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Capitolo campione - Chem & Bio (Scientifica SS2)

Page 1

SEZIONE

LA CHIMICA H ORGANICA 6

C

CARBONIO

1

H

IDROGENO

53

H1 La chimica del carbonio H2 Gli idrocarburi H3   Gruppi funzionali I:

dagli alogenuri alchilici ai tioeteri H4   Gruppi funzionali II: dal carbonile agli eterocicli H5 I polimeri

20

I mi Ca una buona scelta IODIO

CALCIO

Ingegnera Federica Scandella Laurea in Ingegneria chimica al Politecnico di Milano Lavora come Tecnologa di processo e project manager per un’azienda che produce polimeri

“La mia passione per le materie scientifiche mi ha guidata nel percorso di studi fin dalla scelta del Liceo scientifico di Clusone. Ho poi proseguito su questa strada e mi sono iscritta alla facoltà di Ingegneria chimica del Politecnico di Milano. In particolare, mi sono orientata all’indirizzo chimico perché appassionata di tutti quei processi che promuovono la riduzione degli inquinanti nell’ambiente, nonché trasformano la materia per ottenere qualcosa di diverso. Dopo la laurea triennale ho proseguito gli studi con la magistrale: l’ultimo anno ho svolto per sei mesi il mio progetto di tesi in Irlanda, seguendo un impianto pilota che mirava a separare miscele di biogas per mezzo di particolari liquidi innovativi. Al momento, lavoro per un’azienda che opera nel settore chimico-tessile e fa parte di una multinazionale di oltre tremila persone, presente in trenta Paesi, attiva nei settori della chimica, dei tecnopolimeri e delle soluzioni tessili. Infatti, attraverso il processo di polimerizzazione, produciamo i polimeri di poliammide 6 (Nylon 6) che alimentano il successivo processo di filatura per la produzione di filati a uso tessile, destinati al mondo dell’abbigliamento, dell’arredamento e dell’industria automobilistica. Sono una tecnologa di processo: una figura a supporto della produzione con l’obiettivo di ottimizzarne i processi e renderli più efficienti, minizzando gli scarti e i consumi energetici. In parallelo, lavoro a progetti di investimento per nuovi macchinari che verranno implementati in azienda: il mio ruolo è quello di project manager di queste installazioni.”

IN PREPARAZIONE

Guarda la videointervista


Gruppi funzionali I: H3 dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

Flipped classroom In autonomia

■ Leggi i sottoparagrafi Nomenclatura e preparazione degli alogenuri alchilici a p. 78 e

Gli alogenuri alchilici più comuni a p. 84.

■ Guarda il video Tutti pazzi per il fluoro, p. 107.

■ Svolgi la prima parte del Compito di realtà CFC, HCFC, HFC e PFC, p. 107.

In gruppo Esponete ai compagni il lavoro realizzato a casa e svolgete la seconda parte del Compito di realtà.

1

VIDEO IN PREPARAZIONE

Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

I gruppi funzionali A differenza di quanto visto finora, in molti composti organici sono presenti eteroelementi, diversi dal carbonio, che ne influenzano il comportamento. Si può considerare che questi composti derivino dall’unione di radicali alchilici (R—) o di radicali arilici (Ar—) con un gruppo funzionale. Un gruppo funzionale è costituito da un atomo o da un gruppo di atomi, che conferiscono un comportamento chimico caratteristico alla molecola in cui si trovano. I composti organici sono classificati e denominati in base alla presenza di uno o più gruppi funzionali nelle loro molecole. Composti caratterizzati da uno stesso gruppo funzionale formano una c­ lasse. Per esempio, i composti in cui il gruppo —OH è legato al radicale di un idrocarburo alifatico appartengono alla classe degli alcoli (R—OH): CH3—CH2—OH

CH3

— —

CH3—OH

— —

CH3

CH3—C—OH

CH3—C—OH

CH3

H

Un gruppo funzionale presente in una molecola ne costituisce la parte reattiva in particolari reazioni, nelle quali il resto della molecola rimane inalterato. Di conseguenza, per descrivere una classe di composti [Tab. 1] è sufficiente prendere in esame la reattività del gruppo funzionale che la caratterizza. Nell’ambito degli idrocarburi, i doppi e tripli legami conferiscono proprietà specifiche alle molecole in cui sono presenti. Per questo motivo, essi rappresentano i gruppi funzionali degli alcheni e degli alchini. 76

Sezione H La chimica organica


Tab. 1 Principali classi di composti e i loro gruppi funzionali.

Classe

Formula generale

Gruppo funzionale

alogenuri

R*—X

—X

CH3—Br

X = F, Cl, Br, I

bromometano

alcoli

R—OH

—OH

fenoli

Ar—OH

—OH

Esempi —Cl clorobenzene

CH3—OH

metanolo

—OH

fenolo

metantiolo

—O—

H

—N R*—C—

fenil metil chetone

—N —C —

—C

benzonitrile

OH

CH3—C

O—

OH

acido benzoico

O

=

O

acido acetico

=

OH

O

—C

O

R′—C—O—R*

— C— N

O

=

=

=

O

—C

benzenammina

CH3—C

=

OH

—NH2

—N CH3—C—

—C

acetato di metile

benzoato di metile

esteri

R′—C

=

acidi

O

CH3

CH3—NH2

etanonitrile

O

dimetil chetone

metil ammina

nitrili

=

—NH2

O

=

R*—NH2

C—

H

—C

C— CH3 CH3

=

=

=

C— R* R*

ammine

benzaldeide

O

O

chetoni

H

aldeide acetica

O

—C

O

O

CH3—C

H

fenil metil etere

—C

=

=

=

R′—C

aldeidi

O

—O—CH3

CH3—O—CH3 dimetil etere

O

tiofenolo

R*—O—R*

eteri

—SH

CH3—SH

=

—SH

O—CH3

R*—SH

tioli

O—CH3

X

X

C— CH3 Cl

—C

R′—C

C— Cl

O

O

=

=

O

alogenuri acilici

=

=

O

cloruro di acetile

cloruro di benzoile

O

NH2

NH2

acetammide

C—

anidride benzoica

=

=

O

CH3—C

R′—C—NH2

O

—C

ammidi

=

O

=

anidride acetica

O

O

—C

C— C— CH3 O CH3

=

=

=

C—

=

=

=

=

=

O

C—

C—

O

R′

O

C—

O

O

C—

R′

O

O

O

anidridi

O

NH2

benzammide

In questa tabella R = radicale alchilico, R*= radicale alchilico o arilico; se più di uno possono essere uguali o diversi, R′ = radicale alchilico o arilico o H e Ar = radicale arilico.

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

77


2

Gli alogenuri alchilici Della prima classe di composti che analizzeremo fanno parte gli alogeni (F, Cl, Br, I) direttamente legati ad atomi di carbonio. Gli alogenuri alchilici sono idrocarburi alifatici in cui uno o più atomi di idrogeno sono sostituiti da altrettanti atomi di alogeno, che ne rappresentano il gruppo funzionale. Nomenclatura e preparazione degli alogenuri alchilici Nella nomenclatura IUPAC, gli alogeni sono considerati sostituenti e la loro posizione nella catena idrocarburica è indicata con il numero dell’atomo di carbonio cui sono legati. È ancora in uso una nomenclatura tradizionale, secondo la quale tali composti sono considerati formalmente dei sali organici; al nome del radicale si fa precedere quello dell’alogeno con suffisso -uro: Cl CH3Cl

Cl

CH2=CHCl

CH3CHBrCH3

clorometano 2-bromopropano (cloruro di metile) (bromuro di isopropile)

cloroetene (cloruro di vinile)

1,3-diclorociclopentano 1,3-diclorociclopentano

Gli alogenuri alchilici si distinguono in primari, secondari o terziari a seconda che il gruppo funzionale sia unito a un atomo di carbonio a sua volta legato a un solo altro atomo di carbonio (primario), a due (secondario) oppure a tre (terziario). Di recente, questi composti sono stati rintracciati in alcuni funghi e organismi marini. Tuttavia, la maggior parte è preparata in laboratorio mediante alogenazione radicalica degli alcani o per addizione di acidi alogenidrici o alogeni a idrocarburi insaturi. carbonio vicinale δ+

→ →

H H

—C→Cδ →X → →

+

+

Hδ H

atomi resi reattivi dalla presenza dell’alogeno Fig. 1 La polarizzazione dei legami in un alogenuro alchilico.

Meccanismi di reazione degli alogenuri alchilici La reattività degli alogenuri è dovuta all’effetto induttivo causato dall’alogeno (X). Data la sua alta elettronegatività, infatti, sia il legame C—X sia quelli vicini sono polarizzati a favore dell’alogeno [Fig. 1]. Come conseguenza, l’atomo di carbonio assume una carica parziale positiva e gli atomi di idrogeno legati agli atomi di carbonio vicinali (cioè quelli posti accanto al C unito al gruppo funzionale, detti anche atomi di carbonio in β) possono allontanarsi sotto forma di ioni H+. Le caratteristiche del gruppo funzionale consentono agli alogenuri di dar luogo a reazioni di sostituzione e a reazioni di eliminazione. La sostituzione nucleofila Una delle reazioni più frequenti cui vanno incontro gli alogenuri alchilici è la sostituzione nucleofila: +

Hδ H

—C→Cδ+→X +

Hδ H

Nu

Nelle reazioni di sostituzione nucleofila, o SN , un nucleofilo, grazie alla sua coppia elettronica disponibile, attacca l’atomo di carbonio recante come sostituente l’alogeno, che si allontana. 78

Sezione H La chimica organica


A seconda del nucleofilo impiegato, l’alogenuro diventa un etere, un alcol o altro ancora. Alcuni esempi di questo tipo di reazione sono: −

••

••

CH3CH2—Br + CH3CH2O •• ⎯→ Br− + CH3CH2OCH2CH3

etere

CH3—C—Br + H2O ⎯→ H+ + Br− + (CH3)3COH

alcol

••

••

— —

CH3 CH3 ••

CH3CH2CH2CH2—Br + CN− ⎯→ Br− + CH3CH2CH2CH2CN nitrile

C6H5—CH2Br

— —

••

CH3—Br + NH3 ⎯→ H+ + Br− + CH3NH2

CH3

CH3—C—Br

ammina

CH2=CH—CH2Br

CH3

Per queste reazioni, esistono due differenti meccanismi.

più reattivi

CH3

— —

Sostituzione nucleofila unimolecolare (SN1) In questo meccanismo, l’alogenuro reagisce in due stadi, il primo dei quali è lento e consiste nella dissociazione dell’alogenuro stesso con formazione del composto carbocationico:

CH3—C—Br H

— —

reattività

H

RX ⟶ R + X

CH3—C—Br

Nel secondo passaggio, che è veloce, il carbocatione si combina con il nucleofilo per dare il prodotto:

H

H

— —

+

R + Nu ⟶ RNu

H—C—Br

Poiché lo stadio lento interessa un solo reagente, il meccanismo è detto uni­ molecolare e la velocità globale della reazione dipende solo dalla concentrazione dell’alogenuro alchilico: v = k ⋅ [RX]

H meno reattivo

+

Fig. 2 L’ordine di reattività degli alogenuri nelle SN1.

Questo meccanismo riguarda soprattutto gli alogenuri terziari, quelli benzilici e quelli allilici [Fig. 2], che sono capaci di formare i carbocationi a maggior stabilità. Per lo stesso motivo, anche gli alogenuri secondari reagiscono seguendo questo meccanismo, sebbene più raramente, mentre quelli primari e metilici non lo fanno mai. Poiché il carbocatione intermedio è planare e può essere attaccato da ambo i lati [Fig. 3], metà prodotto ha la stessa configurazione sterica dell’alogenuro di partenza e l’altra metà ha configurazione invertita (miscuglio racemico).

Fig. 3 Un alogenuro alchilico terziario reagisce con l’acqua; in questo caso, oltre ai due stadi visti, si verifica un ulteriore passaggio velocissimo, in cui il prodotto perde un H+ per dare l’alcol. •• OH + HBr ••

E

stadio lento

+

R′ +

R—C

— —

••

• • • R′′ C—Br • →• Br • + R′

carbocatione planare

R′

H2O••⎯

R′

R

C ⎯

HOH +

R′′

R′′

R′

H 2O •

R′

R′′

⎯→

R

R′

stadio veloce

R′′

→ •⎯

⎯⎯

coordinate di reazione

C

C

R′′

— —

H

O C

H HBr + O C R R′ R′′ R R′ R′′ +

H

••

R

R

C

R R′′ —CBr R′

R

HOH →

R—C

R′′

+

•• OH + HBr ••

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

79


Sostituzione nucleofila bimolecolare (SN2) Quando un alogenuro reagisce con questo meccanismo lo fa in un unico stadio, in cui l’atomo di carbonio forma un complesso attivato pentacoordinato. In esso il legame con il nucleofilo è in progressiva generazione mentre quello con il gruppo uscente si va sempre più indebolendo. Proprio perché nello stadio lento si ha interazione tra i due reagenti, la velocità dipende dalle concentrazioni di entrambi: v = k ⋅ [RX] ⋅ [Nu−] Poiché il nucleofilo attacca il composto dalla parte opposta rispetto al gruppo uscente, la reazione comporta una completa inversione della configurazione dell’atomo di carbonio interessato [Fig. 4]. unico stadio

E

complesso attivato pentacoordinato δ−

C

Cl •• ⎯⎯→ HO—C

R′

+ +

H

•−

R′ + •Cl • R ••

••

••

R′ R

C—Cl •• ⎯⎯⎯ HO

••

•• OH−

H

••

δ−

CHRR′Cl + OH

H

••

Fig. 4 Un alogenuro secondario reagisce con OH− per formare un alcol in un unico stadio.

R

CHRR′OH + Cl− coordinata di reazione

In questo meccanismo, a differenza della sostituzione unimolecolare, il nucleofilo deve farsi strada tra i sostituenti presenti sull’atomo di carbonio ed è per questo molto sensibile all’ingombro sterico: gli alogenuri terziari reagiscono con difficoltà mentre quelli metilici sono i più favoriti [Fig. 5].

δ−

C

H

X H

metilico la reazione avviene

δ−

Nu

H

δ−

δ−

C

Nu

X

H

C

H

primario la reazione avviene

δ−

X

CH3

secondario la reazione è lenta

+ +

CH3

δ−

Nu

Nu

H

+ +

CH3 —

δ−

+ +

CH3 —

+ +

Fig. 5 L’ingombro sterico condiziona l’ingresso del nucleofilo sul centro di reazione.

CH3

C

δ−

X

CH3

terziario la reazione non avviene

L’eliminazione Un’altra reazione frequente per gli alogenuri alchilici è l’eliminazione: +

Hδ H

—C → Cδ+→ X +

H

base

Nelle reazioni di eliminazione (E) l’alogenuro reagisce con una base forte, che sottrae un H+ da un atomo C vicinale. Il doppietto elettronico che lega gli atomi di carbonio e di idrogeno si sposta tra quelli di carbonio e si forma un alchene. 80

Sezione H La chimica organica


La deidroalogenazione degli alogenuri alchilici a opera di basi, come nel caso seguente è un esempio di reazione di eliminazione, nella quale si forma sempre un composto insaturo: —

— —

CH3

CH3

CH3—C—Br + OH- ⟶ CH2=C CH3

CH3

+ H2O + Br-

Anche le eliminazioni seguono un meccanismo unimolecolare o bimolecolare, detto rispettivamente E1 ed E2 per analogia con SN1 e SN2 delle sostituzioni con le quali sono sempre in competizione. Eliminazione unimolecolare (E1) In questo meccanismo [Fig. 6] l’alogenuro reagisce in due stadi. Il primo, che è quello lento e determina la velocità della reazione, è identico al primo stadio della SN1 e consiste nella formazione del carbocatione. Nel secondo, invece, una base sottrae un idrogeno dal carbonio in β, lasciando la coppia elettronica sul­ l’atomo di carbonio stesso. A questo punto, gli elettroni si spostano a formare un doppio legame carbonio-carbonio. stadio lento

••

••

(CH3)3CBr + −OCH2CH3

CH3—C

CH2

⎯⎯→ CH3—C

CH2

CH3 CH3

C—Br •• ⎯⎯→ •• Br •• +

CH3 (CH3)3C+

OCH2CH3

H

E

+

CH3

CH3

+ HOCH2CH3

Fig. 6 In una eliminazione unimolecolare dal carbocatione si stacca un H+ e si forma un alchene.

=

stadio veloce

CH3—C

CH2 CH3

+ HOCH2CH3

coordinata di reazione

Poiché lo stadio lento è la formazione del carbocatione, anche in questo caso la legge cinetica è: v = k ⋅ [RX] Il meccanismo è quello seguito dagli stessi alogenuri che preferiscono anche le SN1, i terziari. Di fatto, le due reazioni sono in concorrenza e quasi sempre si ottengono prodotti misti. Per quanto riguarda la formazione dell’alchene, quando esistono più atomi di carbonio in posizione β, viene rimosso prevalentemente il protone che dà luogo all’alchene più sostituito (regola di Zaitsev). Inoltre, quando sullo stesso atomo di carbonio sono presenti più idrogeni, quello da rimuovere per opera della base deve essere coplanare all’orbitale vuoto del carbocatione: a seconda di quale sia il protone staccato si possono così ottenere entrambi gli isomeri cis (o Z) e trans (o E) dell’alchene [Fig. 7].

CH2CH3

H

CH3

Z

H

+

C=C

CH3

C=C

CH2CH3

CH3

CH2CH3

CH3 H

C—C

H

coplanari

CH3

CH3

Fig. 7 A seconda di quale H+ viene perso dal carbocatione, si ottiene l’alchene Z (freccia blu) o E (freccia rossa).

E

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

81


Eliminazione bimolecolare (E2) Quando un nucleofilo ha buone caratteristiche basiche, strappa l’idrogeno in β all’alogenuro alchilico consentendo così al doppietto che rimane sull’atomo di carbonio di formare un doppio legame e di allontanare l’alogenuro [Fig. 8]. La reazione avviene in un unico passaggio, nel quale si ha la rottura contemporanea dei legami C—H e C—X. Dunque, come nel caso delle SN2, la velocità dipende dalle concentrazioni sia del nucleofilo sia dell’alogenuro: v = k ⋅ [RX] ⋅ [Nu−] unico stadio

R

C=C

R

R R

R

R ⎯⎯→

C—C

R

R

R ⎯⎯⎯ Br

Br

R R

C—C

+ +

R

HO H

R— R

OH−

δ−

R

R C—C —R + OH−

H

H

E

Fig. 8 Nella E2 la base e il gruppo uscente devono essere coplanari, ma posti il più lontano possibile tra loro.

C—C

R

Br − δ

+ Br−

R

+ Br−

R

coordinata di reazione

Anche per le E2 vale la regola di Zaitsev, poiché si forma prevalentemente l’alchene più sostituito. In questa tipologia di reazione, inoltre, è necessario che il ­protone da sottrarre e l’alogenuro in uscita siano sullo stesso piano, ma il più lontano possibile, ovvero anticoplanari l’uno rispetto all’altro. Questo assetto condiziona l’isomero geometrico ottenibile che, a differenza delle E1, deriva dall’unica disposizione reciproca possibile, quella contrapposta. Poiché l’attacco avviene lontano dal centro di reazione, in questo caso l’ingombro sterico non è un problema. Anzi, poiché gli alogenuri terziari sono più ricchi di idrogeni attaccabili [Fig. 9] sono più favoriti.

CH3 CH3

CH3 H

C—Br < B ••

C—Br < B ••

CH3

CH3

CH3

B ••

Fig. 9 In una E2 l’ordine di reattività è terziari > secondari > primari.

H H

C—Br

Come prevedere il meccanismo Sebbene il tipo di alogenuro alchilico sia importante nel determinare il meccanismo di reazione, ci sono anche altri fattori da considerare. La forza di un nucleofilo, ovvero la sua capacità di donare elettroni, influenza la strada da percorrere: più un nucleofilo è forte e concentrato più orienta verso un meccanismo bimolecolare. Così Br− o CH3S− tendono a dare SN2, mentre H2O o CH3OH favoriscono le SN1. Se il nucleofilo è anche una base forte, come OH− o CH3O−, è facile che si abbia una E2 soprattutto se usati in elevate concentrazioni. In questo caso, le dimensioni sono un parametro da considerare poiché più è grande la base più difficilmente riesce ad arrivare sul centro di reazione: essa si limita alla E2, mentre la SN2 è possibile solo con i primari. Anche la natura del solvente ha un ruolo importante nella determinazione del tipo di meccanismo. 82

Sezione H La chimica organica


Un solvente protico, ovvero contenente il gruppo —OH, come H2O o HCOOH, scioglie bene i composti ionici. Infatti, le cariche parziali negative sull’ossigeno interagiscono con i cationi mentre quelle parziali positive sull’idrogeno attraggono gli anioni [Fig. 10a]: per questo motivo acqua e acido formico orientano verso le SN1. I solventi aprotici come acetone (CH3 )2CO e dimetilsolfossido (CH3 )2SO sono invece adatti alle SN2, poiché hanno cariche parziali negative, che sporgono dalla molecola e solvatano solo i cationi [Fig. 10b]; quelle positive sono più nascoste e interagiscono molto meno con gli anioni. Questa loro caratteristica favorisce l’attacco del nucleofilo perché gli consente di giungere sul centro di reazione senza che sia fortemente solvatato. Infine, le alte temperature favoriscono le eliminazioni. In tali reazioni, che decorrono con un aumento del numero di molecole, le alte temperature rendono più negativo, e quindi più favorevole, il termine -TΔS del ΔG. a

b

δ−

+

Fig. 10 La diversa struttura delle molecole consente l’interazione sia con cationi sia con anioni [a] oppure solo con i cationi [b].

δ−

δ−

δ+ δ+

δ+

δ+

Riassumiamo quindi quanto visto finora [Tab. 2]. • Gli alogenuri terziari sono in grado di dare carbocationi aventi buona stabilità e reagiscono, soprattutto in presenza di solventi protici, con meccanismi unimolecolari in cui la E1 è favorita sulla SN1. In presenza di basi forti e concentrate a caldo e con solventi poco polari, i terziari danno solo E2. • Gli alogenuri allilici e benzilici formano carbocationi stabili e danno solo sostituzioni unimolecolari. Se il nucleofilo è forte, anche i benzilici e gli allilici partecipano alle SN2. • Gli alogenuri primari sono favoriti nelle reazioni bimolecolari in cui di regola SN2 prevale su E2. • Gli alogenuri secondari possono, in linea di massima, seguire tutti e quattro i meccanismi; a determinare ciò che accade sono la natura del nucleofilo, quella del solvente e la temperatura. Alogenuro alchilico

attaccante

Metilico nucleofilo debole: H2O, RSH, ROH

solvente

Primario

non reagisce

Secondario

Tab. 2 Condizioni che favoriscono i diversi meccanismi.

Terziario

Benzilico o allilico

nucleofilo nucleofilo nucleofilo nucleofilo forte, ma forte, ma base forte: debole: base forte: debole: base debole: base debole: OH−, RO− H2O, RSH, OH−, RO− H2O, RSH, I−, Br−, I−, Br−, ROH ROH CH3COO− CH3COO−

ogni altro

base ingombrante: terz-butilato

polare aprotico

poco polare

polare aprotico

poco polare

polare protico

poco polare

polare protico

polare aprotico

alta

bassa

alta

bassa (alta)

alta

bassa (alta)

bassa

E2

SN2

E2

SN1 (E1)

E2

SN1 (E1)

SN2

temperatura meccanismo prevalente

+

+

SN2

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

ogni altro polare protico

SN1

83


Gli alogenuri alchilici più comuni Tra i più importanti alogenuri alchilici troviamo: • tetracloruro di carbonio, CCl4 : un tempo molto usato nel lavaggio a secco, è stato sostituito a causa della sua tossicità; • cloroformio, CHCl3 : non più adoperato come anestetico, è un ottimo solvente per sostanze apolari ed è impiegato nella produzione di liquidi antincendio; • percloroetilene, CCl2=CCl2 : è oggi utilizzato nelle lavanderie a secco e come solvente nell’industria per la pulizia dei metalli; • dicloro difenil tricloroetano, DDT: è stato impiegato come insetticida allo scopo di prevenire e combattere la malaria nella prima metà del Novecento. Tuttavia, dopo tre decenni di utilizzo ne è stata accertata la cancerogenicità. Per questo motivo, è stato messo al bando; • cloruro di vinile, CH2=CHCl: è una delle sostanze organiche di maggiore impiego, soprattutto nella produzione del suo polimero, il polivinilcloruro (PVC); • idrofluorocarburi, HFC, e perfluorocarburi, PFC: si trovano come propellenti nelle bombolette spray, come fluidi criogeni negli impianti frigoriferi e nelle formulazioni delle schiume isolanti. I primi idrocarburi usati a questo scopo furono i CFC, clorofluorocarburi, messi al bando dal 1987 a causa della loro pericolosità per lo strato d’ozono atmosferico. In un primo tempo furono sostituiti dagli HCFC, idroclorofluorocarburi, che si sono rivelati però gas a effetto serra e sono stati pertanto sostituiti a loro volta dagli HFC e dai PFC attualmente in uso [Fig. 11].

a

b

c

Fig. 11 Il dicloro-difluoro-metano [a], un CFC, e il dicloro-fluorometano [b], un HCFC, erano impiegati come propellenti nelle bombolette spray; l’1,1,1,2,2,2-esafluoroetano [c] è il più usato dei PFC.

