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la valutazioned'azienda

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Università degli Studi di L'Aquila Facoltà di Economia

TECNICA PROFESSIONALE

DISPENSA SULLA VALUTAZIONE D’AZIENDA


INDICE

1.

PREMESSA ............................................................................................................. 1

2.

I METODI REDDITUALI E FINANZIARI ........................................................... 4 2.1. I metodi reddituali .......................................................................................... 16 2.2. I metodi finanziari .......................................................................................... 20

3.

I METODI PATRIMONIALI ................................................................................ 24 3.1. Il metodo patrimoniale semplice .................................................................... 25 3.2. Il metodo patrimoniale complesso.................................................................. 31

4.

I METODI MISTI .................................................................................................. 33 4.1. Il metodo misto con stima autonoma dell’avviamento ................................... 33 4.2. Il metodo del valore medio ............................................................................. 37 4.3. L’EVA (Economic Value Added) .................................................................... 38

5.

IL METODO DEI MULTIPLI............................................................................... 39


1.

PREMESSA

Da tempo la materia della valutazione d’azienda è sempre più oggetto di grande attenzione da parte del mondo accademico e professionale. Ciò è riconducibile a diversi fattori, non ultimi la tendenza via via più frequente alla crescita dell’azienda per linee esterne tramite operazioni di merger & acquisition e la conseguente esigenza di avvalersi di nuovi strumenti di controllo, tra cui la valutazione del valore creato o distrutto dalla gestione. Nel corso del tempo, soprattutto negli ultimi anni, le logiche, le metodologie e le procedure di valutazione si sono sempre più affinate e moltiplicate. In Italia si registra una ricchezza metodologica che, a detta di molti, in pochi altri Paesi trova riscontro. Ciò grazie al forte impegno della dottrina su questi temi, nonché all’importazione di tecniche valutative di origine anglosassone. Le teorie e i modelli applicabili alla misurazione del valore dell’impresa appaiono oggi rilevanti specialmente in quattro ambiti operativi: l’ambito delle garanzie societarie, con particolare riferimento alla tutela dei soci minoritari e degli stakeholders privi di potere diretto di controllo, specie nelle operazioni di finanza straordinaria; l’ambito delle strategie di sviluppo, di integrazione e di ristrutturazione. Operazioni che trovano nel valore un riferimento dominante e nella sua corretta misura una necessità imprescindibile; l’ambito della formazione del bilancio. Con l’applicazione dei nuovi principi contabili internazionali, la misura del valore ha fatto irruzione nella roccaforte della contabilità e del bilancio. Il principio del fair value ha affiancato infatti lo storico principio del costo, provocando come conseguenza il necessario adeguamento dei

valori contabili a quelli di mercato e alle regole di misurazione del valore; l’ambito delle stime di performance periodica delle imprese. Tali stime rispondono all’esigenza sia di offrire a imprenditori e manager strumenti di orientamento strategico-gestionale (creazione o distruzione di valore), sia di giudicare l’efficacia del

comportamento dei manager, collegandola al sistema delle loro ricompense. In materia di valutazione d’azienda possono essere rintracciate due culture valutative prevalenti, quella anglosassone e quella mitteleuropea. La prima adotta principalmente approcci valutativi fondati sui metodi finanziari (Discounted Cash Flow) e sui multipli. Con riferimento ai metodo finanziari, si osserva coma la loro origine sia da rintracciare nella cultura ragioneristica anglosassone, che si sviluppa maggiormente nella direzione della dinamica finanziaria dei valori, piuttosto che economica (reddito). Nel secondo caso, ovvero con riferimento ai metodi dei multipli o di mercato, si rileva come la loro applicabilità sia strettamente connessa all’efficienza dei mercati di riferimento. 1


Tale caratteristica è riscontrabile soprattutto nei mercati anglosassoni, tipicamente quello inglese e americano. La seconda cultura, invece, pone maggiore attenzione alle grandezze di natura economica, quindi il metodo principe è quello reddituale, che si fonda sull’attualizzazione o capitalizzazione dei flussi di reddito. Nel contesto italiano, le metodologie di mercato scaturenti dalla cultura anglosassone hanno cominciato ad assumere particolare rilievo solo negli ultimi anni. Prima di affrontare il tema dei metodi di valutazione, è necessario soffermarsi sull’oggetto dell’analisi valutativa, ovvero il capitale dell’azienda. Tale grandezza può assumere, infatti, configurazioni diverse, a seconda delle differenti motivazioni di fondo che spingono ad effettuare le stime. Possiamo distinguere: capitale di costituzione, che è quello determinato in occasione della costituzione dell’azienda, come conseguenza degli apporti iniziali dei soci. Nessuna questione si pone quando i conferimenti iniziali sono espressi esclusivamente in denaro. Il capitale, in questo caso, assume una veste interamente monetaria e la sua quantificazione non comporta problemi di sorta. Il tema assume un carattere più complesso, invece, quando oggetto di conferimento sono beni in natura. In detta fattispecie, infatti, si rende necessario un processo di valorizzazione dei beni apportati che sia in grado di contemperare l’esigenza di riconoscere al socio un corrispettivo congruo con quella di evitare che il capitale iniziale sia sovrastimato; capitale di funzionamento, che è quello determinato periodicamente, tipicamente in sede di bilancio di esercizio, al fine di accertarne le variazioni di periodo. Si tratta, essenzialmente, delle valutazioni che vengono operate in sede di bilancio di esercizio sulla base dei principi e dei criteri previsti dalla relativa disciplina. In merito, il punto centrale è costituito dal fatto che il capitale così determinato assume un valore convenzionale, nel senso che deve essere improntato alla luce dei principi come quelli della competenza e della prudenza, convenzionalmente adottati in funzione del concetto di integrità del capitale di riferimento; il capitale economico, che è quello determinato nell’ottica del potenziale investitore, e, quindi, di norma (anche se non esclusivamente) in vista di operazioni che ne determinano il trasferimento. Il capitale in questa configurazione non è più, come avviene, invece, per il capitale di funzionamento, un aggregato di valori bensì un valore unitario che promana dal flusso dei rendimenti prospettici ottenibili dall’azienda. La stima del capitale economico presenta numerosi momenti di complessità. Essendo questa basata sui rendimenti prospettici e, in particolare, sulla loro entità, sulla loro distribuzione temporale e, infine, sulla loro qualità, intesa quest’ultima, in termini di rischio che essi possano manifestarsi in una misura diversa rispetto alle previsioni, è immediato che si tratta di un processo essenzialmen2


te estimativo, cristallizzato, come vedremo nel prosieguo, in diversi modelli elaboelab rati dalla dottrina; il capitale di liquidazione, liq , che è quello determinato quando la società cui fa capo l’azienda viene posta in liquidazione. Si tratta di un capitale composto compost all’attivo dai soli assets realizzabili e, al passivo, da tutti i debiti da estinguere. Il capitale economico rappresenta, in generale, la configurazione a cui si fa riferimento quando si pone il problema di stimare il valore dell’azienda. Il concetto di capitale economieconom co, tuttavia, ha un contenuto astratto e generale: esso rappresenta il valore attribuibile all’azienda avuto riguardo alle condizioni operative in essere al momento della stima, prepr scindendo dalle motivazioni della stessa e dalla posizione dei soggetti interessati. Valutare il capitale economico di un’azienda significa stimare il valore che essa ha per pe i detentori del capitale di rischio, dopo averla osservata per come si presenta, indipenindipe dentemente da un eventuale suo trasferimento (valore teorico di trasferimento del capicap tale) o, indipendentemente, indipendentemente dalle possibilità soggettive di eventuali terzi potenzialmente interessati a una prospettata acquisizione (valore soggettivo del capitale). La dottrina propone diversi metodi di valutazione del capitale economico. economico Di solito, i periti utilizzano più metodologie contemporaneamente nel valutare la medesima azienda. Pur rimanendo nel campo dell’incertezza propria delle stime, infatti, l’adozione di più metodi può fornire dati meno discrezionali e può permettere l’individuazione di un intervallo di valori anziché di un valore puntuale. Le metodologie possono essere così classificate:

metodi basati su grandezze flusso (redditi o flussi di cassa); metodi basati su grandezze stock; stock

metodi misti; metodi di mercato. mercato Tra i primi, focalizzati sulla sul capacità operativa tiva dell’azienda, si distinguono i metodi reddituali, che ne pongono in primo piano la redditività futura, e i metodi finanziari, finanziari che attribuiscono primaria importanza ai flussi finanziari disponibili in futuro per l’investitore. Figura 1: Metodi di stima

Grandezze flusso Grandezze stock METODI Misti

di Mercato

Reddituali Finanziari Patrimoniali Con stima autonoma dell'avviamento Valore medio basato sull'EVA dei Multipli 3


Tra i secondi, che osservano la struttura dell’azienda, rientrano i metodi patrimoniali. Questi, mediante l’effettuazione di stime analitiche, riesprimono gli elementi attivi e passivi del capitale al loro valore corrente di sostituzione. Dalla somma algebrica del valore di tali elementi si ottiene il valore dell’azienda. Questo metodo, ad esempio, non è adatto a valutare le internet company, che sono aziende poco patrimonializzate, con limitati fattori strutturali. I metodi misti permettono di svolgere la valutazione dell’azienda guardando simultaneamente alla sua struttura e operatività. Si tiene conto del valore degli elementi patrimoniali e della capacità dell’azienda di generare redditi (o flussi di cassa in futuro). Considerando i metodi basati sui multipli, si individua l’approccio delle società comparabili e l’approccio delle transazioni comparabili. Benché entrambi siano metodi sintetici di valutazione, si distinguono per la scelta dei dati da impiegare nella determinazione del multiplo. Qualora l’azienda sia quotata, il multiplo viene determinato osservando i dati relativi alle transazioni che avvengono sui mercati borsistici. In caso di mancata quotazione, si osservano i prezzi emergenti da transazioni riferite ad aziende simili alla target, avvenute fuori dal mercato borsistico.

2.

I METODI REDDITUALI E FINANZIARI

Guardando alla natura, i flussi prospettici possono distinguersi in reddituali e finanziari, o meglio monetari. Fanno parte della prima categoria il risultato operativo netto e il risultato netto, mentre appartengono alla seconda categoria il flusso monetario operativo e il flusso monetario disponibile per gli azionisti. La scelta di metodologie di stima reddituali comporta l’adozione della prima tipologia di flussi, mentre l’impiego di metodi finanziari si fonda sulla considerazione dei flussi finanziari. Tenendo conto o meno della gestione finanziaria, i flussi si distinguono in lordi (o unlevered) e netti (o levered), entrambi da considerarsi al netto delle imposte. I flussi lordi, sia essi di tipo reddituale che finanziario, determinano i risultati operativi. I flussi netti, sia reddituali che finanziari, tengono conto della dinamica finanziaria. Esistono due approcci che possono essere adottati ai fini della valutazione del valore: l’asset side e l’equity side. Poiché quando si parla di capitale economico si fa riferimento al valore economico del capitale di rischio (W), nel modello equity side: il rendimento prospettico di riferimento deve essere quello offerto a detti investitori e, quindi: o il reddito netto (Rn), se si utilizza il metodo reddituale; o

il flusso di cassa netto disponibile per i soci (Free Cash Flow to Equity, FCFE), quando il modello adottato è quello finanziario;

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i rendimenti prospettici devono essere attualizzati, attraverso la definizione di un tasso che tenga conto anche del grado di rischio sopportato. In questo caso il rischio da doversi computare nella definizione del tasso di attualizzazione deve essere quello cui soggiacciono i portatori del capitale di rischio. Il tasso esprime il saggio di rendimento giudicato equo per il capitale di rischio (Ke). Ciò posto, al valore economico del capitale si può pervenire anche per altra via e cioè attraverso un percorso, per così dire, indiretto che prevede: dapprima, la stima del valore economico del capitale investito totale (dai soci e dai terzi a titolo di finanziamento); in un secondo momento, la determinazione del valore economico del capitale di rischio per differenza tra il valore economico del capitale investito totale e il valore del capitale investito dai terzi rispetto ai soci. In questo caso, si utilizza l’approccio asset side: il rendimento prospettico di riferimento deve essere quello offerto a tutti gli investitori; esso sarà assunto nella configurazione del: o risultato economico della gestione operativa (Ron), nel caso di utilizzo dei metodi reddituali; o flusso di cassa della gestione operativa (Free Cash Flow from Operation, FCFO), nei metodi finanziari; nella definizione del tasso di attualizzazione deve aversi riguardo al rendimento giudicato equo per l’intero capitale investito (WACC, Weighted Avarage Cost of Capital), dovendosi adottare di conseguenza un valore che esprima la media tra il rendimento richiesto dai soci e quello richiesto dai terzi, ponderata in funzione del peso di ciascuna categoria di finanziatori. I flussi lordi, scontati al suddetto tasso, consentono di ottenere l’enterprise value (o valore economico del capitale operativo investito). Così determinato, quindi, il valore economico del capitale investito,si perviene al valore economico dei mezzi propri sottraendo al primo il valore dell’indebitamento finanziario netto in essere al momento della stima. Si riporta di seguito il metodo di determinazione di flussi reddituali lordi: Valore della produzione - Costi materie - Costi per servizi e per beni di terzi - Costi del personale - Oneri diversi di gestione Margine operativo lordo - Amm.ti, accant. e svalutazioni Risultato operativo ordinario - Imposte teoriche sul risultato operativo Risultato operativo netto (NOPLAT) 5


