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Il Giornale dei Biologi - N.11/12 - Novembre/Dicembre 2023

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Giornale dei Biologi

Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.

Novembre/dicembre 2023 Anno VI - N. 11/12

FESTIVITÀ A TAVOLA

Tradizioni e innovazioni gastronomiche per pranzi e cene a casa o nei ristoranti (pieni). I consigli della nustrizionista per non esagerare

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Sommario

EDITORIALE 3

Ritorno alla normalità Vincenzo D’Anna

PRIMO PIANO 8

A Natale la tradizione vince sempre: ma con qualche novità di Rino Dazzo

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Bilanciare i banchetti di Natale? Si può di Rino Dazzo

12 14

28

Farmaco antitumorale che ripristina la risposta immunitaria di Carmen Paradiso

“Tutto prenotato” al ristorante di Rino Dazzo

32

Laureati in biologia e iscrizioni all’Onb negli anni 2018-2022 di Giorgio Gilli

Infezioni pediatriche. Perché i farmaci comuni sono sempre più inefficaci di Domenico Esposito

34

Sostanze naturali alleate di cuore e prostata di Domenico Esposito

36

Individuata causa comune tra invecchiamento e malattie neurodegenerative di Sara Bovio

38

Frutta fresca, un alleato cruciale per la salute del cervello di Carmen Paradiso

INTERVISTE

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20

Il tumore alla prostata si combatte anche con l’intelligenza artificiale di Chiara Di Martino

Un nemico invisibile da temere: il glaucoma di Domenico Esposito

41

Torna l’influenza: sintomi e consigli di Domenico Esposito

22

Dal laboratorio al Tribunale, la biologia al servizio della Giustizia di Ester Trevisan

42

Pisum sativum per capelli sani di Biancamaria Mancini

24

Tumore dell’ovaio. Una storia di coraggio contro il big killer di Carmen Paradiso

44

Vitamina E nella pelle umana di Carla Cimmino

50

Il biologo etologo che contribuì allo studio dei bambini autistici di Giuliano Russini

54

Ricordo del biologo prof. Patrizio Giulini scomparso a ottobre di Giuliano Russini

SALUTE 26

Identificato bersaglio terapeutico contro il carcinoma pancratico di Carmen Paradiso

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Sommario

AMBIENTE 56

Sostenibilità urbana: Trento in testa, ma strada in salita per tutti di Gianpaolo Palazzo

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Dal bosco alla città, la via verde per far decollare l’Italia che verrà di Gianpaolo Palazzo

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Città calde e cemento minacciano zone agricole e servizi ecosistemici di Gianpaolo Palazzo

62

Dopo 500 anni il castoro torna in Italia: gli effetti per uomo e ambiente di Sara Bovio

INNOVAZIONE 66

Siccità: quali rimedi per il belpaese di Michelangelo Ottaviano

67

Tumore al pancreas: il ruolo dei macrofagi di Michelangelo Ottaviano

68

La “Terapia forestale” per curare l’asma di Pasquale Santilio

69

Una molecola utile alla nostra esistenza di Pasquale Santilio

70

“Petrolio” da plastica recuperata in mare di Pasquale Santilio

71

Le nocciole guaste? Non si sgusciano più di Michelangelo Ottaviano

BENI CULTURALI 72

Bologna, come curare la Torre Garisenda che rischia di crollare di Rino Dazzo

75

Contro il traffico dei beni culturali di Eleonora Caruso

76

Torna l’affresco di Guercino di Eleonora Caruso

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Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

SPORT 78

Sinner & friends. È Davis 47 anni dopo di Antonino Palumbo

81

L’Universiade 2025 sarà per tutti di Antonino Palumbo

82

Non solo azzurri: agli europei di calcio già qualificati 5 CT italiani di Antonino Palumbo

84

Volley, velasco alla guida delle azzurre di Antonino Palumbo

LIBRI 86

Rubrica letteraria

LAVORO 88

Concorsi pubblici per Biologi

SCIENZE 90

Replaying life’s tape. Le contingenze storiche nelle dinamiche evolutive di Simone Ciaralli