La tossicità dei solventi clorurati, presenti negli scarichi illegali delle industrie, rappresenta un serio problema per le risorse idriche. L’elevata densità di tali composti ne favorisce la penetrazione nel terreno fino alle falde acquifere, dove si accumulano. Tra i vari sistemi di bonifica, alcuni sfruttano la capacità dei microrganismi presenti nell’ambiente di degradare tali sostanze. A questo scopo, si immettono nel sito inquinato sostanze nutrienti che favoriscono la crescita dei microrganismi in grado di sostituire gli atomi di cloro dei solventi clorurati con atomi di idrogeno in condizioni anaerobiche (declorazione riduttiva). In tempi dell’ordine di mesi, i solventi clorurati sono così trasformati in composti non tossici quali etano ed etene.

tutti gli alogenuri secondari, può reagire con i nucleofili mediante tutti i meccanismi studiati a seconda delle condizioni sperimentali. Indichiamo quali sono i meccanismi e i prodotti che si ottengono quando lo si fa reagire: a. con OH− in alcol e riscaldando; b. con I− in acetone a temperatura ambiente.

— —

H Br H — —

in alcol

— —

OH−

H—C—C—C—H I−

in acetone

84

Sezione H La chimica organica

H H H

Soluzione Sia OH− sia I− sono nucleofili forti, quindi entrambi indirizzano la reazione verso un meccanismo bimolecolare. Lo ione ossidrile è però anche una base forte e, in presenza di un solvente poco polare come l’alcol e di alte temperature, darà una E2. Lo ione ioduro, invece, con un solvente aprotico e basse temperature, darà una SN2. CH2=CH—CH3 + H2O + Br− E2

favorito dalle alte temperature

I

Esempi svolti Un alogenuro secondario Il 2-bromopropano, come

CH3—CH—CH3 + H2O + Br− SN2

favorito dalle basse temperature


Solo eliminazione Si vuole produrre l’1-pentene

Soluzione Entrambi i reagenti sono basi forti, quindi possono tutti e due dare eliminazione. Lo ione OH− è però diluito per cui, nella reazione con l’alogenuro primario, può dare anche SN2. Lo ione terz-butilato è una base forte molto voluminosa, perciò non riesce ad avvicinarsi all’atomo di carbonio e deve attaccare il più lontano possibile: per questo dà solo il prodotto di eliminazione, l’1-pentene. H CH2CH2CH3 H CH2CH2CH3

— —

a partire dall’1-bromopentano senza sintetizzare sottoprodotti della reazione di sostituzione. Per effettuare l’eliminazione si ha una soluzione contenente lo ione OH− diluito e una con lo ione terz-butilato. Quale è opportuno usare? CH3 CH3—C—O− CH3

Br

Un unico prodotto Il bromuro di neopentile, o 1-bromo-2,2-dimetilpropano, se reagisce con lo ione CH3O− dà un unico prodotto. Che cosa si ottiene?

— —

— —

Soluzione Come osserviamo nella formula, l’alogenuro proposto non ha idrogeni sull’atomo di carbonio in β, per cui, anche se CH3O− è una base forte, è possibile ottenere solo il prodotto dovuto alla sostituzione: CH3 CH3 CH3—C—CH2—Br + CH3O− ⎯⎯→ CH3—C—CH2—OCH3 CH3

CH3

HH

CH3 CH3 − — O C CH3

Quale alchene? Si fa reagire 1-bromo1-metilcicloesano con OH− in soluzione alcolica, che favorisce le eliminazioni. Quale alchene si ottiene in prevalenza? Soluzione Indipendentemente dal meccanismo unimolecolare o bimolecolare, le eliminazioni che utilizzano basi piccole procedono secondo la regola di Zaitsev e danno prevalentemente l’alchene più sostituito perché più stabile termodinamicamente. In questo caso è l’1-metilcicloesene. CH3 CH2 CH3 Br

Si tratta di un etere.

C—H

OH−

HH

Br—C

⎯⎯→ OH−

C—H

Br—C

OH−

⎯⎯→

+ prevalente

Mettiti alla prova

a. CH2=CF2 —

b. CH3—CH—CH—CH3 + KOH ⟶

CH3

e. CHFClBr Br

b. CH3—CH—CH—CH2—CH3 Cl

3. Completa le seguenti reazioni e scrivi tutti i possibili prodotti: a. CH3—CH2—Br + KOH ⟶ CH3 —

1. Scrivi le formule dei seguenti composti: a. 3-bromo-1-pentene b. 1-cloropropano c. 2-fluoro-2-metilpropano 2. Denomina i seguenti composti:

f.

Cl

H

c. CH3—C=CCI2 d. CHI3

g.

l

Br 4. Che prodotto si ottiene quando il bromuro di terz-butile reagisce con acqua secondo una SN1? 5. Che prodotto si ottiene quando il 2-bromopentano reagisce con CH3CH2S− secondo una SN2? 6. Quali alcheni si ottengono nella reazione tra 2-bromo-4-metilpentano e una base piccola in condizioni tali che avvenga solo una E2? 7. Quali alcheni si ottengono nella reazione tra il terz-butilato e il 2,3-dimetil-2-bromobutano?

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

85


Agenda 2030

CHIMICA E AMBIENTE

PFAS: cattive acque I PFAS (sostanze alchiliche polifluorurate e perfluorurate) sono un gruppo di composti alchilati in cui gli atomi di idrogeno sono parzialmente o completamente sostituiti da atomi di fluoro. Nell’industria chimica si utilizzano per realizzare prodotti antiaderenti, antimacchia o impermeabili. Le loro caratteristiche chimiche li rendono “indistruttibili”, ciò significa che possono disperdersi e accumularsi nella biosfera senza decomporsi, guadagnandosi il nome di forever chemicals, o composti chimici eterni.

Un po’ di storia Negli anni ‘60, la E. I. du Pont de Nemours and Company, società che ha reso popolare il rivestimento in Teflon® per le padelle antiaderenti, ha introdotto per prima le sostanze fluorurate nella produzione di tappeti e tessuti antimacchia. Successive ricerche hanno evidenziato la capacità di tali sostanze di impermeabilizzare la carta sia al grasso sia all’acqua: l’ideale per i contenitori monouso per il cibo. A oggi, la famiglia dei PFAS conta migliaia di sostanze chimiche e la ricerca fatica a testare i loro effetti sulla nostra salute e sull’ambiente. Secondo l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro (IARC), sono due i composti appartenenti ai PFAS a essere considerati possibili cancerogeni per l’essere umano: l’acido perfluoroottansolfonico (PFOS) e l’acido perfluoroottanoico (PFOA). In generale, i PFAS sono considerati interferenti endocrini, cioè in grado di alterare l’attività ormonale. Un’esposizione prolungata diretta o indiretta a questi composti può avere conseguenze sulla salute, come cancro e infertilità.

La mappa del territorio europeo Al momento, la produzione di PFOS e PFOA è vietata e il loro uso è limitato in Europa. All’inizio di febbraio 2023, l’Agenzia europea per le sostanze chimiche (ECHA) ha pubblicato una proposta di divieto per l’intera categoria di sostanze al vaglio della Comunità europea. In Europa, a partire dal 2021, la rivista francese Le Monde ha presentato il Forever Pollution Project, un’inchiesta sulla ricerca dei PFAS nelle acque, cui hanno aderito altre importanti redazioni europee. L’indagine ha consentito di individuare sul territorio europeo 17 000 siti contaminati da PFAS (10 ng/L) e 2100 aree in cui la concentrazione nelle acque è pari o superiore ai 100 ng/L (livello che gli esperti considerano pericoloso per la salute). In Italia, la situazione è particolarmente critica nel Veneto. 86

Sezione H La chimica organica

Possibili soluzioni I PFAS devono la loro persistenza nell’ambiente ai legami carbonio-fluoro, tra i più forti in natura, la cui rottura richiede alte temperature. Tuttavia, sebbene si possa pensare di rimuoverli dall’ambiente con l’incenerimento, il processo comporterebbe la liberazione di composti volatili pericolosi. Poiché l’eliminazione dall’ambiente risulta così difficoltosa, è opportuno che l’uso dei PFAS sia limitato e ben regolamentato. A tal proposito, molte compagnie produttrici di contenitori per alimenti stanno già utilizzando fibre di canna da zucchero, bambù o cocco lavorate in modo da assicurare una prestazione simile a quella conferita dai PFAS.

Interpreta 1. Aiutandoti con la mappa dei siti italiani http://q3.hubscuola. it/pfas-wired, approfondisci l’eventuale contaminazione da PFAS nel tuo territorio.

Analizza 2. Il film statunitense Cattive acque del 2019 racconta la battaglia giudiziaria dell’avvocato Robert Bilott intentata nei confronti dell’azienda DuPont per l’inquinamento idrico della città di Parkersburg in Virginia. Dopo aver guardato il film e approfondito la storia, compilate in piccoli gruppi una tabella in cui distinguere i fatti oggettivi dai fatti romanzati. Confrontate quindi le tabelle dei diversi gruppi per realizzarne una cumulativa.


Gli alcoli Analizziamo adesso i composti caratterizzati dal gruppo funzionale ossidrilico. Gli alcoli possono essere considerati come derivati degli idrocarburi, in cui uno o più atomi di idrogeno sono sostituiti da altrettanti gruppi —OH. Nel legame tra un atomo di carbonio e un gruppo ossidrilico (—OH), sia il carbonio sia l’ossigeno sono ibridizzati sp3. L’ossigeno utilizza due orbitali per instaurare legami semplici (σ) con carbonio e idrogeno. Gli altri due orbitali ospitano altrettanti doppietti elettronici liberi [Fig. 12]. C

Fig. 12 Utilizzo degli orbitali nel gruppo ossidrilico (per semplicità si sono omessi i lobi piccoli degli orbitali ibridi) e sua rappresentazione di Lewis.

O

— —

H

—C—O—H

Nomenclatura e preparazione degli alcoli Nella nomenclatura IUPAC, il nome di un alcol si ottiene sostituendo la lettera finale del nome dell’idrocarburo corrispondente con il suffisso -olo e indicando con un numero la posizione dell’atomo di carbonio al quale è legato il gruppo ossidrilico nella catena. L’ordine di numerazione degli atomi è scelto in modo che la funzione alcolica abbia il numero più basso possibile. In molti casi, tuttavia, è ancora diffusa la nomenclatura tradizionale, che riportiamo tra parentesi: —

OH

CH3OH

CH3CH2OH

CH3CHCH3

CH2=CHCH2OH

metanolo (alcol metilico)

etanolo (alcol etilico)

2-propanolo (alcol isopropilico)

2-propen-1-olo (alcol allilico)

CH3

Cl

OH

OH

CH3CHCHCHCH3 —

CH3CHCH2CHCH3

CH3

OH

OH

4-metil-2-pentanolo

2-cloro-4-metil-3-pentanolo cicloesanolo (alcol cicloesilico)

2-cicloesen-1-olo

Gli alcoli si distinguono in primari, secondari e terziari in base a quale atomo di carbonio è legato il gruppo —OH: H

R—C—OH

R

R

alcol secondario

alcol terziario

— —

— —

alcol primario

R

R—C—OH

R—CH2—OH

L’alcol metilico è considerato primario, mentre alcoli contenenti più di un ossidrile per molecola, chiamati diòli (o glicoli), triòli o poliòli: —

OH

OH

1,2-etandiolo (glicol etilenico)

CH2—CH—CH2

OH

CH2—CH2

3

OH OH

1,2,3-propantriolo (glicerina)

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

87


La preparazione degli alcoli può avvenire per idratazione degli alcheni in presenza di un acido come catalizzatore. Abbiamo già incontrato questa reazione nel­ l’Unità H2: si tratta di un’addizione che passa attraverso la formazione di un carbocatione. Per tale motivo, con essa si possono produrre solo alcoli secondari e terziari. Per ottenere alcoli primari, si fa reagire la formaldeide (CH2O) con i reattivi di Grignard facendo poi seguire un’idrolisi in ambiente acido. Un reattivo di Grignard è un metallorganico, ovvero un composto in cui un atomo di magnesio è legato direttamente a un atomo di carbonio. Il magnesio forma anche un legame con un alogeno, R—Mg—X, e l’atomo di carbonio ha carica parziale negativa. Nelle reazioni partecipa come carbanione, comportandosi dunque da nucleofilo: δ+

δ+

δ−

R—MgX

δ−

C=O

I reattivi di Grignard reagiscono con le aldeidi e con i chetoni, per dare rispettivamente alcoli secondari e terziari: H

— —

=

O

R—MgX + H—C—H ⟶ R—C—OH formaldeide

H

R′

R—MgX + R′—C—H aldeide

— —

=

O

⟶ R—C—OH H

R′

— —

=

O

R—MgX + R′—C—R′′ ⟶ R—C—OH chetone

R′′

Aldeidi e chetoni possono anche essere ridotti con il sodio boro idruro (NaBH4 ) o con il litio alluminio idruro (LiAlH4 ), molto più aggressivo, generando i corrispondenti alcoli: —

— —

H

C=O + NaBH4 (o LiAlH4) e successiva reazione con acqua ⎯⎯→ —C—OH

La riduzione può essere effettuata anche con H2 in presenza di platino, palladio o nichel finemente polverizzati.

Esempi svolti Eritritolo… non scoppia! L’eritritolo, a dispetto

del nome, è un innocuo poliolo presente nella frutta e prodotto industrialmente per fermentazione batterica di scarti zuccherini. Grazie al suo sapore e all’apporto calorico quasi nullo, è usato come dolcificante (E968) nelle diete ipocaloriche. Di recente sono sorti dubbi sulla sua innocuità se assunto in alte dosi. Qual è il suo nome sistematico? E la sua formula prospettica?

Soluzione Il modellino mostra una catena di quattro atomi di carbonio, ciascuno con un gruppo —OH. Si tratta dunque del 1,2,3,4-butantetraolo. Per realizzare la sua formula prospettica bisogna considerare che gli atomi di carbonio centrali sono asimmetrici e che i relativi gruppi ossidrile sporgono avanti e dietro rispetto alla catena: OH HO

OH OH

88

Sezione H La chimica organica


Aroma d’Oriente L’artemisia giapponese è una pianta

utilizzata da sempre nella medicina tradizionale orientale. È anche usata nella cucina giapponese per insaporire alcuni piatti, poiché contiene molecole come l’(E)-2,5,5-trimetil-3,6-eptadien-2-olo che sono responsabili dell’aroma. Rappresentane la formula schematica.

Soluzione Dal nome capiamo che si tratta di un alcol (-olo) con una catena di sette atomi di carbonio (epta) tra i quali esistono due doppi legami (dien). Inoltre, tre gruppi metilici si innestano sulla catena principale e il prefisso E indica che un doppio legame ha i sostituenti a più alta priorità da parti opposte: è quello in posizione 3 poiché il doppio legame in 6 non ha isomeria geometrica. OH

Da alchene ad alcol L’idratazione acido catalizzata

dell’1-butene non consente di ottenere l’1-butanolo e porta invece alla formazione del 2-butanolo: H+

CH2=CH—CH2—CH3 + H2O ⎯⎯→ +

H ⎯⎯→ CH3—CHOH—CH2—CH3

Come lo possiamo spiegare?

Soluzione Questa reazione è un’addizione elettrofila degli alcheni e pertanto segue la regola di Markovnikov: l’atomo più elettronegativo della molecola, ovvero l’ossigeno dell’acqua, si addiziona all’atomo di carbonio più sostituito. Con questa reazione si ottiene solo il 2-butanolo.

Mettiti alla prova

OH

b. CH2=CH—CH2—CH2—OH — —

CH3

O

=

c. CH3—C—OH d. CH2=CH—CH—CH3

O

b. CH3C—H

OH

e.

OH

=

a. H—C—H —

CH3

OH

O

c. CH3CCH2CH3 O

=

a.

10. Scrivi le formule dei seguenti alcoli e specifica se sono primari, secondari o terziari: a. 2-butanolo b. cicloesanolo c. 3-penten-2-olo d. 1-metilciclopentanolo 11. Scrivi le formule razionali e le formule schematiche dei composti: a. 1,2,4-butantriolo b. 2,3,3-trimetil-1-pentanolo 12. Indica quali alcoli si ottengono quando CH3MgBr reagisce con: =

8. Scrivi le formule dei seguenti composti: a. 2-metil-2-butanolo b. 2-metil-2,4-pentandiolo c. ciclopentanolo d. 4-fenil-2-metil-2-pentanolo 9. Denomina i seguenti alcoli:

d. CH3CH2CCH2CH3

13. Quali alcoli si ottengono per idratazione dei seguenti alcheni in catalisi acida? a. 1-pentene b. 2-metilpropene c. 1-metil-cicloesene d. 2,3-dimetil-2-butene H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

89


d+ d−

d+ d− d+ d+ d− Fig. 13 Gli alcoli, grazie al legame idrogeno, hanno alti punti di ebollizione e, quelli a catena più corta, una buona solubilità in acqua.

Reattività degli alcoli Nonostante la somiglianza formale tra alcoli e idrossidi, questi composti presentano proprietà molto diverse. Negli alcoli, infatti, il gruppo ossidrile è legato al carbonio della catena idrocarburica con un forte legame covalente e non può pertanto dissociarsi sotto forma di ione OH−. La reattività degli alcoli è dovuta alle coppie elettroniche disponibili dell’os­ sigeno e alla polarizzazione dei legami carbonio-ossigeno e ossigeno-idrogeno: δ+

— —

d

Proprietà fisiche degli alcoli Il gruppo —OH, data l’elevata elettronegatività dell’ossigeno, instaura legami idrogeno negli alcoli. Questi legami intermolecolari vincolano le molecole tra loro, conferendo alti punti di ebollizione agli alcoli. Anche la solubilità in acqua degli alcoli più leggeri è dovuta al legame idrogeno [Fig. 13], mentre in quelli con più di quattro atomi di carbonio prevale il carattere apolare della catena idrocarburica, che ne sfavorisce progressivamente la solubilità in acqua e li rende più solubili in solventi della stessa natura.

δ−

δ+

—C→O←H

Queste caratteristiche consentono tre tipi di reazioni: quelle che interessano il legame O—H, quelle che comportano la rottura del legame C—O e, infine, le reazioni di ossidazione. a. Reazioni che interessano il legame O—H Gli alcoli si possono dissociare secondo lo schema: ROH ⥫⥬ RO− + H+

Sono acidi, ma hanno una Ka di circa 10-15; dunque, sono più deboli dell’acqua e tanto più deboli quanto più sono sostituiti. Per questo motivo, le loro basi coniugate, gli alcossidi o alcolati, sono invece molto forti. Si preparano per reazione con metalli molto reattivi, come il sodio [Fig. 14] con il quale sviluppano anche idrogeno molecolare: 2 CH3CH2OH + 2 Na ⟶ 2 CH3CH2O−Na+ + H2

b. Reazioni che comportano la rottura del legame C—O Fig. 14 Un alcol reagisce con il sodio metallico, liberando idrogeno. La basicità della soluzione è evidenziata dal colore assunto dalla fenolftaleina.

Perché si verifichi la rottura del legame C—O, è necessario che la reazione avvenga in presenza di H+ o di un altro acido di Lewis. Sono esempi di questo tipo di reazioni la formazione di alogenuri per reazione con HX: R—OH + HX ⟶ RX + H2O

e la produzione di eteri o alcheni per disidratazione con H2SO4 o con H3PO4 : H SO

2 4 CH3CH2OH ⎯⎯⎯⎯→ CH2=CH2 + H2O

H SO

2 4 CH3CH2OCH2CH3 + H2O CH3CH2OH ⎯⎯⎯⎯→

In tutti i casi citati il primo passaggio comporta la protonazione dell’alcol, cui segue lo stadio lento con perdita di acqua e la formazione di un carbocatione: —

H

lento

— —

O

— —

+

⥫⥬ —C—C— ⎯⎯⎯→ —C—C— + H2O —

Sezione H La chimica organica

+

— —

— —

— —

OH

—C—C— + H 90

+

H


— —

— —

••

— —

—C—C— + HO—C—C— ⎯→ —C—C—

— —

— —

— —

— —

HO—C—C—

— —

+

— —

— —

+

— —

A questo punto il carbocatione può proseguire per due strade: una sostituzione nucleofila o un’eliminazione. Nel primo caso, che riguarda esclusivamente alcoli primari e secondari, si ha una SN1 in cui una nuova molecola di alcol attacca il carbocatione e per successiva perdita di H+ si forma un etere:

⎯→ —C—C—O—C—C— + H+

Nel secondo caso, dall’atomo di carbonio posto in β rispetto al carbonio positivo si stacca un H+ che lascia la sua coppia elettronica per formare un doppio legame (E1): — —

C=C

—C—C— ⎯⎯→

— —

H

+

+ H+

Come tutte le eliminazioni, tale reazione è favorita dalle alte temperature e, qualora siano possibili più alcheni, produce prevalentemente il composto più sostituito. c. Reazioni di ossidazione Gli alcoli si ossidano a molecole contenenti un doppio legame carbonio-ossigeno. I reagenti utilizzati per l’ossidazione sono composti dei metalli di transizione con più elevato stato di ossidazione, come l’acido cromico (H2CrO4 ). In questa reazione, il comportamento degli alcoli primari, secondari e terziari è diverso. • Gli alcoli primari formano aldeidi per ossidazione blanda e acidi carbossilici per ossidazione più energica, come si vede dai n.o. dell’atomo di carbonio interessato il quale passa da un n.o. pari a -1 nell’alcol primario a un n.o. pari a +3 nell’acido carbossilico finale: O

Ox

+3

⎯⎯⎯→ R—C

O

+1

=

Ox

=

−1

R—CH2—OH ⎯⎯⎯→ R—C

H

OH

Se si vuole fermare l’ossidazione allo stato intermedio di aldeide, occorre impiegare un reagente molto specifico, il clorocromato di piridinio (PCC), in ambiente privo di acqua. L’ossidazione completa di un alcol avviene anche nel nostro organismo, quando smaltisce l’alcol etilico ingerito: questo si trasforma prima in acetaldeide, poi in acido acetico e infine in CO2 e acqua [Fig. 15]. • Gli alcoli secondari producono chetoni:

Fig. 15 Il test rapido per rilevare nell’alito la presenza di alcol è basato sulla reazione con il dicromato, che produce un composto verde scuro.

Ox

=

O

0

+2

R2CH—OH ⎯⎯⎯→ R—C—R

In questo caso, l’atomo di carbonio che reagisce passa da un n.o. pari a 0 nell’alcol secondario a un n.o. pari a +2 nel chetone finale. • Gli alcoli terziari, nelle normali condizioni di reazione, non vengono ossidati. Condizioni più drastiche distruggono la molecola, producendo acidi a catena più corta, CO2 e H2O. H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

91


Gli alcoli più comuni Tra i più importanti alcoli troviamo: • il metanolo, che si sintetizza dai prodotti della gassificazione del carbone: ZnO/Cr O

2 3 CO + 2 H2 ⎯⎯⎯⎯⎯⎯⎯→ CH3OH

Fig. 16 L’etanolo è usato come carburante per autoveicoli in varie miscele con la benzina; le miscele sono identificate con la lettera E seguita da un numero che rappresenta la percentuale contenuta.

È un liquido incolore, velenoso, di odore caratteristico e miscibile con acqua. Si utilizza come additivo nelle benzine e per sintetizzare la formaldeide e il dimetiltereftalato, entrambi impiegati per la produzione di polimeri; • l’etanolo è un liquido incolore volatile e infiammabile; si mescola con acqua con contrazione di volume: unendo per esempio 1 L di alcol e 1 L di acqua si ottengono 1,93 L di soluzione. Si produce industrialmente per idratazione dell’etilene in presenza di H2SO4 , oppure dagli zuccheri per fermentazione alcolica a opera dei lieviti. È impiegato come solvente, combustibile e carburante [Fig. 16]; • il glicole etilenico è un diolo ad alto punto di ebollizione, miscibile con l’acqua in tutte le proporzioni. È impiegato nei circuiti di raffreddamento delle automobili e per la preparazione di fibre sintetiche; • la glicerina è un triolo (1,2,3-propantriolo) e si ottiene industrialmente a partire dal propene. È impiegata nella produzione di saponi, liquori e soprattutto nell’industria degli esplosivi. Reagendo con l’acido nitrico in presenza di acido solforico produce infatti trinitroglicerina (o nitroglicerina), un esplosivo potente ma poco pratico perché l’esplosione può essere innescata da un semplice urto. Al chimico svedese Alfred Nobel si deve l’invenzione della dinamite, utilizzabile con maggiore sicurezza perché costituita da nitroglicerina mescolata a farina fossile (terra di diatomee), un materiale inerte che rende l’esplosivo più stabile.

