 6 h per almeno 5 giorni. Recentemente è stato presentato un prodotto sulfamidico che si somministra alla dose di 4 compresse in un giorno e determina una protezione per sette giorni; ncn può essere ripetuto immediatamente, ma dopo una settimana di sospensio ne. Profilassi : per legge, denunzia obbligatoria, contumacia obbligatoria, denuncia dei casi anche sospetti. Vaccinazjone obbligatoria di chi proviene o si reca nei paesi in cui l'infezione è endemica. Accertamento clinico e batteriologico della malattia. Isolamento contumaciale per 5 giorni dei soggetti che hanno avuto rapporti diretti con i casi accertati. Distruz ione deglj eventuali vettori, mosche soprattutto, e protezione degli al imenù. Profilassi individuale e sociale : mediante vaccinazione antjcolerica. La immunizzazione attiva si ottiene mediante vaccino ucciso contenente 8 miliardi di germi per ml. Si praticano due iniezioni alla distanza di 14 gg. l' una dall'altra, la prima di 0,5 ml. e la seconda di 1 ml. N ei bambini si pratica metà dose; l'immunità dura sei mesi. Poiché l'infezione viene introdotta con gli alimenti per via orale è assolutamente necessario evitare l'assunzione di alimenti contaminati e particolarmente di mitili e frutti di mare in genere. L'acqua potabile ed il latte devono essere particolarmente curati nella loro sterilità, con eventuale ebol-


439 lizione per 20 minuti. Gli alimenti devono essere cotti immediatamente prima dell'assunzione e protetti. La frutta può essere ingerita dopo abbondante lavaggio con acqua sicuramente pura. Gli individui venuti a contatto con persone infette o cumunque sospette possono assumere sulfamidici come sopra detto: Tetracicline, Streptomicine, Sulfaminoguanidina, Cloramfenicolo, eomicina alle dosi terapeutiche e non inferiori. T ale pratica evita probabilmente lo sviluppo della malattia.

9. - M.M.


CENTRO ST UDI E R ICERCI lE DELLA SAè\'IT À MILITARE

Direttore: Tea. Gen. Mcd. Don. C. M1•511,1.1

SULLA PARALISI PERIODICA FAMILIARE Magg. Gen. Med. P rof. Dott. V. Dc Laurenzi

INTRODUZIONE

Durante la guerra ebbi occasione di osservare nel Reparto Neurologico dell'Ospedale Militare di Tirana un caso di paralisi periodica familiare in un artigliere. Lo presentai nella Seduta Scientifica del locale Ospedale Civile il 2_1 febbraio r94r, e la breve relazione fu riportata dal giornale il « Policlinico» di Roma (Sez. Pratica, n . 31 - 34, vol. XLVUI - 1941). Desidero ritornare sul caso, sia per riferire tutti i particolari che mi fu possibile rilevare e che non furono citati ne.lla succinta relazione del r941, sia per fare delle considerazioni in base alle più recenti vedute sulla genesi della malattia.

DESCRIZIONE DELLA MALATTIA

La paralisi periodica familiare (malattia di Westphal, paralisi parossistica, mioplegia intermittente) fu osservata, per la prima volta, nel 1882 dal medico russo Schachnowicz e fu fatta con oscere nei suoi principali caratteri da Wcstphal nel 1885. E' malattia rara; secondo un calcolo di Corsi, fino al 1953 erano stati descritti 270 casi di cui 17 italiani. La maggiore frequenza si avrebbe fra gli ebrei, i polacch i e i russi, molti casi sono stati segnalati in Giappone. L 'Italia figura fra le nazioni meno colpite. La condizione morbosa è caratterizzata da paralisi periodiche agli arti e al tronco. Le paralisi. si manifestano prima agli arti inferiori e quindi agli arti superiori, progrediscono dalla radice degli arti verso i segmenti distali, e, talvolta, verso il tronco e il collo, colpiscono sia gli estensori che i flessori ed hanno carattere flaccido. I riflessi tendinei sono aboliti, i riflessi cutanei sono diminuiti o spenti, normali i riflessi iridei alla luce e all'accomodazione. Le reazioni elettriche risultano alterate, mentre la sensibilità rimane mtegra e il sensorio appare sempre lucido; indenni i nervi cranici.


44l Quando la crisi ha inizio di notte, come per lo più avviene, il soggetto si sveglia in preda alla de.ficenza motoria in atto, quando invece insorge di giorno, il paziente può avvertire disturbi prodromici: parestesie, senso di stanchezza, sonnolenza, sete intensa, ecc. Il movimento corporeo r itarda l'insorgere della paralisi. Golclilam ha potuto provocare un accesso immobilizzando a lungo il paziente, e Schliesinger cita il caso di un ammalato che, di regola, presentava la crisi ogni lunedl o il giorno susseguente ad un giorno di festa. I muscoli respiratori, in genere, non vengono colpiti probabilmente perché il loro movimento incessante si oppone all'instaurarsi della paral isi. Un pasto abbondante può essere causa provocatrice della crisi. Gli episodi paralitici, che durano da 6 a 48 ore, possono accompagnarsi a sudorazione abbondante, a ra ffreddamento delle estremità, ad extrasistoli e a modificazioni della pressione arteriosa. Quasi in tutti i casi si riscontra ipopotassiemia. La malattia predomina nel sesso maschile e compare, in genere, nella pubertà; ha carattere familiare, ma vi sono anche casi sporadici con una frequenza del 20 - 25 °{. Gli attacchi si presentano io numero di 5 - 15 per anno, sono più frequenti in autunno e nell 'inverno e possono essere provocati anche artificialmente con l'infusione endovenosa di glucosio e insulina, oppure con l'iniezione sottocutanea di adrenalina.

GENESI DELLA MALATTIA

Diverse sono le teorie. Si discute anzitutto se il disturbo risieda nei muscoli o se sia nel sistema nervoso. La possibilità di provocare paralisi di pochi muscoli mediante l'azione locale del freddo, le alterazioni morfologiche dei muscoli, l'abolizione totale della eccitabilità elettrica, il tipo di distribuzione della paralisi depongono a favore della sede muscolare. T risultati delle esperienze del Pudenz stanno, invece, per la sede nervosa. L'ipopotassiemia, che si riscontra quasi sempre durante la crisi paralitica, e l'efficacia terapeutica del potassio hanno fatto pensare ad una alterazione del metabolismo del potassio. Aitken e Coli. sospettarono che le alterazioni della potassiemia fossero in rapporto con alterazioni del metabolismo dei glicidi. Corsi, nel 1953, dopo una accurata disamina della letteratura e in base anche allo studio di un ammalato, concludeva : « Sembra probabile che il disturbo abbia sede nei muscoli e consista in un esaltato metabolismo dei glicidi con sintesi di quantità di glicogeno superiore alla norma. L'esagerata sintesi cli glicogeno porterebbe, come conseguenza, la .fissazione in forma non ionizzata cli grandi q uantità di potassio» . Lo stesso Corsi, però, ricorda che non esiste un rapporto costante fra il grado di potassiemia e la


44 2 gravità della paralisi, che in alcuni malati sono stati osservati accessi con potassiemia normale e che, inoltre, rimane incerto dove e perché si accumola il potassio che scompare dal sangue. Dato il ruolo delle ghiandole a secrezione interna nel metabolismo idrocarbonato, è sembrato logico ad alcuni Autori attribuire l'eccessivo accumolo di glicogeno nei muscoli ad una disfunzione endocrina. Conn e Coll. attribuiscono la malattia ad una anomalia nella secrezione di aldosterone e parlano di iperaldosteronismo intermittente. Si avrebbe un aumento dell'eliminazione dell'aldosterone nelle urine cui seguirebbe ritenzione di sodio . Il successivo aumento della sodiemia porterebbe ad una penetrazione di ioni K nelle cellule. Successivamente si avrebbe un awnento della secrezione urinaria del sodio con conseguente aumento della potassiemia. Le ricerche di Conn sono state confermate da alcuni Autori mentre altri non hanno trovato nessuna variazione urinaria dell'aldosterone. Autori moderni pongono il meccanismo patogenetico non più a livello delle cellule muscolari ma a livello centrale e ritengono che le variazioni della potassiemia rappresentino solo un riflesso secondario: si va facendo strada l'ipotesi che l'anomalia abbia sede nel diencefalo. Diversi fatti depongono a favore di questa teoria: r) in un soggetto, venuto a morte nel corso di una crisi, furono riscontrate alterazioni regressive a carico dell 'ipotalamo; 2) attacchi di p .p.f. e di emicrania possono associarsi in uno stesso paziente e possono presentarsi separatamente in diversi membri della stessa famiglia; 3) esiste, inoltre, analogia fra la p. p.f. e la cataplessia. Queste due malattie, infatti, hanno diversi punti in comune : incidenza familiare, deficit motori.o, integrità del sensorio; unica differenza la durata della crisi che è di qualche momento nella cataplessia e di poche ore nella p.p.f. Particolarmente interessante è il caso di Proto e Coll. Un loro ammalato nel 1961 fu trovato affetto da paralisi periodica familiare e gli furono prescritti ~ g r. di cloruro di K al giorno; con questa cura stette bene per tre anni , ma in seguito, pur praticando la stessa terapia, fu nuovamente colpito da crisi paralitiche che erano precedute da forte stato ansioso, da cefalea intensa, da crampi muscolari, duravano circa 36 ore e si accompag navano a profusa sudorazione e ad oliguria. Per combattere l'ansia si pensò di somministrare, dopo avere sospeso il cloruro di K, 50 milligrammi di cloropromazina per os ogni sera. Le crisi non si presentarono più, neanche se il paz ie nte prendeva un pasto abbondante la sera, e non fu possibile neppure provocare un attacco artificiale col glucosio e con l'insulina, se prima dell'esperimento si somministravano roo milligrammi di cloropromazina. Con la sospensione de1la cura, invece, gli attacchi si ripresentarono con tutti i loro caratteri.


443 Proto e Coli. così concludevano: « Le nuove teorie tendono a considerare sempre meno probabile che l'anomalia della paralisi periodica risieda nel muscolo striato. La diminuzione della potassiemia viene ormai considerata un fatto secondario. L'analogia della P·P· con altre sindromi da disfunzione diencefalica e la terapia ex adiuvantibus con farmaci che agiscano a livello centrale, aggiungono nuovi elementi all'idea che la P·P· dipenda da un difetto metabolico ereditario a l ivello diencefalico».

ILLUSTRAZIONE DEL CASO

A .P.M., contadino, di anni 29, nato in un comune della provincia di Perugia? prestava serv1z10, quale richiamato, in Artiglieria, in un gruppo someggiato. La bisnonna, il nonno, il padre, una zia, un fratello e una sorella avevano per decenni sofferto di disturbi riferibili a paralisi parossistica. 11 soggetto era nato a termine, era stato allattato al seno materno ed aveva avuto normale sviluppo psico - fisico. Non malattie d'importanza oltre i comuni esantemi dell'infanzia. All'età di 14 anni il primo episodio paralitico che, in seguito, si era ripetuto, sempre con g li stessi caratteri di quello in atto, 3 - 4 volte all'anno; in forma leggera si era presentato anche più volte durante l'anno. Il paziente teneva a fare notare che la crisi, sia in lui che nei familiari, si presentava ir. genere, dopo un pasto piuttosto abbondante o dopo un giorno di riposo. L'esame neurologico, praticato all'ingresso, dimostrò tetraplegia con ipotonia, scomparsa dei riflessi tendinei, notevole diminuzione dei riflessi cutanei e una certa difficoltà negli atti respiratori. I nervi cranici erano integri, i riflessi iridei pronti sia alla luce che all'accomodazione, la sensibilità in ordine, il sensorio perfettamente lucido. All'esame elettrodiagnostico si ebbe ineccitabilità faradica e galvanica. L'eccitabilità idiomuscolare appariva soppressa. L 'esame obiettivo generale fece rilevare ipotensione arteriosa, qualche extrasistole, sudorazione abbondante, non rialzi termici. Ricerche di laboratorio: gli.cernia 0,90%0, azotemia 0,38%0, non albuminuria, non glicosuria, R.W. nel sangue negativa. Dopo circa 48 ore si ebbe un graduale ripristino della motilità con comparsa anche graduale dei riflessi. Dopo altre 24 ore ogni disturbo era scomparso e il paziente ritornava allo stato n ormale. Alla distanza di due settimane, leggera crisi: g li arti superiori erano immobili sul piano del letto, mentre quelli inferiori potevano eseguire qualche movimento limitato ai p iedi; rotuleo assente, achilleo accennato. La nuova insufficienza motoria durò circa tre ore.


444 Durante il periodo di benessere il paziente aveva cura di mangiare poco e di passeggiare tutto il giorno per i viali dell'Ospedale, affermando che questi erano i due soli mezzi per scongiurare la paralisi. Purtroppo, per circostanze di tempo e di luogo, non ci fu possibile eseguire parci.:olari indagini né prescrivere cure: eravamo in Albania cd in piena guerra. Nel 1952 riuscii ad avere notizie del paziente il quale mi comunicò che dopo il congedo aveva avuto 2 - 3 crisi all'anno con gli stessi caratteri di quella di Tirana, ma che non gli era stata consigliata alcuna cura. Dal 1952 nessuna notizia.

CO 1S[l)F.RAZfONI SULLA GENESI DELLt\ MALATTIA

In questi ultimi anni, mentre sembrava prevalere la teoria muscolare,

è stata avanzata l'ipotesi secondo la quale il disturbo risiederebbe nel diencefalo, ipotesi basata soprattutto sulla analogia che esiste fra la p.p.f. e la cataplessia. La cataplessia, un tempo, era ritenuta strettamente legata alla malattia epilettica, faceva parte di quelle forme dette « forme epilettiche marginali o paraepilettiche », mentre oggi è attribuita ad un disturbo dei centri ipnici del diencefalo. La p.p.f. fu ritenuta, d'altra parte, anche strettamente vicina all'epilessia: Schachnowitsch, Bornstein e Higier insistettero, in modo particolare, su questo punto. In un malato di Schachnowitsch si ebbero tipiche crisi di p .p.f. fino all'età di 15 anni, a questa età scomparvero e furono sostituite da attacchi di epilessia; in un malato di Bornstcin, al contrario, si manifestarono frequenti crisi comiziali fino ai 4 anni, poi cessarono, ma all'età di 8 anni comparve la prima crisi di p.p.f. Higier cita il caso di un ragazzo che, dopo avere fatto rilevare nell'infanzia manifestazioni epilettiche seguite da paresi della mano sinistra, a 8 anni presentò tipiche crisi di p.p.f. alla mano sin. e all'arto superiore sinistro. I detti Autori insistettero sull'associazione delle due malattie e sostennero l'origine centrale della p.p.f. Tenuto conto di questi precedenti studi e della recente tendenza a ritornare alla teoria nervosa, non ci sembra fuori di luogo ricordare un fatto che si verifica sia nella p.p.f. sia nella epilessia: il lavoro muscolare intenso, come ostacola l'instaurarsi della paralisi, così ostacola l'insorgere delle crisi epilettiche. Nel 1939, nel corso di ricerche sull'elettroshock, avemmo occasione di osservare che la crisi convulsiva non si verificava se prima dell'E.S. si sottoponeva il soggetto ad intenso lavoro muscolare. A questi risultati sperimentali corrisposero le osservazioni cliniche: gli attacchi convulsivi divenivano


445 meno frequenti o non si verificavano affatto negli epilettici che si assoggettavano quotidianamente a lavoro muscolare piuttosto intenso. Le nostre osservazioni furono confermate anche da Autori stranieri. Le prime conferme si ebbero nella seduta del 13 luglio 1942 dalla Società Medico - Psicologica di Parigi, da parte di parecchi consoci. Marchand citò il caso di un campione di nuoto, professore di educazione fisica, e Rondepìcrre quello di un campione di Francia: i due sportivi, che erano epilettici, non avevano mai avuto crisi durante le loro esercitazioni faticose e durante i loro saggi. Questi fatti ricordano da vicino il caso citato da Putnam di un soggetto, affetto da paralisi periodica familiare, che nel corso di un viaggio di due mesi, durante il quale faceva fino a 120 km al giorno, non ebbe alcun episodio paralitico. Le due malattie hanno, quindi, un punto in comune ed a noi sembra che anche questo fatto sia da tenere presente negli ulteriori studi sulla genesi della paralisi periodica familiare.

Russu1sro. - L'A. illustra un caso di paralisi perioJica familiare osservato in guerra e già comu n icato con succinta relazione nel 1941; fa una disamina delle varie teorie formulate sulla genesi della malattia; ricorda il fatto che sia nell'epilessia che nella paralisi periodica familiare il lavoro muscolare ostacola l'insorge re della crisi cd esprime il parere che anche questo punto, che le due malattie hanno in comune, sia da tenere presence negli ulteriori scudi sulla genesi della paralisi periodica familiare.

RÉsuMÉ. L 'Auteur illustn: u n cas dc paralysie périodique fomilia!e rcmarqué en guerre et déjà communiqué avec une rclation succincte en 1941; il examine les différcntes théories formulécs à l'égard de la genèse d e la maladic; il rappelle que soit dans l'épi lepsie, soit dans la paralysie périoJiquc fami1iale le travail musculaire empeche Ics criscs de se présenter et il est d'avis que meme ce point, que les deux maladics onc en commun, JoiL etre rappelé à l'occasion dcs études ultérieures sur la genèse dc la paralysie périodique familialc.

StNMARY. - The Author cxplai11s a case of domestic perioclic paralysis noriced in war - time and which was alrcady commu nicated by a brief report on 194 r; hc considers the various theories formu!ated on the disease genesis; he remembers the fact rhat either in epilepsy or in domestic periodic paralysis thc muscular work prevents crisis arising and he thinks that also tbis point, being common to thc two diseases, is to bear in mind on rhe occasion of furrhcr studies on thc genesis.

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C0Rs1: Folia Heredita1·ia et Pathologica, 1953. DE LAURENZI V. : Policlinico, Sez. Pratica, 1941. Go1..0FLAM S.: Zeitschr. f. Klin. Med., citato da B1Nc, 1891. H1c1ER: Neurozentralbl, citato da RrnADEAU DuMAS, 1897. PuoENZ R. H. e Coli. : f.A.M.A., citato da C0Rs1, 1938. PuTNAM J. J.: Amer. f. Med. Se., citato da CoRst, 1900. PROTO B. e Col!. : Arch. Pat. Clin. Med., 196g. RIBADEAU DuMAS C.: « La paralysie périodique familiale "· Jouvc et C.ie Editcurs, Paris, 1934· ScHACHNOWrTSCH: Wratsch, citato da R1BAOEAU Du~us, 1882. SettuEs1:-icER: Wien, Klin. Wsch., citato da RIBADEA U DuMAS, 1905.


SOMMARI DI RIVISTE MEDICO - MILITARI

IN T ERNAZIO NALE REVUE l NTERNATIONALE DES SERVICES DE SANTÉ DES ARMRES DE TERRE, DE MER ET DE L'AIR (A. 47, n. 1, 1974): Gillyboeuf: Il Servizio Sanitario in tempo d i guerra; Piekarski G.: Test biotelcmetrici negli equipaggi dei carri armati: Piedro/a Angulo G.: Studi epidemiologici e batteriologici sul colera; Cottin S., Prost A .. Esperimento di un farmaco anti - infia mmatorio: il Pirocrid in reumacologia. REVUE INTERNA TIONALE DES SERVICES DE SANTI'.: DES ARMÉES DE TERRE, DE MER ET DE L'AIR (A. 47, n. 2, 1974): Stanicioiu G ., !liescu O .. Carnbela M.: Considerazioni sull'eziologia e sul trattamento delle fratture deUa mandibola in tempo di pace; Rey A., Quiniou /., Atin Oria A.: Anemia d repanocitica: M igeon L.: La metam picillina in chirurgia generale.

ITALIA RIVISTA D f MEDICI A AERONAUTICA E SPAZ IALE (A. XXXVI, n. 3 - 4, luglio - uicembre 1973) : Nobili G ., Adorisio E., Zardi O. : La ricerca dell'antigene Au e degli anticorpi Au come resr deduttivo di alte razioni epatoccllulari in soggetti clinicamente sani; Vacca C., De Girolamo A.: Osservazioni sul pancreas embrionale di ratto in ipossia discontinua: Paolucci G., Rlundo G.: Determinazione degli stati di emozionabilità in volo in allievi piloti, mediante il dosaggio dell'acido vani! - mandelico (AVM) eliminato con le urine : Sparvieri F.: Comportamento psico - diagnostico al test di Zu llinger collettivo di un gruppo di soggetti di razza negra confrontato con quello di un gruppo similare cli razza bianca; Polistena A .: Moderne vecluce sulla tossicità dell'ossigeno.

CECOSLOVACCHIA VOJENSKÉ ZDRAVOTNlCKÉ LISTY (Voi. XLIII, n. 2, 1974): Sule/.: I problemi dei collegamenti radio dal pu11to di vista della medicina aerospaziale; Stepan Z., Hartl P.: La malattia d i Scheuermann e sue im plicazioni per il servizio militare: Skopec F., K nezek f .: La spondilite come complicazione post - traumatica; Popilka f.: Spondilolistesi; Kulhanek f.: Ascesso vertebrale epidurale; Knezek f.: Terapia delle lesioni e malattie dell'appa ra to locomotore nello sport e nell'addestramento fisico; Chvojka / . : Contributo dell'arteriografia mesenterica alla d iagnostica dei tu mori del g rosso intestino: Langsad! I ., Sedmidubsky V., / elinek A ., Dvoracek f.: Analisi degli esami batteriologici delle urine in un laboratorio clinico militare.


EGITTO ARMED FORCES MEDICAL JOURNAL A.R.E. (Vol. XVI, n. 2, giugno 1974): Sayed el Gindi, lbraliim Kortam, Hesliaam Aboul - Nasr : Valutazione del trattamento dei traumi cranio - cerebrali durante la guerra dell'ottobre 1973; /?.eda Mabrouk A. W.: Il servizio di chirurgia plastica durante la guerra del Ramadam (ottobre). Parte I: Ustioni; Wael M. Pahmy, Rida Kamel: Immobilizzazione di fratture femorali; Nagy BedUJani: Rottura traumatica dell'uretra; Alaa el Seifi: Lesione del nervo facciale; Roushdi DiU1a11: La nostra esperienza anestesiologica nella guerra del 6 ottobre; Hamed M. A.: Esame e trattamento medico d'emergenza dei feriti; Reda Mabrour A. W. , lsmail Serry, El - Rt·faie M. A., Helm y Husseùz: Estensiva perdita delJe parti molli e dello scheletro del terzo medio del volto. Trattamento chirurgico e protesico.

FRANCIA MfDECINE ET ARM!~ES (Vol. 2, n. , , gennaio 1974): Ducloux M., Barbotin M.: l tentativi di suicidio degli europei sotto i tropici; Ratisse R., Grcmier !~ .• Charbord P., Bouchard C., Garreta L.: Scintigrafia cerebrale; Delaliaye R. P., Metges P. / ., Leger A.: G li impatti in caduta libera: Sc/imit f. M., Lemon1ey Y.: Utilizzazione razionale delle cartine reanive in biochimica clinica; Lomba,·d M . : Aspetti in prospettiva dell'amministrazione degli ospedali militari; Bobin P., Garre! /., Mii/et P. , Arnoux D., Misson /?..: Evoluzione della venereologia in ambiente militare; Gaggini /., Houday E., Vannareth: Estrazione dei proiettili inesplosi in chirurgia di guerra; Paillet R. , Lesbre F. X., Deu f., Collette l-: Tiroidite subacuta di De Quervain; Giudice/li C.: Nefropatie interstiziali; Cui/baud /., Menai·d M., Monteil R.: Tecnica <li escissione delle escare nell'ustionato. Impiego del rasoio cli Lagrot - Dufourmemcl; B e1·11ard f. G., Audmn R .: Educazione sanitaria. MÉDECINE ET ARMÉES (Vol. 2, n. 2 , febbra io 1974): Fontan R ., Gaggini /., Bouday E.: Il primo caso di rinosporidiosi osservato nel Laos; Carnus H.: Lebbra e BCG: Bagnis /?..: Evoluzione epidemiologica dell'avvelenamento da pesce ciguater:i nelle Isole Marchesi; Eytlan R., Nicolas Y., Marotte H., Le Reveille R., Moine D ., Rignault D.: Controllo termico cutaneo permanente post - operatorio in chirurgia vascolare periferica; Horaud f. M., Stephany /., Ba,-rois C.: Alcool, guerra e pace; Lesbre F. X. , Payen G., Bartoli M., Daly J. P. , Canicave f . C.: Studio citologico cli una agranulocitosi acuta medicamentosa; Tlievenieau D., Fritz A ., Cuern P., Guillaume P.: La forma addominale della porfiria acuta intermittente; Miné f., Cui/baud f., Ména,·J M., Waag f. A., Monteil R.: Un caso pediatrico di ustione tibiale; Bourrel P.: Avanzamento della pulegg ia del flessore proprio ed accorciamento capsulare metacarpo - fa langeo anteriore in certi esiti di distorsior1e - lussazione metacarpo - falangea del poll ice; Riade f.: Conoscere e scegliere una specialità: l'oftalmologia; Martineaud M.: Tendenze alimentari moderne. Conseguenze per l'uomo e per l'industria. LE Ml~DECIN DE RÉSERVE (A. 70, n . ,, gennaio - febbraio 1974): Gmux, Vauterin: La formazione psicopatologica e socio - psichiatrica del medico operante in una comu nità militare; T,-eyssac P.: Sequele patologiche dei deportati anziani. LE MÉDECIN DE RÉSERVE (A. 70, n. 2, marzo-aprile r974): Mailloux M.: Incidenza delle leptospirosi nella medicina militare: Sciarli R. f.: Immersione subac-


449 quea - Interesse m ilitare: problemi medico - militari; Frane/art R.: Un'esperienza del Servizio di Sanità in un battaglione F.F.I. nel 1944. LE PHARMAClEN DE RÉSERVE (A. 68, n. 1 , 1974): Dubuisson: La biologia med ica nel quadro dell'evoluzione delle professioni sanitarie: Lan/ray: I centri ài controllo sanitario.

G RECIA

IATRIKI EPITHEORIS[S (Voi. 7, n. 5, ottobre 1973): Edipides T., Kabbadias N., Achimastos A., Papavas.;i/iou P., Stathopoulos G.: Infezioni streptococciche; Katsouyiannopoulos V., Edipides T . : Frequenza e mortalità per infezioni streptococciche in Grecia; Kaipis P., Scampardonis G., Tsistrakis G., Amarnntos S., Efstathiou K.: Prevalenza Ji portatori streptococcici in campioni della popolazione militare; Vlavianos S., /l{artinos D ., Demestichas Z., Stathopoulos E.: Correlazioni clinico - laboratoristiche nei fanciulli con sospena infezione streptococcica; Trafonos G., Grammatopoulos K., Papavassiliou P., Kaziani - Vergou /., Moschos M.: Lo stato del portatore di streptococchi beta - emolitici e titoli serici ASO e ASK in una popolazione militare sana; Chatzis C. f.: Incidenza Ji portatori di streptococchi beta - emolitici nel personale dell'Ospedale Navale di Salamina. Correlazioni con titoli serici ASO, CRP e ESR; Papapa11agiotou f. , Papavassiliou P., Grammatopou!os K., Traia11os G., Charalampidis /.: Confronto dei titoli ASO e ASK nel siero delle reclute e dei soldati in servizio attivo; Rai·sakis G., Bu:dakis F., Mavroyam1is A.: Il test Latex - ASL nella discriminaz ione degli ASTO; T silticlis C., Moutafi - ChriJtodoulou C., Katsouli X., Arsenis A.: Proteina C-reattiva e titoli serici ASO in pa<\ienti tbc; Zachos /., Papachristou A., Papastavrou A., Gogos B.: L'eresipela nella Grecia settentrionale d urante il decennio 1963 - 1972; Paroutsakis S ., Ko11toa11gelos A ., Voros D.: Contaminazione streptococcica cutanea; Rigopoulos C., Papathanassiou B. T., Tsivoglou D., Jianniou E.: Infezioni streptococciche osceo - articolari; Loucopoulos P. , Stroumboulis D ., Schizas N., A 11/onopoulos f ., Demertzis D.: Febbre reumatica; Eliopoulos B.: Valutazione statistica dell"ìncidenza della febbre reumatica nell'Esercito greco; Amarantos S., Efstathiou K .: Incidenza della febbre reumatica in G recia d urame il periodo 1962 - r970; Michalopoulos C. D., Sclzizas N., Demertzis D. , Karoyan11ù C., Paradimitracopoulos E .. Neo/otistos G., D ritsas S.: Osservazioni su 300 casi di febbre reumatica nell'adulto; Amarantos S., Scampardonis G .. Apollonatos Z., Feloukidis N ., Loukopoulos P.: Rilievi sui casi di febbre reumatica ricoverati nel periodo r968 - 1972; Stroumboulis D., Dandolos E., Desypris E., Siafakas N., Stathopoulos E., Hatzis A ., Alexopoulos G.: Studi sulla febbre reumatica nella Marina greca durante gli ultimi r5 anni; Vlavianos S., Hadz ia11toniou E.: Incidenza della febbre reumatica t ra 8 4.000 bambini esaminati ambulatoriamentc negli Ospedali navali cli Atene; Michalopoulos C. D., Kosmas D., D"mertzis D., Neo/otistos G., Syrimbàs S., Schizas N. : L'ecgramma in 100 casi di febbre reumatica acuta; Hadjigeorgiou C., Athanasiadis D., Vasiliou E.: Polmonite reumacica; Koclzylas T. , Pa11agos C. : Due casi di febbre reu matica acuta ncll"an,,iano; Tsakalidis D., Sotin'ou /., Lafazanis V ., Nanos C., Tsikotis A. , Kasimo., C.: Febbre reumatica: osservazioni sul materiale clinico elci Dipartimento di pediatria dell'Università d i Tessalonica du rante gli ultimi quattro anni; Scampardonis G ., Efstathiou K., Feloul(idis N., Apollonatos Z .: Rilievi su 35 casi cli cardite reu matica; Papanicolis l., Beclzral(is G. , Eugeniadou - Katsarou !. , Sakellariou G.: Osservazioni sulla cardite reumatica; Koì'dakis A., Co11sta11telos D., Christakos S ., A vgoustakis D .: Febbre reu matica e malattia reumatica cardiaca; Metaxas P. , Roudoulas H., Kontopoulos A ., Parhari-


des G., Valtis D . f.: Malattia reumatica valvolare e storia naturale; Kyratsos C., Fasianos A. .: Febbre reumatica come agente causale di psicosi esogene e di lesioni org:iniche del S.N.C.; A.ngelidis S., Angelidis A.: Febbre reumatica e S.N.C.; Vasilopoulos P., Soumelas N.: Malattia reumatica cardiaca e gravidanza; Koutoulidis C., Demertzis D. , Spy,.ou K., Panopoulos M.: Valutazione scintigrafìca clell'interessamenro articolare nella malattia reumatica; Dt:mertzis D., Spyrou K., Koutoulidis C., Emmanuel A., Kabbadias N.: Artrite acuta da Brucella; Katsichtis P., Demertz is D., Stamatis G., Michalopoulos C. D., Kasimos C.: Febbre reumatica; Papadopoulos E. , Matthaiou A.: Tonsillite e febbre reumatica; G iannarakos G., Costopou/os E., Michalopoulos A. . : Tonsillectomia e recidive di febbre reumatica; N icolopoulo.< N., Politis /., Stathopoulos E ., Alexopoulos G.: Faringotonsillite acuta negli Ospedali navali nell'ultimo decennio. Analisi epidemiologica e correlazione con la febbre reumatica; Alexopoulos C. A . : Infezioni streptococciche nei bambini; Papaz oglou N. M.; Il quadro nosografico variante delle malattie reu matiche valvolari; Kotsianos G., Ba1as P.: Linfedema delle gambe come remota complicazione di infezione strcptococcica e suo trattamento chirurgico; A.ronis E., Michas T.: Tl problema della dermatite sottocutane:i nodulare; Roz os R. P.: Le malattie reumatiche nelle opere di Ippocrate.

JUGOSLAVIA VOJNOSANITETSKI PREGLED (A. XXXI, n. 1, gennaio - febbraio 1974): Debijadi R. e Col/.: Comportamento dei sistemi cardiovascolare e simpatico - adrenergico nei piloti di aerei supersonici durance il volo; An11'c M. e Coli.: Metodo radioimmunologico di rilevazione dell'antigene Australia; Kaljalovic R. e Col!.: Frequenza ed imporcanza della constatazione dell'antigene Australia nei malati di epatite virale acuta; Starcevic M. e Coli.: Importanza cli alcuni fattori generali nell'eziopatogenesi della carie dentaria nei soldati; Mijailovic B. e Coli.: Applicazione cli azoto liquido nel trattamento delle verruche volgari; M itrovic M . e Colf.: Approccio laringomicroscopico a!rasportazione di cisti laringee; Petrov ic M. e Col/.: Emerite da Escherichia coli enteropawgena; Mihaj!ovic M. e Col!. : Arterite cli Takayasu e lupus eritematoso sistemico; Livada V.: Localizzazione di corpi estranei intraoculari mediante la protesi di Comberg modifìcata; D jord jevic D.: Studio elettrofisiologico della funzione del nervo facciale in condizioni normali e paLologiche.

REPUBBLICA FEDERALE TEDESCA WEHRMEDIZlNJSCHE MONATSSCHRIFT (A. 17, n. u , novembre 1973): Ahnefeld F . W. , Go,.gass lJ. , Scho,-r M.: Il centro d i urgenza sperimentale all'Ospedale delle FF. AA. Pederali cli Ulma; Ritter K. : R icerche sperimentali sulle possibilit.ì di protezione chim ica contro le radiazioni; Schafer E .. Sauer 1-i. f.: Criteri biochimici per la valutazione catamnesrica dell'epatite come malattia professionale; Lev eque /. N ., Desbois S., Salinier f. C., Bur F.: Tumefazione inguinale sinistra come sintoma cli una pancreatite necrotizzante. WEHRMEDlZINlSCHE MONATSSCIIRIFT (A . 17, n. 12, dicembre 1973): Klei11hanss G., I'iekarski C., I-io// M.: Errori di misurazione negli apparecchi di analisi dell'ossido di carbonio e loro influenza sulla valutazione degli effetti biologici dell'ossido di carbonio; Wiisten H., Haase J. D.: Sul problema delle lesioni midollari da esposizione a kerosene; Garbe f.: AddcsLramento aero - medico per medici e personale paramedico.


45 1 ROMANIA REVISTA SANITARA MILITARA (1973, n. 5): lacob ,\ 1.: Trauamento campale dei traumatismi cranio - cerehrali e ,·enehro - midollari: Tudor I'., A rmasu I'.: Considerazioni medico - militari sulle immunoglobuline umane specifiche nella prnfilassi e terapia d i alcune malattie infettive; Vainer E .. Socostl/1 G., Zamfir C. l\r., Serban L.: Broncopneumopatie ostrnrrive croniche e loro aspcni medico - militari: Suteu /., Cafrita A .. Crndea I'. , lordan T.: Lo shock tossico - settico nelranziano; .\'1c11/escu G.: Basi anatomiche e biomeccaniche dell'osteotomia di correzione nel trattamento chirurgico della coxartrosi ; O/teanu M., Horge l.: Trattamento delle congiuntiviti con il didrosulfone: Cruceru C.. Mladinas D., AJu11tea11u M., Crigorescu V., Tanasescu V., Suc,u L., Teleho, /., Rotaru P. : Considerat.ioni sul dépistage dei fattori di rischio coronarico in un campione di 400 militari di 40 - 6o anni di età; Efa11ov A .. Ursea11u I.: Considerazioni su un caso di endocardite batterica primitiva interessante solamente le valvole t ricuspidali; Racovea11u N ., Ciuca ?'., H erscovici H .. O/arescu C., Vaisman D., /011escu - Galbe111 N.: Ricerche sul livello <li irradiazione delle ovaie nel corso delristero - salpingograha: Gorun .\'. : Condotta d'urgenza, all'atto dell'accettazione, nei traumatismi dell'apparato locomotore; .\'asto,u I .. \luresa11 P.: Incidenza della litiasi urinaria negli aviatori; Popescu T . C., Ca!inescu V., Bircea11u A .. Di11u C. : M odificazioni ecgrafìche riscontrate nel personale aeronavigante da 4r a 50 ann i di età; Menaide I . .\'ica I .. Cali11 TI .. Ca/in E.. C/iisoiu M. : Istruzioni al medico c..lcl Corpo sulla comparsa c..li alcuni c:i~i di congehmemo ne i militari; Hodeansch, I .. Cazan E .. Dragulescu C.: Trattamento attuale c..lelle dermatosi virali; Banaci, /., Rotez l\' .: La fatica visiva; Dijmarescu I. , Runcc1111u N. : Attrezzatura impiegabile nelle farmacie ospedaliere per la filtrazione rapida, a pressione ridotta, c..lelle soluzioni iniettahili.

U.S.A. M ILITARY MEDICl'.\1E (Voi. 138. n. 11, novembre 1973): Hawryluk O., B ral/,er D. R.: Dépistage malarico: esperien;i:a con 1552 reduci dall'Asia sud - orientale; Ba,te!loni P. /., Marshafl / . D., Ca11ana11gli D. C.: Risposte cliniche e sierologiche ;:il vaccino pestoso; P/11ut M. R., Gifford R. I?. M . : E(fìcacia della chirurgia nella c..liscopatia intervenehrale c..lel personale militare; Strader W. /., Nusynowitz M. [,.: li significato delle anomalie di <liscribuzione del rac..liooro colloidale nella scintigrafia epatica; Garc,a R. L., Va11 Dersarl /. I' ., K.raus E. W.: Dermatofìci nel personale militare; Geli11as / . A .: Alben Calmelle a Saigon nel 1891 - 1893= una rassegna storica : Barnes G. P., Carter H. G., llal/ /. il.: Fattori causali nella scelta c..lel materiale otturativo dentario: una ricerca su 8891 otturazioni: Dufficy R. G.: Impiego degli psicofarm ad nella disintossicazione acuta degli eroinomani. MILITARY MEDICINE (Voli. 1.38, 11. 12, d icembre 1973): Stotka V. L., Wen zel R. P.: Malaria in Vietnam; Camp F. N., Dawson R. IJ., Arno!di11 / . D ., Co11/e N. F., Coley V. R., Hog"n /. Al.: Gestione della banca militare del sangue per la consen•azione di risorse tra~fusionali: Mc Clusky O. E.: Prospettive nell'ipertensione renovascolare; Ziv !vi., Phil1psoh11 N. C., Le11e111011 G., M a11 A.: Lesione da scop p io dell'orecchio; Mc Cully R, M.: Stuc..li sugli animali selvatici bradi: uno stimolo per la ricerca delle ;;oonosi: Mo1011ey W. F., Baie R. M.: Fattori correlati con la perm anenza in ser\'izio dei medici c..li volo della Marina: Sazima H. f.. Scott W. /., Moore D. f.: Riabilitazione maxillo - facciale nel Vietnam del Sud; O'Hara I'. S. : Rottura spontanea c..li ipernefroma.


45 2 U. S. NA VY MEDICINE (Voi. 63, n. 1, gennaio 1974): Naval Submarine Medica! Research Labomtory, Groton, Connecticut: lmmersione a bassa saturazione con aria compressa; Rivera f. C.: Otto Fucl li: rischi e precauzioni di ordine sanitario; Goscienski P. f.: Cassetta 3/ 50 di urgenza per disastri; Per/in E., Jarzynski D., Speilman C. G.: Mononucleosi infettiva; Pointer D. D., White R. L., Bentley J. D.: Analisi critica della valutazione del carico di lavoro ospedaliero; Cerda f. J.: Epatite ed antigene Australia; Fudala A. R., Leadbeater W. F.: Programmi sanitari di comunità: Rethmeier K. A.: Studio sugli atteggiamenti dei pazienti ambulatoriali verso l'organizzazione ed il funzionamento dei servizi sanitari militari; Reed W. G.: Programma di addestramento sul trattamento degli infortunati; Wolfe T. E.: Ricerca sugli atteggiamenti del paziente.