94

Prebiotici e probiotici nell’immunoterapia contro il cancro di Daniela Bencardino

98

Il lago Moeris se dovesse riscaldarsi di un solo grado °C di Antonio Lo Cascio

102 Nuovi studi sul carcinoma renale a cellule chiare di Gloria Felicelli et al.


Informazioni per gli iscritti Si informano gli iscritti che gli uffici della Federazione forniranno informazioni telefoniche di carattere generale dal lunedì al giovedì dalle 9:00 alle ore 13:30 e dalle ore 15:00 alle ore 17:00. Il venerdì dalle ore 9:00 alle ore 13:00 Tutte le comunicazioni dovranno pervenire tramite posta (presso Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi, via Icilio 7, 00153 Roma) o all’indirizzo protocollo@cert.fnob.it, indicando nell’oggetto l’ufficio a cui la comunicazione è destinata. È possibile recarsi presso le sedi della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi previo appuntamento e soltanto qualora non sia possibile ricevere assistenza telematica. L’appuntamento va concordato con l’ufficio interessato tramite mail o telefono.

UFFICIO CONTATTO Centralino

06 57090 200

Ufficio protocollo

protocollo@cert.fnob.it

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Anno VI - N. 11/12 Novembre/dicembre 2023 Edizione mensile di Bio’s Testata registrata al n. 113/2021 del Tribunale di Roma Diffusione: www.fnob.it

Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna

Questo magazine digitale è scaricabile on-line dal sito internet www.fnob.it

Giornale dei Biologi Novembre/dicembre 2023 Anno VI - N. 11/12

Questo numero del “Giornale dei Biologi” è stato chiuso in redazione mercoledì 29 novembre 2023. Contatti: protocollo@cert.fnob.it Gli articoli e le note firmate esprimono solo l’opinione dell’autore e non impegnano la Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi.

Edizione mensile di Bio’s. Registrazione n. 113/2021 al Tribunale di Roma. Direttore responsabile: Vincenzo D’Anna.

Immagine di copertina: © Ground Picture/www.shutterstock.com

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Editoriale

Ritorno alla normalità di Vincenzo D’Anna Presidente della Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi

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on c’è notte tanto lun- boriosa di quella risultata eletta nella priga che non abbia la pro- ma tornata elettorale e successivamente pria alba. Un epigramma, sciolta. Note di merito e lusinghiere quest’ultimo, che può es- osservazioni scaturenti dall’attività già sere accostato a varie circostanze del- messa in campo nelle prime settimane la vita, privata o pubblica che sia. Nel di vita del nuovo Comitato Centrale, che ha deliberato all’unanostro caso è riferito alle nimità problematiche ripregresse vicissitudini a Il rinnovo del Comitato maste al palo per l’immocui è andata incontro la Centrale ha messo intorno al tavolo una bilismo che si era venuto Fnob, che ha subito l’onnuova compagine, a creare. ta del commissariamento certamente più coesa Sono stati approvati e dello scioglimento del e laboriosa della i documenti di bilancio Comitato Centrale (l’orprecedente degli anni 2022, 2023 e gano di governo della Federazione) nel suo primo anno di attivi- 2024; fissata la quota per l’anno prossimo in 80 euro pro capite; accantonati tà da parte del ministero vigilante. Il rinnovo del Comitato Centrale, re- circa 900mila euro da utilizzare a benealizzato attraverso il voto espresso da ficio di tutti gli iscritti, gratuitamente, presidenti degli undici ordini regionali, sotto forma di eventi scientifici di alto ha messo intorno al tavolo una nuova livello, formazione e alta formazione sul compagine, certamente più coesa e la- campo completamente gratuita, conGiornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Editoriale