Esempio svolto Proviamo a disidratare Il 2-butanolo, o alcol sec-butilico, è un alcol

secondario. Sottoponendolo a disidratazione in ambiente acido con H2SO4 o H3PO4 , quali prodotti si ottengono in funzione della temperatura? Soluzione Il 2-butanolo può dare sia una sostituzione sia, a temperatura più alta, un’eliminazione. Dopo la protonazione iniziale si ottiene il carbocatione: +

CH3CH2CHCH3 + H+ ⎯⎯→ CH3CH2CHCH3 ⎯⎯→ CH3CH2CHCH3 + H2O OH

HOH +

che può evolvere secondo le due strade:

+ CH3CH2CHCH3 ⎯⎯→

O

CH3CH2CHCH3

OH

CH3CH2CHCH3

— —

CH3CH2CHCH3

−H+

+

temperatura più alta

+

−H CH3CH=CHCH3 + CH2=CHCH2CH3 ⎯⎯→

prevalente

Mettiti alla prova 14. Che prodotti si ottengono ossidando gli alcoli dell’esercizio 9? 15. Completa le seguenti reazioni: alta T a. etanolo + PCC ⟶ c. 2-metilciclopentanolo + H2SO4 ⎯⎯⎯→ alta T d. 2-metil-2-propanolo + H2SO4 ⎯⎯⎯→ b. propanolo + HBr ⟶ 92

Sezione H La chimica organica


I fenoli Non tutti i composti organici contenenti il gruppo —OH sono alcoli. Se il gruppo —OH è legato a un anello benzenico si parla di fenoli. I fenoli sono composti che contengono un gruppo —OH legato direttamente a un anello aromatico. Nomenclatura e proprietà fisiche dei fenoli Per molti fenoli sostituiti sono usati nomi comuni, mentre il sistema IUPAC li considera derivati del fenolo: OH

OH

OH

OH

fenolo fenolo

OH

OH OH

OH CH3

OH

3-metilfenoloCH 3 (metacresolo) 3-metilfenolo (metacresolo)

1,3-diidrossibenzene OH (resorcinolo) 1,3-diidrossibenzene (resorcinolo)

OH OH

1,4-diidrossibenzene 1,4-diidrossibenzene (idrochinone) (idrochinone)

Il fenolo si prepara industrialmente per ossidazione del cumene o per reazione dell’acido benzensolfonico o del clorobenzene con NaOH: SO3H NaOH +

OH

calore

⎯→

Cl NaOH +

calore

Queste reazioni sono esempi di sostituzioni nucleofile aromatiche. I fenoli sono liquidi incolori o solidi a basso punto di fusione; si scuriscono al­ l’aria poiché si ossidano facilmente. Reattività dei fenoli Le caratteristiche chimiche dei fenoli dipendono dall’interazione tra il gruppo —OH e l’anello benzenico. Rispetto agli alcoli, in cui è presente lo stesso gruppo ossidrilico —OH, i fenoli hanno un’acidità più marcata. Ciò si spiega con il fatto che lo ione fenato, che si forma nella dissociazione, è stabilizzato dalla risonanza che gli consente di disperdere la sua carica negativa anche sull’anello benzenico: •• O ••

•• O ••

-H+

⥪⥭

•• O ••

•• O ••

•• O ••

••

O—H

••

4

Eventuali gruppi elettron-donatori, soprattutto se in posizione orto e para, rendono meno acido il fenolo poiché lo ione fenato ha più difficoltà a delocalizzare i suoi elettroni sull’anello; al contrario, gruppi elettron-attrattori rendono il composto più acido perché favoriscono la formazione della base coniugata, stabilizzandone la carica negativa. H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

93


Il p-cresolo possiede il gruppo —CH3 , un elettron-donatore debole, ed è poco meno acido del fenolo; il p-clorofenolo e il p-nitrofenolo, rispettivamente con i gruppi —Cl, elettron-attrattore debole, e —NO2 , elettron-attrattore forte, sono invece più acidi [Fig. 17]. Fig. 17 Le mappe di distribuzione elettroniche sono in accordo con i valori di pKa .

pKa = 10,2

pKa = 10,0

pKa = 9,2

pKa = 7,2

Un caso estremo è il 2,4,6-trinitrofenolo che, grazie ai tre gruppi nitro, ha pKa = 0,37 e una forza simile a quella dell’acido cloridrico e dell’acido nitrico. È conosciuto infatti anche come acido picrico. Nelle sostituzioni elettrofile aromatiche i fenoli sono molto più reattivi del benzene non sostituito perché l’ossidrile, disperdendo i suoi elettroni sull’anello, agisce da forte attivante. Per esempio, la clorurazione del benzene richiede la presenza di un catalizzatore, mentre il fenolo è clorurato anche in sua assenza, con formazione di prodotti polisostituiti: Cl OH + 3 Cl2 ⟶ Cl

OH + 3 HCl Cl

Il fenolo si ossida a dare, in presenza di acqua, idrochinone e chinone: OH

O

OH H2CrO4

H2CrO4

⟶

⟶

H2O

H2O

OH

O

idrochinone

p-benzochinone (chinone)

Da queste caratteristiche dipende il comportamento del coenzima Q10 che negli organismi partecipa alle reazioni redox come trasportatore di elettroni, poiché presente in tre forme: CH3

(CH2—CH=C—CH2)10—H

OCH3

OH

O•

O

H+ + e-

OCH3

R

⥪⥭ OCH3 O

CH3 OH

ubichinone (Q) ossidato

R

OCH3

CH3

⥪⥭ OCH3

CH3

OCH3 H+ + e-

radicale semichinone (QH•)

OH ubichinolo (QH2) ridotto

La presenza ubiquitaria di questo composto ne determina il nome, sebbene sia attivo soprattutto nella membrana mitocondriale ove cattura radicali liberi. 94

Sezione H La chimica organica


I fenoli più comuni In natura, i fenoli sono molto diffusi nelle piante e nei carboni fossili: un tempo si estraevano da questi ultimi per distillazione. Alcuni fenoli trovano applicazione nell’industria alimentare come antiossidanti. Il butilidrossianisolo (BHA), per esempio, è impiegato a tale scopo nelle patatine fritte confezionate e nelle gomme da masticare [Fig. 18]. L’industria chimica utilizza grandi quantità di fenolo, come materia prima per la preparazione di coloranti, colle epossidiche, resine artificiali e acido salicilico, a sua volta alla base della preparazione dell’aspirina. La prima resina sintetizzata fu la bachelite. Nel 1905 il belga Leo Baekeland, cui deve il nome, la ottenne per polimerizzazione del fenolo con la formaldeide. Resistente al calore, isolante elettrico e variamente colorabile, fu molto utilizzata nei campi più diversi fino alla metà del XX secolo, quando fu surclassata da altre plastiche con prestazioni migliori. Oggi, le resine fenoliche sono ampiamente impiegate anche come basi per vernici o colle per l’assemblaggio, per esempio, di pannelli di legno laminato.

OCH3

C(CH3)3 OH BHA (butilidrossianisolo)

Fig. 18 Il butilidrossianisolo (BHA) è un antiossidante (E320).

Esempi svolti Salute profumata L’eugenolo è il principio attivo dell’olio di chiodi di

garofano (Eugenia cariophillata), responsabile del loro tipico profumo. Dotato di proprietà antisettiche, analgesiche e antifermentative è impiegato in profumeria e in odontoiatria. Ricavane il nome sistematico. HO

Soluzione Nella molecola si distinguono una funzione fenolica, un gruppo —OCH3 e un radicale allilico: il fenolo ha la priorità per l’attribuzione del nome. Si tratta del 2-metossi-4-allilfenolo.

O

Foto antiche Il pirogallolo è un composto facilmente ossidabile, soprattutto

in soluzione basica. Per questo motivo, si utilizza nelle analisi dell’ossigeno: la diminuzione di volume che un gas subisce a contatto di una soluzione alcalina di pirogallolo corrisponde al volume di ossigeno che vi era contenuto. Un tempo era molto usato negli sviluppi fotografici ma, abbandonato per la sua nocività, è oggi utilizzato solo per la realizzazione di foto artistiche. Qual è il suo nome IUPAC?

OH

Soluzione Quando sono presenti più gruppi —OH si preferisce ricorrere al nome sistematico. Visto che i tre gruppi sono su atomi di carbonio adiacenti, il nome del composto è 1,2,3-triidrossibenzene.

HO

OH

HO

NH2

Mettiti alla prova 16. Scrivi le formule dei seguenti composti: a. p-metilfenolo b. 2,3-diclorofenolo c. p-metossifenolo d. 2,4,6-trinitrofenolo e. 4-etil-2-metilfenolo f. 2-cloro-5-etilfenolo

17. Denomina i seguenti fenoli: OH a.

c. NO2

OH HO

Cl

b.

d. OH

HO

CH2CH3

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

95


•• ••

5

O

Un’altra classe di composti contenenti ossigeno nello scheletro della molecola è costituita dagli eteri [Fig. 19].

radicale arilico

Gli eteri sono composti nei quali due radicali idrocarburici, uguali o diversi, sono legati a un atomo di ossigeno.

Ar

•• ••

R

radicale alchilico

R

•• ••

R

O

O

Ar

Gli eteri

Ar

Fig. 19 Struttura di eteri generici.

Nel sistema IUPAC il nome degli eteri si ottiene assegnando alla catena idrocarburica più lunga il nome del corrispondente idrocarburo e indicando, assieme all’ossigeno, quella più corta come sostituente alcossidico. La nomenclatura tradizionale, invece, indica in ordine alfabetico i gruppi idrocarburici, premettendoli alla parola etere: CH3—O—CH3

CH3CH2—O—CH3

metossimetano (dimetil etere)

metossietano (etil metil etere)

CH2 CH2 O

O

ossirano (ossido di etilene)

tetraidrofurano (THF)

O—CH3 metossibenzene (fenil metil etere o anisolo)

O tetraidrossipirano

Per la preparazione degli eteri si utilizza una sostituzione nucleofila, nota come sintesi di Williamson, in cui un alcolato reagisce con un alogenuro alchilico: CH3CH2O− + CH3Br ⟶ CH3CH2OCH3 + Br−

L’ossigeno, molto elettronegativo, polarizza i legami nelle molecole degli eteri determinando una separazione delle cariche parziali. Tuttavia, l’ingombro delle catene idrocarburiche impedisce alle cariche di segno opposto localizzate su molecole diverse di avvicinarsi quanto basta per poter interagire. Questo, unito all’impossibilità di instaurare legami idrogeno, fa sì che le interazioni tra le molecole di eteri siano di scarsa entità [Fig. 20a]. Gli eteri, pertanto, hanno bassi punti di ebollizione, confrontabili con quelli degli idrocarburi di peso molecolare analogo. Il doppietto dell’ossigeno consente tuttavia la formazione di legami idrogeno con le molecole dell’acqua, nella quale gli eteri più leggeri sono abbastanza solubili [Fig. 20b]. Grazie alla loro buona capacità di sciogliere composti organici, gli eteri sono impiegati in molte reazioni come solventi. Inoltre, come gli idrocarburi, sono fortemente infiammabili, ma poco reattivi. La loro reazione più significativa è quella con acido iodidrico: calore

CH3CH2—O—CH2CH3 + HI ⎯⎯⎯⎯→ CH3CH2OH + CH3CH2I Fig. 20 L’impossibilità degli atomi di carbonio e di ossigeno di avvicinarsi rende difficili le interazioni tra le molecole di etere [a]: l’ossigeno può però fare da accettore nel legame idrogeno con l’acqua [b].

96

a

Sezione H La chimica organica

b d+

d−

d−

d+

d− d+


Tra gli eteri più comuni troviamo: • il dietil etere (comunemente detto etere), molto infiammabile, usato un tempo come anestetico e attualmente come solvente per oli e grassi; • l’ossirano (ossido di etilene o epossido), utilizzato come disinfettante per strumenti chirurgici e come materia prima per la produzione di resine epossidiche.

Esempio svolto Bioeteri: bio… ma non del tutto! Negli anni

Ottanta del XX secolo gli eteri erano un’alternativa al piombo per innalzare le prestazioni delle benzine (numero di ottano). Sono prodotti dall’industria per reazione tra un alcol e un alchene, entrambi provenienti, direttamente o indirettamente, da combustibili fossili. Di recente, si è iniziato a sintetizzarli a partire da alcol di origine biologica, facendo guadagnare loro la qualifica di “bioeteri”; nome che però, per quanto appena detto, non è corretto. Tra gli eteri sintetizzati con questa tecnica, sono oggi utilizzati il MTBE (metil terz-butil etere), l’ETBE (etil terz-butil etere), il TAME (terz-amil-metil etere) e il TAEE (terz-amil-etil etere). Rappresentiamone la formula schematica e ricaviamone il nome IUPAC.

MTBE

ETBE

O

O

2-metossi-2-metilpropano

2-etossi-2-metilpropano

TAME

TAEE

O

O

2-metossi-2-metilbutano

2-etossi-2-metilbutano

I tioalcoli e i tioeteri

CH3CHCH2SH 2-metil-1-propantiolo

SH benzentiolo (tiofenolo)

I tioli a più basso peso molecolare si contraddistinguono per il loro pessimo odore. Infatti, minime quantità vengono aggiunte al gas naturale per evidenziare eventuali perdite. L’odore penetrante è comunque una caratteristica di molti composti organici dello zolfo, talora sfruttati in cucina [Fig. 22]. Le loro proprietà fisiche dipendono dall’assenza del legame idrogeno tra le molecole, tanto che sia i punti di ebollizione sia le solubilità dei tioli in acqua sono più bassi rispetto a quelli degli alcoli con uguale numero di atomi di carbonio. L’acidità dei tioli è più alta di quella degli alcoli (pKa = 11), in accordo con il fatto che lo ione R—S− (tiolato o tioalcolato) può disperdere meglio la carica negativa

tiolo

R

R

tioetere

Fig. 21 In tioli e tioeteri R— può essere un gruppo alchilico o arilico.

—S—CH2CH3 fenil etil solfuro

acido solfidrico

R

etantiolo

CH3

S

S

H

H

CH3CH2SH

S

H

I composti analoghi degli alcoli e degli eteri contenenti zolfo al posto dell’ossigeno sono i tioli e i tioeteri. Formalmente si considerano come dei derivati dell’acido solfidrico al quale si sostituiscono rispettivamente uno o due idrogeni [Fig. 21]. Per la nomenclatura IUPAC i nomi dei tioli derivano dal nome dell’idrocarburo con la catena più lunga contenente il gruppo —SH in cui si sostituisce la desinenza finale con -tiolo. Per i tioeteri si usa il suffisso solfuro per indicare il gruppo —S— cui si premettono i nomi dei radicali legati: —

6

Soluzione I nomi comuni qui riportati indicano quali sono i radicali direttamente uniti all’ossigeno. Per i nomi IUPAC, individuiamo la catena più lunga, cui si dà il nome del corrispondente alcano, indicando quella più corta come sostituente alcossidico. Abbiamo pertanto:

O− S

S+

S Fig. 22 Il diallil solfuro e l’allicina (diallil solfossido) sono due dei composti liberati da molte piante della famiglia delle alliacee (che comprende anche il comune aglio usato in cucina) da cui deriva il nome del radicale allile.

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

97


sull’atomo di zolfo perché più grande. Per questo, a differenza degli alcolati, i tiolati si preparano per reazione dei tioli con gli idrossidi alcalini: R—SH + NaOH ⟶ R—S− + Na++ H2O

Inoltre, a causa della minor elettronegatività dello zolfo, lo ione tiolato vincola a sé gli elettroni meno di un alcolato e per questo è un nucleofilo più forte. L’ossidazione dei tioli con blandi ossidanti li converte in disolfuri, che possono ritrasformarsi in tioli reagendo con deboli riducenti: ossidante

⥪ R—S—S—R 2 R—SH ⥭ riducente

Si formano così ponti disolfuro tra amminoacidi solforati situati in punti diversi di una proteina assicurandole la struttura tridimensionale.

Sperimenta con

vogadro

La nomenclatura delle molecole

IN PREPARAZIONE

Obiettivo Attribuire il nome IUPAC a una serie di molecole incognite. Step del lavoro a. Inquadra il codice QR per accedere all’attività Avogadro e ai video delle molecole. b. Apri i file contenenti le molecole incognite con il programma Avogadro. c. Ruota la molecola con l’apposita funzione e assegnale il nome IUPAC. d. Verifica che il nome sia in accordo con quello che fornisce Avogadro seguendo il percorso indicato. e. Ripeti la procedura per le altre molecole aprendo i file incogniti. Conclusioni 1. Perché il programma Avogadro è utile per questo tipo di attività?

Esempio svolto Alla larga! Le moffette hanno due ghiandole che

secernono un liquido maleodorante, descritto come un misto di uova marce, aglio e gomma bruciata. L’odore è abbastanza pungente da tenere lontani i potenziali aggressori. Infatti, l’animale spruzza il liquido con grande precisione. I responsabili dell’odore sono: SH

Quali nomi assegneresti loro?

SH

Soluzione Si tratta in entrambi i casi di tioli. Per determinarne i nomi bisogna individuare l’idrocarburo di base. Nel primo caso si tratta di un metilbutano in cui l’atomo di carbonio 1 è unito al gruppo —SH: il 3-metil-1-butantiolo. Nel secondo caso la catena di base è un alchene: il 2-buten-1-tiolo.

Mettiti alla prova 18. Scrivi le formule dei seguenti composti: a. propossibutano b. isopropil metil etere c. allil fenil solfuro d. 3-metossi-2-metilbutano e. propantiolo f. metil etil solfuro

98

Sezione H La chimica organica

19. Attribuisci ai seguenti composti i nomi tradizionali. a.

O

c.

O

d.

O

SH

b.


Una primavera responsabile

Il principio responsabilità Così come Carson anche i filosofi riflettono sulle scelte da compiere in un mondo in cui catastrofe nucleare, collasso ecologico e manipolazioni genetiche sono possibili. Al dislivello prometeico di cui parla Günther Anders (la crescente capacità di produrre tecnologia senza una pari capacità di immaginarne le conseguenze) si contrappone Il principio speranza di Ernst Bloch, che vede l’essere umano non ancora realizzato in tutte le sue potenzialità.

CHIMICA E FILOSOFIA

Nel 1962, in piena espansione economica mondiale, una biologa americana, Rachel Carson, pubblica un saggio dal titolo suggestivo Silent spring. Primavera silenziosa è una pietra miliare dell’ambientalismo, che aveva già visto in Gran Bretagna e negli Stati Uniti movimenti d’opinione pubblica e interventi legislativi volti a ridurre l’inquinamento e a proteggere risorse naturali e biodiversità. Nel suo saggio, Rachel Carson analizza l’attività di erbicidi a base di arsenico e di insetticidi che suddivide in idrocarburi clorurati (come il DDT) e insetticidi a base di fosforo (come il Parathion). Tutti questi composti danneggiano irreversibilmente insetti e piante utili, animali selvatici, bestiame ed esseri umani (attraverso il fenomeno della biomagnificazione); persistono nell’ambiente; inducono resistenza determinando la necessità di dosi sempre più alte. Infine, l’autrice suggerisce l’impiego di alternative come la lotta biologica o l’uso di sostanze chimiche più mirate. Il saggio ha un immediato successo tra il pubblico, ma raccoglie anche la critica di parte del mondo scientifico e politico che addirittura mette in dubbio la preparazione dell’autrice. Del resto, il DDT si era guadagnato un’ottima fama quando a partire dal 1942 gli statunitensi lo avevano usato in Europa e Asia per combattere malattie tropicali e disinfestare zone malariche; per questo motivo, nel 1948, lo svizzero Georg Müller aveva ricevuto il Nobel per averne scoperto le proprietà insetticide. Nonostante la campagna denigratoria contro Rachel Carson, la solidità della sua documentazione e l’appoggio di autorevoli scienziati rinnovano il dibattito politico sull’ambiente. Grazie a ciò, nel 1970 il presidente statunitense Richard Nixon istituirà l’Agenzia per la protezione dell’ambiente e si celebrerà la prima Giornata della Terra (22 aprile). Il DDT sarà bandito per usi agricoli nel 1972 e, dopo la Convenzione di Stoccolma del 2001, è consentito il suo utilizzo solo per la lotta alla malaria.

Tra questi due estremi si colloca Hans Jonas, allievo di Heidegger, ne Il principio responsabilità (1979). Sulla base di una nuova visione in cui tutti gli esseri viventi sono legati da azioni e reazioni, Jonas propugna un’etica per la civiltà tecnologica che salvaguardi la Terra ora e per le generazioni future. «Agisci in modo che le conseguenze della tua azione siano compatibili con la sopravvivenza di un’autentica vita umana sulla Terra» è la sua trasformazione dell’imperativo kantiano. Le varie forme di etica avevano preso in considerazione solo la perfezione morale dell’individuo e il suo rapporto con la società, mai con la natura. La rivoluzione scientifica, da Bacone in poi, aveva previsto un miglioramento inarrestabile delle condizioni materiali dell’umanità mentre le varie forme di socialismo avevano prospettato una società più giusta. L’etica della responsabilità invece è minimale. Essa invita alla prudenza nell’applicazione delle conoscenze scientifiche, alla valutazione dei rischi e a commisurare i mezzi ai fini. In ciò, Jonas esprime preoccupazione per l’ambiguità dell’essere umano, che può compiere sia il bene sia il male, ma anche fiducia nella capacità della comunità scientifica di dialogare e prevedere le conseguenze delle sue scoperte. La Natura, per secoli considerata matrigna o da domare, si rivela vulnerabile: quello stesso istinto di protezione e di cura che gli esseri umani provano di fronte a un neonato dovrebbe ispirare loro responsabilità verso di essa e verso il futuro.

Colloquio 1. Approfondisci lo studio de Il principio responsabilità di Hans Jonas e continua tu a collegare le discipline analizzando la concezione della Natura in Plinio il Vecchio, Naturalis Historia II, 63.

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri

99


Come agisce Affinché si possa svolgere un’analisi gascromatografica su una miscela è necessario che i suoi componenti siano in grado di passare in fase vapore alla temperatura di lavoro. I meccanismi di separazione sono determinati dalla fase stazionaria, poiché quella mobile funziona solamente da gas di trasporto (carrier). Se la fase stazionaria è solida si parla di gas solido cromatografia (GSC) e la separazione è dovuta a legami secondari tra i componenti e la fase solida (adsorbimento); se la fase stazionaria è liquida abbiamo la gas liquido cromatografia (GLC) nella quale è operativa soprattutto la ripartizione.

Un gascromatografo è composto da un piccolo forno termostatabile in cui è contenuta la colonna cromatografica, un sottile tubo avvolto a spirale che ospita la fase stazionaria. Il campione viene introdotto nell’iniettore con un flusso di gas inerte (He, H2 , N2 ).

regolazione flusso gas

componenti separati

GLC

uscita fase mobile e componenti separati

fase stazionaria liquida supporto 7,25

bombola gas

100 Sezione H La chimica organica

raccolta ed elaborazione dati

I componenti sono separati grazie alle diverse interazioni con la fase stazionaria (polarità) e alla differente temperatura di ebollizione, quindi escono con il gas di trasporto dalla colonna lambendo un rivelatore. Si produce un cromatogramma, una sequenza di picchi che rappresenta il segnale generato dal rivelatore in funzione del tempo. Anche in questo caso il tempo di ritenzione di un picco dà indicazioni su quale sia il composto, mentre l’area del picco consente di ricavarne la quantità, o la percentuale, presente nel campione. 15,5 77,8%

p-metossiacetofenone

anisolo

5,8%

scarico termostato

14,4%

2,31

rivelatore

iniettore

colonna

fase stazionaria solida

GSC

ingresso fase mobile e miscela

Lo strumento

27,4 sottoprodotti

La gascromatografia, sviluppata attorno agli anni Cinquanta del secolo scorso, opera la separazione dei componenti di una miscela usando come fase mobile un gas che fluisce in una colonna in cui è posta la fase stazionaria.

anidride acetica

CHIMICA E STEM

Gascromatografia (GLC e GSC)

0,96%


Le colonne capillari

I rivelatori

liquido WCOT

liquido su solido SCOT

solido poroso PLOT

La fase stazionaria è spesso costituita da siliconi modificati con gruppi funzionali per ottenere la polarità adatta a separare i componenti della miscela.