NOTIZIARIO

CONGRESSI XXV Assemblea Generale e XXXIV Congresso di Scienze Farmaceutiche della F.I.P. (Fédération lnternational Phannacéutique). Si è svolto a Roma dal 2 al 7 settembre 1974 all"EUR nel Palazzo dei Congressi la XXV Assemblea Generale e<l il XXXIV Congresso di Scienze Farmaceutiche della F.I.P. (Fédération lnternational Pharmacéutique). La cerimonia di apertura ha avuto luogo il 2 settembre alle 10,30 nel Salone dei ricevimenti <lei Palazzo dei Congressi. Dopo l'allocuzione di benvenuto del Don. Enzo Cannavò, Presidente della F.O.F.I., il Ministro della Sanità Vittorino Colombo, in rappresentanza del Governo italiano, pronunziò un'appassionato discorso dich iarando aperto il Congresso. Alle parole di benvenuto del rappresentante del Comune di Roma, seguì l'allocuzione del Dott. J. H. M. Winters, Presidente della F .I.P. e ciel Prof. A. H. Beckett, Presidente del << Hoar<l of Pharmaceutical Sciences » della F .I.P. Nel corso della cerimonia cli apertura fu consegnata la Medaglia Host - Madsen da parte del Presidente della F.I.P. al Prof. M. G uillot (Francia). La conferenza inaugurale fu tenuta dal Prof. Alberto F idanza, Presidente della Facoltà d i Farmacia dell'Università di Roma, su l tema: « Tl contributo del farmaco e del farmacista per la salute dell'umanità >). A detta cerimonia d i apertura erano presenti le massime autorità sanitarie militari: !"Ammiraglio (MD) Bellenghi Prof. Guido in rappresentanza del Direttore Generale della Sanità Militare, il Ten. Gen. Medico Cappelli Dott. Michele Capo Servizio Sanit?t dell'Esercito, l'Ammiraglio (MD) Spena Dott. Alfredo Capo Ufficio Sanità della Marina, rappresentato anche il Capo Ufficio Sanità dell'Aviazione, nonché il « Comitato » della Sezione Militare così composto: Presidente Onorario, Col. Alm (Svezia); Presidente in carica, Col. W iesendanger (Svizzera): Segretario Permanente della F.I.P ., Col. Reusse (Francia); Vice Presidente di Sezione, Col. Moore (U.S.A.); Vice Presidente di Sezione, Col. Holand (Norvegia). I congressisti assommavano a circa 2.500 e fra di essi una settantina di Ufficiali chimico - farmacisti provenienti da 21 Paesi. li programma della Sezione mìlitare, fu presentato al Simposio di Stoccolma del 1973; precisava i lavori delle Sezioni e prevedeva un programma di visita a stabilimenti di produz ione farmaceutica. Nel piano generale <le] Congresso la Sezione militare partecipe) lunedì 2 settembre alla cerimonia sole1rne d i aperrura ed al Simposio principale su di un tema di grande interesse ed attualità : cc Concepimento e contraccettivi », così articolato: 1) Introduzione generale (Dott. A. Kessler, O.M.S.);


454 2) 11 controllo farmaceutico del concepimento e la sua accettabilità biologica (Prof. B. Angelucci, Italia); 3) Prostaglandine (Prof. Wiqvist, Svezia), che occupò anche la mattina del 3 settembre; 4) Sistema di somministrazione dei farmac i nell'endometrio (Dott. B. Pharris, U.S.A.); 5) Il trattamento endocrino dell'infertilità umana (Dou. H. Louwerens, Paesi Bassi); 6) Piante steroidi e produzione di contraccettivi (Dott. R. Hardman, Gran Bretagna). el pomeriggio di martedì la Sezione m ilitare si specializzò con il seguente programma: a . Discorso

del Presidente (Col. B. Wicsendanger, Svizzera).

b. Relazione sull'attività presentata dal Segretario permanente (Col. J. Reusse. Francia). e, D iscussione degli argomenti base : r) Produzione dei farmaci nell'ambito del Servizio della Sanità militare (relatore Ph. Lt. Col. Dr. Hans Sager, Svizzera); 2) Approvvigionamento, distribuzione e gestione dei medicinali e del materiale sanitario di una collettività militare mediante moderni metodi di gestione (relatori: Ph. chimico Generale Delmonte, Francia; Ph. Col. Nuno Esteves eia Rosa e Major farmaceutico Falcao, Portogallo). Mercoledì 4 settembre la Sezione militare si staccò dal Congresso per visitare a Firenze la Scuola di Sanità Militare e l'Istituto Chimico Farmaceutico M ilitare. Ricevuta alla Scuola cli Sanità Militare dal Comandante Magg. Gen. Mcd. medaglia d'oro prof. Enrico Reginato, visitò i vari Istituti scientifici dimostrando particolare interesse per le attrezzature didattiche, l'organizzazione e lo svolgimento dei vari corsi. Riun iti poi in aula magna furono p resentate e discusse le seguenti comunicazioni: 1. « Comunicazione sulla fisiologia dell'al imentazione dell'Armata Federale Tedesca » (Col. Ph. Dr. Sommcr, Repubblica Federale T edesca). 2, " Comunicazione sulla farmacia militare e la chimica dei prodotti alimentari nell'ambito dell'Armata Federale Tedesca » (Col. Ph. Schneider, Repubblica Federale Tedesca). 3. << Resoconti d i una conferenza suU-esercizio clinico della farmacia nei programm i federali di Sanità Militare ed altri » (Col. Allen J. Brancls, U .S.A.). 4. << Fondamenti per la protezione contro le aggressioni ai livelli cellulari e metabolico i, (Ph. Chim. Lt. Col. A. Petit, Francia). 5. " Suggerimento di un metodo pratico per la determinazione del punto di flu idificazione delle supposte per uso farmaceutico e confromo col tempo d i spappolamento a 37° ll (Ten. Col. chim. fa rro. Dr. Ettore Magonio, Italia). 6. « Determinazione polarografica della sulfamitossipiridazina dei preparati farmaceutici >> (Ten. Col. chim. farm . Prof. Dr. Luigi Conti, Italia). 7. « Determinazioni big uanidi dei preparati farmaceutici» (Col. chim. farm. A. Alessandro, S, Ten. chim. farm . M. Pieri, S. T en. ch im. farm. A. Liguori, Ita lia). Raggiunto l'Istituto Chimico Farmaceutico Militare ai congressisti militari, ricevuti dal Direttore Magg. Gen. Prof. Ruggero Ruggieri e dagli ufficiali del seguito, fu offerta una colazione nella mensa aziendale, ove le reciproche conoscenze iniziate a Roma, rinfrancate nel prosieguo, si rinsaldarono al calore del banchetto, allestito dalle maestranze dell'Istituto Ch imico Farmaceutico Militare con amorevole interessamento. Seguì una visita alle installazioni ed infrastrutture dell'Istituto Chimico Farmaceutico Mii itare che riscossero particolare interesse per la modernità ed efficienza.


455 La sera, alle ore r8, la Sezio:ie militare fu ricevuta dal Comune in Palazzo della Signoria con parole di saluto e di cordialità, presenti il Ten. Gen. Med. Dr. Michele Cappelli, Capo Uffìcio Servizi Esercito, con le massime autorità san itarie militari della Regione Tosco - Emiliana. Rientrando a Roma la Sezione militare visitò a Siena uno stabilimento industriale che fornisce la Sanità militare. Il 6 settembre si riunì all'EUR per la prosecuzione dei lavori, la nomina dei due Vice - Presidenti e per la cerimonia di chiusura. Per il Sud - Europa, come segno di ringra ziamento per il cordiale ricevimento avuto in Italia ed a Firenze in particolare, fu eletto per acclamazione il Magg. Gen. chim. farm. Prof. Dr. Ruggero Ruggieri, Direttore dell'Istituto C himico Farmaceutico Militare. Per il Nord - Europa il Col. F . Schneider della Repubblica Federale Tedesca. L"esperienza è stata senza dubbio positiva; tutti gli ufficiali chimici - farmacisti fraternizzarono rapidamente, così il colloquio e lo scambio di idee sul piano professionale e scientifico è stato facile, pronto ed efficace. Veramente sincero è stato il ringraziamento che il Presidente della Sezione militare. Col. Bruno Wiesendanger (Svizzera), ha rivolto nella cerimonia di chiusura in nome dei congressisti tutti al Comitato organizzatore, pregandolo di rendersi interprete presso la Direzione Generale di Sanità Militare del loro sentito ringraziamento per ia perfetta organizzazione e per l 'accoglien1..a calorosa avuta nel nostro Paese. R. R uGGIERJ

Gli Ufficiali chimico - farmacisti partecipanti al XXXIV Congresso di Scienze Farmaceutiche, visitano la Scuola di Sanità Militare a Firenze. Mercoledì 4 settembre, nel quadro del programma della XXV Assemblea Generale e del XXXIV Congresso di scienze farmaceutiche svoltosi a Roma dal 2 al 7 settembre, 54 ufficiali chimico - farmacisti provenienti da 21 Paesi e facenti parre della Sezione militare del Congresso, hanno visitato la Scuola di Sanità Militare, a Firenze. Guidati dal Presidente in carica, Col. B. Wiesendanger (Svizzera), dal Segretano permanente della F.l.P., Col. J. Reusse (Francia) e dai Vice Presidenti di Sezione, Col. A. Moor (U.S.A.) e Col. S. Holand (Norvegia), i congressisti sono stati ricevuti, nel le sale del Circolo Ufficiali della Scuola, dal Comandante, Generale Medico medaglia d'oro Prof. Enrico Reginato. Agli ospiti, il Generale Reginato ha rivolto cordiali parole di saluto, sottolineando il ruolo dei farmacisti militari nello sviluppo della scienza medica e nello svolgimento della missione sanitaria. Successivamente gli ufficiali, suddivisi per gruppi linguistici, hanno effettuato la visita degli Istituti scientifici della Scuola, dimostrando vivissimo interesse per le moderne e funzionali attrezzature tecniche di cui sono dotati, per i metodi didattici e per !"attività addestrativa svolta. Gli ospiti sono poi convenuti nell"aula magna, dove ha avuto luogo una sessione straordinaria di lavoro, con la presentazione e la discussione di alcune interessanti comunicazioni scientifìche. Al termine dei lavori, nel Circolo Uffìciali, è stato offerto a1 congressisti un vermouth d 'onore, cui hanno preso parte, in simpatica cordialità di spirito, g li ufficia li medici e farmacisti della Scuola. In tale occasione hanno preso la parola il Col. B. Wiesendanger ed il Col. j. Reusse, i quali hanno messo in risalto l'importanza di ~uesti incontri non soltanto sul piano

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Il ,alu10 del Gen. Reginaw, Com,mdantc della Scuola.

informativo e scientifico, ma anche su quello umano, al di là di ogni barriera naturale o ideologica. Gli oratori hanno quindi rivolto al Generale Rcginato la loro ammirazione per la perfetta e modernissima attrezzatura tecnica di cui è dotata la Scuola, considerata ormai - anche all'estero - uno dei più prestigiosi e funzionali istituti scientilìci operanti nel settore deirigiene e della sanitiì pubblica. Dopo aver ringra1.iato per la calorosa e signorile accoglienza ricevuta, gli ospiti hanno espresso l'auspicio che questo incontro di lavoro possa rappresentare un invito concreto ad una più st retta e cordiale fraternità di intenti e <li opere, per il benessere e la sanità di tutti i popoli. Un particolare ringraziamento, il Presidente in carica, Col. W iesendangcr, ha infine rivolto agli organizzatori della visita, Magg. Gen. chim. farm. Prof. Ruggero Ruggieri, Col. chim. farm. Prof. Antonino Alessandro e Cap. Vasc. (FM) Erminio Sibilio, che con la loro iniziati va han no consentito di vivere una così intensa giornata d i serenità e di studio.


457 Relazione sul Convegno Nazionale sul problema della non idoneità acquisita dal personale esposto alle radiazioni ionizzanti. Organizzato dall'Associazione Italiana di Fisica Sanitaria e Protezione contro le Radiazioni (A.I.F.S.P.R.), si è svolto il giorno 27 settembre e.a., nell'aula magna della Scuola di Sanità Militare, il Convegno nazionale sul problema della non idoneità acquisita dal personale esposto alle radiazioni ionizzanti. Al Convegno hanno preso parte oltre 120 studiosi di ogni regione d'Italia, tra i quali sono stati notati moltissimi cattedratici, primari ospedalieri e direttori sanitari. Agli ospiti ha rivolto parole di benvenuto e di augurio il Coma ndante della Scuola, Gen. Med. medaglia d'oro Prof. Enrico Reginato, il q uale si è dcno lieto di aver potuto ospitare questo convegno nella Scuola di Sanità Militare, sempre aperta e disponibile alla promozione di iniziative scientifiche e professionali di elevato prestigio. li Presidente

Pa noramica dei congre1si,ti; in prima fi la, da sin.: Prof. Rimo nd i, Gcn. Rcgi nato . Prof. M.1gliu. I O. -

M.M.


della A.I.F.S.P.R., Prof. Otello Rimondi, ha ringraziato il Gen. Reginato per la squisita ospitalità concessa in questo benemerito Istituto, la cui alta tradizione scientifica è ben nota in tutto il mondo accademico nazionale. Il Prof. Antonio Maglio, Direttore Generale dell'T. N.A.I.L. ha infine voluto portare anche un saluto e l'augurio all' Istituto stesso. Una Tavola Rotonda, incentrata sullo specifico tema al.lo studio, ha successivamente aperto i lavori. Quali relatori figuravano: - Prof. Vittorio Chiodi, Direttore dell'Istituto di Medicina Legale dell'Università di Firenze: - Prof. Carlo Stuart, Direttore dcll'IstiLuto di Radiologia Medica dell'Università di Siena; - Prof. Francesco Romano, Direttore della Cattedra di Diritto Civile dell'Università di Firenze; - Prof. Ernesto Strambi, Capo Divisione del Comitato Nazionale Energia Nucleare di Roma; - Prof. Mario Alderighi, Presidente del Collegio professionale dei tecnici di radiologia della Toscana; - Dott. Francesco Galasso, funzionario della Direzione San itaria Centrale dell'I.N.A.LL. di Roma. La Tavola Rotonda è stata diretta dal Col. Med. Prof. Mario Pulcinelli, Comandante in 2 ~ della Scuola e Segreteria Nazionale della Sezione Medici dell'A.I.F.S.P.R. I relatori, ciascuno per la parte di rispettiva competenza, hanno preso in esame i singoli aspetti del problema, che è stato trattato sia dal punto e.li vista concettuale, che da quello professionale, giuridico ed economico. Dopo un vermouth offerto dal Circolo Ufficiali della Scuola, i lavori sono ripresi nel pomeriggio con la pubblica discussione delrargomento, di.retta dal Col. Mcd. Pu1cinelli, alla quale hanno partecipato numerosi congressisti e gli stessi relatori. I lavori sono terminati nel tardo pomeriggio. Ai congressisti è stato cosl offerto il suggestivo spett.acolo dell'illuminazione notturna del monumentale Chiostro del Maglio e del Monumento ai Medici caduti in guerra.

NOTIZIE MILITARI Promoz ioni nel Corpo Sanitario Militare. da T en . Colonnello a Colonnello medico ,, a disposizione )): Fisichella Angelo Pirino Gavino icita Franz

Seanziani Giorgio Marzi Mario

da Ten. Colonnello a Colonnello m edico in spe: Piccolo Pietro

Contreas Vittorio

da Maggiore a Ten. Colonnello medico in spe: Cardarelli Alberto Penco Giuliano Lops Vincenzo

De Pascale N icola P ulvirenti Vincenzo Caputi Corrado


459 da Capitano a Maggiore medico 111 spe:

Cutrufello Rosario Tancredi Pietro

Taraschi Luigi

da Tene11fe a Capitano medico III spe:

Donvito Michele Di Costanzo Maurizio

Musilli Oreste

Giuramento degli A.U.C. medici e farmacisti del 57° Corso.

11 giorno 27 ottobre 1974, nella Caserma « F . Redi », sede della Scuola cli Sanità Milirare, si è svolta la cerimonia ciel Giuramento di 314 Allievi Ufficiali Medici e Farmacisti di complemento del 57° Coi-so, alla presenza di moltissimi familiari giunti da ogni parte d'Italia e di tutto il corpo insegnante. Alla cerimonia è seguita la deposizione di una corona di alloro al Monumento ai Medici caduti in guerra, preziosa opera del Minerbi, che orna il cortile del Chiostro del Maglio, al Comando della Scuola.

Lauree in medicina e chirurgia conseguite da allievi del « NEASMI ,> . Cascino Paolo (104 / no) Marmo Federico ( tio/110) Santoro Antonio (109/ no) Santonastaso Franco (110/ 110).

Concerto alla Scuola di Sanità Militare. Nel quadro delle manifestazioni culturali organizzate m favore deg li Accademisti d i Sanità e degli Allievi Ufficiali Medici e Farmacisti di complemento, si è svolto, il 23 ottobre 1974, nell'aula magna della Scuola d i Sanità militare, un recital del soprano Eugenia Abbatescianni, alla quale il qualificato pubblico, ha tributato calorose manifestazioni di consenso.


NECROLOGIO Colonnello Medico Dott. Emiliano Marcsi. Il 28 ottobre 1974 è improvvisamente mancato il Colonnello medico sp. - disp. Dott. Emiliano Maresi, in servizio presso l'Ospedale Militare Principale di Padova. Nato a Palermo il 2 aprile 1922 e laureatosi in medicina e chirurgia presso la locale Università il 22 luglio 1947, frequentava subito dopo il Corso A.U.C. venendo nomjnato S. Tenente di cpl. nel gennaio 1949 ed assegnato all'88" reggimento fanteria « Friuli » nella sede di Pistoia.

Partecipava successivamente al concorso per Tenenti Medici spe. e conseguiva la promozione ed il passaggio in spe. in data 11 aprile 1950, venendo quindi assegnato all'8° reggimento bersaglieri << Ariete » il 1 " settembre 1950 quale Dirigente il Servizio Sanitario. Promosso Capitano nel gennaio 1956, veniva trasferito all'Ospedale Militare d i Padova nell'aprile 1958 ccl assegnato al reparto chirurgia quale assistente cd anestesista, e successivamente, quale capo reparto, nel grado di Maggiore e Ten. Colonnello. Promosso Colonnello Medico in data , 0 marzo 1973 continuava ad assicurare la sua fattiva e preziosa collaborazione nel campo della anestesiologia e della chirurgia in generale, sempre nell'Ospedale Militare di Padova, profondendo costantemente tutte le proprie energie e sacrificandosi in tuui i campi onde far fronte alle sempre maggiori esigenze del reparto chirurgia, acuite da una carenza sempre più ingravcscemc di personale. Specialista in anestesia, ostetricia e ginecologia, assommava ad una profonda cultu ra professionale una altrettanto profonda bontà che lo rendeva veramente u mano nel tratto verso superiori e colleghi e specialmente verso i degenti che si rivolgevano a lui con immensa fiducia e speranza.


Con l'improvvisa scomparsa del Colonnello Medico Maresi viene a mancare uno di quegli elementi su cui la Sanità militare poteva contare in tutti i casi ed in tutte le circostanze. Alla vedova ed ai figli giUil,gano, in questo doloroso momento, le sentite e profonde condoglianze di tutta la Sanità militare italiana.

Direttore responsabile: T en. Gen. Med. Dr. Uco PARENTI Redattore capo : Magg. Gen. Li;c10 TRAMONTI Autorizzazione del Tribuna·e di Roma al n. 944 del Registro TIPOGRAFI ,\

REGIO:--JAl, E - ROMA -

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SPAZIO D ISPO !BILE


ANNO 124° • FASC. 6

NOVEMBRE· DICEMBRE 1974

GIORNAL DI

MEDICINA MILITARE PUBBLICAZIONE BIMESTRALE

DIREZIONE REDAZIONE E AMMINISTRAZIONE VIA S. STEFANO ROTONDO, 4 - ROMA Spedizione In abb. post. • Gruppo IV


GIORNALE

DI

M E DI C IN A

MILITAR E

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EsPOSITO P .. FAvuzzr E.:

L'igiene mentale nella comunid militare. Problemi e prospettive per una psicologia applicata alle FF.AA. •

463

La funzionalità corcicosurrenalica in conigli sottoposti ad intossicazione subacuta con dimetilnitrosoamina .

472

La medicina preve:uiva in !calia: stato attuale e prospettive future

479

V101..Al,n; A., MAFFEI G., LF.l,z.-. G., BRvzz1.sE E.:

M.\ZZrn-1 G.:

MANGA1'0

M., MANGANO M. G.: li rumore quale fattore d'inquinamento nella

grande città

488

D1 MA.Rni'io M., Z.\IO A .. D1 AooAtuo A.: Il problema dello smalcimento dei rifiuti solidi in un centro termale con particolare riguardo per la città di Fiuggi . ALBERG111:-;1

G . : Agostino Bertani: medico, patriota, soldato .

5:24

530

RECENSIONI DA RIVISTE E GIORNALI .

SOMMARI DI RIVISTE MEDICO ..\1/UTARI

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· . 543

NOTIZTAR/0:

Congressi

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Notizie militari

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Necrologio

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NOVEMBRE - DICEMBRE 1974

ANNO 124° - FASC. 6

GIORNALE DI MEDICINA MILITARE

OSPEDALE \1JLITARE PR[:--JCIPA I.E or ROMA « S. TEN'. ME D. ATTILIO FRIGGER! M.O. AL V.M . ,,

Direttore; Col. Mcd. Prof. E. F, \L'ZZJ REPARTO NEU ROLOGlCO

Capo Reparto: Ten . Col. Med. E . Esi•os JTo

L'IGIENE MENTALE NELLA COMUNITA MILITARE. PROBLEMI E PROSPETTIVE PER UNA PSICOLOGIA APPLICATA ALLE FF.AA. P. Esposito

E. Favuzzi

L 'igiene mentale, prima ancora di trovare univoca definizione, si propone di preservare la salute mentale prevenendo le turbe psico - affettive. Nello stesso contesto di scienze umane, la psichiatria, intesa come scienza della patologia mentale, e la psicologia, come scienza dei processi psico affettivi, hanno trovato negli ultimi anni una vigorosa spinta verso un'impostazione sociale nel riconoscimento delle sicure interferenze che i rapporti interpersonali producono sull'equilibrio psico - affettivo dell'individuo. Parallelamente l'igiene mentale risente di questa « pressione» culturale e prende consapevolezza che salute e malattia mentale si realizzano « anche >) nella vita associata; questa dimensione sociale ne sollecita interventi nuovi, tempestivi e profic ui basati sul principio che non è solo l'individuo a fallire il suo adattamento, perdendo la felicità e la capacità produttiva e comunicativa : sono la società, il gruppo, la vita associata che soffrono << in sé >> il turbamento più o meno grave dei rapporti comunicativi e produttivi, l'alterazione di un ruolo individuale più o meno importante « per tutti », rischiando di compromettere la coesione, l'efficienza, il morale collettivo. Perciò l'igiene mentale ha ampliato i suoi obiettivi per ing lobare nei suoi interessi cognitivi ed operativi non solo l'individuo ma il gruppo e la comunità, integrandoli in un.a visione unitaria di « situazione relazionale »


nella quale i due elementi interagiscono ad cgni livello, di salute come di malattia mentale, di etiopatogenesi, d i prevenzione e di trattamento. Nella valutazione di disturbi e malattie psico - affettive e di ccndotte anomale o francamente patogene è necessario passare dai fattori ereditari e costituzionali dell'individuo o dai fattcri ambientali fisici e biologici incidenti su di lui (quali denutrizione, surmenage, contagi, intcssicazioni) all'indagine caratterologica e quindi allo sviluppo psico - affettivo, a partire da tutti quei fattcri che nell'infanzia e nell'adolescenza hanno interagito sulla dinamica evolutiva della personalità. Riteniamo che sia utile soffermarsi su certi aspetti dei processi affettivi intrafamiliari giacché questi costituiscono (da sempre) i primi momenti di formazione di strutture essenziali e stabili del la personalità. Fino a poco tempo fa si poteva legittimamente ritenere che la società nazionale proponesse e di(endesse un modello fam iliare abbastanza uniforme e valido per tutte le fasce culturali; ed in queste la figura del (( pater familias » ri maneva pressoché stabilizzata nei suoi connotati, sfidando i secoli. Il figlio riceveva, per le note vie psicodinamiche prevalentemente inconscie, non solo modelli comportamentali cui aderire dentro e fuori della famiglia, ma anche, con l'immagine paterna interiorizzata, un'impronta strutturante capace di determinare la dinamica del profondo, non solo interferendo, per ciò stesso, con le attività <li " scelta cosciente » ma anche presiedendo agli orientamenti ideo - aflettivi irrazionali, spontanei, acritici, che si ritrcvano all'origine dell'agire umano. In questo contesto di crescita e formazione affettiva non faceva meraviglia che della figura paterna il connotato saliente fosse " l'autorità ». Il rapporto affiliativo implicito nella dinamica padre - figlio imponeva che il figlio gravitasse a lungo entro l'orbita di un potere paterno, accettandone la dominanza, solo consentendo che venisse contrattato un graduale sganciamento nel corso della completa maturazione della personalità. La gradualità e la relativa lentezza dei processi di autonomizzazicne cbbedivano, peraltro, alla pressione di fattori culturali diversi ma tutti concorrenti nel rinforzare dall'esterno quel tipico rapporto relazionale, ribadendo le reciproche posizio ni in <( ruoli » sociali altrettanto precisi cd inderogabili. Era naturale che le figure « secondarie 11 paterne (maestro, capo, superiore, ecc.) b::nefìciassero della posizione di dipendenza affiliativa mantenuta dagli adolescenti e vedessero consolidato il loro « status autoritario)> dagli investimenti transferenziali (operati a livello inconscio) d i questi tipici rapporti affettivi. Vi erano autorità mai contestate cd autorità minori contestabili solo parzialmente; il passaggio dalle posizioni originarie ad altre meno subordinate poteva realizzarsi solo a condizione che l'autorità sociale sancisse l'autonomizzazionc, attribuendo un ruolo « superiore >>, dagli attributi rigidame nte regolamentati nel più vasto contesto gerarchico.


La tradizione non aveva bisogno di verifiche per informare i costumi ad ogni livello sui suoi convalidati modelli; si premiavano le condotte conformi, si scoraggiavano e punivano quelle « devianti ,, . Il nuovo era una sfida, il cambiamento una minaccia. Chi non trovava nel suo spazio ambientale e nella sua struttura caratterologica forze e motivazioni sufficienti a << tenerlo>> negli schemi del ruolo (familiare e sociale) si vedeva emargi nato non solo dalle aree ccmunicative ma anche da quelle affettive, quando ncn anche da quelle del lavoro. E poiché vincere è concesso solo ai forti, molto più comune era soccombere: rientrare nei ranghi e pagare con la mortificazione delle tendenze al cambiamento il tentativo d'evasione, scontare nel.la depressione la punizione d i investimenti libidici su oggetti e su rapporti estranei e contrari agli schemi consuetudinari. Poi la società è cambiata. Il passaggio dal vecchio al nuovo è stato rapido, a volte esplosivo; nella rapidità stessa del cambiamento è difficile cogliere i momenti di trapasso e stabi lire la successione delle tappe; sfuggono ad una precisa individuazione persino i momenti causali, la visione resta decisamente global istica ed i tentativi analitici, pur necessari, non di rado restano vanificati in accezioni aprioristiche e teoriche. Ma è certo che la società è cambiata. L'intervento di fattori inerenti a11a stessa cultura, incrementant1s1 m ravvicinati momen ti critici di un processo « autofertilizzantcsi », pare indubbio e questo suggerisce certi ind irizzi di indagine tanto più perti ne nti quanto più essi si tengono aderenti al tessuto culturale. La g uerra e le condizioni socio - culturali che l'hanno preceduta, la resistenza e lo sbocco politico rinnovativo, poi lo scompaginamento e la ristrutturazione delle classi e dei centri di potere, l'esperienza in corso della democrazia parlamentare, e l'organizzazione espansiva sindacale, il salto di qualità delle condizioni econom iche, il riavvicinamento geografico delle Regioni e l'informazione di massa, questi tutti so□o fatti e fenomeni che, in reciproca integrazione, costituiscono i parametri del cambiamento. Ma questo non si arresta alla dimensio ne sociale; dalla vastità di questa scende a mod ificare le famiglie fino al livello dei rapporti relazionali. Non è il caso di chiarire che lo sviluppo psico - affettivo del bam bino è fissamente ancorato ad esigenze primitive, a pulsioni istintuali, a linee e tappe evolutive garantite nella loro immutabilità e successione dalla natura stessa. Ma nel quadro delle condizioni e predeterminazioni bio - psicologiche i fattori incidenti « continuano n ad agire il loro meccanismo plasmativo, codeterminando lo sbocco nel successo maturativo, o, all'opposto, nell'insuccesso regressivo. Ion solo crescita o immaturità sono cond izionate anche dai fattori esterni alla costituzione individuale, ma la struttura valoriale cui approderà l'individuo risente del cambiamento dei valori culturali della società. Il rapporto padre - figlio, pur vedendo confermati gli alterni momenti iden-


tificativi ed edipici e gli obbligati passaggi attraverso la dipendenza, conosce pur esso cambiamenti significativi e di grande portata. La dipendenza stessa è inquinata da precoci tentativi di opposizione, attivati da momenti contestativi generantisi in aree extra - familiari, l'autonomizzazione è sollecitata da non pcche esperienze in aree parallele, dalla stessa culturalizzazione crescente come dal prolungamento della scolarizzazione; la forza traente dei gruppi extra - familiari autorizza le sortite sempre più frequenti dai rapporti di sudditanza intra - familiari; la precoce immissione nelle attività lucrative « indipendenti», non globali e differenziate da quelle paterne, sollecita lo sganciamento economico e quindi favorisce l'indipendenza. Il rapporto affettivo non manca di registrare questi fenomeni; la figura paterna continua, indubbiamente, a porsi come necessaria entità esperienziale e relazionale nella formazione dell'identità e della sicurezza personale, ma i suoi attributi, dai più ai meno qualificanti, si vedono sottoposti a processi continui di verilìca se non di critica. La sua validità ora non è più apodittica, acritica, incontrollata, immutabile, incondizionata. La verifica, come processo immanente di esplorazione di validità, investe i suoi connotati uno per uno, da quello affettivo a quello culturale, da quello socio - economico a quello professionale; e non è a dire che in questo « esame critico l) vengano risparmiate durezze e crudeltà, evitati errori e preconcetti. Se vi è un risultato pressoché comune nei diversi cambiamenti dei diversi rapporti intra - familiari (e più precisamente padre - figlio), è la compromissione del « valore dell'autorità».

La comunità militare presenta aspetti simili ad altri gruppi, come il destino o scopo comune, valori e norme comuni; ma presenta pure aspetti precipui che consistono nella struttura dei ruoli e statuti, di diritti e doveri, sui quali si realizza la « gerarchia », e tra i quali intercorre quel particolare rapporto che è la « disciplina». Come disposizione interiore, la disciplina richiede l'ancoraggio ad attitudini più profonde, radicate nell 'inconscio; e da tutti si ammette che la disciplina quest'ancoraggio lo trova nell'autorità. Le Forze Armate, in.fatti, sono anche definite « una società autoritaria » e ciò non certo in riferimento ad ipotetici abusi dei poteri concessi al Comando (a qualunque livello) nell'esercizio di legittime potestà, bensì per l'esercizio stesso del potere e per le modalità di gesticne. on dimentichiamo che le Forze Armate sono in prevalenza costituite da giovani di leva per i quali i regolamenti costituiscono (< forme comportamentali non liberamente scelte », ma norme imposte ed anche rigide, del


cui rispetto è garante il Capo, in forza del suo status, cioè a dire in forza della sua autorità. Ora i giovani, non va dimenticato, hanno tutti avuto i loro personali rapporti con l'autorità e vissuta la crisi di questi rapporti, le modilìche del vissuto stesso d'autorità. Trasferiti dalla famiglia e dalla società nella comunità mi litare, essi si sentono proporre un rapporto disciplinare che risulta per loro nuovo, mai più sperimentato in precedenza in quell'ambiente ristretto che è la famiglia. Se è giusto dire che la comunità militare è una comunità << paterna >1 nel senso che ripropone un rapporto di dipendenza, è anche doveroso riconoscere che la giustapposizione delle due figure di padre e comandante e dei rapporti figlio - padre e inferiore - superiore non è più né esatta, né agevole. Anzi, proprio a questo livello interviene la prima e prevalente situazione conflittuale tra due ruoli, propria di questi tempi moderni: cioè tra il ruolo di figlio e quello di cittadino alle armi. In definitiva al primo ruolo è ormai concessa una libertà di gestirsi che, anche quando non rasenta la contestazione sistematica, può consentire certe opposizioni e certe verifiche; ma queste restano indubbiamente inammissibili per il secondo ruolo, cui, in delìnitiva, compete l'obbligo stretto della obbedienza « cieca e pronta >> . Consapevolizzarsi con rigorosa chiarezza su questa frattura è indispensabile e pregiudiziale per ogni successivo atto cognitivo ed operativo. Non averlo fatto in modo sufficiente ha comportato la vanificazione di molti sforzi sulla linea di interventi, cui pur non mancava certo la retta intenzione di apportare aggiustamenti adattativi nel sistema del « governo del personale ». E non farlo ancora può provocare l'insuccesso dell'igiene mentale applicata alle FF. AA., relegandola ad una funzione secondaria in limiti angusti. e condannandola alla ossessiva ricerca di soluzioni parziali ed effimere, incapaci di incidere sui momenti casuali e, quindi, di assicurare un efficace e permanente miglioramento del morale, del clima operativo, della salute mentale dei militari. Indagare sugli innumerevoli momenti frustranti: la monotonia della routine, l'inuti.lità di certe fatiche, l'incomprensibilità di certi lavori, il peso di impieghi sgraditi e rilìutati, l'inadeguatezza di organizzazione logistica, la precarietà dei servizi sicurizzanti (come quello di sanità) o l'acuta nostalgia per i contatti familiari ed i rapporti affettivi interrotti: tutto questo può essere utile solo a condizione che in precedenza si sia realizzata la ricerca di quei contenuti sui quali gestire il rapporto con l'autorità, con il Comandante. Se l'igiene mentale vuol risolvere i problemi connessi con la prevenzione delle turbe che minacciano la salute mentale dell'individuo ed anche il morale e l'efficienza e la disciplina della comunità militare, non può limitarsi a migliorare singoli momenti operativi dell'individuo o del gruppo,


o situazioni ambientali non contestuali; deve soprattutto centrare il suo interesse sui rapporti interpersonali, in primo luogo su quelli con l'autorità. Solo analizzando e portando a soluzione i conflitti che si moltiplicano innumerevoli nell'esercizio del Comando si riuscirà a salvare la disciplina; e così morale ed efficienza saranno ancora parametri non dissociati della vita gerarchizzata. La psicologia può offrire all'igiene mentale applicata alle Forze Armate più di un aiuto per realizzare tali premesse cd esigenze, a patto, ovviamente, che si evitino posizioni di assurda omnipotcnza, com unquc mascherate. Anzitutto va assicurato che ai vari status >> connessi al potere - comando (specie a quelli iniziali) corrispondano personalità adeguatamente « formate l> , dal momento che l'esercizio del Comando diventa sempre più una difficile (( gestione » (su prevalenti processi intercomunicativi) con i subordinati. Ma non basta più auspicare che il Comandante sia " buono », e suggerire quindi un modello statico, ipoteticamente valido nella sua genericità ed indeterminatezza, con connotati operativi del tipo seguente: economizzatore delle fatiche per i suoi uomini. soccorrevole e comprensivo, permissivo di fronte alle carenze, capace di spiegare le sue richieste operative, giusto nel ripartire compiti cd incarichi, coraggioso nel responsabiliz7,arsi. E' da credere che da sempre siano stati dati suggerimenti identici o simili per assicurare al Comandante quel prestigio indispensabile ad ottenere la coesione e fortificare il morale della comunità militare. li problema adesso non è scovare esigenze diverse e formulare consigli tattici moderni di taumaturgica efficacia. Il problema nuovo è di formare nel Comandante una più valida misura di ciò che sia economia delle fatiche dei suoi uomini, una più valida misura personale della soccorrevolczza, della permissività, della giustizia, della fermezza e della responsabilizzazione. Passare, cioè, dall'enunciazione dei concetti astrani, assoluti che trovano tutti d'accordo, alla definizione dei processi pratici educativi e formativi, atti al raggiungimento di una coscienza professionale che assicuri un più congruo ed adeguato riconoscimento della cc realtà» e degli (< altri » e fornisca un aggiustamento delle personali misure, pur nella variabilità individuale, su valori mcdi più coerenti e concreti. Vale a dire che la gestione del Co man do deve passare attraverso la percezione interpersonale e la comunicazione interpersonale le più corrette possibili; ma l'aggiustamento di questi processi non può essere evocato in alcun momento magico, bensì può essere il frutto di una serie di atti educativi e di scelte operative che copra tutto l'arco della formazione dei Quadri. Un'oculata cd articolata selezione psicologica può offrire una prima soddisfacente soluzione nella misura in cui alla competenza tecnica degli psicologi si integri la collaborazione delle autorità militari , responsabilmente (<


attive anche nella definizione dei profili e delle mansioni, soprattutto per i Quadri ufficiali e quelli pennanenti in genere. Il riconoscimento delle linee strutturali caratterologiche è ormai alla portata dei mezzi operativi della psicologia applicata. Questa, se pur non promette indici assoluti di certezza, offre una preziosa attendibilità nella definizione dei profili, ed è capace di riconoscere le cristallizzazioni precoci, gli orientamenti abnormi e le perenni indeterminatezze, suggerendo così criteri sufficientemente validi per la scelta di personalità in evoluzione che consentano giudizi di previsione accettabili in ordine alla maturazione attesa, sollecitata e controllata. Ma il momento più pregnante appare essere quello formativo; la psicologia applicata sente come avvilente strumentalizzazione la coercizione all'esclusivo ruolo selettivo; e non è lontano il momento in cui il rifiuto della mera selezione si estenderà dagli attuali capi operativi (scuola, industria, ecc.) alle altre aree, giacché si concretizza la percezione che la selezione implica rischi discreti su entrambi i versanti decisionali, e detti rischi risultano sempre più offensivi per una etica professionale che a sua volta è tanto piì:1 viva quanto più attenta si fa alla libertà individuale. Centrando l'attenzione sul selezionando è intuibile che il grado di ottimalità previsionale è proporzionato al rigore della valutazione negativa : ma è altrettanto intuibile che la necessità di evitare « ad ogni costo )) i fallimenti sacrifica molti profili, condannnadoli ad un giudizio di rifiuto che non rende giustizia alle attitudini evolutive, alla plasmabilità, all'incremento motivazicnale, alle capacità adattative e di apprendimento esperienziale della persona. E centrando l'attenzione sul selettore psicologo si coglie, con crescente senso di imbarazzo, la esigenza implicita ed assurda che egli abbia a garantire lo sviluppo ottimale di una personalità che si formerà nel futuro sulla base di una conoscenza statica, realizzata in momenti ben circoscritti e limitati. Ma ancor più aumentano i motivi di perplessità quando si pone mente ai criteri di base ai quali è uniformato il giudizio selettivo di accettabilità; per forza di cose i criteri sono t< general i i> e non specifici, riguardano le Iinee strutturali del carattere e non gli atteggiamenti e le attitudini psico affettive più fini : anche perché l'età dei selezionandi non lo consentirebbe. Bisogna perciò concludere che la selezione psicologica, pur così meritoria per l'apporto scientifico e pratico di indubbia efficacia che ha dato, non può essere che un primo momento di una serie che mira ad assicurare ai Quadri permanenti del le FF. AA. persone di adeguato livello intellettivo e di armonico equilibrio affettivo. 11 momento successivo e, si diceva, pii'1 pregnante, diviene, allora, quello << formativo ». Analogamente a q uanto si fa sul piano della cultura professionale, bisogna apprestarsi ad interventi q ualificati sul piano della formazione affettiva e comunicativa interpersonale.