tributi, master di II livello e summer rizzo e coordinamento della Fnob. Esischool; confermati tutti i servizi già resi stono, pertanto, competenze esclusive agli iscritti nel quinquennio preceden- assegnate agli ordini territoriali e comte, secondo quanto indicato nel “Libro petenze esclusive assegnate alla Fnob, bianco” che il consiglio dell’Onb ha oltre ad altre materie concorrenti che reso noto agli iscritti elencando tutte le possono essere svolte dagli uni e dell’altra. La scelta di continuare a organizzaattività svolte nel periodo 2017-2022. Se ne deduce, per evidenza docu- re servizi e opportunità per gli iscritti da parte della Fnob non mentata, che buona parte deve essere considerata della quota pro capite riLa scelta di continuare una competizione sorta chiesta dalla Fnob agli ora organizzare servizi per in contrasto con gli ordini dini territoriali ritornerà, gli iscritti servirà a integrare le attività territoriali, ma un livello sotto altra forma, agli che gli ordini territoriali di attività di più alta finaiscritti dei medesimi orvorranno e sapranno lità, che dovrà integrare le dini e quindi, per coloro predisporre attività che i territori vorche non cercano pretesti e cavilli, è più che chiaro che il tutto è ranno e sapranno predisporre. Un ulteriore compito, non delegabile stato impostato per soddisfare i bisogni e le aspettative dei biologi, così come è per legge, sarà quello di tutelare nel senstato per il passato. Giova precisare che so più ampio e diversificato del termigli ordini territoriali sono entità auto- ne, gli interessi della Categoria per via nome per quanto riguarda le specifiche legislativa e normativa, in modo tale da competenze che la legge assegna ai me- accrescere e qualificare ulteriormente il desimi e non repubbliche indipendenti novero delle speciali competenze asseche possono essere gestite a piacimen- gnate ai biologi che operano nei diverto, men che meno senza l’opera di indi- si ambiti di esercizio della professione. 6

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Editoriale

Tra questi ultimi, segnaliamo la difesa transizione ecologica. E ancora l’amdegli interessi dei colleghi impiegati nei pliamento dei posti riservati ai biologi laboratori di analisi pubblici e accredi- nelle scuole di specializzazione, in sintati innanzi all’ipotesi di adozione da cronia con l’incremento dei contratti di parte dei ministeri di un nomenclatore formazione per gli specializzati e il loro tariffario con tagli alle già magre tariffe arrivo al mondo del lavoro. L’integradi remunerazione che rendono insoste- zione delle facoltà di biologo vaccinatonibili, in quanto privi di redditività, le re per poter praticare anche quelle antiinfluenzali. La revisione, strutture di laboratorio. già in atto, dei requisiti di E poi gli interventi che La efficienza del accesso all’albo e la sudgarantiscano a tutti gli Comitato Centrale divisione del medesimo iscritti il completamento servirà a rinverdire la precedente stagionedi in tre ambiti operativi: gedegli Ecm alla data del conquiste e di maggiore nerale, ambientale e nu31 dicembre 2023 con rappresentatività trizionale. l’istituzione di corsi da dei biologi Queste, per ora, le mete 100 crediti ai quali sono già iscritti circa 10mila colleghi. E an- più prossime che intendiamo raggiuncora, una legge che disciplini le attività gere affinché con la maggiore efficienza dei biologi nutrizionisti, tuttora assen- e compattezza del Comitato Centrale si te nel panorama legislativo sanitario e vada a rinverdire la precedente stagione che, nel contempo, accresca le funzioni di conquiste e di maggiore rappresentaoperative di ciascun professionista sa- tività nell’ambito socio-sanitario di una nitario. Segue l’inserimento dei biologi categoria, quella dei biologi, che va asambientali nei processi che riguardano sumendo ruoli centrali e indispensabili l’ecotossicologia e l’epigenetica e più in nel programma one-health. Il resto lo generale nei programmi di progetti per sapremo vivendo. Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Primo piano

A NATALE LA TRADIZIONE VINCE SEMPRE: MA CON QUALCHE NOVITÀ L’aumento dei prezzi fa cambiare le abitudini alimentari degli italiani per le feste? Fusioni e commistioni in aumento, resiste però la voglia di piatti dal gusto antico di Rino Dazzo

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© TORWAISTUDIO/shutterstock.com