La temperatura programmata Normalmente la temperatura della colonna è mantenuta costante ed è regolata sulla media dei punti di ebollizione dei componenti della miscela. Per miscele con punti di ebollizione molto distanti tra di loro, la scelta è problematica. Una temperatura troppo alta [a] consentirebbe una buona separazione dei componenti altobol­lenti, ma farebbe uscire troppo velocemente quelli più ­bassobollenti, ammassandoli assieme. Al contrario, una temperatura troppo bassa [b] non consentirebbe di separare quelli altobollenti. Si ricorre allora alla temperatura programmata, mantenendola bassa per i primi picchi e poi innalzandola per separare tutte le sostanze [c]. a

Il rivelatore (o detector) è un dispositivo posto subito dopo il termine della colonna, con la funzione di indicare la presenza del componente all’uscita della colonna e di fornire la misura della sua concentrazione nel gas di trasporto. Ogni rivelatore traduce in un segnale elettrico la presenza di una sostanza. In un rivelatore a ionizzazione di fiamma o Flame Ionization Detector, FID [d] il gas di trasporto in uscita dalla colonna viene mescolato a idrogeno e convogliato in una microfiamma. In presenza dei componenti eluiti la combustione produce ioni, raccolti poi sulla superficie del rilevatore con produzione di una corrente elettrica. In un rivelatore a cattura di elettroni o Electron Capture Detector, ECD [e], il 63Ni è utilizzato come sorgente di elettroni per produrre una corrente costante che, in presenza di composti contenenti atomi elettronegativi come gli alogeni, cala bruscamente. Anche in gascromatografia lo spettrometro di massa è il rivelatore ideale perché analizza in tempo reale i singoli picchi in uscita dalla colonna, mediante il confronto dello spettro ottenuto da ogni componente con quelli contenuti nella banca dati. d

isolante rivelatore corrente

scarico flusso di elettroni

aria

b a temperatura troppo alta

e

H2

63

Ni

colonna +

_

colonna

a temperatura troppo bassa

Approfondisci t

5′

c aumento della temperatura

10′

t

10

15′ t

1. La gascromatografia è utilizzata anche per l’analisi degli acidi grassi che compongono un olio. Si tratta di composti non volatili, per cui è necessario renderli tali prima di analizzarli. Informati su come si realizza tale condizione.

Risolvi 2. Nel cromatogramma riportato a pagina precedente i componenti principali sono due. Rappresentane le formule. Considerando i tempi di uscita riportati sopra i picchi, quale ha la Teb più alta?

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri 101

CHIMICA E STEM

Le colonne usate in gascromatografia sono per lo più di tipo capillare. Si tratta di sottilissimi tubi di rame o silice fusa con diametro massimo di 0,53 mm e di lunghezza fino 200 m, avvolte a spirale su un supporto metallico. La fase stazionaria può aderire direttamente alle pareti nelle colonne WCOT (Wall Coated Open Tubular), impregnare un supporto nelle SCOT (Support Coated Open Tubular) o essere solida e porosa nelle PLOT (Porous Layer Open Tubular):


Guarda e ripassa IN PREPARAZIONE

Ripassa con il riepilogo e la mappa modificabile

I COMPOSTI ORGANICI

Sono suddivisi in classi, ovvero insiemi di composti con lo stesso gruppo funzionale.

Gli alogenuri alchilici si possono considerare idrocarburi in cui uno o più atomi di idrogeno sono sostituiti da altrettanti atomi di alogeno.

Gli alcoli si possono considerare idrocarburi in cui uno o più idrogeni siano stati sostituiti da altrettanti gruppi —OH.

R—X

R—OH

• sostituzione nucleofila:

•S ono debolmente acidi per rottura del legame O—H. •P er ossidazione formano aldeidi, chetoni e acidi:

+

+

0

—C → Cδ → X +

+

H

OH

Ox

+2

•P er rottura del legame C—O danno disidratazione, in presenza di acidi, formando alcheni ed eteri: H SO

2 4 CH3CH2OH ⎯⎯⎯⎯→ CH2=CH2 + H2O

base

H SO

2 4 CH3CH2OCH2CH3 + H2O CH3CH2OH ⎯⎯⎯⎯→

con formazione di alcheni.

I meccanismi delle reazioni dipendono prima di tutto dal tipo di alogenuro alchilico. primari

SN2

O

R2CH—OH ⎯⎯⎯→ R—C—R

• eliminazione: H

+3

O

con formazione di alcoli, eteri, ammine; +

Ox

⎯⎯⎯→ R—C

H

Nu

Hδ H

O

=

—C→C →X

+1

Ox

=

−1

R—CH2—OH ⎯⎯⎯→ R—C

δ+

=

Hδ H

Data l’elettronegatività del gruppo X, sia il legame C—X sia quelli vicini sono polarizzati verso l’alogeno. Danno due tipi di reazione:

benzilici o allilici

secondari

SN1

E2

102 Sezione H La chimica organica

terziari

SN1 (E1)


Hanno un gruppo funzionale, un eterolemento o un gruppo di atomi, che ne caratterizzano il comportamento chimico.

I fenoli sono composti che contengono un gruppo —OH legato direttamente a un anello aromatico.

Gli eteri sono composti nei quali due radicali idrocarburici, uguali o diversi, sono legati allo stesso atomo di ossigeno. R′—O—R

Ar—OH

I tioli e tioeteri sono gli analoghi di alcoli ed eteri con lo zolfo al posto dell’ossigeno. R—SH    R′—S—R

• Hanno legami C—O—C polarizzati, ma i residui idrocarburi impediscono il raggiungimento delle loro cariche parziali. • Presentano bassa reattività, per cui sono ottimi solventi nelle reazioni organiche. • Si preparano con la sintesi di Williamson o per disidratazione degli alcoli.

• Danno reazioni di sostituzione elettrofila aromatica (SEA) più facilmente del benzene grazie all’attivazione del gruppo —OH, nelle posizioni orto e para. • Presentano un’acidità più marcata degli alcoli perché lo ione fenato, che si forma nella dissociazione, è stabilizzato dalla risonanza che gli consente di disperdere la sua carica negativa anche sull’anello benzenico. O—H

O -H+

⥪⥭

O

O

•L ’atomo di zolfo è più grande di quello dell’ossigeno, per cui ospita più facilmente elettroni, ma li trattiene con minore forza perché ha elettronegatività inferiore. Per questo un tiolo è più acido di un alcol e un tiolato è un nucleofilo più forte di un alcolato. • I tioli sono facilmente ossidati a disolfuri: ossidante

⥪ R—S—S—R 2 R—SH ⥭riducente

⟷ −

Per orientarti nelle reazioni organiche puoi trovare una mappa riassuntiva nelle pagine finali di questo volume (pp. XIV-XV). H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri 103


Verifica 7. IN PREPARAZIONE

Svolgi gli esercizi commentati 40, 47, 57

IN PREPARAZIONE

a È una reazione che si accompagna sempre alla SN1 b È favorita rispetto alle sostituzioni dalle alte temperature c Ha lo stesso stadio lento della corrispondente SN1 d È predominante in caso di alogenuri allilici X

Svolgi altri esercizi online su HUB Test

Puoi trovare una verifica già disponibile in Moduli Google tra i tuoi materiali docente in HUB Kit.

8.

CONOSCENZE 2 Gli alogenuri alchilici Che cos’è un gruppo funzionale? Fai degli esempi.

2.

Che cosa si intende con il termine classe di composti in chimica organica?

3.

Completa le seguenti frasi inserendo metilico/primario/ secondario/terziario.

a.

Un alogenuro . . . . . . . . . . .primario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . segue solo meccanismi bimolecolari.

b. Un alogenuro . . . . . . . . . . . metilico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . può dare solo sostituzioni. c. Un alogenuro . . . . . . . . . . .terziario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dà prevalentemente eliminazioni. d. Un alogenuro . . . . . . . . .secondario . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . può seguire tutti i meccanismi noti. 4.

Vero o falso? Motiva la tua risposta.

a. Un gruppo funzionale rappresenta la parte reattiva di una molecola organica. b. Gli alogenuri alchilici contengono solo atomi di carbonio e cloro. c. Nella molecola di un alogenuro l’alogeno occupa sempre la posizione più bassa. d. Un alogenuro terziario ha tre alogeni. 5.

V F X F V X F V X V X F

Quale delle seguenti affermazioni non è vera per un meccanismo SN2?

Quale delle seguenti affermazioni non è vera per un meccanismo SN1?

a Gli alogenuri terziari reagiscono più velocemente dei secondari b Il centro di reazione inverte la configurazione X c La velocità della reazione dipende solo dalla concentrazione del substrato d I carbocationi sono intermedi della reazione

104 Sezione H La chimica organica

3 Gli alcoli 4 I fenoli 9.

Vero o falso? Motiva la tua risposta.

a. Alcoli e acqua danno legami a idrogeno. b. Gli alcoli primari hanno un solo carbonio. c. I fenoli hanno un —OH legato direttamente a un anello benzenico. d. Un fenolo è più polare di un alcano.

V F X V X F V F X V F X

10. Il gruppo funzionale di un alcol terziario è:

a —CR2OH X

a La velocità dipende dalla concentrazione del nucleofilo b La reazione avviene in uno stadio c Si ha formazione di un intermedio carbocationico X d Si ha inversione di configurazione 6.

Quale delle considerazioni relative alla E2 è corretta?

a È predominante quando il nucleofilo è una base debole b È favorita quando il solvente è polare e protico c Comporta una sottrazione di un H+ dall’atomo di carbonio che porta l’alogenuro d Procede in un unico stadio bimolecolare X

1 I gruppi funzionali 1.

Una delle seguenti considerazioni, relative alla E1, è errata. Quale?

b —CH2—OH

c —CH—OH d —COOH

11. Un alcol è secondario se:

a ha due atomi di carbonio b il carbonio dell’ossidrile è unito a due altri atomi X di carbonio c possiede due gruppi —OH d il carbonio dell’ossidrile è unito a due atomi di H 12. L’ossidazione spinta di un alcol terziario porta a:

a formare un’aldeide b formare un chetone

c rompere la molecola X d produrre un etere

13. Gli alcolati alifatici possono essere preparati:

a trattando un alcol con NaOH b trattando un alcol con Na X c trattando un alcol con Fe d con nessuno dei metodi precedentemente indicati 14. I fenoli:

a reagiscono più facilmente del benzene nella SEA X b danno reazioni di sostituzione formando prodotti con sostituenti disposti in posizione meta c non sono ossidabili d non reagiscono in nessuna condizione


ABILITÀ

5 Gli eteri 6 I tioalcoli e i tioeteri

2 Gli alogenuri alchilici

15. Quali sono le classi di composti contenenti zolfo che abbiamo studiato? 16. Vero o falso? Motiva la tua risposta.

c. I tioli tra loro fanno legami a idrogeno.

V F X V X F V X F

d. Gli eteri hanno reattività simile a quella degli alcheni.

F V X

a. Gli eteri possono ricevere legami a idrogeno. b. I tioeteri possono fare legami a idrogeno.

17. A parità di massa molecolare i tioli hanno punto di ebollizione:

a più alto di quello dei fenoli b più basso di quello degli alcani c più basso di quello degli alcoli X d uguale a quello dei fenoli 18. Gli alcoli:

a contengono il gruppo —OH, pertanto sono basici b sono solubili in acqua a causa della loro polarità c hanno elevati p.e. a causa dei legami idrogeno X d sono buoni elettrofili per la presenza di doppietti liberi 19. L’ossidazione dei tioli porta alla formazione di:

a eteri b tioeteri c tiofenoli d disolfuri X

22. Individua l’alogenuro alchilico secondario tra i seguenti:

a cloruro di isobutile b 2-iodopropano X

c bromuro di terz-butile d 1-cloro-1-metilcicloesano

23. Quale dei seguenti nucleofili è il più forte?

b RO− X

a ROH

c RSH

d H2O

24. Individua l’alogenuro che dà più facilmente una SN1:

a X

c CH3CH2Br

CH2Br

b CH3Br

d CH3CHBrCH3

25. Il KOH acquoso favorisce le sostituzioni, mentre in alcol favorisce le eliminazioni. Ciò significa che:

a in acqua è una base, in alcol è un nucleofilo b in alcol è una base, in acqua è un nucleofilo X c si comporta da nucleofilo in entrambi i casi d nessuna delle precedenti risposte è corretta 26. Individua il meccanismo operante nella reazione: (CH3 )3C—Br + H2O ⟶ (CH3 )3C—OH + Br−

a SN1 X

b SN2

c E1

d E2

27. Scrivi le formule dei seguenti alogenuri:

a. cloruro di benzile b. bromuro di isopropile c. 2,2-dicloro-3-metilpentano d. terz-butilioduro 28. Scrivi i nomi dei seguenti composti:

Università

Br

20. Gli alcoli sono caratterizzati da punti di ebollizione più alti dei corrispondenti alcani. Questo a causa:

a.

Br

a della possibilità di formare dei legami a idrogeno X b del tipo di legame tra O—C

c della polarità della molecola d dell’elevata simmetria delle molecole e di ragioni non ben conosciute e di ragioni non ben conosciute (Odontoiatria e protesi dentaria, aa 2008-2009)

21. Qual è il nome sistematico IUPAC del composto organico con formula CH3CBr2CH(OH)(CH2 )4CH4 ?

a 2,2-dibromo-eptan-3-olo b 7,7-dibromo-eptan-6-olo c 2,2-dibromo-ottan-3-olo X d 2,2-dibromo-ottan-2-olo e 7,7-dibromo-ottan-1-olo

OH

c. Br

b. CH3CH2

Br

d. Cl

3 Gli alcoli 4 I fenoli 29. Indica il nome del composto CH3CH=CHCH2OH:

a 2-buten-4-olo b 1-buten-2-olo

c 1-idrossi-2-butene d 2-buten-1-olo X

30. Il nome IUPAC del composto CH3CH2OCH2CH2CH3 è:

a etil propil etere b propossietano

c propil etil etere d etossipropano X

(Odontoiatria e protesi dentaria, aa 2015-2016)

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri 105


31. I fenoli sono più acidi degli alcoli perché:

a l’ossidrile è legato a un gruppo più elettronegativo b l’ossigeno ha due doppietti elettronici di non legame disponibili c X lo ione fenato è stabilizzato per risonanza dall’anello benzenico d reagiscono più facilmente con le basi forti 32. Quale dei seguenti prodotti si ottiene per disidratazione acida catalizzata del 2-metil-2-butanolo?

a 2-metil-1-butene b 2-metil-2-butene X

c 3-metil-2-butene d 3-metil-1-butene

— =

33. Che composto si ottiene facendo reagire CH3CH2CH2MgBr con la formaldeide e sottoponendo poi a idrolisi il prodotto di reazione? H O a c CH3CH2CH2CH2OH C X CH3

acetaldeide O

=

=

34. Quale tra i seguenti alcoli è il più acido?

c (CH3CH2 )3COH d (CH3 )2CHOH

b (CH3CH2 )2CHOH 35. Indica i nomi dei seguenti alcoli:

a.

OH

b.

c.

OH

d. OH OH

37. Rappresenta e indica i nomi di almeno quattro alcoli con tre atomi di carbonio.

5 Gli eteri 6 I tioalcoli e i tioeteri 38. Quale dei seguenti composti è un etere?

c CH3OCH3 X d CH3COOCOCH3

39. Tra i seguenti composti, tutti all’incirca con lo stesso peso molecolare, indica quello che è più solubile in acqua:

a n-esanolo b 1,5-pentandiolo X

COMPETENZE Analizza 43. Metti in ordine di crescente reattività nelle SN1 i seguenti composti: a. CH3Br c. CH2=CHCH2Br

d. CH(CH3 )2Br

45. Per ciascuna coppia individua quale è il composto a più alto punto di ebollizione giustificando la tua scelta: a. 1-esanolo/1-pentanolo b. 1,3-ciclopentandiolo/3-metilciclopentanolo c. propanolo/propantiolo d. dimetil etere/dietil etere e. dimetil etere/dimetil solfuro f. dipropil etere/n-esanolo

Ipotizza

36. Scrivi le formule dei seguenti alcoli: c. 2,3-dietil-1-cicloesanolo a. 3,4-dimetil-2-pentanolo b. 2,4,6-trimetil-eptan-2-olo d. 6-metil-2-cicloesen-1-olo

a CH3CH2COCH3 b CH3CH2COOCH3

42. Denomina i seguenti composti: a. CH2=CHOCH(CH3 )2 c. CH3SC(CH3 )3 = b. CH2 CHCH2OCH3 d. CH2=CHCH2SCH2CH3

44. Metti i seguenti fenoli in ordine di reattività crescente verso la sostituzione elettrofila aromatica: a. 3,4-dimetilfenolo c. 4-nitrofenolo b. 4-metilfenolo d. 2,4-dinitrofenolo

d CH3CCH3

a CH3CH2OH X

41. Scrivi le formule dei seguenti tioli e tioeteri: a. etil metil solfuro c. allil n-propil solfuro b. metantiolo d. pentan-1-tiolo

b. CH3CH2Br

O

b CH3CCH2CH3

40. Scrivi le formule dei seguenti eteri: a. metossibenzene c. 1,4-dimetossibenzene b. metil vinil etere d. diisopropil etere

c din-propril etere d eptano

106 Sezione H La chimica organica

46. Osserva il composto qui riportato. Quale dei due gruppi —OH si dissocia più facilmente?

HOCH2

47. Il BHT è utilizzato come antiossidante perché reagisce C(CH ) 3 3 con i radicali liberi, producendo a sua volta un radicale libero che è però poco reattivo. Come te lo puoi spiegare?

OH

OH C(CH3)3

OCH3

48. Gli eteri corona sono polieteri ciclici in cui si ripetono unità —OCH2CH2— derivate dal glicole etilenico. I nomi si ottengono scrivendo il numero totale di atomi e quello degli atomi di ossigeno separati dal termine -corona-. Disegna i composti 12-corona-4 e 18-corona-6.


Interpreta

57. Scegli l’alogenuro alchilico, il nucleofilo e il solvente per preparare il 2-metil-2-metossipropano. Che prodotto secondario può formarsi ad alta temperatura?

49. Etanolo e dimetil etere hanno p.e. molto diversi mentre i corrispondenti composti con lo zolfo, etantiolo e dimetil solfuro, li hanno quasi uguali. Come te lo spieghi?

58. Tra le seguenti reazioni, completa quelle possibili:

50. L’influenza del sostituente sull’acidità del fenolo dipende dalla sua posizione rispetto al gruppo —OH: come si spiega che il m-nitrofenolo abbia un valore di pKa dell’ordine di 8,4 rispetto al valore di 7,2 del p-nitrofe­nolo?

=

=

60. Which compound may serve only as a H-bond acceptor? a CH3OCH3 c CH3OH X

=

=

O

b CH3CH2OH

d. CH3CH2CCH2CH3

a Aldehyde b X Keton

H2SO4

c. etanolo ⎯⎯⎯→ alta T d. terz-butanolo + HCl ⟶

b. alcol benzilico

Glossary

c Ether d Acid

Argomenta

53. Scrivi le formule dei prodotti di ossidazione di:

a. fenolo

d HOCH2CH2OH

IN PREPARAZIONE

61. Which one is obtained when 2-butanol is o ­ xidized?

52. Tra le seguenti reazioni, completa quelle possibili:

a. fenolo + HCl ⟶ b. fenolo + NaOH ⟶

d. CH3CH2OH + HBr ⟶

That’s Science!

c. CH3CCH2CH3

b. CH3C—H

b. (CH3 )3COH + PCC ⟶

59. Rappresenta le mappe di potenziale elettrostatico (MEP) di semplici molecole usando ChemMagic®.

51. Indica quali alcoli si ottengono quando CH3CH2MgBr reagisce con: O O O

c. C(CH3 )3OH ⎯⎯⎯⎯→ H2SO4

Digitale

Risolvi

a. H—C—H

K2Cr2O7

a. CH3CH2OH + Na ⟶

c. cicloesanolo

62. Quali sono i fattori da considerare per decidere se un alogenuro alchilico dà un’eliminazione o una sostituzione?

54. Quale alchene si forma in prevalenza nelle seguenti E2?

a. 2-bromoesano + idrossido di potassio b. 2-bromoesano + terz-butilato di potassio

63. In che modo differiscono i quattro meccanismi visti per le reazioni degli alogenuri alchilici?

55. Quali alcheni si ottengono nella reazione tra il terz-butilato e il 2,4,4-trimetil-2-bromopentano?

64. Dopo aver fatto degli esempi, spiega perché alcoli e fenoli formano due distinte classi di composti organici.

56. Disidratando con acidi l’n-butanolo che prodotti si ottengono in funzione della temperatura?

65. Che cosa sono gli eteri? Perché hanno un comportamento simile agli idrocarburi?

Agenda 2030

Compito di realtà CFC, HCFC, HFC e PFC

Le sigle usate per indicare differenti gruppi di composti che hanno in comune atomi di fluoro sono tante. Altrettanto numerosi sono i loro utilizzi, ma anche i problemi che possono causare. In autonomia Rivedi il paragrafo 2 Gli alogenuri alchilici. Guarda il video Tutti pazzi per il fluoro. Cerca, quindi, le proprietà dei composti fluorurati, i loro campi di utilizzo e le problematiche connesse. In gruppo Confronta quanto hai trovato con i risultati degli altri ragazzi del tuo gruppo e riunite le notizie in una presentazione, che mostrerete alla classe. Ogni gruppo valuterà le presentazioni degli altri tenendo conto della completezza degli argomenti trattati, dell’efficacia delle presentazioni e della loro capacità di coinvolgere chi le segue. Autovalutazione • Ci sono state difficoltà a realizzare quanto richiesto? • Che cosa ti è piaciuto di più e cosa di meno del prodotto finale? • Che cosa cambieresti nel percorso di lavoro?

VIDEO IN PREPARAZIONE

Parole chiave • Fluoro • Composti fluorurati • Ozono

H3 Gruppi funzionali I: dagli alogenuri alchilici ai tioeteri 107


CHEM IN... ENGLISH

The Thalidomide tragedy 1. DESCRIBING PICTURES Look at the picture below and describe it as well as you can. Write down the IUPAC name of the compound.

chiral center O

O

N H

O

NH

O O

N

O

chiral center

H

HN

O

O

R-Thalidomide

S-Thalidomide

2. READING Read the text below and prepare a five-column chart in which you list in each column the main information regarding: description of Thalidomide, effects on pregnant women, consequences on babies, discovery of the impairments caused by Thalidomide, and turning points due to Thalidomide.

In the 1950s, scientists did not know that drug could pass through the placental barrier and impact a foetus in the womb, so the use of medications during pregnancy was not strictly controlled. Thalidomide, first commercialized as a sedative drug in 1956, was also often prescribed to pregnant women to prevent nausea, even though the drug was never tested on pregnant women before. Racemic mixtures are rare in nature, but many compounds are produced industrially as racemate. This occurs when the different spatial distribution of atoms around a chiral carbon atom produces two molecules called enantiomers that are one the mirror image of the other, and can be discriminated by their optical activity. The two molecules have different biological properties: the R-enantiomer had the desired property (sedative), whereas the S-isomer is teratogenic, causing malformations in embryos. Thalidomide, taken in early pregnancy, causes impairments such as limb difference, sight loss, hearing loss, facial paralysis, and also affects internal organs. It took five years before the connection between the 168 Sezione H La chimica organica

Thalidomide and these impairments was made, and one reason why doctors were slow to make this connection was due to the wide range of changes involved in foetal development. Another reason was that some of the limb difference impairments caused by the drug were, and are, very similar to certain genetic diseases. The first time the link between Thalidomide and its impact on development was made public was in a letter from an Australian doctor, William McBride, published in 1961, in The Lancet (a UK scientific medical journal). The drug was formally withdrawn in November 1961; but it has been estimated that worldwide more than 10,000 babies were affected by the drug. Around half died within months of being born. The babies who survived, and their families, still live with the effects of the drug. However, the Thalidomide tragedy marked a turning point in toxicity testing, as it prompted the United States and international regulatory agencies to develop systematic toxicity testing protocols; the use of Thalidomide as a tool in developmental biology also led to important discoveries in the biochemical pathways of limb development. Thalidomide. Thalidomide was commercialized as a sedative. However, its formulation was a racemic mixture and while one of the two enantiomers is therapeutic, the other is harmful.

pregnancy: gravidanza womb: utero racemate: racemo enantiomer: entantiomero

chiral: chirale teratogenic: teratogeno impairment: menomazione limb: arto

3. WEB QUEST Work in small groups and surf the Net to understand the ways in which pharmaceutical companies test their products now. Prepare a multimedia presentation of your research.

CLIL module Listen to the text above and improve your knowledge with the CLIL module Isomers and isomerism.

IN PREPARAZIONE



Dalla doppia elica L2 alla postgenomica

Flipped classroom In autonomia

■ Leggi il paragrafo 2 Amplificare e identificare una sequenza di DNA, p. 320. ■ Guarda il video Le scienze forensi: applicazioni ed esempi, p. 347.

■ Svolgi la prima parte del Compito di realtà Sulla scena del crimine, p. 347.

