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BRAIN. Settembre 2021

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Anno II | N. 7 | Settembre 2021

BRAIN PANDEMIA AL PIATTO

Non solo Covid. La salute degli anni 20 insidiata anche dai disturbi alimentari

L’alimentazione che fa bene al corpo e alla mente

Come si riconosce e come si cura il disturbo bipolare

Fake vax, chi elude gli obblighi dall’interno


EDITORIALE

Fumettisti contro lo stigma della malattia mentale

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Covid e vaccini aveva ragione Gandhi… di Armando Piccinni

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iamo stati presi alle spalle dalla pandemia ed abbiamo reagito come chi è colpito di sorpresa, in maniera a volte inadeguata e scomposta. Ci sono stati dei “rimedi” che forse sono stati peggiori del male. L’allontanamento dalle scuole, dagli insegnanti, dai compagni intesi come “pari” ossia esseri umani di uguale età da cui imparare, da imitare o discostarsi nelle parole, nei modi e nei comportamenti ma con cui comunque relazionarsi, hanno portato ad una deprivazione che verosimilmente sarà nel tempo incolmabile. Naturalmente l’uomo con le sue capacità di adattamento chiuderà quel vuoto con una cicatrice di cui però nella generazione dei nostri ragazzi resterà per sempre il segno. Abbiamo maggiore pratica con questo nemico. Vediamo che ha capacità di trasformarsi, modificarsi e rendersi continuamente più pericoloso. La nostra arma - imperfetta e incompleta ma indispensabile - è il vaccino. I richiami vaccinali hanno non solo un senso, ma l’importante ruolo di trasformare l’infezione da Covid-19 da grave e a volte mortale in una comune influenza. Senza i vaccini eravamo di fronte all’interrogativo: morire di Covid o morire di fame? Il blocco completo di attività commerciali, finanziarie, lavorative è stato sicuramente necessario per combat-

tere l’azione violenta sferrata dal virus. La situazione attuale è cambiata: una larga fetta della popolazione è vaccinata e sono senz’altro in disaccordo con coloro che sostengono l’inutilità della vaccinazione perché non difende dall’infezione nel cento per cento dei casi. Questo è sicuramente vero, ma rientra nel normale meccanismo di azione dei vaccini. Non è possibile affermare con un ragionamento manicheo bianco-nero che se non funziona nel cento per cento dei casi non serve a nulla. Basti questo: nei reparti di rianimazione i pochi pazienti ricoverati sono pazienti non vaccinati. Non siamo più inermi all’azione del virus, non abbiamo più bisogno di restare segregati in casa. Verosimilmente non avremo più - a meno che non ci siano clamorosi cambiamenti nelle caratteristiche del virus - i reparti di rianimazione pieni tanto da dover respingere e rimandare a casa persone in pericolo di vita. Forse sarà necessario il quinto, sesto, decimo, dodicesimo richiamo, ma ogni volta faremo un passo avanti per ritornare nelle scuole, nelle fabbriche, negli esercizi commerciali. Anche i luoghi di divertimento e di svago, che abbiamo capito in questo periodo quanto sono indispensabili per rendere “normale” la nostra vita, ritorneranno ad essere frequentati. La mia personale opinione è che qualsiasi provvedimento, al di là


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di ogni spirito polemico, è il benvenuto. Qualsiasi norma o comportamento, che ci dia la possibilità di limitare e restringere la diffusione del virus, va adottata. Dobbiamo imparare a convivere non tanto con il virus quanto con tutti i provvedimenti, potenti e meno potenti,

che ci possano difendere dal contagio ed aiutarci a ritornare alla nostra quotidianità. “La vita non è aspettare che passi la tempesta, ma imparare a ballare sotto la pioggia”. E Gandhi di tempeste se ne intendeva.

SOMMARIO EDITORIALE

3 Covid e vaccini

aveva ragione Gandhi... di Armando Piccinni PRIMO PIANO

8 La “pandemia” occidentale

dell’obesità e dei disturbi alimentari di Armando Piccinni L’INTERVISTA

14 Disturbi alimentari: l’unica

strategia vincente è un approccio multidisciplinare di Carmine Gazzanni

Brain Anno II | N. 7 | Settembre 2021 Testata registrata al n. 6/2019 del Tribunale di Lucca Diffusione: www.fondazionebrf.org Direttore responsabile: Armando Piccinni Organo della Fondazione BRF Onlus via Berlinghieri, 15 55100 - Lucca


44 Un nuovo meccanismo

di protezione dei neuroni di Alessia Vincenti

46 Ecco come i tumori alternano

capacità di movimento e fanno perdere peso di Alessandro Righi

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48 Le olimpiadi dei record: protagonisti atleti mai così umani

PRIMO PIANO

di Chiara Andreotti

18 Depressione e stile di vita: migliorare la salute fisica per migliorare la salute mentale

VUOI RICEVERE "PROFESSIONE SANITÀ" OGNI MESE DIRETTAMENTE NELLA TUA MAIL?

di AA. VV. FOCUS

26 Disturbo bipolare, come si cura e come lo si riconosce di Andrea Zanotto L’INCHIESTA

30 I colletti bianchi del fake vax

44

di Duccio Petroni

36 Emergenza suicidi in Italia

ma non ci sono dati istituzionali di Carmine Gazzanni

L’AUTRICE

50 “Dopo secoli di buio iniziamo a scoprire i talenti femminili” di Flavia Piccinni

SALUTE

38 La cannabis per combattere il long-Covid?

di Francesco Carta

Sclerosi multipla. Scoperta la

40 proteina chiave nel processo di neurodegenerazione

IL PODCAST

53 Un filo diretto dal presente

Nasce dalla radio il podcast “Quarto Potere” di Flavia Piccinni LIBRI

54 Con Emmanuel Carrère dentro

di Antonio Acerbis

i meandri del disturbo bipolare di Flavia Piccinni CINEMA E TV

55 “Un altro giro”. Depressione,

insicurezza, risate e alcolismo di Chiara Andreotti TITOLI DI CODA

57 Sollevare il manto dell’ignoranza 30

è la prima cura in Psichiatria di Pietro Pietrini

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LA “PANDEMIA” OCCIDENTALE DELL’OBESITÀ E DEI DISTURBI ALIMENTARI Come i disturbi dell’umore influenzano la nostra alimentazione

di Armando Piccinni

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iovanni è un ragazzone di oltre 1,80 metri. Qualche tempo fa però era ingrassato fino ad arrivare a pesare 120 kg. Aveva preso in circa un anno oltre 30 kg di peso. Tutto è cominciato qualche anno fa con un episodio di depressione durato alcuni mesi prima che fosse visitato dallo psichiatra e questo gli prescrivesse una terapia. Da allora Giovanni comincia progressivamente a stare meglio, ha nuovamente voglia di vivere, di sentire gli amici, dopo i mesi bui in cui era stato chiuso in casa, a volte anche tutto il giorno a letto. Sente che stanno ritornando le energie, dorme via via meno, e comincia ad avere di nuovo il cervello che funziona per progettare cose nuove. Si sente spinto da nuove iniziative. Nel giro di qualche settimana migliora progressivamente fino a non avere più il tempo per dormire, per la quantità di cose che sente di dover fare. È allegro, pieno di vita e di energie. Non fa in tempo a progettare una nuova cosa che gliene viene subito in mente un’altra. Nel giro di qualche settimana, però, Giovanni diventa iperattivo, dorme poco, si sente spesso irritabile. Lo consola l’idea di creare una nuova società di lavoro che si occupi di informatica, la materia che ha studiato e in cui ha conseguito la laurea. Con l’andare dei giorni i suoi familiari cominciano a preoccuparsi per questo cambiamento così rapido e radicale. Giovanni ha già avuto in passato due episodi depressivi durati poche settimane e risoltisi senza trattamento e senza strascichi. I suoi genitori non lo hanno però mai visto così indaffarato e iperattivo: comincia anche ad avere troppe iniziative che poi abbandona senza portarle a termine. I genitori decidono così di con-


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Il cibo può indurre una condizione di dipendenza simile ad altre dipendenze sia comportamentali che da sostanze chimiche. Esiste una vera e propria pandemia dell’obesità per la quale la nostra costituzione biologica interagisce con i cambiamenti delle abitudini alimentari e dell’ambiente favorendo l’obesità.

PRIMO PIANO

PRIMO PIANO

sultare uno psichiatra. Giovanni li rassicura dicendo che non ha bisogno di niente e nessuno. Un giorno, però, arrivano a casa una marea di oggetti che Giovanni ha comprato in città e per i quali aveva lasciato il pagamento in sospeso. Dopo poco tempo un amico viene in casa a reclamare un credito che Giovanni non aveva ancora restituito. A quel punto i genitori decidono di superare qualsiasi ritrosia di Giovanni: bisogna consultare uno specialista. Lo psichiatra consultato prescrive una terapia con stabilizzatori dell’umore e farmaci ad azione sedativa per ridurre l’eccitamento e migliorare il sonno notturno. Nel giro di poche settimane Giovanni si riprende e comincia ad avere consapevolezza di quello che aveva fatto durante i mesi trascorsi in euforia. IL CIBO COME PIACERE La cura funziona e lo riporta in una condizione di realtà. Esce meno, la sua vita è meno convulsa. Spesso però si consola con cibi dolci o particolarmente appetitosi che lo aiutano ad affrontare i pensieri che riguardano il periodo passato: usa spesso il cibo come momento di consolazione e di piacere. Il risultato è che dopo circa un anno Giovanni inizia nuovamente a prendere peso: circa 3 kg al mese. La sua dieta è composta principalmente da carboidrati, sia sottoforma di alimenti zuccherini che di pasta, pane, pizze, focacce. Al mattino non manca mai di prendere il caffè e una o due brioches. La sera non va a letto senza uno o due quadretti di cioccolata, dei frollini e quando c’è una fetta di torta. Ha provato più volte a smettere perché ha capito che l’assunzione dei carboidrati migliora il suo umore ma contemporaneamente incrementa sempre di più la sua fame e il suo peso. Le sere

in cui va a letto senza dolcetto dorme male e a volte è costretto a rialzarsi per prenderlo. Avverte proprio come se qualcosa gli mancasse e avesse bisogno di colmare quel vuoto. È arrivato a dire che i dolci siano indispensabili per lui: senza si sente male. UN CASO TRA TANTI Il caso di Giovanni è una condizione estremamente frequente tra i soggetti che vanno incontro alla dipendenza da cibo e quindi al sovrappeso e all’obesità. Queste persone, anche se si rendono conto delle conseguenze

del loro comportamento, non riescono a fare nulla per contrastarlo. Quello di Giovanni è un caso paradigmatico di dipendenza da cibo legato all’assunzione di carboidrati. Meno di frequente esistono anche casi di dipendenza da cibo legata ad alimenti grassi o cremosi purché dotati di alta palatabilità. Il cibo può indurre una condizione di dipendenza simile ad altre dipendenze sia comportamentali che da sostanze chimiche. Esiste una vera e propria pandemia dell’obesità per la quale la nostra costituzione biologica interagisce con i cambiamenti delle

abitudini alimentari e dell’ambiente favorendo l’obesità. Il fatto che questa sia maggiormente presente nei Paesi industrializzati ci impone la domanda: perché tanta gente mangia in eccesso rispetto alle proprie esigenze metaboliche e sviluppa così malattie correlate all’obesità e al disadattamento sociale? L’odierna organizzazione sociale in Occidente ha cambiato radicalmente le abitudini alimentari. Il nostro può essere definito un ambiente obesogenico caratterizzato da cibi reperibili ovunque (attualmente la diffusione è incrementata dai distributori automatici organizzati in food room che hanno come caratteristica quella di vendere cibi iperappetibili, ipercalorici e poco costosi). La produzione di cibo a livello industriale ha un potere di penetrazione nelle nostre abitudini incredibilmente forte e legato ai brand che funzionano come cavalli di Troia per entrare nella nostra dieta alimentare. Con facilità assaggeremo un nuovo cibo, che normalmente comporta una certa diffidenza, se questo cibo sarà accompagnato da un brand a noi familiare. Una serie di alimenti che quotidianamente compriamo e consumiamo sono stati spesso costruiti a tavolino da ingegneri del gusto con il compito specifico di spingere al massimo la gradevolezza del cibo e generare così esperienze sensoriali piacevoli che il nostro cervello una volta sperimentato tenderà a ripetere fino alla dipendenza. IL RUOLO-CHIAVE DELL’ABITUDINE Spesso la pozione magica che fidelizza il consumatore è alla base di una combinazione di zuccheri, grassi e sale miscelati tra loro. Il passaggio dal tentativo di ripetere l’esperienza gradevole del gusto alla dipendenza, è causata da molti fattori e tra questi la costitu-

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L’odierna organizzazione sociale in Occidente ha cambiato radicalmente le abitudini alimentari. Il nostro può essere definito un ambiente obesogenico caratterizzato da cibi reperibili ovunque (attualmente la diffusione è incrementata dai distributori automatici organizzati in food room che hanno come caratteristica quella di vendere cibi iperappetibili, ipercalorici e poco costosi).