47° Sembra ovvio non accontentarsi di sapere che un scggetto è intelligente; accertato che lo sia, ci si cura di formargli l'istruzione professionale; cioè, dopo l'accertamento dell'attitudine, si passa a fornire i contenuti culturali e professionali perché si realizzi la « capacità ». Ma non è stato fatto ancora alcunché di analogo sul piano dell'affettività e, più precisamente, sul piano delle attitudini al rapporto interpersonale. Ci si è accontentati di un profilo equilibrato al momento della selezione e non si è più fatta attenzione alle « modalità comunicative» alle quali ciascuno perveniva nel corso dell'evoluzione. [I Comando appariva una dote naturale, non suscettibile di apprendimenti validi. E nel passato non è difficile riconoscere che le cose andassero davvero così, .i n forza di quelle situazioni esperienziali cui si è fatto cenno ali 'inizio. Ma ora che molte cose sono cambiate nella società e nella famiglia non si può attendere che continuino ad essere valide le modalità comportamentali e di esercizio del Comando nate in contesti culturali superati. Se resta vero che i contenuti del Comando sono dettati dalle esigenze di servizio, diviene importantissimo che i contenuti siano adeguatamente trasmessi lungo la linea gerarchica. E la questione nuova non si pone nella chiarezza logica della trasmissione ma nelle reciproche attitudini affettive tra il Comandante ed i subordinati. Di questi l'obbedienza è richiesta, ma non è sufficiente che sia prescritta ed imposta, come non lo è che sia richiesto l'ascendente del primo. La crisi del concetto e del vissuto di autorità sottrae ai soggetti della gerarchia l'antico rapporto esperienziale e, quindi, la possibilità stessa di un'efficace integrazione spontanea. Ora questo rapporto e questa inte~razione vanno creati ex novo, intenzionalmente, perciò la dimensione sociale acquista una concretezza nuova ed esigente; solo se i più responsabili soggetti del rapporto, quelli, per intenderci, investiti del potere connesso nello specifico status gerarchico, sapranno cogliere gli aspetti << personali 1> dei subordinati, riusciranno, allora, ad ottenere il consenso e l'ubbidienza non effimera. Solo se l'esercizio del Comando si spoglia delle tenaci e così spesso misconosciute) esigenze narcisistiche o di affermazione della propria potenza (quando non è poi la rincorsa assurda dell'onnipotenza) può divenire << arte del comando», atta a suscitare l'univoco consenso del gruppo sullo scopo comune cd a mar.tenere saldo cd operativo il morale collettivo. Questa, ci pare, la condizione essenziale per assicurare, anche, che ciascun individuo appartenente alle FF. AA. raggiunga e mantenga quella salute psico - affettiva che è lo scopo primario dell'igiene mentale. La struttura già esistente d i servizio psicologico può offrire un avvio per l'organizzazione della formazione psicologica dei giovani Quadri ma richiede, per un futuro non lontano, notevoli potenziamenti. L'apprestamento e la validazione di strumenti selettivi e di verifica aspettano ora la realizzazione degli interventi « formativi » adeguatamente con-


47 1 testuali ai programmi delle Scuole ed Accademie militari, come pure la realizzazione non episodica dei contatti tecnico - professionali con le maggiori autorità e contatti scientifici con le Università e Centri di ricerca per le indispensabili esigenze di acquisire il nuovo, quando non anche di sollecitare ricerche specifiche. Resta, infine, la necessità di coinvolgere tutta la azione, attraverso i canali di comunicazione e le strutture formative di opinione, per riportare alla comunità militare non solo il consenso pieno e qualificato di chi vi opera già all 'interno, ma anche il supporto affettivo e di stima di tutti i cittadini. Tale necessità non potrà essere soddisfatta solo da un impegno unilaterale della comunità militare, ma dovrà concorrervi ogni struttura sociale, nella ccnsapevolezza che l'efficienza delle FF. AA. è sicurezza della azione.

RussuNTO. - G li AA. esaminano dapprima l'evoluzione del concetto e del vissuto di « autorità », sia nell'ambito della società civile che nella comunità m ilitare. Quindi gli AA. ritengono che l'igiene mentale possa aiutare a recuperare l'equilibrio psico-affettivo del c ittadino alle armi e l'efficacia operativa collettiva. A tal fine gli AA. propongono, era l 'altro, che la preparazione professionale dei Quadri includa l 'istruzione e la formazione psicologiche, intese a promuovere più corretti processi di comunicazione interpersonale, sempre fatti salvi il principio di "autorità » e l'efficienza operativa.

RÉsuMÉ. - Les Auteurs examinent d'abord l'évolution du concept et du vécu dc « autorité l>, soit dans la société civile soit dans la communau té militaire. Ensuite !es Auteurs déclarcnt Eermement gue l'hygiènc mcncale puisse favoriser la récupération de l'équilibre psycho - affectif du citoyen sous !es armes et la capacité operative collective. À cet effet les Auteurs suggérent, entre autres choses, gue la préparacion professione! dcs Cadres do it enfermer l'instruction et la formacion psycologiques, adressées à proo1ou voir dc plus cn plus corrcctcs communications intcr pcrsonnel, à condition que soient sauvé le principe de « autorité >> et la puissance opérativc.

Su~1MA RY. Ai fìrst the Authors consider che evolutìon of Lhe conception and of the persona] experience of « auchority », wheter in thc civil ian society or in the military commu nicy. Thcn rhe aurhors consider rhat thc menta] hygiene can help co recover che psycho-affective balance of the c itizen serving in the army ancl t he collective operative effecciveness. And with this object in view che Authors suggest, among other things, that thc professional preparation of the Caclres must include the psycological education and forming, directed to promote more correct means of communication inter-personel, provicled that always shall be safc the principle of « authoricy >> and che operative eFfectiveness.


IST!Tl'TO :'-/AZIO::--:ALE DELL \ :-.-UTRIZIONE C ITI.\ U '-.'l\'ERSITARIA • Rm!A Din·ttorc : Prof. G. FARRI\,, CENTRO STUDI E RICERCIIF OELl.1\ SANIT .\ t-llLITARE

Oircttore: Tcn. Gen . Mcd. Dnu C. ~ILSILU

LA FUNZIONALITÀ CORTICOSURRE ALICA IN CONIGLI SOTTOPOSTI AD INTOSSICAZIONE SUBACUTA CON DIMETILN ITROSOAMINA A. Violante

G. Maffei

G. Lenza

E. Bruzzcse

Si è già visto, in precedenti lavori (r), che il nitrito di sodio, inoculato in conigli per via parenterale, alla dose di 10 mg/ kg di peso corporeo, provocava un deficit funzionale del corticosurrene. ln quelle condizioni sperimentali, infatti, si aveva una diminuzione progressiva dei metaboliti urinari dei principali steroidi surrenalici fino a valori minimi, a cui seguiva poi la morte dell'animale. Inoltre i dati raccolti sulla concentrazione degli elettroliti (sodio, potassio) nel siero (1) stavano a dimostrare che anche la zona glomerulare del corticosurrene risentiva dell'azione tossica del nitrito di sodio. Si è supposto che il meccanismo patogenetico di questa insufficienza corticosurrenalica si esplichi attraverso un blocco enzimatico riguardante gli enzimi interessati nella sintesi degli ormoni steroidi. fpotesi avvalorata anche dalla diminuzione di alcune attività enzimatiche eritrocitarie in conigli trattati con nitrito di sodio (2). Una delle reazioni chimiche cui può andare incentro il nitrito di sodio nell'organismo è la trasformazione in dimetilnitrcsamina (DM A) (3, 4, 5, 6). Infatti il nitrito di sodio in ambiente acido si trasforma in acido nitroso che reagendo con le amine secondarie forma le nitrosoamine. Si è voluto, quindi, studiare la funzionalità del corticosurrene in relazione alla somministrazione di DMN A; per poter fare poi un confronto tra l'azione tossica della DMNA e quella del nitrito di sodio. Lo studio è stato compiuto in due tempi: - in un primo momento si sono dosati i 17- KS e i 17-0H urinari in conigli trattati, per via parenterale, con r mg di DM A al giorno per kg di peso corporeo; - in seguito si è determinata la concentrazione del sodio e del potassio serici in conigli trattati come sopra.


473 M ATERI ALE E METODI.

Per quanto riguarda la determinazione dei 17 - KS e dei 17 - OH urinari sono stati utilizzati 6 conigli maschi di ceppo ibrido stabulati singolarmente in gabbie di raccolta delle dimensioni di circa m 1,50 x 0,80. Per evitare la caduta di feci e residui alimentari nel recipiente di raccolta, è stata applicata al fondo della gabbia una rete metallica a maglie fini. Ad intervalli stabiliti venivano prelevate le urine delle 24 ore, di cui veniva misurato il volume totale prima di filtrarle su carta Whatman n. r. Si passava quindi alla determinaz ione dei 17- KS e dei T7 - OH secondo le metodiche standardizzate dalla ditta Chemetron. Per la determinazione del sodio e del potassio serici sono stati invece utilizzati 4 conigli maschi di ceppo ibrido. Il sangue veniva prelevato per puntura cardiaca. Le metodiche usate sono quelle standardizzate dalla ditta Chemetron.

RISULTATI.

Per ciò che riguarda la determinazione dei 17- KS si è avuto, come si può vedere dalla tabella n. r e dal grafico n. r, un andamento, nel tempo, estremamente irregolare del la loro escrezione urinaria, con un valore massimo al 7° giorno di 1,95 mg/ 24 h ( + 82,24°~) e una punta minima al 21° giorno di 0,56 mg/ 24 h (- 47,66°~) rispetto ad una base di 1,07 mg/ 24 h.

T ABELLA

N.

I.

17- KS IN CONI GLI T RATTATI CON T MG / KG PESO / DTE D I DMNA 30

Base

Go

go

---- ----- t ,07

0,59

·-

-

- 44.85

<l-3 .73

17 0

- - ~I~ - 36°

2 1°

Giorni

1,64

mg/24 h

--

--

l-82,24

+ 5 1,40 -21.49 • 28,97 -47,66 +52,33 - 21,49 ,. 53,27

VAR °/o

1, 11 1

-

130

----

1,95

1,62

0,84

1,38

0,56

1,63

0,84

---- -- -- - -

Anche la quantità dei 17 - OH escreti nelle 24 ore, come si può rilevare dalla tabella 11. 2 e dal grafico n. 2, ha un andamento variabile con un valore minimo al 13" giorno di 0,92 mg / 24 h ( - 34,28° ~) e un massimo al 24° giorno di r,55 mg/ 24 h ( + ro,71 °~), rispetto ad una base di 1,40 mg / 24 h . Le variazioni sono quindi meno accentuate di quelle ottenute per i 17 - KS.


mg/24h

2,00

195

1,63 150

1,6 4

1,38

Grafico n. 1. • Conigli trattati con DMl'\JA r mg / kg di peso al g iorno (via intramuscolare): determinazione dei 17-KS urinari.

1,11 1,0 0 0.84 0,50

0.59

o

5

0,84 0,56

10

15

20

25

30

35 g1orn1

mgj24h

2,00

Grafico o. 2. - Conigli trattati con D M NA t mg / kg d i peso al giorno ( via intramuscolare) : determinazione dei 17-0H urinari.

t50

52

1,40 1,42

1.

1.41

1.22 1,00

1,35

1,20 1,11 0,92

0,97

0,50

o

5

10

15

20

25

30

35

g1orn1


475 TABEl,LA N. 2.

17 - OH IN CONlGLl TRATTATI CON 1 MG / KG PESO/ DlE DI DMN A

__ __ __ __I -Base

60

30

,

1,20

1,40

-

1,11

-

- 14,28

-20,71

Bo

130

1,42

1,52

0,92

T7'

2fO

--,---

I

- - --

I

I 300 360 I I _ _ ,I --- - --

io

+ 1,42

1,22

0,97

Giorni

:24 0

1.55

➔ S,57 -34,28 -12,85 - 30,71 I + 10,71

1,41 .. 0,71

mg/24 h

1,35

- -

--

-

3,57

VAR °lo

I dati sugli elettroliti mostrano una progressiva diminuzione della concentrazione del sodio nel siero. fnfatti, come è indicato nella tabella n. 3 e nel grafico 11. 3, da una base di .3ro mg/100 ml si passa al 3° giorno ad un valore di 282 mg/roo ml (-9,33 °~). Il 14° giorno abbiamo avuto una concentrazione di 283 mg/ 100 ml ( - 8,70°{,) che poi è scesa il 26° giorno a 236 mg/ roo ml ( -23,87°/4) e il 38° giorno a 207 mg/ 100 ml ( - 33,22%). TABELLA N.

S0010 SERICO IN CONfGLI TRATTATI CON I

-

~

140

--

3"

282

~ 9,33

260

I

283

I

-8,70

MC / KG PESO / DIE DI

380

1---=

23,8 /

I

- 33,22

DM A Giorni

mg / 100 ml

207

236

I

VAR ' lo

La concentrazione del potassio nel siero ha invece, come si può vedere dalla tabella n. 4 e dal grafico n. 4, un andamento meno regolare. Si hanno infatti valori oscillanti di poco intorno al valore basale di 16,9 mg/ roo ml con una punta minima al 26° giorno di trattamento di 12,6 mg/ roo ml ( - 2 5,441~)TABELLA N ,

I

POTASS IO SERfCO IN CONIGLI TRATTATI CON I MG / KG PESO DTE DI DMNA 11asc

30

I 16,9 -

15,3

I

-9,46

140

I I

380

26°

-

l

Giorni

--

17, 1

12,6

14,0

mg / l 00ml

+ 1,18

- 25,44

17, 15

VAR %


mgj,oo mt 310 300 283 282

236

200

100

207

o

5

10

15

20

25

30

Grafico n. 3. - Conigli trattati con DMNA 1 mg / kg di peso al g iorno (via intra muscolare): determinazione del sodio nel siero.

35 giorni

20 17,1

16,9 Grafico n. 4. - Conigli trattati con DMNA 1 mg/ kg di peso al giorno (via inrramuscolare): determinazione del potassio nel siero.

15

15,3

14,0 12,6

o

5

10

15

20

25

30

35

giorni


477 D1scuss10NE E CO)<CLUSlON I.

I dati ottenuti ci portano a ritenere che l'azione tossica della DMNA sulla funzionalità del corticosurrene è completamente diversa da quella ottenuta con somministrazione di nitrito di sodio. Non si riscontra infatti la netta riduzione dei metaboliti urinari degli ormoni steroidi come avevamo ottenuto con nitrito di sodio, nonostante che gli animali si mostrino sofferenti e muoiano intorno al 30·· - 40° giorno. Lo studio del corticosurrene, del resto, è stato condotto sulla totalità delle sue funzioni. La reazione di Porter e Silber è infatti specifica per i 17 - OH e quindi per lo studio della funzione glicoattiva delle surrenali, mentre la reazione Zimmermann è specifica per i I]· KS; valuta quindi la funzionalità sessuogena della corteccia surrenale. La funzionalità glomerulare del corticosurrene, cioè dei mineralcorticoidi, è stata studiata mediante la determinazione della concentrazione del sodio e del potassio nel siero. In conclusione, la trasformazione del nitrito di sodio in DMNA, che avviene nell'organismo nelle condizioni prima dette, non è una tappa essenziale per lo svolgimento dell'azione tossica del nitrito di sodio sulla funzionalità del corticosurrene.

RIASSUNTO. - Gli AA. espongono i risultati di una ncerca sulla funzionalità del surrene in conigli sottoposti ad intossicazione con DMNA. Essi rilevano una diversità di effetti tra !"intossicazione da nitriti e quella da DMNA.

RÉsu~d:. - Les AA. montrent les données d ' une recherche sur la fonction surrénalc de lapins après intox ication avec DMl\'A. lls relévent une d ifference entre les cffets dc l'intoxicacion avec DMNA et avcc n itritcs.

Sm1MARY. The AA. show che resu lts of a research on suprarenal function oE rabbits ofter DMNA poisoning. Thcy fìnd Jiffcrcnt elfects between nirrites anJ DMNA poisoning.

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LA MEDICINA PREVENTIVA IN ITALIA: STATO ATTUALE E PROSPETTIVE FUTURE* Prof. Giuseppe Mazzetti Preside della Facoltà Medica dell'Università di Firenze

E' mio primo dovere ringraziare vivamente lo Stato Maggiore per avermi invitato a tenere questa prolusione davanti gli Allievi dell'Accademia di Sanità Militare e gli sono ancora più grato tenendo di conto che, :::ome Preside della Facoltà Medica dì Firenze, mi ritengo responsabile, anzi il maggior responsabile, della loro preparazione; compito oggi particolarmente diffici le dato il grande disagio in cui si svolge il nostro insegnamento. Ma posso assicurare che i docenti della nostra Facoltà Medica fanno tutto il possibile per venire incontro alle esigenze dell'insegnamento. Purtroppo ci muoviamo in una situazione estremamente delicata e precaria che rende molto difficoltosa quella preparazione di indole pratica e tecnica degli studenti in medicina che un tempo, per il loro numero molto limitato e per il più giusto rapporto con g uello dei docenti, con la sufficienza delle aule e delle attrezzature didattiche, compresa l'assistenza al malato, era raggiunta senza eccessiva difficoltà. Rammentino i giovani Allievi che, nonostante ciò che è stato detto in lungo ed in largo, su un'ipotetica deficiente preparazione del laureato in medicina, il medico italiano si è sempre fatto onore nel suo paese e fuori, e ciò soprattutto per la larga parte data alla sua preparazione biologica, base fondamentale per comprendere e risolvere i prc blemi della medicina pratica. Ma oltre a ciò, ci accora il fatto che il personale laureato dei nostri Istituti e delle nostre Cliniche, oberato da lezioni e da esami che si svolgono quasi in continuazione, non abbia più il tempo materiale per dedicarsi alla ricerca che è, a sua volta, base del la didattica. Ma per non fare sempre la figura dell'avvocato del diavclo, apriamo uno spiraglio alla speranza che tra il grande numero dei giovani che si laureano in medicina, una frazione almeno si senta portata alla ricerca ed all'insegnamento, in modo che, se i mezzi materiali non mancheranno, si ritorni a quel giusto rapporto docenti- discenti che permette un'idonea preparazione dello studente. "' Prolusione tenuta in occasione dell'inaJgurazione dell'Anno Accademico 1973 - 74 dell"Accademia di Sanità Militare Inte rforze.

2. -

M.M.


La Facoltà Medica è un'unità di insegnamento che ha figura e necessità ben diverse da quelle delle altre Facoltà universitarie se non altro per la responsabilità del suo laureato come operatore di sanità pubblica e non sempre questa particolare situazione è giustamente valutata dalle autorità responsabili. Ma abbandoniamo queste disquisizioni o meglio questi lamenti su una situazione che, del resto, è ben nota ai colleglù medici. E' tradizione che la prolusione ad un Anno Accademico tratti un'argomento di attualità. Tella mia vita di insegnante di Igiene nell'Università, ho sempre iniziato il mio corso con un tema dedicato alla prevenzione delle malattie in generale e mi atterrò anche ora a questa condotta intrattenendovi su akuni problemi della medicina preventiva, ma tentando di trarre un consuntivo su ciò che è stato fatto nel nostro Paese e prospettando alcune passibilità future. Il tema della prolusione non è perciò una novità, ma non per questo pecca di attualità; i mali del mondo sono tanti e disastrosi, ma se si vuole combatterli e possibilmente superarli è indispensabile mantenersi sani; solo allora la mente dell'uomo può portare la scienza a dare frutti e conoscenze utili per una vita migliore, cioè più sana e più bella. Quando, nella seconda metà del 1800, cioè un secolo fa, le scuole di Luigi Pasteur e di Roberto Koch individuarono nei microrganismi gli agenti delle malattie infettive, subito il pensiero degli studiosi corse alla possibilità di prevenire queste malattie e particolarmente quelle contagiose ed epidemiche. Si tradusse così in scienza positiva l'empirismo degli antichi medici che gi_à av~vano parlato d'Igiene ed avevano individuato metodi per mantenersi sam. el nostro Paese, fu la legge Crispi - Pagliani del 22 dicembre 1888 che accompagnò le prime fondamenta della nostra legislazione ed organizzazione sanitaria, con norme di prevenzione valide contro molte malattie infettive e non infetti ve. Gli attori del J·innovamento sanitario del nostro Paese, che iniziò in seguito a quella legge, furono i medici igienisti per quanto riguarda la salute umana ed i veterinari per la lotta contro le zoonosi. Gli Istituti di Igiene universitari, sorti alla fine del secolo scorso, iniziarono con un fervore veramente esemplare gli studi sulla prevenzione delle malanie, sotto lo stimolo della Direzione Generale della Sanità e dell'opinione pubblica che chiedeva alla scienza medica di affiancarsi al progresso che già si era verificato in questo campo in quasi tutti i Paesi civili. Da questi studi derivarono gli interventi profilattici cd il loro successo fu dimostrato dal crollo della morbosità e della mortalità per malattie infettive che, iniziatosi in quegli anni, è giunto ininterrotto fino ai nostri, salvo le riaccensioni osservate durante le due guer re mondiali. Benché il problema delle malattie infettive fosse prenùnente in quegli anni, l'opera degli igienisti non fu limitata alla sua soluzione, ma si rivolse a molti altri campi


e specialmente a quelli che riguardavano il miglioramento dell'ambiente di vita dell'uomo. L'Igiene, infatti, ha per compito la difesa e la promozione della salute della popolazione e non si limita alla prevenzione delle malattie perché il concetto di salute non si identifica solo nell'assenza di malattia, ma nello stato di benessere psico - fisico e sociale dell'uomo. E' per questo che l'Igiene si è sempre interessata a tutti quei problemi che riguardano la salute umana anche se indirettamente, ed alla cui soluzione si giunge anche con atti non pertinenti al medico, come, per es., la vigilanza sull'ambiente ed il suo risanamento, la depurazione dei rifiuti liquidi e solidi, l'inquinamento del suolo, delle acque e dell'aria, l'approvvigionamento di buona acqua potabile, la vigilanza sugli alimenti, ecc. L'Igiene si presenta perciò come una branca della scienza medica molto eclettica che deve chiedere il concorso della chimica, della .fisica, della geologia, dell'ingegneria e di altre scienze per risolvere i suoi problmi. La costruzione di un ospedale, di una scuola o di un ambiente di lavoro o della stessa abitazione civile come di un acquedotto o di un impianto di depurazione, implica indirizzi non solo di ordine medico - igienistico, ma anche di ordine tecnico devoluti a personale non medico. Si deve però tenere di conto che in questa congerie di compiti, rimane sempre prevalente come meta ideale la difesa della salute. Nell'ospedale, per esempio, i caratteri della camera di degenza e l'organizzazione dei servizi generali vogliono assicurare il benessere dell'infermo e la sua difesa contro i danni che verrebbero provocati da un ambiente non adatto alle sue precarie condizioni di salute. ella scuola i caratteri costruttivi dell'aula, le sue attrezzature, le sue condizioni microclimatiche devono mantenere lo scolaro nelle· migliori condizioni per sopportare senza danni lo sforzo intellettuale e psichìco provocato dalle lunghe e continue ore di studio in ambiente confinato; un locale ove si svolge un qualsiasi lavoro, se non è costruito secondo norme igieniche, diminuisce il rendimento del lavoratore ed aumenta la probabilità di incidenti sul lavoro; l'abitazione civile, specie quella urbana, può predisporre a diverse malattie, dalla tubercolosi a quelle reumatiche, quando non sia ben orientata e non possa usufruire di un adatto soleggiamento, affinché l'umidità si mantenga ad un livello accettabile e le deficienze microclimatiche non espongano l'organi-smo alle intemperie del clima esterno; l'esame critico di un progetto di acquedotto dà modo all'igienista di far giungere alla popolazione l'acqua con i caratteri di purezza che possiede alla sorgente, come quello di un impianto di depurazione delle acque luride permette di eliminare il fenomeno della putrefazione e di abbassare la concentrazione degli agenti patogeni in limiti tali da non dare adito a diffusione di contagi. Tutto ciò per dimostrare come lo studio e l'applicazione in campo pratico di questi concetti fanno sì che la lotta contro le malattie infettive pro-


segua con successo. Certamente l'Igiene si rende conto di avere avuto un potente alleato nella terapia specifica; l'introduzione degli antibiotici e di alcu ni potenti chemioterapici non ha solo ridotta notevolmente la mortalità per quelle malattie, ma anche la loro morbosità perché il contatto dell'agente patogeno con il mezzo battericida o batteriostatico provoca poco a poco la degradazione della sua virulenza e perciò la riduzione non solo dei morti, ma anche dei malati. Molti agenti patogeni, infatti , che in poche unità erano un tempo capaci di provocare la malattia, attualmente ne sono capaci solo se la carica infettante è continua e massiva. Pmtroppo esistono agenti patogeni. come i virus, che non sono sensibili ai medicamenti specifici ed in tali casi si deve ricorrere ai mezzi di prevenzione per abbassare la morbosità e perciò anche la mortalità. Il successo della lotta contro le malattie infettive, dovuto sia a provvedimenti di ordine generale sia all'introduzione delle vaccinazioni profilattiche sia all'uso degli antibiotici e dei chemioterapici, ha portato in questo secolo ad una decisa riduzione dell'indice di mortalità generale che dal 30 per rooo abitanti aì principio del secolo è disceso di ½ e la mortalità infantile da 200 per 1000 nati vivi a poco più di 20. Si tenga conto che oggi le malattie infettive incidono nel nostro Paese complessivamente con non più di 250.000 casi all'anno (denunzie del r972) e con circa 15000 morti (r972); metà circa di questi ultimi sono ancora dovuti alla tubercolosi. La scarsa entità di questi dati appare ancor più evidente quando si pensi che per i soli incidenti stradali si registrano attualmente circa 300.000 feriti e circa 13.000 morti (1972). Alcune malattie infettive che nel passato contribuivano largamente sia alla morbcsità come alla mortalità sono oggi pressoché scomparse (mal attie esotiche, malaria) altre hanno ridotto notevolmente la loro incidenza (tubercolosi, poliomielite, difter ite) altre sono in prcgressivo declino (malattie veneree, scarlattina, brucellosi, pertosse, ecc.); altre, invece, come le malattie esantematiche (morbillo, rosolia) incidono ancora in forma endemica ed epidemica perché non sono state applicate le vaccinazioni profilattiche già in uso in altri paesi civili. Un problema parti.colare, quello dell'epatite virale, attende la sua soluzione perché non è stato potuto ancora coltivare il virus agente della malattia, ma recenti notizie confortano la speranza di un vicino successo; ed anche quello dell'influenza epidemica trova più in deficienze organizzative che in difetti di conoscenze la sua parziale soluzione. A questo punto è opportuno accennare brevemente a due malattie che, anche se ad etiologia diversa, hanno in comune l'epidemiologia: il colera e la tifoide. Il recente episodio di colera in Campania e in Puglia è stato di limitata entità ; si è trattato di poco più di 200 casi accertati nel contesto delle due regioni, ma il solo fatto della comparsa della malattia esotica che non era più penetrata nel nostro Paese dal r9n, ha allarmato la nostra Sanità ed


ha terrorizzato la popolazione. Fortunatamente il focolaio epidemico ha avuto per agente un tipo di vibrione colerico, l'El Tor, a scarsa e lenta diffusibilità e che, muovendosi dalle Filippine, lentamente ha invaso l'Asia sud- orientale, l'India, l'Africa del centro e del nord, ed è arrivato nel 1970 sulle sponde africane del Mediterraneo. n focolaio campano - pugliese è oggi, almeno apparentemente, spento. T casi sono stati attribuiti all'ingestione di mitili coltivati abusivamente in acque inquinate dato che quasi tutti i malati hanno dichiarato di essersi alimentati di mitili; ma nei mitili non è stato mai reperito il vibrione del colera e d'altra parte, il focolaio pugliese è comparso quasi contemporaneamente a quello campa.no; vi sono perciò alcuni punti misteriosi sull'origine delrepidemia; rammento, per inciso, che anche nell'epidemia di colera che cclpì l'Egitto nel 1946 non fu possibile accertare l'erigine. Ben altra importanza assume per il ncstro Paese la tifoide, della quale dal 1961 al 1971 sono stati denunziati circa 12.000 casi per anno ed è opinione corrente che il numero reale dei casi sia molto superiore. L'endemia di tifoide è presente in tutte le regioni italiane, ma colpisce con recrudescenze cd episodi epidemici di preferenza le regioni meridionali ed insulari. Anche i casi di tifoide sono incolpati, nella maggior parte delle località marittime, all'ingestione di mitili e perciò questa malattia ha molti punti epidemiologici in comune con il colera e con altre malattie infettive che trovano nel contagio fecale la ragione della loro diffusione (salmonellosi, dissenteria, poliomielite, epatite virale, parassitosi, ecc.). La presenza di queste malattie è il segno più clamoroso e convincente del pericolo ccstitLÙto dalla mancanza in quasi tutti gli agglomerati w:bani, dalle città ai paesi, di idonei impianti di depurazione delle acque luride. Gli escrementi umani, raccolti dalla fognatura, vengono dispersi senza alcun trattamento di depurazione, sul suolo e nelle acque fluviali e marine. Gli agenti patogeni che essi trasportano ritornano alla popolazione lungo una catena contagionistica che riconosce il contagio diretto (portatcri) cd indiretto (acq ue, m iti li, ortaggi, ed altri alimenti). Da quasi un secolo gli igienisti gridano dalla cattedra e da posti di responsabilità per richiamare le autorità al loro dovere in una situazione assolutamente vergognosa in ccnfronto a quella di molti altri paesi civili. Si sono costruite autostrade, ponti, fabbriche, città intere e quartieri cittadini, ma chi ha mai, per lo meno suggerito e tanto meno proposto, di devolvere una frazione della nostra ricchezza a costruire sistematicamente quegli impianti di depurazione delle acque luride che sono capaci di rompere le catene ccntagionistiche? A pcco a poco i nodi vengono al pettine, ma era proprio necessaria prima la comparsa del problema ecologico e poi del colera per fare aprire gli occhi a chi di dovere? Quando un paese è colpito da queste malattie non sclo vuol dire che è sporco e sudicio, che sono sudici il suolo e le acque e che sono inquinati molti alimenti, ma anche che la sua popolazione possiede un'educazione sanitaria molto deficiente e che non è


capace di pretendere da chi la governa certi provvedimenti atti a tutelare la sua salute. A parte questi problemi particolari vi è da domandarsi se la situazione sanitaria del nostro Paese debba essere considerata con ottimismo: la vita media, cioè la cosidetta speranza di vita alla nascita sfiora oggi iI 70° anno e certamente ciò è dovuto in gran parte alla diminuzione della mortalità per malattie infettive; ma questo fenomeno, che ha apportato grandi benefici alla salute della nostra popolazione, rappresenta oggi una situazione di importanza limitata rispetto al problema sanitario generale. Se noi consideriamo infatti il comportamento dell'indice di mortalità in quest'ultimo ventennio, si vede che esso tende alla stazionarietà; ciò è dovuto al fatto che il b::nefìcio sull'indice di mortalità dovuto al declino delle malattie infettive viene controbilanciato dall'aumento della mortalità per quelle non infettive, cioè di quelle malattie che oggi si sogliono indicare come « degenerative »; in modo particolare i tumori, le malattie del sistema circolatorio, quelle dell'apparato respiratorio e le malattie dismetaboliche. Queste malattie non hanno solo interesse medico, ma anche economico - sociale sia perché avendo un andamento cronico comportano spese elevate di assistenza, sia perché interessano quote elevate della popolazione atta al lavoro e perché portano a stati invalidanti ed a sequele che necessitano l'intervento della medicina riabilitativa. Questo spostamento della patologia, da quella infettiva a quella non infettiva, interessa tutti i Paesi sviluppati e rappresenta un doloroso retaggio della vita moderna; l'industrializzazione porta d'altra parte in primo piano la patologia da lavoro che contribuisce all'aumento di incidenza delle malattie degenerative; anche la stessa mortalità infantile presenta una situazione analoga con prevalenza notevole (75%) dei vizi di conformazione congeniti e dell'immatw-ità sulle malattie dell'apparato digerente, su quelle dell'apparato respiratorio ed ancor più su quelle infettive. Dei 520.000 morti circa che avvengono in complesso nel nostro Paese, quelli per malattie infettive non superano il 3 ° ~- In g uesta situazione è naturale che l'Igiene si sia rivolta allo studio dei metodi per la prevenzione delle malattie degenerative: ma qui il problema è di soluzione molto difficile; infatti nelle malattie infettive l'etiologia è unica e quando l'agente patogeno è conosciuto, lo si può combattere od utilizzarlo modificato come vaccino. Le malattie degenerative, invece, hanno una etiologia complessa e molte volte ignota (vedi i tumori), hanno un andamento cronico e si presentano con caratteri di estrema variabilità in relazione alla situazione organica dell'individuo; si potrebbe affermare che queste malattie rappresentano altrettanti problemi clinico - diagnostici e terapeutici quanti sono i soggetti che si ammalano. Anche se alcune di queste malattie riconoscono ben noti metodi di prevenzione come per es. le malattie professionali, per la maggior parte di esse ci si deve limitare ad accertarne precocemente l'inizio per evitare l'aggravamento del decorso e la morte del paziente. In altre parole, la loro prevenzione invece di rien-


trare nei programmi della profilassi primaria che prevede l'intervento sulla popolazione sana od apparentemente sana, si deve limitare invece alla « diagnosi precoce », un intervento cioè di ordine essenzialmente clinico. E' sotto questo profi lo che si è voluto introdurre l'espressione « Medicina Preventiva » come una correzione al significato di Igiene e quasi per intendere quella parte dell'Igiene di esclusiva pertinenza medica e perseguita con soli atti medici . Nonostante che si debba riconoscere nell'Igiene, come si è detto prima, interventi i più vari alcuni dei quali attuati con mezzi non medici sulla popolazione sana per difenderne lo stato di salute (vedi per es. la difesa contro gli inquinamenti dell'ambiente, contro gli incidenti sul lavoro, ecc.) non si può ammettere una diversità di significato fra Igiene e Medicina Preventiva, perché anche gli interventi non medici sono studiati ed indirizzati dal medico igienista; è solo la loro applicazione tecnologica che può o deve essere devoluta ad esperti di altre branche della scienza. Tuttavia se il mantenimento delle due denominazioni vale a far intendere al medico i compiti preventivi della medicina, è giustificato unire i due termini, come si è già attuato per le Scuole di Specializzazione che hanno adottato il nome di « Igiene e Medicina Preventiva » e come è stato proposto per l'insegnamento dell'Igiene nelle nostre Facoltà mediche. Ma a parte queste disquisizioni sul significato dell'Igiene e della Medicina Preventiva che, si badi bene, non hanno solo valore concettuale ma anche applicativo, rimane sempre in primo piano l'enorme difficoltà di svolgere programmi di prevenzione nel campo delle malattie degenerative. Con questo non voglio dire che non si sia fatto o potuto o voluto fare qualche cosa, date le difficoltà. La legge sugli inquinamenti aunosferici, quella sulla prevenzione delle malattie e degli incidenti sul lavoro, quella sull 'Igiene e la medicina scolastica, sono atti di vera e propria medicina preventiva applicati per difendere la salute della popolazione. Il D.P. dell'II febbraio 1961 n. 249 sulla costituzione dei Centri per le malattie sociali ed il riconoscimento dell'importanza scciale di molte malattie degenerative, i Cen tri per la diagnosi precoce del cancro del collo dell'utero o della mammella, quelli per la profilassi del diabete e di alcune malattie del san gue sono iniziative di vera e propria medicina preventiva, benché di fatto limitate in gran parte alla diagnosi precoce. M a come se ne può facilmente dedurre si tratta di interventi di limitata importanza settoriale che scarsi vantaggi portano alla soluzione globale della prevenzione delle malattie degenerative. Infatti i morti per malattie respiratorie sono fermi a 40.000 ali 'anno, quelli per malattie del sistema circolatorio sono passati da 231.513 del 1970 a 234.158 del r972, fra ctù le malattie ischemiche del cuore da 70.707 a 73.055 ed i disturbi circolatori dell'encefalo a circa 70.000 decessi; i tumori, in lenta ma inesorabile ascesa, hanno toccato nel 1972 i ro3.727 morti. I provvedimenti di Medicina Preventiva hanno trovato solo una parziale applicazione. Iel campo della profilassi primaria si registra il successo delle


vaccinazioni, ma le misure contro l'inquinamento delle acque marine e fluviali ncn sono a ncora state programmate; anche la legge sugli inquinamenti atmosferici manca delle m isure sulle emissioni dei motori a benzina. La mortalità perinatale è ancora troppo elevata e denuncia deficienze di misure preven tive durante la gestazione e la vi ta neonatale ed anche l'Igiene e la Medicina del Lavoro trovano applicazione di ordine prevalentemente fiscale. L'unico settore che sembra registrare progressi è la medicina scolastica con gli interventi rivolti alla prevenzione delle malattie infettive e dei cosiddetti <• vizi dello scolaro» approfittando della collaborazione dei medici specialisti; in questo settore molte amm inistrazioni provinciali hanno prestato un valido aiuto ai ccmuni che non hanno mezzi e personale per assicurare il servizio sanitario scolastico. Ma una larga porzicne della popolazione rimane ancora indifesa contro le malattie degenerative, specialmente quella costituita dai ceti impiegatizi, dai professionisti, dai commercian ti, proprio quella che per abitudini di vita dà il maggior contributo alla mortalità per malattie dell'apparato circolatorio, per tumori e per malattie dismetaboliche. Fi no ad un certo punto potremmo consolarci riconoscendo che tanti altri paesi civili non sono in questo settore molto più avanzati di noi. Ciò vuol dire senza dubbio che l'opera è difficile e che ncn si conoscono ancora bene alcuni concetti applicativi. La m èta ideale è di mantenere sotto controllo medico tutta la popolazione, cioè di vig ilare sulla sal ute dell'individuo dalla sua nascita alla sua morte. E ' p0ssibile un simile programma? Sarebbe possibile se la pcpolazione da controllare fosse in numero molto limitato e se noi potessimo adottare pochi ma significati vi parametri da cui derivare la conoscenza dello stato di salute dell'individuo e degli atten tati che ad essa vengono portati durante il corso della vita. L'attuale nostra organizzazione sanitaria non si presta a tale scopo perché troppo accentrata e troppo rivolta alla medicina curativa. Questa è la ragione per cui gl i igienisti accoglierebbero favorevolmente l'auspicata riforma sanita,ia basata !>Ulla istituzione della Unità Sanitaria Locale (U.S.L.). Questa Unità, con un numero limitato d i abitan,i (da 60.000 a 200.000) dovrebbe comprendere tutti i servizi di medicina curativa e preventiva in modo che scio pochi fencmenj morbosi sfuggirebbero al controllo medico. A tale scopo potrebbero essere adottatj screening aff:dati a pochi ma significativi indici dedotti da analisi di ordine fisi-::o (cle:trocardiogramma, scc-pia, schermografia) o di chimica clinica qual i la g licemia, il colesterolo, le lipoproteine ed altri, tutti da ripetersi sistematicamente nel corso della vita onde cogliere qualsiasi alterazione dello stato cli salute. Il servizio con questi compiti dovrebbe essere condotto dall'igienista in collaborazione con il patologo e con il laboratorio di analisi, co:-i un fine però del tutto d iverso da quello richieste al medico clinico. Si può obbiettare che l'applicazione di un simile programma è in gran parte un'uto pia, almeno per il nostro Paese. Ma si può anche rispendere


che il personale medico e ausiliario è in progressivo aumento e che la pre• venzione delle malattie, specie quelle degenerative, si risolve, se seguita da successo, in un'eccnomia per la famiglia e per la collettività. La riforma sanitaria è auspicata da più parti; la si ritiene non solo necessaria, ma inderogabile; la sua unità operativa è l'U.S.L. che dovrebbe assolvere ai tre compiti tradizionali dell'arte medica: medicina preventiva, curativa e riabilitativa, ma con interesse prevalente al la prevenzione. ln un programma limitato potremmo dedicarci all'assistenza della ma• dre e del bambino, alla medicina scolastica e all'igiene e medicina del lavoro; indubbiamente se ne trarrebbero notevoli vantaggi con riduzione de• gli indici di morbosità e di mortalità e credo che, purtroppo, ci si dovrà per ora limitare a questi compiti. E' necessario che anche nella mente del medico si insinui e trovi posto il concetto della prevenzione ed è doloroso ammettere che a tutt'oggi, verso la fine del XX secolo, si debba confessare la sua scarsa prep:i.razione a tale forma di prestazione. Colpa certamente anche dell 'ordinamento delle ncstre scuole mediche nelle quali l'insegna• mento dell'Igiene e della Medicina Preventiva compare solo al 5° anno d1 corso, quando la mente dello studente si trova saturata solo di patologia, di malati e di cure, mentre non ha ancora mai udita una parola sulla pre• venzione; e che vantaggio egli può trarre da qualche decina di lezioni di Igiene, specie quando la sua mente si lascia permeare solo con molta fatica da concetti per lui fino allora ignoti? Tutto ciò non per sottovalutare o svalutare il compito tradizionale del medico, cioè la cura del malato, ma per affermare che se si vogliono ap• plicare provvedimenti di medicina preventiva, è necessario adcperarsi per formare i ranghi di medici esperti in questa nuova avvincente branca della scienza medica. Non è facile giungere nel nostro Paese a riforme, come quella sanitaria, che vogliono il superamento di antichi concetti; anche le attuali condizioni sociali ed economiche non invogliano a spezzare barriere che la tradizione medica mantiene ancora ben salde. Ma se si vuole fermare la paurosa corsa di alcune cause cli morte, non vi è da fare altro che seguire i concetti della Medicina Preventiva; quando avremo il coraggio e la buona volontà di farlo, ne trarremo vantaggi non solo per la salute ma anche per la nostra economia.