In gruppo Esponete ai compagni il lavoro realizzato a casa e svolgete la seconda parte del Compito di realtà.

1

bio

ch biologia molecolare

a

proteina

bio informatica

tic

ne

im

ge

ica

funzione

gene

Fig. 1 La bioinformatica elabora l’enorme quantità di dati generati dagli studi di genetica, biochimica e biologia molecolare.

La biologia molecolare La comprensione della natura chimica del DNA segnò la nascita della biologia molecolare. Dopo gli anni Cinquanta del XX secolo, infatti, si susseguirono numerose ricerche, che chiarirono i meccanismi della traduzione del DNA in proteine e della regolazione dell’espressione genica. Vent’anni più tardi si cominciarono a sviluppare le tecniche di ingegneria ­genetica, metodiche di laboratorio in grado di isolare e manipolare molecole di DNA, che hanno evidenziato la necessità di fondere le conoscenze di branche diverse del sapere quali la biochimica, la genetica e la biologia molecolare. Ben presto, l’informatica si rivelò uno strumento indispensabile per gestire, elaborare, connettere l’enorme quantità di dati generati [Fig. 1]. La specializzazione di questo ramo delle tecniche informatiche applicate alla biologia è ormai tale da costituire un settore a sé, indicato come bioinformatica. La tecnologia del DNA ricombinante Una fase chiave della bioingegneria, cioè l’applicazione dei principi e delle tecnologie dell’ingegneria alla biologia e alla medicina, è stato lo sviluppo di tecniche per la manipolazione e l’analisi del DNA al di fuori dell’ambiente cellulare. La tecnologia del DNA ricombinante rende possibile isolare, tagliare e unire sequenze di DNA provenienti da organismi diversi e introdurle in una cellula ospite per modificarne l’espressione genica. È importante notare che il trasferimento mirato di DNA può avvenire tra materiale genetico appartenente non solo a specie diverse, ma anche domini e regni differenti. Si possono, per esempio, spostare geni da un batterio a una pianta e introdurre in una cellula animale materiale genetico proveniente da vegetali.

314 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


Alla fine degli anni Sessanta del XX secolo lo studio si limitava al DNA di batteri e virus. La conoscenza del funzionamento dei geni negli organismi più complessi era molto limitata, principalmente perché non si riusciva a isolare uno specifico segmento di DNA dal resto del materiale genetico. Nel 1972 il biochimico statunitense Paul Berg (premio Nobel per la chimica nel 1980) realizzò artificialmente la prima molecola di DNA ricombinante a partire dal genoma di due virus, in particolare un batteriofago e un virus eucariotico. L’anno dopo due scienziati statunitensi, il genetista Stanley N. Cohen e il biochimico Herbert Boyer, misero a punto un innovativo esperimento di clonaggio molecolare (che approfondiremo in seguito) in cui riuscirono a ottenere il primo organismo geneticamente modificato della storia [Fig. 2]. I due scienziati individuarono in diversi ceppi del batterio E. coli due plasmidi contenenti ognuno un gene che conferisce la resistenza a un diverso antibiotico, rispettivamente kanamicina (indicato come KR ) e tetraciclina (TR ). Per prima cosa è stato necessario isolare i due plasmidi dalle colture batteriche di E. coli. Utilizzando particolari enzimi in grado di tagliare il DNA, i due geni sono stati prima isolati e poi inseriti entrambi in un unico nuovo plasmide, definito ricombinante perché composto da sequenze esogene appartenenti a diversi individui. Il plasmide risultante è stato poi inserito all’interno di cellule di E. coli sensibili ad antibiotici attraverso processi di trasformazione indotta artificialmente. È stato osservato che i batteri trasformati risultavano resistenti a entrambi gli antibiotici: è stato quindi così ottenuto un nuovo organismo transgenico, il cui patrimonio genetico risulta modificato. Escherichia coli resistente a kanamicina

Escherichia coli resistente a tetraciclina

KR

TR

VIDEO IN PREPARAZIONE

La tecnologia del DNA ricombinante

Fig. 2 L’esperimento di Cohen e Boyer: un plasmide generato dall’unione di due sequenze di DNA da organismi diversi è inserito all’interno di un batterio dando origine a un organismo geneticamente modificato.

isolamento dei plasmidi

apertura enzimatica dei plasmidi

ligazione dei plasmidi

inserimento del nuovo plasmide

TR

K

R

Escherichia coli resistente a kanamicina e a tetraciclina

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 315


Enzimi e siti di restrizione L’esperimento di Cohen e Boyer fu reso possibile dalla scoperta del microbiologo statunitense Hamilton Smith, che nel 1970 aveva identificato la prima “forbice molecolare”: un enzima di restrizione. Gli enzimi di restrizione sono endonucleasi, proteine in grado di tagliare (digerire) il DNA a livello di sequenze nucleotidiche ben precise, chiamate siti di restrizione. Gli enzimi di restrizione sono normalmente prodotti dai batteri per proteggersi dai virus che li infettano tagliandone il DNA. I batteri riescono ad agire solo sul DNA estraneo, per esempio quello virale, poiché metilano, ovvero “marchiano” con un gruppo metile —CH3 , la citosina e l’adenina che compongono i siti di restrizione presenti sul proprio DNA rendendoli irriconoscibili dall’enzima di restrizione. In questo modo i batteri evitano di autodistruggersi digerendo il proprio genoma [Fig. 3].

Fig. 3 La metilazione rende la citosina non attaccabile dagli enzimi di restrizione, preservando l’integrità del DNA batterico.

a NHCH3

NH2 N

4

5 6

1

N

N

O

N 3

b

c

DNA batterico

DNA virale

5′

3′

5′

3′

3′

5′

3′

5′

2

O

H

H

enzima (in verde) che metila la citosina del DNA batterico e rende irriconoscibile il sito di restrizione

effe radar ottetto

5′ AGCT 3′ 3′ TCGA 5′

Fig. 4 Come alcune parole, anche le sequenze di basi possono essere palindrome. Tab. 1 Alcuni enzimi di restrizione e le loro sequenze di taglio.

sito di restrizione del DNA virale attaccabile dallo specifico enzima

La presenza in contemporanea degli enzimi di restrizione e dei sistemi di metilazione delle basi azotate dei siti di taglio rappresenta una sorta di sistema immunitario primitivo per il batterio. Sono state identificate diverse centinaia di enzimi di restrizione in grado di riconoscere altrettanti siti specifici [Tab. 1]. Lo studio dei siti di restrizione ha evidenziato come loro caratteristica quella di essere sequenze di DNA palindrome. Nella lingua italiana sono definite palindrome le parole che si possono leggere in entrambi i sensi rimanendo identiche a sé stesse, proprio come accade, per esempio, con i vocaboli ottetto o anilina. Una situazione analoga si verifica con le sequenze di basi quando quella sul filamento superiore letta nella direzione 5′ → 3′ è identica a quella sul filamento inferiore letta nella stessa direzione [Fig. 4]. Un sito di restrizione è una sequenza palindroma di lunghezza variabile da quattro a otto paia di basi azotate. La frequenza dei siti di restrizione non è regolare e dipende dalla loro composizione e dalla loro lunghezza: più lunghe sono queste sequenze, meno spesso si trovano lungo il genoma.

Microrganismo

Thermus aquaticus

Haemophilus haemolitycus

Haemophilus influenzae

Escherichia coli

Escherichia coli

Serratia marcescens

Nocardia otitidiscaviarum

Enzima

TaqI

HhaI

HindIII

EcoRI

EcoRV

SmaI

NotI

Sito di restrizione

5′ T CGA 3′ 3′ AGC T 5′

5′ GCG C 3′ 3′ C GCG 5′

5′ A AGCTT 3′ 3′ TTCGA A 5′

5′ G AATTC 3′ 3′ CTTAA G 5′

5′ GAT ATC 3′ 3′ CTA TAG 5′

5′ C C C GGG 3′ 3′ GGG C C C 5′

5′ GC GGCCGC 3′ 3′ CGCCGG CG 5′

316 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


Ogni volta che un enzima di restrizione riconosce la propria sequenza palindroma, rompe il legame fosfodiesterico tra i nucleotidi adiacenti su entrambi i filamenti di DNA, ma i modi in cui agisce sono differenti. Alcuni enzimi provocano un taglio netto, mentre altri sfalsato: nel primo caso si ottengono estremità piatte, nel secondo adesive. L’enzima di restrizione HindIII [Tab. 1], per esempio, taglia tra le due A su entrambi i filamenti: quando alcune basi del DNA in corrispondenza del taglio rimangono a singolo filamento si parla di estremità adesive. La maggior parte degli enzimi di restrizione effettua un taglio sfalsato a livello delle sequenze palindrome specifiche, formando estremità adesive. Questo tipo di estremità [Fig. 5] permette l’appaiamento tra le basi a singolo filamento con quelle complementari di estremità simili formate su un altro frammento di DNA tagliato dal medesimo sito di restrizione. Ai legami a idrogeno che si formano inizialmente tra le basi delle estremità adesive segue la fusione dei due frammenti attraverso l’intervento di una DNA ­ligasi, enzima che permette il legame covalente tra i nucleotidi. Utilizzando gli enzimi di restrizione e la ligasi è dunque possibile tagliare sequenze di DNA differenti e “cucirle” assieme, dando origine a molecole di DNA ricombinante. 5′

A

A

G

C

T

T

3′

5′

A

A

A

5′ 3′

T

A

G

C

T

T

3′

A

5′

HindIII

3′

T

T

C

G

T

C

Esempio svolto Una scoperta rivoluzionaria Sin dalla loro

scoperta, nel 1970, gli enzimi di restrizione sono stati uno strumento indispensabile per l’evoluzione dell’ingegneria genetica. Oggi se ne conoscono più di tremila per il taglio di circa duecento siti. Un dato plasmide presenta i siti di restrizione per HindIII, EcoRI, SmaI, NotI e TaqI. Consideriamone il seguente frammento: 5′-CCGGATGTATTCCGAATTCAGGATAGTAGAACCCTAG-3′ 3′-GGCCTACATAAGGCTTAAGTCCTATCATCTTGGGATC-5′

Qual è l’unico enzima di restrizione che può operare? Disegniamo le estremità di taglio.

G

A

Fig. 5 L’enzima di restrizione HindIII riconosce la sequenza AAGCTT e opera il taglio tra le due adenine su entrambi i filamenti.

Soluzione Per trovare il sito di restrizione occorre esaminare il doppio filamento di DNA e, con l’aiuto della Tabella 1, procedere per esclusione, eliminando la sequenza palindroma caratteristica dell’enzima di volta in volta preso in esame. In questo modo possiamo individuare l’unica sequenza che rappresenta il sito di taglio: 5′-CCGGATGTATTCCG 3′-GGCCTACATAAGGCTTAA

AATTCAGGATAGTAGAACCCTAG-3′ GTCCTATCATCTTGGGATC-5′

Tale sito di taglio è dunque quello per EcoRI e le estremità che produce sono adesive.

Mettiti alla prova 1. Quale tra le sequenze che seguono è una sequenza palindroma? a. GTACCCTA c. CTGCAG b. CGTA d. CCCAAA

2. Nell’elenco seguente individua gli enzimi di restrizione che effettuano un taglio con estremità nette: EcoRI  SmaI  HindIII

EcoRV

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 317


Clonaggio molecolare Grazie agli enzimi di restrizione, Cohen e Boyer hanno potuto costruire le prime molecole di DNA ricombinante e aprire la strada al clonaggio molecolare. Il clonaggio molecolare

IN PREPARAZIONE

Fig. 6 Il clonaggio molecolare, qui esemplificato nella versione batterica (E. coli ), consente di produrre grandi quantità di una regione genica di interesse.

Il clonaggio molecolare è una tecnica che consente di ottenere un elevato numero di copie di una specifica regione genomica o di un gene (inserto) sfruttando un sistema cellulare. Nella ricerca, la tecnica del clonaggio è spesso utilizzata per lo studio dell’espressione e della regolazione genica, la produzione di piante o animali transgenici, la diagnosi e la cura delle malattie genetiche. Il clonaggio [Fig. 6] prevede anzitutto l’isolamento e la digestione del DNA di interesse per ottenere l’inserto da introdurre in un trasportatore specializzato, il vettore di clonaggio (per esempio un plasmide), generando così un vettore ­ricombinante. È necessario trattare entrambi i DNA (inserto e vettore) con il medesimo enzima di restrizione per ottenere le stesse estremità adesive che poi saranno fuse dall’attività della DNA ligasi (ligazione). Il vettore ricombinante è poi introdotto in una cellula ospite che si moltiplica velocemente e favorisce la replicazione del vettore, generando una colonia di cellule identiche (o clone) ciascuna contenente molte copie dell’inserto (o frammento di DNA clonato). Il trasferimento di un vettore ricombinante all’interno di una cellula ospite si chiama trasfezione negli eucarioti e trasformazione nei procarioti come i batteri. È possibile indurre artificialmente la trasformazione batterica permettendo l’introduzione del vettore attraverso la formazione di pori temporanei nella parete del batterio. Una volta all’interno della cellula batterica, i vettori ricombinanti si duplicano indipendentemente dal cromosoma batterico e si moltiplicano, ottenendo grandi quantità di frammenti specifici di DNA. Sia la ligazione sia la trasformazione possono non andare a buon fine: durante la ligazione un vettore può richiudersi senza aver incorporato l’inserto (vettore vuoto), così come durante la trasformazione non tutti i batteri incorporano un vettore (sia esso ricombinante o vuoto). Al termine del clonaggio, quindi, esistono tre tipologie di cellule: batteri non trasformati, batteri trasformati con un vettore vuoto, batteri trasformati con il vettore ricombinante. Per distinguere e isolare i cloni ricombinanti si utilizzano dei marcatori di selezione presenti nei vettori che conferiscono alla cellula particolari caratteristiche (la resistenza a un antibiotico o una specifica colorazione). semina su piastra dei batteri

gene per la resistenza a un antibiotico trasformazione batterica (non efficace con tutti i batteri) inserto

enzimi di restrizione

terreno con antibiotico per selezionare i cloni batterici trasformati

estremità adesive DNA ligasi

DNA con frammento o gene di interesse

318 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie

isolamento del DNA clonato


Vettori di clonaggio Dopo l’esperimento di Cohen e Boyer per ottenere molecole di DNA ricombinante sono stati sviluppati diversi vettori di clonaggio quali: • vettori plasmidici per inserti fino a 15 kpb; • vettori virali per inserti tra i 5 e i 25 kpb; • cosmidi, in grado di contenere inserti fino a 50 kpb; • cromosomi artificiali di lievito (YAC), che possono contenere fino a 1400 kpb; • cromosomi artificiali batterici (BAC), capaci di contenere fino a 300 kpb. Tutti questi vettori devono possedere particolari caratteristiche: • un’origine di replicazione indipendente (ori), in modo tale che la duplicazione del vettore nella cellula possa procedere in modo autonomo rispetto al genoma dell’ospite; • uno o più marcatori di selezione, ovvero geni i cui prodotti di espressione servono a selezionare le cellule trasformate (o trasfettate) e a individuare le cellule che hanno acquisito il vettore ricombinante; • un tratto contenente un sito di clonaggio multiplo (noto come polylinker), ossia una breve sequenza nucleotidica contenente molti siti di restrizione unici ognuno specifico per un singolo enzima. In genere, il polylinker è contenuto nella regione codificante per un marcatore di selezione (in questo caso è definito gene reporter) che può essere un gene per la resistenza a un antibiotico oppure un gene che codifica per una proteina fluorescente o per l’enzima di un substrato cromogeno [Fig. 7]. Se l’inserto si integra al suo interno, interrompe la sequenza codificante del gene reporter determinando un’inattivazione inserzionale che può essere facilmente identificata [Fig. 8]. SacI SmaI XbaI PstI HindIII GAATTCGAGCTCGGTACCCGGGGATCCTCTAGAGTCGACCTGCAGGCATGCAAGCTT EcoRI

KpnI gene reporter

ampR

BamH

SalI

SphI

polylinker

ori

Fig. 7 Struttura semplificata di un plasmide utilizzato per il clonaggio molecolare. Il plasmide comprende un’origine di replicazione (ori ), un gene reporter che ospita al suo interno il polylinker e un gene per la resistenza a un antibiotico (in questo caso ampicillina, ampR) per una doppia selezione.

Fig. 8 Il marcatore di selezione in queste colonie trasformate è lacZ che codifica per la beta-galattosidasi. Il substrato cromogeno aggiunto al terreno sviluppa una colorazione blu quando l’enzima è attivo. Quindi le colonie bianche sono quelle con il DNA ricombinante (inattivazione inserzionale), quelle blu contengono il plasmide vuoto.

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 319


2

Amplificare e identificare una sequenza di DNA Da quando sono state individuate la struttura e la funzione del DNA, il sogno degli scienziati è stato quello di poter leggere il nostro genoma come se fosse il “libretto di istruzioni” che descrive il funzionamento degli organismi. DNA ricombinante e PCR hanno permesso agli scienziati di isolare i geni oggetto di studio e, contemporaneamente, disporne di grandi quantità. In questo modo è stato possibile automatizzare e velocizzare il processo di identificazione e sequenziamento dei geni. Qui di seguito passeremo in rassegna le tecniche che hanno portato a questi risultati.

3′

5′

5′

primer

La PCR (Polymerase Chain Reaction) è una tecnica che consente di produrre rapidamente milioni di copie identiche di una regione di DNA a partire da quantità ridotte di materiale.

3′ direzione di crescita

direzione di crescita 3′

primer 5′

5′

3′ regione bersaglio

Fig. 9 I primer innescano l’amplificazione delle regioni di DNA.

VIDEO IN PREPARAZIONE

La reazione a catena della polimerasi (PCR)

La PCR Per poter inserire una sequenza di DNA d’interesse in un plasmide, e quindi introdurre il vettore ricombinante all’interno di un batterio, occorre avere a disposizione una discreta quantità di copie della sequenza in esame. La possibilità infatti che il vettore non includa il frammento è piuttosto elevata. A partire dal 1985 fu ideata una tecnica di amplificazione in vitro del DNA, nota come PCR, o reazione a catena della polimerasi.

Per fare una PCR è innanzitutto necessario individuare la regione bersaglio che si vuole amplificare e conoscere perfettamente le sequenze nucleotidiche che la delimitano. Queste rappresentano infatti gli “stampi” per la sintesi in vitro degli inneschi (o primer), dai quali avrà poi origine la reazione di duplicazione della regione bersaglio. I primer sono due segmenti di DNA a singolo filamento di circa 15-25 nucleotidi complementari alle sequenze del DNA bersaglio, rispettivamente all’inizio su un filamento e alla fine sul filamento opposto. I primer sono progettati in modo da appaiarsi con il filamento complementare e consentire alla DNA polimerasi di aggiungere nucleotidi all’estremità 3′. In questo modo la sintesi di DNA procede su entrambi i filamenti in direzione 5′ → 3′ [Fig. 9]. A partire dai primer, la DNA polimerasi catalizza l’aggiunta dei singoli nucleotidi sulla base della sequenza complementare che fa da stampo. La reazione di replicazione della regione di DNA d’interesse ha luogo in uno strumento chiamato termociclatore e prevede il succedersi di cicli di amplificazione suddivisi in tre fasi a diverse temperature [Fig. 10]. • 94 °C: denaturazione della doppia elica del DNA stampo nei due singoli filamenti che la compongono, poiché ad alte temperature avviene la rottura dei legami a idrogeno che tengono unite le coppie di basi complementari. • 50-65 °C: appaiamento dei primer alle sequenze di DNA a singolo filamento localizzate alle estremità del frammento bersaglio. La temperatura di appaiamento varia in relazione alla lunghezza e alla composizione dei primer. In particolare, sono richieste temperature di appaiamento più alte per primer più lunghi e con una maggior presenza di guanine e citosine. • 72 °C: estensione, in cui avviene la polimerizzazione a partire dai primer mediante aggiunta di desossiribonucleotidi nella direzione 5′ → 3′ per opera della DNA polimerasi. Alcune polimerasi hanno un’alta efficienza a 60 °C, per cui le fasi di appaiamento ed estensione possono avvenire alla stessa temperatura riducendo i tempi di reazione.

320 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


Con il primo ciclo di PCR, da ogni molecola di DNA presente nel campione originale se ne ottengono due e a ogni ciclo, il numero di copie del DNA bersaglio raddoppia fino al raggiungimento di oltre 2 miliardi di molecole dei DNA in 31 cicli (teoricamente: 231 = 2 147 483 648). La versione iniziale della tecnica di PCR, messa a punto dal biochimico statunitense Kary Mullis nel 1985, utilizzava la DNA polimerasi I di E. coli, un enzima instabile alle alte temperature, che si inattivava durante la fase di denaturazione e che quindi doveva essere aggiunto di nuovo a ogni ciclo. Nel 1989 fu isolata una DNA polimerasi termostabile prodotta dal batterio termoresistente Thermus aquaticus, la Taq DNA polimerasi. L’uso di questa polimerasi ha permesso di realizzare la fase di estensione a 72 °C, aumentando la resa e la specificità dei prodotti di reazione e, soprattutto, consentendo l’automazione del processo. La PCR è utilizzata in svariati ambiti di applicazione. Le grandi quantità di DNA ottenute con la PCR consentono infatti un’ampia varietà di analisi come l’identificazione di malattie ereditarie, i test di paternità e l’analisi di DNA recuperati da organismi scomparsi. È inoltre possibile verificare la presenza di DNA di agenti patogeni, sia virus sia batteri, in alimenti o individui. La PCR è anche spesso utilizzata per verificare la presenza e correttezza dell’inserto di interesse nei vettori in seguito a esperimenti di clonaggio molecolare.

Fig. 10 Il termociclatore contiene una piastra riscaldata, nella quale vengono inseriti i campioni. È possibile programmare l’apparecchio prevedendo il ripetersi ciclico di differenti temperature con rapidi riscaldamenti e raffreddamenti. Nella PCR ogni ciclo è composto di tre momenti: denaturazione del DNA, appaiamento dei primer, estensione per polimerizzazione delle catene di DNA nascenti.

termociclatore

primer 3′

5′

3′

5′

3′

primer 5′

5′

3′

singoli 5′ nucleotidi

5′

3′

3′ Taq polimerasi

5′

3′

regione di interesse

5′

3′

94 ºC denaturazione

5′

primer 5′ 50–65 ºC appaiamento

3′

5′

primer 5′

3′

72 ºC estensione

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 321


Real-time PCR La PCR consente l’amplificazione di una sequenza di DNA ma non fornisce una misura del numero di copie della sequenza presente in un dato campione. Con la finalità di rendere la PCR una tecnica quantitativa, sono state sviluppate delle varianti della metodica, come la Real-Time PCR, denominata anche PCR quantitativa in tempo reale. La Real-Time PCR è una tecnica molto sensibile che permette di quantificare una sequenza di DNA seguendone l’amplificazione con marcatori fluorescenti. Sono stati sviluppati diversi sistemi di marcatura, il più semplice usa sostanze intercalanti fluorescenti, come per esempio il SYBR green. Queste molecole si inseriscono in modo non specifico nel doppio filamento di DNA durante la fase di estensione e, una volta eccitate, emettono un’intensa fluorescenza proporzionale alla quantità di DNA amplificato che a sua volta dipende dalla quantità di DNA iniziale. Comparando la fluorescenza del prodotto di PCR con un riferimento a concentrazione nota, è possibile calcolare la quantità di materiale genetico presente nel campione di partenza. La Real-Time PCR trova svariate applicazioni in diversi campi della ricerca, per esempio, nel controllo qualità degli alimenti, nella quantificazione virale, negli studi di espressione genica. Separare e identificare i frammenti di DNA Per valutare i prodotti di una PCR occorre separare i frammenti di DNA e visualizzarli attraverso la tecnica dell’elettroforesi su supporti di gel. L’elettroforesi su gel è una metodica che sfrutta la carica elettrica delle molecole (acidi nucleici o proteine) per separarle tramite l’azione di un campo elettrico. A pH neutro, i frammenti di DNA sono tutti carichi negativamente a causa dei gruppi fosfato presenti; se sottoposti a un campo elettrico, i frammenti si muovono verso l’elettrodo positivo (corsa elettroforetica) con velocità diverse in funzione della loro dimensione [Fig. 11]. Il gel può essere di agarosio o di poliacrilammide e si comporta come un setaccio, che rallenta in modo differenziato le molecole: le più corte sfuggono meglio, mentre le più lunghe sono trattenute di più. A corsa terminata e a separazione effettuata, i frammenti intrappolati nel gel vengono colorati per renderli visibili e poter effettuare l’analisi comparativa. a

b

c

Fig. 11 Il campione con la miscela da separare è prelevato [a], caricato nei pozzetti del gel e sottoposto all’azione di un campo elettrico [b]. I diversi segmenti di DNA e la loro posizione sono resi visibili dalla presenza di un colorante sensibile alla luce UV [c].