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Chi è affetto da disturbi d’ansia, dell’umore, periodi di particolare stress e comunque situazioni frustranti, se è geneticamente predisposto, tenderà a confortarsi e consolarsi per mezzo del cibo. Naturalmente questo dovrà avere determinate caratteristiche affinché sia un piacere che possa controbilanciare il malessere.

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zione genetica del soggetto che potrà avere una maggiore o minore tendenza ad innescare comportamenti di tipo dipendente. A questo proposito sono stati invocati meccanismi diversi che richiamano un altro fenomeno: quello dell’abitudine. L’esperienza piacevole richiede la ripetizione della stessa più e più volte. Una volta stabilito il comportamento e soddisfatto l’appetito edonico il cervello tende a consolidare quell’azione attraverso i meccanismi dell’abitudine. I comportamenti che si consolidano all’interno di un’abitudine non hanno bisogno di alcuna decisione per partire. Se io faccio una cosa per abitudine non devo decidere nulla: il cervello procede automaticamente in quella direzione e porta a termine l’azione. La volontà - e quindi il processo decisionale - deve intervenire solo se decido di agire in maniera contraria. Naturalmente un’abitudine che ha al suo interno il piacere, ed in particolare il piacere del cibo, ha delle chance di consolidarsi più saldamente e più velocemente. Esistono due tipi di appetito: l’appetito edonico - che abbiamo più sopra detto essere collegato al piacere, al conforto morale, al compenso dell’ansia e della depressione - ed un appetito alimentare, esclusivamente dedicato a fornire all’organismo l’apporto calorico necessario alla sopravvivenza e agli atti della vita quotidiana. Appare chiaro come chi è affetto da disturbi d’ansia, dell’umore, periodi di particolare stress e comunque situazioni frustranti, se è geneticamente predisposto, tenderà a confortarsi e consolarsi per mezzo del cibo. Naturalmente questo dovrà avere determinate caratteristiche affinché sia un piacere che possa controbilanciare il malessere.

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PERCHÈ MOLTE DIETE FALLISCONO Questo legame tra condizione psichica e cibo è verosimilmente alla base del fallimento di tante diete. Quando il regime dietetico arriva a termine, il soggetto esce dai rigidi canali delle prescrizioni nutrizionali e ritorna in libera fluttuazione. I comportamenti che metterà in atto saranno fortemente connessi alle “abitudini” alimentari precedenti. Tali abitudini sono comportamenti fortemente strutturati che affondano le radici nella prima infanzia e che accompagnano il soggetto per tutta la vita. In questa ottica non appare affatto strano che chi non deve più rispondere alle rigide regole del dietologo riprenderà a rispondere alle proprie regole personali, le stesse che lo avevano portato al sovrappeso o all’obesità e lo avevano condotto dal dietologo/ nutrizionista. Spesso il peso viene riguadagnato completamente e sulla scia dell’incremento ponderale molto frequentemente viene superato il peso precedente. L’argomento meriterebbe approfondimenti in più direzioni che ci porterebbero molto lontano. Va però citato un ultimo dato interessante che riguarda pazienti con disturbi dell’umore, i quali appaiono i maggiori candidati alla dipendenza da cibo. Se trattati correttamente, quando raggiungono la stabilizzazione dell’umore, non hanno più bisogno del cibo come “farmaco”. È come se la cura del disturbo dell’umore soppiantasse il ricorso agli alimenti calorici per trovare appagamento e piacere incontrollato. E questo è sicuramente un ottimo punto di partenza. Altri ne troverete nel lungo primo piano di questo numero di Brain dedicato interamente al legame tra salute mentale e disturbi alimentari. Buona lettura.


L’INTERVISTA

L’INTERVISTA

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DISTURBI ALIMENTARI L’UNICA STRATEGIA VINCENTE È UN APPROCCIO MULTIDISCIPLINARE Parla la psichiatra Laura Dalla Ragione, esperta nel campo: “In molte regioni mancano strutture adeguate. Occorre maggiore prevenzione”

Laura Dalla Ragione.

di Carmine Gazzanni

Q

uale tipo di legame è ravvisabile tra salute mentale e disturbi alimentari?

I Disturbi del comportamento alimentare (Anoressia, Bulimia, Disturbo da alimentazione incontrollata) sono a tutti gli effetti patologie mentali classificate infatti nel DSM V (Manuale Diagnostico delle Malattie mentali). Sono patologie del profondo che causano estrema sofferenza in chi ne è affetto e non, come spesso si crede, semplici mode culturali. Sono patologie severe, che riguardano in Italia quasi 3 milioni di persone e sono la seconda causa di morte per gli adolescenti dopo gli incidenti

stradali. Una delle cause di morti più frequenti nell’anoressia, oltre le complicanze mediche legate alla malnutrizione, è il suicidio, in un rapporto di 1 a 6 nella popolazione normale. Una delle caratteristiche, simile alle altre patologie mentali gravi, è che non c’è consapevolezza di malattia, sono cioè patologie egosintoniche. I dati epidemiologici ci restituiscono anche un quadro drammatico come mortalità. In che senso? Nel 2019 sono decedute in Italia 2980 persone con diagnosi correlate a Disturbi alimentari. Questo ci fa capire l’urgenza della costruzione di Centri specializzati in tutto il territorio

nazionale e soprattutto della necessità di campagne di prevenzione adeguate. Quali sono, a suo avviso, le figure professionali che dovrebbero subentrare nei casi di un paziente con dipendenza da cibo? C’è una concordanza scientifica internazionale sulla efficacia di un’equipe multidisciplinare nel trattamento di queste patologie che riguardano la mente e il corpo. La strategia terapeutica vincente è un approccio a 360 gradi che aggredisca il disturbo in modo complessivo. Un esercito di medici, psicologi, nutrizionisti, educatori, fisioterapisti, infermieri, che prenda in carico l’intera persona e non solo il sintomo. Queste figure devono lavorare insieme, costruendo un linguaggio comune che ricostruisca quella integrità tra mente e corpo che, in chi soffre di disturbi alimentari, è andata

perduta. Il lavoro di équipe è la chiave di volta per il trattamento dei Disturbi Alimentari: anche il professionista più bravo, da solo, non ha possibilità di successo terapeutico con questo tipo di disturbo. Non esiste una figura più importante dell’altra, la cosa principale è che il lavoro di squadra sia integrato. Ci sono in Italia strutture ad hoc? Come sono organizzate? Il Ministero della Salute aveva dato indicazione affinché per il trattamento dei Disturbi alimentare ogni regione avesse a disposizione una rete completa di assistenza che comprendesse: ambulatori nel territorio, strutture residenziali riabilitative, day hospital, e ricoveri salvavita. In molte regioni italiane in realtà, non ci sono strutture specializzate per il trattamento dei Disordini alimentari e questo determina

“Il lavoro di équipe è la chiave di volta per il trattamento dei Disturbi Alimentari: anche il professionista più bravo, da solo, non ha possibilità di successo terapeutico con questo tipo di disturbo”.


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“Negli ultimi anni la terapia cognitivo comportamentale (CBT) ha dato risultati molto confortanti associata alle terapie basate su un approccio alla famiglia. I trattamenti che coinvolgono la famiglia si sono rivelati molto efficaci, perché la patologia alimentare è fortemente imbrigliata nelle dinamiche familiari”.

L’INTERVISTA

L’INTERVISTA

una migrazione fuori regione con gravi ritardi nelle cure e nella diagnosi precoce. Esiste però una mappa del Ministero della Salute (www.disturbialimentarionline.it) con il numero verde nazionale che raccoglie le richieste di aiuto di tutta Italia: 800-180969 Quali sono le ultime novità in campo terapeutico? Negli ultimi anni la terapia cognitivo comportamentale (CBT) ha dato risultati molto confortanti associata alle terapie basate su un approccio alla famiglia. I trattamenti che coinvolgono la famiglia si sono rivelati molto efficaci, perché la patologia alimentare è fortemente imbrigliata nelle dinamiche familiari. In generale, comunque, si tende ad associare terapie nutrizionali, psicologiche individuali e familiari. Sono molto utili le terapie dell’immagine corporea come la terapia dello specchio e la video-confrontation, proprio perché uno dei principali nuclei del disturbo alimentare è costituito dalla alterazione dell’immagine corporea. I pazienti affetti da Anores-

sia e Bulimia hanno una immagine del loro corpo distorta, si vedono sempre più grassi di quanto sono, anche sono magrissimi. Quali sono i consigli che darebbe a una famiglia il cui figlio ha disturbi alimentari? A chi rivolgersi e come tenere a freno tale disturbo? I familiari devono prestare attenzione a comportamenti anomali ripetuti riferiti al cibo: restrizioni, spezzettare il cibo, escludere categorie di cibi come carboidrati, fare molta attività fisica. Ma soprattutto a questi comportamenti deve essere associato un vistoso cambiamento di carattere: i ragazzi e le ragazze che precedentemente erano brillanti e solari, diventano tristi e cominciano a vivere in maniera isolata. Questo deve fare sospettare che sta succedendo qualcosa. Immediatamente è necessario fare una visita specialistica per iniziare il trattamento il prima possibile. La tempestività della diagnosi e dell’intervento sono elementi decisivi per la guarigione. E a un medico di famiglia cosa

direbbe? Quali sono i “segnali” che consentono di comprendere se il proprio paziente è affetto da un disturbo o da una dipendenza seria? Il medico di famiglia e il pediatra (teniamo conto che molte pazienti sono minorenni) devono fare attenzione ai cambiamenti organici: perdita delle mestruazioni o ritardo nel menarca, malnutrizione, danni alla dentizione, perdita di capelli, disturbi renali, epatici o cardiocircolatori. Contemporaneamente va rilevato anche il cambiamento di condizioni psichiche: depressione, insonnia, irritabilità, ansia diffusa, assenza di consapevolezza della malattia. Di fronte ad un sospetto diagnostico il medico o pediatra deve fare un invio alla specialista. È molto importante sensibilizzare i genitori, che spesso tendono a minimizzare il problema fino a che non diventa gravissimo, quando invece è molto importante intervenire precocemente, agli esordi del problema. Crede che in Italia si debba fare ancora molto per contrastare questo disturbo o è già stato fatto abbastanza? Purtroppo, credo che ancora si debba fare molto, siamo di fronte ad

una vera e propria epidemia sociale che riguarda una popolazione molto vasta di giovani, con un ulteriore abbassamento dell‘età di esordio alla fascia infantile. I dati epidemiologici del Ministero della Salute ci confermano che in Italia ci sono circa 3 milioni di persone ammalate di questi disturbi, con un interessamento sempre maggiore anche del genere maschile, che costituisce il 20% della patologia. Sono comparsi anche nuovi disturbi come l’ortoressia che è l’ossessione del mangiare sano o la bigoressia che è l’ossessione della attività fisica. In generale si sono diffusi molti comportamenti a rischio riferiti all’alimentazione: paure, fobie, ossessioni che possono costituire fattori di rischio per queste patologie. Di fronte a questa diffusione epidemica sono troppo scarse le strutture di cura, la metà delle regioni italiane, infatti, non ha reti complete di assistenza, e questo determina una disomogeneità nelle cure con un ritardo nella diagnosi e nel trattamento. Sarebbe anche necessario fare una campagna di prevenzione di questi disturbi rivolta al mondo della scuola e al mondo dello sport, i luoghi cioè del mondo giovanile, che sono quelli più colpiti.

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“I dati epidemiologici del Ministero della Salute ci confermano che in Italia ci sono circa 3 milioni di persone ammalate di questi disturbi, con un interessamento sempre maggiore anche del genere maschile, che costituisce il 20% della patologia. Sono comparsi anche nuovi disturbi come l’ortoressia che è l’ossessione del mangiare sano o la bigoressia che è l’ossessione della attività fisica”.