Quella riportata è la classificazione del conto economico a costi e ricavi della produzione ottenuta. Sottraendo al valore della produzione i costi riferiti al consumo delle materie, ai servizi e al godimento di beni di terzi, al personale e agli oneri diversi di gestione – ovvero i costi esterni – si ottiene il margine operativo lordo o EBITDA (Earning Before Interests, Taxes, Depreciation and Amortization), cioè il risultato economico al lordo degli interessi, delle imposte, delle svalutazioni e degli ammortamenti. Sottraendo poi gli ammortamenti, gli accantonamenti e le svalutazioni, si determina il risultato operativo o EBIT (Earning Before Interests and Taxes), che rappresenta il flusso al lordo degli oneri finanziari. La grandezza ottenuta sottraendo al reddito operativo le imposte teoriche è il risultato operativo al netto delle imposte o NOPLAT (Net Operating Profit Less Adjusted Taxes). I flussi reddituali netti sono determinati, sino al risultato operativo, in maniera analoga ai flussi lordi, come emerge dal seguente schema: Valore della produzione - Costi materie - Costi per servizi e per beni di terzi - Costi del personale - Oneri diversi di gestione Margine operativo lordo - Amm.ti, accant. e svalutazioni Risultato operativo ordinario - Imposte teoriche sul risultato operativo Risultato operativo netto d’imposta - Oneri finanziari netti Risultato ante imposte - Imposte sul reddito Risultato netto Dal risultato operativo vanno, poi, sottratti gli oneri finanziari, così da determinare il risultato imponibile, a cui saranno applicate le imposte allo scopo di ottenere il risultato netto. Si può notare che nel conto economico riclassificato secondo le modalità esposte, non sono riportate le componenti relative all’area straordinaria (ad esempio plusvalenze o minusvalenze), in quanto la valutazione d’azienda si basa su flussi normali che guardano appunto alla capacità operativa ed escludono le componenti di reddito non ricorrenti. Passiamo alla determinazione dei flussi di cassa lordi: Risultato operativo - Imposte teoriche sul risultato operativo NOPLAT +Ammortamenti +/- Variazione fondi Flusso monetario operativo lordo +/- Variazione del CCON Flusso monetario operativo netto - Investimenti netti in CF (CAPEX) Flusso monetario operativo disponibile FCFO (Free Cash Flow from Operation) 6


Per calcolare i flussi lordi si parte dal risultato operativo al quale si sottraggono le imposte. Così facendo si ottiene il risultato operativo al netto dell’imposta. A quest’ultimo si aggiungono gli ammortamenti e si sommano algebricamente le variazioni dei fondi. Va ricordato, infatti, cha la costruzione dei flussi di cassa ha avvio da una grandezza di tipo reddituale (il risultato operativo), ottenuta sottraendo dai ricavi riscossi (fatturato o entrate) e non riscossi (variazione di magazzino, eventuali incrementi di immobilizzazioni per lavori interni, i costi pagati (uscite) e non pagati (ammortamenti e accantonamenti). Il reddito operativo include perciò anche componenti che non danno luogo a variazioni monetarie e che quindi debbono essere eliminate. Ecco spiegato perché al NOPLAT si aggiungono gli ammortamenti e gli accantonamenti. Dopo questa operazione si perviene al flusso monetario operativo lordo. Il flusso monetario operativo netto è ottenuto rettificando il flusso monetario operativo lordo con la variazione del capitale circolante operativo netto, che tiene conto della variazione dei crediti commerciali, del magazzino e dei debiti commerciali. La variazione delle prime due grandezze – crediti commerciali e magazzino – quando è positiva assorbe liquidità, per cui l’incremento va sottratto dal flusso monetario operativo lordo. Quando invece è negativa, rilascia liquidità e per questo la variazione dovrà essere aggiunta. La variazione dei debiti commerciali rilascia o assorbe liquidità in conseguenza del fatto che sia positiva o negativa, per cui sarà aggiunta nel primo caso e sottratta nel secondo. In conclusione, l’incremento del capitale circolante operativo netto dovrà essere sottratto perché assorbe liquidità, mentre il decremento verrà aggiunto in quanto rilascia liquidità. Il flusso di cassa operativo netto esprime il flusso di cassa prodotto dalla gestione operativa (acquisti, produzione, vendite). Sottraendo ad esso gli investimenti netti in capitale fisso si ottiene, poi, il flusso monetario disponibile per gli investitori in genere. Il flusso monetario operativo disponibile rappresenta il flusso di cassa riferibile alla sola gestione operativa. Passiamo adesso ad esaminare il processo di stima dei flussi finanziari netti: Risultato operativo - Imposte teoriche sul risultato operativo NOPLAT +Ammortamenti +/- Variazione fondi Flusso monetario operativo lordo +/- Variazione del CCON Flusso monetario operativo netto - Investimenti netti in CF (CAPEX) Flusso monetario operativo disponibile - Oneri finanziari netti +/- Variazione posizione finanziaria netta - Imposte sul reddito Flusso monetario netto per gli azionisti FCFE (Free Cash Flow to Equity) 7


La determinazione del flusso monetario netto per gli azionisti si ottiene sottraendo gli oneri finanziari netti e tenendo conto della variazione della posizione finanziaria netta. In particolare, si dovrà aggiungere l’incremento di quest’ultima, perché esso genera liquidità, oppure sottrarre il decremento della stessa poiché, in tal caso, l’azienda subisce un drenaggio di liquidità. La valutazione prevede la considerazione di grandezze orientate al futuro, per quanto riguarda sia la stima dei tassi che dei flussi, come ogni altro parametro valutativo. La determinazione del risultato prospettico rappresenta, nell’ambito del processo di valutazione, uno degli aspetti più delicati e, allo stesso tempo, l’elemento che, insieme al tasso di attualizzazione, condiziona maggiormente il valore finale. La base informativa è rappresentata dai risultati conseguiti nel passato e dagli eventuali piani economico-finanziari formulati dal management aziendale. L’approccio, tuttavia, è diverso a seconda che nella formula i rendimenti prospettici siano assunti in modo analitico, per un periodo più o meno esteso, ovvero in un valore sintetico medio. Il primo approccio si rende necessario quando per gli anni immediatamente successivi alla data di riferimento della stima i risultati presentano una dinamica evolutiva o involutiva tale da rendere inopportuno l’utilizzo di un valore medio. È chiaro che la stima puntuale dei risultati annui futuri non può che abbracciare un periodo limitato, la cui estensione dovrebbe essere individuata, in linea teorica, avendo riguardo al tempo necessario perché questi si stabilizzino ma che, per esigenze di ordine pratico, finisce per coincidere con l’arco temporale lungo il quale i rendimenti risultano prefigurabili in modo razionale. È altrettanto chiaro che, in tali circostanze, il compito del valutatore risulta estremamente facilitato quando l’azienda è caratterizzata da un processo formalizzato di pianificazione e controllo, potendo, egli, contare sulla disponibilità di piani economico-finanziari più o meno analitici e dettagliati. Il discorso è diverso quando la grandezza ricercata è quella del reddito (o del flusso di cassa) sintetico destinato a rappresentare i risultati normalmente ottenibili dal futuro. Posto che il risultato normalmente realizzabile viene determinato, solitamente, come media dei valori relativi a un periodo circoscritto, il relativo percorso di stima richiede: •

l’analisi dei risultati storici e la stima dei risultati prospettici relativi a un periodo limitato;

l’individuazione del periodo di riferimento;

la normalizzazione dei risultati puntuali;

l’omogeneizzazione dei risultati puntuali;

• la sintesi dei risultati puntuali nel valore medio. Le prime due fasi sono intimamente connesse. L’analisi della dinamica dei risultati annui, storici e prospettici, è prodromica, infatti, alla comprensione del grado di significatività 8


degli stessi, in termini di rappresentatività del risultato medio futuro. A questo riguardo, l’osservazione dei risultati storici risponde all’esigenza di tenere conto di valori oggettivi e quindi attendibili, ma soffre il rischio che questi possano essere scarsamente significativi rispetto alle condizioni operative prospettiche. Allo stesso modo, la considerazione dei risultati futuri appare maggiormente coerente con l’obiettivo ultimo della stima, ma presenta il rischio di includere nel computo valori tanto più aleatori quanto maggiore è l’orizzonte temporale assunto. La scelta va operata, pertanto, caso per caso; nella maggior parte delle fattispecie, questa ricade su un periodo che comprende i risultati storici e i risultati prospettici degli esercizi più prossimi (3 o 5 anni) alla data di riferimento della stima. La normalizzazione e l’omogeneizzazione dei risultati hanno la funzione di correggere i valori puntuali per renderli, da un lato, maggiormente significativi e, dall’altro, comparabili tra di loro. La normalizzazione, in particolare, si sostanzia nell’eliminazione (dai risultati storici) degli effetti economico-finanziari connessi a operazioni aventi il carattere della non ripetibilità, ovvero, in generale, dei cosiddetti componenti straordinari di reddito. L’omogeneizzazione è volta all’armonizzazione delle grandezze riferite a ciascun anno. Questa si traduce innanzitutto nell’operare rettifiche che tengano conto delle modifiche strategiche, gestionali e strutturali che possono avere interessato l’azienda. Rientrano in questa fase anche le correzioni da operare al fine di considerare tra i flussi componenti non rappresentate, come può avvenire nelle imprese di piccole dimensioni per il compenso direzionale dell’imprenditore. L’omogeneizzazione riguarda, infine, l’allineamento temporale dei risultati puntuali così che essi siano espressi in valuta a potere di acquisto costante. In funzione dei tassi di inflazione e della data di riferimento della stima, i risultati storici devono essere capitalizzati mentre quelli prospettici devono essere attualizzati. L’ultima fase del processo è quella teoricamente più facile. Tuttavia, per tener conto di valori che hanno diverso grado di significatività, spesso si utilizza, ai fini del calcolo, la media ponderata, con l’assegnazione di un peso maggiore ai risultati più rappresentativi, e di un peso minore ai risultati meno significativi o meno attendibili. Altra fase delicata dei metodi in esame è rappresentata dalla stima dei tassi. In valutazione d’azienda si possono riscontrare tassi di attualizzazione e di capitalizzazione. La capitalizzazione è un processo con cui si determina il valore attuale di un unico flusso medio futuro. Ad esempio: =

dove: W = valore d’azienda i = tasso di capitalizzazione

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La stima ipotizza la costanza dei flussi futuri, prescindendo dalla distribuzione temporale degli stessi. Il tasso che si utilizza prende il nome di tasso di capitalizzazione. Si parla di capitalizzazione sia qualora i flussi riguardino un orizzonte temporale limitato, sia nel caso di un orizzonte temporale illimitato. Per favorire una piĂš agevole comprensione, si mostra la stima del valore dell’azienda adottando il metodo reddituale semplice (§2.1.), nelle ipotesi di orizzonte temporale illimitato e limitato. Nel caso si ipotizzi un orizzonte temporale illimitato, la formula è la seguente: =

dove: W = valore d’azienda R = reddito medio-normale prospettico i = tasso di capitalizzazione Nel caso si ipotizzi un orizzonte temporale limitato, la formula è la seguente: W = R * an i dove: W = valore d’azienda R = reddito medio-normale prospettico i = tasso di capitalizzazione n = numero di anni che costituiscono il periodo futuro considerato L’attualizzazione è il processo con cui si determina il valore attuale di flussi futuri distinti. Si osservi la seguente formula: = (1 + ) + (1 + ) + (1 + ) + . .. dove: W = valore dell’azienda F1 = flusso all’anno 1 i = tasso di attualizzazione. Come per la stima dei flussi, anche per la stima dei tassi si possono utilizzare due approcci, quello asset side, in cui si scontano i flussi lordi, o quello equity side, in cui si scontano i flussi netti. In caso di approccio equity side, quando si devono scontare i flussi netti, il tasso da utilizzare è denominato tasso di remunerazione normale del capitale di proprietĂ , detto anche costo del capitale di proprietĂ o, ancora, tasso equo di redditivitĂ (Ke o i). In caso di impiego dell’approccio asset side, il tasso da utilizzare è rappresentato dal costo medio ponderato del capitale, calcolato come media ponderata del costo del capitale di proprietĂ e del costo del capitale di debito (WACC). Analizziamo i due tassi.