COMMISSIONE. MEDICA SUPERIORE PE.~S10NI DI GUERR/1 Presidem e : Ten. G cn. Med. Prof. F. h DIVAIA

IL RUMORE QUALE FATTORE D 'INQUINAMENTO NELLA GRANDE CITTÀ PARTE II Col. Med. P rof. M. Mangano

Dott.ssa M. G. Mangano

Accanto all'analisi della rumorosità degli ambienti di lavoro e all'applicazione dei mezzi tecnici più idonei ad attenuarla, va ricordato il precoce riconoscimento della tecnopatia da rumore, l'accurata selezione professionale, il tempestivo trattamento dei danni da rumore. Misure preventive generali, che consentono di diminuire i rischi negli individui normali, consistono nel variare la durata di permanenza dei lavoratori negli ambienti molto rumorosi e nel fissare il limite massimo di ore che un individuo potrà rim anervi, stabilendo perciò periodi di riposo in relazione alle frequenze e alle intensità alle quali si trova soggetto a lavorare e prevedendo, presumibilmente, periodi di progressivo adattamento a1 rumore in causa. Ovviamente, nell'applicare tali norme preventive, dovrà tenersi conto dell'età del soggetto, dell 'esistenza di possibili predisposizioni o affezioni morbose, generali o auricolari e della differente vulnerabilità cocleare da individuo ad individuo. Ogni programma che miri alla conservazione dell'udito negli operai, deve, però, cominciare con un esame metodjco dei livelli dei rumori r ilevati nei diversi punti del luogo di lavoro (Trémolières). L 'esame preventivo dovrà rilevare i perimetri nei quali i livelli sonori raggiungono intensità potenzialmente nocive . Un'analisi più accurata in detti perimetri cercherà, successivamente, di stabilire l 'intensità, la durata e le frequenze del!' ambiente sonoro. Un'analisi del genere dovrà individuare la quantità di energia situata nei fasci di frequenza più trauma6zzanti e dovrà precisare l'importanza e il 6po di trattamento acustico nonché consigliare gli apparecchi di protezione individuale dell'orecchio dei lavoratori (turaccioli per orecchi, caschi, ecc.). Quando i rumori sono soprattutto rumori d'urto è spesso necessario, per aver misure precise, l'impiego dell'oscilloscopio a raggi catodici. Indispensabili sono gli esami, otologico e audiometrico, periodici praticati, però, in condizioni ambientali tali da garantire una buona attendibilità dei risultati .


Utile al riguardo è stata l'istituzione dell'Unità Audiometrica mobile, consistente in un particolare ambulatorio medico autotrasportato che ha la caratteristica cli essere costituito da un ampio locale per le visite mediche generali e da una speciale cabina silente con potenza schermante di circa 60 db. In base a ricerche effettuate da Monaco, per conto dell'ENPI, relative alla distribuzione di casi patologici riscontrati in un gruppo di circa 130 lavoratori metalmeccanici, in funzione della loro età e della durata di esposizione al rischio, si sono potuti dedurre i seguenti dati conclusivi : mentre l'influenza dell'età del soggetto non sembrava avere un sensibile effetto sulJa comparsa di sordità progressiva, viceversa l'influenza del tempo di esposizione al rumore era notevole e progressiva. La percentuale, infatti, di casi normali che si riscontravano fra coloro che erano stati esposti al rischio da o a 5 anni, da 5 a IO, da 10 a 15 anni e così via, di cinque in cinque anni, scendeva progressivamente dall'81 °<,, al 57°'~, al 45 %, al 31 'ì~ , al 30~,~. e al 9" o, fino a ridursi a zero per gli operai con un'anzianità di oltre trenta anni di lavoro svolto in luogo rumoroso. L'Autore precisa che alle perdite di udito registrate per ogni soggetto era stato sottratto un coefficiente medio dovuto alla presbiacusia, in modo da poter disporre cli dati concernenti in media solo l'aggravamento della sordità dovuta, fra le altre cause, alla rumorosità del lavoro svolto. Sono stati considerati patologici soltanto i soggetti che presentavano una perdita di udito superiore ai 15 db e sempre escluso il contributo della presbiacusia. Dal punto di vista infortunistico la legislazione attuale sembra assai inadeguata. Come affermano Collatina, Merli e Di Girolamo, essa, mentre da un lato ha ritenuto di estendere le attività protette obbligatoriamente, dall'altra, al n. ,j8 dell'allegato n. 4, condiziona rigidamente il riconoscimento della malattia professionale « sordità da rumore » a lavorazioni che certamente rappresentano soltanto un'aliquota, relativamente modesta, di quante possono causare tale infermità. Uno schema dei provvedimenti attuabili in materia potrebbe essere il seguente proposto dai detti Autori: 1° - Definizione dei carichi acustici, che superano i limiti della normale tollerabilità, in relazione all'occupazione del soggetto nei loro due aspetti fondamentali: a) carichi acustici capaci di arrecare danno all'organo dell'udito; b) carichi acustici capaci di arrecare disturbo e quindi eventuale danno psichico e all'organismo in genere. 2 ° - Definizione dei criteri per la prevenzione del danno da rumore nei due aspetti: profilassi individuale e profilassi ambientale.


a) profilassi individuale o diretta : -

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selezione in fase di preassunzione dei lavoratori che andranno soggetti, a qualsiasi titolo, a sovraccarichi acustici, mediante esami audiologici idonei ad accertare la predisposizione o meno del soggetto alla lesione da rumore; successivi e periodici esami audiologici allo scopo di evidenziare il più precocemente possibile il danno eveniente e prendere quindi adeguati provvedimenti; protezione individuale mediante i protettori auricolari di vario tipo;

b) profilassi ambientale o indiretta: - consiste essenzialmente nella rea lizzazione di quelle misure volte ad ottenere la diminuzione dei rumori alla sorgente (sospensioni elastiche delle macchine, cofani antirumore, particolari tipi di lubrificaz ione, ecc.) e delle altre misure che tendano a diminuire la rumorosità non dovuta alla sorgente (trattamento antiriverberante delle pareti e dei soffitti, copertura delle superfici rigide di una certa <limensione con materiale antiriverberante). 3° - Estensione delJ'assicurazione obbligatoria contro i danni da rumore a tutte quelle lavorazio ni nelle quali il soggetto sia investito da rumore. 4'' - Classificazione delle aree abitabili in base al livello di « rumorosità ambiente » e definizione del metodo per la determinazione della « rumorosità normale ambiente ii, in relazione alla densità degli abitanti, alle attività prevalenti nel quartiere, alla densità del traffico nelle varie ore del giorno ecc. 5° - Impostazione del vincolo di servitù da rumore nelle zone prossime ad impianti molto rumorosi (ad esempio, scali ferroviari, aeroporti, industrie pesanti). 6° - Definizione delle caratteristiche di isolamento degli ambienti in relazione al la rumorosità normale dell'ambiente esterno e alla loro destinazione. Parolini, al riguardo, consiglia la segue nte classificazione : a) ambienti ad uso civile (abitazione, uffici, ecc.); b) ambienti a destinazione particolare (ospedali, scuole, biblioteche, teatri, alberghi, ecc.); e) ambienti nei quali è necessar io proteggere l'orecchio e l'organismo da stimoli eccessivi (locali di staz ioni aeroportuali, scali ferroviari , industrie molto rumorose, ecc.).

7" - Definizione del livello massimo di energia acustica che è consentito trasmettere per via aerea e per via solida (vibrazioni, scuotimenti) all 'esterno o negli ambienti limitrofi, in relazione alla situazione urbanjstica o alla


49 1 destinazione degli ambienti lim.itrofi stessi, potendosi anche giungere ai la proibizione dell' uso di determinate macchine eccessivamente rumorose. La realizzazicne di molte di dette misure preventive urta spesso contro difficoltà economiche e pratiche, anche perchè richiede l'intervento detenninante di esperti che non subordinino agli interessi dei singoli quelli della collettività. Tali misure preventive che presentano aspetti diversi (educativo, tecnico, amministrativo, regolamentare) debbono essere attuate, evidentemente, non solo nei riguardi del rumore da ambiente di lavoro, ma anche nei confronti degh altri rumori prodotti negli abitati, nelle strade, ecc. La meccanizzazione della vita moderna, causa di gran parte delle perturbazioni sonore, compcrta per tutti una vera minaccia, ledendo l'intimità dell'uomo fìn nel recesso più sacro della sua abitazione. La sclitudine dell'uomo moderno, motivo base per l'angcscia esistenziale, nasce, in parte, anche dall'impcssibilità di concentrarsi, di meditare. Il turbinoso modo attuale di vivere in mezzo a rumori che assordano e stordiscono, l'essere e il vivere amorfi in mezzo ad una massa anonima ed ostile, impedisce qualsiasi pausa di ripeso spirituale. Ne deriva l'incapacità per l'homo sapiens attuale di vivere una vita autonoma introspettiva, di formulare idee ed ipotesi che giustifichino e rendano valida la sua esistenza, e che costituiscano, al di là ed al di sopra di interessi economici, sociali e prettamente materiali, un comune legame spirituale o ideale. Ed è proprio nei riguardi della sfera mentale e meditativa dell'uomo che il rumore agisce più dannosamente, impedendone la concentrazione e disperdendone l'energia. In epoca ben meno rumorosa dell 'od ierna, Shopenhaur ebbe a dire che il rumore era il « vero assassino del pens iero l>; esso costituiva <• la più impertinente delle interruzioni, poiché si insinuava nei nostri pensieri e li spezzava » . Aggiungeva, peraltro, che << dove non vi è nulla da interrompere, ci si può anche adattare >> . Assume, al riguardo, notevole interesse il problema dell'insonorità delle abitazioni private, problema che presenta nel campo tecnico molteplici difficoltà, non sempre soddisfacentemente risolvibili. Sotto il profilo acustico è necessario distinguere, con Trémolières : la produzione e la propagazione delle onde sonore (rumori per via aerea); i rumori dovuti a colpi ed ad urti; le vibrazioni meccaniche suscettibili di trasformarsi in vibrazioni udibili. Le cnde sonore, in qualsiasi modo originate in un 'abitazione, possono venire classificate, a seconda della loro provenienza, in due categorie principali: quel le che provengono dall'esterno e quelle che si producono all'interno stesso dell'immobile.


49 2 Ai fini di attenuare i rumori di ongme esterna, dovrebbero essere tenuti nel debito conto almeno i principii essenziali dell'acustica architettonica: realizzazione di pareti di cinta poco favorevoli alla propagazione delle vibrazioni e dei sussulti capaci di trasmettersi attraverso il terreno e gli elementi dell'edificio (prendendo all'uopo in considerazio ne la natura del sottosuolo e il suo coefficiente di propagazione); tenere presente l'importanza delle aperture, vero punto debole per la protezione della casa contro i rumori esterni, e l'isolamento dei tetti, reso questo necessario dal crescente aumento della navigazione aerea, ccc. Per guanto attiene alle aperture sarebbe necessario rafforzare, al loro livello, il coefficiente d'isolamento e d'impermeabilità. Le finestre, le comuni vetrate, gli impianti d"aereazione, i muri porosi fessurati, tutti gli interstizi che lasciano passare aria sono assai permeabili ai rumori. e lla propagazicne per via aerea del rumore la quantità di energia che attraversa un 'apertura è proporzionale alla sua superficie e indipendente dalla frequenza. Tuttavia, è da ritenersi, in linea generale, che il livello fisiologico del suono trasmesso diminuisce rapidamente con le basse frequenze. Per migliorare sensibilmente il potere d'isolamento delle comuni finestre, che costituiscono per lo più un ostacolo mediocre al passaggio delle vibrazioni , sonc stati escogitati metodi diversi, consistenti essenzialmente in doppi o tripli tramezzi di vetri. Secondo le ricerche di W. Zeller, l'applicazione in una comune finestra con scanalature di un margine di feltro può rendere più sensibile la riduzione del livello sonoro di 12-16 fon; le controfinestre con margine di feltro delle due finestre possono attuare una riduzione di r6-20 fon. Jacobsen consiglia un dispositivo costituito da doppie finestre in una cornice d'acciaio, i cui vetri di differente spessore (quattro millimetri e tre millimetri) siano separati da uno spazio d'aria di 52 mm. In tal modo si può raggiungere un indice di indebolimento sonoro che varia, secondo la natura delle forniture ammortizzanti, dell'impenetrabilità e delle connessioni, da 32 a 45 decibel. Va, peraltro, tenuto conto che, a parte la difficoltà delle rigide clausole finanziarie, cui devono sottostare la maggior parte dei progetti, una perfetta impermeabilità delle finestre delle abitazioni potrebbe essere in contrasto con suggerimenti di carattere igienico relativi al processo di ventilazione spontanea nei vani d'abitazione. Per evitare eccessive vibrazioni delle porte, esse devono avere uno spessore ed un peso sufficienti, adottando possibilmente il sistema della doppia parete. Lo spessore e la natura dei materiali che formano le mura esterne rappresentano elementi di grande importanza nella difesa contro il rumore, oltre che ne lla lotta con tro l'umidità e gli sbalzi termici .


493 I muri spessi e pesanti assicurano una buona protezione fonica, mentre i muri porosi, permeabili all'aria,, si lasciano attraversare facilmente dalle onde sonore. Materiali guaii il calcestruzzo multicellulare o il calcestruzzo aereato conferiscono al muro un soddisfacente potere isolante, al contrario delle armature metalliche e dei pali di cemento che si sono rilevati particolarmente adatti alla trasmissione delle vibrazioni. Di notevole importanza, specie nella lotta contro la penetrazione dei rumori derivanti dalla navigazione aerea, è l'isolamento dei tetti: il miglior mezzo è ancora quello di stabilire, sotto il tetto stesso, la presenza di spazi e di materiali isolanti fonici (per esempio a base di lana di vetro). Con idonee misure tecniche, peraltro raramente messe in opera, è possibile attenuare in modo sensibi le le vibrazioni aeree e i sussulti, prodotti da cause numerose e tanto diverse: veicoli pesanti, trams, ferrovie metropolitane, scavatrici per il rifacimento delle strade, ecc. A seconda della loro frequenza, intensità, durata d'azione le vibrazioni aeree possono determinare, infatti, effetti variabili ma sempre di rilevante entità, sia sull'organismo umano sia sugli stessi stabili. La lotta contro il rumore nelle abitazioni dovrebbe cominciare con l'accurato esame del sottosuolo, r ealizzando, dovunque possibile, terreni ammortizzanti costituiti da elementi p lastici e scegliendo armature e materiali, che siano cattivi conduttori di vibrazioni, sia per la costruzione delle fondamenta e delle mura, sia per la costruzione e l'articolazione dei pavimenti. Non meno molesti dei rumori di origine esterna sono quelli che vengono prodotti all'interno delle abitazioni e che, per lo più, sono condizionati dal comportamento reciproco degli occupanti. ella vita moderna, la tranquillità di chiunque abiti in uno stabile collettivo dipende, purtroppo, in g ran parte dalle qualità civiche dei vicini, dal loro senso di disciplina nel rispettare le norme condominiali e dalla loro educazione. La frequente mancanza di riguardo degli inquil ini nei confronti dei vicini dipende anche dal fatto che solo raramente il rumore molesta la persona che ne è causa. Esistono, tuttavia, delle possibilità e degli accorgimenti tecnici per attenuare anche i rumori di origin e interna. Analizzando il problema della trasmissione delte vibrazioni da un locale trasmittente (volume A) ad un locale ricevente (volume B) si può giungere alla conclusione (Trémolières e Coli.) che detta trasmissione può effettuarsi, sia direttamente per via aerea o di zone adiacenti (attraverso le aperture di comunicazione o attraverso gli assiti e i pavimenti), sia indirettamente attraverso un locale intermedio (volume C) o attraverso talune pareti dell'edificio o dell'impianto (canalizzazioni di ogni genere), per trasmissione a distanza dell'energia sonora.


494 Per limitare gli effetti dei rumori trasmessi per via aerea hanno importanza la struttura dei muri divisori, l'esistenza di vani secondari ed intermedi con funzione ammortizzante, il criterio di costruzione dei tramezzi interni. dei soffitti e dei pavimenti. La funzione delle pareti costituite dai tramezzi verticali, come dei soffitti è assai importante dal punto di vista fonico, in quanto da loro dipende in gran parte ] 'isolamento nei confronti dei rumori aerei, l'ammortizzamento o meno delle vibrazioni per conduzione e la capacità o incapacità ad entrare in vibrazione. Soprattutto per i pavimenti hanno in genere importanza, ai fini del livello acustico complessivo, più che le proprietà intrinseche dei materiali di struttura, i criteri di fabbricazione e di messa in opera. Rivestimenti insonori (ad es. tappeti o linoleum sui pavimenti di legno) contribuiscono a rafforzare in modo notevole il potere d'isolamento. Scarsamente isolanti sono i tramezzi costituiti da riquadri di gesso o da mattoni con intonaco di gesso. Essi vibrano in diaframma sotto l'effetto di una vibrazione di bassa frequenza: il fenomeno è tanto più evidente quanto più la frequenza del suono si avvicina alla frequenza di risonanza del tramezzo. Per accrescere il potere d'indeboli mento acustico di tali tramezzi vibranti , si potrebbe aumentarne il peso, utilizzando materiale più pesante e costruendoli più spessi . Tale soluzione che porterebbe, però, a sovraccarichi eccessivi, incompatibili con i metodi di costruzione moderna, è stata largamente sostituita dall'uso del sistema del doppio tramezzo o dei tramezzi multipli. Tale procedimento, come è noto, consiste nel disporre dei quadri indipendenti separati da uno strato d'aria, il cui spessore si aggira tra i 6 e gli 8 cm. Per ottenere un rafforzamento dell'isolamento acustico si può anche introdurre nello spazio di scartamento esistente tra i riquadri un materiale fìbrcso. Secondo i dati di Cabaret un tramezzo in riquadri di gesso del comune spessore di 70 mm dà per la frequenza di 1000 hertz un indebolimento di 35 db, un tramezzo multiplo ne dà uno, invece, dai 45 ai 50 db. La difficoltà relativa all'insonorizzazione dei vani di abitazione è particolarmente complicata nelle costruzioni moderne e collettive per gli effetti sonori dovuti alla trasmissione aerea e a d istanza dei rumori derivanti da colpi e da urti attraverso i pavimenti. Consegnare delle costruzioni nuove con pavimenti realizzati senza particolari misure per ostacolare la trasmissione dei rumori, come avviene costantemente nella pratica, può costituire un errore grave ai fini di quella serenità cui ba diritto ogni essere umano. Sono, infatti, proprio i rumori trasmessi tramite i pavimenti (rumori di passi, oggetti che cadono, spostamenti dei mobili, ecc.) che riescono più sgradevoli ed esasperanti, specie nel silenzio della notte ed in persone stanche e ipersensibili.


495 Per attenuare gli effetti sonori di gualsiasi provenienza, possono essere attuate numerose modalità tecniche che si basano essenzialmente ( Trémolières e Coli.) sui seguenti principi fondamentali: 1° - per ridurre la permeabilità ai rumori aerei realizzare l'alternarsi di elementi compositi il cui insieme comporti internamente la disposizione di vuoti d'aria o di spazi riempiti di scstanze poco adatte alla trasmissione delle vibrazioni; 2 " - cercare di ottenere un buon isolamento ai rumori derivati da colpi e da urti. Come controllo si usa stabilire la qualità di un pavimento mediante lo spettro dei rumori d'urto causati da un percussore normalizzato. L'analisi viene fatta per mezzo di un filtro di strisce ed i livelli medi sono stabiliti per delle frequenze comprese tra i 50 e i 1600 hertz. Nelle moderne costruzioni che utilizzano quale materiale corrente il cemento armato, i pavimenti che rispettino i requisiti succitati sono in grado di ridurre i rumori aerei in maniera soddisfacente, anche se spesso rimangono sonori ai rumori d'urto. Per ridurre sensibilmente tale trasmissione è stato proposto di coprire la superficie del terreno degli ambienti con un rivestimento isolante (caucciù sintetico, tappeti) che, per il suo immediato effetto ammortizzante, fa sparire la causa stessa delle vibrazioni e conseguentemente la loro diffusione. Inoltre si cerca di rendere il pavimento ed il soffitto indipendenti l'uno dall'altro con varie modalità: soffitto sospeso (costituito da un'impalcatura di gesso collegata al pavimento 1nediantc assi più o meno elastici); pavimenti galleggianti (in cui il rivestimento è isolato dal terreno mediante un materiale fibroso o poroso);

3° - tenere nel debito conto le trasmissioni a distanza, veicolo delle quali sono gli elementi essenziali dell'edificio (masse portanti, pali, correnti, ecc.) e gli elementi d'impianto, in particolar modo le canalizzazioni. Tenuto conto della facilità con la quale i pali metallici e il cemento armato trasmettono le vibrazioni per conduzione, è utile adottare terreni elastici ammortizzantj e di isolare l'ossatura delle pareti divisorie. Per ottenere un discreto isolamento dei terreni e dei pavimenti dai pali verticali che possono propagare vibrazioni attraverso tutto lo stabile, si ricorre al principio delle solette flottanti, le guaii però non debbono essere in contatto con le pareti verticali n è con solette non isolate. Una sorgente importante di rumori di origine interna è quella costituita dalle canalizzazioni e dai complessi di tubature metalliche che si rivelano eccellenti conduttori del suono. E' molto facile, infatti, che attraverso l'intero stabile vengano trasmesse, sotto forma di fischi e di raschi, vibrazioni causate da pressioni troppo ele-

3. · M.M.


vate, da temperature disuguali, da guarnizioni di rubinetteria mal adattate, da gomiti troppo bruschi, da tubi a parete troppo sottile, ecc. Tra le più importanti e frequenti sorgenti di rumore, che derivano dalle reti di canalizzazione all'interno degli stabili, si possono distinguere i rumori che si formano nei tubi di alimentazione o di evacuazione e quelli che sono legati al funzionamento degli apparechi concernenti il sistema di tubature. I rumori prodotti nelle tubature di alimentazione, a causa del movimento dell'acqua nella canalizzazione, dipendono dalla velocità di trasporto del liquido, dai gomiti, dai cambiamenti di sezione, ecc. , e si originano prevalentemente negli accessori situati sulla rete di distribuzione (rubinetti, valvole di sicurezza, contatori ecc.). Detti rumori sono dovuti in gran parte a fenomeni di turbolenza nello scorrimento dell'acqua. Le turbolenze più forti si verificano all'interno dei rubinetti, dando luogo a rumori sotto forma di gorgoglii e a scosse di bassa frequenza (intorno e al disotto dei 100 hertz). Non rara è la produzione di sibili (dovuti a sprigionamento di gas causato da depressioni originatesi nelle sezioni più strette dei rubinetti di presa d'acqua) e di rumori acuti (da 600 a 700 cicli al secondo) che si verificano all'interno del rubinetto e si propagano specialmente attraverso le tubature metalliche. In seguito al cattivo stato delle guarnizioni dei rubinetti possono aversi, altresì, dei rumori sotto forma di colpi o sotto forma di un suono musicale o di uno schiocco secco (colpo d'ariete). Parimenti, in seguito alla difettosa chiusura delle valvole possono verificarsi getti d'acqua a grande velocità, che danno luogo a rumori d'urto e a vibrazioni di risonanza che si propagano nell'insieme della colonna d'acqua. Per prevenire i rumori derivanti delle canalizzazioni è necessario fare un impianto adeguato che funzioni senza eccessiva pressione, non a scatto, senza colpo d'ariete; ciò presuppone, già in fase di progetto, lo studio accurato delle reti di alimentazione e di scarico e ]'attuazione di alcuni accorgimenti (percorsi il più possibile rettilinei, senza gomiti ad angolo acuto, scelta oculata della natura e dello spessore del materiale, ecc.). f condotti di scarico sono, spesso, anch'essi causa di rumori, distinguibili essenzialmente in rumori dei sifoni che si svuotano (per evitare il loro verificarsi è stata progettata una ventilazione secondaria) e il ronzio dovuto allo scorrere dell'acqua nei condotti. Altra sorgente di rumore sono gli apparecchi di evacuazione: rumore dell'acqua di scarico, dell'acqua che cade in un lavandino o in una vasca da bagno, risucchio di una vasca avente funzicne di sifone, ecc. Le vibrazioni ovunque originatesi si trasmettono da una parte all'insieme delle tubature (e, tramite queste, alla costruzione stessa) e dall'altra> sotto forma di rumori aerei.


497 Per evitare la trasm1ss10ne diretta dei rumori per via aerea è utile proteggere contro la dispersione di calore le tubature o farle passare in rivestimenti. Si ritiene, altresì, che si possa ovviare alla propagazione dei suoni ad alta frequenza cambiando il tipo di tubatura su opportune porzioni del suo percorso. Per quanto concerne la trasmissione dei rumori agli elementi della costruzione la regola fondamentale è quella di evitare qualsiasi collegamento rigido tra le tubature e la costruzione. Conclusivamente, vengono consigliati da Trémolières i seguenti accorgimenti tecnici: 1 ° - i locali in cui si fa frequente uso di rubi netti (cucina, lavandini, WC) e che devono trovarsi, nelle costruzioni a più piani, per quanto possibile, sovrapposti gli uni agli altri, debbono essere sistemati lontano dagli ambienti cui è richiesto di essere silenziosi e le canalizzazioni debbono essere esterne a g uesti ultimi;

2 ° - dato che le canalizzazioni danno luogo alle vibrazioni più forti (condotti montanti, tubi di discesa), esse non devono mai essere fissate agli elementi più esigui della costruzione ma sui muri spessi che possiedono un limitato potere di assorbimento delle vibrazioni;

3° - le mura contigue ai locali di abitazione e alle camere da letto non devono essere utilizzate a tale scopo. I tramezzi che separano i diversi appartamenti non devono servire a fissare le canalizzazioni, a meno che non esistano dei locali secondari da ogni lato del tramezzo. E' vantaggioso porre i conduttori principali in rivestimenti speciali, le cui pareti abbiano l'intera superficie coperta di materiali atti ad assorbire i rumori. La chiusura di tali rivestimenti non deve farsi, però, mediante lamiere di ferro che, per il loro effetto di membrana vibrante, aumenterebbero i rumori; 4" - devono parimenti essere prese tutte le precauzioni possibili per il passaggio delle tubature attraverso tramezzi e pavimenti. E ' necessario im_piegare allo scopo manicotti isolanti, possibilmente in piombo, ed effettuare tra il tubo e il manicotto stesso una imbottitura in materiale isolante. Dato che il rumore interferisce, quale fattore di aggressione, sulle condizioni psicofisiche dell'uomo che cerca il clima di necessario rilassamento nella propria casa, è necessario, dal punto di vista medico e sociale, mettere in atto qualsiasi mezzo idoneo a proteggere l'uomo e la sua famiglia. Se è indispensabile fare opera di persuasione su tutti perchè riconoscano un limite alla propria libertà nel diritto degli altri ad usufruire della loro, è pero altresì necessario che la tecnica predisponga ed attui tutte quelle prov-


videnze necessarie per l'isolamento fonico dello stabile e per l'eliminazione delle sorgenti di rumore di origine interna. Per attenuare le vibrazioni provenienti dall'esterno, dette misure saranno rivolte, come già detto, specialmente alle fondamenta, ai pali di sostegno, ai muri maestri, alla protezione ad opera dei tetti, opportunamente isolati. Ai fini di ovviare alla trasmissione dei rumori di origine interna, assumono importanza, precipuamente, le condizioni dei tramezzi, dei pavimenti, delle canalizzazioni di distribuzione e di scarico, oltre che degli accessori di più frequente uso ( apparecchi elettrodomestici, ventilatori, motori elettrici, ascensori, ecc.). Per ottenere un risultato, anche solo discreto, necessita evidentemente la collaborazione dell'architetto, dell'ingegnere, dell'igienista e del medico specialista. Non può però lasciarsi al beneplacito del privato l'attuazione delle misure di ordine generale succitate. L 'interesse che riveste il problema della casa per l'uomo supera il campo strettamente tecnico ed economico. Pertanto, come affermano Trémolières e Coll., le misure che devono essere tenute presenti nella progettazione e nella realizzazione e( devono rientrare nel quadro della politica generale della costruzione di abitazioni; lo sforzo .finanziario che ne è iI corollario appare fin d 'ora come una necessità sociale 1> . Tale necessità si prospetta ancora più evidente ed inderogabile allorchè una costruzione è adibita a luogo di cura o di riposo. In tal caso è ovvio che bisogna stabilire intorno ai malati le condizioni più favorevoli ed adeguate al riposo e alla tranqui llità, in relazione alla minore capacità energetica che essi possono opporre all'azione disturbatrice esterna. T ra i rumori che più disturbano gli ammalati sono da annoverarsi in primo luogo quelli prodotti dalle persone, siano essi i visitatori o il personale: è necessario pertanto un'opera di persuasiva educazione civica. Molte volte piccoli accorgimenti possono attenuare rumori fastidiosi, come quelli legati alla cattiva manutenzione degli apparecchi e dei carrelli, quell i dovuti alla chiusura violenta delle porte dell'ascensore, al ticchettio delle scarpe o all'alto volume degli apparecchi radiotelevisivi. Ovviamente, la molestia recata al malato dal rumore varia, a seconda dell'ora, delle sue caratteristiche psichiche, delle sue condizioni di salute. Una partecipazione affettiva ad un programma radiofonico, ad esempio, induce ad una tolleranza verso il rumore r elativo ben maggiore di quella riservata ad un programma, cui il soggetto sia indifferente od ostile. Molti rumori, peraltro, legati al funzionamento dei vari servizi (ascensori , ventilazione, condizionamento, lavanderia, cucina) sono inevitabili, come lo sono altri legati al carattere e al ritmo della vita ospedaliera e alla sofferenza stessa dei pazienti.


499 Secondo i tecnici nord-am.ericani ed inglesi viene dichiarato ammissibile, per quanto attiene gli ospedali, un grado massimo di rumorosità compreso tra i 40 e i 55 db. V'è, però, da rilevare che un suono ritmato con intervalli sufficientemente brevi, anche se compreso tra i 30 e i 45 db può riuscire già altamente molesto. Come afTerma il Castiglia, negli ospedali occorre evitare i rumori snervanti, queìli disturbatori (compresi tra 45 e 95 db) e i laceranti (rumori che oltrepassano i 95 db); per avere un ambiente sufficientemente tranquillo la rumorosità ncn dovrebbe superare i 45 db. A titolo comparativo va tenuto presente che il grado di rumorosità dichiarato, in genere, ammissibile per altri locali è il seguente : Studi di trasmissioni radio Stanza da letto Chiese Teatri e cinema Uffici Caffè - ristorante Officine Sala macchine

db )) )) ))

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20 -;- 25 2 5 7 35 35 -;-4o 35 -;- 45 55 -;- 65 60-;-70 70-;- roo 90 7 120

La progettazione d' un complesso ospedaliero deve tener conto, ai fini di r idurre la rumorosità a limiti accettabili, di numerose modalità tecniche e d'impianto. Così per evitare i rumori provenienti da cause interne all'edificio, è conveniente porre in edifici separati dal blocco clinico gli impianti più rumorosi (autorimesse, lavanderie, centrale termica, ecc.) e provvedere, comunque, a collegamenti smorzanti ne.lle apparecchiature interne ed all'isolamento dei locali nei quali vengono prodotti i rumori . Per attenuare i rumori esterni, oltre ad avvalersi di ampi spazi verdi, occorre impiegare murature isolanti, realizzabili con murature cave o con opportuni rivestimenti. A tale riguardo, Castiglia afferma che una condizione essenziale per ottenere una buona protezione contro i rumori in un Ospedale è quella dell'esclusione delle strutture intelaiate e monolitiche in cemento armato; l'esperienza ha, infatti, dimostrato l'enorme potere di trasmissione dei ru~1ori ~e~li edifici a struttura monolitica in cemento armato o peggio ancora 1n acoa10. Secondo detto Autore la semplice struttura muraria per la costituzione degli elementi verticali di sostegno e chiusura può, nella maggioranza dei casi, servire allo scopo; parimenti una accorta scelta di interruzioni nella solidità e continuità delle strutture in c. a. può fornire brillanti soluzioni. Nei riguardi della costruzione di pareti esterne dell'edificio possono essere auspicate grandi vetrate d1e diano il senso della libertà a chi vive, per


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necessità, in luogo chiuso; tuttavia esse devono essere costituite con tutti gli accorgimenti possibili per eliminare rumori e vibrazioni (doppi vetri, ecc.). Sono stati già menzionati i modi per rendere isolanti le tramezzature ed i soffitti; è soprattutto nella tecnica costruttiva ospedaliera che trovano applicazione, ai fini della difesa dai rumori, i pavimenti «galleggianti )), cioè un sistema costruttivo ripartitore completo di pavimentazione senza contatto diretto con la struttura portante resistente. Tale sistema evita o rende insensibile la trasmissione del suono da un ambie nte al souostante attraverso il pavimento. Le tubazioni a servizio dei piani vanno allogate e concentrate in apposite canne accessibili, il che, oltre a facilitare i servizi e renderli più rapidi, consente un isolamento locale direttamente all'origine dei rumori. Speciale attenzione va portata sull'impianto di condizionamento dell'aria, dal quale possono derivare numerose cause di rumore (vibrazione del macchinario, risucchio dell'aria aspirata, vibrazione dei canali, moti turbinesi provocati dalle bocchette di uscita negli ambienti da condizionare). L 'azione psicolesiva dei rumori riscontrabili nell'ambiente ospedaliero è stata anche messa in evidenza recentemente dal Cosa che ha ammesso altresl la possibilità, anche per le particolari caratteristiche dei soggetti esposti, che si manifestino in essi degli eventi patologici ( <• vettorialità psicosomatica »), con proiezione su organi bersaglio dello stress psichico e liberazione di situazioni patologiche latenti. Attraverso detti meccanismi, si può giungere all'insorgenza di lesioni dell'apparato gastroenterico, cardiovascolare e del sistema neuro - endocrino. Nelle sue ricerche eseguite nel 1970 in tre Ospedali romani, detto Autore ha rilevato all'interno delle camere di degenza, nell'arco di tempo compreso tra le ore nove e le ore ventuno, livelli di rumorosità di fondo oscillanti tra i 55 e gli 88 db, con valori di attenuazione della rumorosità stradale che, a seconda dei casi, potevano variare dai 4 - 9 <lb a finestre aperte, ai 9 - 19 db a finestre chiuse. Dopo aver formulato alcune propcste per adeguati valori limiti di rumorosità accettabili per i differenti settori dell'Ospedale, (camere di degenza zone di collegamento, me<licherie, sale operatorie e sale da parto, ambulatori esterni e zone dei servizi generali), l'Autore ha ricordato la necessità di sempre più adatte tecniche d'insonorizzazione. La ricerca di tutte le modalità per eliminare od attenuare i vari rumori deve essere fatta in sede di progetto, perchè i problemi tecnici, ove si tenti di risolverli a costruzione eseguita senza la corrispondente previsione, finiscono per risolversi con compromessi dannosi e risultati del tutto parziali e insoddisfacenti. Particolari requisiti tecnici richiedono a1tresl gli edifici scolastici i quali, oltre che avere ogni ambiente bene orientato, adeguatame nte ed uniformemente illuminato, razionalmente aerato e riscaldato, dovrebbero essere suffi-


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cientemente difesi dai rumori prodotti in qualunque modo e da qualsiasi parte. Essenziale per il requisito dell'isolamento dal rumore è Ja presenza attorno ad essi di ampie zone verdi. Una disciplina severa deve regolare la rumorosità nei locali di divertimento: dancing, cinema all'aperto, caffè concerti, e quella dei juke - box e di altri apparecchi che amplificano il volume delle vibrazioni prodotte da voci, canti e suoni, recando un disturbo proporzionalmente crescente con 1'aumentare del volume ed in ragione diretta della distanza dalle fonti sonore delle zone abitate. Soprattutto i rumori subitanei ed inaspettati stimolano in forma abnorme, quasi a tipo di shock, l'emotività dell'individuo, privandolo facilmente del necessario controllo su se stesso e conseguentemente della possibilità di adeguare i movimenti e le reazioni al la improvvisa situazione cui si viene a trovare, onde possibilità di incidenti e di infortuni. Oltre alle misure tecniche da adottare nelle officine e nelle fabbriche (intese essenzialmente a prevenire ed attenuare i rumori e i sussulti ed a proteggere, nel contempo, il lavoratore contro le dannose conseguenze dei rw11ori) ed oltre alla protezione dei cittadini nell'ambito della propria abitazione e nei luoghi d'interesse pubblico, la lotta contro i rumori deve svolgersi contro i rumori della strada e del cielo in sempre continuo aumento. Ridurre quest'u ltima categoria di rumori costituisce, precipuamente, una questione di educazione civica e di regolamentazione; tuttavia le misure tecniche, soprattutto per quanto attiene al traffico in una grande città, conservano in pieno la loro validità. La tecnica del silenzio comporta prescrizioni e norme disciplinar i che interessano aspetti multiformi della vita sociale: officine metallurgiche di riparazione al l'aria aperta, il gran numero di altoparlanti e di strilloni, i juke - box, la ridda di rumori notturni e mattutini (motori spinti al massimo, brusche frenate, sportelli d'auto sbattuti violentemente, vocii dei frequentatori di locali pubblici, abbaiare dei cani, ecc.). La vita moderna ormai si svolge in un clima rumoroso che investe ogni aspetto della vita sociale. Perfino i presentatori televisivi di trasmissioni per bambini usano spesso un tono di voce esagitato, comunicando ad essi uno stato di tensione psichica che, negli adolescenti, trova la più tipica espressione negli acuti strilli isterici dinanzi ai nuovi urlanti idoli della nostra epoca. Tutte queste abitudini e queste manifestazioni rumorose ( alcune delle quali sono il risultato di una noncuranza inammissibile ed altre servono a distrarre alcuni importunando molti altri) esigerebbero, ove, come per lo più accade, non sia presente un senso di cosciente autodisciplina, dei severi regolamenti, atti ad evitare i frequenti abusi. Ovviamente esistono in molte manifestazioni rumorose dell'odierna civiltà motivi psicologici, a livello subconscio o conscio, che meritano particolare attenzione ed indagini approfondite. Tuttavia, il sottofondo psicosociale che


esiste ormai in ogni espressione della vita individuale e collettiva non può giusti(icare l'uso del rumore come mezzo di aggressione nei confronti dell'intera città. Ciò anche se sembra ormai che soltanto in tal modo si possono raggiungere determinati obiettivi. Anche nella contestazione giovanile, una componente essenziale che ne den uncia il lato meno positivo è, appunto, il rumore e l'aggressività. Un altro importante aspetto del problema dei rumori è quello legato all'industria dell'aviazione sia civile che militare in sempre crescente sviluppo. Per risparmiare gli abitanti della città dai rumori di aerei, l'unico mezzo è la proibizione di sorvolare le zone urbane, stabilendo per gli aerei corridoi o piste obbligatorie di passaggio. Esiste però sempre il problema delle collettività che abitano in prossimità degli aeroporti. [ rumori degli aerei per la loro frequente intermittenza, la loro subitaneità, il loro presentarsi di giorno e di notte, sono particolarmente dannosi. Ad aggravare ulteriormente la situazione è stata la comparsa dell'aereo a reazione a grande velocità e soprattutto l'aumentata frequenza dei voli supersonici, cui è collegato il problema del bang sonoro. li bang, come è noto, è dovuto alle onde che l'aereo forma nell'aria, allo stesso modo che un masso forma cerchi concentrici sulla superficie di uno stagno. Mentre a velocità infrasoniche tali onde, che viaggiano alla velocità del suono, si smorzano una dopo l'altra, a velocità superiore a quella del suono, esse si fondono e si sommano in un'onda d'urto a forma di cono, il cui vertice è costituito dall'aereo. Quando l'cnda d'urto arriva al suolo, l'improvviso aumento della pressione viene avvertito come deflagrazione. L'intensità massima del rumore si avverte lungo l'asse di volo e diminuisce mano a mano che ci si allontana da esso. 1 on si verifica, in realtà, una rottura della barriera del suono, ma la produzione di un rumore continuo, la cui ii ntensi tà dipende dal rumore di Mach (Mach 1 è la velocità del suono, Mach 2 è due volte detta velocità. li Concorde francese. ad esempio, vola a Mach T ,3). Jci piani dell'aviazione civile è previsto che gli apparecchi raggiungeranno la velocità del suono quasi all'altitudine del volo orizzontale e cioè a circa r50 km dal punto di decollo. La zona coperta dal tappeto sonoro avrà una lunghezza d i 50-70 chilometri e si estenderà longitudinalmente fino al punto in cui l'aereo sarà ridisceso al d i sotto della velocità del suono. Molti fattori influenzano il bang, collegati alcuni alle caratteristiche delraerco (lunghezza, ripartizione della superficie, ripartizione del peso, peso lordo), altri alle condizioni di volo (altitudine, n umero di Mach, angolo


della traiettoria, cambiamenti di posizione), altri ed elementi non bene controllabili (temperatura, vento, precipitazioni e nuvolosità, pressione e capacità di riflessione del suolo, ecc.). L'accelerazic ne e le virate aumentano i bangs e vi sono dei punti in cui si producono superbangs dovuti alla ccncentrazione delle onde al centro della curva descritta dall'apparecchio. Per quanto attiene alle reazioni individuali e collettive esse si manifestano in funz ione soprattutto deH'intensità e della durata dell'onda di urto. Tuttavia, dalle ricerche fino ra effettuate non emergono dati sicuri e concordi che avvalorino l'esistenza conprovata di danni valutabili a carico dell'uomo. Significativo può essere ritenuto un esperimento realizzato nel 1960 nel Nevada, durante il quale 50 osservatori situati sotto la traiettoria di un aereo supersonico sopportarono senza danni apprezzabili una sovrapressione di 57.400 dine per cm2 • Ordinariamente poi la sovrapressione prevista per gli aerei supersonici civili non supera i 700/ rooo dine per cm2 e può provocare, tutt'al più, ronzii o tintinnii aurico lari . Sembra altresì accertato che le sensazioni di dolore vero e proprio iniziano sopra i 70.000 dine per cm 2• Solo valori molto più elevati (3,44 x 105 2 din / cm ) provocano la rottura del timpano. La rottura del polmone si produrrebbe a livelli enormi (r ,033 x 10" dine per cm2). Importante può essere anche l'effetto che l'onda d'urto produce sugli edifici. L'interferenza dei mur i lo rende diverso all'interno, ove si producono risonanze, scosse, vibrazioni, stimoli visivi. Tuttavia, verso i 700/ rooo dine / cm2, gli edifici possono subire danni, peraltro leggeri. Questi, invece, sono di una certa entità, sopra i 2500 dine/ cm2 • Se non appare confermato che il bang sonico possa avere valutabili effetti patologjci sull 'uomo, è presumibi le però che ad esso corrispondano abnormi reazioni psicologiche, come può dedursi dal lavoro del Kryter sull'argomento. E ' evidente che molto conta l'individualità dei soggetti che vengono esposti in blocco agi i effetti del bang, soprattutto considerando la particolare fragilità di alcune categorie di persone, quali i bambini, i malati e gli anziani. Secondo Kryter, la qualità del suono è un fattore più importante dell"intensità nella val utazione soggettiva del rumore, la quale no n coincide necessariamente con le misure fisiche. Aumentando l'al tezza del suono, rendendolo più complesso e facendolo durare per più di 200 m illesecondi, la sonorità aumenta più celermente dell'intensi tà. Ovviamente il bang è un rumore complesso, accompagn ato da un effetto di vibrazione e sulla sua azione interferiscono vari fattori, oltre i già detti,


quale la frequenza dei voli, la conseguente abitudine della popolazione, l'agire su luoghi aperti o chiusi, etc. Nei luoghi chiusi gli effetti del bang sono, evidentemente, avvertibili con maggiore intensità, in quanto l'onda d'urto si ripercuote più a lungo, fa vibrare le strutture e tremare i vetri. In una inchiesta condotta nel r96r / 62 nella città di St. Louis dall'aviazione militare sono state analizzate le reazioni prodotte sulla popolazione da 40 passaggi di bombardieri B 58 a velocità supersonica effettuati nel giro di 4 mesi su una traiettoria stabilita sopra la città, distinguendole in cinque categorie: interferenza, disturbo, sobbalzo, protesta, reclamo. Sul migliaio circa di abitanti interrogati, quasi tutti affermavano che vi era stata interferenza, pur lamentandosene solo una piccola parte. Il 93 % sentiva, ad esempio, tremare i muri, ma ciò era considerato un disturbo solo per il 38%. Il 74:fo sobbalzava, ma di ciò si lamentava solo il 31 ~,{,. Il 42~{, affermava di essere stato svegliato di notte; il 22°~ giudicava il fatto intollerabile. Solo pochi si dicevano disturbati nella conversazione o mentre guardavano la televisione. E' difficile trarre conclusioni definitive o anche solo parzialmente valide in questa come in altre inchieste, tenuto conto anche del diverso stress emozionale con cui si può reagire ad un esperimento preordinato o a un bang improvviso, nonchè della grande differenza di suscettibilità e di adattabilità che hanno soggetti anche del tutto normali o ritenuti tali. Può essere, al riguardo, interessante notare che il comportamento della popolazione dipende in gran parte dalla disposizione benevola o meno verso l'aviazione e gli scopi ad essa relativi, nonchè dal grado di istruzione e dalla comprensione verso la natura e l'utilità dei voli supersonici. D'altra parte, è da ricordare che gran parte dell'energia del bang è localizzata nelle frequenze non percettibili e che all'esterno e lungo l'asse di volo il bang disturba meno del rumore di un aereo infrasonico a 500 metri circa dal punto di decollo. Nelle abitazioni, ovviamente, il bang risulta più rumoroso; sembra, però, che in una zona di 25 chilometri di larghezza l'impressione sgradevole non sia maggiore che sotto la traiettoria di un normale aereo a due chilometri dal decollo (Broadbent e Robinson, Pearson e Kryter). Allo stato attuale non sembra perciò ancora possibile valutare a pieno gli effetti degli aerei supersonici, dal punto di vista biologico e sociale. Il Direttore Generale dell'Istituto di Ricerche Aeronautiche svedesi Lundberg ha affermato decisamente che l'aviazione non ha il diritto di disturbare in tal modo il sonno della popolazione e che, se si vuole veramente introdurre un coefficiente di sicurezza ampio per escludere qualsiasi effetto negativo, l'impresa cesserebbe di essere redditizia.