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DEPRESSIONE E STILE DI VITA: MIGLIORARE LA SALUTE FISICA PER MIGLIORARE LA SALUTE MENTALE Ecco le strategie per seguire un’alimentazione corretta

di Alessandro Cuomo, Arianna Goracci, Simone Bolognesi, Giovanni Barillà, Alessandro Spiti, Samuela Paoletti, Andrea Fagiolini Università di Siena

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pazienti con disturbo depressivo maggiore o con disturbo bipolare hanno di solito un rischio superiore a quello della popolazione generale per condizioni e malattie come obesità, diabete, dislipidemia (aumento del colesterolo e/o dei trigliceridi) e ipertensione arteriosa. In questi pazienti, una dieta equilibrata e un’adeguata attività fisica possono correggere queste condizioni, migliorando anche la qualità di vita e il benessere psicologico. L’attività fisica può avere anche un effetto di rinforzo sui farmaci e sulle psicoterapie antidepressive e studi su modelli animali di depressione mostrano un’associazione tra esercizio fisico e l’aumento di fattori che portano a neurogenesi e ‘riparazione’ di circuiti che sono alterati nei pazienti depressi. In tale contesto, diventa fondamentale ed auspicabile porre l’attenzione sullo stile di vita dell’individuo, nel tentativo di migliorarlo, agendo su alcuni fattori semplici ma fondamentali. Molte linee guida forniscono importanti raccomandazioni in merito ad alcuni comportamenti da adottare per migliorare la propria salute fisica e mentale. I principali fattori su cui porre l’attenzione sono rappresentati dall’astensione dal fumo di sigaretta, attività fisica, alimentazione e sonno. Chi soffre di un disturbo mentale, ad esempio, tende ad essere nella maggior parte dei casi un fumatore, incrementando il rischio di mortalità. La sigaretta, utilizzata spesso dai pazienti a scopo ‘antidepressivo’ o ‘ansiolitico’, in realtà aumenta la possibilità di sviluppare depressione rispetto a chi non fuma e, spesso, anticipa l’esordio di diverse patologie, quali la Schizofrenia ed il Disturbo Bipolare.


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Molte linee guida forniscono importanti raccomandazioni in merito ad alcuni comportamenti da adottare per migliorare la propria salute fisica e mentale. I principali fattori su cui porre l’attenzione sono rappresentati dall’astensione dal fumo di sigaretta, attività fisica, alimentazione e sonno.

PRIMO PIANO

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Inoltre, il fumo, spesso, interagisce negativamente con i farmaci, soprattutto quelli psichiatrici, determinando in molti casi la necessità di un incremento della dose, che si associa ad un rischio più elevato di insorgenza di effetti collaterali. Nonostante smettere di fumare possa sembrare un’impresa ardua e difficile, numerosi sono gli interventi ed i programmi che possono contribuire alla sospensione del tabagismo. Altri aspetti fondamentali per uno stile di vita sano, includono una regolare attività fisica ed una corretta alimentazione. Esistono numerose evidenze che dimostrano che una regolare attività fisica (ad esempio 75 minuti al giorno di intensa attività o 150 minuti al giorno di moderata attività) è associata ad un chiaro miglioramento dell’umore. L’attività fisica è anche in grado di incidere positivamente sui ritmi circadiani, soprattutto quando sia svolta al mattino, esponendosi alla luce solare. È noto, infatti, il potere che l’energia solare eserciti sulla sfera timica. Per quanto concerne l’alimentazione, è sempre più evidente l’esistenza di un’associazione tra un’alimentazione sana e equilibrata e una buona salute mentale. Ad esempio, una dieta mediterranea ricca di frutta, verdura e pesce rappresenta un caposaldo per uno stile di vita sano ed è associata a una maggiore possibilità di benessere mentale. È evidente, ad esempio, il potere antidepressivo degli omega 3, quali EPA e DHA. Viceversa, una dieta ricca di carboidrati e carne contribuisce a un aumentato rischio di sviluppare depressione o ritardare la sua risoluzione. È fondamentale porre l’attenzione non solo sulla qualità del cibo, ma

anche sulla sua distribuzione nell’arco della giornata. È consigliabile, infatti, prediligere colazioni abbondanti, pranzi moderati e cene relativamente povere, seguendo il nobile principio della cosiddetta crono-dieta, che rispetta maggiormente la sensibilità circadiana dell’organismo all’insulina, facilitando la perdita di peso e, nel contempo, garantendo

l’assunzione di un numero adeguato di calorie, quando si privilegino le prime ore del mattino per l’introito della maggior parte delle calorie necessarie. Nei pazienti depressi, che spesso fanno fatica a gestire in modo corretto la propria alimentazione e il proprio stile di vita, , diventa fondamentale una psicoeducazione che ricordi ai pazienti quanto il fumo di

sigaretta, la sedentarietà e la cattiva alimentazione, possano influenzare negativamente sia la salute mentale, favorendo l’insorgenza di depressione, sia quella fisica determinando obesità, malattie cardiovascolari e persino alcune malattie tumorali. Un cattivo stile di vita, infatti, spesso causa un’infiammazione sistemica ed un’alterazione del microbiota intestinale, il quale è sempre maggiormente studiato in quanto concausa di diverse patologie e, talvolta, target di trattamenti terapeutici. Se è vero che uno stile di vita poco sano può aumentare la prevalenza o la gravità delle malattie mentali, è anche vero che malattia psichiatrica, e alcuni dei suoi trattamenti, comportano un aumentato rischio d’insorgenza di condizioni come l’obesità e di sindrome metabolica. Esiste infatti un rapporto bidirezionale fra malattie psichiatriche e malattie metaboliche, visto che le une possono influenzare negativamente le altre, e viceversa. Prevenire e curare le malattie metaboliche, mentre vengono prevenute e curate le malattie mentali, è dunque fondamentale per garantire il miglior benessere possibile per i nostri pazienti. In uno stile di vita sano, accanto alla corretta alimentazione e un’adeguata attività fisica, va annoverata anche una buona qualità del sonno, che deve essere anch’esso regolare e ristoratore. Numerose evidenze sottolineano come alterazioni del sonno precedano spesso la manifestazione di disturbi psichiatrici e possano comunque peggiorarne il decorso. Per concludere, sempre maggiori sono le evidenze che tanto il benessere mentale quanto quello fisico siano intrinsecamente legate tra loro, tanto da un punto di vista epidemiologico, quanto biologico

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Per quanto concerne l’alimentazione, è sempre più evidente l’esistenza di un’associazione tra un’alimentazione sana e equilibrata e una buona salute mentale. Ad esempio, una dieta mediterranea ricca di frutta, verdura e pesce rappresenta un caposaldo per uno stile di vita sano ed è associata a una maggiore possibilità di benessere mentale.


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Fumo di sigaretta, cattive abitudini alimentari, sedentarietà e sonno irregolare possono rendere l’organismo più vulnerabile allo stress, facilitando l’infiammazione e la comparsa, o il peggioramento, di sintomi psichiatrici oltre che fisici. Piccoli cambiamenti all’interno dello stile di vita possono esitare in grandi cambiamenti per prevenire e curare i disturbi mentali, oltre che garantire il benessere psico-fisico dell’individuo.

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e clinico, superando ed abbattendo la precedente visione dualistica, di stampo cartesiano, sulla separazione tra mente e corpo, che tanto, in passato, ha influenzato la medicina. Fumo di sigaretta, cattive abitudini alimentari, sedentarietà e sonno irregolare possono rendere l’organismo più vulnerabile allo stress, facilitando l’infiammazione e la comparsa, o il peggioramento, di sintomi psichiatrici oltre che fisici. Piccoli cambiamenti all’interno dello stile di vita possono esitare in grandi cambiamenti per prevenire e curare i disturbi mentali, oltre che garantire il benessere psico-fisico dell’individuo. Esistono delle tecniche motivazionali che possono aiutare chi abbia difficoltà a migliorare il proprio stile di vita. A titolo di esempio, riportiamo alcune delle più comuni raccomandazioni per uno stile di vita sano. Raccomandazioni iniziali per uno stile di vita equilibrato: 1) Concediti almeno 1 ora ogni giorno (ad esempio, 30 minuti al mattino e 30 minuti la sera) per fare esattamente ciò che ti piace; come per esempio: leggere, ascoltare musica, telefonare a un amico. 2) Intraprendi una nuova attività che pensi ti possa divertire (per esempio un nuovo hobby, uno sport, un corso di cucina, imparare a suonare uno strumento musicale, frequentare un’associazione) 3) Se decidi di fumare una sigaretta, cerca di fare attenzione al tuo umore, a quando e dove decidi di farlo. Fumare è un’abitudine, una dipendenza, ed un modo, anche per mancanza di altre soluzioni, di gestire le emozioni, lo stress, o anche la noia. Essere consapevole delle

abitudini correlate al tabacco può aiutare a trovare strategie alternative per gestire le emozioni e lo stress in modi che siano compatibili con un più equilibrato e sano stile di vita. 4) Sii consapevole degli effetti dell’uso di alcool o di altre sostanze sulla cronicizzazione dei sintomi depressivi. 5) Presta particolare attenzione ai tempi di alcune attività quotidiane. Ritardare l’inizio della routine quotidiana oppure andare a letto a tarda notte incidono negativamente sull’umore, sulla qualità del sonno e dei ritmi sociali, sulle abitudini alimentari, e riduce i momenti per l’attività fisica. Alcune strategie per un’alimentazione corretta: 1) Ridurre il consumo di grassi: sono la maggior fonte di calorie. Certamente meno grassi significa meno calorie, ed anche minor rischio di malattie. Non tutti i grassi sono uguali: bisognerebbe prediligere alimenti contenenti grassi insaturi, sia monoinsaturi, contenuti nell’olio d’oliva, che polinsaturi, fra i quali gli omega3 e omega6 contenuti nel pesce. Sono quelli responsabili del benessere del nostro organismo, con riduzione del colesterolo LDL ed incremento del colesterolo HDL (il colesterolo “buono”). Bisognerebbe invece ridurre gli alimenti di origine animale ricchi di grassi saturi (come carne, strutto, sugna, lardo, burro, pancetta, insaccati, formaggi, ecc.) e colesterolo (tuorlo d’uovo, formaggi, frattaglie, carni, etc), responsabili di incrementare il rischio dell’insorgenza o del peggioramento di alcune patologie importanti. 2)

Mangiare più fibre: le fibre

assunte con l’alimentazione riducono il rischio di malattie cardiache. Prevengono la stitichezza e facilitano il transito intestinale. Aumentano il senso di sazietà. Sarebbe dunque auspicabile un incremento del consumo di frutta, verdura, legumi, prediligendo pasta e riso di tipo integrale. 3) Creare un piano per un pasto sano seguendo alcune precauzioni: • Condire i cibi senza aggiungere calorie. Usa erbe aromatiche, succo di limone, etc. • Limitare il consumo di alcolici. • Togliere il grasso dalla carne prima di cucinarla. • Andare a fare la spesa solo una volta a settimana, se possibile, dopo i pasti quando non si ha fame. • Pesare e dosare il cibo. Piccoli errori nelle dimensioni delle porzioni aggiungono calorie • Individuare un luogo in cui mangiare a casa e in altri contesti per esempio al lavoro. Una volta definito il luogo in cui mangiare, impegnati a consumare i pasti e gli spuntini solo in tale luogo. • Non tenere in casa cibi che mangi con esagerazione. Non comprare dolciumi, merendine, bevande zuccherate, alcoliche o moderane gli acquisti per riservarne il consumo solo a certi momenti (colazione, merende) e sempre in quantità controllate. 4) Approfondire le proprie conoscenze sulle differenti tipologie di dieta: è importante sapere che non è vero che si deve soffrire la fame per perdere peso. Infatti, una rigorosa limitazione delle calorie e frequenti cicli di dieta possono portare ad abbuffate e all’aumento di peso. Si

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consiglia dunque un lento e costante tasso di perdita di peso di circa 450 g a settimana. Per la maggior parte delle persone, una dose giornaliera di 1800-1500 calorie/die promuove una perdita di peso di circa 450 g alla settimana. La rapida perdita di peso, all’inizio di una dieta è dovuta alla perdita di acqua, non di grasso. L’equilibrio idrico è importante per la corretta salute del nostro corpo e quindi verrà ripristinato al più presto, recuperando anche il peso apparentemente perso: dunque occorre tempo per perdere peso. Consigli per una generale miglior qualità del sonno: 1) Crea un buon ambiente dove dormire. Il letto deve essere sufficientemente largo e lungo, confortevole; insieme al cuscino devono garantire il giusto sostegno al corpo senza eccessiva rigidità. La stanza deve essere fresca, silenziosa, preferibilmente buia. 2) Mantieni orari regolari: osservando sempre gli stessi orari per coricarsi e per svegliarsi, si crea una routine a cui il corpo si abitua. Anche se ci si è coricati tardi o si è dormito male di notte, ad esempio nel fine-settimana, è meglio svegliarsi alla solita ora per evitare disturbi nel ritmo sonno-veglia e rischiare di dormire male anche la notte successiva. 3) Rilassati prima di coricarti: prenditi il tempo di rilassare il corpo prima di coricarsi e evita di fare attività che comportano uno sforzo mentale o fisico. Lascia che la stanza da letto sia una stanza di rilassamento e di sonno: non usare il letto per lavorare, guardare la tv o altro.