Primo piano

I

tempi sono quelli che sono. Quest’anno le festività cadono in un periodo non propriamente rassicurante a livello internazionale, caratterizzato da tante tensioni e con gli effetti dell’inflazione che rischiano di farsi sentire pesantemente nelle tasche degli italiani. Che Natale sarà, dunque, a livello di consumi alimentari? Quanto l’aumento dei prezzi inciderà nelle scelte per il cenone della vigilia o per il pranzo del 25? Saranno feste segnate dall’austerity, dalla ricerca di sapori, tendenze e preparazioni di tipo nuovo, oppure si seguirà comunque e pedissequamente il dettato della tradizione? Domande a cui i trend

economici e le ricerche di mercato di fine 2023 suggeriscono già le risposte. Va subito chiarito un dettaglio. Per gli italiani il Natale rimane di gran lunga la festa più sentita, quella in cui le famiglie si riuniscono e dove più forte si avverte il bisogno di “casa”, anche e soprattutto a livello di sapori e di preparazioni. Per questo, il risparmio e la morigeratezza nelle spese suggeriti dalle congiunture esterne saranno limitati. Secondo un sondaggio di NielsenIQ, il 42% degli italiani manterrà lo stesso budget del 2022 per i banchetti natalizi (160 euro circa per la cena del 24 e il pranzo del giorno dopo), il 43% spenderà leg-

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Il costo delle vongole è aumentato addirittura del 60% in un anno a causa delle stragi di molluschi provocate dalle incursioni dei granchi blu negli allevamenti. Ma anche il salmone non scherza.

© barbajones/shutterstock.com

germente meno (provando a mantenersi entro le 150 euro), mentre appena il 7% prevede di spendere di più, spingendosi fino a 200 euro e anche oltre. Sempre nell’ambito della stessa ricerca, il 41% degli interpellati ha dichiarato che farà economia preparando esclusivamente pasti in casa oppure optando per ristoranti meno cari, mentre il 33% risparmierà sui regali. Con un punto fermo, però: cenone e pranzo, almeno quelli, non si toccano. Già, ma cosa porteranno in tavola gli italiani? La consuetudine che vuole i menu dei cenoni del 24 e del 31 incentrati quasi esclusivamente sui prodotti del mare e dei menu dei pranzi di Natale e Capodanno dominati dai prodotti della terra è ancora preminente? In generale e mediamente sì, anche se la tendenza, emergente già da qualche tempo, va verso un progressivo superamento degli schemi più rigidi. Quest’anno, poi, c’è una variabile in più di cui tener conto: l’impennata vertiginosa del prezzo di pesce e frutti di mare. Un esempio? Il costo delle vongole è aumentato addirittura del 60% in un anno a causa delle stragi di molluschi provocate dalle incursioni dei granchi blu negli allevamenti. Ma anche il salmone non scherza. Dopo il calo estivo, il prezzo del salmone norvegese – il più amato, ma anche quello di qualità migliore – s’è impennato nuovamente in vista delle festività natalizie, quan-

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Primo piano

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do la domanda di questo prodotto è in marcato aumento: un classico. In ogni caso il pesce si conferma sovrano indiscusso delle tavole italiane per il cenone, in particolare al Sud. Non mancano però nuove tendenze, insieme a un’attenzione e a una sensibilità più marcate in direzione della sperimentazione e della commistione di sapori. Di nuovi trend a tavola in vista delle prossime festività natalizie si è parlato nell’ultimo Osservatorio Tuttofood, a Milano, dove diversi attori della filiera si sono confrontati sull’argomento. Un fenomeno interessante è rappresentato dal generalizzato abbattimento dei confini regionali e dalla fusione di piatti tipici di zone diverse in un unico menu. Le specialità e le prelibatezze dei vari territori sono ormai conosciute e apprezzate da una platea sempre più attenta e competente, che ha piacere di vedere sulla propria tavola un numero sempre più variegato di piatti. E le proposte dei ristoratori si regolano di conseguenza. Tortellini in brodo per primo e pesce per secondo, un’anguilla insaporita con sedano rapa, arancia lattofermentata e melograno, rappresentano ad esempio la proposta di Aurora Mazzucchelli, chef stellata del ristorante Marconi a Sasso Marconi, presso Bologna: un abbinamento capace di fondere le tradizioni dell’Emilia e della Sicilia. La fusion, però, può riguardare anche sapori d’Italia e dell’estero. È il caso della spigola al forno impreziosita da patate agli agrumi del Vesuvio e curcuma, oppure del classico spaghetto al pomodoro a spezzare piatti tipici della cucina araba e mediorientale, come il pollo alle mandorle o l’hummus di ceci, suggeriti dallo chef del President di Pompei, Paolo Gramaglia. E le velleità di rivisitazione e reintepretazione non risparmiano il sovrano indiscusso dei dolci natalizi, il panettone. Che, in molte tavole e in diversi ristoranti, non è più neppure considerato un dolce in senso stretto. La brioche panettonata può accompagnare infatti anche pietanze a base di carne, o addirittura fungere da sandwich in abbinamento a una fetta di carne o a un hamburger. E a proposito di panettoni e pandori, una tendenza sempre più generalizzata, dettata dalla propensione a evitare gli sprechi, è quella del riciclo nei giorni successivi. Come? Infornando le briciole di panettone e farcendole con crema di ricotta, mascarpone e cioccolato, ad esempio, in modo da creare un’originale sbriciolata.