In contrasto con il Lundberg, Lavernhe e Lafontaine del servizio medico dell' Air France affermano che « il bang sonico non deve rappresentare un ostacolo grave all'entrata in servizio di aerei commerciali supersonici ». Per quanto attiene alla protezione dal rumore degli aerei dei soggetti che abitano negli aeroporti o nelle sue vicin;;inze, Grangpierre, Grognot, e Chomè ritengono opportuna una netta distinzione tra i campi nuovi d'aviazione e quelli vecchi che devono essere adattati alle esigenze degli aerei moderni, pur rimanendo fondamentalmente inalterata la struttura già preesistente. In tale secondo caso è solo possibile ottenere una certa insonorizzazione delle abitazioni mediante l'impiego di appropriati materiali assorbenti, oppure creando in esse delle camere di riparo ad insonorizzazione quanto più possibile completa. E' anche consigliabile costruire attorno a dette case dei muri in terra o in mattoni, destinati a riverberare il rumore in direzione opposta a guelJa delle abitazioni da proteggere. Anche fi lari di alberi dal fogliame sempre verde, piantati in prossimità delle case, avrebbero l'effetto di ridurre notevolmente il rumore. Diversi e più interessanti sono i problemi che concernono la costruzione d'un nuovo aereoporto. Nel progetto e nella costruzione di esso occorre anzitutto tracciare il (( profilo sonoro » del terreno, stabilire cioè la zona nella quale l'intensità sonora globale raggiunge o supera un valore - limite entro il quale non è consigliabile costruire un'abitazione. Per tracciare detto profilo sonoro è necessaria la conoscenza delle condizioni locali ( direzione dei venti dominanti che favoriscono la propagazione dei rumori a distanza; rilievo del terreno, natura del terreno, essendo ben noto che un terreno duro riverbera il suono in misura maggiore di un terreno molle) e dei fattori legati all'utilizzazione del terreno medesimo (natura degli aerei, loro numero, importanza del traffico). E' chiaro che ognuno di detti elementi influisce sull'intensità sonora media. Va, però, tenuto conto che il profilo sonoro può subire numerose variazioni per evenienze particolari, quali, ad esempio, le condizioni meteorologiche. Qualsiasi precipitazione, ad esempio, determina una notevole riduzione della propagazione sonora; la presenza di strati di nuvole riverbera sul terreno il rumore degli aerei in volo al di sotto dì tali strati. D'altra parte, la disposizione delle piste e dei sorvoli può apportare variazioni importanti nell'intensità sonora registrata in un determinato luogo. Per tale motivo ha notevole importanza la direzione di volo e di atterraggio. Compito del medico nel campo della protezione collettiva è guello di stabilire, usufruendo di tutti i dati tecnici a disposizione, dell'intensità sonora tollerabile in un dato tempo e luogo. In tal modo è possibile stabilire delle zone che rappresentano il <( profilo sonoro » del campo d'aviazione preso lil esame.


506 Tali zone possono essere così suddivise: a) una zona in cui l'intensità sonora è tale da imporre il divieto totale di costruzione. Tale zona in cui l'intensità limite più bassa dovrebbe aggirarsi sugli 88 db circa, può essere sistemata a giardino, o meglio a parco piantato ad alberi; b) una seconda zona, in cui l'intensità sonora globale all'aria aperta potrebbe aggirarsi tra gli 80 e gli 88 db. Essa potrebbe essere utilizzata esclusivamente per abitazioni individuali destinate ad alloggiare il personale di servizio dell'aeroporto. In esse dovrebbero però venire sistemate delle camere di riposo le cui finestre siano orientate in direzione opposta a quella delle piste di volo; e) in una terza zona, la cui intensità globale va cornpresa tra i 70 e gli 80 db, il divieto di costruzione si limiterebbe alle scie zone residenziali, agli ospedali, agli asili e alle scuole; d) in un'ultima zona, infine, nella quale l'intensità sonora all'aria aperta risulta inferiore a1 70 db, vi sarebbe piena libertà di costruire abitazioni civili. Qualsiasi classifica o distinzione setto il profilo acustico deve, ovviamente, tenere conto delle leggi che regolano la propagazione delle vibrazioni . E ' noto, così, che l'affievolimento di un rumore in relazione alla distanza è tanto minore quanto più basse sono le frequenze dominanti: gli infrasuoni, ad esempio, si propagano molto più facilmente degli ultrasuoni che si affievoliscono rapidamente. [n particolare, lo spettro e l'intensità sonora globale variano secondo il tipo di aereo, il numero di apparecchi in volo, il regime <lei motore, ecc. Influiscono, altresì, come già detto, le condizioni meteorologiche (forza di direzione dei venti, precipitazioni, nubi, gelo, ecc.), la vegetazione e la natura del terreno che possono assorbire o riverberare i rumori. La lotta contro il rumore sta imponendosi sempre più seriamente all'attenzione degli studiosi e delle autorità di ogni Paese civile. ella Repubblica Federale Tedesca, ad esempio, la lotta contro il rumore eccessivo viene condotta, prevalentemente, sulla base della scala di Lehmann, su quella delle direttive mediche del dott. Von Hai le - Tischendorf, nonché sulle norme VDI 2050 relative alla valutazione degli ingegneri tedeschi di Dusseldorf. Non sembra inutile riassumere dette direttive e norme. 1"

direttiva.

La medicina preventiva intende con il termine di salute lo stato di benessere psichico, fisico e sociale (well - being) e non l'assenza di malattie (definizione dell'OMS). La presenza di lesioni organiche o di una malattia clinicamente accertabile non è indispensabile.


2"

direttiva.

Per poter svolgere una lotta efficace è bene distinguere con gradi i possibili danni del rumore: grado 1" : rumore fastidioso; grado 2" : rumore capace di compromettere la salute; grado 3" : rumore dannoso alla salute.

seguenti

3" direttiva. Assicurare il sonno tranq ui Ilo e sufficientemente lungo (soprattutto notturno) è uno dei principali scopi della lotta contro il rumore. L'adulto normale necessita in media di otto - nove ore di sonno, mentre il bisogno di riposo del bambino e del malato è maggiore.

4" direttiva. La sensibilità al rumore varia da un individuo all'altro; tuttavia l'esperienza dimostra, dal punto di vista medico, che è bene osservare i seguenti limiti di intensità in determinate condizioni di vita e di lavoro :

a) nelle camere da letto con finestre aperte .

25- 30 fons

b) nelle camere di malati, camere di albergo e di case di riposo con finestre aperte, almeno tra mezzogiorno e l'una e alla sera e) negli ambulatori medici cl) per i lavoratori che esigono un'elevata e prolungata concentrazione intellettuale . e) per i lavori che richiedono una concentrazione media f) per gli altri lavori g) nelle fabbriche rumorose, possibilmente non più di. h) nelle stanze di abitazioni, di giorno . i) nei luoghi di r icreazione, parchi e giardini

30 - 40 fons 20 - 25 fo ns 25 - 30 fons 50- 60 fons 50 - 70 fons

90 fons 45 fons 30-40 fons

5" direttiva. Per valutare l'azione del rumore su un individuo da un punto di vista medico, bisogna tenere presente, sotto tutti gli aspetti, le sue condizioni di vita e di ambiente passate e presenti.

6° direttiva. I consigli e le cure mediche debbono tendere a migliorare, attraverso la psicoterapia, la disposizione interiore del paziente nei confronti della fonte


508 del rumore e di chi lo provoca ed a spiegare, m caso di necessità, il carattere inevitabile di certi tipi di rumore. Se non è possibile un cambiamento di ambiente, il medico dovrà proporre misure generali che implichino un cambiamento del tenore di vita, oppure una terapia transitoria che calmi il soggetto e ne favorisca il sonno. Nel caso in cui un individuo sia costretto a rimanere a lungo in un luogo rumoroso è bene consigliargli l' uso di apparecchi protettivi contro il rumore. Fra le norme consigliate dall'Associazione degli ingegneri tedeschi (VDI) di Dusseldorf sono le seguenti: « Tutti i cantieri ed aziende dovrebbero, per principio, disturbare il meno possibile i vicini con il rumore. L'intensità dei suoni prodotti non deve in genere superare i seguenti valori nei confronti dell'abitazione più vicina :

1) nei quartieri industriali .

di giorno fon - din 65 di notte fon - din 50

2) nei quartieri essenzialmente residenziali

di giorno fon - din 60 di notte fon - din 45

3) nei quartieri esclusivamente residenziali

di giorno fon - din 50 di notte fon - din 35

« Non occorre prendere in considerazione rumori più intensi, ma di bassa durata ed intervallati. Bisogna tenere conto della frequenza e sforzarsi di abbassare le soglie di intensità succitate. « La suddivisione dei quartieri nelle diverse categorie deve essere fatta tenendo presente la realtà effettiva e non solo le zone delimitate dalle autorità. << Le ore notturne debbono essere fissate a seconda delle disposizioni delle singole autorità locali >>. el campo della patologia da rumori industriali, la prevenzione pratica sul piano tecnico si deve svolgere, per il Maugeri, secondo quattro principali direttive : controllo del rumore all'origine; protezione contro il diffondersi del rumore dalla fonte; protezione contro il rumore all'orecchio; riduzione del tempo di esposizione al rischio. Inoltre la prevenzione medica viene attuata attraverso il controllo audiometrico, la visita di assunzione e le successive di selezione. Un'indagine semplice seppur grossolana per definire un rumore nocivo è quella, ad esso conseguente, della difficoltà di parlare in mezzo al run1.ore. Il riferimento tecnico di questa indicazione è il livello d'interferenza sulla parola (speech interference leve!) che può essere misurato esprimendo in db la pressione sonora di un rumore che ha effetto mascherante nelle ottave 600 - 1200, 1200 - 2400, 2400 - 4800 (C.P. Odescalchi).


Altra indicazione utile può essere il sintomo di ronzii associati a temporanea perdita di aliquote della capacità uditiva alla fine della giornata lavorativa. Per i rumori a larga banda spettrale è stato proposto nel 1957 dall 'Amer. Acad. Ophtalmology and Otolaringology che il livello al di sopra del quale vanno adottate misure di prevenzione è quello di 85 db S.P.L. in una o in entrambe le ottave cli 300 - 600 e di 600 - 1200 c/ s, sempreché l'energia sonora sia più o meno distribuita sulle ottave tra 37,5 c/s e 9600 c /s. Odescalchi propose nel 1958 quale limite di pericolosità quello di 95 - 97 db (livello sonoro globale), indicando l'opportunità di accertamenti con analisi delle frequenze quando il rumore sia al di sopra di tali limi.ti. Burns W. e Littlcr T. S. nel 1960 hanno raccomandato l'uso di S.P.L. in bande cli frequenza specificata. I minimi valori di S.P.L. alle specificate bande di frequenza ai quali dovrebbero essere messe in atto le misure preventive per la conservazione dell'udito sarebbero : Banda di frequenza

c/s

Valore di S.P.L. db

37,5 - 1 5° 150 - 300 300 - 600

100

600 1200 2400

85

-1 200 -2400 -4800

90 85 80 80

La sordità e l'ipoacusia che porta alla sordità, provocate dal rumore, sono considerate come malattie professionali che vanno denunciate ed indennizzate. Il cambiamento cli lavoro per coloro che non sopportano il rumore o, comunque non presentano un'idoneità specifica dell'udito, può prevenire molte malattie. Tra le malattie professionali che danno diritto in Italia ad indennizzo figurano nella legge n. 1967 del 15 novembre 1952, le otopatie da rumore. Fra queste sono incluse le seguenti lavorazioni : 1) lavoro dei calderai ; 2) r ibaditura dei bulloni; 3) battitura e foratura delle lamiere con punzom; 4) prova dei motori a scoppio; 5) produzione di polveri metalliche con macchine a pestelli; 6) condotta di aeromobili; 7) fabbricazione dei chiodi ; 8) lavoro ai telai.


510

Tale legge non copre però tutte le lavorazioni che si svolgono in ambienti nei quali la rumorosità supera il livello di 90 db. In particolare, per gli addetti ai martelli pneumatici, la detta legge, alla voce 36, assicura solo le malattie osteoarticolari ed angioneurotiche, ma non la sordità causata dal] ' uso di tali attrezzi. In tale ultimo caso, l'unica forma per coprire il r ischio lavorativo potrebbe essere, per il Ghirlanda, una diagnosi di « artrosi delle ossicine dell'udito >>. E' evidente che nel campo della prevenzione dei danni da rumori, rientrano particolarmente i compiti della tecnica. E' alt.resi ovvio che provvidenze giuridiche sia specifiche sia inerenti ai principi generali del diritto debbano essere messe in atto a tutela della salute individuale e collettiva minacciata dall a crescente orgia del rumore. Necessita, tuttavia, tenere presente che la grande diversità ed estensione del le fonti di rumore nei diversi settori dell'attività e dell'esistenza umana, rende difficile l'attuazione dei provvedimenti legislativi già esistenti e forse renderà impossibile ed utopistica la realizzazione di un'unica legge anti - rumore che condensi tutte le leggi speciali. Ne consegue che, pur essendo necessario stimolare le risorse della tecnica nella difficile soluzione del problema, la migliore profilassi contro i danni da rumori, senza della quale gli stessi provvedimenti legislativi resterebbero lettera morta, rimane l'educazione civica della popolazione. Soprattutto per quanto concerne la numerosa gamma dei rumori superflui , a contenuto totalmente o preminentemente edonistico e comunque d'interesse individuale o di r istretti gruppi sociali, dovrebbe essere valido, quale profilassi sociale, il concetto che la libertà del singolo trova, in una collettività che vuole definirsi civile, il proprio naturale limite nel diritto inviolabi le ed inalienabile degli altri alla libertà. RIASSUNTO. - L'Au tore, dopo aver messo in evidenza le caratteristiche delle molteplici sorgenti di rnmore nella civiltà odierna, esamina gl i effetti biologici, psicolog ici e sociali delle abnormi stimolaz ioni aud itive, prospettando sulla base della letteratura più recente, i mezzi e i metodi idonei a ridurne l'entità e il danno. RÉsuMÉ. - L'Auteur, après avoir relevé !es ca1ractéristiques des nombreuses sources de bruit dans la civi lisation d'aujourd'hu i, prend en examen les effects biologiques, psychologiques et sociaux dcs stimolations auditives anormalcs, en présentant, sur la base de la litérature la plus récente, lcs moyens et !es méthodes aptes à réduirc lcur entité et leur dommagc. SuMMARY. - The A. after having discussed the particular characteristics of the severa! sources of noise in the modem civilisation, stud ies the biologica! effects, socia! and psicolog ica!, of t he abnormal auditive stimuli and, on the basis of thc most rccent studics, prospects the ways and methods for reducing the damages.


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JSTITCTO D'IGIENE " G. SANARELL! » DELL'UNIVERSITÀ DI ROMA Di r~ttore : ProL S.U. D 'ARCA CENTRO STUDI E RlCERCHE D ELLA SAN IT ,\ MILITARE Direnore: T cn. Gen. Med. dr. C. ML·s1LL1

IL PROBLEMA DELLO SMALTIMENTO DEI RIFIUTI SOLIDI IN UN CENTRO TERMALE CON PARTICOLARE RIGUARDO PER LA CITTÀ DI FIUGGI NOTA I

M. Di Martino

A. Zaio

A. Di Addario

La rottura dell'equilibrio tra uomo ed ambiente rappresenta oggi, per la sua gravità, uno tra i più importanti e vitali problemi che la società moderna deve affrontare e risolvere con urgenza, per cui non desta meraviglia che esso polarizzi l'attenzione di quelle organizzazioni scientilì.che e di quei poteri pubblici ai quali spetta il compito istituzionale di garantire ed assicurare una soddisfacente situazione ecologica. Testimonianze di questo avvertito e diffuso senso di preoccupazione se ne trovano ovunque e, sia pure in varia misura, il timore di un futuro peggiore spiega come insigni cultori d'igiene abbiano sentito il bisogno di trattare l'argomento in termini quanto mai espliciti. Così. il Mazzetti, in una sua recente conferenza, ha ribadito la necessità che l'ecologia venga utilizzata come « scienza della sopravvivenza » ed il Giovanardi ha dichiarato « che il dissesto della natura è dappertutto o pressoché dappertutto in continuo, rapido aumento e lo squilibrio ecologico di certi ambienti è così avanzato che l'arresto o il recupero saranno notevolmente difficili o addirittura impossibili» . Certo è che la trasformazione progressi va delle condizioni di vita dell' uomo pone problemi che se per un verso interessano molto profondamente le strutture urbanistiche, non risparmiano, d'altro lato, aree più vaste. Un urbanista (Zecchiroli) ha affermato che « se è vero che la città rappresenta la migliore delle opere dell'uomo, la più completa, quella che più di ogni altra ne definisce la storia, è altrettanto vero che l'uomo non ha ancora saputo creare la città moderna, la città cioè che rispecchi la sua nuova


5 15 progredita condizione. Il progresso non ha dato a tutt'oggi all'uomo lo spazio vitale adeguato l>. I processi migratori e l'incremento demografico con la conseguente massiva, caotica congestione dei centri urbani, esasperano la situazione delle nostre città che si dimostrano via via sempre più ingovernabili nel senso generale della parola e inadeguate a fornire un ambiente idoneo per vivere « bene " a tutti i livelli. Prospettive non rosee attendono, sotto questo profilo, le generazioni future, soprattutto se si deve dar credito alla previsione di un sempre maggiore concentramento di abitanti nelle aree metropolitane. Secondo quan to· scrive Rino Petralia « l'incidenza percentuale della popolazione delle zone urbane è aumentata notevolmente, passando per quanto riguarda il totale nazionale dal 56,8°/,, nel 1951 al 65,2% nel 1966 (62,9% nel 1961) "· Secondo alcuni urbanisti, nel 1980 il 37° ~ della popolazione italiana sarà concentrato in otto aree metropolitane e tale percentuale salirà nel 2000 al 45% ; a tal proposito si sostiene che Milano, ivi compresa la sua periferia, avrà nel 2000 dieci milioni di abitanti. Le problematiche legate a gueste previsioni sono meglio comprese alla luce di quanto giustamente osserva ancora Petralia, secondo il quale « il settore delle costruzioni è stato caratterizzato da uno squilibrio strutturale fra investimenti in abitazioni da un lato ed investimenti in opere pubbliche ed attrezzature collettive dal! 'altro; in particolare la produzione di abitazioni è in genere aumentata, in questi ultimi anni, a ritmi più sostenuti rispetto agli altri settori considerati, cumulando un deficit sul piano dei servizi civili ed accrescendo il grado di congestione dei servizi già esistenti. Ciò è tanto più grave se si riflette che tale squilibrio si innesta su di una situazione di generale carenza esasperandone ulteriormente le caratteristiche negative >>. Tra le tante problematiche che le megalopoli prospettano u na tra le più gravi e ancora oggi in gran parte insoluta è rappresentata dall'eliminazione dei rifiuti solidi. Attualmente in Italia la produzione media individuale giornaliera di rifiuti solidi urbani, quelli cioè, per intendersi, che vengono prodotti nelle case e per i quali il Comune, attraverso i suoi servizi, provvede al ritiro, si aggira intorno ai 600 - 700 grammi, equivalenti ad un volume di 3 - 3 ,5 litri ed è calcolabile in una quantità giornaliera di 35.000 tonnellate. Nella città di Roma, per una popolazione relativa a 2 milioni e mezzo di abitanti, la quantità dei rifiuti solidi si aggira intorno a 1.400 tonnellate. Le variazioni giornaliere oscillano tra 1050 e 1540 tonnellate con valori minimi rilevabili nei giorni domenicali e valori massimi nei giorni non festivi. La situazione di altri Paesi non è meno drammatica. Viene riferito che ogni cittadino americano produce circa 2,5 chilogrammi di rifiuti, per un


totale annuo, riferito all'intera popolazione, di quasi 190 milioni di tonnellate. Questa cifra, secondo alcuni esperti, è destinata a salire a 225 milioni di tonnellate nel r975 ed a 340 milioni di tonnellate nel 1980. In ogni caso però il quantitativo di rifiuti, accertato negli anni precedenti, non può essere preso come punto di riferimento per sicure previsioni future in quanto si è visto che alcuni aspetti di questo problema subiscono nel tempo rapide e profonde modifiche; proprio nell'ultimo ventennio si è verificato un aumento almeno di tre volte dei rifiuti cartacei e degli imballaggi di p lastica, mentre viceversa sono notevolmente diminuiti i residui di cucina. Quest'ultimo fenomeno è spiegato dall'attuale maggiore consumo, rispetto al passato, di cibi conservati in scatola, nonché di alimenti surgelati che vengono in genere forniti mondati delle parti non edibili. L'aumento in senso assoluto dei materiali di rifiuto e il radicale modificarsi della loro composizione è rapportabile ad una serie di cause che affondano le loro radici, per un verso nell'accresciuta densità della popolazione e nell'aumentato incremento dei consumi , e per altro verso nella più vasta diffusione dei sistemi di imballaggio e nell'ormai universale tendenza a respingere l'usato. Le previsioni future, che non oltrepassano comunque i prossimi dieci anni, lasciano presumere che la quantità individuale di rifiuti supererà i I chilogrammo giornaliero e gli otto litri di volume. Naturalmente le cifre indicate per gli agglomerati urbani non sono valide per gli insediamenti agricoli, ove la quantità dei rifiuti sale a rooo - 1200 grammi pro capite. Ciò avviene sia perché dalle zone agricole si provvede da un lato ad inviare nelle città frutta e verdura in gran parte prive delle parti non edibili, sia perché in tali centri vi è un maggior consumo di vegetali freschi. In una visione più generale del problema occorre considerare che nei ce ntri urbani ai rifiuti solidi di derivazione domestica si aggiungono quelli, anch'essi in aumento, provenienti dagli ospedali e dalle case di cura, dalle lavorazioni industriali, dai macelli in genere, nonché da tutti i punti di vendita, in particolare i mercati rionali e i negozi di prodotti orto - frutticoli . La questione si acuisce ancora di più se si considerano altri particolari aspetti che rendono più difficile la ricerca di concrete soluzioni. Infatti si deve osservare che le caratteristiche qualitative dei rifiuti stanno notevolmente mutando : ciò condiziona e rende più complesse le modalità di smaltimento. Così il letame era fino a non molto tempo fa considerato come l'elemento base della concimazione agricola, per ctù esso non necessitava di smaltimento. Oggi, però, che la concimazione chimica ha soppiantato le metodiche tradizionali, anche il letame si aggiunge al materiale da dover elimmare.


A questo proposito occorre ricordare che lo smaltimenlo dei rilìuti provenienti dal bestiame assume un aspetto del tutto peculiare relativamente ad alcuni specilìci settori dei servizi pubblici. Jn particolare Melino e Mori hanno richiamato l'attenzione sulle numerose difficoltà legate allo smaltimento del materiale di risulta dai veicoli ferroviari adibiti al trasporto di bestiame atteso che oggi si fa ricorso più frequentemente che in passato a tal genere di trasporto. 1 predetti AA. ricordano che il quantitativo annuo relativo a 125.000 carri è pari ad un totale di 375.000 mc di rifiuto. Le considerazioni relative alla mutata composizione dei rifiuti riguardano anche i materiali domestici i quali non presentano più caratteristiche di facile putrescibilità, in quanto oggi risultano costituiti in prevalenza di materiale metallico, vetroso, di plastica o plastificato e di cellulosa. Ricerche in proposito non mancano. Figura, in uno studio relativo alla composizione dei rifiuti nella città di Bologna, espone i seguenti risultati: Ottobre 1952

Ossa . Carta e stracci . Vetro Materiale metallico .

Orwbrc 1956

100

100

JOO 100

Per le implicazioni che ne derivane in rapporto alle esigenze di raccolta, recapito e smaltimento, i rifiuti vengono variamente classificati. In relazione alla provenienza vengono distinti in: a) rifiuti solidi urbani. Derivano dalle abitazioni dcmestiche e sono costituiti per il 30~o da carte, cartoni, stracci, materiali di plastica e scarti alimentari; per il 30°o da materiale metallico, vetroso e stoviglie e per il rimanente 40° o da acqua; b) rifiuti di ospedali e case di cura. Prevalgono gli scarti di cucina e di medicazioni e la loro quantità giornaliera si aggira intorno a 1,2 - 2 kg per posto letto; e) rifiuti di macellazione. Sono costituiti da sostanze organiche proveruenti dalla macellazione delle carni, dalla loro lavorazione industriale e dagli allevamenti di bestiame. Il loro contenuto in umidità è in genere assai elevato essendo compreso mediamente tra il 60 e 1'80° ~; ti) ri_fiuti industriali. Provengono dagli scarti delle lavorazioni industriali ed hanno composizione e tenore di umidità molto variabile, in stretta dipendenza con l'attività svolta ed il materiale trattato;


e) rifiuti cellulosici. Sono rappresentati da carta, cartoni, stracci, imballaggi ed hanno, come è intuitivo, la provenienza più varia (officine, uffici, punti di vendita, ecc.). In relazione al loro tenore di umidità i rifiuti possono essere invece così suddivisi: a) rifiuti secchi combustibili in genere con un bassissimo contenuto di umidità (carta, plastica, stracci, ecc.); b) rifiuti aventi un tenore di umidità non superiore al 50°~ (rifiuti industriali, rifiuti solidi urbani, ecc.); e) rifiuti con un contenuto di W11idità fino all'8o~6 (rifiuti organici, scarti di macellazione, rifiuti di cucina e di vitto, ecc.). Infine, considerando il potere calorico medio dei rifiuti, i più importanti di essi possono essere così distinti: Scarti di gomma Grassi ed olii PVC Legno secco Carta straccia e da imballo Cellophan e simili Stracci, cotone . Rifiuti solidi urbani Scarti ortofrutticoli

9500 Kcal/ kg )) 9000 )) 8000 4400 )) 4000 )) 3700 )) 3600 )) 1200 200 -600 ))

))

I sistemi di smaltimento dei rifiuti vengono classificati - secondo icoli - in sistemi aventi come obiettivo principale semplicemente quello di rendere innocui i rilì uti, sistemi che si ripropongono la utilizzazione dei rifiuti come concimanti, sistemi che si ripromettono esclusivamente la riduzione del loro volume. Sul problema della scelta del metodo, allo stato attuale, sussiste qualche divergenza di vedute : gli igienisti più intransigenti sostengono la necessità di distruggere nel più breve tempo i rifiuti anche a costo di una spesa elevata, altri ritengono, invece, che questo materiale non debba essere distrutto, ma, previo opportuno trattamento, utilizzato in agricoltura per la parte fermentescibile e nell'industria per la parte costituita da residui vetrosi, ferrosi, ossa, stracci, carta, ecc. La tecnologia moderna tende a conciliare queste due tendenze perseguendo l'orientamento verso il corretto trattamento dei rifiuti con la possibilità della. ritrasforrnazione de1 prodotto finale. Esistono però delle condizioni per le guaii è più conveniente adottare il sistema della totale distruzione del materiale. Ciò si verifica, ad esempio, quando le analisi dei rifiuti dimostrano una difficile trasformazione in « com-


post » oppure quando la vendita di esso non è possibile o lo è a condizioni economiche sfavorevoli. E' noto che al problema dello smaltimento dei rifiuti non sono mancate e non mancano soluzioni ingegnose veramente rivoluzionarie. In Giappone si è ricorsi alla tecnica di comprimere i ri.fìuti fino ad un decimo del volume iniziale e modellarlo in blocchi che, avvolti in una fitta rete di acciaio, costituiscono un soddisfacente materiale da costruzione. A tal uopo i materiali vengono sottoposti a pressioni finali di circa 200 kg/ croq ed il liquame che ne deriva viene avviato ad appositi impianti di depurazione. Il procedimento termina con l'immersione del blocco in miscela bituminosa e successiyam.ente in-una vasca di acqua. I sostenitori di questa metodica affermano che il sistema ha sostanzialmente il pregio, da un lato, di prescindere completamente dal tipo dei rifiuti trattati e dall'altro, di non emanare fumi e gas nelJ'atmosfera per la mancata combustione. Ad essi si aggiungono i vantaggi rappresentati dalla possibi.lità di un piazzamento industriale del prodotto finito e dal fatto che il blocco finale non è più sede di fenomeni aerobici e di decomposizione. Ma a prescindere da queste soluzioni di avanguardia, rimangono i sistemi tradizionali i quali, pur se non scevri da difetti ed inconvenienti, sono oggi largamente impiegati anche perché resi più idonei dalla tecnologia e dalle migliorate conoscenze igieniche. Ciò premesso si può sostanzialmente ritenere che i sistemi di smaltimento più largamente impiegati sono costituti dal metodo dello scarico controllato, dal metodo della trasformazione in compost, da.I sistema dell'incenerimento. Lo scarico controllato o, come anche si dice, la bonifica per colmata può essere attuata o con il metodo della trincea o con quello per zone. Il secondo sistema è realizzabile in quei luoghi ove per la presenza di depressioni del terreno si procede al semplice riempimento della depressione ed alla ricopertura con terra di riporto. Così operando si determinano processi di ossidazione completa del materiale organico ad opera di germi aerobi presenti sia nel materiale sia in esso pervenuti attraverso l'esterno. Il processo provoca uno sviluppo di calore che viene favorito da una idonea compressione di uno strato di terra non eccessivamente elevato e può essere seguito attraverso periodiche letture della temperatura interna del materiale di rifiuto che in genere oscilla tra i 45° e 71°C per i primi 2 - r4 giorni, con stabilizzazione intorno ai r5" dopo circa 15 settimane. La metodica presenta inconvenienti di un certo r.ilievo tra i quali, per citarne alcuni, ricorderemo lo sviluppo di ratti, mosche ed altri insetti, il pericolo di incendi, l'inquinamento di falde idriche, ecc.


520 Proprio al fine di evitare questi lati negativi, le autorità sanitarie di alcuni Paesi, come gli USA e la Gran Bretagna, hanno emanato in materia precise e severe regolamentazioni. E' stato stabil ito, ad esempio, che i rifiuti devono essere sovrapposti in strati aventi uno spessore non superiore a metri 1,50 - 2 e che lo strato successivo può essere deposto solo quando il precedente ha raggiunto una temperatura pari a quella del suolo. Ed ancora che gli strati dei rifiuti devono essere livellati e presentare una certa compattezza e che lo strato di terra o di sabbia che li ricopre deve avere uno spessore tra i 10 ed i 30 cm . Nonostante la economicità, l'efficienza e la relativa semplicità del metodo, la bonifica per colmata prospetta tutta,·ia il grande problema, oggi più che mai sentito, della reperibilità di aree sufficientemente estese in prossimità degli agglomerati urbani. Rimane, infine, come osserva Arcoli, il problema della utilizzazione finale di dette aree, la cui miglicre soluzione a parere <lei predetto autore sarebbe quella ad uso agricolo ed a parco con esclusione di finalità edificatorie. La trasformazione, mediante l'attività microbica, dei rifiuti in compost, cioè di un prodotto irreprensibile dal lato igienico e dotato di proprietà fertilizzanti, rappresenta un altro sistema di stabilizzazione. E ' noro che possono essere trattati semplicemente i materiali organici degradabili e che abbiano un rapporto ottimale carbonio/ azoto, tale cioè da fornire alla flora batterica una sufficiente quantità di azoto. Tale sistema viene attuato immettendo i rifiuti, privati delle parti più voluminose e non fermentescibili, in cilindri rotanti biostabilizzatori ove permangono per 36 40 ore, o nde permettere l'insufflazione di aria ai fini di una sufficiente aereobiosi e soddisfacente umidificazione. L'andamento della temperatura in una massa in fermentazione dà una buona idea dello sviluppo dei microrganismi e della intensità del processo di decomposizione. Il compostaggio è stato a ragione definito come un incenerimento biologico condotto alle temperatUie comprese tra 71,1° e 76,6°C. Recenti studi hanno ribadito che questa temperatura deve agire per un tempo sufficientemente lungo allo scopo di determinare la eliminazione più completa possibile di germi patogeni, semi di erbe, larve ed uova di mosche. E' necessario altresì che la vitalità dei germi aerobi nitrificanti sia garantita da u na sufficiente aereazione. Fo ndamentale importanza assume anche l'umidità della massa in quanto l'assorbimento dell'0 2 a parità di temperatura, varia in misura proporzionale all'umidità. In tal senso il gradiente ottimale si aggira intorno al 50 - 60°~.