Una rigorosa limitazione delle calorie e frequenti cicli di dieta possono portare ad abbuffate e all’aumento di peso. Si consiglia dunque un lento e costante tasso di perdita di peso di circa 450 g a settimana. Per la maggior parte delle persone, una dose giornaliera di 1800-1500 calorie/ die promuove una perdita di peso di circa 450 g alla settimana.


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4) Vai a letto solo quando ti senti assonnato. Se non riesci a dormire, è preferibile non rimanere a letto; meglio alzarsi e dedicarsi ad attività rilassanti e tornare a letto quando ti senti stanco. Stando fuori, alla luce durante la giornata, la concentrazione di melatonina nel sangue diminuisce facendoti sentire più attivo e pieno di energie.

5) Fai attività fisica regolare: un’attività fisica regolare, preferibilmente tre volte alla settimana, genera una stanchezza fisica oltre a far produrre al corpo sostanze rilassanti (come le endorfine). Inoltre, lo sforzo porta ad un sonno più profondo e continuo, che ti fa alzare riposato e pieno di energie. Ricordati però di non fare attività subito prima di coricarti: può risultare più difficile addormentarsi quando il corpo non

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ha il tempo di tornare in uno stato di rilassamento. 6) Esporsi alla luce del giorno: stando fuori, alla luce durante la giornata, la concentrazione di melatonina nel sangue diminuisce facendoti sentire più attivo e pieno di energie. Quando alla sera non sei più esposto alla luce, aumenta la quantità di melatonina e ti senti più stanco. Stando all’aperto quindi aiutiamo il nostro orologio biologico a regolare il bisogno di sonno. Anche la luce artificiale, così come la luce del sole, stimola il cervello ad uno stato di allerta e di veglia, pertanto è utile non esporsi a luci artificiali particolarmente brillanti prima di coricarsi.


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DISTURBO BIPOLARE COME SI CURA E COME LO SI RICONOSCE Un pendolo tra episodi depressivi e maniacali diffuso più di quanto si pensi. Colpisce l’1% della popolazione mondiale

di Andrea Zanotto

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l disturbo bipolare colpisce oltre l’1% della popolazione mondiale, indipendentemente dalla nazionalità, dall’origine etnica o dallo status socioeconomico [The Lancet, 2016], ed è tra le prime venti cause di disabilità [Bipolar Disorder, 2016]. Le fasce di età più coinvolte vanno dai 15 ai 35 anni [World Health Organization, 2019] e, in particolare, il disturbo bipolare colpisce i più giovani, cui può provocare compromissioni cognitive e funzionali che portano persino al suicidio. Questi dati danno un’idea dell’impatto, anche sociale ed economico, del disturbo bipolare che, in estrema sintesi, si può definire come un disturbo cronico ricorrente caratteriz-

zato da fluttuazioni dello stato d’animo e dell’energia. Come si riconosce Di seguito sono elencati i sintomi delle due fasi che, tipicamente, attraversano i pazienti [World Health Organization, 2019]. Episodi depressivi: • tristezza • perdita di interesse per le cose a cui si era solitamente interessati • perdita di energia e stanchezza • cambiamenti nell’appetito e nel sonno – mangiare e dormire troppo o troppo poco • sentirsi in colpa o inutili • bassa autostima • pensiero più lento, dimenticanze

• difficoltà di concentrazione • pensieri di autolesionismo e suicidio Episodi maniacali: • umore elevato – “sentirsi al di sopra del mondo” – sensazione di assoluta felicità • eccessiva irritabilità, rabbia • aumento di energia e/o irrequietezza • maggiore loquacità • perdita delle normali inibizioni sociali; disattenzioni finanziarie • diminuzione del bisogno di dormire • autostima gonfiata (posso fare qualunque cosa io voglia!) • distraibilità (incapacità di concentrarsi) • elevata energia sessuale

Gli stati d’animo vanno quindi da periodi estremamente “up”, euforici (episodi maniacali) a periodi molto tristi, “down”, in cui i pazienti hanno bassi o bassissimi livelli di attività (episodi depressivi). Tipi di disturbo bipolare Non esiste comunque un’unica forma di disturbo bipolare, ma se ne distinguono tre [The National Institute of Mental Health, 2018]. Il disturbo bipolare I è caratterizzato da episodi maniacali che durano almeno sette giorni (la maggior parte della giornata, quasi ogni giorno) e, in alcuni casi, sono talmente gravi da rendere necessaria un’assistenza di tipo ospedaliero. Gli episodi depressivi in genere durano almeno due setti-

Le fasce di età più coinvolte vanno dai 15 ai 35 anni [World Health Organization, 2019] e, in particolare, il disturbo bipolare colpisce i più giovani, cui può provocare compromissioni cognitive e funzionali che portano persino al suicidio.


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Il disturbo bipolare non migliora da solo: è necessario l’intervento di uno specialista. Non sempre però è facile riconoscere la necessità di chiedere aiuto. Spesso accade che sia i pazienti, sia le persone a loro vicine, in qualche modo valutino positivamente i periodi euforici delle fasi maniacali, però necessariamente seguiti da crolli emotivi che lasciano depressi, logorati, e spesso sono causa indiretta di problemi finanziari, legali, relazionali

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mane. Sono anche possibili episodi di disturbi dell’umore con caratteristiche miste (contemporaneità di depressione e episodi maniacali). Il disturbo bipolare II si caratterizza per episodi depressivi e episodi ipomaniacali di entità minore rispetto a quelli attraversati dai pazienti affetti dal disturbo di tipo I. Esiste infine il disturbo ciclotimico (o ciclotimia), in cui in cui episodi ipomaniacali e sintomi depressivi non sono abbastanza intensi o non durano abbastanza a lungo da essere qualificati come tali. In questi casi i sintomi si registrano per almeno due anni negli adulti e per un anno nei bambini e negli adolescenti. Le cure Il disturbo bipolare non migliora da solo: è necessario l’intervento di uno specialista. Non sempre però è facile riconoscere la necessità di chiedere aiuto. Spesso accade che sia i pazienti, sia le persone a loro vicine, in qualche modo valutino positivamente i periodi euforici delle fasi maniacali, però necessariamente seguiti da crolli emotivi che lasciano depressi, logorati, e spesso sono causa indiretta di problemi finanziari, legali, relazionali [Mayo Clinic, 2021]. Non è del resto facile neppure per lo specialista fare una diagnosi accurata del disturbo bipolare, sia perché al momento non esistono biomarcatori, sia perché l’insorgenza è solitamente legata a un episodio depressivo che può spingere a diagnosticare una depressione unipolare [The Lancet, 2015]. Il trattamento medico riesce comunque ad aiutare molti pazienti, anche quelli affetti dalle forme più gravi. I tipi più comuni di farmaci prescritti sono gli stabilizzatori dell’umore e gli

antipsicotici atipici. Gli stabilizzatori dell’umore (come il litio) possono aiutare a prevenire gli episodi maniacali o depressivi o comunque ridurre la loro gravità. Nei piani terapeutici di trattamento agli stabilizzatori dell’umore vengono spesso associati a farmaci che mirino a regolarizzare il sonno e i livelli di ansia. In combinazione con i farmaci viene spesso utilizzata anche la psicoterapia, allo scopo di aiutare i pazienti a identificare ed eventualmente modificare emozioni, pensieri e compor-

tamenti. [The National Institute of Mental Health, 2018]. La ricerca Il disturbo bipolare ha avuto una propria definizione solo nella seconda metà del Novecento: la distinzione tra disturbi affettivi unipolari e bipolari si deve infatti, in Europa, a Leonhard (1957), Angst (1966) e Perris (1966) e, negli Stati Uniti, a Winokur e Clayton (1967) [Rivista di Psichiatria, 2008]. Negli ultimi decenni c’è stata quindi un’enorme crescita nel numero degli

studi, in particolare – come mostra il grafico – sul disturbo bipolare tra bambini e adolescenti [The International Society for Bipolar Disorders, 2017]. Attualmente le linee di ricerca più interessanti a livello internazionale sono quelle che cercano di definire terapie sempre più personalizzate. Come spiega il professor Antonio Tundo, direttore dell’Istituto di Psicopatologia, “in attesa di nuovi e più efficaci strumenti terapeutici, la ricerca clinica internazionale oggi tenta di individuare, all’interno dei disturbi bipolari, sottotipi più omogenei per poter personalizzare le cure e ottenere la migliore risposta possibile. Sappiamo, per esempio, che sono necessarie terapie differenti se il disturbo è cominciato con una depressione o con un’euforia (polarità di esordio), se le ricadute sono più spesso di tipo depressivo o euforico (polarità prevalente) oppure se le fasi di benessere tra un episodio e l’altro sono lunghe, molto brevi o addirittura assenti (ciclicità continua).” Tra i tanti studi di ambito prettamente clinico è forse interessante citarne uno dai risvolti anche sociologici, considerato che ribalta la diffusa percezione dei pazienti bipolari come persone violente. Lo studio dimostra come ciò sia il frutto di una sorta di stigma sociale, più che di una effettiva realtà clinica. Tra i pazienti coinvolti nello studio solo l’1% ha infatti mostrato atteggiamenti aggressivi verso altre persone, mentre in altri casi è stata registrata violenza verso gli oggetti oppure esclusivamente verbale. Inoltre, durante i periodi di benessere gli episodi di violenza registrati tra i pazienti affetti da disturbo bipolare non di discostano, quanto a frequenza, da quelli misurati nel resto della popolazione [Journal of Psychopathology, 2021].

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Tra i tanti studi di ambito prettamente clinico è forse interessante citarne uno dai risvolti anche sociologici, considerato che ribalta la diffusa percezione dei pazienti bipolari come persone violente. Lo studio dimostra come ciò sia il frutto di una sorta di stigma sociale, più che di una effettiva realtà clinica.


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I COLLETTI BIANCHI DEL FAKE VAX Un mondo di professionisti e medici che col finto vaccino girano indisturbati col green pass

di Duccio Petroni

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on ci mettono la faccia, e neppure il nome. Si dicono vaccinati, ma lo sono esclusivamente sulla carta. Hanno in tasca il green pass, e in questo modo entrano ovunque. Quando si parla di no-vax fanno spallucce, e spesso li liquidano come degli idioti, che fanno molto rumore per nulla. «Perché» come spiega Andrea, di professione infermiere «il sistema lo devi fottere dall’interno, altrimenti non ha senso». Ed è condensata in questa spudorata certezza la convinzione di centinaia di italiani – secondo le stime di Panorama - che il sistema sono riusciti ad aggirarlo. Si tratta di personale sanitario, ma anche avvocati e commercialisti che dietro i loro colletti bianchi e l’apparenza rassicurante dei professionisti, l’aria morigerata di chi naviga sottotraccia, i legami intimi e a volte ricattatori, si fregiano del green pass, ma il vaccino non l’hanno fatto. E non lo faranno. Come Carla, quarantaduenne, insegnante in una scuola superiore. «Sinceramente io mi reputo una persona normale. Sono laureata, in buona salute e molto attenta all’ambiente. Pratico tutti i giorni yoga e due volte alla settimana volontariato. Credo che esista il Covid-19, ma ho più paura del vaccino che del virus. Capisco perfettamente che vaccinarsi sia un valore morale, ma questa cosa proprio non potevo farmela. E così, perché per andare in classe è obbligatorio la certificazione, ho cercato una scorciatoia». La scorciatoia l’ha trovata attraverso un medico - che chiameremo Michele -, amico di vecchia data del padre (vaccinato per davvero), con cui dopo lunghe insistenze riusciamo a parlare. Vive in una città anonima, da quasi vent’anni esercita la professione di medico di famiglia e ci tiene a definirsi refrattario a qualsiasi definizione. Non


“Sinceramente io mi reputo una persona normale. Sono laureata, in buona salute e molto attenta all’ambiente. Pratico tutti i giorni yoga e due volte alla settimana volontariato. Credo che esista il Covid-19, ma ho più paura del vaccino che del virus”.