Primo piano

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C

ene, pranzi, banchetti in successione. Con ogni tipo di prelibatezza a portata di mano. Come mantenere abitudini alimentari sane ed equilibrate tra Natale e Capodanno? Lo abbiamo chiesto alla dottoressa Livia Galletti, biologa nutrizionista, membro del comitato centrale della FNOB. Arriva Natale: è possibile bilanciare il surplus alimentare negli altri giorni della settimana? «In un’abitudine alimentare equilibrata, le grandi mangiate del giorno di Natale, della Vigilia, o degli altri giorni di Festa, non creano alcun problema. Digiunare o mangiare solo verdura nei giorni successivi non ha molto senso. Meglio riprendere subito le proprie abitudini consumando pasti completi e organizzati in accordo con le raccomandazioni del proprio professionista della nutrizione o delle Linee Guida per una sana alimentazione del CREA». Come fare a mantenere uno stile alimentare sano anche nei giorni di festa? «Godere dei piatti della tradizione e dei propri affetti nei giorni di Festa è un modo di mantenere uno stile di vita sano. La dieta mediterranea che è stata insignita del titolo di “patrimonio immateriale dell’Umanità” dall’UNESCO è un insieme di comportamenti e tradizioni tipici dei paesi del Bacino del Mediterraneo. UNESCO stessa sottolinea quanto la convivialità e la tradizione siano due caratteristiche portanti dello Stile di vita Mediterraneo». Quali sono i piatti tradizionali di Natale e Capodanno di cui sarebbe meglio non eccedere? «Il concetto di eccedere è molto soggettivo. Sarebbe bene non eccedere mai e conoscere le proprie porzioni. In linea di massima i piatti della tradizione sono più ricchi ed elaborati di quelli della quotidianità. La cosa veramente importante è ascoltare il proprio corpo, percepire il senso di sazietà. E fermarsi in quel momento». Ci sono nuove tendenze alimentari che si vanno affermando per le feste, o

Livia Galletti.

BILANCIARE I BANCHETTI DI NATALE? SI PUÒ Ecco come mantenere buone abitudini alimentari durante le festività: i consigli della nutrizionista Livia Galletti

si rimane ancorati alla tradizione? «La tradizione continua a giocare il ruolo principale. Da qualche anno alcune rivisitazioni, soprattutto per quanto riguarda i grandi lievitati come il panettone, stanno prendendo piede, ma senza avere il sopravvento sui piatti tradizionali». Un suo esempio di menu del cenone e del pranzo di Natale? «A mio parere, le ricette tradizionali di ogni famiglia per questi due pasti sono la scelta migliore che si possa fare. Il cenone per me è a base di pesce, meglio se pescato nella zona FAO 37 (Mar Mediterraneo). Al pranzo di Natale io

non posso rinunciare ai tortellini in brodo (sono di Bologna) e credo che ogni persona cresciuta in Italia abbia un suo primo indissolubilmente legato al giorno di Natale. A seguire ci sono i secondi della tradizione: bolliti, arrosti e insaccati da brodo. Non dimentichiamo mai i contorni. Per quanto riguarda i grandi dolci della tradizione natalizia, va benissimo una porzione dopo il pranzo di Natale, per poi spostarli in dispensa. Via libera alla tradizione familiare, non dimentichiamo le verdure e l’acqua, ascoltiamo il nostro corpo, godiamo dei nostri affetti e dell’atmosfera natalizia. È questo il mio menù per le Feste». (R. D.) Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Primo piano