322 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


Analisi dei siti di restrizione Un tipico esempio applicativo di questa tecnica è l’analisi dei siti di restrizione sui plasmidi ottenuti da un esperimento di clonaggio, per valutare l’effettiva inserzione del segmento di DNA esogeno. Più in generale:

marker (pb)

enzima 3

enzima 2

enzima 1

I gel di agarosio sono utilizzati per la maggior parte delle elettroforesi di campioni di DNA e sono tipicamente usati per separare frammenti di dimensioni variabili da poche centinaia di basi a 20 kpb. Essi sono largamente utilizzati per la maggior parte delle analisi di routine su DNA. Una soluzione di agarosio, con il raffreddamento, gelifica formando una matrice la cui porosità dipende dalla concentrazione dell’agarosio stesso. I gel di poliacrilammide sono usati per separare frammenti di DNA < 500 pb e hanno un’elevata risoluzione, ma sono più complicati da preparare e da maneggiare rispetto ai gel di agarosio.

10 000 2200 1200

una mappa di restrizione si ottiene dalla combinazione delle lunghezze dei frammenti generati per digestione totale o parziale di una molecola di DNA con uno o più enzimi di restrizione. I frammenti risultanti dalla digestione del DNA sono separati e analizzati mediante elettroforesi su gel di agarosio. Si esamina così il numero di frammenti, la loro lunghezza e le posizioni relative dei diversi siti [Fig. 12]. In pratica, per valutare l’efficacia del clonaggio si digerisce il DNA plasmidico con ogni singolo enzima di restrizione utilizzato per il clonaggio e si carica su gel ciascuna digestione in un pozzetto distinto [Fig. 13]; in un ulteriore pozzetto si carica invece una miscela commerciale di frammenti nucleotidici di dimensioni note (marker), che sarà d’aiuto nell’identificazione delle dimensioni dei frammenti ottenuti dalle digestioni.

600 500 100 Fig. 12 Elettroforesi su gel di agarosio dei prodotti della digestione di DNA plasmidico trattato con tre diversi enzimi di restrizione.

Fig. 13 L’elettroforesi su gel di agarosio permette di confrontare diverse mappe di restrizione.

soluzione di DNA

enzima 1

enzima 2

enzimi 1+2

frammenti A

B

C

D

C

E

B

− A C corsa elettroforetica

C

D E B

B

+

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 323


• DNA e scienze forensi • Analisi dell’impronta genetica

IN PREPARAZIONE

Analisi forensi e identità genetica Si stima che nella popolazione umana più del 99% della sequenza del DNA sia identica, benché si possano osservare delle regioni (loci polimorfici) di maggiore variabilità di sequenza tra i singoli individui. La più comune variazione di sequenza è rappresentata dal polimorfismo di un singolo nucleotide o SNP (Single-Nucleotide Polymorphism), in cui si osserva una singola differenza di basi tra due diversi individui. Questi cambiamenti, se localizzati in corrispondenza di siti di restrizione, determinano la produzione di frammenti di DNA di numero e lunghezza differente da persona a persona. ­Questo fenomeno è chiamato polimorfismo della lunghezza dei frammenti di restrizione o RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphism) ed è utilizzato come marcatore molecolare nei test per l’attribuzione della paternità, nelle analisi forensi o per la diagnosi di alcune malattie genetiche. Un altro tipo di variazione piuttosto comune è dato dai microsatelliti, piccole sequenze di DNA disperse per tutto il genoma, costituite da 2-6 pb ripetute in tandem, ovvero una dopo l’altra. Il numero di copie di queste ripetizioni in una particolare regione del genoma è un carattere distintivo di un certo individuo. I microsatelliti sono sequenze impiegate come marcatori molecolari che consentono di realizzare un’impronta genetica per individuare un soggetto (DNA profiling). Nell’essere umano, per esempio, è comune il microsatellite dinucleotidico 5′-AC-3′, presente nel genoma in diverse migliaia di copie.

Esempio svolto Un DNA colpevole Il 10 luglio 1991, a Roma, fu

trovata assassinata la contessa Alberica Filo della Torre. Il caso rimase irrisolto per una ventina d’anni, fino a che nel 2011 la prova del DNA identificò il colpevole in un cameriere, ex dipendente della famiglia, che poi confessò. Questo delitto è un famoso cold case italiano risolto grazie all’impiego dell’impronta genetica. Immaginiamo di essere investigatori della polizia scientifica e di aver effettuato il test del DNA su cinque campioni giunti in laboratorio: sangue riconducibile con

certezza all’assassino (A), sangue della vittima (V) e sangue di tre sospetti colpevoli (S1 , S2 , S3 ), ottenendo l’immagine qui riprodotta. Quali conclusioni possiamo trarre?

A

V

S1

S2

S3

Soluzione Il colpevole è con certezza il sospettato S2 : il suo campione corrisponde perfettamente a quello riconducibile all’assassino.

Mettiti alla prova 3. Un plasmide di 6 kpb è digerito con due enzimi di restrizione. L’analisi elettroforetica rivela una banda a 2 kpb per PvuII e una banda a 6 kpb per EcoRI. Quanti siti di restrizione possiede ciascun enzima?

Sequenziamento del DNA

IN PREPARAZIONE

4. Un plasmide di 4000 pb è tagliato con l’enzima EcoRI. La corsa elettroforetica rivela due bande a 3000 pb e a 1000 pb. Quanti siti di restrizione possiede l’enzima? A quale distanza relativa?

Determinare la sequenza del DNA Inizialmente, i metodi per sequenziare il DNA erano approcci chimici lenti e laboriosi. Grazie alla possibilità di usare le polimerasi in vitro, nel 1975, fu sviluppata una nuova tecnica: il metodo di terminazione della catena, o metodo ­Sanger, dal nome del biochimico inglese Frederick Sanger. Questa tecnica prevede che degli inneschi sintetici si appaino, in una reazione in provetta, a un solo frammento di DNA a singolo filamento di sequenza ignota. Quest’ultimo è ­utilizzato come stampo dalla DNA polimerasi che inizia così l’allungamento

324 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


a­ ggiungendo i dNTP forniti. All’interno della miscela di dNTP sono volutamente introdotte piccole quantità di nucleotidi particolari chiamati terminatori [Fig. 14].

P—P—P—

Un terminatore è un didesossiribonucleotidetrifosfato (ddNTP), ovvero un desossiribonucleotidetrifosfato (dNTP) nella cui molecola di ribosio l’unico gruppo —OH è stato sostituito con un atomo di idrogeno.

OH

A causa della mancanza del gruppo —OH, i terminatori non sono in grado di legarsi a un nucleotide successivo e quindi interrompono la reazione di polimerizzazione bloccando la sintesi della catena. La casualità dell’aggiunta alla sequenza in crescita di un dNTP o del corrispondente ddNTP determina la sintesi di filamenti di diversa lunghezza, che si concludono però tutti con un ddNTP. Separando queste sequenze su gel e ordinandole dalla più corta (innesco + primo ddNTP) alla più lunga (innesco + intera sequenza + ultimo ddNTP), si può ricostruire l’esatta successione con cui i nucleotidi sono aggiunti al filamento in crescita e quindi, per complementarità, ricavare la sequenza di basi sullo s­ tampo. In passato, il riordino dei frammenti nella giusta sequenza era effettuato manualmente mediante elettroforesi su gel, e permetteva di leggere 200-300 pb in due-tre giorni. Oggi il metodo Sanger è stato automatizzato grazie all’uso di terminatori marcati con un fluoroforo che emette un colore specifico per ciascuno dei quattro ddNTP. Per separare i frammenti di DNA si ricorre all’elettroforesi capillare su gel di poliacrilammide, che permette di separare frammenti che differiscono in lunghezza anche solo per un nucleotide. Le sequenze sono lette da un rilevatore che identifica automaticamente il segnale emesso dai fluorofori eccitati da un fascio laser. Le informazioni ottenute sono poi elaborate da un computer, che ricostruisce la sequenza producendo un cromatogramma dove verranno visualizzati picchi di colore diverso in base al fluoroforo. Oggi il metodo Sanger è più efficiente perché consente di sequenziare in poche ore frammenti di DNA fino a 1000 pb [Fig. 15].

H

desossiribonucleotidetrifosfato (dNTP)

P—P—P—

A, T, C o G

O

H

H

didesossiribonucleotidetrifosfato (ddNTP)

Fig. 14 Desossiribonucleotidetrifosfato (dNTP) a confronto con il corrispondente terminatore, il didesossiribonucleotidetrifosfato (ddNTP).

Fig. 15 Sequenziamento Sanger automatizzato.

➀ Ricombinazione del primer ed estensione ➁ Inserimento del ddNTP e terminazione

Materiale di partenza DNA stampo

T

G A

ddATP

ddTTP

ddGTP

ddCTP

A

T

G

C

DNA polimerasi

A, T, C o G

O

dNTPs

A

C

Il ddNTP blocca l'estensione della sequenza

primer

A

➂ DNA marcato con terminatore fluorescente

➃ Elettroforesi capillare e rilevamento

➄ Analisi e assemblaggio della sequenza

Campione di DNA

G

G

T

T

C

C G

G A

A Rilevatore

laser

T

T

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 325


DNA stampo

basi azotate

nanopore

corrente

membrana

A

C T

C

A G

G

T

tempo

corrente ionica

Fig. 16 Rappresentazione in sezione del sistema di sequenziamento Nanopore.

Fig. 17 Il livello di miniaturizzazione dei sequenziatori ha raggiunto le dimensioni di una chiavetta USB con il dispositivo MinION [a]. I primi sequenziatori erano ben più ingombranti e meno efficienti, per questo motivo si utilizzavano più strumenti in parallelo [b].

Già a partire dall’inizio del XX secolo, ci si rese conto della necessità di identificare metodiche di sequenziamento con una maggiore efficienza, tempi ridotti e costi meno proibitivi rispetto al sequenziamento Sanger automatizzato. Le tecnologie di sequenziamento di nuova generazione (NGS) sono in grado di sequenziare più frammenti di DNA in contemporanea, attraverso l’esecuzione simultanea di innumerevoli reazioni in un processo denominato sequenziamento massivo parallelo. Le tecnologie di NGS sono distinte secondo il livello di avanzamento della ricerca. Le tecnologie di seconda generazione, o tecnologie di lettura breve, sono accomunate dalla necessità di amplificare ancora il materiale genetico di partenza mediante PCR e la sequenza del DNA è determinata un nucleotide alla volta. Negli ultimi anni si sono sviluppate le tecnologie di terza generazione, o tecnologie di lettura lunga in tempo reale, che consentono un sequenziamento molto rapido senza richiedere l’amplificazione preliminare del campione e permettono di sequenziare il genoma umano al costo di qualche centinaio di euro. Tra le più promettenti compare il sequenziamento del DNA a nanopori (Nanopore Sequencing Technology, NST ) [Fig. 16]. Questa tecnologia utilizza nanopori proteici inseriti in una membrana lipidica elettricamente resistente, a cui è applicata una differenza di potenziale con la generazione di una corrente ionica che scorre solo attraverso il nanoporo. Quando il filamento di DNA transita all’interno del nanoporo blocca il passaggio degli ioni generando interruzioni variabili nella corrente specifiche per ogni nucleotide. Tramite la lettura del segnale elettrico e delle sue variazioni è così possibile identificare l’intera sequenza nucleotidica transitata. Un’azienda inglese ha sviluppato e commercializzato dal 2014 MinION, un sequenziatore miniaturizzato alimentato semplicemente tramite una porta USB, basato proprio sul principio del sequenziamento a nanopori [Fig. 17a]. Paragonando questi sequenziatori di ultima generazione con quelli utilizzati per i primi esperimenti di sequenziamento solo dieci anni prima, è evidente che sono stati fatti grandi passi avanti [Fig. 17b]. Oggi l’intera sequenza dei genomi appartenenti a diversi organismi è stata definita e pubblicata online facilitando lo studio dei geni. Anche grazie al sequenziamento, infatti, la ricerca per lo studio dei geni e dei loro prodotti ha subìto negli ultimi anni un salto di qualità. a

b

Esempio svolto La rarità del taglio Per poter sequenziare un genoma Soluzione occorre utilizzare enzimi di restrizione rari, ossia enzimi che riconoscano siti di taglio poco frequenti (per esempio NotI). In modo tutto sommato abbastanza intuitivo, più lunga è la sequenza palindromica, minore sarà in genere la sua frequenza a livello del genoma. Spieghiamo il motivo del loro impiego.

326 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie

Tagliando un genoma con enzimi di restrizione rari si ottengono frammenti più lunghi, che agevoleranno il sequenziamento grazie alla maggiore sovrapposizione tra essi. Un enzima con siti di taglio frequenti, infatti, genera un numero maggiore di frammenti di piccole dimensioni e più complicati da sovrapporre.


Le librerie genomiche Per individuare un gene e studiare genomi complessi è possibile costruire una genoteca o libreria genomica. Il primo passo è digerire il genoma con un enzima di restrizione, in modo da ottenere una miscela di frammenti di DNA. Ogni frammento è inserito all’interno di un vettore (simile ai plasmidi descritti in precedenza, ma modificato per poter ospitare grandi frammenti di DNA) che, è trasferito tramite trasformazione in E. coli. I batteri trasformati sono diluiti e poi seminati su una piastra Petri in modo tale che ogni singolo batterio formi una colonia separata dalle altre. Ogni batterio trasformato, e la colonia che formerà dividendosi, rappresenta un clone unico poiché contiene uno specifico e unico frammento del DNA genomico. Così si creano dei depositi di informazione genetica facilmente manipolabile e identificabile: l’insieme dei cloni contenenti ciascuno un frammento del genoma è detto libreria genomica [Fig. 18].

il DNA genomico è tagliato con differenti enzimi di restrizione ottenendo frammenti diversi

Fig. 18 Le fasi che portano alla conservazione del DNA genomico attraverso la produzione di librerie genomiche.

inserendo i vettori in Escherichia coli si costruisce una libreria genomica

con la DNA ligasi si ottengono vettori ricombinanti

Una libreria genomica è una collezione di segmenti di DNA provenienti dal genoma di un organismo, ospitati in vettori ricombinanti all’interno di cellule batteriche. Le librerie genomiche rappresentano il materiale su cui realizzare le reazioni di sequenziamento di genomi di grandi dimensioni. Terminati i sequenziamenti di tutti i cloni, la fase successiva consiste nell’unirli nell’ordine corretto per ricostruire il genoma iniziale. La sequenza originale è ottenuta con l’aiuto di programmi avanzati che cercano i punti di sovrapposizione tra i frammenti [Fig. 19]. Il metodo appena descritto è chiamato shotgun (colpo di pistola) perché, come un proiettile frammenta ciò che colpisce, così questa tecnica necessita della frammentazione del genoma per poterne ricostruire la sequenza. Oltre alle librerie genomiche, è possibile realizzare delle collezioni delle sole regioni codificanti partendo dall’insieme di mRNA isolati da una cellula. Da questa miscela di mRNA, si ricava per retrotrascrizione data dall’enzima trascrittasi ­inversa, il DNA complementare, detto cDNA. Tale DNA sarà privo di sequenze introniche, poiché ogni cDNA è prodotto a partire dal trascritto maturo di uno specifico gene. La miscela di cDNA così ottenuta può essere poi clonata, come il normale DNA genomico, permettendo così di ottenere una libreria a cDNA.

TAC TAC G TT G TTAA TTAA CGT CGTAGCT GCTGC TAC G TTAA CGTA GCTGC Fig. 19 I singoli frammenti del genoma sono sequenziati e le sovrapposizioni delle basi consentono al computer di ottenere la sequenza originale.

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 327


Identificazione di un gene Per identificare il clone di una genoteca che contiene il gene di interesse occorre effettuare lo screening della genoteca stessa, un processo che può avvenire in due modi: 1. mediante PCR; 2. attraverso l’ibridazione con una sonda di acidi nucleici. Nel caso di screening mediante PCR è necessario conoscere una parte della sequenza del gene di interesse in base alla quale costruire i primer. Ogni clone viene trasferito nel pozzetto di una piastra e rappresenterà lo stampo per la reazione di amplificazione. I prodotti di reazione sono caricati su un gel di agarosio per individuare il clone positivo dopo la corsa elettroforetica [Fig. 20]. Fig. 20 Screening di una genoteca mediante PCR. Il clone positivo sarà quello che corrisponde al pozzetto dove si visualizza la banda delle dimensioni attese.

➀ trasferire le colonie in

provette contenenti pochi μL di terreno di coltura

➁ aggiungere una soluzione di lisi e agitare

➂ caricare i campioni su gel di

agarosio e dopo la corsa colorare

Il secondo metodo di screening si basa sulla capacità del DNA a singolo filamento di legare una sequenza complementare (ibridare). Per effettuare uno screening mediante ibridazione è necessario preparare una sonda a DNA. Una sonda è una molecola di acido nucleico complementare alla sequenza di interesse marcata con traccianti chimici o radioattivi. La sonda si può ottenere sulla base della sequenza, o parte di essa, del gene di interesse, sulla base della sequenza di un gene omologo di un’altra specie, oppure partendo dalla proteina e risalendo alla sequenza nucleotidica, ottenendo così degli oligonucleotidi degenerati. Per procedere con l’ibridazione, i cloni della genoteca devono essere trasferiti su una membrana di nitrocellulosa (filtro). La membrana viene trattata in modo da rompere le cellule batteriche esponendo il DNA. A questo punto il filtro viene messo a contatto con la sonda che si legherà alle sequenze a lei complementari (ibridazione). In base alla marcatura della sonda si adotterà il metodo di rivelazione più opportuno. Se la sonda è radioattiva sarà in grado di impressionare una lastra autoradiografica in un processo molto simile alla produzione di radiografie in ambito ortopedico. Il confronto tra il segnale del filtro e la piastra Petri di origine consentirà di risalire al clone positivo, che contiene cioè il gene di interesse [Fig. 21]. Il clone positivo potrà essere quindi utilizzato per l’analisi del gene. Attualmente i ricercatori non devono necessariamente costruire una genoteca per studiare un gene umano perché tutte le sequenze del DNA umano sono oggi disponibili online, grazie al Progetto Genoma Umano. Ciò agevola molto gli studi sul nostro genoma rendendo più veloce il progresso scientifico. Vedremo nel prossimo paragrafo come si è sviluppata la ricerca per lo studio dei geni. 328 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


➂ il filtro è trattato

filtro di nitrocellulosa

con la sonda radioattiva e lavato per rimuovere l’eccesso

➃ la sonda riconosce in modo

specifico il gene di interesse contenuto nel plasmide

sonda a DNA radioattiva

➄ si espone il filtro a una DNA legato al filtro piastra Petri con colonie batteriche trasformate con plasmidi ricombinanti (genoteca)

➅ viene individuata la posizione ➀ facendo aderire il filtro alla piastra Petri si ottiene una replica delle colonie

delle colonie con il plasmide di interesse

➁ il filtro viene trattato

in modo da lisare i batteri e denaturare il DNA

La biologia dei sistemi Il sequenziamento completo del genoma di diversi organismi e virus è una rivoluzione che ha sommerso la comunità scientifica di una valanga di informazioni, di nuove consapevolezze e di molte domande. Ci si è accorti che la complessità di un organismo non può dipendere solo dal numero dei geni contenuti nel suo DNA: il numero di geni di un essere umano, infatti, è solo doppio rispetto a quello del moscerino della frutta ed è addirittura inferiore a quello dell’orzo [Fig. 22]. Non è quindi sufficiente la sola conoscenza dell’informazione genica contenuta nel genoma, ma è necessario considerare anche i meccanismi di regolazione della sua espressione. Da questo presupposto è nata la necessità di utilizzare un nuovo approccio per lo studio della biologia integrando lo studio del DNA con quello delle altre biomolecole. Le modificazioni epigenetiche, la maturazione dell’mRNA dopo la trascrizione e prima della traduzione, la possibilità dell’RNA di fare da stampo per dare origine al DNA, come nel caso dei retrovirus, sono tutti meccanismi biologici che hanno smentito il dogma centrale della biologia, secondo il quale le informazioni contenute nel DNA di un gene sono trasferite in modo unidirezionale prima all’RNA e poi a una proteina. Inoltre, è stata rivista l’ipotesi “un gene, un polipeptide” poiché da uno stesso gene si possono originare proteine diverse a causa di modificazioni post-trascrizionali e post-traduzionali indipendenti dal DNA. 29 550

30 000 numero di geni

3

lastra autoradiografica

23 527

22 500 13 931

15 000 7500

Fig. 21 Screening di una genoteca mediante ibridazione con una sonda a DNA radioattiva marcata con isotopo 32P.

Fig. 22 Numero di geni in organismi ed entità biologiche (virus) di diversa complessità.

17 055

4478

12 0 SARS-CoV-2 E. coli moscerino

ratto

H. sapiens

orzo

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 329


Per studiare i diversi insiemi di biomolecole si sono sviluppate le scienze omiche che, grazie allo sviluppo di sistemi informatici specifici, contribuiscono alla creazione di banche dati per una nuova disciplina chiamata biologia dei sistemi. La biologia dei sistemi ha lo scopo di ordinare e integrare i dati delle scienze omiche per comprendere le funzioni cellulari e fornire modelli predittivi per la valutazione del funzionamento dei sistemi viventi. Le principali scienze omiche sono: • la genomica, che studia il DNA; • la trascrittomica, che studia gli mRNA; • la proteomica, che studia le proteine; • la lipidomica, che studia i lipidi; • la metabolomica, che studia i metaboliti cellulari. Nel corso degli anni, queste discipline hanno dato origine a nuovi campi d’indagine come la farmacogenomica o l’epigenomica, che approfondiremo di seguito. Genomica e bioinformatica Grazie a tutte le conoscenze e le tecniche fin qui analizzate, i biologi molecolari hanno potuto portare a termine il primo grande esperimento su larga scala delle scienze biologiche, che ha visto riuniti in una competizione internazionale centri di ricerca pubblici e privati di tutto il mondo: il Progetto Genoma Umano (HGP). Con questo progetto è nata una nuova branca della biologia: la genomica studia l’insieme dei geni che compongono il corredo genetico di una cellula o di un organismo.

Fig. 23 Francis Collins e Craig Venter annunciano il completamento di HGP nel 2003 con una conferenza stampa alla Casa Bianca (Washington DC, USA).

L’obiettivo principale di HGP, avviato nel 1987, era determinare la sequenza nucleotidica del corredo genetico umano, identificando e mappando i geni di cui è composto. In questa impresa, in particolare, concorsero due importanti figure: Francis Collins, a capo di HGP sovvenzionato da fondi pubblici, e il concorrente Craig Venter, bioimprenditore e fondatore dell’azienda privata Celera Genomics. Gli scienziati utilizzarono campioni di DNA provenienti da undici donatori anonimi e ricostruirono un’unica sequenza del genoma di riferimento, noto come GRCh38 (Genome Reference Consortium build 38) composto dai 22 cromosomi autosomici e i due cromosomi sessuali X e Y. Il sequenziamento richiese, con le tecnologie del tempo, oltre dieci anni e investimenti da miliardi di dollari. Il 26 giugno 2000, in una storica conferenza stampa alla Casa Bianca, l’allora presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e il primo ministro britannico Tony Blair, annunciarono che HGP e Celera Genomics, avevano realizzato la prima bozza del genoma umano, poi completata nel 2003 [Fig. 23]. In realtà, rimaneva da sequenziare ancora un 8%, circa 200 milioni di paia di basi, del genoma perché formato da porzioni di DNA altamente ripetitive, difficili da decifrare e combinare per i macchinari allora disponibili. Il risultato definitivo è stato raggiunto nel 2022 dal consorzio Telomere-to-Telomere (T2T) grazie alle tecnologie di sequenziamento di terza generazione, partendo dal DNA di una particolare linea cellulare omozigote (CHM13), priva del cromosoma Y e costituita da due copie identiche dei 23 cromosomi. Sono stati così identificati 115 geni codificanti per proteine di cui si dovrà scoprire la funzione biologica e sono state decifrate, nelle zone terminali dei cromosomi e nelle prossimità delle regioni centromeriche, le sequenze ripetitive mancanti.