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vuole sentire parlare di no mask, no vax, no green pass. Considera la sua una scelta intima e personale, che ha condiviso con un ristretto numero di colleghi che punteggiano – fra ambulatori di periferia e strutture sanitarie piuttosto note – tutta Italia. «Sembro un controsenso, lo so», esordisce. «Vaccino, eppure io non mi sono vaccinato. La verità è che, se fosse per me, direi a tutti i miei pazienti di non farlo. Eppure, non posso. Mi radierebbero dall’ordine, perderei ogni cosa. Per questo ho scelto, d’accordo con mia moglie, la strada della carboneria. Da quando sono stato obbligato a vaccinare, avrò fatto almeno una ventina di finte dosi. Ovviamente senza prendere un euro. Tutta gente che aveva bisogno della certificazione, e che senza avrebbe avuto parecchi problemi».

Persone, insomma, che rischiavano il demansionamento e che adesso, secondo le nuove indicazioni, avrebbero dovuto tenere comportamenti molto ristretti. «Ho dato loro la possibilità di vivere normalmente, senza dover fare tamponi ogni 48 ore. L’ho fatto con la promessa che mai a nessuno avrebbero detto la verità e, soprattutto, che avrebbero tenuto dei comportamenti attenti. Il fatto è che io so bene quanto sia letale il Covid-19, ma non credo affatto che i vaccini siano la soluzione». Una risposta alternativa alla pandemia, però, Michele non sa darla e commenta che continuerà – come alcuni suoi colleghi – ad agire di nascosto, perché «per ora nessuno può controllare. I vaccini vengono fatti nella segretezza di una stanza, al massimo con un infermiere, e se i diretti interessati mantengono il silenzio tutto resta invisibile». Ancora più estrema la posizione di Tommaso, specialista di discreta fama. Ci dà appuntamento su una piattaforma online, ci risponde con un paio di occhiali da sole e una mascherina colorata che ne nasconde l’intero viso. «Da quando si è diffuso il Covid-19, sono diventato due persone: da una parte il medico in prima linea sempre disponibile con i pazienti, dall’altra l’attivista online. Senza rendermene conto, mi sono trasformato in un ossimoro vivente». Quando pronuncia la parola ossimoro, Tommaso si ferma. «Fare un conto preciso di quante persone ho vaccinato per finta è complesso. In media una ogni seduta vaccinale, dove inoculavo dalle 6 alle 18 dosi». Dei rischi che questi comportamenti producono per la collettività – quasi sia in atto una pericolosa rimozione e autoassoluzione da parte dei diretti interessati – nessuno degli intervistati vuole parlare. A chiarirli

Una delle manifestazioni anti-green pass in Francia.

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Filippo Anelli, presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri (FNOMCEO): «Si tratta di un reato, che va denunciato all’autorita giudiziaria. In parallelo, l’Ordine valuterà i connessi aspetti disciplinari». Per ora, però, tutto resta sottotraccia. «La questione è semplice», spiega Sabrina, segretaria di un centro medico, che ha fatto il fake vax dal suo medico di famiglia quattro mesi fa. «Tutto è nato per caso. Avevo avuto delle allergie ad alcuni farmaci e avevo molti dubbi. I miei responsabili, dopo l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie, sono stati chiari: o mi mettevo in regola, perché il mio impiego mi obbliga a stare a stretto contatto con il pubblico, o restavo a casa. Allora ne ho parlato con quello che ormai ho battezzato Dott. X». Sabrina racconta che dopo due settimane era nello studio del medesimo medico, che gli stava applicando un cerotto sul deltoide sinistro. «Ha registrato il vaccino sul

“Avevo avuto delle allergie ad alcuni farmaci e avevo molti dubbi. I miei responsabili, dopo l’obbligo vaccinale per le professioni sanitarie, sono stati chiari: o mi mettevo in regola, perché il mio impiego mi obbliga a stare a stretto contatto con il pubblico, o restavo a casa. Allora ne ho parlato con quello che ormai ho battezzato Dott. X”.


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Il sentimento di paura – che prende adesso i confini di un’avversità patologica a tutto ciò che è vaccino e farmaco, adesso una ripugnanza morbosa a qualsiasi tipo di prescrizione che viene vissuta come un obbligo da eludere tassativamente – è piuttosto ricorrente nelle conversazioni con i fake vax. Appare come la molla anche di chi – spesso perché privo di conoscenze dirette la dose di Moderna, o di Pfizer, l’ha ricevuta digitalmente.

Bitcoin.

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portale, e l’ha buttato nel lavandino. Quattro settimane dopo, con le stesse modalità, ho fatto la seconda dose di Astrazeneca. Non ho pagato niente, se non con la riconoscenza. Questo segreto mi legherà a vita a questa persona. I giorni dopo è stato un po’ pietoso fingere i tipici sintomi, dal dolore al braccio alla febbre. Mi vergogno di quello che ho fatto, ma la paura delle controindicazioni ha vinto su tutto». Il sentimento di paura – che prende adesso i confini di un’avversità patologica a tutto ciò che è vaccino e farmaco, adesso una ripugnanza morbosa a qualsiasi tipo di prescrizione che viene vissuta come un obbligo da eludere tassativamente – è piuttosto ricorrente nelle conversazioni con i fake vax. Appare come la molla anche di chi – spesso perché privo di conoscenze dirette - la dose di Moderna, o di Pfizer, l’ha ricevuta digitalmente. Quotidianamente molti professionisti preferiscono rivolgersi ai tanti rivoli di internet che offrono diverse alternative per ottenere il green pass senza passare per il vaccino. A comin-

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ciare dal deep web o da alcune chat private di Telegram, il social più difficilmente tracciabile anche per la Polizia postale. Entrare in contatto con degli esercenti di questo business nero è piuttosto semplice. Liam Nuah – per esempio - ci risponde dalla California, ci domanda in Paese viviamo e poi, con una prassi collaudata: «Nessun problema. Costa 220 dollari. Ci vogliono circa due giorni, e per il pagamento le possibilità sono Paypal, Zelle, Apple pay, Bitcoin». Quando chiediamo delucidazioni e possibili rischi, è sintetico: «Già fatto per l’Italia. Dopo il pagamento, mandatemi lo screenshot». Medesimo il discorso per Alain, che invece scrive dalla Francia, e domanda 300 euro. «Il sistema è piuttosto semplice», minimizza Gianni, 37 anni, architetto. «Mi sono fidato perché non avevo alternative, ho pagato 400 dollari in bitcoin e dopo tre ore avevo già tutto». L’immediatezza e la facilità del sistema hanno attirato l’attenzione degli investigatori che - secondo quanto risulta a Panorama – quotidianamente monitorano chat, app di messaggistica e anche gruppi social. Solo poche settimane fa la Polizia ha chiuso 32 canali Telegram. Da marzo ad agosto è aumentato – secondo la società di sicurezza informatica Check Point Software Technologies - del 257% il numero di venditori che usano l’app per pubblicizzare falsi green pass. Su Telegram attualmente gli esperti denunciano che sono attivi 2500 gruppi il cui seguito è aumentato del 566%. Alcuni contano una media di 100.000 follower, altri raggiungono picchi di 450.000 seguaci. I paesi maggiormente coinvolti nella domanda di carte di vaccinazione false sono Stati Uniti, Regno Unito, Germania. E, oggi più che mai, anche la nostra Italia.


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EMERGENZA SUICIDI IN ITALIA, MA NON CI SONO DATI ISTITUZIONALI L’Osservatorio Suicidi: da gennaio ad agosto 413 suicidi e 348 tentativi

di Carmine Gazzanni

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a inizio 2021 al 31 agosto di quest’anno si contano 413 suicidi e 348 tentativi. Sono questi i dati dell’Osservatorio suicidi della Fondazione BRF - Istituto per la Ricerca in Psichiatria e Neuroscienze, pubblicato in occasione della Giornata Mondiale per la Prevenzione del Suicidio (lo scorso 10 settembre). “Sono numeri inquietanti, circa un suicidio ogni 12 ore - specifica il presidente della Fondazione, il professor Armando Piccinni -. Parliamo di dati evidentemente sottostimati. Questo, però, ci indica anche in che direzione va la malattia mentale che spesso è fortemente esposta a tali tragici gesti, aggravati dalla situazione pandemica che stiamo vivendo”. Secondo i dati raccolti dalla

Fondazione a maggio si è registrato il numero più alto (84, quasi tre al giorno), dunque marzo (66) e infine agosto (61). “Questi dati - spiega ancora Piccinni - dovrebbe spingererci a pensare ad un monitoraggio piu’ puntuale relativo agli atti suicidari e ad una riorganizzazione dei servizi, utile a medici, psichiatri e organi di governo. Ad oggi, infatti, l’unico ente istituzionale che monitora tale fenomeno è l’Istat. L’ultimo aggiornamento è però relativo all’anno 2017. Con questo ritardo e’ impossibile capire come intervenire per scongiurare, specie visto il periodo critico che stiamo vivendo, un accentuarsi degli atti suicidari”. Allarme arriva anche da altri enti e fondazioni. Le misure restrittive durante la pandemia hanno impatta-

to sulla salute mentale dei bambini e degli adolescenti che porteranno ad un aumento delle richieste di aiuto per le forme più gravi come autolesionismo e comportamento suicidario: secondo i dati resi noti dall’ospedale pediatrico Bambino Gesù le ospedalizzazioni in questa struttura per ideazione suicidaria e tentativo di suicidio dedicato sono passate dal 17% nel gennaio 2020 al 45% del totale nel gennaio 2021. Per far fronte a questa emergenza, al Bambino Gesù non a caso è partito un servizio alla prevenzione del suicidio in età evolutiva. Gli ultimi dati ci dicono che il tasso di suicidio annuo a livello mondiale è pari a circa 11 persone ogni 100.000 abitanti (fonte OMS), costituendo l’1,5 % di tutte le cause di morte. L’identificazione precoce con diagnosi accurate e il trattamento integrato della depressione, avvertono gli esperti, è un intervento preventivo di primaria

importanza per ridurre il rischio di suicidio in eta’ evolutiva. I dati raccolti al Bambino Gesù tra il 2011 e il 2018 segnalano, come detto, un aumento di 20 volte del numero delle consulenze effettuate in urgenza da specialisti neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza per ideazione suicidaria, tentativi di suicidio e comportamenti autolesivi nei giovani tra i 10 e 18 anni. Più nel dettaglio, nel mese di aprile 2020 il 61% delle consulenze neuropsichiatriche ha riguardato fenomeni di ideazione suicidaria e tentativi di suicidio (rispetto al 36% dell’aprile 2019). A gennaio 2021, durante la seconda ondata pandemica, il 63% delle consulenze è stato effettuato per ideazione suicidaria e tentativo di suicidio (rispetto al 39% del gennaio 2020), con un conseguente aumento delle ospedalizzazioni per le stesse problematiche che sono passate dal 17% nel gennaio 2020 al 45% del totale nel gennaio 2021.

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Gli ultimi dati ci dicono che il tasso di suicidio annuo a livello mondiale è pari a circa 11 persone ogni 100.000 abitanti (fonte OMS), costituendo l’1,5 % di tutte le cause di morte. L’identificazione precoce con diagnosi accurate e il trattamento integrato della depressione, avvertono gli esperti, è un intervento preventivo di primaria importanza per ridurre il rischio di suicidio in eta’ evolutiva.