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Il tasso di remunerazione normale del capitale di proprietĂ , indicato con Ke, esprime il rendimento normale offerto da investimenti a titolo di capitale di proprietĂ effettuati in aziende caratterizzate dal medesimo profilo di rischio di quella oggetto di stima. La misura dell’equa remunerazione del capitale di rischio dell’impresa è identificabile mediante l’utilizzo della logica del CAPM (Capital Asset Pricing Model). Secondo tale modello, l’equo rendimento del capitale di rischio è misurato dalla somma di due grandezze: = + dove: Ke = tasso di remunerazione normale del capitale di proprietĂ Rf = tasso di rendimento delle attivitĂ prive di rischio (risk free rate) S = premio per il rischio specifico La prima componente Rf, date certe condizioni, è uguale per qualsiasi tipo di investimento e di azienda. Essa è il tasso puro, destinato a rappresentare il solo sacrificio teoricamente sopportato per la mancata disponibilitĂ immediata della ricchezza. Solitamente, il tasso risk-free si stima ricorrendo ai tassi di rendimento dei titoli di Stato a medio-lungo termine. Individuato tale tasso base, si pone poi l’ulteriore problema se esso debba essere considerato cosĂŹ com’è, e cioè in termini nominali, ovvero se lo stesso debba essere corretto per tenere conto delle imposte e dell’inflazione. Il principio guida è quello della coerenza tra flussi e tassi. SicchĂŠ, posto che i flussi di reddito o di cassa sono assunti al netto del relativo carico fiscale (teorico ed effettivo), al netto delle imposte devono essere assunti anche i tassi destinati all’attualizzazione dei primi. Analogamente, quando i flussi di cassa o di reddito sono calcolati in valuta a potere di acquisto costante, la configurazione del tasso base deve essere quella del rendimento reale (e, quindi, al netto dell’inflazione); di contro, quando lo sviluppo dei risultati prospettici si basa su valori espressi in termini nominali (e quindi al lordo dell’inflazione), al lordo dell’inflazione deve essere considerato anche il tasso base. La seconda componente della formula di stima di Ke, ossia il premio per il rischio S, attiene al rischio economico generale ed esprime una remunerazione aggiuntiva volta a compensare l’investitore per la rischiositĂ insita nell’investimento “impresaâ€?. Tale rischio si riferisce sia alla possibilitĂ che si verifichi un evento dannoso, che determina un utile insufficiente a remunerare il capitale, sia alla circostanza di perdere parzialmente o totalmente il capitale . Il CAPM è un modello rischio/rendimento che stima il rischio in termini di variabilitĂ dei rendimenti aziendali rispetto a quelli del mercato azionario. La formula è la seguente: Ke = Rf + β * (Rm - Rf) dove: Ke = tasso di remunerazione normale del capitale di proprietĂ Rf = tasso di rendimento delle attivitĂ prive di rischio (risk free rate) Rm = tasso del rendimento medio del mercato azionario (Rm - Rf) = premio per il rischio generale del mercato 11


β = coefficiente di variabilità, o di rischiosità sistematica dell’azienda, che misura il rischio specifico della stessa in termini di variabilità del suo rendimento rispetto a quello generale di mercato. Il modello muove dal presupposto che ciascuna attività sia caratterizzata da due tipologie di rischio: il rischio cosiddetto diversificabile, legato alle caratteristiche dell’azienda specifica e, quindi, eliminabile attraverso la diversificazione del portafoglio, e il rischio non diversificabile e cioè non eliminabile in quanto connesso all’andamento generale dell’economia. Per calcolare il premio per il rischio generale di mercato (Rm - Rf) si fa riferimento ai dati storici di almeno cinque anni. Tale orizzonte temporale è limitato agli anni ravvicinati a quello in cui si compie la valutazione. In base a ricerche empiriche, si stima che in Italia il premio per il rischio generale di mercato oscilli tra il 3,5% e il 5%. Il coefficiente β è una grandezza che oscilla intorno al valore 1. In particolare, si possono osservare i seguenti risultati: β > 1. Il rischio aziendale è superiore a quello del portafoglio di mercato. Ad esempio, a un aumento del rendimento del mercato azionario corrisponde un aumento amplificato del rendimento dell’azienda oggetto di stima. β < 1. Il rischio aziendale è minore di quello del portafoglio di mercato. Ad esempio, a una diminuzione del rendimento del mercato azionario corrisponde una riduzione più contenuta del rendimento dell’azienda oggetto di stima. β = 1. Il rischio aziendale è in linea con quello di portafoglio di mercato. La rischiosità aziendale risulta, in questo caso, perfettamente allineata a quella del mercato. Esaminiamo il coefficiente β, procedendo con l’osservazione delle sue determinanti, delle forme di rischio e delle sue tipologie. Innanzitutto, soffermiamoci sulle determinanti della variabilità dei soli flussi lordi. Tali determinanti sono rappresentate dal grado di ciclicità del settore e dal grado di leva operativa. Per quanto riguarda il primo fenomeno, si fa riferimento agli aspetti che investono il settore in genere, ovvero alle caratteristiche dello stesso che determinano la variabilità della redditività delle aziende che vi operano. Con riferimento al grado di leva operativa, si rileva come questa attenga alla variabilità del reddito operativo della singola azienda al variare dei volumi di vendita. La leva operativa dipende essenzialmente dalla struttura dei costi operativi. Per meglio comprenderne il concetto, si procede con un esempio numerico: Fatturato (-) costi variabili MLC (-) Costi fissi Risultato Operativo (-) Oneri finanziari Risultato netto

Azienda A 100 60 40 30 10 5 5

Azienda B 100 30 70 60 10 10

Azienda A 110 66 44 30 14 5 9

Azienda B 110 33 77 60 17 17 12


Nell’esempio proposto, è stata ipotizzata una crescita del fatturato che deriva esclusivamente dall’aumento dei volumi di vendita, in modo da lasciare inalterato il tasso di incidenza dei costi variabili. Il fenomeno della leva operativa coinvolge i volumi di vendita: essa attiene alla variabilità del risultato operativo a fronte della sola variabilità dei citati volumi. Le due aziende prese in considerazione hanno lo stesso fatturato ma differiscono per la struttura dei costi. L’azienda B ha una struttura dei costi più rigida, in quanto maggiore, a parità dei costi operativi, è il peso dei costi fissi. Nel caso dell’azienda A un incremento del fatturato del 10% dovuto all’aumento dei volumi di vendita, provoca una crescita del risultato operativo del 40%. Il grado di leva operativa sarà, quindi, pari a 4, in quanto l’incremento del risultato operativo è pari a 4 volte l’aumento dei volumi di vendita. Nel caso dell’azienda B, invece, a fronte del medesimo aumento del fatturato, il risultato operativo cresce del 70%. I differenti risultati dipendono proprio dalla diversa struttura dei costi. Dove, infatti, i costi fissi sono maggiori, all’aumentare dei volumi di vendita si verifica il fenomeno delle economie di scala. In altri termini, al crescere dei volumi, i costi fissi possono essere ripartiti su un numero maggiore di unità. Si verifica, in tal caso, un effetto moltiplicativo che va sotto il nome di leva operativa, in funzione della quale, a parità di altre condizioni, maggiore è l’entità dei costi fissi rispetto ai costi variabili, maggiore è la variazione del reddito operativo indotta dai cambiamenti nei volumi di vendita. In definitiva, i costi fissi agiscono come leva che moltiplica l’effetto esercitato dalla variazione dei ricavi sul risultato operativo. La variabilità è sinonimo di rischiosità, per cui la maggiore variabilità del risultato operativo rispetto all’aumento dei volumi implica un maggior rischio nell’azienda con maggior peso dei costi fissi e, di conseguenza, con un più alto grado di leva operativa. Evidentemente, nel caso di una contrazione dei volumi di vendita, l’azienda B avrebbe risentito maggiormente della riduzione del reddito operativo rispetto all’azienda A. I risultati operativi variano per effetto sia della ciclicità del settore sia del grado di leva operativa dell’azienda. In altri termini, la variabilità del risultato operativo si fonda unicamente sulla rischiosità operativa. La variabilità del risultato netto, invece, dipende anche da un altro fattore: il grado di leva finanziaria. Ciò si spiega considerando che dal grado di leva finanziaria dipende l’entità degli oneri finanziari, i quali rappresentano un costo che possiamo definire fisso. Là dove si ha una maggiore presenza di oneri finanziari, la variabilità del risultato netto al variare del reddito operativo è maggiore. L’esempio sopra riportato mostra come la variazione del reddito netto sia riconducibile all’effetto cumulato del grado di leva operativa e del grado di leva finanziaria. Nell’azienda A l’aumento del fatturato del 10% per il solo effetto dell’incremento dei volumi venduti porta ad un aumento del risultato netto pari all’80%, ossia l’aumento del risultato netto è 8 volte l’aumento dei suddetti volumi. Riepilogando, si osserva come la rischiosità operativa sia connessa alla variabilità dei flussi lordi (risultato operativo nel caso di flussi reddituali, risultato monetario operativo nel 13


caso di flussi di cassa) e come la rischiosità finanziaria si riferisca alla variabilità dei flussi netti in conseguenza del grado di leva finanziaria. La rischiosità complessiva comprende entrambe le leve ed è espressa dal coefficiente β. Il β può essere distinto in levered o unlevered, secondo la rischiosità a cui fa riferimento. Il β unlevered considera la sola rischiosità operativa, mentre il β levered esprime la complessiva rischiosità aziendale, operativa e finanziaria. Le modalità di stima del coefficiente β cambiano in relazione al tipo di società, ossia al fatto che la stessa sia quotata o meno. Si rilevano, infatti, due modalità di stima del Beta. La determinazione del Beta levered di una società quotata segue un approccio di tipo top-down, ossia una metodologia di tipo statistico che stima il Beta mediante l’attuazione di una regressione lineare. In una società non quotata, invece, l’approccio seguito è di tipo bottom-up. Esso consta di un processo che si sviluppa in due fasi: il momento dell’unlevering e quello del relevaring. Per le società quotate si hanno a disposizioni tutte le quotazioni del titolo preso in analisi e tutti i rendimenti dello stesso. A partire da questi dati, è possibile mettere in correlazione il rendimento del titolo con il rendimento medio del mercato, in modo da ottenere uno scatter di punti, come risulta dalla seguente figura: 25%

Rendimenti del titolo

20% 15% 10% 5% 0% -15%

-10%

-5%

-5%

0%

5%

10%

15%

20%

25%

-10% -15%

Rendimenti del mercato

Sull’asse delle ascisse, si riporta il rendimento del mercato, mentre su quello delle ordinate è presente il rendimento del titolo. I punti individuati rappresentano le rilevazioni riferite alle varie date. A partire dai suddetti punti, si opera il processo di regressione lineare ottenendo la retta di regressione, il cui coefficiente angolare è proprio il Beta levered. Quest’ultimo è dato dalla covarianza del rendimento del titolo rispetto al rendimento del mercato, rapportata alla varianza del rendimento del mercato. Si riporta la formula del Beta levered: ( , " ) = #" 14


dove: β = Beta levered ( , " ) = covarianza del rendimento del titolo rispetto al rendimento del mercato #" = varianza del rendimento del mercato

Per le società non quotate, l’approccio bottom up consiste in un processo che si divide in due fasi. La prima, quella di unlevering, è finalizzata alla determinazione del Beta medio unlevered, che tiene conto della sola rischiosità operativa. Ancor prima occorre, però, definire i parametri di individuazione delle aziende comparabili, che possono essere di ordine sia qualitativo, sia quantitativo. Con riferimento al primo aspetto, un elemento essenziale è costituito dalla formula imprenditoriale. Devono, infatti, emergere similitudini per quanto attiene ai prodotti che vengono realizzati, ai mercati in cui l’azienda opera e alle tecnologie utilizzate. Per quanto riguarda l’aspetto quantitativo, si fa riferimento alla redditività dell’azienda, alla dimensione (fatturato e relativo tasso di crescita), al numero dei dipendenti, ai volumi produttivi e così via. Per ciascuna delle società quotate individuate si raccolgono due dati, il Beta levered e il leverage (rapporto tra capitale di proprietà e capitale di terzi), determinando il Beta unlevered: % $ = (1 − ')( 1+ ) dove: $ = Beta unlevered di una società quotata comparabile, ottenuto con il metodo della regressione lineare % = Beta levered di una società quotata comparabile D/E = leverage di una società comparabile Con tale formula, a partire dal Beta levered si può ottenere il Beta unlevered di ciascuna società comparabile selezionata. Si procede quindi al calcolo della media dei Beta unlevered per ottenere il Beta medio di settore di tipo unlevered, ossia il Beta operativo medio del campione di società quotate comparabili. Si procede, con la seconda fase, quella del relevering, in cui dal Beta unlevered medio di settore si arriva al Beta levered dell’azienda target, tenendo conto del leverage, cioè della specifica struttura finanziaria della suddetta azienda. Si mostra la seguente formula: ( *+ = $, + $, ∗ (1 − ') ∗ ) dove: *+ = beta relevered dell’azienda target

$, = beta unlevered medio di settore o del raggruppamento D/E = leverage dell’azienda target

15


Passiamo all’analisi del WACC, o costo medio ponderato del capitale. Esso è il costo che l’azienda deve sostenere per raccogliere le risorse finanziarie sia dai soci sia dai terzi finanziatori. Si tratta, dunque, di una media ponderata di due costi, quello del capitale proprio e quello di debito, in cui i fattori di ponderazione sono determinati sulla base del leverage. In sintesi, le determinanti del costo medio ponderato del capitale possono essere rappresentate dal costo del capitale di proprietà, dal costo del capitale di debito, dal tax rate e dal rapporto tra le fonti di finanziamento che compongono la struttura finanziaria dell’azienda stimata. Si ricorda che il costo del capitale di proprietà dipende a sua volta dal tasso risk-free, dal Beta e dall’Equity Risk Premium (premio per il rischio generale di mercato). Quella che segue è la formula del WACC: ( ) .// = ∗ + 0 (1 − ') ∗ (+) (+) dove: WACC = costo medio ponderato del capitale Ke = tasso espressivo del costo del capitale di proprietà Kd = tasso espressivo del costo loro del debito t = aliquota delle imposte del reddito D = debiti finanziari E = capitale di proprietà