Altra condizione essenziale per un buon compostaggio è la triturazione del materiale che accelera i procedimenti e, aumentando la superficie, facilita la moltiplicazione dei germi. In ogni caso, comunque, è opportuno


52r che il processo di triturazione non venga troppo spinto, onde mantenere le caratteristiche di porcsità alla massa la 9 uale, in caso contrario, non consentirebbe la circolazione dell'aria.. Questa metodica non è comungue scevra da inconvenienti. Intanto, per lluanto concerne l'aspetto economico in genere, lo scarto tra il ricavo della vendita ed il costo cli tutte le varie operazioni è in effetti molto ristretto. Questo mezzo concimante oggi, però, tende a rivalutarsi nonostante che negli ultimi tempi sia stata data una netta preferenza ai più economici e pratici concimi chimici. Si è infatti potuto constatare che la presenza dei materiali silicei nel compost concorre, tra l'altro, a mantenere nel terreno quel grado di porosità necessario per una più profonda circolazione di aria favorevole allo sviluppo della flora batterica e dei comuni processi enzimatici. In sostanza il miglioramento della struttura fisica del terreno, ottenuta con l'uso del compost, consentirebbe l'utilizzazione più completa dei fertilizzanti minerali complessi. A limitare questi vantaggi rimane però il fatto che il sistema del compostaggio non può prescindere dalla combustione della cosiddetta porzione sterile dei rifiuti - sovvalli e materiali metallici - anche perché in genere la combustione dei sovvalli consente un recupero di circa il 3 ° ~ delle ceneri utilizzabili come aggiunta al compost. 11 sistema della trasformazione dei rifiuti solidi in compost deve essere considerato come un sistema misto in quanto prevede una cernita e allontanamento del materiale cosiddetto sterile il quale in parte va d istrutto ed in parte, laddove il procedimento si renda economicamente conveniente, recuperato. Secondo Ragazzi, allorché i residui solidi presenti siano quantitativamente non superiori al 50°0 della porzione sterile può essere giustificato un impianto di compost che operi sul restante 50°~. Alla diffusione d i detto sistema si oppone la riduzione percentuale, constatata da gualche an no in quà, del prodotto trasformabi le a causa della presenza sempre più abbondante di sostanze plastiche, scatolame e residui di gomma nei rifiuti solidi . Anche la non facile reperibilità di entroterra agricoli prossimi agli stabilimenti di compostaggio, cond izione questa che riduce le spese di trasporto del prodotto ottenuto, concorre in molti casi a limitare l'uso di questa metodica. E ciò senza considerare che i ferti lizzanti chimici hanno invaso il mercato imponendosi per la loro praticità, per il loro relativo basso costo e per le loro caratteristiche specifiche d'impiego in armonia con il progresso tecnologico raggiunto nell'agricoltura. In conclusione si può ritenere che il compost a provernenza da rifiuti costituiti di materiali r icchi cli sostanze organiche è utilmente impiegabile come fertilizzante anche se una certa prevenzione dei coltivatori ne inficia la validità commerciale; viceversa la trasformazione in compost è economi-


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camente sconsigliabile e tecnicamente complessa per quei rifiuti che presentano una notevole abbondanza di sostanze non fermentabili né biotrasformabili. In queste condizioni l'incenerimento si presenta come la soluzione più idonea del problema costituendo una procedura preziosa per gli indubbi vantaggi igienici legati alla rapidità di azione ed alla completa distruzione di tutte le sostanze organiche nonché alla possibilità di sfruttare per un periodo più lungo il terreno disponibile per il collocamento dei rifìuti. Basti tener presente, tra l'altro, che esso comporta una diminuzione dell'85% in peso e del 90% in volume del prodotto di partenza. el processo di incenerimento l'elemento principale da dover tenere in considerazione è rappresentato dalla combustione, cioè dalla capacità del rifìuto di bruciare con l'ossigeno contenuto nell'aria. Si potranno avere così combustioni ad innesco nelle quali non è necessario l'apporto sussidiario di calorie (rifiuti cellulosici); combustioni equilibrate nelle quali le calorie sussidiarie sono richieste semplicemente per dare il via al1e combustioni : in taJ caso le calorie sviluppate dai rifiuti sono sufficienti all'evaporazione deJl'umidità in essi contenuta (rifiuto solido urbano); combustioni ritardate allorché le calorie sviluppate dal rifiuto non sono suffìcienti all'evaporazione dell'umidità contenuta nei rifiuti per cui è indispensabile un apporto sussidiario di calorie per un tempo variabile. Sotto un profilo più generale è ovvio che un impianto di incenerimento dovrà riproporsi l'intrappolamento dei fumi , odori e gas che si potrebbero sviluppare durante il processo contaminando l'aria atmosferica o quanto meno recando molestia agli abitanti dei dintorni ed al personale addetto all'opifìcio di incenerimento. Una difficoltà che si frappone alla diffusione di tali sistemi è però rappresentata dall'elevato costo degli impianti. I più importanti sistemi di combustione sono rappresentati, come è noto, dal modello a griglia, dai forni rotanti e dal modello a suola calda. Il modello a griglia consente l'incenerimento dei rifiuti secchi e di guelli con un con tenuto in umidità non superiore al 50 %; i forni rotanti, che si avvalgono in modo più spiccato del rimescolamento e del prosciugamento con aria calda, realizzano la combustione di rifiuti con un contenuto in umidità anche superiore al 50~~- Pertanto sia gli uni che gli altri sono adatti a bruciare i rifiuti ad innesco e a combustione ritardata. Viceversa il modello a suola calda, che consente di incenerire i rifiuti con un contenuto di umidità fino all'8o%, è indicato soprattutto per le combustioni ritardate. Il sistema di incenerimento rappresenta indubbiamente il sistema ideale per lo smaltimento dei rifìuti solidi ma si deve rinoscere che esso comporta necessariamente un elevato costo degli impianti ed una notevole spesa di


gestione difficilmente ammortizzabile con la vendita e lo sfruttamento del1'energia sviIuppata. Se le diffìcoltà connesse allo smaltimento dei rifiuti solidi rappresentano un problema difficile a risolversi per le grandi città, ben più complesso esso si dimostra per quei centri a popolazione fluttuante, in particolare quelli che vedono, in determinati periodi dell'anno, accrescere la loro popolazione stanziale in misura veramente notevole. Alcune località marine, sede di intensa attività tunsttca, costituiscono - come ricorda Ponzoni - esempi sufficientemente emblematici: Cesenatico passa, durante l'estate, da 18.000 a I05.ooo abitanti, Bellaria da 1 r.ooo a 65.000, Rimini da 120.000 a oltre 300.000. Questo fenomeno si verifica altresì per le località sedi di complessi termali le quali, soprattutto in estate, ospitano un numero di curandi che supera di gran lunga la popolazione residente. Fenomeno, questo, che anziché rimanere stazionario tende a potenziarsi in virtù di un termalismo di massa garantito dalle previdenze mutualistiche e da esigenze turistiche sempre più in espansione. In questa situazione anche la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti solidi diventa un problema irto di difficoltà non solo per l'aumentato quantitativo di essi ma anche per le variazioni qualitative con una netta prevalenza dei rifiuti di albergo caratterizzati da facile putrescibilità. In tali condizioni gli impianti destinati allo smaltimento devono possedere requisiti di elasticità e di gestione del tutto particolari, onde provvedere ai bisogni modesti nei periodi di cosiddetta bassa stagione e far fronte in modo ottimale alle aumentate esigenze dei periodi di maggior afflusso. In ogni caso, poi, raccolta, trasporto e smaltimento dei rifiuti devono potersi sempre svolgere senza turbare non solo la serenità della vita termale ma anche le caratteristiche paesaggistiche. Per questi motivi si è ritenuto di apportare un utile contributo alla soluzione del problema, illustrando uno studio relativo allo smaltimento dei rifiuti solidi nel Comune di Fiuggi e ciò nella considerazione che questa città, per la sua modesta estensione, per la sua ubicazione geografica e per il notevole interesse anche in campo turistico, può - a ragione - ritenersi rappresentativa di moltissimi centri termali abbondantemente presenti in Italia.


SC UO LA DI SAN IT A lv!ILITA RE Corn;incl an te : Magg . G en . Med. M.O. a l V. :Vt. Pro f. E . R1.c 1,;, ,-o

AGOSTINO BERTANI MEDICO, PATRIOTA, SOLDATO Col. f. t.SG Gualtiero Alberghini, Comandante del Reparto Corsi della Scuola di Sanità Militare di Firenze

Milano, ove Agostino Bertani vide la luce il JlJ ottobre 18T2, viveva m una atmosfera di tenace operosità ed acceso patriottismo. Egli trascorse i primi anni della sua vita nel periodo entusiasmante in cui le popolazioni ital iche, dopo secoli di dominazione straniera, avevano progredito in modo sì rapido sul piano morale e su quello materiale da avvertire impellente il desiderio di sbarazzarsi dello straniero, oppressore del Lombardo - Veneto e tutore sgradito del resto d'Italia. Non è il caso, in questa sede, di descrivere i nobilissimi tentativi insurrezionali dell'inizio del secolo scorso, ai quali presero parte le migliori energie del Piemonte, della Lombardia e di Napoli. E' tuttavia da porre in rilievo come tali avvenimenti, destinati a fornire la tempera alle armi che dovevano essere usate successivamente in campo aperto, abbiano costituito - in uno con gli insegnamenti della madre, eletta figura di cospiratrice - l'ambiente più appropriato per la formazione spirituale e lo sviluppo delle doti che Agostino Bertani aveva nel sangue. Laureatosi in medicina e chirurgia presso l'Università di Pavia nel 1835, Agostino Bertani ritenne opportuno approfondire la propria preparazione professionale mediante lo studio di opere straniere e attraverso una lunga peregrinazicne nei Paesi europei, intesa ad acquisire dati concreti sugli aspetti sociali connessi con la medicina. Rientrato nella sua Milano, nel 1839, strinse rapporti di amicizia con Carlo Cattaneo, il futuro Presidente del Consiglio di Guerra ed animatore delle « Cinque Giornate », già affermatosi come insegnante, scrittore e studioso di problemi di interesse scientifico e sociale. Sull'esempio dell'amico fondatore della rivista « li Politecnico », diede vita al noto periodico << La Gazzetta Medica )>, vera e propria palestra di idee in campo sociale e scientifico, della quale fu redattore fino al 1848, assolvendo, nel contempo, la carica di 1, Chirurgo Aiutante » presso l'Ospedale Maggiore della città.


Fu in questo pcriodc che la figura di medico, di patriota, di soldato della libertà cominciò a delinearsi in tutta la sua vivida luce. L'insurrezione milanese, definita dagli attoniti spettatori stranieri (( rinnovellata lotta tra Davide e Golia », vide l'opera sagace ed indefessa di Agostino Bertani nella cura dei feriti presso l'Ospedale di Sant'Ambrogio e presso la sua stessa abitazione privata trasformata, per l'occasione, in infermeria. Al ritorno degli Austriaci, c he doveva frustrare tante speranze nate nel cuore dei patrioti, Egli lasciò la città natale per peregrinare esule in Piemonte, Liguria ed in T oscana. Nel 1849, un uomo della sua taglia non poteva mancare all'appello lanciato dalla Repubblica Romana la cui difesa giunse ad assurgere, come disse il Carducci, all'altezza di « un grande episodio dei poemi di Virgilio e <lei Tasso» . Infaticabile, in quei giorni fatidici fu sempre là ove la sua presenza era necessaria, sia presso Garibaldi e Mazzini, in veste di acuto e prezioso consigliere, sia presso l'Ospedale di San Pietro in Montorio e quello dei Pellegrini, tutto dedito alla sua opera di pietà e di solidarietà umana. Cessate le ostilità con la caduta della Repubblica, Agostino Bertani rimase in Roma, a suo rischio e pericolo, allo scopo di raccogliere le memorie di tanti atti di generoso sacrificio e di stoici patimenti ai quali, del resto, aveva più volte personalmente assisùto sotto il grandinare del fuoco nemico. A lui, fra 1'altro, si devono gli ultimi riccrcli del soldato poeta Goffredo Mameli che Egli con la sua perizia di medico tentò invano di strappare alla morte. Con un coraggio non comune, in un ambiente divenuto ormai infido cd avverso per la presenza militare fran:ese, Agosùno Bertani recuperò le salme del Manara, del Dandolo, del Morosini - gloriosa triade - provvide a farle imbalsamare ed a farle recapitare, attraverso mille peripezie, alle famiglie dolenti. L'anno 1850, che trovava gl i italiani materialmcnle affranti per essere ricaduti in balla dello straniero, ma ormai moralmente affrancati dalla servitù, segnò il suo ingresso nella s0cietà genovese. Sicuro della ormai raggiunta unanimità da parte degli iLaliani sul concetto di nazione, mantenne i comatti in Patria ed all'estero con i più illustri patrioti dell'epoca e, ccnvinto che solo il Piemonte regio potesse rannodare attorno a sé tutte le forze per una impresa a livello nazionale, collaborò, lui repubblicano, con ino Bixio pure repubblicano alla redazione di un giornale, chiamato prima « Il San Giorgio i> e poi cc La Nazione ii . A questo foglio va ascritta una parte rilevante nella preparazione della opinione pubblica agli eventi del 1859.


« Il serv1z10 medico non è mai il più pregiato e curato dagli ardenti uomini di guerra, più solleciti di ammazzare e farsi ammazzare e più fidenti nella fortuna che intenti a provvedere ed a riparare gli inevitabili danni J) . Così, con una sottile vena di umorismo, non disgiunta dall'abitudine di chiamare le cose con il proprio nome, il Bertani accennerà nelle sue memorie alle difficoltà incontrate nella organizzazione del Servizio Sanitario dei Cacciatori delle Alpi, Corpo di volontari costituitosi agli ordini di Giuseppe Garibaldi nel 1859. Egli era infatti accorso al richiamo del Generale ed aveva accettato, senza riserve, di preparare e guidare « l'ambulanza >> pur sapendo che avrebbe dovuto partire praticamente da zero. Dallo Stato Maggiore dell'Esercito rego.lare piemontese, nel quale i Cacciatori delle A lpi erano inquadrati, Agostino Bertani riuscì ad avere solo alcune indicazioni di carattere organico: un medico per battaglione ed uno per reggunento, mentre il Consiglio Superiore di Sanità di Torino, urgentemente interpellato, faceva sapere che « essendo i Cacciatori delle Alpi un Corpo eccezionalmente costituito, non intendeva ingerirsene né aveva comandi in proposito >) . Tale sitµazione era conseguente alla diffidenza di Napoleone III verso tutti i Corpi volontari od all'imbarazzo del Governo piemontese che se - da un lato - non intendeva alienarsi le simpatie del potente alleato, non voleva - dall'altro - rinunciare all'apporto di tante generose energie. Ma Agostino Bertani non si sgomentò. Sorretto dalla fiducia concessagli che tanto più lo impegnava ove si consideri l'importanza che Garibaldi annetteva al Servizio Sanitario, fece « fiorire » gli uomini ed i mezzi necessaò, come comunemente si suol dire, « anche dai sassi ». Furono subito al suo fianco, a dargli man forte , i migliori medici della Lombardia che, abbandonati lavoro e fam iglia, parteciparono alla campagna come soldati chirurghi, con il trattamento - dietro loro specifica richiesta - del semplice volontario. Non si può fare a meno di ricordare G .B. Prandina volontario della I Guerra d'Indipendenza, Pietro Maestri e Maurilio Marozzi difensori di Venezia e con essi Ach ille Sacchi che portava ancora evidenti i segni delle ferite riportate alla difesa di Roma, Pietro Ripari anch'egli reduce di Roma e delle carceri pontificie, l'illustre Luigi Gemelli e tutti coloro che, spesso a piedi, dai territori occupati, raggiunsero i garibaldini. Per 995 chilometri i Cacciatori delle Alpi marciarono e combatterono vittoriosamente a Casale Monferrato, a Varese, a San Fermo, in Valtellina, sempre sorretti dal vigile, efficiente, capillare servizio organizzato da Agostino Bertani e dai suoi collaboratori. D alle loro file si levava il nuovo Inno di Mercantini « Si scopron le tombe, si lelJan i morti . .. >> che l'autore, un anno prima, aveva inviato in


bozza al Bertani stesso perché lo correggesse. Fra i ricordi di quella gloriosa epopea rimane ancor oggi un elenco dettagliato dei feriti e dei caduti, con l'indicazione - per questi ultimi - del luogo di inu mazione, redatto dal « Medico Capo JJ dei volontari, a perenne testimonianza del loro valore. Correva intanto l'anno 1860. ell'animo di Garibaldi, non pago della vittoriosa campagna da poco conclusasi, covava l'incertezza se fosse il caso di arrischiare una spedizione n el Mezzogiorno che, in caso di fallimento, potesse compromettere le sorti dell'unità d 'Italia. Le informazioni fornitegli dal Bertani, in contatto con i patrioti siciliani, coniermategli anche da fonte britannica, lo convinsero tuttavia della maturata decisione da parte degli abitanti dell'isola di farla finita con il dispotismo che li opprimeva e li teneva divisi dagli altri .italiani. Ebbe così vita la trionfale Spedizione dei Mille. Agostino Bertani non vi partecipò direttamente ma ad essa diede un contributo essenziale. Restò infatti sul continente ove aveva organizzato una Cassa di Soccorso con lo scopo di fornire volontari e mezzi per la spedizione in atto e- secondo una sua recondita aspirazione rimasta insoddisfatta - di sostenere eventuali spedizioni nell'Ttalia centrale al fine di accelerare il processo <li unificazione. Si affiancò - invece - a Garibaldi durante lo sbarco in Calabria e proseguì con .lui la campagna di liberazione verso il nord. Dopo la caduta di Iapoli, fece p arte del Governo costituito dal Generale che lo nominò Segretario Generale, carica peraltro di breve durata. Agostino Bertani, infatti, appoggiava Garibaldi in merito alla necessità di ritardare le annessioni dei territori meridionali di recente liberati, fino a che non fosse stato possibile proclamare una totale unificazione del Regno in Roma capitale. Tali intendimenti erano poco graditi al Cavour, assai timoroso che una liberazione d'Italia - ottenuta prevalente mente attraverso la democrazia armata garibaldina - potesse nuocere alla istituzione monarchica. Il Bertani respinse tutte le offerte e le profferte dello statista piemontese. Circondato da un ambiente ostile, anche per i provvedimenti di esproprio adottati nei riguardi del patrimonio ecclesiastico, perseguitato da una diffamatrice campagna di stampa i cui autori querelò e fece condannare, si ritirò a Genova ove aveva mantenuto la propria residenza. Poco dopo a Teano, in un panorama costellato di viti ormai ingiallite dall'autunno avanzato, Garibaldi, <( donatore di regni », rimetteva nelle mani di Vittorio Emanuele II - accorso dal Nord alla testa delle truppe piemontesi - il potere su 10 milioni di itali.ani (< tormentati fino a poco tempo prima dal dispotismo dello straniero >J . Nel 1866, Agostino Bertaru abbandonò nuovamente le propne occupazioni per rivestire ancora la carica di « Medico - Capo >J dei Cacciatori delle Alpi, con il grado di Colonnello.

5. - M.M.


A Monte Suello, in Val Camonica, sull'Oglio, in Val Arnpola, a Bezzecca, i volontari vennero assistiti dalla consueta meticolosa organizzazione del Servizio Sanitario predisposta dal Bertani. Quando improvviso ed inaspettato giunse l'ordine di abbandonare il Trentino in gran parte liberato, Egli si pose il problema di cosa fare dei feriti gravi che, a guell'epoca, nessuna Convenzione poteva proteggere dalla vendetta dei vinti tornati fortunosamente sui luoghi perduti in battaglia. Con una operazione logistica da manuale, il Bertani li sgomberò tutti e sorvegliò personalmente i trasporti fino al passaggio del ponte di Caffaro. Si può ben affermare, con ammirazi.one, che egli fu l'ultimo Cacciatore delle Alpi a lasciare il Trentino bagnato dal sangue di 2382 valorosi, il fior fiore della gioventù italiana. Nel 1867, Agostino Bertani fu a Mentana ove di sua iniziativa, in quanto nessuno ve lo aveva invitato anche perché lo si sapeva contrario all'impresa, costituì « un'ambulanza » che, all'atto pratico, si dimostrò di estrema utilità. Anche in questo episodio in cui - narrano le cronache - « i medici vissero i maggiori pericoli fino all'ultimo >> egli curò i feriti ed il loro successivo trasporto, a combattimenti ultimati, verso i nosocomi romani. Mentana chiuse, in pratica, la sua attività di medico soldato. L'ultimo ventennio della sua vita - morì infatti a Roma nel 1886 il Bertani lo dedicò alle attività parlamentari, alla redazione con il Cairoli, il Crispi ed altri insigni personaggi del giornale fiorentino (< La Riforma », ad una inchiesta agraria - nel cui ambito volle svolgere un'indagine sulle condizioni igienico - sanitarie di alcune popolazioni rurali - alla raccolta ed alla pubblicazione degli scritti del defunto amico Cattaneo ed alla stesura di opere di rilevante interesse sociale.

Per illustrare degnamente la figura di Agostino Bertani non bastano certo queste poche righe. Medico t alente e coraggioso, organizzatore nato, sempre in prima linea con i suoi Cacciatori ove il pericolo era maggiore, svolse un'opera di patriota e di uomo politico, determinante ai fini di quella unità che egli considerò sempre come obiettivo da raggiungere al di sopra di ogni ambizione, di ogni eg01smo, di ogni umana discordia. Amico dei più grandi italiani dell'epoca, fu sempre al loro fianco nelle più ardue imprese, ma seppe an"è:he con onestà ed equilibrio contrastarne gli estremismi fìno anche ad apporvisi in talune occasioni con decisione. Generoso verso gli amici, giusto con i nemici, modesto come tutti gli eletti, ebbe sempre una visione chiara e globale dei problemi che affliggevano la società mentre, in netto anticipo sui tempi, seppe improntare ogni azione ad un concreto spirito di solidarietà umana. 1


T utte queste caratteristiche, unitamente ad una vasta cultura, ne avrebbero fatto, se fosse vissuto ai nostri giorni, l'espressione più efficace del!' uomo direttivo moderno. La sua battaglia per il raggiungimento della unità nazionale e per la razionale soluzione dei problemi della società italiana, le sue vedute lungimiranti, t suoi insegnamenti cli studioso costituiscono ancora oggi un patrimonio di inestimabile valore.


RECENSION I DA RIVISTE E GIORNALI

CARDIOLOGIA e PANETH M.: Acute mitra/ regurgitation i11 prcgnacy due to rupturcd chordae tendineae. - Brit. Heart J., 1972, 34, 54r - 544·

CAVES P.K.

In Inghilterra la cardiopatia reumatica è oggi responsabile in circa il 75 % delle lesioni cardiache in gravidanza: in 9ueste, il 75 ° ~ è dato da una stenosi mitralica predominante cd il 15 ° 0 da una malauia combinata aortica e mitralica. Gli AA. riportano il caso di una giovane donna di 19 anni precedentemente in buona salute durante e dopo la prima gravidanza. Nella 6• settimana della sua seconda gravidanza, ella presentò improvvisamente dispnea con emottisi, anoressia; solo 6 mesi più tardi comparve un soffio precordiale pansistolico e contemporaneamente una trombosi delle vene profonde della gamba sn. Sulla base dei dati clinici caratteristici ( inizio improvviso e rapido aggravamento della dispnea e della stanchezza in un p. precedentemente in buona salute; rilievo di un rigurgito mitralico producente un thrill sistolico, di un soffio pansistolico ad ampia irradiazione, di una accentuazione della componente polmonare del II tono e di un lll tono; ritmo sinusale; dilatazione minima dell'atrio sn), fu fatta diagnosi di rottura delle corde tendinee. La diagnosi fu confermata 5 mesi dopo il parto nel corso di un intervento chirurgico, durante il quale il lato ds del cuore appariva normale, ma l'atrio sn e le vene polmonari erano sotto considerevole tensione, con un intenso t hrill sistolico; la mitrale era grossolanamente insufficiente a causa della rottura di tutte le corde tendinee del muscolo papillare posteriore; l'annulus non era dilatato, ma era piuttosto molle. Non fu tentata una sostituzione della valvola, ma questa fu escissa e fu impiantato un omoinnesto aortico. Dopo un miglioramento temporaneo, la p. ritornò a peggiorare. Fu deciso un nuovo intervento e si trovò che l'omoinnesto, pur essendo in buone condizioni, si era però distaccato dall'annulus posteriormente. Dopo questo secondo intervento, la donna migliorò notevolmente ed ora sta bene, a distanza di due anni, con solo una lieve dispnea nei grandi sforzi. Gli AA. hanno ritenuto di dovere riferire su questo caso, perché la rottura delle corde tendinee è eccezionale prima dei 50 anni senza che sia intervenuto un chiaro fattore etiologirn predisponente (endocardite batterica, infezione reumatica). L'unico dato di una certa importanza è stato la sofficità dell'annulus e dei lembi mitralici, forse in conseguenza di modificazioni ormonali in gravidanza. MELCHJONDA

Gooow1N J.F . e 0.>.KLEY C.M.: Tlie cardiomyopatliies. -

Brit. H eart J., 1972, 34, 545 -

552 · Nonostante lo sforzo mondiale nello scorso decennio, la patogenesi delle cardiomiopatie (CMP) non è ancora conosciuta. G li AA. ritengono di dovere modificare la


loro originale defin izione (« Una malattia subacuta o cronica del miocardio di etiologia sconosciuta od oscura spesso associata con interessamento del pericardio o dell'endocardio, ma non dovuta ad arteriosclerosi >> ), che è da ritenersi molto complessa, mentre la divisione successiva in CMP " primarie » e « secondarie », benché utile, non poteva essere usata per comprendere tutti i casi e creava inoltre una certa confusione. Essi riten gono pertanto di proporre una definizione più semplice: « Un d isordine del miocardio da causa od assoc iazione ignote >> , definizione che sottolinea il fatto che nella CMP il m iocardio presenta un d isordi ne apparentemente « primario >>. Essi propongono inoltre la seguente classificazione: r) CMP congestiva: caratterizzata da una deficiente funzione sistolica; 2) CMP ipertrofica con o senza ostruzione: caratterizzata da un deterioramento della compliance d iastolica; 3) CMP obliterativa o costrittiva: caratterizzata da una obl iterazione delle cavità ventricolari. Quest'ultima forma è virtualmente confinata alle miocardiopatie specifiche (arniloide primaria, leucemica, poliartritica nodosa) e pertanto, nelle zone temperate, sono Je prime due forme a rappresentare la vasta maggioranza delle CMP. I n Gran Bretagna, infatti, su 224 pp. con CMP, osservati nel decennio rg6o - HfJO, 102 sono stati del tipo congestivo, 120 del tipo ipertrofico e solo 2 del tipo obi iterativo. 1) CMP congestiva: è caratterizzata da una « deficienza della pompa cardiaca »; data la diminuzione del volume di gettata, è chiaro che il cuore deve dilatarsi, avendosi come risultato uno scompenso congestivo con bassa portata, cardiomegalia e ritmo di galoppo. La patogenesi, anche con le conoscenze epidemiologiche e della patologia geografica, è ancora oscura. Esclusa una causa virale, rimane ancora controversa la parte giocata dall'alcoolismo, in quanto in questa situazione non è ancora stabilito se il disordine miocardico sia dovuto ad avvelenamento da cobalto nei forti bevitori di birra o ad una deficienza tiaminica negli alcoolisti con diete grossolanamente inadatte o alJ"alcool per se stesso. La forma <letta « peripartum ,, è anch'essa controversa e si pensa piuttosto ad una malattia plurifattoriale nella quale la gravidanza è solo un fattore. Data l' oscurità della etiologia e della patogenesi, anche la terapia farmacologica (digitale, diuretici) ed igienica (lungo riposo a letto) non ha dimostrato un effetto benefico evidente. Qualche successo pare che si sia ottenuto con la pericardiectomia completa, in attesa che venga risolta definitivamente la tecnica del trapianto del cuore. 2) CM P ipertrofica od ostruttiva: è caratterizzata funzionalmente da una insufficienza diastolica ventricolare sn dovuta ad una perdita della sua normale distensibilità; in questa forma la cav ità <lei ventricolo sn è d i grandezza normale in diastole, ma di grandezza ridotta in sistole, oltre che di forma anormale, a causa di una invasione nel lume di un setto e di muscoli pap illari ipertrofici. Nella storia naturale di questa forma vi può essere una perdita spontanea dell'ostruzione del tratto d i deflusso, dovuta però ad un deterioramento della funz ione contrattile sistolica con grave riduzione quindi della funzione cardiaca e prognosi fatale. La terapia chirurgica non ha dato successi evidenti. Molto interessanti, anche se non ancora compresi nella loro reale azione, i successi ottenuti con i farmaci beta - bloccanti adrenergici a dosi alte, i quali non sono controindicati né con l"inizio dello scompenso cardiaco né con lo stato di gravidanza; nemmeno controindicata è, nello stadio <li scompenso cardiaco, la digossina, anch'essa a dosi alte; nel caso di fibrillazione atriale deve essere iniziata con urgenza la terapia anticoagulante per un lungo periodo. Per quanto riguarda le considerazioni eugeniche, g li AA. ritengono che non vi sia evidenza alcuna che i cosiddet ti casi sporadici possano trasmettere il disordine miocardico ai bambini. M ELCHIONDA


53 2 FuRl.ANEI.LO F., M AccÀ F . e DAL PALÙ C. :

N ielsen syndrome in an adult. -

Observation 011 a case of fervei! and Lange Br it. Heart J., 1972, 34, 648 - 652.

Gli AA., ital iani, riferiscono ancora su di uu caso di sindrome cardio - auditiva o sordo - cardiaca di Jervcll e Lange - Nielsen, in un soggetto di 61 anni, affetto da ipoacusia sin da tenera età, che ebbe il primo attacco sincopale a 59 anni, al quale ne seguirono altri, :i volte complicati da .fibrillazione ventricolare curata con defibrillazione. N umerosi membri della famiglia erano morti improvvisamente durante crisi sincopali. In essi era inoltre alta la incidenza di d ifetti dell'udito e di nevi intradermici. La sistole elettrica era patologicamente allungata, ma questo all ungamento non poteva essere messo in rapporto con squilibri elettrolitici evidenziati dagli esami serici. E ' chiaro che la fibrillazione ventricolare è in stretto rapporto con l'allungamento anormale dell'intervallo QT, il quale prolunga il periodo vulnerabile del ciclo cardiaco, q uando impulsi ectopici possono produrre una aritmia parossistica ripetitiva caotica (sindrome di Delorme o della R in T). La patogenesi dell'allungamento dell'intervallo QT non è ancora chiara, data la normalità serica degli elettroliti, ma è verosimile che alla base vi sia una stimolaz ione simpatica del ventricolo, come evidenziato dalla contemporanea anormalità dell'onda T . L 'osservazione dell 'allungamento dell'intervallo QT in altri familiari, associato con il cospicuo difetto acustico e con i nevi intradermici, fa rientrare questo caso nella sindrome di Jervell e Lange - Nielsen, anche se il q uadro ereditario sia più caratteristico per una sindrome di Romano - Ward. Il caso presentato è originale, in quanto, dicon o gli AA., la revisione della letteraturn non ha permesso di trovare alcun caso diagnostico nell'età adulta. MELC H IONDA

D rnouLrN

J.C. e K uLBERTus H .E.: Histopathologicaf examination of concept of left

hemiblock, -

Brit. H eart J., 1972, 34, 807 - 814.

Nonostante i numerosi lavori clinici ed ecgr.afìci sui cosiddetti emiblocchi, pochi sono ancora q uelli anatomici ed istopatologici. L'accordo non completamente raggiunto sulle suddivisioni della branca sinistra (BS) potrebbe dipendere dai d ifetti d i tecnica istologica. Gli AA. hanno il sistema di conduzione di P urkinje del ventricolo sn in 20 cuori di soggetti senza difetti di conduzione ed in 10 cuori di pp. con emiblocco sinistro anteriore (ESA), ciò allo scopo di stabilire nei primi l'anatomia e nei secondi l'istopatologia del suddetto sistema. In 1 1 dei 20 cuori sani si è trovato che, acca nto a i due noti fascicoli anteriore e posteriore della suddivisione della BS, esisteva una terza irradiazione, mediosettale, emergente a volte dal fascicolo anteriore, a volte da quello posteriore ed a volte direttamente dalla BS comune; negli altri 9 casi la irradiaziolle settale era formata o dal fascicolo posteriore o da un complicato plesso di ram ifìcazione fornito da ambedue i fascicoli anteriore e posteriore. Tei cuori con ESA, il quadro ecg raFìco appariva in rapporto con gravi alterazioni della BS, specialmente a carico del fascicolo anter iore. In conclusione si può affermare che il sistema d i Purkinje ventricolare sn è costituito da tre piuttosto che da due reti principal i periferiche, am piamente interconnesse (anteriore, centrosettale e posteriore) e che il quadro ecgrafìco dell'ESA può essere con-


533 siderato come un segno ben definito di malattia della BS. Ne deriva che la terminologia attuale di « emiblocco >> della BS va rivista alla luce di queste nuove acquisizioni anatomiche ed istopatologiche. MncHIONoA

PSICHIATRIA RocLI~'II G., BILOTTA M.: Meccanismi molecolari della memoria e tlell'appre11dime11to. (Considerazioni generali ed applicazioni cli11ic/1e). - L'Ospedale Psichiatrico, A. 41, fase. 2, aprile - giugno 1973, pp. 337 - 344· Gli AA. espongono in rapida, ma efficace sintesi i progressi teorico - sperimentali intervenuti in questi ultimi anni nel capitolo dibattuto della codificazione mnemonica, in conseguenza della scoperta del ruolo <lei DNA e del RNA nell'immagazzinamento e nella trascrizione del messaggio genetico. In particolare sembra di poter riassumere la situazione artuale della ricerca nei termini seguenti: la c.d. << memoria recente >> sarebbe correlata con la formazione di specifiche molecole di RNA nel cervello, mentre !"immagazzinamento definitivo dell' informazione, cioè la c.d. « memoria antica », dipenderebbe dalla sintesi di peculiari proteine neoformate ~ullo stampo mod ificato del RNA comparso durante l'apprendimento. Sulla base di questa ipotesi dottrinaria gli AA. hanno condotto una ricerca terapeutico - sperimentale su 60 oligofrenici di medio grado ricoverati nell'Ospedale Psichiatrico Provinciale « L. Bianchi >> di Napoli, di cui 40 costituivano il campione di studio e venivano trattati con preparati a base di nucleotidi e di fattori coenzimatici correlati con la sintesi ribonucleica e proteica (vitamina 1312 ed ac. folico), mentre i restanti 20 soggetti fungevano da controllo e ricevevano un « placebo » polivitaminico. La verifica dell'efficacia terapeutica è stata realizzata mediante due test <li efficienza mentale (scala di intelligenza di Wechsler - Bellevue e test di Raven), applicati prima e dopo il ciclo curativo, e ha consentito di constatare un miglioramento delle prestazioni testologiche in oltre il 70°,~ dei casi appartenenti al campione di studio, in contrapposizione al quadro psicometrico rimasto invariato nel gruppo di controllo. In conclusione i risultati preliminari ottenuti dagli AA. appaiono interessanti e meritevoli di ulteriori sviluppi sperimentali, nella programmazione dei quali potrebbero trovare utile collocazione strumenti psico - diagnostici più sensibili (qua li, ad esempio, la Wechsler Memory Scale ed il test di ritenzione visiva di Benton) e tecniche statistiche più raffinate.

M. CrnoNE

PSICOLOG!A CaocQ L., R1voLIER J., Ct1zEs G.: Sélection psychologique des personnels de l'Antatctique. - Médecine et Armées, vol. 1, n. 7, novembre 1973, pp. 26 - 34. Gli AA., noti per la loro competenza in psicologia e medicina polare, espongono con ricchezza di dettagli i metodi d i selezione d ifferenziale e di controllo del comportamento dei soggetti destinati a svernare in gruppi isolati nelle stazioni scientifiche dell 'Antartide francese (Terra Adélie, Isole Kerguelen, Nuova Amsterdam, Crozet). Lo specifico dépistage, recentemente introdotto dagli esperti delle « Expéditions Polaires .Françaises ))' è motivato dal fatto che, mentre i problemi di adattamento fisico -


534 biologico hanno già da tempo trovato una adeguata soluzione, quelli inerenti all 'adattamento psicologico - sociale appaiono tuttora insoluti eJ addirittura sembrano aggravarsi paradossalmente con l'accrescimento del benessere dei piccoli gruppi in situazione di isolamento ambientale. Non vi è dubbio che l'a ppartenenza forzata ad una collettività socialmente ristretta e subordinata all'autorità di un capo (è appena il caso di sottolineare l'importanza prioritaria di una personalità elctrivamente equilibrata ed elastica nella figura coordinatrice del leaJer !) possa creare delle tensioni conflittuali più acute e meno evitabili che nel territorio metropolitano, non disponendo i membri del g ruppo, specie se caratterizzati da un assetto frag ile della personalità, né di possibilità di ripiego rassicurante sul piano affettivo, né di una larga ,celta di attività di derivazione compensativa. La selezione psichiatrico - psicologica preliminare, elaborata ai fini predittivi dello specifico adattamento sociale, si arti.cola nelle seguenti operazioni: - colloquio psichiatrico, condotto sulla base delle risposte precedentemente fornite a due questionari (medico - psicologico e biografico), a conclusione del quale lo psichiatra formula la prognosi probabilistica di adatta mento med iante una scala riassuntiva di quattro valori A - B - C - D (« A ii per i soggetti migliori, « B » per i suffi. cientemente buoni, << C » per i mediocri, « D » per i non - idonei), integrandola con altre tre scale accessorie: 1 - 2 - 3 - 4 per le capacità intellettive, a - b - c - d per la presentazione ed il contatto emozionale, :l - ~ - y - ò per la motivazione; - applicazione di una batteria di test psicologici di efficienza mentale e di personalità (test del vocabolario d i Binois e Pichot, D 48, M.M.P.T., Rorschach), seguita dal colloquio con lo psicologo che esprime la sua prognosi in d ue scale valutative: A - B - C - D per la personalità, , - 2 - 3 - 4 per l'efficienza intellettiva. L'adattamento campale viene definito mediante i seguenti ri levamenti che sono effettuati in due momenti successivi ed anch'essi riportati su scale bipolari A - B - C - D: - durante lo svernamento (a cura del medico della stazione anra rtica): bilancio della quindicina ovvero q uestionario del controllo psicologico bimensile, apprezzamento dello stato affettivo ciel soggetto in occasione <lella visita medica sistematica mensile, elenco degli incidenti caratteriali e delle consultazioni mediche; - al ritorno Jallo svernamento : due bilanci d i svernamento ( rispettivamente a cura del medico e del capo della stazione scientifica), questionario di rendimento ovvero questionario di adattamento al posto di lavoro (a cura del capo del particolare servizio operativo). li fine ultimo è quello d i addivenire ad una validazione del s istema di selezione attualmente in esperimento, confrontando mediante il metodo statistico delle correlazioni i dati predittivi della selezione psichiatrico - psicologica effettuata prima della partenza con il criterio esterno dell'adatta mento campale. I n conclusione trattasi d i un programma selettivo molto ben articolato e suscettibile d i applicazione sperimentale anche nell'ambito delle Truppe Alpine del nostro Esercito, con particolare riguardo all'eventualità di impiego protratto di piccoli g ruppi in situaz ione di isolamento ambientale e sociale, quale appunto si verificò in Alto Adige negli anni scorsi. Sulla base dell"esperienza personale acqu isita in occasione d i una ricerca psicologico - sociale condotta nella specifica contingenza, si ritiene opportuno richiamare la signifcativa valid ità delle tecniche sociometriche di Moreno e di Tagiur i ai fini del dépistage campale dei soggetti socialmente disadattati, i quali, sempre che la collocazione periferica nella mappa sociomet rica non sia giustificata dall"assolvimento di un incarico ... introversivo (radiotelefonista, conducente di muli, cuciniere, ecc.), vengono respinti al margine del sociogramma a causa dell'emergenza di sfavorevoli tratti de1la loro personalità sociale. M. Crno:-,E


535 lGTENE DEL VEccmo V., F1sc11ETn M.: Alldamento nel tempo della fìora saprofita presente

in acque minerali: confronto fra contenitori di vetro e contenitori di plastica. Nuovi Ann. Ig. Microb., rg72, 23, 257 - 277. Gli AA., allo scopo di controllare se bottiglie di plastica PVC (speciale per alimenti) sono igienicamente idonee alla conservazione delle acque minerali, hanno condotto una ricerca batteriologica sul la flora microbica di acque oligominerali, mediominerali e minerali p.d. conservate nei predetti contenitori. L·indagine è stata condotta su 20 campioni da un litro per ciascun tipo di acqua; metà dei campioni sono stati trasferiti in contenitori di vetro e l'altra metà in contenitori di plastica. Impiegando la tecnica della semina in massa hanno proceduto alla conta dei germi in agar a 37'·C, a quelli in gelatina a 20"C e al conteggio dei fondenti la gelatina a 20°C. Queste prove sono stare eseguite all'atto dell'imbottigliamento e dopo una, tre, cinque, nove, tredici, diciassette, ventuno e venticinque settimane di conservazione. L 'esame dei dati onenuti ha evidenziato che i campioni di acqua mantenuti in contenitori di plastica presentano più attivi ed intensi processi di moltiplicazione batterica. Gli AA., non avendo riscontrato a carico delle acque in esame variazioni di quei caratteri chimico - fisici che influenzano lo sviluppo microbico, sono propensi a collegare il fenomeno con fatti di cessione (passaggio di particelle di plastificante nell'acqua) che si determinano allorché le sostanze plastiche vengono a contatto con l'acqua o altri a limenti. Si determinerebbe, in tal maniera, un danneggiamento della superficie della p lastica che divenendo rugosa permetterebbe una stratificazione dei microrganismi come su di un terreno di coltura. Gli AA. concludono che, nonostante alcuni indiscutibili pregi posseduti dai contenitori in plastica, le bottiglie di vetro, sotto il profilo igienico, sono sempre da preferirsi per la conservazione delle acque m inerali. M. D1 MARTINO

S.U., ANNICHIARICO SEBASTIANI L., T.>\RS!l'M,I G.: Degradabilità e degradazione ambientale dei detergenti anionici. -- Nuovi Ann. Ig. Microb., 1972, 23, 393 - 418.