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LA CANNABIS PER COMBATTERE IL LONG-COVID? Primo studio al mondo avviato in Brasile

di Francesco Carta

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na ricerca per testare su 1000 pazienti l’utilizzo di uno dei principi attivi della cannabis, il cannabidiolo, o Cbd, nel trattamento del Long Covid, verrà realizzato dall’Instituto do Coracao (Incor), in Brasile. Lo studio, il primo di questo tipo al mondo, potrà contare sull’appoggio di altri ospedali e istituti di ricerca del Paese sudamericano, sia pubblici che privati. Il Covid-19 è considerato dagli esperti una patologia sistemica: questo significa che può raggiungere diversi organi del corpo e non solo i polmoni come si credeva inizialmente. Long Covid è invece il termine utilizzato per definire un insieme

di disturbi e alcune persone hanno manifestato dopo aver contratto la malattia e dopo essere formalmente guariti. In genere le persone interessate da questo fenomeno hanno un decorso della patologia breve con dei sintomi abbastanza intensi. Dopo il miglioramento del quadro clinico i pazienti presentano però degli strascichi che possono durare anche settimane o mesi. Stando a quanto emerge da una ricerca della ong Fair Health, su due milioni di cittadini americani infettati dal virus il 23% ha dovuto far ritorno dal medico un mese dopo la positività a causa di alcune conseguenze a più lungo termine della malattia. Alcune di queste,

stando a quanto specialisti concordano, sono frutto del risultato di una risposta immunitaria, che causa un disequilibrio di alcune proteine del sistema di difesa del nostro corpo. Il ricercatore Edimar Bocchi, coordinatore dello studio che verrà realizzato da Incor, definisce questo tipo di reazione “tempesta infiammatoria”. Il cbd è un principio attivo della cannabis che non ha effetti psicotropi e che può essere utilizzato come antinfiammatorio nella prevenzione e nel trattamento delle malattie polmonari. Oltre a questo, possiede diversi altri effetti terapeutici provati scientificamente. La ricerca, che ha una durata pre-

vista di tre mesi, mira a scoprire se il cannabidiolo può essere in grado di equilibrare le proteine che regolano la risposta immunitaria, così avviene appunto con altre malattie. “Non esiste nessun altro studio al mondo rispetto al possibile uso del Cbd per questa patologia cronica”, ha spiegato Bocchi alla Jovem Pam. “Inoltre, l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha indicatori i trattamenti per il Long Covid come una priorità, una causa della sua alta incidenza. Dato che il cannabidiolo si è già dimostrato efficace in altri modelli, esiste una ragione per credere che si possa utilizzare anche con questo tipo di popolazione di pazienti”.

Il cbd è un principio attivo della cannabis che non ha effetti psicotropi e che può essere utilizzato come antinfiammatorio nella prevenzione e nel trattamento delle malattie polmonari.


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SCLEROSI MULTIPLA SCOPERTA LA PROTEINA CHIAVE NEL PROCESSO DI NEURODEGENERAZIONE L’importante studio condotto da una ricercatrice italiana Adesso si aprono nuovi spiragli di ricerca

di Antonio Acerbis

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na scoperta che potrebbe rivoluzionare il modo di intendere e approcciarsi a una delle patologie più drammatiche dell’età contemporanea: la sclerosi multipla. È infatti possibile ridurre lo stato infiammatorio della sclerosi multipla (SM) bloccando una proteina. Questa la scoperta di un’équipe di italiani. Alcune lesioni cerebrali causate dal processo tipico di questa malattia non si risolvono, ma anzi sono portate ad espandersi danneggiando aree

sempre più estese del tessuto nervoso. Queste lesioni in espansione sono chiamate “placche sviluppate attive” e determinano inevitabilmente la perdita di funzioni cerebrali nelle forme più gravi della malattia. Per comprendere meglio i meccanismi alla base di questo processo di infiammazione cronica e per favorire lo sviluppo di nuove terapie, Martina Absinta ora tornata in Italia dopo un lungo periodo di ricerca negli Stati Uniti ha analizzato oltre 66.000 cellule presenti sul confine delle lesioni in espansione, profilandone individualmente l’espressione attraverso il sequenziamento dei trascritti di RNA nucleare. Grazie a questa mappa cellulare estremamente dettagliata, il gruppo ha identificato il ruolo chiave di una proteina chiamata C1q, prodotto dalla

microglia - le cellule del sistema immunitario che difendono il cervello - nella progressione delle lesioni e ha dimostrato, in un modello animale della malattia, che è possibile ridurre lo stato infiammatorio bloccando proprio questa proteina. La scoperta - pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature e possibile anche grazie al sostegno di Fondazione Cariplo - apre la strada a nuovi potenziali approcci terapeutici per rallentare il processo infiammatorio e degenerativo della sclerosi multipla progressiva ed è il frutto di una ricerca iniziata dalla Absinta presso il National Institute of Neurological Disorders and Stroke dell’NIH (USA), sotto la guida di Daniel Reich, e terminata nel laboratorio di Neuroimmunologia dell’IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano guidato da Gianvito Martino, prorettore alla ricerca e alla terza missione dell’Università Vita-Salute San Raffaele. “Questo lavoro è in realtà il frutto di quasi dieci anni di ricerche, svolte al confine tra l’impiego di tecniche avanzate di risonanza magnetica e l’analisi cellulare e molecolare dei tessuti cerebrali patologici. Pur essendo un lavoro di ricerca di base, si poggia su un background clinico e ha potenziale traslazionale”, ha detto settimane fa Martina Absinta. In studi precedenti - condotti sempre presso l’NIH e la Johns Hopkins University School of Medicine - la ricercatrice aveva infatti un biomarcatore di risonanza magnetica in grado di individuare, in vivo e in modo non invasivo, le lesioni diagnostiche identificato attive nella sclerosi multipla, tracciandone il confine cellulare in espansione e dimostrandone l’associazione con la progressione della disabilità nei pazienti. È grazie a questa tecnica di imaging che è stato possibile riconoscere le cellule da analizzare, appartenenti all’anello esterno della lesio-

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Grazie a questa mappa cellulare estremamente dettagliata, il gruppo ha identificato il ruolo chiave di una proteina chiamata C1q, prodotto dalla microglia - le cellule del sistema immunitario che difendono il cervello - nella progressione delle lesioni e ha dimostrato, in un modello animale della malattia, che è possibile ridurre lo stato infiammatorio bloccando proprio questa proteina.


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Analizzando più nel dettaglio i diversi geni all’interno della microglia, i ricercatori hanno identificato che la proteina ha dimostrato di aver collaborato a un ruolo chiave nel mantenere l’infiammazione cronica.

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ne, quello che guida il processo degenerativo: “Il sequenziamento dell’RNA messaggero individualmente in ogni singola cellula è una tecnica innovativa: permette di identificare quali sono i geni maggiormente espressi in ciascuna e di raggruppare cellule con espressione simili in gruppi. Il risultato è una mappa estremamente dettagliata della loro attività e delle loro cellule, lungo la periferia delle lesioni”, spiega ancora la ricercatrice. Come detto centrale è la microglia. Queste cellule hanno il compito di proteggere il sistema nervoso dalle malattie, ma nei pazienti con sclerosi

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multipla si secernono in modo anomalo molecole infiammatorie e tossiche che danneggiano le altre cellule nervose, causando la perdita della guaina mielina e la degenerazione neuronale. Analizzando più nel dettaglio i diversi geni all’interno della microglia, i ricercatori hanno identificato che la proteina ha dimostrato di aver collaborato a un ruolo chiave nel mantenere l’infiammazione cronica. Per dimostrarlo, il gruppo guidato da Martina Absinta ha inibito C1q in un modello sperimentale, producendo una netta riduzione dello stato infiammatorio e della progressione della malattia.

nuovo coronavirus

Consigli sulle terapie in corso Titolo Non trascurare le tue patologie croniche. Continua ad assumere i farmaci che ti sono stati prescritti seguendo sempre le raccomandazioni del tuo medico. Le tue patologie non aspettano la fine della pandemia! Contatta il tuo medico per chiedergli consiglio, se hai qualche dubbio sulla terapia che stai assumendo. Il medico può fornirti telefonicamente il numero della ricetta con il quale ritirare i medicinali di cui hai bisogno presso la farmacia. Informati su quando potrai riprendere i tuoi controlli medici periodici. Non sospendere le terapie in corso senza aver consultato il tuo medico, in caso di positività al COVID-19. Ricordati di riferire al medico se stai assumendo integratori alimentari.

Chiedi conferma degli appuntamenti per le vaccinazioni dei tuoi bambini e cerca di non saltarli. Non esiste solo il COVID-19!

A cura del Gruppo ISS “Comunicazione Nuovo Coronavirus” 13 maggio 2020


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UN NUOVO MECCANISMO DI PROTEZIONE DEI NEURONI Sarà fondamentale per combattere le malattie neurodegenerative

di Alessia Vincenti

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a noradrenalina protegge le cellule nervose ripristinando il meccanismo dell’autofagia. Si aprono dunque nuove prospettive per malattie neurodegenerative come Parkinson e Alzheimer. Negli ultimi anni diverse ricerche scientifiche hanno suggerito che la noradrenalina (o norepinefrina), un ormone che nel cervello agisce da neurotrasmettitore, possa essere un elemento cruciale per la protezione delle cellule nervose. Ora una ricerca condotta dall’Unità di Neurobiologia dei Disturbi del Movimento dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (IS), in collaborazione con l’Università di Pisa e l’Università

Sapienza di Roma, chiarisce uno dei meccanismi attraverso i quali la noradrenalina è capace di evitare la neurodegenerazione, elemento costitutivo di diverse patologie, come Alzheimer e Parkinson. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica International Journal of Molecular Sciences, è stato condotto su cellule nervose coltivate in laboratorio. «Un metodo classico per ottenere effetti neurotossici - spiega la dottoressa Carla Letizia Busceti - è quello di sottoporli a metanfetamina. La somministrazione di questa molecola in modelli animali, o la sua assunzione come sostanza d’abuso nell’uomo, generi infatti disturbi co-

gnitivi assimilabili alle demenze degenerative, oltre alla facilità di Parkinson. Questo ha reso la metanfetamina un utile modello per comprendere i meccanismi alla base di specifiche degenerazioni neuronali». Gli esperimenti condotti dal Neuromed hanno dimostrato che, somministrando preventivamente noradrenalina, i neuroni risultano completamente protetti dalla tossicità indotta da metanfetamina. «Sapevamo - aggiunge la dottoressa Francesca Biagioni - che nella Malattia di Parkinson e nelle demenze si manifesta una precoce degenerazione dei neuroni. Fino ad oggi, tuttavia, non era chiaro in che modo la perdita del neurotrasmettitore fosse in grado di favorire queste malattie. Con il nostro studio abbiamo potuto vedere che con la noradrenalina possiamo agire su due bersagli cellulari: i mitocondri e l’autofagia (uno dei più importanti processi attraverso i quali le cellule si rinnovano, eliminando e riciclando componenti non funzionanti). I due

sistemi vengono così protetti dalla neurodegenerazione indotta da metanfetamina, che, ricordiamo, è simile a quella che avviene nella demenza degenerativa e nella Malattia di Parkinson». «Abbiamo anche potuto vedere come la noradrenalina eserciti questi effetti agendo su uno specifico tipo di protezione di recettori, i “beta 2”, che, se stimolati da farmaci specifici sono in grado di far crescere la noradrenalina nel cervello - commenta il professor Francesco Fornai, Professore Ordinario di Anatomia dell’Università di Pisa e Responsabile dell’Unità di Neurobiologia dei Disturbi del Movimento del Neuromed - e così anticipa spesso l’insorgenza dei sintomi di malattie come Alzheimer o Parkinson». Conoscere i recettori responsabili dell’effetto protettivo della noradrenalina, e la patologia dei meccanismi molecolari che vengono reclutati per esercitare neuroprotezione, apre fondamentali nuove strade terapeutiche.

“Fino ad oggi non era chiaro in che modo la perdita del neurotrasmettitore fosse in grado di favorire queste malattie. Con il nostro studio abbiamo potuto vedere che con la noradrenalina possiamo agire su due bersagli cellulari: i mitocondri e l’autofagia (uno dei più importanti processi attraverso i quali le cellule si rinnovano, eliminando e riciclando componenti non funzionanti)”.