2.1. I metodi reddituali I metodi reddituali possono basarsi su processi di capitalizzazione o di attualizzazione. Nel primo caso, si parla di metodo reddituale semplice, nel secondo, riferito invece all’attualizzazione, si parla di metodo reddituale complesso. In entrambi i casi, possono essere seguiti approcci di valutazione di tipo levered (o equity side) o unlevered (o asset side). L’applicazione del metodo reddituale semplice si differenzia in base all’orizzonte temporale di vita dell’azienda. In proposito, si può avere un orizzonte di vita: •

illimitato;

limitato. È il caso, ad esempio, di un’azienda in concessione, in caso vi sia certezza di mancato rinnovo del contratto; L’analisi inizia dall’ipotesi di adozione di un orizzonte di vita illimitato. La formula utilizzata in caso di approccio levered è la seguente: =

dove: W = valore dell’azienda R = reddito medio-normale prospettico i = tasso di remunerazione normale del capitale di proprietà (Ke) 16


Il valore dell’azienda risulta dalla capitalizzazione di un reddito medio-normale prospettico al tasso Ke. In caso di adozione dell’approccio unlevered, la formula del metodo reddituale semplice sarĂ la seguente: 1234.5 = − 3 1 .// dove: W = valore dell’azienda NOPLAT = risultato operativo al netto delle imposte figurative WACC = costo medio ponderato del capitale PFN = posizione finanziaria netta In questo caso, il valore dell’azienda risulta dalla capitalizzazione del NOPLAT, espressivo della redditivitĂ operativa dell’azienda. Si ottiene quindi l’enterprise value, valore economico dell’attivo, ossia il valore dell’azienda in ipotesi di assenza di indebitamento. Dal momento che normalmente l’azienda risulta indebitata, per ottenere l’equity value occorre sottrarre dall’enterprise value la posizione finanziaria netta, se questa risulta positiva, o aggiungere la stessa qualora risulti negativa. Analizziamo le formule da adottare nel caso di orizzonte di vita limitato. Anche in questo caso si distingue l’approccio levered da quello unlevered. La formula riferita all’approccio levered in assenza del valore di liquidazione è la seguente: W = R * an

i

dove: W = valore dell’azienda R = reddito medio-normale prospettico i = tasso di rimunerazione normale del capitale di proprietĂ an i = valore attuale di una rendita di durata limitata di n anni al tasso i n = orizzonte di vita dell’azienda Il valore dell’azienda è espresso, in tal caso, come il valore attuale di una rendita di n anni al tasso di capitalizzazione i. Sempre in ipotesi di adozione dell’approccio levered, considerando però il valore di liquidazione, la formula si modifica come segue: W = R * an i + V1 (1+i)-n dove: W = valore dell’azienda R = redito medio-normale prospettico i = tasso di rimunerazione normale del capitale di proprietĂ an i = valore attuale di una rendita di durata limitata di n anni al tasso i 17


n = orizzonte di vita dell’azienda V1 = valore di liquidazione del patrimonio netto Il valore dell’azienda risulta come il valore di una rendita di n anni capitalizzata al tasso i. In questo caso, tuttavia, si aggiunge il valore di liquidazione che si ipotizza di ottenere al momento della cessione dell’attivitĂ , debitamente sottoposto al processo di attualizzazione. Passando all’analisi dell’approccio unlevered del metodo reddituale semplice, in caso di orizzonte temporale limitato, si illustra di seguito la formula applicativa in ipotesi di assenza del valore di liquidazione: W = NOPLAT * an WACC – PFN dove: W = valore dell’azienda NOPLAT = risultato operativo medio-normale prospettico al netto delle imposte figurative WACC = costo medio ponderato del capitale an WACC = valore attuale di una rendita di durata limitata di n anni al tasso WACC n = orizzonte di vita dell’azienda PNF = posizione finanziaria netta Il valore dell’azienda risulta dalla capitalizzazione del NOPLAT al costo medio ponderato del capitale (WACC), ottenendo cosĂŹ il citato enterprise value. A tale valore, si sottrae la posizione finanziaria netta, in quanto l’approccio adottato è di tipo unlevered. Permanendo nell’ipotesi di approccio unlevered, e considerando il valore di liquidazione, si avrĂ la seguente formula applicativa del metodo reddituale semplice: W = NOPLAT * an

678

WACC + ( 9:;<<)= –

- PFN

dove: W = valore dell’azienda NOPLAT = risultato operativo medio-normale prospettico al netto dell’imposte figurative WACC = costo medio ponderato del capitale an WACC = valore attuale di una rendita di durata limitata di n anni al tasso WACC n = orizzonte di vita dell’azienda PNF = posizione finanziaria netta Vla = valore di liquidazione dell’attivo operativo Riassumendo quanto sinora detto, il metodo reddituale, in caso di orizzonte temporale illimitato, si applica quando al momento della valutazione, come generalmente accade, non sia verosimile apporre un termine alla vita dell’azienda. Qualora, invece, si abbia un orizzonte temporale limitato, occorre considerare se alla fine della vita aziendale residui o meno un valore per la proprietà . A tale scopo, le formule presentate si differenziano, oltre che per l’approccio adottato (levered o unlevered), anche a seguito della necessità di aggiungere il valore di liquidazione alla fine del periodo di vita dell’azienda. Nel caso in cui si preveda che, al momento della cessazione dell’attività , sia possibile ottenere un dato valore residuo, allora le 18


formule utilizzate dovranno tenere conto di tale grandezza, detta terminal value. Qualora, invece, sia giĂ noto il mancato conseguimento di un valore residuo per il cessionario, non sarĂ aggiunto alcun terminal value al valore del flusso prospettico capitalizzato. Il metodo reddituale complesso si fonda su un processo di attualizzazione. Il valore dell’azienda, in questo caso, viene determinato seguendo un processo a due stadi. In primo luogo, si effettuano le previsioni analitiche dei flussi che investono un certo numero di anni: a partire dalla data di riferimento della valutazione, ad esempio il 31/12, si definisce un orizzonte temporale di previsioni analitiche (per esempio 5 anni successivi). Per questo arco di tempo si formulano previsioni puntuali sui flussi conseguibili. Ognuno di questi flussi (siano essi lordi o netti) deve essere attualizzato e sommato agli altri, come di seguito esposto: ∑@?A ? (1 + ) ? = (1 + ) + (1 + ) +‌‌‌..+ @ (1 + ) @ Alla fine dell’arco di tempo considerato, tuttavia, l’azienda non cesserĂ di produrre flussi reddituali. Per tale ragione, anche in questo caso si stima un valore di sintesi, il terminal value, nel quale si dĂ sinteticamente conto dei flussi che si manifesteranno successivamente al periodo delle previsioni analitiche (ad es. dopo i cinque anni). Dal momento che il terminal value è stimato in ottica prospettica, dovrĂ essere capitalizzato per un periodo pari a quello delle previsioni analitiche. Quanto detto costituisce il secondo stadio della valutazione. Si analizzano le formule relative al metodo reddituale complesso secondo gli approcci levered e unlevered. Nel primo caso, la formula applicativa è la seguente: @

= B ?A

? 5C + ? (1 + ) (1 + )@

dove: ? = redditi normalizzati attesi all’anno t; i = costo del capitale di proprietĂ ; n = periodo delle previsioni analitiche; TV = terminal value Il valore dell’azienda è costituito dalla sommatoria dei redditi netti attualizzati a cui si aggiunge il terminal value attualizzato. Nell’approccio unlevered, la formula si modifica come mostrato: @

= B ?A

1234.5? 5C + − 3 1 ? (1 + .//) (1 + .//)@

dove: n = periodo delle previsioni analitiche; TV = terminal value; NOPLATt = risultati operativi normalizzati al netto delle imposte figurative; WACC = costo medio ponderato del capitale; 19


PFN = posizione finanziaria netta Il valore dell’azienda è dato da tre componenti. Con riferimento alle prime due – la sommatoria dei valori attuali dei flussi della previsione analitica e il valore attuale del terminal value – valgono le medesime considerazioni esposte in caso di stime levered, ad eccezione del fatto che si sommano i redditi lordi attualizzati, anzichĂŠ i redditi netti al loro valore attuale. In secondo luogo, il tasso di sconto è identificato con il costo medio ponderato del capitale (WACC), anzichĂŠ con il costo del capitale di proprietĂ . La terza componente è costituita dalla posizione finanziaria netta, che viene sottratta allo scopo di passare dall’enterprise value all’equity value. 2.2. I metodi finanziari Come osservato in sede di analisi dei metodi reddituali, anche nel caso dei metodi finanziari possono essere individuate alcune determinanti che influiscono sul processo valutativo condotto. In primo luogo, i metodi in analisi possono essere distinti in base all’opzione per operazioni di capitalizzazione o attualizzazione. Nel primo caso, si parla di metodo finanziario sintetico, nel secondo, riferito al processo di attualizzazione, si fa riferimento al metodo finanziario analitico. Entrambe le metodologie in questione, poi, possono essere applicate seguendo approcci valutativi di tipo asset o equity side, ovvero secondo processi di stima unlevered o levered. La prassi valutativa, in caso di impiego dei metodi finanziari, adotta prevalentemente il metodo analitico unlevered basato sul processo di attualizzazione, altrimenti detto unlevered discounted cash flow. L’approccio levered si applica principalmente nei casi in cui appaia particolarmente complessa la stima della posizione finanziaria netta, come accade, per esempio, per le imprese bancarie. Il metodo finanziario sintetico è scarsamente utilizzato nella prassi valutativa; tuttavia, per ragioni di completezza, se ne illustrano le principali caratteristiche. Indipendentemente dall’approccio levered o unlevered, si possono individuare due metodologie applicative: il Perpetual Flow Method (metodo del flusso perpetuo) e il Perpetual Growth Rate Method (metodo del tasso di crescita perpetuo). Il primo si fonda sull’ipotesi secondo cui l’azienda nel generare quel particolare flusso di cassa stia operando a regime. Il secondo, il Perpetual Growth Flow Method adotta l’ipotesi di crescita dell’azienda. Il Perpetual Flow Method, in approccio levered, perviene al valore dell’azienda applicando la formula che segue: =

/ ) ∗

dove: W = valore dell’azienda FCFE* = Free Cash Flow a regime 20


Ke = costo del capitale di proprietĂ Il valore dell’azienda Ă dato dal flusso di cassa a regime disponibile per gli azionisti, capitalizzato al solo costo del capitale. Il Perpetual Flow Method, in approccio unlevered, perviene invece al valore dell’azienda applicando la seguente formula: / 2 ∗ = − 3 1 .// dove: W = valore dell’azienda FCFO* = Free Cash Flow from Operations a regime WACC = costo medio ponderato del capitale PFN = posizione finanziaria netta Il valore dell’azienda scaturisce dal flusso di cassa operativo a regime, capitalizzato al costo medio ponderato del capitale e dalla sottrazione della posizione finanziaria netta, data l’ipotesi di approccio unlevered. In veritĂ , la dottrina ha messo in evidenza un elemento di debolezza del Perpetual Flow Method. Adottando quest’ultimo si corre il rischio di sottostimare l’azienda, perchĂŠ non si tiene adeguatamente conto della dinamica inflazionistica. Ăˆ vero, infatti, che per garantire la costanza del flusso in termini reali, è necessario ipotizzarne la crescita in termini nominali. Ciò si ottiene applicando una diversa metodologia: il Perpetual Growth Rate Method. Esso, in approccio levered, si esprime attraverso la seguente formula: / ) = − D dove: W = valore dell’azienda Ke = costo del capitale di proprietĂ FCFE1 = Free Cash Flow to Equity per l’anno a venire g = tasso di crescita sostenibile in perpetuo, che può essere uguale o superiore al tasso di inflazione attesa In questa situazione, il valore dell’azienda è dato dal flusso di cassa per l’anno a venire, ottenuto dal prodotto tra il valore del flusso dell’anno precedente e il fattore (1+g), in modo da ottenere FCFE1 = FCFE-1 * (1+g), capitalizzato a un tasso ottenuto abbattendo il costo del capitale di proprietĂ per il tasso di crescita (Ke – g). Il Pepetual Growth Rate Method, in approccio unlevered, giunge al valore dell’azienda con la seguente formula: / 2 = − 3 1 .// − D dove: 21