330 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


Disporre della mappa completa del genoma umano è un risultato tecnico rilevante che avvierà i lavori verso una sua effettiva interpretazione a livello molecolare e aprirà nuove prospettive per la medicina personalizzata, per gli studi sull’evoluzione e per la genetica di popolazione. Durante HGP, la necessità di catalogare e rendere universalmente disponibili tutti i dati della sequenza ha segnato la nascita di una nuova disciplina, che fonde le competenze della matematica e delle scienze dell’informazione con quelle della biologia: la bioinformatica utilizza strumenti informatici per descrivere dal punto di vista numerico e statistico determinati fenomeni biologici. Un bioinformatico non si occupa solo di sviluppare programmi capaci di registrare e organizzare le sequenze nucleotidiche o amminoacidiche in banche dati digitali, ma deve anche ideare modelli statistici validi per l’interpretazione dei dati di sequenza o di struttura, cercando di identificare al loro interno tendenze, frequenze rilevanti e associazioni. Già nel 1988 il governo degli Stati Uniti istituì il Centro nazionale di informazione biotecnologica (NCBI), un’enorme banca dati digitale dove registrare e catalogare le informazioni riguardanti le sequenze e le strutture di DNA, RNA e proteine e raccogliere le pubblicazioni scientifiche [Fig. 24]. La valanga di informazioni contenute in cataloghi come NCBI permette lo studio delle molecole anche al di fuori di un laboratorio, basta disporre di un computer. L’utilizzo della bioinformatica è fondamentale anche per l’analisi dei geni e dei loro prodotti. Dopo aver determinato la sequenza del genoma umano i ricercatori si resero conto che l’individuazione della funzione di ogni singolo gene era ancora lontana. Scoprirono che solo il 2% del genoma umano è costituito da geni e la parte restante, quella cioè che non codifica per proteine, fu affrettatamente definita “DNA spazzatura”. In seguito si ipotizzò che questo DNA non codificante potesse comunque avere un ruolo nella regolazione dell’espressione dei geni, per “accendere” o “spegnere” i geni innescando o disinnescando la sintesi di una specifica proteina nella quantità necessaria. Sarebbe pertanto un DNA di cui è ancora oscuro il meccanismo ad avere un ruolo fondamentale nel funzionamento di un organismo e nella varietà dei viventi. Una conferma di questa ipotesi sembra giungere nel 2012 dal Progetto Encode (Encyclopedia of DNA Elements), una collaborazione tra Europa e Stati Uniti che ha consentito di studiare più a fondo il genoma umano e di ottenerne una mappa, più ricca rispetto a quella di HGP. Questo progetto ha permesso di identificare quattro milioni di regioni genomiche che fungono da interruttori (on-off) nella regolazione dell’espressione genica. Le odierne tecnologie di sequenziamento hanno inoltre consentito l’identificazione di varianti genetiche, in passato difficilmente allineabili, grazie al sequenziamento di frammenti molto lunghi di DNA. Nel 2019 il National Human Genome Research Institute (NHGRI) ha lanciato un progetto internazionale, lo Human Pangenome Project. La finalità del progetto è costruire un pangenoma umano di riferimento costituito da sequenze di DNA rappresentative della diversità genetica della specie umana, a partire dal genoma di 350 individui di diversa provenienza biogeografica. Il gruppo di ricerca è multidisciplinare ed è costituito non solo da genetisti e biologi computazionali, ma anche da esperti che considerino le implicazioni legali ed etico-sociali visto l’impiego di dati genetici dei donatori.

Fig. 24 Oltre al NCBI, esistono altre banche dati di DNA, RNA e proteine.

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 331


La farmacogenomica La variabilità individuale nella risposta allo stesso trattamento farmacologico è una grave problematica della pratica clinica. A uno stesso dosaggio, infatti, alcuni soggetti possono non rispondere al trattamento, altri mostrare gravi effetti collaterali o ipersensibilità. Complessivamente queste differenze sono ascrivibili a diversi fattori, come età, sesso e stile di vita. Alla luce delle nuove conoscenze, oggi emerge il ruolo determinante giocato dalla genetica. Nel 1959, Friedrich Vogel coniò il termine farmacogenetica per indicare quella disciplina che studia la variabilità di risposta a un farmaco dovuta a fattori genetici ereditari [Fig. 25]. Sono proprio le varianti polimorfiche presenti nella sequenza dei geni coinvolti nella risposta a un farmaco a cambiarne il destino nell’organismo e sviluppare un effetto alternativamente terapeutico o tossico. Fig. 25 Le differenze a livello genomico di una popolazione influenzano la risposta personale al farmaco.

gruppo di pazienti farmaco tossico ma NON benefico

farmaco tossico ma benefico

farmaco NON tossico e NON benefico

stessa diagnosi, stessa prescrizione farmaco NON tossico e benefico

Grazie alle conoscenze e alle tecniche di analisi della struttura e organizzazione del genoma umano si è sviluppato un nuovo approccio: la farmacogenomica correla la risposta a un trattamento farmacologico all’intero genoma o ai suoi prodotti al fine di individuare nuovi bersagli o sviluppare nuovi farmaci.

Fig. 26 L’analisi genetica, assieme alle scienze omiche e alla bioinformatica, può modificare drasticamente la terapia da somministrare per una stessa patologia.

Per comprendere le differenti risposte ai trattamenti farmacologici è fondamentale analizzare, oltre ai complessi meccanismi biochimici relativi a un profilo genetico, anche i suoi prodotti (trascritti, enzimi e metaboliti). Lo sviluppo delle scienze omiche e della bioinformatica ha permesso di studiare il fenotipo di un individuo analizzando la funzione di più geni contemporaneamente, e di rendere possibile un utilizzo clinico “routinario” della farmacogenomica. Il risultato delle analisi del genoma consente oggi di valutare il rischio associato a trattamenti chemioterapici di tumori e malattie autoimmuni, definire i dosaggi più opportuni di antitumorali e anticoagulanti o, ancora, rilevare l’ipersensibilità nei confronti di alcuni farmaci. L’obiettivo di questi studi è soppiantare l’approccio classico di “un’unica cura per tutti i pazienti” sostituendolo con una strategia terapeutica personalizzata. Conoscendo il profilo genetico del soggetto è possibile fornire la più efficace terapia farmacologica studiata ad hoc per quel paziente, riducendo o limitando l’insorgenza degli effetti avversi [Fig. 26].

332 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


Agenda 2030

La medicina di genere

Tra sesso e genere Genere e sesso sono termini carichi di un significato specifico. Per definire il sesso biologico si fa riferimento alle caratteristiche genetiche (cariotipo), anatomiche (caratteri sessuali primari e secondari) ed endocrine (quadro ormonale) che contraddistinguono il sesso maschile (XY), quello femminile (XX) e la condizione intersessuale (in cui sesso cromosomico e sesso fenotipico non coincidono). Il sesso biologico però non implica l’appartenenza di un individuo a uno specifico genere; dunque, possono non coincidere. Si definisce come genere l’insieme di norme comportamentali, attributi e attività che una società considera specifici per caratterizzare il maschile, il femminile o l’altra identità non binaria. Si tratta, quindi, di un modo di percepirsi in funzione del proprio ruolo nel contesto socioculturale in cui si vive. È l’individuo, nella sua dimensione più intima e personale, che costruirà la propria identità di genere in quanto si riconosce come parte di uno, nessuno o più di un genere. Nella relazione con gli altri, concorre anche l’orientamento sessuale, ovvero il desiderio sentimentale, romantico e/o sessuale verso persone dello stesso sesso, di quello opposto, entrambi o nessuno.

Le storiche disparità di trattamento La società ha sempre svolto un ruolo cruciale nella determinazione del genere ma ciò che lo caratterizza può cambiare nel tempo e da una cultura all’altra. In passato, la ricerca medica e la pratica clinica hanno risentito di una prospettiva quasi esclusivamente maschile, ignorando o sottovalutando le variabili generate dal sesso e dal genere. Questo si è tradotto in una disparità nell’assistenza e nelle Sesso (fattori biologici) Cromosoma X (circa 1500 geni) Cromosoma Y (meno di 100 geni) Geni autosomici Modificazioni epigenetiche Ormoni sessuali

prestazioni mediche, con ripercussioni sulla qualità della vita delle persone di genere diverso da quello ma­schile. Nel 1991, la cardiologa americana Bernadine Healy introdusse l’espressione “medicina di genere” con l’intento di denunciare una discriminazione nel trattamento delle malattie cardiovascolari ricevuto delle donne rispetto agli uomini. Tali patologie, infatti, sono sempre state considerate prettamente maschili nonostante tra le donne ci sia un’incidenza maggiore, la prognosi sia più severa a parità di età e si verifichi un maggior rischio di fatalità.

Verso una medicina personalizzata La diversità tra i sessi è osservabile nell’incidenza, nella sintomatologia, nel decorso delle patologie, nella risposta alle terapie e nelle reazioni avverse ai farmaci. La medicina di genere, meglio definita medicina generespecifica, studia l’influenza del sesso biologico e del genere sullo stato di salute e di malattia dell’individuo. Si tratta di un nuovo approccio della medicina, trasversale a tutte le sue specialità, che considera la storia del o della paziente un fattore caratterizzante per garantire prevenzione, diagnosi e cure adeguate. Tra le variabili della medicina genere-specifica e più in generale della medicina personalizzata ci sono: lo stile di vita, l’età, l’etnia, il livello di scolarizzazione, il credo religioso, l’orientamento sessuale, l’identità di genere e le condizioni socioeconomiche. È inoltre importante che gli studi epidemiologici e le sperimentazioni cliniche considerino il sesso e il genere. Abbiamo tuttavia una conoscenza ancora limitata di come i fattori biologici e socioculturali interagiscano e si influenzino tra loro e sono quindi necessarie ulteriori ricerche.

Approfondisci 1. Ricerca in Internet informazioni sulle differenze riguardanti la malattia COVID-19 tra pazienti di sesso femminile e maschile. Metti a confronto i dati e indica le fonti consultate.

Genere (fattori socio-culturali) Il sesso modifica il comportamento L’ambiente modifica gli aspetti biologici

Ruolo di genere (norme comportamentali) Relazioni di genere (definizione di gruppi sociali e relazioni tra esse) Identità di genere (senso di appartenenza e identificazione a un genere) Caratteristiche socio-culturali assegnate o autoassegnate Stile di vita Ambiente Condizioni sociali

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 333

BIOTECNOLOGIE E REALTÀ

Quando si parla di “genere” e “sesso” è importante considerare il diverso significato di questi termini e il loro corretto uso in diversi ambiti, tra cui quello scientifico.


L’epigenomica Un altro passo in avanti verso la comprensione della nostra complessità fenotipica, nonostante la relativa semplicità genotipica, è lo studio dell’epigenoma. L’epigenoma rappresenta la particolare combinazione di tutte le modificazioni epigenetiche (o epimutazioni) da cui dipende l’espressione dei geni. Nell’Unità L1 abbiamo studiato che stimoli ambientali come lo stress, l’inquinamento, il fumo, la dieta e i farmaci possono alterare l’espressione dei geni senza alterarne la sequenza nucleotidica. L’eredità epigenetica può essere paragonata al vissuto di una cellula, che è trasmesso alle generazioni successive. L’epigenomica è la scienza che analizza l’insieme delle epimutazioni di una cellula o di un organismo. Secondo il tipo e il numero di epimutazioni, uno stesso gene può dar luogo a prodotti proteici differenti, contribuendo alla diversificazione degli individui. Lo stile di vita, infatti, ha delle ricadute dirette sulla nostra salute. Per esempio, nel 1944 si verificò una grave carestia nei Paesi Bassi a causa della guerra e dell’inverno rigido. Le donne gravide che soffrirono di malnutrizione diedero alla luce figli in cui si osservò una maggiore incidenza di patologie cardiovascolari, diabete, obesità e schizofrenia. Si tratta di effetti epigenetici intergenerazionali che influenzano il profilo epigenetico sia della madre sia del nascituro. Ulteriori studi sembrano confermare che gli effetti siano ereditabili fino alla terza generazione (eredità epigenetica transgenerazionale). Lo studio dei fenomeni epigenetici è strettamente legato a studi di patologia. Lo studio di malattie ereditarie che non dipendono da alterazioni della sequenza del DNA e che all’apparenza non seguono le classiche leggi della genetica, ha consentito di individuare e studiare fenomeni di regolazione epigenetica. Il cancro, tradizionalmente considerata una malattia genetica, è legato anche a modificazioni epigenetiche (per esempio, l’ipermetilazione dei promotori dei geni oncosoppressori o l’ipometilazione dei promotori degli oncogeni) che causano la trasformazione maligna delle cellule. La trascrittomica L’attivazione o la disattivazione di uno o più geni spiegano molti fenomeni cellulari come, per esempio, le cause del differenziamento cellulare durante lo sviluppo embrionale. Siamo anche in grado di comprendere come sia possibile che cellule limitrofe, anche appartenenti allo stesso tessuto, possano produrre ormoni o enzimi differenti. Possiamo, infine, seguire le modificazioni che inducono una cellula sana a trasformarsi in una tumorale. Il linguaggio con cui le cellule si esprimono o modificano le loro espressioni può essere compreso attraverso lo studio e l’analisi degli mRNA prodotti: l’insieme degli mRNA prodotti da un organismo, un organo, un tessuto o una cellula in un dato stadio dello sviluppo o sotto particolari condizioni ambientali e fisiologiche si dice trascrittoma e rappresenta l’espressione del g­ enoma. Fig. 27 Il chip a DNA contiene le sonde necessarie per l’analisi trascrittomica.

Una recente tecnica che permette l’analisi contemporanea e rapida dell’espressione di tutti i geni di un genoma è rappresentata dalle matrici ad alta densità o chip a DNA [Fig. 27], detti anche DNA microarray. I chip sono dei piccoli supporti in vetro o plastica di 1,2 cm2 di superficie, in grado di ospitare, dentro

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­ icropozzetti, fino a 500 000 sonde costituite da frammenti di DNA a singolo m filamento. Le sonde possono essere costituite da interi geni amplificati tramite PCR o da oligonucleotidi di 25 pb sintetizzati chimicamente. Essi si comportano come calamite selettive nei confronti dei prodotti di espressione di un genoma, cioè dei vari mRNA. È possibile avere tante sonde quanti sono i geni del genoma oggetto di studio oppure solo alcuni geni di interesse. Se, per esempio, si vuole conoscere la capacità di un farmaco di attivare o disattivare particolari geni in un gruppo di cellule, si devono estrarre gli mRNA da due gruppi di cellule, trattate e non trattate con il farmaco. L’enzima trascrittasi inversa permette di convertire gli mRNA in molte copie di DNA a essi complementari (cDNA), in una reazione di PCR modificata. I cDNA provenienti dalle due tipologie di cellule sono marcati con molecole fluorescenti diverse e poi mescolati in parti uguali e incubati nel chip affinché si leghino con le sonde di DNA a essi complementari. I cDNA provenienti da cellule non trattate potranno, per esempio, risultare verdi, mentre saranno rossi quelli delle cellule entrate in contatto con il farmaco [Fig. 28]. Ogni singola posizione del chip con la sua specifica a

b

cellule normali

Fig. 28 Grazie al chip a DNA è possibile confrontare il comportamento di diverse famiglie cellulari [a] che, al microscopio a fluorescenza, danno luogo a specifiche serie di macchie verdi, rosse e gialle [b].

cellule trattate estrazione e purificazione RNA

retrotrascrizione degli mRNA a cDNA fluorescente

osservazione al microscopio chip a DNA

VIDEO IN PREPARAZIONE

I microarray di DNA

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 335


sonda di DNA si accoppia prevalentemente con il cDNA espressione del comportamento di una delle due tipologie di cellule. Osservando il chip al microscopio a fluorescenza dopo che è avvenuta la reazione di ibridazione si evidenzia una serie di macchie verdi, rosse e gialle. Esse indicano rispettivamente se il gene è espresso maggiormente nelle cellule non trattate (verde), nelle cellule trattate con il farmaco (rosso) o se è ugualmente espresso in entrambi i gruppi cellulari (giallo). Con la stessa tecnica è possibile non solo analizzare l’espressione genica in risposta a cambiamenti metabolici causati da una specifica sostanza, ma anche mettere a confronto cellule diverse, come per esempio cellule normali e tumorali. Un’altra tecnica utilizzata per valutare i cambiamenti complessivi nell’espressione dei singoli geni è l’esposizione differenziale che, a differenza del chip a DNA, non richiede la conoscenza preventiva della sequenza genomica. I cDNA derivati da cellule in due condizioni differenti, per esempio una fisiologica e una patologica sono separati tramite elettroforesi su gel. Il loro numero risulta tanto più grande quanto più numerosi sono gli mRNA prodotti nelle due condizioni di partenza (espressione differenziale). In questo modo si può paragonare il trascrittoma di cellule sane con quello di cellule tumorali: possiamo osservare quali geni non sono più espressi (geni oncosoppressori) e quali iniziano a essere espressi (oncogeni) nel tumore [Fig. 29]. Le tecniche spiegate non consentono di visualizzare tutto il trascrittoma di un organismo, cosa che invece è attualmente possibile grazie a nuovi strumenti e tecniche di sequenziamento NGS. Queste tecniche permettono di analizzare in un unico esperimento l’intero trascrittoma di organismi con genomi semplici, oppure raccolte di RNA di organismi complessi, come i piccoli RNA non codificanti con funzioni di regolazione. L’analisi dei dati ottenuti da sequenziatori NGS è così complessa da richiedere l’impiego di software dedicati e bioinformatici specializzati. La tecnologia NGS consente di identificare nuovi trascritti, ma anche di confrontare i livelli di espressione del trascrittoma in diverse condizioni patologiche. Fig. 29 Nel metodo dell’esposizione differenziale, quando si confrontano i risultati delle elettroforesi su gel, oltre al numero delle bande (che indica quante sono le espressioni geniche) è importante anche la loro intensità, legata all’abbondanza degli mRNA.

estrazione e purificazione dell’RNA retrotrascrizione degli mRNA a cDNA amplificazione con PCR elettroforesi su gel dei prodotti di amplificazione

amplificato normale

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amplificato tumorale: è presente un tipo di mRNA in più


Le abitudini, le esperienze di vita e l’ambiente in cui viviamo possono davvero influenzare il funzionamento dei nostri geni e definire il nostro stato di salute e quello dei nostri discendenti?

Paesaggi epigenetici L’embriologo e genetista inglese Conrad Waddington definì l’epigenetica come «le interazioni dei geni con il loro ambiente che danno vita al fenotipo». Lo scienziato, utilizzando la metafora di una pallina che scende da una collina, coniò il termine “paesaggio epigenetico” per descrivere il processo secondo cui le cellule si differenziano e, più in generale, interagiscono con l’ambiente. Il fenotipo è il risultato del percorso svolto da una cellula in base agli ostacoli incontrati nel percorso. Ogni paesaggio è una diversa possibilità e quindi una diversa variante adattativa in cui la cellula acquisisce cambiamenti epigenetici stabili che, nel loro insieme, determinano un profilo epigeno­ mico. L’epigenoma si modifica in Embrione modo continuo e dinamico in risposta ai numerosi stimoli amNascita bientali a cui ogni organismo è sottoposto, come per esempio Pubertà le abitudini alimentari o l’espoEtà adulta sizione a xenobiotici (le sostanze, di origine naturale o sintetica, estranee all’organismo). Il profilo epigenomico può però essere trasmesso di generazione in generazione. L’esposizione a determinati fattori di stress ambientale, subiti da parte di genitori o antenati, può provocare alterazioni epigenetiche reversibili anche nella discendenza.

Traumi ereditabili Vivere esperienze traumatiche influenza la nostra salute fisica e mentale, ma anche quella dei nostri figli. Recenti studi, suggeriscono che persone affette da disturbo da stress post traumatico possono subire modifiche epigenetiche nei geni coinvolti nella regolazione dei livelli di cortisolo, l’ormone dello stress. Tali modifiche possono avvenire in cellule della linea germinale e sono quindi trasmesse ai figli e nipoti. Effetti simili sono stati ritrovati in individui sopravvissuti a eventi traumatici, come per

esempio l’Olocausto e l’attentato al World Trade Center dell’11 settembre 2001. In precedenza, diversi studi condotti su modelli animali avevano già dimostrato il coinvolgimento di meccanismi epigenetici nella trasmissione degli effetti dello stress. Oggi, è in fase di studio quanto anche nell’essere umano gli eventi traumatici subiti da una generazione possono influenzare il benessere psico-fisico di quelle successive. In questa cornice, lo studio dell’epigenetica può rappresentare un anello di congiunzione tra le scienze biologiche e quelle sociali consentendoci così di integrare lo stato di salute con il comportamento.

Le molecole del progresso L’introduzione di un’estesa gamma di prodotti chimici di sintesi ha influenzato molti aspetti della nostra vita e di quella di ogni organismo vivente in termini sia positivi, sia negativi. In uno studio è emerso che l’esposizione dei ratti durante la gestazione al fungicida Vinclozolina, della quale sono già noti alcuni effetti sul sistema endocrino animale e umano, lascia un’impronta epigenetica transgenerazionale: anche a distanza di tre generazioni si osservano comportamenti alterati in risposta allo stress; inoltre più del 90% dei maschi presenta una ridotta capacità spermatica. A distanza di un anno, negli stessi gruppi di animali è stata riscontrata un’alta frequenza di varie patologie connesse ad alterazioni nella metilazione del DNA della linea germinale paterna inoltre, femmine non esposte al funghicida evitavano di accoppiarsi con maschi esposti, facendo presupporre un potenziale ruolo evolutivo dell’epigenetica. Gli effetti dell’esposizione agli inquinanti ambientali sulla funzione riproduttiva nell’essere umano e nella sua progenie, invece, sono ancora oggetto di indagine e richiedono ulteriori ricerche.

Approfondisci 1. Il tabagismo rappresenta un fattore di rischio per l’insorgenza di patologie di natura respiratoria, cardiovascolare e tumorali. Ricerca in Internet se esistono studi a sostegno dell’effetto epigenetico indotto dal fumo di sigaretta.

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BIOTECNOLOGIE E AMBIENTE

Agenda 2030

Epigenomica e ambiente


La proteomica Attraverso l’analisi trascrittomica siamo in grado di capire quali geni sono attivati o disattivati in una cellula in un dato momento, ma difficilmente riusciamo a ottenere informazioni funzionali sui prodotti finali dell’espressione genica: le proteine. Il passo successivo alla genomica e alla trascrittomica è stato perciò concentrarsi sui proteomi: un proteoma è l’insieme di tutte le proteine espresse in un dato momento in un dato tessuto, in una cellula, in un organulo. Lo studio dei proteomi ha dato vita a una vera e propria disciplina autonoma: la proteomica. La proteomica stabilisce l’identità, la quantità, la struttura e le funzioni biochimiche e cellulari di tutte le proteine presenti in un tessuto, in una cellula o in un organulo. Il proteoma può essere studiato secondo tre diversi approcci: • identificando e caratterizzando le proteine prodotte in un tessuto, cellula, organulo (proteomica sistematica); • confrontando quali e quante proteine sono espresse in differenti condizioni cellulari (proteomica differenziale); • definendo la funzione biologica delle proteine e identificando le interazioni tra proteine (proteomica funzionale interattomica) e tra proteina e substrato (proteomica funzionale metabolomica). VIDEO IN PREPARAZIONE

Estrazione e separazione delle proteine

Per poter procedere negli studi appena descritti è necessario separare tra loro le diverse proteine presenti nelle cellule, per poi identificarle con esattezza. Questi due processi si realizzano con due tecniche, utilizzate in successione: l’elettroforesi bidimensionale e la spettrometria di massa. L’elettroforesi bidimensionale permette la separazione di una miscela complessa di proteine (anche diverse migliaia) su gel di poliacrilammide, sfruttando in sequenza due caratteristiche essenziali di ciascuna di esse: il punto isoelettrico e il peso molecolare. Disponendo di due gel nei quali siano state immesse due miscele di proteine diverse [Fig. 30], derivanti per esempio da cellule sane e malate, possiamo analizzarne i profili proteici. Si può riscontrare la presenza o l’assenza in uno dei due gruppi di una proteina o una diversa intensità di colore, che ne rivela una differente abbondanza. Dopo aver stabilito la presenza e l’abbondanza delle proteine totali in un campione, bisogna identificare di quali proteine specifiche si tratti con lo spettrometro di massa. La spettrometria di massa è una metodica che identifica i composti, ionizzandoli e separandoli sulla base del rapporto tra massa e carica delle loro molecole.

Fig. 30 Confronto tra due foto di gel bidimensionali colorati con nitrato d’argento.