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ECCO COME I TUMORI ALTERNANO CAPACITÀ DI MOVIMENTO E FANNO PERDERE PESO Partita la ricerca di un farmaco per contrastare la “cachessia”

di Alessandro Righi

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no studio guidato dall’Italia spiega come i tumori modificano i neuroni responsabili del movimento e provocano un dimagrimento rischioso per la vita. Il lavoro dimostra che la crescita della massa neoplastica causa la produzione di specifiche proteine (activina A, IL-6, noggin) in grado di alterare la struttura e la funzionalità dei neuroni motori presenti nel midollo spinale. Proprio a partire dall’attacco di queste molecole coinvolte con successo è partita la ricerca di un farmaco già utilizzato contro altre malattie. La ricerca - pubblicata su Science Translational Medicine e finan-

ziata in Italia da Fondazione Airc e da Fondazione Umberto Veronesi - è firmata dal gruppo di Marco Sandri, coordinatore, e da Roberta Sartori prima autrice del paper, presso il Dipartimento di scienze biomediche dell’università di Padova e l’Istituto veneto di medicina molecolare (Vimm). «Questo lavoro - sottolinea Sandri - è un esempio di come una collaborazione internazionale e multidisciplinare abbia permesso sia l’individuazione delle molecole coinvolte nella cachessia neoplastica, sia la sperimentazione in animali di laboratorio di un farmaco già in uso in vari Paesi per il trat-

tamento di altre patologie. Il trattamento farmacologico ha contrastato la degenerazione dei neuroni, preservato la massa muscolare e ha guadagnato la sopravvivenza». La crescita di un tumore all’interno del corpo umano - ricorda una nota di Vimm e università di Padova - causa dei cambiamenti funzionali, strutturali e metabolici dei tessuti che portano al progressivo aggravarsi delle condizioni del paziente. Nella maggior parte dei casi la neoplasia altera la normale capacità contrattile e metabolica muscolare, inducendo spesso nei pazienti uno stato di fatica, di stanchezza e di mancanza di fiato che non solo limita la capacità di movimento, ma riduce anche la tolleranza ai trattamenti farmacologici. Più specificatamente, una delle cause di mortalità associata alla crescita tumorale è dovuta a un’incontrollata perdita di peso che non può essere contrastata con un supporto

nutrizionale. Più della metà dei pazienti con tumori solidi va incontro a questo processo, chiamato cachessia, che è il risultato dell’esaurimento del tessuto adiposo e muscolare. Purtroppo, i meccanismi molecolari alla base della cachessia neoplastica non sono ancora completamente definiti e, ad oggi, non esistono terapie atte a contrastare l’insorgenza. Da qui l’importanza del nuovo studio che ha chiarito appunto come la crescita della massa neoplastica causa la produzione di particolari proteine che cambiano la struttura e la funzionalità dei neuroni, motori responsabili del rilascio di segnali attivatori dalla spina dorsale alle fibre muscolari. Questo effetto sui motoneuroni comporta una diminuzione della comunicazione tra nervo e muscolo, evento che induce debolezza, affaticabilità precoce, perdita di massa muscolare e comparsa di cachessia.

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La crescita di un tumore all’interno del corpo umano ricorda una nota di Vimm e università di Padova - causa dei cambiamenti funzionali, strutturali e metabolici dei tessuti che portano al progressivo aggravarsi delle condizioni del paziente.


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LE OLIMPIADI DEI RECORD: PROTAGONISTI ATLETI MAI COSÌ UMANI Fra fragilità e confessioni, viaggio in un’altra Tokyo

di Chiara Andreotti

“È

Ok non essere Ok”. Potrebbe essere questo il mantra delle Olimpiadi appena finite, che si sono rivelate straordinarie per il nostro Paese – capace di superare il record stabilito negli anni 60 – e per i messaggi positivi trasmessi in tutto il mondo, che finalmente hanno puntato il dito contro lo stigma sociale della malattia mentale. All’interno degli stadi vuoti, insieme alle vittorie e alle sconfitte, quest’anno è infatti risuonata una nuova consapevolezza: la salute mentale non va ignorata. Gli atleti ormai hanno raggiunto lo status di invincibili, fatto di perfezione e potenza, forza fisica e controllo. Ma quanto peso hanno sulla loro salute mentale queste congetture ormai radicate nell’immaginario comune? Simone

Biles, ginnasta statunitense di 24 anni, ha lanciato uno dei messaggi più forti e potenti: “Dobbiamo proteggere il nostro corpo e la nostra mente. Nella mia testa ci sono solo io”. Data come favorita per la vittoria sin dall’inizio della competizione, l’atleta ha scelto di ritirarsi dalla gara perché lo stress si era fatto insostenibile. Una scelta coraggiosa, che ha fatto discutere e lasciato interdette moltissime persone. “Ho combattuto tutti quei demoni, ora devo concentrarmi sulla mia salute mentale e non mettere a repentaglio la mia salute e il mio benessere”, ha dichiarato la pluripremiata ginnasta dopo aver comunicato il suo ritiro da numerose finali (decidendo di partecipare solo a quella alla trave, dove è risultata terza). Anche la tennista Naomi Osaka, che

ha avuto il compito di accendere il braciere olimpico, è riuscita a riassumere con una semplice frase il concetto che si trova alla base dell’abbattimento dello stigma riguardo la salute mentale: “È Ok non essere Ok”. Ritiratasi improvvisamente da numerosi tornei internazionali, è stata addirittura multata per la sua assenza apparentemente immotivata. Eppure, la coraggiosa Osaka ricorda a tutti che gli atleti sono prima di tutto esseri umani e che il loro mestiere non deve impedire il riconoscimento dei diritti che spettano ai lavoratori di altre categorie: “Abbiamo il privilegio di fare i tennisti e siamo devoti alla nostra professione, ma non conosco un altro mestiere dove un’unica assenza venga così stigmatizza. In ogni altro lavoro, saresti perdonato per aver preso dei giorni per te. Non dovresti dare spiegazioni dei tuoi sintomi, avresti diritto alla privacy”. A differenza di altre persone, la cui vita viene comunque messa sotto i riflettori, agli atleti non è concessa quella fragilità umana che è diritto di tutti quanti: le aspettative arrivano a toccare vette inimmaginabili, le speculazioni che seguono un ritiro o una sconfitta inaspettata diventano estenuanti, tanto da costringerli spesso a dichiarare pubblicamente il loro malessere, come se questo dovesse essere giustificato. Non è certo la prima volta che gli atleti olimpici affrontano pubblicamente questi temi. Già nel 2016 il nuotatore Michael Phelps aveva messo in luce il problema, raccontando di soffrire di depressione da molti anni. Ha ricordato a tutti che la pressione psicologica e lo stress a cui sono costantemente sottoposti gli sportivi non sono affatto sani e che per vincere una medaglia si corrono rischi fin troppo grossi. “Sono uno che ha sofferto di depressione almeno tre o quattro volte dopo le gare e ho messo la mia vita

in pericolo. Si fa di tutto per vincere una medaglia però quando si torna a casa è solo una questione di chi sarà il prossimo. L’unico modo per far sì che le cose cambino è che le persone chiedano aiuto”, ha spiegato l’olimpionico che, con le sue 28 medaglie, è a oggi il più decorato nella storia della competizione. Proprio questo concetto è diventato una priorità per la campionessa italiana Federica Pellegrini, eletta quest’anno come nuovo membro del Comité International Olympique (CIO): “Il benessere mentale degli atleti – ha spiegato - sarà una delle cose che sicuramente toccheremo. Credo che gli atleti debbano avere un aiuto psicologico importante, con queste pressioni e specie alle Olimpiadi dove sono ancora maggiori”. Forse il primo passo per abbattere l’aura di invincibilità che avvolge gli atleti è quello di riconoscere loro la possibilità di essere fragili e la consapevolezza di essere umani.

La ginnasta Simone Biles.

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Simone Biles, ginnasta statunitense di 24 anni, ha lanciato uno dei messaggi più forti e potenti: “Dobbiamo proteggere il nostro corpo e la nostra mente. Nella mia testa ci sono solo io”.


L’AUTRICE

L’AUTRICE

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“DOPO SECOLI DI BUIO INIZIAMO A SCOPRIRE I TALENTI FEMMINILI” Elisabetta Rasy, in libreria con “Le Indiscrete”, racconta di cinque fotografe che hanno cambiato il mondo

di Flavia Piccinni Elisabetta Rasy.

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o cominciato a scrivere di donne molto tempo fa, quando ancora non era una moda”. Dice così la scrittrice Elisabetta Rasy, pioniera fin dagli anni Settanta del racconto del femminile in ombra, da poco in libreria con “Le Indiscrete – Storie di cinque donne che hanno cambiato la fotografia” (Mondadori, pp. 252). Negli anni recenti ha indagato storie di artiste (“Le disobbedienti”, Mondadori) e svelato lo sguardo delle donne sulla Prima Guerra Mondiale (“Le regole del fuoco”, Rizzoli). Adesso, Rasy sceglie invece di tracciare il profilo di cinque artiste fra loro molto diverse - Tina Modotti, Dorothea Lange, Lee Miller, Diane

Arbus e Francesca Woodman – il cui unico obiettivo era quello di mostrare il mondo nell’instante dello scatto fotografico. Sono storie di una rinascita che sgorga dalla sofferenza, dall’intermittenza del pensiero, dall’irrequietezza del corpo e dell’amore. “Mi pare giusto e doveroso – prosegue l’autrice, i capelli scuri che le incorniciano il volto dalla carnagione ambrata, la voce profonda, attenta a scandire le parole, dal lieve e indistinguibile accento - che ci si cominci a interrogare sulle storie femminili. C’è molto da dire, considerando che per secoli abbiamo vissuto in un totale oblio. È un processo simile a quello che accadde con l’olocausto”. In che senso? Prima non si pubblicava niente a

riguardo, poi sono stati pubblicati centinaia di libri. È una cosa legittima, che risponde a un reale bisogno di informazione, per quanto questo flusso di notizie sia oggi forse un po’ troppo indifferenziato. C’è un po’ di tutto in questa foga che è anche moda. E, esattamente come accade nella moda, gli abiti da grande magazzino sono ben diversi da quelli sartoriali. I rischi di questa abbuffata di vissuti femminili sono superiori ai benefici? Assolutamente no. Concorrono a creare una sensibilità, un po’ di autostima e di consapevolezza femminile. Per quanto mi riguarda, io amo dare luce all’ombra. Non potrei raccontare la storia di attrici che hanno vinto tanti premi, o di imprenditrici di successo.

Mi interessano le biografie controverse. Nelle fotografie l’ombra è fondamentale, e queste donne hanno sempre un lato in ombra. Da cui traggono la loro straordinaria forza espressiva. Come ha scelto le cinque protagoniste de “Le Indiscrete”? È uno strano intreccio tra qualcosa di assolutamente istintivo e lo studio. Mi occupo di quello che mi piace, e scelgo emotivamente. Sono appassionata di fotografia da sempre, ma non volevo fare un lavoro da critica d’arte. Volevo raccontare delle vite. E allora ho cercato delle fotografe i cui lavori mi piacevano, e di cui mi piaceva anche l’esistenza. Come sempre accade, dopo la scelta emozionale, mi metto a studiare. Entro in una passione cono-

“Le Indiscrete” Elisabetta Rasy Mondadori 252 pagine 19 euro


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scitiva: comincio a leggere, a cercare, a trovare documenti, inizio un’indagine anche un po’ poliziesca. Sono molto confusionaria, mi attacco alle cose che mi colpiscono. Funziono più come una detective che come una studiosa. Cerco in queste vite degli indizi. Le piace più indagare o raccontare ciò che trova? Mi piace tutto. Ma a un certo punto devo dire basta alla ricerca, perché ci sprofondo dentro. Alla fine, separarsi dalla scrittura diventa dolorosissimo. Un po’ come allontanarsi da una persona cara. In copertina c’è Lee Miller, un mito del Novecento che ha costruito l’intera esistenza sui turbamenti. È stata straordinaria: bellissima, musa dei surrealisti, diventò corrispondente di guerra. Scelse una vita sempre in movimento. È molto interessante il suo rapporto con il corpo: stupenda, ha cercato la bellezza fuori di sé. Come

Lee Miller.