W = valore dell’azienda FCFO1 = Free Cash Flow from Operations per l’anno a venire WACC = costo medio ponderato del capitale g = tasso di crescita PFN = posizione finanziaria netta In questo caso, il valore dell’azienda è ottenuto dal flusso di cassa operativo per l’anno a venire, capitalizzato al costo medio ponderato del capitale, abbattuto del tasso di crescita. Questa capitalizzazione consente di ottenere l’Enterprise Value, da cui, sottraendo la posizione finanziaria netta, si determina l’Equity Value. Applicando questa formula, si può superare il problema evidenziato nel Perpetual Flow Method relativo alla possibilitĂ di pervenire a valori sottostimati dell’azienda di riferimento: abbattendo il tasso di capitalizzazione del tasso di crescita sostenibile in perpetuo, si ipotizza una crescita del flusso posto al numeratore. Il problema riguarda, però, la misura della citata crescita. Dal momento che la questione consiste nell’ottenimento di una stabilizzazione in termini reali dei flussi, allora occorre ipotizzare una crescita in termini nominali degli stessi pari al tasso di inflazione attesa. Considerando, ad esempio, un costo del capitale proprio, in caso di approccio levered, dell’8% e un tasso di inflazione attesa pari al 2%, si capitalizzerĂ ad un tasso del 6%. Il metodo finanziario analitico presenta diverse varianti. Esso, infatti, può assumere la configurazione a uno stadio o a due stadi. Il metodo finanziario analitico a uno stadio, che ipotizza un orizzonte di vita dell’azienda limitato, si applica nei casi in cui la stessa genera flussi di cassa per un numero limitato di anni e poi cessa la sua attivitĂ senza che si abbia alcun valore residuo di liquidazione. Utilizzando il metodo a due stadi, ovvero quello maggiormente applicato, soprattutto in approccio unlevered, il valore dell’azienda è la risultante di due componenti: una riguarda il periodo delle previsioni analitiche e l’altra attiene, invece, alla stima del terminal value. La stima di quest’ultimo valore viene effettuata diversamente in relazione al fatto che sia ipotizzato un orizzonte temporale limitato o illimitato. Il metodo finanziario analitico a uno stadio viene applicato, come detto, nel caso in cui l’azienda generi un flusso di cassa per un certo periodo, al termine del quale l’attivitĂ cessa, senza però che si abbia un valore finale di liquidazione. L’ipotesi sottostante è quindi un orizzonte di vita aziendale limitato, come accade, ad esempio, alle aziende in concessione, quali quelle che sfruttano giacimenti minerari, o alle aziende create per la realizzazione di uno specifico progetto. La formula applicativa del metodo finanziario sintetico in ipotesi di orizzonte limitato, di assenza di terminal value e di approccio levered, è di seguito riportata: @

= B ?A

/ )? (1 + ) ?

dove: 22


W = valore dell’azienda FCFEt = Free Cash Flow to Equity all’anno t Ke = costo del capitale di proprietà n = orizzonte di vita dell’azienda (vita residua) Il valore dell’azienda risulta dai flussi di cassa disponibili per gli azionisti (FCFEt) attualizzati al fattore (1+Ke)-t. Il metodo finanziario sintetico con approccio unlevered adotta la seguente formula: @

= B ?A

/ 2? − 3 1 (1 + .//)?

dove: W = valore dell’azienda FCFOt = Free Cash Flow from Operations all’anno t WACC = costo medio ponderato del capitale n = orizzonte di vita dell’azienda (vita residua) PFN = posizione finanziaria netta In questo caso, si avrĂ un valore dell’azienda pari ai flussi di cassa operativi attualizzati al fattore (1+WACC)t, a cui deve essere sottratto il valore della posizione finanziaria netta. Il metodo finanziario analitico a due stadi è, di norma, piĂš diffuso soprattutto nella variante unlevered. Il valore dell’azienda è ottenuto sommando due componenti: il valore attuale dei flussi di cassa nel periodo di previsione analitica (primo stadio della valutazione) e il valore attuale del terminal value (secondo stadio della valutazione). Per quanto riguarda la prima componente, il numero dei flussi che vengono attualizzati dipende dal periodo delle previsioni analitiche. L’intervallo di tali previsioni, proprio per l’incertezza che le caratterizza, difficilmente supera i 5 anni, benchĂŠ dipenda dal settore di appartenenza dell’azienda. Nel caso, tuttavia, di aziende di distribuzione che forniscono servizi a tariffe prestabilite (ad esempio l’azienda del gas o l’acquedotto), le previsioni possono essere formulate con relativa certezza, diversamente dalle situazioni che vedono protagoniste aziende che operano in un mercato di libera concorrenza, in cui il prezzo si forma dall’incontro di domanda e offerta. Una volta stimati i flussi di cassa futuri, lordi o netti in relazione all’approccio unlevered o levered, ognuno di essi deve essere attualizzato e sommato agli altri. Con ciò si determina la prima componente del valore dell’azienda, ovvero quella relativa al periodo delle previsioni analitiche. La seconda componente è costituita dal valore attuale del terminal value. Si mostrano, di seguito, le formula del metodo finanziario a due stadi: @

= B ?A

/ )? 5C + (1 + )? (1 + )@

dove: W = valore dell’azienda 23


FCFEt = Free Cash Flow to Equity all’anno t Ke = costo del capitale di proprietà n = periodo delle previsioni analitiche TV = terminal value Il valore dell’azienda risulta dalla sommatoria dei flussi di cassa disponibili per gli azionisti (flussi netti), attualizzati al costo del capitale di proprietà e dal teminal value, anch’esso attualizzato al costo del capitale di proprietà . Nell’approccio unlevered, la formula del metodo finanziario analitico a due stadi diventa: @

= B ?A

/ 2? 5C + − 3 1 (1 + .//)? (1 + .//)@

dove: W = valore dell’azienda FCFOt = Free Cash Flow to Operation all’anno t WACC = costo medio ponderato del capitale PFN = posizione finanziaria netta TV = terminal value In questo caso, il valore dell’azienda scaturisce dalla sommatoria dei flussi di cassa operativi attualizzati al costo medio ponderato del capitale, a cui si aggiunge il terminal value attualizzato al costo medio ponderato del capitale, a cui, infine, si sottrae il valore della posizione finanziaria netta.

3.

I METODI PATRIMONIALI

Con i metodi basati su grandezze stock (metodi patrimoniali), la valutazione tende a determinare l’impiego del capitale necessario per istituire una nuova impresa con la medesima struttura patrimoniale di quella oggetto di stima. La valutazione viene fatta guardando proprio alla struttura dell’azienda. Si valutano, infatti, i singoli elementi patrimoniali attivi e passivi, la cui somma algebrica rappresenta il capitale netto rettificato. PiÚ precisamente, il valore dell’azienda – identificato con il capitale netto rettificato – deriva dalla somma algebrica dei valori correnti di sostituzione assegnati ai singoli elementi patrimoniali attivi e passivi. Il carattere distintivo di tale metodo sta nella stima analitica dei singoli elementi patrimoniali dell’azienda, i cui valori di bilancio vengono confrontati con i valori correnti di sostituzione. Tale caratteristica esige la distinzione tra elementi attivi e passivi del capitale. Per quelli attivi, si va alla ricerca dei valori, o meglio, dei costi da sostenere oggi per riacquistare o riprodurre le attività disponibili. Per quelli passivi, invece, la riespressione a valori correnti di sostituzione comporta l’individuazione dei valori a cui, oggi, i debiti potrebbero essere rinegoziati. Guardando agli elementi patrimoniali che vengono considerati nella stima, i metodi in analisi si suddividono in semplici e complessi. 24


Il metodo patrimoniale semplice si limita a considerare i soli elementi che figurano nello stato patrimoniale. Il metodo patrimoniale complesso, invece, considera anche taluni valori che non vi sono iscritti, come i beni invisibili o i beni per i quali, seppur sia stato completato il processo di ammortamento, presentano un’utilità residua. I metodi patrimoniali assumono lo stato patrimoniale quale documento base dell’intero processo valutativo. Si parte, quindi, dai valori in esso contenuti, determinati applicando i principi di redazione del bilancio di esercizio, per effettuare, poi, un processo di rielaborazione in termini quantitativi e qualitativi di ogni elemento del capitale, volto a ottenere una situazione patrimoniale espressa a valori correnti. Così facendo, a partire dal capitale netto di bilancio, si perviene al capitale netto rettificato. 3.1. Il metodo patrimoniale semplice Il metodo patrimoniale semplice fa riferimento alla valutazione dei soli elementi patrimoniali iscritti nell’attivo e nel passivo dello stato patrimoniale di fine periodo (o infraannuale, a seconda della data di riferimento della valutazione). La rivalutazione degli elementi contabili differisce in relazione al fatto che ci si riferisca a elementi attivi o passivi. I primi devono essere rivalutati a valori correnti di riacquisto sul mercato o, nell’ipotesi in cui gli elementi in questione non siano negoziabili sui mercati attivi, al valore di riproduzione. I secondi devono essere valutati a valori correnti di rinegoziazione. Il capitale netto rettificato, che costituisce il risultato della stima analizzata, scaturisce dalla somma algebrica dei singoli elementi attivi e passivi espressi al loro valore corrente di sostituzione, come sopra esposto. La formula del metodo patrimoniale semplice è espressa come segue: W=K dove: W = valore dell’azienda K = capitale netto rettificato Le rettifiche a cui si è fatto riferimento scaturiscono dal confronto tra il valore corrente di sostituzione di un elemento e il suo corrispondente valore di libro. Partendo dal capitale netto contabile, si effettuano le rettifiche in aumento o in diminuzione. Nella riespressione a valori correnti di sostituzione possono emergere alcune differenze tra questi valori e quelli di libro. Con riferimento agli elementi attivi del capitale, quando il valore corrente di sostituzione è maggiore di quello di libro, si è di fronte ad aumenti di attività che determinano rettifiche positive o plusvalenze. Nel caso, invece, in cui il valore corrente sia inferiore al valore di libro, si è di fronte a diminuzioni di attività che originano rettifiche negative o minusvalenze. Con riferimento agli elementi passivi del capitale, quando il valore corrente di sostituzione è inferiore al valore di libro, si hanno diminuzioni di passività che configurano rettifiche 25


positive o plusvalenze. Diversamente, quando il valore corrente risulta maggiore del valori di libro, si hanno aumenti di passività che producono rettifiche negative o minusvalenze. Si analizzano di seguito alcuni criteri da applicare per stimare i valori correnti di sostituzione dei diversi elementi patrimoniali. L’analisi inizia dalle immobilizzazioni tecniche materiali. Esempi di immobilizzazioni di questo tipo sono i fabbricati industriali, gli impianti, i macchinari, le attrezzature varie, gli automezzi, i mobili, i computer e così via. La loro riespressione a valori correnti di sostituzione richiede la considerazione di alcune ipotesi alternative. Qualora il bene oggetto di valutazione possa essere scambiato sul mercato come tale, ossia nello stato in cui si trova, può essere assunto a riferimento il valore corrente di mercato (ad esempio, per le auto, si possono utilizzare i prezzi dei mezzi in circolazione riportati dalle riviste specialistiche). Qualora, invece, ciò non sia possibile, è necessario, in primo luogo, far ricorso al costo di acquisto o al costo di riproduzione, in relazione al fatto che esista o meno un mercato di beni nuovi analoghi a quello considerato. Tale costo andrà, quindi, abbattuto in considerazione dell’usura e dell’obsolescenza del bene in uso. È frequente che talune immobilizzazioni materiali siano acquisite in leasing. In tal caso, la dottrina suggerisce di inserire tali beni nell’attivo del capitale. Nel contempo, sarà incluso, tra i componenti passivi, il debito verso la società di leasing, stimato attualizzando i canoni ancora da versare e il prezzo di riscatto finale al tasso corrente. Per le immobilizzazioni immateriali, il metodo patrimoniale semplice include nella valutazione solo quelle contabilizzate, ovvero iscritte a stato patrimoniale e, tra queste, i soli beni immateriali. Tra le immobilizzazioni immateriali iscritte a bilancio, quindi, vengono considerati esclusivamente gli elementi suscettibili di trasferimento autonomo; gli elementi privi del requisito della trasferibilità non vengono presi in considerazione. Ciò significa che, ad esempio, saranno oggetto di valutazione i marchi e i brevetti industriali, non, invece, le spese di impianto e di ampliamento nonché altri oneri pluriennali, né l’avviamento benché pagato. Le modalità con cui effettuare la riespressione a valori correnti del magazzino necessita di una preventiva distinzione delle diverse tipologie di rimanenze. Solitamente, esse sono classificate in materie prime, prodotti in corso di lavorazione e semilavorati, lavori in corso su ordinazione, prodotti finiti e merci. Le rimanenze di materie prime sono valutate al costo attuale di riacquisizione, ossia al costo che dovrebbe essere sostenuto oggi per riacquistare dette materie. Tale costo viene stimato facendo riferimento ai prezzi correnti o ai prezzi degli acquisti più recenti, riscontrabili, ad esempio, nelle ultime fatture ricevute. L’analisi procede con i prodotti in corso di lavorazione e con i semilavorati. I primi sono prodotti che, al momento della stima, ancora non hanno terminato la fase di lavorazione. I semilavorati, invece, hanno già terminato una o più fasi di trasformazione ben definite e, tro26