D'ARCA

Nel quadro delle problematiche legate all'inquinamento ambientale gli AA. hanno condotto una indagine sperimentale allo scopo d i accertare: a) la presenza nei liquami di scarico cli germi in grado di sopravvivere a concentrazioni elev:lte di detergente biodegradabile e capaci di determinarne la degradazione: b) l'esistenza nell'ambiente abituale d i detti liquami di agenti microbici atti a biodegradare dell'8o% i comuni detergenti ammessi in commercio; e) la durata e l'andamento del tempo del processo di biodegradazione. Per determina re la biodegradabili tà e valutare la biodegradazione g li AA. si sono avvalsi delle tecnich e indicate da N}1ns e coli. con alcune variazioni relative ai terreni di cultura. Lo studio è stato condotto su 1,00 campioni provenienti da terreno, scarichi industriali, sabbia, mare e fiume. I risultati hanno consentito di appurare la presenza in ciascuno dei campioni esam inati d i almeno uno stipite m icrobico adattabile ad una notevole presenza di deter-


gente con una degradazione che nel 9()'?~ dei casi ha raggiun to e superato i limiti (80% ) previsti dalla legge 3 marzo l97I, n. 125. La maggior capacità degradante è stata rilevata in stipiti microbici provenienti dal terreno e dalla sabbia. La durata dei fenomeni di biodegradazione si è mantenuta, nell'85 % dei casi, in un intervallo di tempo compreso tra 7 e 10 giorni; in molte prove l'innesto dei processi di degradazione è stato però lento e stentato. Poiché i fenomeni di biodegradazione ad andamento lento esitano nella formazione di cataboliti intermedi persistenti, senza garanzia per una completa mineralizzazione dei detergenti, rimane sempre di attualità il problema di un accumulo di cataboliti intermedi non stabilizzati, anch'essi inquinami. M. Di M ARTINO

OFTALMO LOGIA C., VA:-i DE C1sTEELE J.: Le champ visuel e/inique. - Acta Belgica de Arte Medicinali ed Pharmaceutica Militari, voi. XVflf, A. 125, nn. r · 2 · 3 · 4, 1972, pp. 35 · 377.

VERRIEST

Tra le varie funzioni visive è la visione centrale che riveste la maggiore importanza. Ciò è in gran parte corrispondente alla realtà fisiologica e clinica, in quanto è proprio l'acuità visiva centrale a determinare prevalentemente il parametro della capacità lavorativa. Su di essa vengono infatti commisurate le categorie pensionistiche ed i tassi di invalidità. Ma dalla visione centrale non possono essere disgiunte le altre funzioni visive, e cioè il senso cromatico (specialmente importante sotto il profilo medico - legale), il senso batiscopico (assimilabile alla terza dimensione: senso di profondità o stereoscopico), il senso luminoso ed iJ campo visivo. Le funzioni visive cosiddette collaterali vengono spesso trascurate anche nella normale routine ambulatoriale specialistica, trattandosi di indagini subbiettive, relativamente lunghe e noiose. Tra queste funzion i il campo visivo, particolarmente in caso di affezioni di ordine neuro• oftalmico, riveste particolare importanza. Va, però, osservato che l'esame perimetrico ristùta fondamentale soltanto quando manca l'obiettività clinica: ad esempio, la proiezione campi.metrica di una lesione retinica evidenziabile oftalmoscopicamente è del tutto superflua, mentre quest"esame è insostitubile, ai fini di una diagnosi di sede, in caso di lesioni oculari iniziali (neurite retrobulbare, glaucoma) o di affezioni extrabu]bari. Di questo importante argomento si sono occupati il Dr. G. Verriest ed il Dr. J. Van De Casteele, della Clinica Oculistica di Gand (diretta dal Prof. ). Fra □ çois) e del Centro di Medicina Aeronautica (diretto dal Le. Col. Med. S. Tribel), nell'interessante monografia sul « Campo visivo clinico» che viene ora presentata ai lettori <li questo « Giornale ». Preliminarmente vengono ricordate le nozioni generali -di anatomia e fisiologia dell'organo visivo : la retina, il nervo ottico, i] chiasma, le bandcllette, i corpi genicolati esterni, le radiazioni ottiche e la corteccia visiva in.torno alla scissura calcarina. Fisiologicamente la luce appartiene ad una forma particolare di energia chiamata ragionante. di lunghezze d"onda comprese tra 380 e 780 nanorncrres (milionesimi di millimetro).


537 La visione avviene quando una quantità sufficiente di luce decompone il pigmento visivo, suscitando un 'attività nervosa adeguata alla « conoscenza » di un oggetto e cioè la percezione. La sensibilità fotopica aumenta dalla periferia al centro (i bastoncelli diventano meno numerosi dalla periferia alla macula, dove non esistono più). Questo in ambiente chiaro chiaro o diurno, mentre in condiz,ioni mesopiche o<l addirittura scotopiche tutti gli oggetti appaiono grigiastri, in quanto i bastoncelli sono ciechi per i colori con relativo « scotoma centrale all'oscurità n legato all'assenza dei bastoncelli. Premesse ed accuratamente studiate le nozioni fondamentali anatomo - fisiologiche, gli AA. si soffermano sulla terminologia perimetrica, ricordando: a) il punto di fissazione del campo visivo corrispondente al centro della macula della retina; b) la macchia cieca (o di Mariotte) corrispondente al disco ottico privo di coni e bastoncelli; e) gli angioscotomi rappresentanti l'ombra portata dai grandi vasi retinici. In patologia esistono deficit periferici (deficit periferici localizzati) e restringimenti (più vasti) concentrici (generalizzati); scotomi (deficit interno); depressioni (allorché la sensibilità è meno pronunciata in corrispondenza del margine periferico); deficit assoluti o relativi (esiste una sensibilità relativa); deficit incerti (nei casi più leggeri, quando la percezione è irregolare o imprecisa). I deficit periferici e gli scotomi sono specificati in seguito alla loro localizzazione. Lo scotoma è detto centrale quando interessa il punto di fissazione. Paracentrale a circa 5 gradi dal punto di fissazione. Lo scotoma pericecale è quello che si verifica intorno alla macchia cieca. Paracecale od iuxtacecale da un lato della macchia. Scotoma ceco centrale tra la fovea e la macchia cieca. A seconda della forma g li scotomi paracecali possono essere anulari, a cintura o zonulari. Ed inoltre il deficit fascicolare (corrispondente al tragitto di un fascio nervoso retinico), il deficit arciforme <li Bjerrum (molto importante, clinicamente estendentesi dal parallelo di 10 e 20 gradi fino alla macchia cieca) ed altri deficit <li minore importanza. Ed ancora i deficit bilaterali emianopsici - eteronimi (bitemporali o binasali) od omonimi (quadranti destri o sinistri), quadranopsie, emianopsie verticali. Un vasto capitolo è dedicato alle tecniche perimetriche: giudizi approssimativi con i movimenti della mano del medico nelle varie direzioni, con l'occhio del paziente immobile, con il perimetro portatile, con il Visual Field Analyser <li Friedman: il Test di Amsler, gli scotometri, le prove endottiche per la funzione maculare. Tra tutti, però, il più importante è il perimetro di Goldmann, che consente lo studio cinetico della perimetria. A queste esposizioni squisitamente tecniche di interpretazione diffìcile seguono i capitoli dedicati alla patologia oculare ed extraoculare, sempre in relazione alle indicazioni fornite dal campo visivo. I dati forniti da questa indagine sono spesso determinanti ai fini di una diagnosi d i sede ed interessano non solo gli oculisti, i neurologi ed i neurochirurghi, ma tutti i medici. Gli AA. distinguono: a) deficit funzionali (non organici); b) deficit prereti nici; e) deficit retinici; d) deficit nervosi.

Deficit 11011 orga111c1. Vengono innanzi tutto meSSI 111 risalto gli errori legati all'imperizia del perimetrista ed alla mancata od insufficiente collaborazione dell'esaminando. Caratteristico di questi deficit è il classico tracciato a « forma di spirale >> della isteria e della sinistrosi post-


commozionale. Al proposito vengono esposte delle nozioni, in verità non molto note, di rilevanLe interesse medico - legale (anche nel campo militare). Infatti nell'isLeria e nelle nevrosi esiste una spirale che può essere netta od irregolare: in ogni caso esiste la cosiddetta inversione dei limiti; infatti normalmente la risposta centrifuga (dal centro alla periferia) è più eccentrica di quella centripeta. Tanto accade anche nelle sinistrasi. Nelle ambliopie lo u scotoma centrale» è molto difficilmente de limitabile per l'instabilità della fissazione. Il simulatore, privo di particolari nozioni specialistiche, accusa generalmente un deficit campimeLrico concentrico. Specialmente nei casi in cui il deficit visivo accusato interessa un solo occhio, è agevole per !"esaminatore svelare la simulazione, praticando la perimetria binoculare con appositi filtri colorati e con metodologia analoga a quella usata con il test di Worth a questi fini.

••• Deficit preretinici.

In questo capitolo vengono citate le alLerazioni preretiniche e cioè quelle interessanti le strutture oculari extraretiniche od addirittura le strutture extraoculari come nei soggetti che vengono esaminati con gli occhiali: le opacità corneali, le cataratte corticali e nucleari, le opacità del viLreo, le ametropie non corrette con ::illargamento della macchia cieca temporale nell'ipermetropia e nasale nella miopia.

• •• Deficit rer1111c1. Questi dt'ficit rivestono, in effetti, minore importanza clinica e medico - legale. Sono qui dt'scritte le delìcienze congenite ai colori (tipo protan e <leutan) in cui non sono evidenziabili lesioni oftalmoscopiche e successivamente tulle quelle alterazioni strumentalmente osservabili, quali le degeneraz ioni tapcto - retiniche ( retinop::itia puntata albescente, il fondo albipuntato con emeralopia, l'atrofia girata, la coroideremia, la sclerosi coroidea generalizzata). In tutte queste condi7,ioni il campo visivo è costantemente più ristretto in condizioni mesopicbe o scotopiche. fmportànte è il ricordo che il campo visivo è normale nei portatori di geni di degenerazioni tapeto - retiniche periferiche legate al sesso, anche quando il fondo è " anormale ». Per contro tutte le degenerazioni tapeto - retiniche centrali (degenerazione m:iculare giov::inile, il fondo flavimacul::tto, la capill:irosi maculare, le cisti vitelliformi, la degenerazione maculare senile) e la degenerazione peripapillare dànno uno scotoma pericecale e cioè un ingrandimento ddla macchia cieca di Mariotte, tipico delle strie angioidi. Così pure alterazioni campimetriche sono presenti nella miopia maligna (con scotoma pericecalc), nella coroidosi maculare, nella macchia di Fuchs (scotoma centrale) e, in fine, nella miopia elcvat::i esiste sempre un restringimento concentrico. Danno un deficit corrispondente alle lesioni il melanom::i (benigno e maligno), le cisti retiniche periferiche di Weve (emianopsia binasale), i colobomi, le corioretiniti, la retinite sierosa centrale e tutte le altre alterazioni, prevalentemente <li tipo vascolare, guaii l'embolia dell::i arteria centrale (parziale), la trombosi della ven:i centrale (scotoma pericecale), le peri[lebiti, la rctinopatia ipertensiva e diabetica, la angiopatia traumatica e la papilla da stasi con atrofia ottica secondaria.

••• Deficit nervosi (<leficit legati a lesioni interrompenti la conduzione nervosa). Questo capitolo estremamente interessante viene articolato nelle due principali cause di deficit campimetrici e cioè: 1) lesioni a livello della retina e del nervo ottico; 2) lesioni intracraniche.


539 1) Lesioni retiniche e del nervo ottico. Nelle lesioni di cui al n. 1 esistono vari tipi di deficit campimetrici, tuni legati a deficit fascicolari (papillo - maculari), di cui tipico è lo « scotoma centrale », ma anche il restring imento concentrico. Vi è un accenno a talune coroiditi coxoplasmatiche, alla classica coroidite di Jeusen (deficit arciforme o cuneiforme), alla papiUite o pseudopapillite vascolare, alle druses, alle malformazioni ed ai tumori della papilla, alle papilliti segmentarie o meglio pseudopapilliti vascolari (di origine prevalentemente arteriosclerotica) con deficit fascicolare caratteristico (cuneiforme, quadranopsia, maculare, areiforme od associazione del deficit a rciforme con quello completo del quadrante nasale fino alla emianopsia verticale superiore ed alla amaurosi). Il giaucoma cronico iniziale (molto importante clinicamente) de termina deficit fascicolare arciforme caraueristico. Meno interessati il glaucoma acuto (angolo stretco) che determina un deficit, reversibile, nasale, il congenito ed il secondario (depressioni periferiche irregolari). Ma l'esame del campo visivo è veramente fondamentale nei casi di affezioni del nervo ottico oftalmoscopicamentc mute allo stato iniziale. Nelle neuriti retrobulbari, infatti, quando esiste un deficit visivo centrale, questo esame consente un corretto iiudizio diagnostico (di sede, in quanto l'eziologia rimane frequentemente oscura, pur ripetendo spesso origine dalla sclerosi a placche, particolarmente se bilaterale). Trattasi di scotoma centrale grossolanamente rotondo del diametro di circa 20 gradi con prevalente interessamento del rosso (dcno fenomeno era ben noto ai vecchi oculisti, ai quali i soggetti affetti da tal tipo di lesioni dichiaravano di non poter più disting uere i soldi di rame, rossastri, da quelli di nichel, biancastri). Altre esemplificazioni: la rara neuromielite di Devic, la malattia di Leber (ereditaria), l'atrofia ottica giovanile ad ereditarietà dominante (scotoma centro - centrale), l'atrofia ottica di origine nutrizionale (guerra, prigionia), da anemia perniciosa, le tabetiche (restringimento concentrico bilaterale asimmetrico con prevalenza nasale), l'atrofia ottica traumatica (un trauma sulla regione temporale può determinare una cecità assoluta anche in assenza di lesioni Xgralìcamente repertabili: quando esiste una compressione del nervo ottico in corrispondenza dei fori ottici, si verifica spesso una caratteristica emianopsia verticale).

2) Lesioni intrncraniche. La compressione sulla parte endocranica del nervo ottico può dare sia un deficit perimetrico verticale che uno scotoma centrale, spesso accompagnato da un restringimento temporale dell'occhio controlaterale dovuto all'inginocchiamento che le fibre nasali inferiori percorrono nella rad ice del nrrvo ottico. La localizzazione intracranica è ancora più evidente allorché in un occhio esiste atrofia ottica e nell'altro papilla da stasi (Poster Kennedy) da processo espansivo della fossa anteriore, con i deficit campimetrici relativi alla atrofia (scotoma centrale) ed al papilloedema (scotoma pericecale od ingrandimento della macchia cieca con ddìcit periferici irregolari). Una emianopsia (binasale, bitemporalc od omonima) depone invece per un tumore al di fuori della fossa anteriore o per una aracnoid ite opto - chiasmatica o per lesioni arteriosclerotiche. L'emianopsia eteronima bitemporale è tipica delle lesioni a livello chiasmatico. Deficit omonimo quando la lesione interessa una bandelletta e la parte anteriore del corpo genicolato esterno. Le lesioni più posteriori danno quadri perimetrici più confusi per interessamento della zona di fissazione. Le lesion i superiori delle radiazioni ottiche possono dare una quadranopsia superiore omonima, mentre le inferiori una quadranopsia inferiore. Più evidente il danno in caso di lesioni emisferiche, tenendo presente che le lesioni del secondo neurone (nervo ottico, chiasma, bandelletta, corpo genicolato esterno) possono dare atrofia ottica, al contrario delle lesioni del terzo neurone (dai corpi genicolati esterni alla cor-


teccia visiva). I tumori cerebrali possono dare sia deficit campimelrici legati alla papilla da stasi che deficit legati alla compressione locale delle vie ottiche, e cioè sintomi focali di localizzazione. I sintomi da « stasi ipertensiva » si manifestano soprattutto in caso di tumori delle regioni cerebrali mute ed in quelli che danno luogo ad idrocefalia per occlusione. l sintomi focali indicano il punto di congiuntura tra tumore e vie ottiche, ma, poich~ talvolta la massa tumorale più importante non è situata a quel livello, la situazione e la estensione del tumore dovranno essere determinati con l'aiuto di altri esami. Vengono poi descritti in particolare i tumori più diffusi, quali quelli del lobo fronta le (con sindrome di Poster Kennedy se basali), i meningiomi olfattivi (muti all'inizio, poi Foster Kennedy od emianopsia temporale atipica), il meningioma dello sfenoide che interessa generalmente il nervo ottico bilateralmente, l'adenoma ipofisario (sindrome chiasmatica), il craniofaringioma dei bambini (senza particolari alccrazioni campimctriche) e degli adulti (emianopsia più o meno tipica), il meningioma del tubercolo della sella (sindrome chiasmatica), i tumori del lobo temporale (oltre alle allucinazioni esiste una quadranopsia omonima superiore incongruente), i tumori del lobo parielale (oltre alla dislessia ed all'agnosia esistono il fenomeno della ,e estinzione>> e la quadranopsia inferiore, caratteristica ma piuuosto rara: l'emianopsia omonima è più frequente, ma meno specifica), i tumori del lobo occipitale (emianopsia o quadranopsia con o senza interessamento maculare, oltre alle allucinazioni ottiche elementari). Meno importanti, ai lini della localizza7.ione mediante l'esame del campo visivo, sono i meningiomi parasagittali, i tumori del terzo ventricolo, quelli infratentoriali: in casi di tumori del cervelletto e di neurinomi dell'acustico si può constatare una emianopsia binasale o bitemporale inferiore per dilatazione del terzo ventricolo e per compressione del chiasma. Vengono poi descritti i segni campimetrici delle emorragie cerebrali (emianopsia omonima semplice o doppia), della sclerosi della carotide interna (deficit binasali). degli a11eurismi (deficit visivi centrali e talvolta emianopsia venicale o bitemporale, oltre alla paralisi dei muscoli oculomotori ed alla cefalea), delle sindromi di insuffic ienza vascolare centrale (amaUiosi in caso di ostruzione omolaterale della carotide con interessamento dell'occhio controlaterale, se esiste ostruzione anche della cerebrale media), delle sindromi vertebro - basilari (emianopsia omonima passeggera nelle forme iniziali, e, in caso di occlusione della basilare, con interessamento della visione centrale per la frequente compromissione del lobo occipitale). Molti AA. nella cecità corticale per insufficienza vertebra - basilare menzionano il segno d'Anton, e cioè il paziente nega la sua cecità analogamente a quanto può accadere nelle atrofie ottiche secondarie o nella tabe. La causa dell'insufficienza carotidea e basilare è generalmente la arteriosclerosi. Interessante è anche la descrizione delle alterazioni del campo visivo nella emicrania oftalmica in stadio prodromico. Classico è lo scotoma scintillante (visione di una immagine a linee indistinte e tremolanti in una ar ea più o meno confusa della zona luminosa, legata ad ischemia corticale per spasmo delle arterie intracraniche), oltre all'emianopsia omonima, piuttosto frequente, che appare nel punto culminante dell'attacco (per quanto non riportato in questa monografia, è forse opportuno ricordare che i casi più gravi con paralisi della muscolatura estrinseca, le cosiddette « emicranie ofcalmoplegiche », sono riferibili ad alterazioni arteriose del circolo del Willis). Però sia la emicrania essenziale oftalmoplegica che la « cefaleo istaminica » non danno deficit perimetrici. Gli ascessi cerebrali danno logicamente la stessa sintomatologia dei tumori: la aracnoidite optochiasmatica dà un grande scotoma centrale bilaterale: sono inoltre descritte la sclerosi a placche (nevrite chiasmatica o retrochiasmatica con scotoma emianopsico bitemporale od omonimo) cd infine la faci le localizzazione delle lesioni traumatiche, in particolare l'emianopsia bitemporale per le fratture della base cranica.


54 1 Intossica:::ioni. In quest'ultimo capitolo vengono descritte delle alterazioni campimetriche, non molto note, in casi di ambliopia alcoolico - nicotinica. Praticamente il termine va riferito a due lesioni, l'una tabagica e l'altra alcoolica. Nella prima esiste il classico scotoma ceco - centrale per il rosso (ed il verde), bilaterale, con densità massimale non in corrispondenza del punto di fissazione (ornide orizzontale), con secondaria depressione delle isoptere paracecali (luogo dei punti del campo aventi eguale sensibilità nei confronti di un determinato stimolo). Nella seconda (dovuta piuttosto a deficienze alimentari che all'alcool etilico) esiste im·ece il classico scotoma centrale con maggiore densità al punto di fissazione: tale segno riveste una grande importanza ai fini della diagnosi di natura. Meno caratteristiche le alterazioni campimetriche in caso di avvelenamento acuto da alcool metilico, solforo di carbonio, tricloroetilene, tetracloruro di carbonio, benzolo, mercurio e piombo (spasmo delle arterie conicali), così come nell'intossicazione acuta da monossido di carbonio, da chinino e da antimalarici di sintesi.

Ben 116 illustrazioni corredano questa importante e vasta monografia. In esse vengono riportate tra l'altro le alterazioni campimetriche descritte nel tesco. Trattasi in definitiva di un ponderoso lavoro monografico, che ha il pregio di inquadrare sistematicamente e di richiamare alla memoria delle nozioni veramente significative, spesso trascurate, ma, specie in casi particolari, effettivamente fondamentali ai fini diagnostici, specialmente nell'ambito delle lesioni incracraniche.

G. C.\RR,\

RADIOTF,RAPIA I.C.R.U. - Report 23: Measurement of A bsorbed Dose in a Phantorn frradiated by a Single Beam of X or Gam mtl Rays. (Misurazione della dose assorbita in un simulatore irradiato con un singolo fascio di raggi X o gamma). - ICRU Publications, 15 gennaio 1973, pagg. VI, 30.

11 problema fondamentale della radioterapia è la determinazione esatta della dose assorbita nelle regioni esposte alle radiazioni. La necessità di dover impiegare, in genere, metodi indiretti di misura e la mancanza di accordo tra i parametri di rilievo usati in differenti Centri non permettono un utile confronto tra i dati raccolti da diversi radioterapisti. Questo impedisce dei proficui scambi di esperienze cliniche e provoca un ritardo nel progresso della radioterapia. Allo scopo di poter disporre di norme operative valide nella pratica dosimetrica e che possano essere accettate dalla generalit:1 dei radioterapisti, l'I.C.R.U. (Internacional Commission on Radiation Units and Measurements) ha pubblicato nel 1963 un primo rapporto sui principi della tecnica radioterapeutica e, recentem ente, ha affidato ad alcuni suoi g ruppi d i stud io la revisione degl i orientamenti generali nella dosimetria delle radiazioni e la formulazione di raccomandazioni sui più validi metodi radiodosimetrici. I risuh:ni di questi studi sono raccolti in questa monografia, che si aggiunge alle precedenti che, con pregevole iniziaci"a, la l.C.R.U. va pubblicando ormai da circa dieci anm.


54 2 Nella prima parte della monografia sono elencate le diverse operazioni necessarie all'esecuzione di una corretta dosimetria; nelle successive viene condotta una dettagliata analisi di tali operazioni e, per ciascuna fase operativa, vengono fornite utili indicazioni sulla condorra da seguire nelle diverse condizioni d i lavoro. Sono dapprima considerati (parti 2\ 3', 4") i procedimenti necessari alla calibrazione del fascio di radiazioni ed alla determinazione <lei massimo valore di dose assorbita lungo !'asse del fascio. Questa operazione deve essere eseguita per ciascun tipo di sorgente, mentre la posizione da attribuire al punto di calibrazione varia in relazione all'energia del fotone. Per raggi X di bassa energia (inferiore a 150 k V), la determinazione viene eseguita in aria, ponendo la camera di ionizzazione lungo l'asse centrale del fascio; per tucti gli altri livell i di energia del fotone, si determina la dose assorbita in un punto determinato, posto all'interno di un simulatore standard (« phantom »); la posizione del punto va scelta in relazione all"energia del fascio. Dai valori di dose così rilevati vengono ottenuti i valori effettivi in rads, mediante impiego di formule, nelle quali sono introdotti diversi fattori di correzione relativi alle condizioni ambientali e di lavoro. Nelle parti 5a e 6" vengono trattate le operazioni successive che riguardano Ja valutazione della distribuzione della dose assorbita nei diversi punti del simulatore. Queste determinazioni hanno lo scopo di ottenere una mappa tridimensionale della distribuzione stessa e vengono, in genere, effettuate mediante impiego di tavole di isodose che sono comprese nella dotazione delle sorgenti o sono pubblicate dall'l.A.E.A. (lnternational Atomic Energy Agency). Vengono anche discusse le condizioni di applicabilità <lei dati riportati nelle tavole alle singole situazioni di lavoro e gli eventuali fattori di correzione da impiegare. Per ciascuna operazione sono indicati, sulla base di considerazioni teoriche e pratiche, il sistema di misurazione, l'apparecchiatura e il metodo di rilievo più idonei. Una ricca bibliografia ed un glossario dei termin i tecnici cli più frequente impiego completano la pubblicazione, che può ritenersi di grande utilità per chiunque sia interessato ai problemi della dosimetria delle radiazioni. G. GRECO


SOMMARI DI RIVISTE MEDICO -MILITARI

IN TERNAZIONALE REVUE I TERNATIONALE DES SERVLCES DE SA1 TÉ DES ARMÉES DE TERRE DE MER ET DE L'AIR (A. 47, n. 3, 1974): Bastien, Carré, Chevalaaud , Gueffier, Lachaud: Selezione e controllo sanitario del personale aeronavigante; Pan11ier: Sgomberi sanitari per via aerea; Labat f., Simon M., Galle - Tesso1111eau f., Girard J.P., Mathon /.: Il Temesta ultimo nato degli ansiolitici, e sua applicazione in psichiatria. REVUE INTERNATIONALE DES SERVICES DE SANTÉ DES ARMCES DE TERRE DE MER ET DE L'AJR (A. 47, n. 4, 1974): Po11s /., De Greslan M.: L'infortunato maxillo - facciale. Dal trauma al trattamento specializzato; Deane E.L.: Organizzazione e funzionamento dei servizi odontoiatrici nelle FF.AA. australiane; Sharp R.C.: Documentazione e procedure impiegate presso i servizi odontoiatrici Jella Reale Forza Aerea Australiana: Martin C.S.: Odontoiatria preventiva nelle FF.AA. Australiane; fannet C., Moine M.: Anestesia in odontostomatologia: il Ketalar.

ANNALI DL MEDICINA NAVALE (A. LXXfX, fase. 1, gennaio - marzo 1974): Moretti G.: Considerazioni sulle immersioni in alti fondali; Bezzi C., Terzi I. , Paviot P.: Osservazioni sull'impiego delrisoenzimogramma LDH nella diagnostica d i miocardiopatie ed epatopatie acute; Albano G.: Fisiologia della respirazione iperbarica Parte TI - Gli scambi gassosi; Natale G.: Rara complicazione chirurgica in un soggetto adulto portatore di Mesenterium Commune; Paole/la G.: Rapporto clinico - sperimentale sull'impiego dello « Amplium >> nella terapia delle affezione batteriche riscontrabili in ambiente militare; Di Donna A..: Recluta mento e addestramento degli Ufficiali Medici nelle Forze Armate Italiane; Rutoli A.: Sessualità umana e procreazione responsabile; Pezzi G.: li contributo <lato Jal Maestro N icola da Reggio (sec. XIV) alla conoscenza delJe opere di Galeno. AN . ALT DI MEDICINA NAVALE (A. LXXIX, fase. H, aprile - giugno 1974): Moretti G.: Aspetti e problemi dietetici connessi con l'attività operativa dell'incursore; Fancl U.: Struttur~zione, funzione e compiti del Laboratorio di analisi negli Ospedali Militari con particolare riguardo all'attività di ricerca negli Ospedali Principali della Marina Militare: Stigliano G.: La dietilamide dell'acido lisergico. Aspetti chimici e farmacologici; Ghittoni L.: Acquisizioni e orientamenti attuali di iperlipidemie ed aterosclerosi; Russo D. : La posizione critica del radioterapista nel trattamento del cancro della mammella; Paolella G.B.: Studio clinico suiruso del ketalar << in drip ». Indicazioni e vantaggi; Renda G.: Prolegomeni sull'autovaccinazione per la profilassi delle recidive e delle metastasi nei tumori maligni operati: Jacobelli C.: Sul valore clinico e pratico delle prove fu nzionali epatiche.

6. - M.M.


544 RIVISTA DT MEDICINA AERONAUTICA E SPAZIALE (A. XXXVII, n. 1 -2, gennaio - giugno 1974): Zardi O., Nobili G., Adorisio E . : Considerazioni sulla vaccinoprofìlassi antitetanica; Rota P., Petrelli G.: Determinazione della massima potenza muscolare anaerobica e suo significato come prova di valutazione funzionale; Sparvieri F.: Considerazioni sugli errori in volo; Spa,-vieri F.: Analisi percettiva in condizioni tachistoscopiche; Rotondo G. : Lesion i vertebrali da ejezione con seggiolino catapultabile (parte prima); K och C.: Sindromi otorinolaringoiatriche in aeronautica (parte prima); Ruggieri G.: Ambieme ospedaliero militare e condizione umana; Palmisani L.: Jndennizzabilità dell'infortunio sul lavoro in mancanza di elementi di colpa dell'infortunato.

ARGENTINA REV ISTA DE LA SANIDAD MILITAR ARGENTINA (A. LXXII, n. 3, settembre - dicembre 1973): Estevez R.A ., Trim bo/i De Stevez O.: Cicoenzimologia dell'endometrio e dell'endo - eso - cervice; Lupano /.C., Garcia Sordelli E.R., Almuifia l-1., De "La Vega E.H., Da/ton C.A.: Cilindroma del velopcndolo; Boero M.A., Corra! F.A., Dominici P.f .A.: Determinazione del litio nel sangue. Usi terapeutici in clinica psichiatrica e metodologia di ricerca; Abuin /.C.: Il mantenimento ospedaliero; Santiago Di Bari D ./.: Considerazioni psicopatologiche sulla debolezza mentale; Ko,·emb!it E., Sanzol R.N., Schiavo H.A.: Sequele neurologiche perinatali; Borghelli R.F., Stipparo M.A ., A ndrade f.H . : Studio della patologia orale in 1293 uomini di 20 anni della provincia di Chubut (Argentina); Garcia Conde f., Galassi R.H.: Radiografia panoramica di entrambi i mascellari.

FRANCIA MÉDECINE ET ARM1~ES (Vol. 2 , n. 3, marzo 1974): Delahaye R.P.. A uffret R., Metges P.f.: Fratture del rachide da eiezione nei piloti di aerei da combattimento; Larcan A., Stoltz /.F., Laprevote - Heu/Ly M.C., V oiry A.M., Vigneron C.: Modificazioni di tre parametri (mobilità elettroforetica delle piastrine, resistenza globulare, pressione di filtrazione del plasma arricchito in piastrine) nel corso di va rie aggressioni; Goa.cguen /., I..,au1·e,zs A., D elprat /., Bonnet M., Cii/et /.P. , Moreau J.P., Didier A. : Stud io della ripartizione delle emoglobine nel Sud Dahomey; Piquard B., Perrichaud /.: P rolasso totale del retto nell'adulto; Thomas f.P., T imbal Y., Houdelette P. : La nostra esperienza sull'estrazione endoscopica con la sonda di Dormia dei calcoli clell"uretere pelvico; Bernard J.: Stato attuale del trattamento delle leucemie acute; Boutet B., Garrigue G. , Floc/1 /.f., Payen G. , Menaud G., Brnnquet D.: Difficoltà diagnostiche della forma lupoide della leishmaniosi cutanea in territorio metropolitano; La,u1·e11s A., Goasguen f. . Delloue M., Falcot /., H iftenbrand C.: Problemi posti dalla scoperta di una poliglobulia; Waag / .A., Cui/baud/., Monteil R ., Menard M., Min e /.: Frattura lussazione di spalla da folgorazione elettrica; Bouday E., Gaggini J.: Su 9 osservazioni di tbc intestinale e loro tratta memo; Fabre A. : Occorre bandire i.I principio classico della selezione chirurgica nell'impiego operativo del servizio sanitario divisionale?; Bouery G. , Beloeil C. : Procedura automatizzata nell'assistenza ospedaliera ambulatoriale. Mf:DECINE ET ARMÉES (Voi. 2, n. 4, aprile 1974): Barbotin M., Oudart J.L.: Affezioni epatiche ed antigeni HB: Siro! / ., Ge11dron Y.: Alcuni aspetti delle complicazioni encefalo - meningee del morbillo tropicale ; Discamps G.: Nuove nozioni sulla


545 classifìcazione delle emopatie maligne linfoiJi ed istiocitarie; Segalen ]., Jonas P.: Impiego clinico dei tesl di intelligenza; Boraud f.M., Delage M., Mouri11 P., Archambault /.C., Heunel A., Sutra Y.: Condotte devianti cd atteggiamenti terapeutici in un servizio di psichiatria di recente costituzione; Fromantin M., ,1\/elin R., /Ife H., Lefebvre P.: SinJrome poliuro - polidipsica post - traumatica di meccanismo fisiopatogcnetico complesso; Didier A., Cane R.: Mioglobinurie; Comand G. : Condotta da tenere Ji &onte ai corpi estranei metallici superficiali della cornea; Meunier JL., Aury R., Farestier R., Prunet D.: La tonsillectomia nell'adulto sono anestesia generale; Ehrhardt /.P.: Alghe, medicina e biologia. LE M f'DECIN DE RtSERVE (A. 70, n. 3, maggio - giugno 1974): Chichignoud: Incidenti stradali. LE PHARMAC IEN DE RESERVE (A. 68, n. 2, 1974): Badrè R.: La rigenerazione dell'aria a bordo dei sommergibili; A 11dre L.J.: Laveran.

INDIA ARMED FORCES MEDICAL JOURNAL INDIA (voi. XXX, n. 1, gennaio 1974): Roy SB.: Rilevamento diagnostico dell'auività reumatica in pazienti con malattia reumatica cardiaca; Mall,k K.C.B.: Patologia del vivente - un nuovo orizzonte della patologia; Mani K.S.: Epilessia; Nanda R .B.: Ittero cronico persistente; Dutta R.N.: Tecniche trasfusionali: Gomez D.M.: Sostituzione di sangue e liquidi in situazioni campali: Pal B.K., Chopra S.K.: Malattie dei linfonodi; Chatterjea M.N., Chopra S.K.: Prostaglandine_: Goel D.S.: Manifestazioni somatiche delle malattie psichiatriche; Thakur V.M., Mehta D.N., Ramani G.V.: Trattamento dell'allergia nasale; Vatwani V. : A vvelenamento da endrina; !Mowal S .R., Pal Y., Gupta K.K.: Malattia reumatoide polmonare. ARMED FORCES MEDICAL JOURNAL INDIA (Voi. XXX, n. 2, aprile 1974): D as S.K.: Studio sulla capacità lavorativa aerobica nei Gorhas civili e militari ; fohn S.C., Si11gh G., B11gc/1i S.C.: Stud io epidemiologico delle lesioni nel personale dell'Esercito impiegato nell'ordine pubblico; Rai R.M., Chaturvedi R.C., R1111ga11athan S.: Studio audiometrico ne.lle reclute dell'Esercico; Gosh A.K.: Sviluppo dei seni paranasali; Rao A.V.I\'.: Disordini paranoidei; lamba f.S., Cupta S.K.K.: Rassegna cli medicina preventiva nell'Esercito: llanerji S.: k icerca sulla specifica natu ra e frequenza di lesioni dell'intestino tenue in casi di dispepsia con normalità radiologica dello stomaco, duodeno e colon: Xaraya11a11 G.R.: Alcuni aspetti delJa sindrome Ji \Volff - Parkinson \Vhite; Ahmed K.A.: Sincinesia di Marcus Gunn; Clwftlrvedi N.S .. Klzandekar S.N.: Un caso d i fìbroadenoma massivo gigante della mammella con obesità.

IN GlllL T ERRA JOURNAL OF THE ROYAL ARMY M EDICAL CORPS (Voi. 120, n. 2, aprile 1974): Warke! R.L., Stewart /.B.: Malattia di Hodgkin: Ve/la E.E. : Rabbia: Duncan R. W.: Inibizione della lattazione in una unità di maternità di ospedale mililare; Hedges K.: Edema polmonare acuto ad alta quota: Bate C.M.: Tratlamento della beta talassem ia omozigote.


JOURNAL OF THE ROYAL ARMY MEDICAL CORPS (Voi. t20, n . 3, luglio 1974): Webb /.F.: L'Ospedale Militare di Cambridge; Hedges K.: Mal di montagna: Dignan A .P., Smith /.A .R.: Un caso di lesione del grosso intestino secondaria a frattura pelvica; Joliston f .G., Kessel L.T.: Un caso di definitiva ricostruzione mandibolare a seguito di lesione da arma da fuoco riportata nell 'lrlanda del Nord; Burgess N.R.H., Mc Dermott S.N. , Blanc A .P. : Una trappola elettrica per il controllo di scarafaggi e di altri ani.mali fastidiosi domestici.

JUGOSLAVIA VOJNOSANITETSKI PREGLED (A. XXXI, n. 2, marzo - aprile 1974): Kapor G. e coli.: Pattori medico - sociali incidenti sull'abbandono del Corpo senza autorizzazione

da parte dei soldati; A ntic M.: Scintigrafia renale; Raskovic J.: Coscienza come parametro di traumatismo cerebrale; Popovic H.. e coli.: Valore degli interventi chirurgici sui seni paranasali nel trattamento della neurite rctrobulbare; Veselinovic Z.: Congiuntivite allergica; Hranilovic A. e coli.: Problemi fondamentali di rifornimemo sanitario delle unità e degli stabilimenti nella difesa nazionale totale; Kosanic M.: Applicazione delle radiazioni ionizzanti nella sterilizzazione del materiale sanitario; N ozic S.: L'esame radiologico come metodo di dépistage nell"esercito popolare jugoslavo; Piscevic S. e col!.: Lesione chiusa dell'arteria carotide comune; A postolski A. e col!.: Miocardite da vaccinazione antivaiolosa. VOJNOSANITETSKI PREGLED (A. XXXI, n. 3, maggio - giugno 1974): Pantelic D. e col!.: Influenza di precedente trattamento di animali mediante endotossina sulla resistenza allo shock emorragico; Nagulic I. e coli.: Cisticercosi cerebrale; Jovanovic Z. e col/.: Fratture triframmentarie della tibia; Jovanovic Z.: Dinamismo della contrazione cardiaca nei soggetti con blocco foca le della branca destra; Hranilovic A. e colf.: Rifornimenti san itari in guerra per i primi soccorsi e per l'assistenza nell'ambito della med icina generale; Dragic B.: Considerazioni sull'effetto di alcuni fattori fisici sulla stabilità dei medicinali immagazzinati per le esigenze della difesa nazionale totale; Matusa11 / . e coli.: Degeuerazione epatolcnticolare; Radojcic B. e col!.: Fihrinolisi ed elettroshockterapia; Rervar M.: Trattamento ambulatoriale di pazienti m ilitari con emorroidi.

NORVEGIA SANITETS NYTT (A. 20, n . 1, marzo 1974): Berner /.H.: Servizio obbligatorio o servizio vantaggioso; Smevik B., Traavik T.: Antigene Australia; Mathisen O.: Ricerca sullo iodio in Norvegia; Waldum H.L., Huser P.O.: Reazioni da stress in condiz ioni di severo addestramento militare.