IL PODCAST

L’AUTRICE

Tina Modotti rivela il cambiamento femminile in atto nel Novecento. Entrambe sono donne che non si accontentano più di essere piacenti, vogliono essere dei soggetti che trovano la bellezza dove vogliono: fra i bambini di strada, in mezzo a una guerra. In tutte loro c’è un lato che mi ha toccato. Dorothea Lange veniva da una famiglia disfunzionale, come quella in cui sono cresciuta. Mio padre andò via quando avevo dieci anni, e ho ritrovato nella sua determinazione a lavorare non solo qualcosa di commuovente, ma un sentimento di riscossa che ho ben conosciuto. Tina Modotti era assetata di giustizia, e ha utilizzato la sua passione politica come strumento per conoscere sé stessa. Tutte poi sono spinte verso una ricerca perpetua in direzione di qualcosa di sconosciuto, non messo bene a fuoco. Un’attitudine femminile verso un mito misterioso da seguire. Forse, un sogno.

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Un filo diretto dal presente Nasce dalla radio il podcast “Quarto Potere” Massimiliano Coccia: “Abbiamo bisogno di strumenti per combattere fake news e disinformazione”

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accontare quello che succede nel mondo, e soprattutto in Italia, non soltanto attraverso la rassegna stampa, ma anche cercando testimonianze inedite, sguardi nuovi e prospettive inesplorate. Provare a restituire uno sguardo complesso agli ascoltatori attraverso un podcast – realtà che nel nostro Paese sta conoscendo un rapido sviluppo – e farlo gratuitamente, ogni giorno, sulle principali piattaforme. È questa la sfida di Massimiliano Coccia, giornalista d’inchiesta con uno storico passato a Radio Radicale, che torna finalmente con un appuntamento fisso capace di riscuotere i primi consensi a meno di un mese dalla partenza. Si tratta Quarto potere che, come spiega l’ideatore e conduttore “è la rassegna stampa di Storielibere.Fm. Nasce in anticipo rispetto alla tabella di marcia che avevamo immaginato. La prima puntata era prevista per il 20 settembre, ma gli accadimenti in Afghanistan non potevano lasciarci indifferenti. In una nottata abbiamo messo su tutto e siamo andati online. Ci sembrava l’unica cosa possibile mettere a disposizione le nostre competenze tecniche e giornalistiche per cercare di raccontare, informare e sensibilizzare l’opinione pubblica”. Cosa sta succedendo in Afghanistan? In Afghanistan sta succedendo qualcosa di

epocale ovvero la diretta conseguenza di un conflitto nato male e finito peggio. Il ritorno al potere dei talebani è sintomo di una classe politica interna fragile e corrotta che ha preferito la fuga o l’accordo per evitare di andare allo scontro. A farne le spese sono le donne e tutti quegli afgani che in questi 20 anni hanno creduto che una vita diversa fosse possibile. Per quale motivo il podcast è importante per raccontare la realtà? Il podcast è importantissimo perché il racconto orale è da sempre il mezzo immediato per la circolazione di idee e notizie. È on demand e quindi mescolabile con la nostra confusa quotidianità. È uno strumento che ha enormi potenzialità e speriamo che guadagni sempre più audit perché può divenire una sorta di università del parlato che può combattere fake news e disinformazione. Che tipo di riscontro che sta ottenendo? Sembra retorico, ma davvero non mi aspettavo una risposta così enorme, sia in termini di ascolti, di classifica che di partecipazione. Gli utenti scrivono, problematizzano e ci chiedono ulteriori spunti di riflessione. Anche per questo motivo nella sua versione ordinaria da settembre, “Quarto potere” sarà disponibile dalle 07:45 e prevederà degli approfondimenti con interviste e reportage. Un progetto di giornalismo diffuso e crossmediale. (F. P.)


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LIBRI

CINEMA E TV

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Con Emmanuel Carrère dentro i meandri del disturbo bipolare

“Un altro giro” Depressione, insicurezza risate e alcolismo

L’autore francese si mette a nudo in Yoga il suo ultimo acclamato libro pubblicato da Adelphi

Cocktail da Oscar per riflettere al cinema attraverso la pellicola del regista danese Thomas Vinterberg di Chiara Andreotti

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n ritiro yoga. Dieci giorni di silenzio. L’ambizione di scrivere “un libro un po’ furbetto”, e la vita che esplode a sparigliare ogni cosa perché – come diceva Fitzgerald – “la vita è tutta un processo di disgregamento”. E allora la giostra che si mette in atto: gli attentati a Charlie Hebdo. L’amore che finisce. La depressione. Gli elettroshock. Un campo di rifugiati a Leros, in Grecia, dove mettere in attesa la vita e insegnare a un gruppo di afghani. Il litio. L’esistenza che riprende su binari inaspettati, in qualche modo un nuovo amore. C’è un concentrato di verità – e molte menzogne, a dare adito alle polemiche hanno accompagnato l’anno scorso l’uscita del volume in Francia – nell’ultimo libro di uno dei più appassionanti, talentuosi e amati scrittori francesi al mondo: Emmanuel Carrère. Si tratta di “Yoga”, recentemente pubblicato da Adelphi, che ha dato alle stampe nel nostro Paese l’intera opera dell’autore a cominciare dal bestseller “Limonov” (2012) e dell’imprescindibile “L’avversario” (2000), colloquio su più piani fra l’autore e

Jean-Claude Romand, pluriomicida e mentitore seriale. Nel segno del suo personale stile – che incrocia l’autobiografia alla narrazione, arrivando a fondere memoir e reportage, saggio e critica dei costumi, in una bisque originale e irripetibile -, questa volta Carrère crea una straordinaria impalcatura di io e di super-io che si alternano in una rincorsa a perdifiato. I momenti più toccanti, e forse veri – per quanto la verità in quest’opera non sia affatto un valore, ma piuttosto un effetto collaterale della poetica e della premessa autoriale – sono quelli della seconda parte, storia della mia pazzia: “È inquietante – scrive l’autore - sentirti diagnosticare a quasi sessant’anni una malattia di cui hai sofferto per tutta la vita senza che nessuno l’abbia mai nominata. All’inizio protesti, io ho protestato dicendo che il disturbo bipolare è una di quelle nozioni che a un certo punto diventano di moda e vengono tirate in ballo e a sproposito. Poi leggi quello che puoi sull’argomento, rileggi la tua vita da questo puto di vista e ti accorgi che tutto torna. Che torna perfettamente”. (F. P.)

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a vita di Martin scorre su un bi- l’autostima si alza, l’insicurezza svanisce e nario senza destinazione, si di- i rapporti con le famiglie migliorano immostra indifferente a tutto quello provvisamente. Lentamente, però, l’espeche lo circonda: il suo lavoro di rimento diventa la scusa per cedere alla insegnante, la sua famiglia, il suo gruppo dipendenza. Il tasso alcolico segnato sullo di amici sembrano scivolargli via dalle dita schermo continua ad aumentare e rende e la depressione sembra affossarlo sempre il ritmo incalzante, come a sottolineare di più. quanto frenetiche stiano diUna sera, durante una ventando le vite di questo cena con i suoi colleghi e gruppo di amici. amici, il discorso cade sullo Si ride molto, e allo stesstudio di un filosofo seconso tempo si è obbligati a do cui la vita andrebbe visriflettere su cosa sia una disuta con un tasso di alcol nel pendenza – e quanto facile corpo superiore alla norma, sia sprofondarci dentro - asin modo da affrontare la secondando la macchina da routine con più naturalezza presa del danese Thomas e spensieratezza. Vinterberg – già vincitore a Quella che era nata come Una scena del film “Un altro giro”. Cannes con Festen nel 1998 una conversazione super– e adesso regista e scenegficiale si radica profondagiatore de “Un altro giro”, mente nella mente di Martin che decide di insignito del Premio Oscar come miglior provare questa nuova, magnetica, strada. film internazionale. Il nodo della storia Sorprendentemente si trova a rapportarsi è esplicito fin dai primi fotogrammi: l’alcon i suoi studenti in maniera più spigliata col è davvero la cura per l’insicurezza e la e sembra entrare in contatto con loro. In depressione? Evitando le banalizzazioni, questo modo, Martin e i suoi amici decido- Vinterberg consegna allo spettatore una no di iniziare insieme un esperimento per riflessione sul vortice dell’alcolismo e sulla testare lo studio. semplicità con cui si può essere travolti da Tutto sembra andare nel verso giusto: questa dipendenza.


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Sollevare il manto dell’ignoranza è la prima cura in Psichiatria di Pietro Pietrini

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Professore Ordinario, Direttore Scuola IMT Alti Studi Lucca

a notizia riportata in questi giorni ferragostani dell’ennesima tragedia famigliare, l’omicidio-suicidio di un anziano in una periferia del milanese, di primo acchito liquidata come atto di colossale vigliaccheria al cospetto di blande motivazioni, obbliga a riflettere su quanto ancora la patologia mentale e le sue conseguenze rimangano sepolte sotto un manto di ignoranza. Una vera e propria calotta di ghiaccio che ancora separa la Psichiatria dalle altre branche della Medicina. Vero è che l’omicida-suicida si trovava in condizioni sociali di disagio, era senza lavoro, il rapporto con la giovane moglie si era deteriorato e così via di disgrazia in disgrazia. Ma quale difficoltà econo-

mica, familiare o relazionale può mai giustificare un gesto così estremo? Nessuna, ovviamente, appaiono tutti argomenti di poco conto a qualunque essere umano sano di mente. A qualunque persona sana di mente, appunto. Ma per chi è affetto da patologie psichiatriche, come la depressione dell’umore, molto spesso non è così. Le pulsioni dell’animo del depresso sono incomprensibili alle persone sane perché esulano dall’ambito delle loro esperienze emotive, così come l’infrarosso o l’ultravioletto non sono percepibili all’occhio umano perché le loro lunghezze d’onda cadono al di fuori dello spettro visibile. Essere depressi non è essere tristi. La tristezza è una condizione fisiologica che permette a ciascuno di noi di rispondere in maniera sintonica ed ade-


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guata alle situazioni di perdita. Tristezza per un lutto, per la fine di un amore, per un insuccesso professionale è una reazione emotiva consona all’esperienza che stiamo vivendo che non ha alcunché a che spartire con la depressione. È l’altra faccia di quella stessa medaglia delle emozioni che ci fa provare felicità per la nascita di una figlia, per un amore o per un riconoscimento professionale. È quando la risposta è sproporzionata in intensità, in qualità e in durata temporale che si abbandona l’ambito della fisiologia e si precipita in quello della patologia, nel buio della depressione o, per contro, nell’insensata euforia della mania. Condizione, peraltro, quella della depressione che, non va dimenticato, insorge frequentemente senza che neppure vi sia o vi debba essere una qualsiasi motivazione apparente. A ciel sereno, si potrebbe dire. Parafrasando Pascal, il comportamento del depresso ha le sue ragioni che la ragione del sano non conosce. È l’agire di chi vive schiacciato dal peso opprimente di un’angoscia psicotica che impedisce anche solo di immaginare alcuna via di uscita. È solo la morte, allora, che offre un alito di sollievo, che appare unica via di fuga da un presente senza futuro. Quando leggiamo sui giornali del padre di famiglia che una sera, rientrato a casa, si suicida dopo aver sterminato i

suoi cari, non si tratta di un raptus inspiegabile. Il raptus in psichiatria non esiste. Raptus è un termine che abbiamo coniato per alleviare la nostra angoscia di fronte a ciò che non riusciamo a comprendere e che, proprio per questo, ci terrorizza. Il tragico gesto che assurge agli onori della cronaca nera molto spesso altro non è che l’estremo atto di amore con cui il depresso psicotico porta con sé le persone che ama, per non lasciarle in quella che ai suoi occhi è una profonda valle di lacrime senza speranza, più nera dell’oscurità di una notte senza luna e senza stelle. Il drammatico epilogo è solo la punta di un iceberg, molto spesso tanto grande quanto invisibile. O meglio, quanto non visto. Perché questo è il problema centrale. L’ignorare - nel significato etimologico di non conoscere e di non riconoscere - il disagio psichico, il lento e subdolo avanzare della malattia mentale. Il frequente derubricare le manifestazioni della patologia a mere reazioni, al più un po’ esagerate, conseguenti a eventi di vita. La malattia mentale rimane ancora oggi troppo spesso scotomizzata, ignorata, negata quando non persino celata ed occultata. Il primo passo fondamentale per la cura è rompere questa calotta di ghiaccio e guardare giù, nella profondità dell’animo umano e delle sue turbe.


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