vandosi a uno stadio di lavorazione chiaramente individuato, sono dotati di un loro mercato. Entrambi si stimano al costo di riproduzione, ovvero al costo da sostenere oggi per una loro nuova produzione, determinato in base allo stato di avanzamento. I lavori in corso su ordinazione sono valutati con il metodo delle percentuale di completamente o della commessa completata. Con il primo metodo, si valuta la costruzione in corso in base a una percentuale del prezzo di vendita finale, determinata con riferimento allo stato di avanzamento delle lavorazioni. In questo modo, si riconosce a ogni esercizio una quota del ricavo pattuito a contratto e si distribuisce il margine reddituale che deriva dalla commessa su tutti i periodi di realizzazione della stessa, in proporzione alla parte di lavoro svolta nell’anno. Con il metodo della commessa completata, invece, questo margine è riconosciuto solo nel periodo amministrativo cui vi è la cessione definitiva, coerentemente con il criterio di realizzazione dei ricavi. Nella riespressione a valori correnti, la logica usata è analoga a quella della percentuale di completamento. Più precisamente, tale riespressione avviene al costo di riproduzione, facendo riferimento al costo delle materie prime o del lavoro, espresso al valore corrente e non a quello di libro, a cui si aggiunge una quota di utile in formazione, calcolata in base allo stato di avanzamento dei lavori. Ai fini della valutazione dei prodotti finiti e delle merci, è utile distinguere il caso di mancanza di ordini fermi (ordini inviati e confermati) dal caso in cui vi siano ordini fermi. Nella prima ipotesi, si hanno prodotti/merci in magazzino in attesa di domanda i quali vengono valutati, normalmente, al costo di produzione/riacquisto. Nella situazione in cui, invece, si riscontrino ordini fermi, i prodotti sono valutati al costo di riproduzione, ovvero al costo che si sosterrebbe oggi per ottenere i medesimi prodotti realizzati in periodi precedenti, e le merci al costo di riacquisto. A tale costo sarà, poi, aggiunta una quota di utile in formazione, poiché quest’ultima può ritenersi acquisita con ragionevole certezza. La riespressione dei crediti a valori correnti impone la considerazione di due ordini di problemi: l’esistenza e l’entità del rischio di insolvenza, la natura fruttifera/infruttifera del credito. Il primo problema si pone tipicamente per i crediti di funzionamento, ovvero per i crediti verso clienti. Il rischio di mancata riscossione grava interamente sull’azienda creditrice. Pertanto, il valore nominale deve essere rettificato in diminuzione, in considerazione del rischio. A tal fine, si è soliti distinguere i crediti in tre tipologie: crediti vivi, crediti incagliati e crediti in sofferenza. Per i crediti vivi, è verosimile la piena riscossione. Per i crediti incagliati, invece, il fattore rischio è più accentuato. Si tratta, infatti, di crediti che non sono stati incassati al momento della loro naturale scadenza e per i quali, quindi, si è sollecitato il pagamento. Gli ultimi, i crediti in sofferenza, sono già stati affidati a un legale per il recupero forzato. La svalutazione applicata varia in base alle tre diverse tipologie di crediti: la percentuale di decurtazione del valore nominale aumenterà partendo dai crediti vivi e arrivando a quelli in sofferenza. 27


Il secondo problema da considerare attiene alla natura fruttifera/infruttifera del credito. Si inizia l’analisi dai crediti infruttiferi. Si ipotizzi un credito privo di interessi espliciti dal valore nominale Vn che giunge alla scadenza al tempo t. Il soggetto che acquista tale credito, al momento t riscuoterà il valore nominale. Per individuare oggi il valore corrente del credito, occorre riportare indietro nel tempo il valore a scadenza (ossia il valore nominale) determinando il valore attuale del credito Va. A tal fine si fa uso della seguente formula: Va = Vn (1+im)-t dove: Va = valore attuale del credito Vn = valore nominale del credito im = tasso corrente di mercato t = tempo Il valore attuale del credito è dato dal valore finale, rappresentato, in questo caso, dal valore nominale scontato al tasso medio di mercato. Per tale motivo necessariamente il valore attuale risulta inferiore al valore nominale. Nel caso poi gravi sull’azienda un rischio di insolvenza, non sarò attualizzato l’intero valore nominale del credito, ma solo il valore di presumibile realizzo. La valutazione dei crediti fruttiferi è più articolata. Si ipotizzi, per semplicità, che l’acquirente del credito riscuota gli interessi interamente alla scadenza dello stesso. Per tale motivo, all’anno t (scadenza), riscuoterà il montante, dato dal valore nominale del credito più gli interessi maturati nel periodo in funzione del tasso contrattuale stabilito ic. Ricordando che la valutazione viene effettuata ad oggi, il valore dell’anno t andrà attualizzato, scontandolo al tasso di mercato im., ossia al tasso che si dovrebbe negoziare oggi per finanziarsi. La formula è la seguente: Va = Vn (1+ic)t (1+im)-t dove: Va = valore attuale del credito Vn = valore nominale del credito ic = tasso contrattuale stabilito im = tasso corrente di mercato t = tempo Nel caso poi gravi sull’azienda un rischio di insolvenza, non sarò attualizzato l’intero valore nominale del credito, ma solo il valore di presumibile realizzo. A differenza dei crediti infruttiferi, possono configurarsi due diverse ipotesi. Nella prima, si considera che il tasso contrattuale sia allineato a quello di mercato. Per questa ragione si avrà ic = im, e, di conseguenza, il valore attuale risulterà uguale a quello nominale o a quello di presunto realizzo, in relazione al fatto che si consideri o meno il rischio di insolvenza Va = Vn. 28


Nella seconda ipotesi, in cui il tasso contrattuale sia disallineato da quello di mercato (ic ≠ im), occorrerà distinguere due ulteriori varianti. Nel caso in cui ic < im, si avrà Va < Vn, in quanto si capitalizzano gli interessi a un tasso più basso di quello applicato per scontare il montante. Qualora, invece, ic > im, si avrà Va > Vn,, in quanto si capitalizzano gli interessi a un tasso più elevato di quello applicato per scontare l’intero montante. Analogamente ai crediti, anche per i debiti occorre introdurre la distinzione tra debiti onerosi e debiti non onerosi questi ultimi non generano interessi passivi, diversamente dai primi. Per quanto riguarda i debiti non onerosi, si riscontra una differenza tra valore corrente e valore nominale, poiché chi acquista l’azienda accollandosi i relativi debiti dovrà pagare gli stessi in periodi successivi, senza che la disponibilità delle risorse finanziarie per l’arco temporale considerato generi la corresponsione di interessi. Il vantaggio economico che ne trae l’acquirente dell’azienda si riflette in un valore attuale del debito inferiore al suo valore nominale. Per i debiti onerosi, il ragionamento è più articolato. Quando vi sia divergenza tra il tasso contrattuale (ic tasso debitorio di maturazione degli interessi) e il tasso corrente di mercato (im tasso stabilito facendo riferimento a debiti di finanziamento di eguale durata a quello in analisi), anche il valore corrente (o attuale del debito) e il suo valore nominale divergeranno. Si verificherà, invece, una convergenza dei valori nell’ipotesi del tutto teorica di coincidenza tra tasso contrattuale e tasso di mercato. In quest’ultimo caso non dovrà essere apportata alcuna rettifica al valore nominale dei debiti. Si inizia l’analisi dai debiti non onerosi. Si ipotizzi un debito dal valore nominale Vn che giunge alla scadenza al tempo t, su cui non vengono pagati interessi. Il soggetto che acquista l’azienda al momento t corrisponderà il valore nominale. Volendo, però, realizzare la valutazione a oggi, per individuare il valore corrente del debito occorre riportare indietro nel tempo il valore di estinzione (ossia il valore nominale) determinando il valore attuale del debito Va. Si fa uso della seguente formula: Va = Vn (1+im)-t dove: Va = valore attuale del debito Vn = valore nominale del debito im = tasso corrente di mercato t = tempo Il valore attuale del debito è dato dal valore finale, rappresentato, in questo caso, dal valore nominale scontato al tasso medio di mercato. La valutazione dei debiti onerosi è più articolata. Si ipotizzi, per semplicità, che l’acquirente dell’azienda corrisponda gli interessi interamente alla scadenza dello stesso. Per tale motivo, all’anno t (scadenza), verrà corrisposto il montante, dato dal valore nominale del debito più gli interessi maturati nel periodo in funzione del tasso contrattuale stabilito ic. Ri29


cordando che la valutazione viene effettuata ad oggi, il valore dell’anno t andrà attualizzato, scontandolo al tasso di mercato im., ossia al tasso che si dovrebbe sostenere oggi per rinegoziare il debito. La formula è la seguente: Va = Vn (1+ic)t (1+im)-t dove: Va = valore attuale del debito Vn = valore nominale del debito ic = tasso contrattuale stabilito im = tasso corrente di mercato t = tempo A differenza dei debiti non onerosi, possono configurarsi due diverse ipotesi. Nella prima, si considera che il tasso contrattuale sia allineato a quello di mercato. Per questa ragione si avrà ic = im, e, di conseguenza, il valore attuale risulterà uguale a quello nominale. In questo caso non sarà necessaria alcun tipo di rettifica. Nella seconda ipotesi, in cui il tasso contrattuale sia disallineato da quello di mercato (ic ≠ im), occorrerà distinguere due ulteriori varianti. Nel caso in cui ic < im, si avrà Va < Vn, in quanto si capitalizzano gli interessi a un tasso più basso di quello applicato per scontare il montante. Qualora, invece, ic > im, si avrà Va > Vn,, in quanto si capitalizzano gli interessi a un tasso più elevato di quello applicato per scontare l’intero montante. Concludendo, in caso di debiti non onerosi, il valore corrente è diverso dal valore nominale. Emerge, pertanto, la necessità di effettuare una rettifica. In caso, invece, di debiti onerosi, occorrerà verificare se il tasso contrattuale sia allineato o meno a quello di mercato. Se c’è allineamento, al valore nominale del debito non dovrà essere apportata alcuna rettifica; diversamente, si rende necessario rettificare il valore nominale. Una criticità da considerare in sede di stima del capitale netto rettificato è costituita dalla cosiddetta fiscalità latente. Una volta determinate le rettifiche da apportare alle poste patrimoniali contabili, si rende necessario stimare l’effetto prodotto dalla fiscalità latente, che attiene alle imposte dirette riferibili alle differenze tra valori correnti e valori fiscalmente riconosciuti, questi ultimi talora coincidenti con i valori di libro. La fiscalità latente (oneri e benefici fiscali) riguarda, dunque, il trattamento fiscale delle plusvalenze e delle minusvalenze che scaturiscono in conseguenza della riespressione a valori correnti di sostituzione degli elementi patrimoniali, in sede di trasferimento degli stessi. Il capitale netto rettificato emerge sommando algebricamente, al capitale netto contabile, le rettifiche positive o negative ottenute in sede di riespressione a valori correnti di sostituzione dei singoli elementi patrimoniali.

30


Figura 2: La stima finale del capitale netto rettificato Capitale sociale + Riserve + Utile di esercizio da accantonare - Perdite di esercizio - Perdite di esercizi precedenti CAPITALE NETTO CONTABILE + Plusvalenze - Minusvalenze - Oneri fiscali potenziali + Benefici fiscali potenziali CAPITALE NETTO RETTIFICATO

___________ ___________ ___________ (___________) (___________) ___________ ___________ (___________) (___________) ___________ ___________

Come emerge dallo schema riportato, al capitale netto contabile si aggiungono o si sottraggono le rettifiche di valore degli elementi patrimoniali, in modo da ottenere il capitale netto rettificato. Si tratta, dunque, di rettifiche in aumento quando si riscontrano plusvalenze, di rettifiche in diminuzione nel caso di minusvalenze. In considerazione, poi, della fiscalità latente, si effettueranno ulteriori rettifiche, in diminuzione in ipotesi di oneri fiscali potenziali, in aumento in ipotesi di benefici fiscali potenziali. 3.2. Il metodo patrimoniale complesso La differenza tra il metodo patrimoniale complesso e quello semplice è da ricondursi agli elementi patrimoniali considerati nella stima. Il primo infatti valuta, oltre agli elementi iscritti nello stato patrimoniale, anche altri elementi non rilevati in contabilità alla data di riferimento della valutazione. Tali risorse sono identificabili con i beni immateriali che sono fonte di utilità per l’azienda e, perciò, devono essere considerati e valutati. Si è soliti evidenziare che il metodo patrimoniale complesso permette di avere una visione più ampia e completa della realtà aziendale, consentendo una valutazione più attendibile. Il metodo patrimoniale semplice è la base di riferimento per il metodo complesso; la formula valutativa di riferimento è la seguente: W = K + Vbi = K’ dove: W = valore dell’azienda K = capitale netto rettificato derivante dal metodo patrimoniale semplice Vbi = valore dei beni immateriali K’ = capitale netto rettificato ottenuto con il metodo patrimoniale complesso. Dato che l’applicazione del metodo patrimoniale complesso comporta la considerazione dei valori riconducibili ai beni immateriali, è possibile affermare che l’approccio in analisi può consentire, in qualche misura, la valutazione dell’avviamento. Benché le modalità di stima dell’avviamento siano oggetto di successiva trattazione, giova, intanto, anticipare che aggiungendo a K il valore dei beni immateriali si è in grado di esplicitare una parte 31