REPUBBLICA FEDERALE T ED ESCA WEHRMEDIZ INISCHE MONATSSCHRIFT (A. 18, n. 1 , gennaio 1974): Kippke H.: La medicina preventiva e curativa nelle FF.AA. Federali oggi e domani; Fischer V.: Valutazione delJa resistenza al carico dopo lesioni ossee nell'infanzia; Ros.setti -,.1.: La medicina degli eventi catastrofici come realtà e come argomento di insegnamento;


547 Gmuls V., Weigel K., Apel G.: Coccidioidom icosi ed idoneità al volo; Sydow H.: li fondo nello sport degl i anziani. WEHRMEDIZlr-.11SCHE MONATSSCHRIFT (A. 18, n. 2, febbraio 1974): Schmahl K.: La sindrome gottosa dal punto di vista della medicina militare; fenny E.: Elisoccorso mediante verricello con l'Alouette Ili; Stumpfe K.D.: La morte psicogena in prigionieri di guerra e misure di prevenzione e terapia; Eisele G.: L'anestesia con metossif!uorano neUa riduzione a cielo coperto di fratture e lussazioni. WFHRMED lZlNISCHE MONATSSCHRTFT (A. 18, n. 3, marzo 1974): Schaefer H.: Importanza della medicina sociale per la medicina militare; Dolp R.., Dick W., Reineke H.: Speciali caratteristiche e.li controllo prima, durante e dopo l"intervento in pazienti urologici; Sturde H.C. : Patogenesi, diagnosi e trattamento delle malattie allergiche in dermatologia; Ble11k H., Braun B., Hofstetter A.: Metodo Immunologico per la differenziazione dei disturbi neurovegetativi dai processi in fiam matori nella regione degli annessi maschili; Micliel R., Mendheim H.: Parassiti tropicali e cosmopoliti. WEHRMEDIZINISCHE MONATSSCHRIFT (A. 18, n. 4, aprile 1974): Klose F.: Prevenzione e trattamento della gangrena gassosa; Schrapler P., Rouzbeh f.1.: Colecisti rigenerata; A hnefeld F. W., Haug H., lsrang H.1-f..: Ketamina, un anestetico in caso di catastrofe e di emergenza; Mletzko f ., Schirmer M.: Ernia discale - lombare e dipendenza da causa di servizio militare; Renner E., JJerg H.: Trattamento conservativo farmacologico delle malattie vertebrali. WEHRMEDlZlNISCH E MONATSSCHRIFT (A. 18, n. 5, maggio 1974): Grill W.: Valutazione della capacità ful17.ionale e della resistenza al carico nelle lesioni degli arti dopo la fine del trattamento; Schmahl K.: Il colon irritirabile dal punto di vista medico - militare; Fischer H.: Alterazioni morfologiche della mucosa gastrica nei soldati; Po!lmann L.: Ritmo circadiano della sensibilità dolorifica dentaria; Franz E., Rohde B. T.: Reazioni fisiopatologiche della capigliatura e delle unghie causate da tossicità farmacologica. WEHRMEDIZINISCHE MONATSSCHR!FT (A. 18, n. 6, giugno 1974): Kinzl

L., Walter D.: Clinica e terapia della condrornalacia della rotula e dell'artrosi femoro patellare; Loth R., Mangaold G. : Diagnosi e trattamento della rottura chiusa del diaframma; Bichert W.: Analisi a udiometrica del personale aeronavigante; Pollmann L.: Osservazioni sulla precoce ri mozione del dente del giud iz io nella dentitio diffìcil chronica.

ROMANIA REVISTA SANITARA MlLITARA (1973, n. 6): Zamfir , C., Veri11ceanu V., Macarie C.: Eziopatogenesi delle arteriopatie croniche degli arti inferiori; Marinescu B., Teodorf'sett C., Canta P., Apetl'ichioafr C.: Diagnostica delle arteriopatie croniche ostruttive degli arti inferiori; lo11escu M., N icolau A ., Cazan A., Tintoiu l.: Trattamento medico delle arteriopatie cro niche degli arti inferiori; Mitrache F.: Concezione moderna sul meccanismo fis iopatologico delle intossicazioni; Augustin A., Grigorescu C., Marinescu !. , /Jina M. : Evoluzioni e trattamento delle complicazioni del rene policistico; Szava l.: Tecnica personale di accesso postero - laterale transmediastinico o retroperitoneale ai corpi vertebrali mediante clivaggio sottoaponevrotico lombo• dorsale; Vasi/iad M., Efanov A., Cioba G., Urseanu !. : Artrite sterno• clavicolare post• abortum.; Diaconescu G., Barcea H ., Galan I ., Pascu R.: Considerazioni sul blocco di branca biJaterale; Gordan G., Oltea11u A.: Endemicità delle infezioni colibacillari in ambiente fa-


miliare; Voicu G.: Riflessioni su due casi clinici di ileo biliare; Nastoiu !., Constantinescu L., Cumpanasu V.: Contributo alla diagnosi di laboratorio della proteinuria intermittente nei giovani; Grigorescu V., Cruceru C., Mladinas D., Tanasescu V., Birsan !.: Necessità di includere ne!Je tabelle medico - legali alcune forme di naupatia; Popescu A., Mirescu E.: Trattamento locale dell'acne; Tacu V.: Aspetti de!Ja patologia genitale non - venerea nell 'uomo; Dijmarescu !., Zdrafcovici R., Oprescu C.: Effetti farmacodinamici dell'associazione farmacologica.

SVIZZERA

SCHWEIZERISCHE ZEITSCRIFT FOR MJLITARMEDIZlN ( 1974, n. 1): Eisering ]I: La recluta che piange; Pfi.<terer 1-1.: « Aesculap », grande esercitazione sanitaria (medicina della catastrofe) svoltasi ad Aaran - Un bilancio; Helmig H.: Edi.:cazione sanitaria alla ginnastica; Borja A.R.. Ransde/l H.T.: Trattamento delle ferite penetranti del torace da arma da fuoco.

U .S. A .

MILITARY MEDICINE (Voi. 139, n . r, gennaio 1974): Miller M.B., Loftus P.M., Lohr D.C., Reynolds R.D., Bratton /.L. , Hanson J.P. , Keil P.G.: Sprue tropicale nel Vietnam del Sud; Martin W.A., Kraft G.H.: Neurite ciel cingolo scapolare; Walker F.: Colmare una lacuna culturale per una migliore assistenza del paziente; Conrad M.E.: Un esperimento nell'istruzione medica post - laurea: un programma di orientamento per interni in ricerca clinica; Citin E.L., Demos M.A.: Rabdomiolisi acuta da sforzo; Jackson F.E., Pmtt R.B., Back /.B., Fleming P.M., Juteau L.: Aneurismi arteriosi intracranici multipli; Henry L.D., Di Maio V.].M.: Un caso letale di avvelenamento da esaclorofene; Lesser P.B.: Ittero colostatico intraepatico da farmaci; Mac Lean T.A.: Reflusso vescico - ureterale. MfLITARY MEDICINE (Voi. 139, n. 2, febbraio 1974): Artemtein M.S., Winter P.E., Gold R., Smith C.D.: Jmmunoprofìlassi dell'infezione meningococcica; Strange R.E.: Prospettive psichiatriche del veterano del V ietnam; Andrada M .T., Kanti Dhar ]., Wilde H . : Linfogranuloma venereo orale e linfadenopatia cervicale; Roge,·s R.E. : Valutazione dei disturbi postumi ad episiorrafia praticaca mediante suture con acido poliglicolico o catgnt ; Burke E.L.: Intubazione, un semplice approccio all'emorragia del piccolo intestino; Holloway H.C.: Epidemiologia della dipendenza da eroina tra i soldati nel Vietnam; Perkins M.E.: Tossicomania da oppiacei e psichiatria militare fino alla fine della seconda guerra mondiale; Edwan/s E.: Pratica infermieristica nell'ambito della ricerca medica; Ludwick W.E., Gendron E.G., Pogas /.A., Weldon A.L. : Urgenze odontoiatriche nel personale della Marina e dei Marines impiegato in Vietnam; Reader AL., Prato C.M., Akers T.C.: Frequenza dell'epatite tra i drogati della Marina; facf(son F.E.: A racneidite ottica chiasmatica; Strauss M.B ., Orris W.L.: Lesività dei sommozzatori da animali marini. U.S. NAVY MEDICINE (Voi. 63, n. 2, febbraio 1974): Pasquale D.N., Burningham R.A.: Valutazione diagnostica dei disturbi del meccanismo emostatico; Smith R.L.: Iperalimentazione parenterale; Cehlhausen J.A.: Programma di preparazione delle soluzioni endovenose; Stump T.E.: Unità odontoiatrica mobile; Koenig H.M., Ltwg J.E.: Le petecchie del neonato.


549 U .R.S. S. VOENNO MEDIZINSKIJ JURNAL (N. r, gennaio 1974): Kuvsinskii D.D.: Elevare la partecipazione militare ed ammodernare l'addestramento di campagna del servizio sanitario; Voropaj A. V.: Alcuni problemi di scienza naturale; Mironov G.S. : Dietoterapia dei malati infettivi nelle fasi dell'evacuazione sanitaria; Matlin N.M.: La base scolastico - materiale della letteratura sanitaria del personale degli O1.LenVO; Alekseev C.K.: La terapia dell'ossigeno nella pratica del medico militare; Dygin V.P.: Malattie di autoimmunizzazione; Kolter I.I.: Problemi di immunologia e immunopatologia delle ustioni; Svare F .G.: Terapia delle ustioni negli ospedali di guarnigione; lg11atev M. V. : Alcuni medicinali utilizzati per la cura dell'arteriosclerosi; Statikov L.l.: Biopotenziali nel ritmo del cuore sull'elettroencefalogramma; Afagonov V.I., Goldrin R.JJ., Lev M.l., Kuznecov V.G., Lochova M.D., Rodina V.fa , Gajadamovic S./a: Sulla comparsa di una infezione da zanzare nel Lontano Oriente, arbovirus del gruppo A, dal pynto di vista dell'antigene vicini al virus del bosco di Semlika: Tefen N.E., Egorova N .B., M irosnicenko 1. V., Voroncov !. V., Severcova M .K ., Efrenova V .N.: Risultati dell'osservazione sullo stato immunologico nella catalessi in persone di giovane età; Gajdaj V.M.: Influenza della resistenza all'abbagliamento sulla capacità di lavoro dei conduttori e degli operatori RLS; Rudenko V .P., Sabados I.: Azione uditiva del rumore di grande intensità; Curvic G.I., Bondarev F.V., Egorov V.A., Marischuk VL., Tolstov V. V. : Peculiarità psicofisiologiche dell'attività del personale dell'aviazione da trasporto alle basse altitudini; Kuznecov V.G., Zernakov V .F. : Aspetti san itari dei voli alle basse altitudini in atmosfera turbolenta; Ochrimenko N.N., Zaikin V.S. : Utilizzazione dell'ipoterm ia regionale nella cura dei malati con profonde lesioni alla circolazione del sangue del cervello; Savelov V.I., Etitejn fu.V. , Tatiaskin M.T.: La preparazione e la conservazione dei trapianti di tessuto senza J' osservanza dell'asettica; Timofeev V. V. : Alcuni indici d i emodinamica in presenza di gravi traumi meccanici; Merkut·ev N.D., Paraclmevic D .T. , Dlepyncin V .l., Sololov V.I.: Valutazione clinica dell'azione diuretica e ipotensiva di alcuni preparati; Sivacenko T.A., Kondmsenko U.T.: Il ruolo dell'ufficiale medico nella preparazione morale e psicologica dei soldati; Elinskii M.P. , Kostjuk A .L.: Problemi di igiene psicologica e psicoprofilassi nel lavoro dell'ufficiale medico. VOENNO- MEDIZlNSKIJ JURNAL (N. 3, marzo 1974): Panov A.G., Lobzin U.S.: Organizzazione dell'assistenza neuropsichiatrica nelle tappe dello sgombero sanitario; Silikaev V.G., Sulìanovski A .A.: Profilassi, primo soccorso e sgombero per persone con ustioni agli occhi e al volto; Dubinin A .F., Kucerenko D.G.: Controllo programmato delle conoscenze degli studenti nella preparazione sanitaria militare; Komarov F.!. , Tvanov A .1., Scerdinov V. V., Miljatina V.N.: Discinesie delle vie biliari ; Dmitl"Ìenko N .V., Negodova V.V., Belozerov V.V .: Valore d iagnostico dell'indagine ultrasonica della cistifellea; Deduskin U.S., Belik V.l. : Analisi dei risultati della cura delle lesioni dell'apparato fascicolare - capsulare; Carev N .!., Sorokin f u.l.: Problemi <li controllo nelle lesioni dell'apparato fascicolare; Tkebucava G.!.: Lesioni associare delJ"articolazione del g inoccl.io; Ter - Andriarov EL.: Clinica, patogenesi e cura delle complicazioni del bulbo oculare nelle ustioni del volto e delle palpebre; Danilicev U .F.: Classificazione e cura dei postum i di ustioni; Sultanov M./a .: T erapia patogenetica della blefarocongiuntivite e profilassi dei suoi aggravamenti; Tarosov V .l., Sosolev A.I., Krasnov V.M., Romanov A.C.: Malattie provocate da salmonella cli gruppo C; Rozkov A .S.: Metodo rapido di ricerca batteriologlca nelle infezioni intestinali ; Surygin D.Ja., Vjazieskii P.O., Galomzik N .S ., Korotl(Ov D.!.: Influenza dell'ipocinesia delle ghiandole surrenali e sul sistema simpatico-adrcnalico; Davydov O.V.: L'indice negativo <li Ker<lo in condizioni di ipocinesi prolungata; Raev S.F.: Respirazione con ossigeno sotto pres-


55° sione elevata; Lisovskii V.A., Semko V.V.: Alcuni indici di attività ormonale della corteccia surrenale nei subacquei; Zubareuk S.K., Kajimov A .H.: li metodo di fluorografia del sistema osseo; Bonitenko Ju.f u.: Prova indocianinica quale metodo integrativo di valutazione della funzionalità epatica; Nikolaev C.M., Mucham etz janov S.A ., Kac A.S., Cuprin V.G.: Su una rara varietà di sindrome miorenale; Oreskin P.P., Devjate1"ikov A.I., Ma,·ima S.l., Filippov S.V.: Sul problema della cura chirurgica delle tubercolosi polmonari; Konovalov F.F.: Manifestazione delle t ubercolosi primitive degli organi respiratori nei giovani; Sumbko L.A., Gorochova G.A.: Infarto del miocardio con decorso privo d i sintomi; Cechosvskj N.S. : Organizzazione scientifica del lavoro delle infermiere nel settore terapeutico dell'ospedale; N adot V.M.: Uso del microclisma con metacile nella cura sanatoriale della colite cronica; Ulitin f u.G.: Sull'attuazione di provvedimenti igienico - sanitari nei reparti; Kales11ik o11 K.I ., S/ettkov L.A ., Elinov P. V., Ermaskevic: Come inculcare abitudini pratiche nell'organizzazione del lavoro dei PMP.


NOTI Z IARIO

CONGRESSI

Semina rio internazionale medico - m ilita re (Innsbruck, 22 - 26 aprile 1974). Organizzato dalla Sanità M ilitare Austriaca, in collaborazione con la .locale Università, si è svolto ad Tnnsbruck dal 22 al 26 ap rile 1974 e ha avuto per tema i problemi specifici del servizio sanitario in condizioni di alta montagna. Nel q uadro di una visione globale, monografica della fisiopatologia dell'altitudine e del freddo, sono stati organicamente trattati dai relatori militari e civili i seguenti argomenti, vivificati da realistiche dimostrazioni pratiche e dalla proiezione di interessanti documentari: assideramento; congelamenti; lesività da radiazioni solari; sinistri da valanghe; mal di montagna; traumatologia degli arei e del cranio; shock; tecniche rianimo - trasfusionali: mezzi di sgombero; lesioni da corde di assicurazione; paralisi da zaino; avvelenamenti eia bivacco (CO, CO,, meta): alimentazione; fatica e sforzo fisico; educazione sanitaria, selezione ed addestramento della truppa da montagna. Particolare risalto è stato dato, nelle sue implicazioni sia militari che civili, alle operazioni di soccorso alpino, con trasferi mento dei congressisti all'eliporto di Schwaz ed al poligono m ilitare di alta montagna di Wattener Lizum, ove, nonostante le proibitive condizion i meteorologiche, si è avuta una piena d imostrazione della perfetta organizzazione campale del soccorso alpino militare austriaco in personale e mezzi. Nell'incomparabile cornice alpina, culturale e storica della Capitale del Tirolo i congressisti stranieri (Francia, ltalia, Repubblica Federale Tedesca e Svizzera) sono stati gratificati clall'estremamente cordiale accoglienza dei Colleghi aust riaci e dalla partecipazione onorifica delle Autorità governative, regionali e cittadine. L'Italia era rappresentata dal Maggior Generale Medico Dr. Massimo Cirone, che ha presentato una comu nicazione sull'impiego delle tecn iche sociometriche nei piccoli g ru ppi di truppe da montagna, con particolare riferimento alla determ inazione sociograhca dello stile di comando, alla valutazione statistica della coesione ed alla identificazione dei soggetti leaders ed isolati. M. CiRONE

II Congresso nazionale del Collegiu m I nternationalc Chirurgiae Digestivae. La Sezione Italiana del Collegium Incernationale Chirurgiae Digestivae terrà il suo fT Congresso nazionale a T rieste dal 6 al l'8 giugno 1975.

TI Comitato Organizzatore del Congresso fin d'ora sta predisponendo un'intenso programma scientifico che prevede una serie di simposi, tavole rotonde, discussioni faccia a faccia, proiezioni di films e comunicazioni libere e a soggeno su tutti i problemi più attuali e avanzati della ch irurgia e della endoscopia digestiva. Per i nformazioni rivolgersi a : prof. Piero Pierr i, Istituto di Semeiotica Ch irurgica, Università di Trieste, tel. (040) 774 - 774-


55 2 Tavola R otonda sui problemi medici e sociali della paraplegia. Si è svolta in Roma, presso l'Aula Magna dell'Istituto di Medicina dello Sport, nei giorni 30 e 31 luglio 1974, in conremporaneità con i « Giochi Internazionali per Paraplegici Roma 74 » , una « Tavola rotonda sui problemi medici e sociali della paraplegia >). Indetta dall'Associazione Medica Italiana di Paraplegia, la manifestazione - vivificata dall'apporto culturale ed esperienziale di un uditorio particolarmence qualificato ha posto all'ordine del giorno le complesse problematiche organizzative, infrastrutturali, terapeutiche, riabilitative e medico - legali che sono sollevate dall'assistenza ospedaliera e post - ospedaliera e dal reinserimento occupaziona le del paraplegico. E ' stata notata la presenza attiva di Sir Ludwig Guttmann, fondatore del National Spinai Injuries Center presso lo Stoke Mandeville Hospital, <lei Prof. Anton io Vene• rando, Direttore dell'Istituto di Medicina dello Sport di Roma, del Prof. Angelo Capparoni, Presidente dell'Ente Ospedaliero Centro Traumatologico Ortopedico di Roma, e del Prof. Angelo Massarelli, Direttore Sanitario del Cenrro Paraplegici C.T.O. di Ostia Lido e Presidente dell'Associazione Medica Italiana di Paraplegia. In rappresentanza della Direzione Generale della Sanità Militare è intervenuto il Maggior Generale Medico Massimo Cirone, il quale ha sottolineato la validità di una specifica cooperazione organizzativo - funzionale tra Sanità militare e civile, già operante nella Repubblica Federale Tedesca ed in Svizzera, e la necessità di una adeguata assistenza psicologica da fornire a questo particolare tipo di pazienti, ed alle loro famigl ie, in campo sia psicodiagnostico che psicoterapeutico.

NOTIZIE MILITARI

Promozioni nel Corpo Sanitario Militare.

da T en. Colonnello a Colonnello medico m spe: De Judicibus Arcangelo

da Maggiore a Ten. Colonnello medico in spe: Panci Carlo Di Pierro Annunzio De T orna Mariano Scirè Gaetano Ristagno Ettore Carollo Francesco Paolo da Tenente a Capitano cliimico farmacis111 in spe:

Mazza Paolo Miglictta Raffaele


553 Lauree. in medicina e chirurgia conseguite da allievi del « NEASMZ >> ; Bottazzi Antonio (100 / 110) Basile Luigi (iro/ I10 e lode) Cruciani Ferruccio (96/ uo) Ciccarese Valerio (no/ uo e lode) in farmacia conseguite da allievi del << N EASM! » : Calcagnile Franco (87 / rro) Chelucci Adolfo (uo/ rro e lode) Nicotra Antonio (80/ rro) Santoni Giocondo (110 / 110 e lode)

NECROLOGIO Ten. Col. Med. D ott. Elio Bray. Il 4 novembre è immaturamente deceduto, stroncato da malore improvviso, il Ten. Col. me. spe Dott. Elio Bray, otorinolaringoiatra presso l'Ospedale Militare di Firenze.

Nato a Lecce il 28 giugno 1928, si laureò brillantemente in Medicina e Chirurgia presso l'Università di Napoli l'i I luglio 1955 ed entrò nel ruolo permanente del Servizio San itario Militare nel 1957. Da tale data percorse le tappe principali della sua luminosa


554 carriera militare attraverso il serv1z10 prestalo presso l'Ospedale Militare di Caserta, di Bari e il Comando dell'84° Rgt.f. d i Siena. In quest'ultima sede - quale Dirigente del Servizio Sanitario - rifulsero le sue brillanti doti di spiccato senso di altruismo e di attaccamento al dovere, che sempre gli fecero anteporre il buon andamento del servizio e i1 perseguimento del bene altrui ad ogni sua personale esigenza, anche in contingenti precarie condizioni di salute. Fu in tale periodo che il suo sprezzo del pericolo e l'amore per il prossimo ebbero il meritato riconoscimento neU-encomio solenne, tributatogli 1'8 novembre 19('7 per essersi offerto di guidare un reparto del Rgt., impegnato nella ricerca di un Capitano pilota caduto con il proprio apparecchio nei pressi di Siena, proseguendo, nonostante l'imperversare della pioggia, nelle ricerche con generoso slancio, alto senso del dovere e profonda umanità fino a quando non fu trovato il corpo inerte del Capitano pilota in un crepaccio. « Confermava in tal modo le elevate doti di cuore e di mente ... di maestro e di guida dei giovani S. Tenenti medici, di disinteressata attività professionale ... Entusiasmo, passione, zelo e costante dedizione hanno suscitato per il Capitano Bray unanimi consensi e lusinghieri apprezzamenti anche nell'ambito civi le ». Già specialista in Otorinolaringoiatria dal 1961, vCJ111e trasferito presso l'Ospedale Militare di F irenze nel settembre del rg68. Qui, quale Capo Reparto Otorinolaringoiatrico, confermava ancora una volta le sue doti brillanti di Ufficiale e di Medico, che gli valsero un secondo encomio, perché « nell'assolvimento della sua impegnativa e delicata attività prodigava - con squisita sensibilità - ogni migliore energia nell'assistenza morale e spirituale dei militari ricoverati ... Provvedeva, inoltre, con opera veramente ap passionata a migliorare e perfezionare l'organizzazione ciel Reparto, elevandone la funzionalità, il tono e il decoro ». Organizzatore tenace e intelligente seppe dare un instancabile impulso personale alla sempre più perfetta funzionalità del Reparto Otorinolaringoiatrico, che, sotto la sua g uida, toccò vertici di qualificazione mai prima raggiunti. Egli si distinse sempre per la sua profonda preparazione scientifica, l'amore per la ricerca, la serietà e l'obiettività che poneva nell'interpretazione e nella valutazione dei risultati conseguiti. Queste qualità, che gli derivavano da una severa educazione professionale e da una vasta cultura d'ordine generale fecero del Dr. Bray uno studioso ;razionale e moderno, che seppe realizzare in modo mirabile e compiuto la sintesi del binomio di Ufficiale e di Medico. E' vivo in noi il ricordo delrintervento tempestivo e sapiente da lui compiuto - pochi giorni prima della fi ne e di cui si ebbe risonanza nella stampa - per salvare - nell'esercizio delJa sua attività professionale - una donna da q uella stessa morte, cui egli non poté sottrarsi. Rimangono in me - che gli fui vicino per tanti anni - e in quanti ebbero il privilegio d i conoscerlo l'amarezza profonda e il vuoto interiore per la scomparsa di un Amico leale. In silenzioso raccoglimento porgiamo l'estremo e commosso saluto all'Uomo, all'Ufficiale e al Medico.

R. B,1SlLE


INDICE DELLE MATERIE PER L 'ANNO 1974 Convegno internazionale a Fiuggi sull'educazione sanitaria nelle FF.AA.

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1

Saluto di commiato del Ten. Gen. Medico Dott. Ugo Parenti .

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133

Saluto del Ten. Gen. Medico Dott. M ichele Cappelli nuovo capo ciel Servizio della Sanità clell'Esercim

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135

Pag.

524

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279

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75

LAVORI ORIGINALI ALBERGHINI G.: Agostino Bercani medico, patriota, soldato A LESSANDRO A., PIERJ M., LrcuoRr A.: Determinazione complessometrica di biguanidi nei preparati farmaceutici B.1zzrcA1-uro P., MAFFEL G ., VIOLANTE A ., Dr,r. GoBBO V., So~JA A.: Studio sull'azione tossica delle dimetil - nitroso - amine: determinazione della DL50 nel ratto albino BAZZICALUPO P ., VJOLANTF. A ., MMFEI G., DEL GoBBO V.: Studio sull'azione tossica della climetiJ - nitrosoamina. Rilievi ematologici nel ratto in corso di intossicazione acuta e subacura BERNI A., FA1'uzz1 E., F ru PPrNr A., L uccr S., Bovr E.: Tecnica chirurgica per il trapianto cli insule di Langherans nel ratto .

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342

BrANCALANA L.: L'urgenza nelle lesioni traumatiche del d iaframma .

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BoscARtNO S., PoMPEJ R., T RrsouN1 P., CwALLARO A. : Ricerche su un sistema di trapianti di cute nei topi : pretrau amento dei riceventi con antigeni dei donatori chimicamente modi fìcati .

))

Bovr E ., F,1n:zz1 E ., BERNI A., F ruPPINI A ., Luccr S. : Tecnica chirurgica per il trapianto di insule di Langherans nel ratto .

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342

BRUZZESE E., T ucc rARONE R.: Considerazioni di ortopedia ginecologica .

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230

BRr.;zzESE E., V ro1.ANTE A., MAHEt G., LENZA G . : La funzionalità cortico-surrenalica in conigli sottoposti ad intossicazione subacuta con d imetilnitrosoami na . CALÌ D., GALOFARo A. : Considerazioni sulla genesi delle malattie mentali (dalla osservazione di un caso clinico) . C,1MPAN.-1 F. P., f AVuzzr E., D E ANTONI E., TEATINI A.: Problemi cli tecnica nella chirurgia della parotide CAVALLARO A ., Po~1n1 R ., TRISOLINI P ., Bosc,1R!NO S.: Ricerche su un sistema cli trapianti di cute nei top i: pretrattamento dei riceventi con antigeni dei donatori ch imicamente modifìcati .

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5)6


556 CAVARZERANJ A .. ORLANDO G., RuscoN1 C., CONSIGLI ERE F.: Reperti stetoacustici arteriosi femorali in soggetti sani di giovane età a riposo e dopo sforzo

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348

CHIARUGI C.: Aspetti medico - legali della lesività splenica

))

185

C11111Ruc1 C.: L"osteotomia di roedializzazionc quale trattamento delle pseudoartrosi del collo del femore .

))

248

Co:-.SIGLIERE F., C.wARZERANI A., ORLANDO G., Rusco1s1 C.: Reperti stetoacustici arteriosi femorali in soggetti sani di giovane et:i a riposo e dopo sforzo

))

348

Ci:cc1i--1E1.Lc G.: L'osteoma osteoide .

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355

Cucc1N1Eu.o G.: Il d istacco apofisiario della tuherosità ischiatica

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366

Cucc1N1E1.1,o G .. MoNTRONE F.: Cisti meniscalc del ginocchio .

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291

D,cRADI A.: L'urgenza toracica in chirurgia

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311

D ALLE ORE G.: L'urgenza chirurgica in neurologia

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100

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51

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44°

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75

DE A:-To:,.1 E .. F.-w1nz1 E., CA\!P'\NA P. P., T1,AT1N1 A.: Problemi <li tecnica nella chirurgia della parotide DE LAURENzr V.: Sulla paralisi periodica familiare DEL GOBBO V., MAFFEI G., V10LA1'TE A., B.1zz1c,1Luro P., SoHA A.: Studio sull'azione tossica delle dimetil - nitroso - amine: determinazione della DL.o nel ratto albino Dn Cosso V., VrnLANTE A., MAFFEI G., R'\ZZICALL"PO P.: Studio sull'azione tossica della dimetil - nitrosoamina. Rilievi ematologiei nel ratto in corso di intossicazione acuta e subacuta

))

D1 AnoARIO A., Dr MARTl'-10 M., ZAIO A.: Il problema dello smaltimento dei rifiuti solidi in uo centro termale con particolare riguardo per la città <li Fiuggi

))

D1 M 1Rn1so M., ZAro A.: Aspetti epidemiologici della rosolia nell'esercito italiano D1 MARTINO M.: Lo sviluppo dell'educazione sanitaria nelle Forze Armate: elaborazione <lei programmi di educazione sanitaria . D1 MARTINO M .. Z,uo A., Dr AooARlO A.: l i problema dello smaltimento dei rifiuti solidi in un centro termale con particolare riguardo per la città di Fiuggi Es1>0sno P., FAv1·zz1 E.: L'igiene mentale nella comunità militare. Problemi e prospettive per una psicologia applicata alle FF.AA. FAvuzz1 E., T uccBROr-.t R.: La riabilitazione del politraumatizzato della strada nell'amhiente militare 1973. FAvuzz, E., CAMPANA F. P., DE A 'ITON1 E., TEATINI A.: Problemi di tecnica nella chirurgia della parotide

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2 39

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334

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42

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FAv1.,•zz1 E., M1,1s1LL1 C., Tucc1AR01'E R.: Cupruria e neoplasie delle ossa .

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104

FAvuzz1 E., Tt·ccr \R0~t R.: Le foi,fatasi seriche nelle metastasi ossee .

))

175


557 FAvuzz1 E., BERN1 A .. Fr1,,1rr1N1 A., Lucci S., BovE E. : Tecnica ch irurgica per il trapianto di insule di Langherans nel ratto .

Pag.

342

F.~vuzz1 E., E~rosrrn P. : L'igiene mentale nella comu nità militare. Problemi e prospettive per una psicologia applicata alle FF.AA.

»

463

F1uPP1:--11 A., FAvuzzr E., BERNl A., L ucci S., BovE E. : Tecnica chirurgica per il trapianto di insule di Langherans nel ratto .

»

342

GAtoFARO A., CALl D.: Considerazioni sulla genesi delle malattie mentali (dalla osservazione di un caso clinico) .

»

409

LENZA G., Vro1,,A:--1TE A., MAFFEI G., BRuzzEsE E. : La funzionalità corticosurrenalica in conigli sottoposti ad intossicazione subacura con d imetilnitrosoamina .

))

472

L1cuoR1 A., ALESSANDRO A., P1ER1 M . : Determinazione complessometrica di biguanidi nei preparati farmaceutici

))

Luccr S., FAvuzz, E., BERNI A., FrL1PP1:--ir A., BovE E.: Tecnica chirurgica per il trapi,rnto di insule di Langherans nel ratto .

))

342

MAFFEI G., VIOLANTE A., DE1, GOBBO V., BAzztCALUPO P., SOFIA A.: Studio sull'azione tossica delle dimctil · nitroso - ami ne: determinazione del la DL50 nel ratto albino

))

75

MAFFE1 G., M usrLLI C., T ucctARONE R.: Sul comportamento della fìbrinolisi ematica dopo interventi ortopedici

))

M,1FFE1 G., VrnLANTE A ., BAzzrcALUPO P ., DEL Gasso V. : Studio sull 'azione tossica della dimecil - n itrosoamina. Rilievi ematologici nel racro in corso di intossicazione acuta e subacuta

))

MAFFEI G., Vro1Ar-'T1, A., LENZA G., BRUZZESE E.: La funzionalità corticosurrenalica in conigli sottoposti ad intossicazione subacuta con dimetilnitrosoamina .

))

MAr--GANO M., MANGANO M. G. : Il rum ore quale fattore d' inqui namento nella grande citti\ (Pane I)

))

MANGANO M., MANGANO M. G .: li rumore quale fattore d'inq ui na mento nella grande città (Parte II) .

))

M:1:,GANO M . G ., M.~NGANO M.: li rumore quale fattore d'inquinamento nella grande città (Parte !)

))

MANGA:-10 M. G ., MANGANO M. : Il rumore quale fattore d'inquinamento nella grande città (Parte TI) .

))

M.~RCER E.: L'urgenza in traumatologia ortopedica

))

M.~RINACCJO G.: L·urgenza in chirurgia addomi nale .

))

MASCETTr P., MERLO P. : Moclifìcaz ioni dell 'ECG ad alta quota .

))

MASTRORII.LI A.: "Pronto soccorso » : somma di problemi tecnici ed organizzativi ad ogni livello

))

472

322


MAsTRORJLLI A . : L'organizzazione sanitaria ospedaliera militare territoriale in tempo di pace alla luce della riforma sanitaria nazionale (studio organizzativo)

Pag.

372

MAzzETTI G.: La medicina preventiva in Italia: stato attuale e prospettive future

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479

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395

MELORIO E.: Aspetti psicodinam ici e socio - familiari della condotta tossicofila in 53 casi d i giovani m ilitari . MuoR10 E.: Aspetti psicopatologici ed ecologici delle reazioni psicogene da disadattamento nel decorso del servizio militare di leva .

))

MERLO P .. MAsCEITI P.: Mod ificazioni dell'ECG ad alta quota .

))

Mor-;TRO~E F., CuccJNIELLO G.: Cisti rneniscale del ginocchio .

))

Mus1LLl C., FAvuzz1 E., TuccJAROKE R.: Cupruria e neoplasie delle ossa .

))

Mus1LLr C., Tucc1ARO~E R., M11FFEJ G .: Sul comportamento della fibrinolisi ematica dopo interventi ortopedici

))

ORLANDO G .. CAVARZERANI A., RuscoNI C ., CoNSIGLliRE F · Reperti stetoacustici arteriosi femorali in soggetti sani di giovane età a riposo e dopo sforzo

))

PALLI D.: Studio delle frazion i lipoproleiche del siero umano inibenti l'emoagglutinazione da virus della rosolia .

400

214

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PAPANDRE,1 F. : Aggiornamento profilattico diagnostico e terapeutico sulla infezione colerica .

)J

PrERI M., ALESSANDRO M., L1cuoR1 A .: Determinazione complessometrica di biguan idi nei preparati farmaceutici

))

POMPEI R., TR1SOUN1 P., BoscARJNO S., CAVALLARO A.: Ricerche su un sistema di trapianti di cute nei topi: pretrattamento dei riceventi con antigeni dei donatori chimicamente modificati .

))

R i;scoN1 C., CAVARZERAKJ A., ORI,ANDO G., CoNSIGLIERE F . : Reperti sretoacustici arteriosi femorali in soggetti sani di g iovane età a riposo e dopo sforzo

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ScANO E.: Tachicardia parossistica: sintomatologia e cratramento

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ScuRo L. A.: L 'urgenza addomi nale in medicina

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1 55

))

75

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51

SonA A., MAFFFI G., V10LANTE A., DEL GoBBO V., BAZZJCALUPO P.: Studio sull'azione tossica delle d imetil - nitroso - ami ne: determinazione della DL50 nel ratto albino TEATl::-l t A., FAYLzzr E., CAMPANA f'. P., D1, A NTON I E.: Problemi di tecnica nella chirurgia della parotide TEICH - ALASIA S. : L'urgenza nelle ustioni TR1sou:--. 1 P., PoMl'F.1 R., BoscARJ NO S., CAVALJ..-IRO A.: Ricerche su un sistema di trapianti di cuce nei topi: pretrauamento dei riceventi con antigeni dei donatori chimicamente modificati .

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0

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437

285


559 Tucc1ARONE R., F.-wuzzr E.: La riabilitazione del politraumatizzato della strada nell'ambiente militare 1973 .

Pag.

42

TuccrARO>IE R., Mus1u.1 C ., FAvuzzr E.: Cupruria e neoplasie delle ossa .

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104

Tuccr/\RONE R., F,wuzz1 E.: Le fosfatasi seriche nelle metastasi ossee .

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230

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3

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Tucc1.-,RONE R., MusILLI C., MAFFEI G .: Sul comportamento della fibrino lisi ematica dopo interventi ortopedici Tucc1AROr-.f R., BRUZZESr; E. : Considerazioni d i ortopedia ginecologica V ALERI C. R.: Qualitv of re<l celi t..ansfusions (Qualità delle trasfusioni di

globuli rossi) .

·

VIOLANTE A., M \FFEI G., DEL GoBso V., B,,zz1cALuro P., SoFIA A. : Studio sull'azione tossica delle dimetil - n itroso - a mine: determinazione della DL:;o nel ratto albino V10LANTE A., M,\FFEr G., 8AzzrcALuro P., DEL GoBBO V.: Studio sull'azione tossica della <limetil - nirrosoamina. Rilievi ematologici nel ratto in corso di intossicnione acuta e subacuta V10LAKTE A., MAFrEI G., LE:--.ZA G., BRUZZESE E .: La funzionalità corticosurrenalica in conigl i sottoposti ad intossicazione subacuta con dimetilnitrosoamina . ZAIO A ., Dr MARTINO M.: Aspetti epidemiologici della rosolia nell'esercito italiano . ZA10 A., D1 MARTINO M., D1 AnD,\RIO A.: Il problema dello smaltimento dei rifiuti solidi in un centro termale con particolare riguardo per la città di Fiuggi Z ,,NOTELI.I

F.: L'urgenza medica in pneumologia

)>

)>

472

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))

)>

RECENSION[ DI LLBRI DE V1NCENT11s G .. CAI.LIERI B., CAsTI,LLAr-.1 A.: TraLtato di psicopatologia e psichiatria forense .

Pag.

112

BuRcH (;. E., C1us T. D.: Angle of t raction of the papillary muscle in norma] and dilated heartsx : A theoretic analysis of its importance in mitra! valve dynamics

Pag.

115

CwEs P. K. e PANETH M. : Acute mitra! regurgitatio11 in pregnacy due to ruptured chordae tend ineae .

»

530

RECENSIONI DA RIVISTE E GIORNALI CA IW!OLOGIA

7 . - M.M.


5 60 DEMOULIN J. C. e KL'LBERTUS H. E.: Histopathological examination of concept of left hemiblock .

Pag.

5.F

FuRLANl:.LLO F., M,,ccÀ F. e DAL P,11.ù C.: Observation on a case of )crvell and Lange - Nielsen synclrome in an adult .

»

5V

Goouw1N J. F. e OAKLEY C. M.: Thc carcliomyopathies

»

530

Rvrrn1111:.RG H. D.: Concerning thc etiology of congenita! cardiac diseasc

,,

115

IGIE.VE D'ARc,1 A., MoNTACl' rELLl R.: Un rapi<lo metodo per l::t identificazione dell'E. coli nel test di conferma mediante uso di Agar di Lc1·ine incubato a 44'·C .

114

D'ARCA S. U., ANN1c:1-11AR1co SEBAS l'IANI L., T ,1Rs1TAN1 G.: Degradabilità e degradazione ambientale dei detergenti anionici

535

l:.lJ:.LLA..'ln G.,

O1,L VECCHIO V .. F1scHEIT1 M.: Andamento nel tempo della flora sarrofita presence i.n ac9ue minerali: confronti fra contenitori di vetro e contenitori di plastica .

,,

53'5

MALATTIE INFETTIVE D10P MAR I., S011· A .. LAFAIX CH., Ri,;Y M.: La D iphtéric à Dakar . M1111Lct.. F., PAsouscu O., Cost1.1s V., Cuc1l:RE.1:su G., Du~t1TREscu S.: A~pects actuels de la Méningite cérébro - spinale 1:pidémi9ue en Roumanie .

))

"

MEDICI.VA LEGALE DuRA1'TF E., C1TTADIN1 A.: Aspetti medico - legai i dell'uso dei pacemakers in terapia

"

116

OFTAl..\fOLOGIA VERRI EST C .. VAN DE Ct1.SHELE J.: Le champ visucl clin ique .

"

PSICHI ATRIA

Rocu 1:-.1 C., 811.orr,1 M.: Meccanismi molecolari della memoria e dell'apprendi.mento (Considerazioni generali ed applicazioni cliniche)

5B

PSICOLOGIA CRoco L., R,voLtER j., G1zEs G.: Sélection psychologique des personnels dc l'Antarctique .

))

5.B


561 RADIOTERAPIA l.C.R.U. - Report 23: Measurement of Absorbeù Dose in a Phantom Irradiateci by a Sing le Beam of X or Ga mma Rays. (Misurazione della dose assorbita in u n simulatore irradiato con un singolo fascio d i raggi X o gam ma) .

Pag.

541

SOMMARI DI R IVISTE MEDICO - MILITARI Pagine: I 18, 119, 120, 121) 122, 12-3, I 24, 2w, 298, 299, 300, 301, 302, 303, 304, 305, 447, 448. 449· 450. 451. 45 2 , 543, 544· 545, 546, 547, 548, 549, 550.

NOTIZIARIO Notizie tecnico - scientifiche Pagine: 125, 126, 127.

Cong,-essi Pagine: 453, 454· 455· 456, 457• 458, 55 1 , 55 2 ·

Conferenze Pagina: 127.

Notizie militari Pag ine: 128, 129,306. 307,308, 309, 458, 459, 552, 553·

Necrologio Pagine: 129, 130, 13 1. 460, 461, 553, 554·

Direttore responsabile : T en. Gen . Med. Dr. LJc;o PARE:-in Redattore capo : Magg. Gen. L ucro T RAMONTI Autorizzazione ùel T ribuna'.e d i Roma al n. 944 del Registro T I POGRAFl1\ REGION1\LE - ROMA - J <J'75


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