Dopo aver rimosso dal gel bidimensionale con un bisturi la “macchia” di nostro interesse, corrispondente alla proteina incognita, si utilizzano dei detergenti in grado di sciogliere il gel e preservare la molecola proteica. Successivamente questa viene frammentata enzimaticamente con proteasi in frammenti più piccoli, processo indispensabile per una corretta ionizzazione

338 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


delle molecole, una volta che queste sono iniettate nello spettrometro. A questo punto il campione è riscaldato, vaporizzato e poi ionizzato mediante bombardamento con un fascio di elettroni. Questi ioni positivi sono in seguito accelerati grazie all’azione di un intenso campo elettrico e deviati con angoli di deflessione diversi dall’azione di un campo magnetico in base al loro rapporto massa/carica. A parità di carica, uno ione è deviato in modo inversamente proporzionale alla sua massa. In altre parole, è possibile ricavare la massa di uno ione a partire dal punto in cui esso colpisce il rilevatore. Ciò consente di risalire alla sua massa molecolare e di dedurre la composizione amminoacidica del frammento proteico in questione. I dati ottenuti sui singoli frammenti sono poi processati da un computer per ricavare la sequenza primaria completa della proteina. Dall’analisi di tutti i frammenti si ricostruisce la struttura della proteina e la si identifica attraverso sistemi bioinformatici [Fig. 31]. placche negative

magnete

➂ gli atomi vengono resi positivi

gli ioni di massa maggiore subiscono una deviazione minore

➃ riscaldatore ingresso atomi in fase gassosa

Fig. 31 Schema di funzionamento di uno spettrometro di massa. Lo strumento fornisce un segnale proporzionale al numero di molecole che colpisce il rilevatore e produce uno spettrogramma.

rivelatore

gli ioni di massa minore subiscono una deviazione maggiore collettore fenditura

all’analizzatore di massa

La lipidomica Una nuova disciplina sta promettendo interessanti prospettive nello studio di una classe di macromolecole decisamente sottovalutata, ma che negli ultimi anni ha dimostrato la propria importanza: i lipidi. La lipidomica studia le relazioni struttura-funzione delle diverse molecole lipidiche e il loro ruolo nel metabolismo cellulare, in condizioni sia fisiologiche sia patologiche. L’equilibrio della composizione lipidica di un tessuto, di una cellula o di un organulo e fondamentale nei processi di invecchiamento cellulare, nelle malattie metaboliche, in quelle aterosclerotiche (ictus e infarto) e nella maggioranza dei tumori. Lo studio del profilo lipidomico potrebbe aprire, quindi, nuove strade per prevenire squilibri del metabolismo basale e migliorare la qualità della vita. Mettiti alla prova 5. Quali caratteristiche delle proteine sono sfruttate dall’elettroforesi bidimensionale?

6. Perché è importante caratterizzare il proteoma umano, nonostante il sequenziamento del genoma sia ormai completo? L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 339


4 a

2,5 mm SEM (falsi colori)

b

2,5 mm TEM (falsi colori) Fig. 32 Fotografie al microscopio elettronico a scansione [a] e al microscopio elettronico a trasmissione [b] di un linfocita B.

La biologia cellulare Finora, le tecnologie su cui si fondano le analisi genomiche e postgenomiche hanno consentito la comprensione di numerosi meccanismi molecolari e cellulari alla base della vita. Queste metodiche permettono l’analisi di acidi nucleici, proteine e lipidi senza pero avere la possibilità di “vederli” come sono realmente all’interno dell’ambiente cellulare. A partire dalla definizione della teoria cellulare, alla fine del XIX secolo, si svilupparono tecniche di colorazione che, con l’aiuto di semplici microscopi ottici, gettarono le basi per la descrizione dell’anatomia delle cellule. A queste tecniche hanno fatto seguito innovazioni epocali con la messa a punto dei microscopi elettronici a scansione e a trasmissione [Fig. 32]. Queste metodiche, utilizzate ancora oggi con successo nell’istologia e nella citologia, non soddisfano appieno le necessita della biologia cellulare, che indaga sulle informazioni funzionali e sulla struttura delle macromolecole. In qualche caso si possono addirittura originare artefatti che nulla hanno a che fare con l’effettiva struttura della cellula e che sono solo il frutto delle procedure sperimentali utilizzate. L’innovazione delle tecniche biologiche ha consentito di superare questi limiti, permettendo di fotografare le macromolecole e le strutture cellulari nel loro habitat naturale e fornendo informazioni non solo sulla loro morfologia ma anche e soprattutto sulla loro funzione. La ricostruzione in 3D delle macromolecole biologiche La determinazione della struttura tridimensionale delle macromolecole, come proteine [Fig. 33] e acidi nucleici, è indispensabile per comprendere il loro funzionamento a livello molecolare. Sebbene la corrispondenza tra struttura e funzione non sia sempre univoca, in molti casi un particolare ripiegamento della molecola è associato a una funzione specifica. L’identificazione della struttura di una macromolecola può quindi aiutare a ipotizzarne la funzione. a

b

Fig. 33 Le proteine si possono rappresentare con diverse modalità, utilizzando sistemi grafici che ne mettono in risalto di volta in volta aspetti differenti come la sequenza degli atomi che ne compongono le molecole [a] e la struttura secondaria e terziaria [b].

340 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


I metodi che i biologi strutturali usano per determinare la struttura tridimensionale di proteine e acidi nucleici coinvolgono generalmente approcci sperimentali come la cristallografia a raggi X, la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (NMR) o sistemi bioinformatici come la modellistica per omologia. La cristallografia a raggi X [Fig. 34] permette di determinare la disposizione degli atomi di una molecola dal modo in cui i raggi X sono diffratti da un suo campione cristallizzato. a

Fig. 34 Cristalli proteici ottenuti con una tecnica che ne minimizza i difetti. La cristallografia a raggi X [a] permette di ottenere da cristalli proteici delle figure di diffrazione [b].

b macchie di diffrazione raggi diffratti cristallo sorgente di raggi X

Per determinare la struttura di una singola molecola si deve utilizzare un campione che ne contiene un numero enorme (tra 1015 e 1016). La tecnica di diffrazione è infatti basata sull’interazione dei raggi X con sistemi ordinati e periodicamente ripetitivi, come sono appunto i cristalli. In essi le interazioni dei raggi X con le molecole, tutte con la stessa orientazione, si sommano, producendo un segnale amplificato e ben distinguibile. Dalle macchie di diffrazione (figura di diffrazione) si risale alla posizione reciproca degli atomi che l’hanno generata e, da questa, alla struttura della molecola in esame. Il processo di cristallizzazione può però durare anche svariati mesi e, inoltre, i cristalli congelano la molecola in un’unica particolare conformazione. Per avere informazioni dinamiche è possibile integrare i risultati ottenuti dalla cristallografia con quelli di un altro metodo: la spettroscopia di risonanza magnetica nucleare (spettroscopia NMR). La spettroscopia di risonanza magnetica nucleare analizza macromolecole in soluzione basandosi sulle proprietà magnetiche degli atomi che le compongono. Sia la cristallografia a raggi X sia la spettroscopia NMR sono metodiche complesse e laboriose e dipendono dalla disponibilità di grandi quantità della macromolecola da analizzare a elevato grado di purezza. Con l’avvento della bioinformatica, tuttavia, il campo della biologia strutturale ha abbreviato i tempi per la determinazione delle strutture tridimensionali delle proteine. La struttura di una nuova proteina può essere infatti determinata a partire dalla sua sequenza amminoacidica, confrontandola con quelle di proteine che presentino una certa similitudine e di cui sia già stata determinata la struttura. Si parla in tal caso di modellistica per omologia, una tecnica che utilizza le imponenti banche dati che si sono andate rapidamente arricchendo. L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 341


Guarda e ripassa IN PREPARAZIONE

DALLA DOPPIA ELICA ALLA POSTGENOMICA

La tecnologia del DNA ricombinante permette di isolare e unire, per mezzo di enzimi di restrizione, sequenze di DNA di organismi diversi e introdurle in una cellula ospite per modificarne l’espressione genica.

inserimento del nuovo plasmide

TR

KR

Ripassa con il riepilogo e la mappa modificabile

Gli enzimi di restrizione operano tagli nella doppia elica di DNA su sequenze palindrome (da 4 a 8 pb). Essi hanno permesso il clonaggio molecolare per ottenere copie di un gene sfruttando un sistema cellulare. 5′

A

A

G

C

T

T

3′

A

A

5′

HindIII

3′

T

T

C

G

Lo studio delle informazioni del DNA si avvale di tecniche avanzate per identificare i geni e le loro funzioni in diverse situazioni fisiologiche e patologiche.

La biologia dei sistemi ha lo scopo di ordinare e integrare i dati delle scienze omiche per comprendere le funzioni cellulari e fornire modelli predittivi per la valutazione del funzionamento dei sistemi viventi. Si basa sull’uso della bioinformatica.

342 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie

La genomica studia il DNA e si occupa della struttura, del contenuto, della funzione e dell’evoluzione dei genomi.

La trascrittomica studia l’insieme degli mRNA prodotti da un genoma in particolari condizioni ambientali, fisiologiche o patologiche.


ori

Si utilizzano metodi per amplificare, identificare e sequenziare un tratto di DNA in modo rapido come la PCR, l’elettroforesi, il metodo Sanger e le librerie genomiche.

La proteomica identifica l’insieme delle proteine e le loro funzioni in un organismo. La lipidomica studia le relazioni tra struttura e funzioni delle molecole lipidiche. La metabolomica consiste nello studio delle molecole che costituiscono substrati, intermedi e prodotti del metabolismo.

marker (pb)

ampR

enzima 3

polylinker

enzima 2

gene reporter

5′

La PCR (Polymerase Chain Reaction) produce rapidamente milioni di copie del frammento voluto. In un 3′ direzione termociclatore si uniscono di crescita i primer per individuare l’inizio e la fine del DNA direzione bersaglio e la DNA di crescita 3′ polimerasi termostabile (Taq) per aggiunge i singoli nucleotidi nella forma di dNTP. La Real Time PCR è una tecnica più sensibile per quantificare una sequenza di DNA seguendone l’amplificazione con marcatori fluorescenti. enzima 1

Il clonaggio utilizza vettori caratterizzati da: un’origine di replicazione (ori ), un gene marcatore di selezione (resistenza all’antibiotico), un polylinker e un gene reporter.

L’elettroforesi permette di separare i frammenti ottenuti, sfruttando la carica elettrica di acidi nucleici (o proteine), grazie alla loro diversa condotta in un gel di agarosio (o di poliacrilammide) sotto l’azione di un campo elettrico. Il metodo Sanger determina le sequenze con inneschi sintetici, DNA polimerasi, dNTP e piccole quantità di terminatori (ddNTP) che fermano la polimerizzazione. I frammenti casuali sono poi separati in elettroforesi e identificati grazie alla loro lunghezza e alla posizione dei diversi ddNTP.

10 000 2200 1200 600 500 100

G T C G A T

Nelle librerie genomiche tutti i geni di un organismo sono ospitati in vettori ricombinanti all’interno di cellule batteriche.

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 343


Verifica 9. IN PREPARAZIONE

Svolgi gli esercizi commentati 38, 39, 41, 42, 43, 44

IN PREPARAZIONE

Svolgi altri esercizi online su HUB Test

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CONOSCENZE 1 La biologia molecolare 1.

Che cosa studia l’ingegneria genetica?

2.

Come e quando inizia lo studio dell’ingegneria genetica?

3.

Completa le seguenti frasi inserendo enzima/sito. a. Un . . . . . . . . . .. .enzima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di restrizione può tagliare il DNA in punti ben definiti. b. In un . . . . .. . . . . . . . . .sito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di restrizione può agire un enzima . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di restrizione. c. Un . . . . . . . . . .. . . . .sito . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . di restrizione è una sequenza palindroma.

4.

5.

agarosio a. Il gel di .................................... è adatto per frammenti di grandi dimensioni. b. Per l’analisi dettagliata dei siti di restrizione è poliacrilammide .................. . preferibile usare il gel di .................. agarosio c. Il gel di .................................... si prepara con una procedura semplice. poliacrilammide si utilizza con particolari d. Il gel di .................................... precauzioni. poliacrilammide ha una risoluzione elevata. e. Il gel di ....................................

10. Vero o falso? Motiva la tua risposta.

Vero o falso? Motiva la tua risposta.

a. Un sito di restrizione è formato da circa 10 coppie di basi. b. Il taglio su un sito di restrizione può essere netto o sfalsato. c. Il DNA ricombinante è una tecnica che mescola sempre il DNA batterico con quello virale. d. Il clonaggio molecolare non utilizza cellule.

Completa le seguenti frasi inserendo agarosio/poliacrilammide.

a. Con la PCR è possibile amplificare qualsiasi frammento di DNA. V F X b. Lo screening di una genoteca si effettua tramite PCR o ibridazione con una sonda. V F X c. La mappa di restrizione deriva dall’elettroforesi su gel. V F X — — d. Un ddNTP ha un H in sostituzione di un OH. X V F 11. Gli inneschi utilizzati durante la PCR sono:

a sequenze di DNA sintetizzate ad hoc per appaiarsi X a monte e a valle della regione da amplificare

F V X V F X F V X V X F

I vettori di clonaggio devono sempre possedere: a una sequenza di origine e un gene di resistenza per l’antibiotico b un polylinker

c un gene reporter d tutte le caratteristiche precedenti X

2 Amplificare e identificare una sequenza di DNA

b frammenti di DNA di 15-25 nucleotidi ottenuti attraverso digestione con enzimi di restrizione c sequenze di DNA palindromiche d sequenze di DNA che si appaiano con la regione da amplificare 12. La Real-Time PCR:

a è una variante della PCR qualitativa b usa sostanze intercalanti radioattive c usa nucleotidi fluorescenti d usa sostanze intercalanti fluorescenti X 13. I didesossiribonucleotiditrifosfati (ddNTP) sono usati:

a per la sintesi degli inneschi b durante la fase di allungamento della PCR c per il sequenziamento di frammenti di DNA X d per rendere visibile il DNA nel gel elettroforetico

6.

Cosa significa l’acronimo PCR e a cosa serve questa ­tecnica?

14. Quale delle seguenti non è una tipologia di NGS?

7.

Da dove deriva la DNA polimerasi termostabile e perché è importante utilizzare proprio questo enzima nella PCR?

8.

Abbina le diverse temperature delle fasi della PCR:

a Nanopori b X Sanger automatizzato c Tecnologie di lettura lunga in tempo reale d Nessuna delle precedenti riposte è corretta

1. 72 °C

. . . . .b .......

2. 50-65 °C

. . . . .a. . . . . . .

15. Le librerie genomiche sono depositi di:

3. 94 °C

. . . . . c. . . . . . .

a batteri b sequenze di DNA c geni d vettori plasmidici ricombinanti X

a. Appaiamento b. Estensione c. Denaturazione

344 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie


3 La biologia dei sistemi

ABILITÀ

4 La biologia cellulare

1 La biologia molecolare

16. Che cosa studia la bioinformatica?

24. La tecnologia del DNA ricombinante prevede:

17. Qual è la branca -omica che studia la relazione tra struttura e funzione degli acidi grassi? 18. Completa le seguenti frasi inserendo trascrittomica/proteomica.

a.

c. La . . . . . . . . proteomica . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . impiega l’elettroforesi bidimensionale.

d la frammentazione di DNA batterico 25. La ricombinazione tra due frammenti di DNA avviene solo se:

b interviene la DNA ligasi per legare le estremità c si verificano entrambi i casi precedenti X

19. Vero o falso? Motiva la tua risposta.

d non si verifica alcuno dei casi precedenti F V X

b. Il DNA è l’unico materiale ereditario responsabile delle caratteristiche degli individui. F V X c. La modellistica per omologia può prevedere la struttura delle macromolecole.

c la manipolazione e lo studio del DNA al di fuori X

a entrambi i frammenti presentano estremità adesive

La . . . . . . trascrittomica . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . utilizza i chip a DNA.

a. La genomica studia la possibilità di introdurre nuovi geni nelle cellule.

b la manipolazione di frammenti di DNA solo se provenienti da specie diverse dell’ambiente cellulare

La . . . . . . trascrittomica . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . studia gli mRNA.

b. La . . . . . . . . proteomica . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . studia identità, quantità e struttura e funzione del materiale proteico.

d.

a di tagliare e unire frammenti di DNA o RNA

V F X

20. Il DNA “spazzatura”:

a è una porzione non codificante del genoma X b costituisce il 2% del nostro genoma c codifica per proteine ancora sconosciute d è DNA eliminato durante la divisione cellulare 21. Il dogma centrale della biologia è smentito:

a dalla sintesi di DNA a partire da RNA X b dalla produzione di più proteine a partire da un gene c da entrambi i processi precedenti d nessuna delle affermazioni precedenti è vera 22. La proteomica studia:

a l’espressione di una particolare proteina b l’identità, la quantità, la struttura e la funzione di un gruppo specifico di proteine c proteine originate dalla manipolazione genica d tutte le proteine presenti in un tessuto, in una cellula X o in un organulo

23. La cristallizzazione delle macromolecole serve a:

a studiarne le proprietà chimiche

26. Se si deve ottenere un DNA ricombinante che contiene 1000 kpb è opportuno usare:

a cosmidi b cromosomi artificiali di lievito X c cromosomi artificiali di batteri d vettori plasmidici

2 Amplificare e identificare una sequenza di DNA 27. Durante una rapina in una gioielleria, il ladro si ferisce rompendo una vetrina. La polizia individua dei sospettati e richiede l’intervento della polizia scientifica per confermare l’arresto. Se tu lavorassi nel laboratorio della polizia, che cosa dovresti fare per individuare il colpevole? 28. Per amplificare un frammento di DNA, è indispensabile:

a conoscere l’intera sequenza del frammento b conoscere le regioni a monte e a valle del frammento X c disporre di grandi quantità della regione da amplificare d utilizzare DNA a singolo filamento 29. Il sequenziamento Sanger del DNA è un me­todo:

a chimico b enzimatico X c fisico d digitale

b mettere in relazione caratteristiche chimiche e fisiche delle catene polipeptidiche

30. L’ibridazione con una sonda a DNA consente di:

c ricostruire la struttura tridimensionale di una molecola X

b identificare un’interazione DNA-proteina

d conservare le molecole per successivi studi di spettroscopia NMR

a identificare una proteina c identificare una sequenza nucleotidica specifica X d amplificare una sequenza di DNA

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 345


Verifica COMPETENZE

3 La biologia dei sistemi 4 La biologia cellulare

Analizza

31. Una proteina sconosciuta, presente in una miscela, può essere identificata attraverso:

a la gel elettroforesi bidimensionale b i metodi bioinformatici

36. Indica quale delle seguenti sequenze di DNA a singolo filamento diventa palindroma associandosi al filamento complementare:

a 3′-TAACAGCTTA-5′ b X 3′-GAGCCGGCTC-5′

c la spettrometria di massa d l’insieme delle tecniche precedenti X 32. L’insieme degli mRNA presenti in un dato momento in un organo/tessuto/cellula è definito trascrittoma e può essere studiato attraverso:

c 3′-AGAGCTAGCT-5′ d 3′-CCTATAATGC-5′

37. Indica le differenze tecniche e funzionali tra elettroforesi di proteine mono e bidimensionale. 38. Il sequenziamento di diversi cloni di uno stesso filamento ha prodotto i seguenti frammenti:

a l’utilizzo di librerie genomiche

CGATAAC, AATGCTAGT, ATATCGC, GCGCCA, GCCAAT, GTCTCCGA

b l’RNA c chip a DNA o esposizione differenziale X d l’utilizzo di GFP 33. Lo spettrometro di massa è in grado di determinare la sequenza amminoacidica di frammenti proteici perché:

a sfrutta le caratteristiche del rapporto massa/carica X b ne analizza il punto isoelettrico caratteristico c la confronta con quelle presenti in banca dati d cristallizza la proteina e ne analizza la massa 34. Nelle tecniche trascrittomiche, il gruppo di mRNA da analizzare è convertito in cDNA perché:

a il DNA è più stabile dell’RNA b il cDNA può essere marcato con sonde fluorescenti c il cDNA può essere sintetizzato in più copie attraverso una PCR d il cDNA, durante la reazione di conversione, è marcato X e amplificato

Università 35. Per libreria genomica si intende:

a l’insieme dei frammenti di DNA ottenuti dal genoma X di un organismo e inseriti in opportuni vettori

b l’insieme delle sequenze nucleotidiche del genoma di un organismo inserite in banche dati c l’insieme di tutte le proteine che possono essere prodotte da un organismo in seguito allo splicing alternativo dei trascritti primari d l’insieme di tutti i geni degli organismi della stessa specie e l’insieme di tutti gli mRNA estratti dalle cellule di un organismo (Veterinaria, aa. 2012/2013)

346 Sezione L Dalla biologia molecolare alle biotecnologie

Ricostruisci la sequenza del filamento originale.

Ipotizza 39. Studiando il metabolismo lipidico in colture di epatociti, un gruppo di ricercatori ha provato a comprendere il ruolo del gene xxx nell’insorgenza della steatosi (fegato grasso). I risultati ottenuti hanno escluso il coinvolgimento della proteina XXX, prodotta dallo stesso gene, nella comparsa della patologia. Quale tecnica potrebbero aver usato per giungere a tale conclusione? 40. In laboratorio, sequenziare un genoma con tecniche di sequenziamento NGS di seconda e di terza generazione: nel primo caso è necessario frammentare il genoma prima di sequenziarlo, nel secondo invece no. Per quale motivo?

Interpreta 41. Esamina questo schema di un gel di + agarosio. L’orientamento degli elettrodi è indicato con i segni + e -. I pozzetti in cui sono caricati i campioni di DNA sono rappresentati dai rettangoli neri. Osservando lo schema, − una parte della classe sostiene che la rappresentazione non è corretta e che i frammenti di DNA si muoveranno verso l’alto, mentre altri compagni sostengono che, come da teoria, i frammenti di DNA si muoveranno verso il basso e il più piccolo sarà il più vicino alla base del gel. Chi ha ragione? 42. Durante una trasmissione radiofonica sul diabete, il conduttore afferma che l’insulina umana ricombinante può essere prodotta utilizzando solo cellule di mammifero, ma uno degli esperti presenti lo interrompe sostenendo che l’affermazione è sbagliata. Qual è l’errore?


43. Un plasmide di 3000 pb è sottoposto a una serie di digestioni con gli enzimi di restrizione EcoRV e HindIII. I prodotti caricati sul gel danno il risultato a fianco. Quanti siti di restrizione hanno EcoRV e HindIII? Quali sono le distanze reciproche tra i siti? Disegna una mappa di restrizione.

V oR Ec

Hi

n

I dII

oR Ec

V+

III

nd

Hi

Ma

rk

(k er

b)

3,0

Digitale 46. Collegati al sito tiny.cc/atlasmolecules. Potrai consultare un atlante di macromolecole biologiche in 2D e 3D. Seleziona il canale per il potassio tra le proteine integrali di membrana e consultane la scheda online. Quando è stata determinata la struttura di questa proteina? Con quale metodica? Da quanti amminoacidi e da quante catene è composta? Presenta ponti disolfuro? (Suggerimento: aiutati con i tools.)

That’s Science!

2,0 1,5 1,2 1,0 0,9 0,8 0,7 0,6 0,5 0,4 0,3

47. To analyze the protein expression in a disease, I have to use:

IN PREPARAZIONE

a microarray Glossary b differential display c X-ray cristallography d 2D gel electrophoresis and mass spectrometry X

Argomenta Risolvi 44. Con quale tecnica è possibile tracciare in tempo reale il destino metabolico di una proteina in una cellula? Se invece volessi quantificare la proteina in un particolare momento della vita cellulare, quale via seguiresti? 45. Durante un esperimento di PCR, ti rendi conto di aver aggiunto alla miscela di reazione solo un innesco. È possibile amplificare un frammento di DNA con un solo innesco? Che cosa produci dopo il primo ciclo? E dopo due?

48. Che cosa sono gli enzimi di restrizione, da dove sono stati isolati e quali sono le loro applicazioni tecniche? 49. Qual è il ruolo della Taq DNA polimerasi nella PCR? 50. Quali sono le differenze tra la genomica ed epigenomica? 51. Perché la bioinformatica non è sufficiente per realizzare uno studio sulla funzione di un gene? 52. Quali strumenti abbiamo per “vedere” le macromolecole? 53. Qual è la differenza tra la PCR e la Real-Time PCR?

Agenda 2030

Compito di realtà Sulla scena del crimine

La possibilità di poter rilevare, manipolare e sequenziare tracce di DNA e risalire così al colpevole di un efferato delitto ha permesso di risolvere casi altrimenti impossibili. Si pensi, per esempio, al delitto della giovanissima Yara Gambirasio, avvenuto nel 2010 in provincia di Bergamo, che ha portato alla catalogazione di 18 000 campioni di DNA prelevati in tutto quel territorio. L’enorme sforzo investigativo ha permesso di identificare il profilo genetico di “Ignoto 1” e rintracciare così il colpevole. In autonomia Leggi il paragrafo 2 Amplificare e identificare una sequenza di DNA ed esplora il video Le scienze forensi: applicazioni ed esempi. Approfondisci l’evoluzione delle scienze forensi e le loro applicazioni in ambito investigativo e ai fini della ricerca scientifica. Analizza quindi la differenza tra le banche dati forensi e le biobanche.

VIDEO

IN PREPARAZIONE

In gruppo Coinvolgete la popolazione studentesca e organizzate un dibattito sull’uso dei materiali biologici per fini investigativi o di ricerca. Autovalutazione • Ci sono state difficoltà a realizzare quanto richiesto? • Che cosa ti è piaciuto di più e che cosa di meno del prodotto finale? • Che cosa cambieresti nel percorso di lavoro?

Parole chiave • Criminologia • Genetica forense • DNA profiling

L2 Dalla doppia elica alla postgenomica 347


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