dell’avviamento. Tale grandezza, interpretabile come avviamento in senso stretto, sarà inferiore al valore pieno dell’avviamento, inteso in senso lato. Prima di affrontare il tema delle modalità di stima dei beni immateriali, è necessario soffermarsi sulla definizione delle caratteristiche dei medesimi. I beni immateriali, per essere considerati tali, devono avere i seguenti requisiti. Il primo di questi è che i beni abbiano comportato il sostenimento di un costo ed ad essi si associ la produzione di un’utilità pluriennale differita nel tempo. Il secondo requisito attiene alla trasferibilità di tali beni. Si richiede, infine, che i beni in analisi siano suscettibili di essere valutati, ovvero è necessario che sussista la possibilità di pervenire al relativo valore applicando un processo di stima. I beni immateriali possono non trovare rappresentazione nel bilancio di esercizio, ad esempio, a seguito delle modalità con cui sono stati ottenuti dall’azienda, oppure in conseguenza dell’attuazione del processo di ammortamento. Con riferimento al primo caso, si pensi all’esempio di beni sviluppati internamente. Esempi di beni in parola sono i marchi, i brevetti, il Know how tecnologico, le autorizzazioni per le aziende commerciali al dettaglio, il portafoglio premi per le assicurazioni, ecc. Una volta definiti i beni da considerare nella stima, essi dovranno essere espressi al loro valore corrente. Un metodo analitico attiene all’attualizzazione dei costi da sostenere per riprodurre i beni intangibili. Ipotizzando di dover ricostituire l’utilità di un dato elemento, ci si chiede a quanto ammonterebbero i costi da sostenere oggi per ricreare quel bene, tenendo conto dello stato d’uso dello stesso. Una volta individuati i suddetti costi, essi dovranno essere attualizzati in modo da pervenire al valore del bene immateriale. Un altro metodo consiste nell’attualizzare i redditi differenziali derivanti dall’utilizzo dei beni stessi. Un esempio in proposito è il brevetto ceduto a terzi a titolo di utilizzo dietro pagamento di congrue royalty calcolate in percentuale sulle vendite. In tal caso si attualizzano i compensi che si avranno negli anni (royalty) ottenendo il valore attuale del brevetto. Un altro metodo, infine, è l’attualizzazione delle perdite da sopportare in ipotesi di cessione dei beni. Al riguardo, si parla anche di costo della perdita. Si effettua la valutazione dell’azienda assumendo a riferimento la differenza tra il valore attribuibile alla stessa in ipotesi, ad esempio, di svolgimento della propria attività mediante l’utilizzo di un marchio, e il valore che si avrebbe in ipotesi di svolgimento dell’attività senza il marchio stesso. Si valutano, così, le conseguenze, in termini di economicità della mancata utilizzazione di un bene immateriale. L’attualizzazione della perdita consente di stimare il valore del bene stesso. Il metodo patrimoniale, in generale, risulta razionale solo nel caso in cui l’azienda oggetto di valutazione produca un reddito perfettamente allineato al reddito equo del capitale di proprietà, espresso a valori correnti di sostituzione. Il reddito equo è il reddito conseguibile dall’azienda senza condizioni di vantaggio o di svantaggio rispetto ai concorrenti. In questo caso, non vi è avviamento positivo o negativo. Il metodo appena esaminato, altrimenti, non 32


sarebbe in grado di rispecchiare il valore dell’azienda in quanto prescinde dalla considerazione dei sovra o sottoredditi che, capitalizzati, generano l’avviamento.

4.

I METODI MISTI

Le metodologie miste sono fondate sull’osservazione sia della struttura patrimoniale sia della capacità reddituale dell’impresa. Il valore della stessa viene, dunque, definito guardando, da un lato, al valore dei singoli elementi che costituiscono il complesso aziendale e, dall’altro, alla sua redditività. Ci soffermeremo, inizialmente, sul metodo misto con stima autonoma dell’avviamento. Per esso, è necessario analizzare, in primo luogo, la consistenza patrimoniale ai fini della determinazione del capitale netto rettificato. In secondo luogo, è necessario stimare l’entità dell’avviamento che, sommato al capitale netto rettificato, fornisce il valore dell’azienda. L’avviamento, come noto, può avere segno positivo o negativo in relazione al fatto che la redditività prospettica dell’azienda sia superiore o inferiore a quella normale della stessa, ottenuta considerandone il profilo di rischio. Il valore economico del capitale scaturisce dalla somma di due addendi. Nel caso in cui si riscontri un avviamento positivo (o goodwill), il capitale economico risulterà superiore al capitale netto rettificato. In caso contrario, ovvero qualora l’avviamento sia negativo (badwill), il capitale economico sarà inferiore al capitale netto rettificato. Da quanto detto, emerge come la scelta del metodo patrimoniale non sia necessariamente prudenziale. Tale caratteristica sussiste unicamente nel caso in cui la redditività prospettica sia superiore a quella normale, ovvero quando si rilevi un avviamento positivo. Gli altri metodi misti sono il metodo del valore medio e quello basato sull’EVA. 4.1. Il metodo misto con stima autonoma dell’avviamento L’avviamento è l’elemento che distingue il metodo patrimoniale da quello misto. In dottrina, l’avviamento è stato definito come la condizione o l’insieme di condizioni onde un’azienda può dirsi atta a fruttare nel futuro un sovraprofitto. Da tale definizione emerge coma l’avviamento sia strettamente connesso alla dimensione prospettica degli andamenti aziendali. Questo, infatti, viene stimato, oggi, con riferimento alla redditività ipotizzata per gli esercizi a venire, sulla base delle condizioni atte a consentire all’unità operativa il conseguimento di un sovrareddito. Per chiarire i concetti di avviamento positivo o negativo occorre introdurre una grandezza che sia in grado di rappresentare un idoneo termine di paragone con il reddito prospettico, allo scopo di determinare, appunto, segno e entità del reddito differenziale. In altre parole, la definizione tanto di sovraredditi che di sottoredditi non può essere espressa se non con riferimento ad un valore che costituisce una base di confronto con il reddito atteso. Il termine in 33


questione è rappresentato da Re, ossia dal reddito equo. Tale grandezza si ottiene moltiplicando il capitale netto rettificato, rappresentativo della riespressione a valore correnti dell’equity, per il tasso di remunerazione normale del capitale di proprietà. Come detto, esso rappresenta il reddito normalmente conseguibile dall’impresa senza condizione di vantaggio o svantaggio competitivo. La formula è: = ∗

dove: Re = reddito equo, determinato tenendo conto del particolare profilo di rischio dell’azienda K = capitale netto rettificato i = tasso di rimunerazione normale del capitale proprio Ponendo a confronto il reddito prospettico con il reddito equo, è possibile definire il segno dell’avviamento. Qualora, infatti, i redditi prospettici conseguibili siano superiori al reddito equo, si delinea un avviamento positivo. In caso contrario, l’azienda presenta un avviamento negativo. L’avviamento è ottenuto, una volta confrontato il reddito prospettico con il reddito equo, capitalizzando il reddito differenziale che ne deriva, come di seguito riportato:

.=

( * E∗F) E,

.=

(* *G ) EH

dove: A = avviamento R = reddito medio-normale prospettico Re = reddito equo i = costo del capitale proprio i’ = tasso di capitalizzazione del reddito differenziale Esaminiamo la relazione tra W e K, nelle tre ipotesi in cui R sia maggiore, uguale o inferiore a Re. Nella prima ipotesi, abbiamo che: > Dividendo entrambi i membri della disequazione per i, si ottiene: >

Dal momento che, come ormai noto, il primo membro è rappresentato dal valore dell’azienda ottenuto con il metodo reddituale semplice e il secondo è pari al capitale netto rettificato, si ha quanto segue: > Nel caso di specie, possiamo affermare che la differenza tra il valore dell’azienda e il capitale netto rettificato si spiega con un avviamento positivo. Quest’ultimo potrà essere determinato come differenza tra il valore dell’azienda (W) e il capitale netto rettificato (K), come di seguito calcolato: 34


= + .(J)

.= − Si consideri la seconda ipotesi, in cui il reddito prospettico equivale quello equo: = Dividendo entrambi i membri della disequazione per i, si ottiene: =

L’eguaglianza esprime la piena coincidenza tra il valore del capitale aziendale (W) e il capitale netto rettificato (K): = Il questa ipotesi, l’avviamento è pari a zero. La terza e ultima ipotesi considera un reddito prospettico inferiore al reddito equo. Ciò significa che: < Dividendo entrambi i membri della disequazione per i, si ottiene: <

In questo caso, il valore economico del capitale aziendale (W) è inferiore al capitale netto rettificato (K): < La differenza è dovuta all’avviamento, che presenta nel nostro caso segno negativo. Il valore dell’azienda è uguale alla somma algebrica del capitale netto rettificato con l’avviamento di segno negativo: = − .(L) Ciò premesso, la formula generale del metodo misto con stima autonoma dell’avviamento viene espressa come segue: = +. dove: W = valore dell’azienda K = capitale netto rettificato A = avviamento La formula generale può assumere le seguenti varianti. La prima formula applicativa, nella variante di reddito differenziale di durata illimitata, risulta essere: = + dove:

( − ∗ )

W = valore dell’azienda K = capitale netto rettificato 35


R = reddito medio-normale prospettico i = tasso di rimunerazione normale del capitale di proprietà i’ = tasso di capitalizzazione del reddito differenziale n = durata del flusso reddituale differenziale (sovrareddito o sottoreddito) (R – K*i) = reddito differenziale (sovrareddito/sottoreddito) Il valore dell’azienda, in questo caso, è dato dalla somma del capitale netto rettificato e del reddito differenziale capitalizzato al tasso i’; quest’ultimo identifica l’avviamento. Si precisa che i’ non va confuso con il tasso di rimunerazione del capitale proprio, impiegato per la determinazione del reddito equo. Il tasso di capitalizzazione del reddito differenziale, infatti, può essere definito scegliendo l’alternativa più opportuna tra quelle di seguito riportate: •

È possibile determinare un i’ che sia superiore di 1-2 punti percentuali al tasso di remunerazione del capitale proprio, in modo da considerare, in sede di capitalizzazione, l’incertezza relativa alla futura manifestazione del reddito differenziale. L’ottica risulta, in tal caso, prudenziale.

La seconda tesi, opposta alla prima, ritiene che il tasso più indicato da applicare nella capitalizzazione del reddito differenziale sia il risk free rate, cioè il tasso di puro interesse. Ciò nella convinzione che, nel caso specifico, il tasso serva semplicemente a spostare indietro nel tempo i redditi differenziali.

Una terza tesi, che media tra le due precedentemente descritte, prevede l’utilizzo anche per la capitalizzazione del tasso di remunerazione normale del capitale di

proprietà. È interessante notare come, optando per quest’ultima impostazione, ovvero assumendo i = i’, il valore dell’azienda determinato applicando il metodo misto con stima autonoma dell’avviamento risulti identico a quello che consegue all’applicazione del metodo reddituale semplice. Nella variante di reddito differenziale di durata limitata, la formula si modifica come di seguito illustrata: = + ( − ∗ ) * an

i’

dove: K = capitale netto rettificato R = reddito medio-normale prospettico i = tasso di rimunerazione normale del capitale di proprietà i’ = tasso di capitalizzazione del reddito differenziale an i’ = valore attuale di una rendita di durata limitata di n anni al tasso i’ n = durata del flusso redditaule differenziale (R – K * i) = reddito differenziale (sovrareddito/sottoreddito) Il valore dell’azienda, in questo caso, è dato dalla somma del capitale netto rettificato e del valore attuale del reddito differenziale conseguito per n anni, capitalizzato al tasso i’. Si 36


ipotizza, dunque, un periodo di manifestazione del sovrareddito o sottoreddito non infinito. Al termine di tale periodo la redditività dell’azienda tenderà ad allinearsi alla redditività equa. Si precisa, infine, che la formula del metodo misto che considera il reddito differenziale avente durata limitata è più applicata rispetto a quella che considera una durata illimitata, in quanto è condivisibile l’ipotesi di conseguimento di un avviamento che, nel tempo, tenderà ad annullarsi, convergendo la redditività prospettica su quella equa. 4.2. Il metodo del valore medio Esiste un metodo che non considera l’avviamento come elemento esterno al capitale netto rettificato, ma lo ingloba già implicitamente negli addendi della formula valutativa. Si perviene, infatti, al valore dell’azienda calcolando una media tra il capitale netto rettificato e il valore del complesso economico ottenuto con l’applicazione del metodo reddituale. Tale metodologia considera, quindi, come ipotesi di base, che: +

= 2 Sviluppando la formula si ottiene che: 1 1 = ∗ + ∗ 2 2

1 1 = − ∗ + ∗ 2

2 1 = + O − PQ ∗

2 Dal momento che il fattore in parentesi (R/i – K) rappresenta il valore dell’avviamento, è possibile individuare la seguente relazione: 1 = + ∗. 2 Si desume, applicando il metodo del valore medio, che il valore d’azienda W si ottiene dalla somma del capitale netto rettificato, stimato con il metodo patrimoniale, con la metà dell’avviamento. La considerazione estremamente prudenziale dell’avviamento viene spesso interpretata come un limite della metodologia in esame, che pecca di una sottovalutazione del peso del goodwill e del badwill. Proprio in considerazione di ciò, si è andata affermando una seconda metodologia che, pur basata sui medesimi presupposti logici, attribuisce rilevanza prevalente alla dinamica reddituale rispetto a quella patrimoniale, assegnando alla prima un peso doppio della seconda. La formula è la seguente: +

= 3 Sviluppando la formula si ottiene che: 37


1 2 ∗ + ∗ 3 3

2 2 = − ∗ + ∗ 3

3 2 = + O − PQ ∗

3 Dal momento che il fattore in parentesi (R/i – K) rappresenta il valore dell’avviamento, è possibile individuare la seguente relazione: 2 = + ∗. 3 =

4.3. L’EVA (Economic Value Added) L’EVA si caratterizza per essere un reddito residuale, scaturente dalla differenza tra il NOPAT, ossia il reddito operativo al netto delle imposte, e il costo del capitale operativo investito in azienda ovvero la remunerazione media-normale dell’intero capitale in essa impiegato. Volendo ricorrere all’uso delle formule si avrĂ : EVA = NOPAT – WACC * CIR dove: EVA = Economic Value Added NOPAT= Net Operating Profit After Taxes WACC = costo medio ponderato del capitale CIR = capitale investito rettificato L’EVA si configura, dunque, come reddito operativo al netto della remunerazione corrisposta ai portatori del capitale complessivamente investito in azienda. Essendo un risultato economico, potrĂ essere positivo o negativo. Nel primo caso, esso evidenzierĂ il valore creato dall’azienda in un dato periodo amministrativo per effetto dell’attivitĂ svolta; nel secondo il valore distrutto. Il presupposto logico può esprimersi nella seguente affermazione: un’azienda è in grado di generare valore solo quando riesce a ottenere dalle risorse in essa investite un rendimento superiore al costo delle risorse stesse. Il modello dell’EVA può essere applicato anche si fini della valutazione d’azienda, secondo un approccio teorico non dissimile dall’impostazione dei metodi misti giĂ analizzati. Si tratta di una metodologia valutativa che riconduce in parte il valore di un’azienda alla sua capacitĂ di assicurare in futuro la generazione di EVA. PiĂš in dettaglio, il valore di un’azienda è espresso dalla somma del valore iniziale del capitale investito, opportunamente rettificato, e del valore attuale degli EVA attesi su un certo orizzonte temporale, definito MVA (Market Value Added), diminuita dalla posizione finanziaria netta. La formula può esprimersi in termini sintetici come segue: = /S + TC. − 3 1 dove: 38


CIR = capitale investito rettificato MVA = Market Value Added PFN = posizione finanziaria netta Nel caso piĂš frequente di una serie di redditi differenziali temporalmente limitata, la suddetta formula assume la seguente veste analitica: @

= /S + B ?A

)C.? − 3 1 (1 + .//)?

dove: CIR = capitale investito rettificato n = periodo del vantaggio competitivo EVAt = Economic Value Added atteso all’anno t WACC = costo medio ponderato del capitale investito PFN = posizione finanziaria netta

5.

IL METODO DEI MULTIPLI

Il valore dell’azienda, quando si applica il metodo dei multipli o moltiplicatori, è stimato facendo riferimento ai prezzi negoziati in Borsa o alle operazioni private per societĂ comparabili a quella oggetto di stima. I multipli, in particolare, sono rapporti tra i prezzi di mercato dei titoli di societĂ comparabili e grandezze economiche, finanziarie e patrimoniali. Il valore dell’azienda scaturisce dal prodotto tra un moltiplicatore, opportunamente stimato, e la corrispondente grandezza della societĂ oggetto di valutazione. Questo metodo è detto “quick and dirtyâ€? (veloce e sporco), proprio perchĂŠ rapido ma non sempre preciso. Il metodo dei multipli si fonda sul presupposto che i prezzi negoziati sul mercato per societĂ comparabili siano validi per stimare il valore di un’azienda. In altri termini, essi assumono come ipotesi di fondo la corrispondenza tra il valore dell’azienda e il prezzo effettivo di Borsa. Si tratta, a ben vedere, di un assunto forte che chiama in causa il concetto di efficienza dei mercati. Ciò premesso, è del tutto evidente che la metodologia appena descritta è tanto piĂš valida quanto piĂš sono efficienti i mercati da cui si attingono i dati. I multipli sono metodologie che possono essere applicate per due finalitĂ diverse: formulare un giudizio sulla convenienza a investire in un titolo quotato su mercati regolamentati o effettuare valutazioni d’azienda. In quest’ultimo caso, è necessario prima di tutto costituire un campione di societĂ quotate simili a quella oggetto di valutazione, sia quest’ultima quotata o no. Una volta definito un paniere di societĂ comparabili, per ciascuna unitĂ si stima il multiplo ricercato, come, ad esempio, il Price/Earnings. A questo punto, verrĂ fatta una media – semplice o ponderata – dei rapporti calcolati per ciascuna societĂ del campione, ottenendo cosĂŹ un multiplo medio del campione. Una volta disponibile questo dato, per stimare l’azienda target sarĂ sufficiente fare 39


il prodotto del multiplo medio del settore, calcolato per le aziende comparabili, per gli utili della target. Si consideri il seguente esempio: P

E

P/E

Società A

200

10

20

Società B

216

12

18

Società C

320

20

16

Media P/E

18

Earnings della target

10.000.000

Valore della target

180.000.000

Nell’ambito applicativo dei multipli, il valore Price/Earnings è calcolato sui dati delle aziende comparabili e non su quelli dell’azienda target, come invece accade in caso di impiego dei multipli per le decisioni di investimento in un titolo. In altri termini, si stima il valore di una società utilizzando i multipli di altre società, che ovviamente dovranno essere quotate e comparabili a quelle da valutare. Questa metodologia di valutazione può essere utilizzata nella stima di società quotate e non quotate. I moltiplicatori possono essere variamente classificati mediante a seconda della provenienza dei dati, del riferimento temporale degli stessi e dell’approccio valutativo. Si distinguono multipli di Borsa o multipli di transazioni comparabili, in base al fatto che i prezzi delle società comparabili sono ricavati dai mercati regolamentati o da transazioni private, avvenute al di fuori della Borsa. Analizzando il secondo criterio discriminante, si distinguono multipli current, trailing, leading e forward. I multipli current si fondano sul rapporto tra i prezzi correnti, riportati al numeratore, e i risultati desumibili dall’ultimo bilancio di esercizio, inseriti al denominatore. I multipli trailing si riferiscono al rapporto tra prezzi correnti e risultati relativi ai dodici mesi precedenti alla data di riferimento della valutazione. In caso di impiego di multipli leading, il numeratore è rappresentato dai prezzi correnti, mentre al denominatore si inseriscono i risultati attesi per l’esercizio o per gli esercizi futuri. I multipli forward, infine, consistono in un rapporto tra due grandezze riferite entrambe al futuro (prezzi e utili). Con riferimento alla discriminante costituita dall’approccio valutativo, si individuano multipli asset side ed equity side. I primi permettono di stimare l’Enterprise Value, da cui si può ottenere in maniera indiretta l’Equity Value sottraendo la posizione finanziaria netta. I multipli equity side permettono di stimare direttamente l’Equity Value. La formula generale di valutazione si può ricavare dalla seguente uguaglianza:

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U 3 =O Q ? dove: WE = valore dell’azienda target Kt = grandezza espressiva del valore dell’azienda target P = prezzo di mercato delle aziende comparabili K = grandezza espressiva del valore delle aziende comparabili (P/K) = multiplo medio di mercato di un campione di aziende comparabili Dalla suddetta formula si può agevolmente ottenere la seguente equazione: 3 U = O Q ∗ ? Ăˆ evidente allora che per effettuare la valutazione dell’azienda oggetto di stima è necessario conoscere il multiplo e la grandezza espressiva del valore della target. Analizziamo i moltiplicatori equity side piĂš diffusi. Il multiplo Price/Earnings (P/E), da stimare con riferimento ai valori delle aziende comparabili, si ottiene rapportando il prezzo per azione all’utile netto per azione o rapportando la capitalizzazione di borsa all’utile netto complessivo. La formula è la seguente: 3 U = O Q ∗ )? ) dove: WE = valore dell’azienda target (P/E) = multiplo Price/Earnings medio di un campione di aziende comparabili Et = risultato di periodo dell’azienda target Il Price/Earnings è un moltiplicatore di facile comprensione, dal momento che richiama la relazione intuitiva che lega il prezzo agli utili dell’azienda. I dati sul multiplo in esame sono anche di piĂš facile reperimento rispetto ad altri multipli. L’indicatore presenta, però, alcuni limiti. Gli utili netti sono, come noto, l’ultimo risultato del conto economico, per cui dipendono da tutti i componenti positivi e negativi di reddito, inclusi quelli derivanti da valutazioni, come ad esempio, gli ammortamenti, le svalutazioni, gli accantonamenti ai fondi oneri e rischi, le capitalizzazioni dei costi e altri ancora. Ăˆ evidente allora che un primo elemento di debolezza è rappresentato dal fatto che esso non è immune dalle politiche di bilancio. Un altro aspetto di rilievo è che l’indicatore è molto volatile, in quanto risente delle variazioni degli utili nei successivi periodi amministrativi. Il multiplo Price/Cash Flow (P/CF), da stimare con riferimento ai valori delle aziende comparabili, si ottiene rapportando il prezzo di un’azione o la capitalizzazione di Borsa rispettivamente al Cash Flow per azione e al Cash Flow complessivo. La formula è la seguente: 3 U = O Q ∗ / ? / dove: 41


WE = valore dell’azienda target (P/CF) = multiplo Price/Cash Flow medio di un campione di aziende comparabili CFt = Cash Flow dell’azienda target Un altro multiplo è il Price/Book Value (P/BV), dato dal rapporto tra la quotazione di Borsa e il valore di libro del capitale o capitale netto contabile. La formula è la seguente: 3 U = O Q ∗ LC? LC dove: WE = valore dell’azienda target (P/BV) = multiplo Price/Book Value medio di un campione di aziende comparabili BVt = Capitale netto dell’azienda target Ăˆ possibile affermare che il citato multiplo risulta meno volatile del Price/Earnings e che risulta particolarmente indicato nella aziende fortemente patrimonializzate. Passiamo, ora, all’esame dei moltiplicatori asset side. La formula generale di valutazione in questo caso è la seguente: ; )C =O Q ? dove: WA = valore economico del capitale investito dell’azienda target (Enterprise Value) Kt = variabile chiave del valore economico del capitale investito dell’azienda target EV = valore economico del capitale investito delle aziende comparabili K = variabile chiave del valore economico del capitale investito delle aziende comparabili (EV/K) = multiplo medio di mercato di un campione di aziende comparabili Dalla formula suddetta, si può agevolmente ottenere la seguente equazione: )C ; = O Q ∗ ? Dalla precedente formula, si può ricavare quella con cui stimare il valore dell’equity, che sarĂ :

)C ∗ ? − 3 1 dove, oltre alle variabili giĂ note, si avranno: WE = valore dell’azienda target PFNt = posizione finanziaria netta dell’azienda target. La differenza rispetto ai multipli visti in precedenza è riconducibile alla grandezza impiegata al numeratore. In questo caso, infatti, si utilizza l’Enterprise Value, anzichĂŠ il Price. U =

Detto valore si ottiene sommando al prezzo di mercato delle societĂ comparabili la loro posizione finanziaria netta. I moltiplicatori asset side che trovano maggiore impiego sono di seguito indicati.

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Il primo multiplo è l’Enterprise Value/EBIT, dato dal rapporto tra il valore economico del capitale investito (Enterprise Value) e il risultato operativo (EBIT). Per effettuare la valutazione con il multiplo in questione, la formula è la seguente: )C U = ∗ )LS5? − 3 1? )LS5 dove: WE = valore dell’azienda target (EV/EBIT) = multiplo EV/EBIT medio di mercato di un campione di aziende comparabili EBITt = risultati operativo dell’azienda target PFNt = posizione finanziaria netta dell’azienda target Un altro moltiplicatore è l’Enterprise Value/EBITDA. Esso è ottenuto dal rapporto tra il valore economico del capitale investito (Enterprise Value) e il margine operativo lordo. La formula da utilizzare è la seguente: U =

)C ∗ )LS5(.? − 3 1? )LS5(.

dove: WE = valore dell’azienda target (EV/EBITDA) = multiplo EV/EBITDA medio di mercato di un campione di aziende comparabili EBITDAt = margine operativo lordo dell’azienda target PFNt = posizione finanziaria netta dell’azienda target Infine, l’ultimo indicatore è l’Enterprise Value/EBIT, dato dal rapporto tra il valore economico del capitale investito e il fatturato. La formula da applicare è la seguente: )C U = ∗ V ? − 3 1? V dove: WE = valore dell’azienda target (EV/Sales) = multiplo EV/Sales medio di mercato di un campione di aziende comparabili Salest = vendite dell’azienda target PFNt = posizione finanziaria netta dell’azienda target Sebbene presenti numerosi aspetti che lo rendono indubbiamente utile nell’ambito del processo valutativo, occorre rilevare che il metodo dei multipli rappresenta un percorso di tipo sintetico, con i limiti che ne conseguono in termini di applicabilitĂ nonchĂŠ in termini di significativitĂ dei risultati. Possiamo ricordare, tra gli aspetti critici, il vincolo posto dal rispetto del requisito della comparabilitĂ delle aziende da cui il multiplo è desunto rispetto a quella di cui si vuole conoscere il valore: il multiplo, evidentemente, assume un rilevante contenuto indicativo a condizione che le aziende incluse nel calcolo, oltre a operare nello stesso settore, siano caratterizza-

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te, in linea generale, da un analogo tasso di crescita attesa dei risultati prospettici e da un medesimo grado di rischio, operativo e finanziario. In secondo luogo, il metodo in oggetto si basa sull’assunto che il valore del capitale di un’azienda possa essere spiegato da una sola grandezza sintetica. È immediato, infatti, che il tentativo di spiegare la differenza di valore tra due aziende mediante l’osservazione di una sola grandezza significa immaginare che tutte le altre condizioni siano irrilevanti o identiche. Proprio per tali considerazioni, l’approccio in questione non è considerato, dalla dottrina, come un vero e proprio modello di stima del capitale economico dell’azienda, bensì come metodo di confronto o di controllo, di supporto a un metodo principale.

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