“TUTTO PRENOTATO” AL RISTORANTE In aumento i consumi fuori casa, tornati a livelli pre-pandemia Il trend per il futuro e il rovescio della medaglia

T

e ne accorgi da tanti piccoli indizi. Sono sempre di meno i ristoranti in cui riesci a trovar posto senza esserti preoccupato di farti riservare un tavolo, quelli che magari noti grazie a un cartellone pubblicitario accattivante e in cui ti vien voglia di entrare al momento, spesso senza successo: «Ci spiace, non c’è posto». O nel migliore dei casi: «C’è da attendere un bel po’». Sempre di più, poi, quelli che funzionano solo su prenotazione. Per non parlare dei saloni all’interno, affollati e pieni zeppi di avventori come non mai. 12

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Sì, è proprio così: i consumi fuori casa sono in netta ripresa, tornati ai livelli pre-pandemia e probabilmente anche oltre. Sempre più persone frequentano i ristoranti, non necessariamente gourmet o di lusso: la tendenza riguarda anche e soprattutto fast food, ristorantini etnici oppure trattorie, osterie e piccoli esercizi specializzati nello street food. La tendenza a mangiare fuori casa è in palese risalita e a suffragare ciò che la sensibilità comune suggerisce da un po’, arrivano numeri, cifre e studi. Come l’ultimo rapporto Deloitte, «Frontiere evolutive per il

settore del Foodservice», che ha attestato come nel 2022 il comparto della ristorazione in Italia abbia realizzato un giro d’affari di 82 miliardi di euro, con un incremento rispetto all’anno precedente di poco superiore al 26%. Curiosità: quello italiano rappresenta il 3,15% del fatturato globale, che nell’anno scorso ha raggiunto i 2600 miliardi di euro. La tendenza sembra ancor più marcata per l’anno in corso. Nel primo semestre del 2023, infatti, i consumi fuori casa sono aumentati del 14% rispetto allo stesso periodo del 2022: 65 miliardi di euro. Le prospettive sono incoraggianti, a dispetto di una situazione economica tutt’altro che rosea. Sorridono gli imprenditori della ristorazione tradizionale, che hanno visto aumentare il proprio giro d’affari del 4,5%. Sorridono ancor di più gli specialisti della ristorazione veloce dopo le chiusure e le limitazioni del periodo Covid: aumentano del 10% i consumi presso bar, tavole calde e ristoranti medi e piccoli. Più in generale, si sottolinea nel rapporto, cresce la domanda di proposte gastronomiche innovative e originali, di servizi qualificati e di sapori nuovi, anche se l’amore per la cucina tradizionale non tramonta mai. Si va al ristorante per necessità, come nelle pause pranzo, o per diletto, magari con tutta la famiglia: in entrambi i casi, è più alta l’attenzione, anche rispetto al recente passato, sull’origine e la tracciabilità degli alimenti e sulle modalità di preparazione delle pietanze. Il rovescio della medaglia? Se i consumi fuori casa sono in aumento vuol dire che si compra di meno, soprattutto dai venditori al dettaglio, per rifornire frigo e dispensa. Come riporta l’Istat nella rilevazione di settembre 2023, resistono solo le vendite di prodotti alimentari presso la grande distribuzione: +4% rispetto a dodici mesi prima. (R. D.)


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Primo piano

LAUREATI IN BIOLOGIA E ISCRIZIONI ALL’ONB NEGLI ANNI 2018-2022 Valutazione indirizzata ad analizzare quanti tra i laureati in Biologia, verosimilmente, si sono iscritti all’Onb nel periodo di riferimento di Giorgio Gilli*

Nota introduttiva del presidente della FNOB, sen. dott. Vincenzo D’Anna.

N

ei cinque anni presi in esame nell’analisi effettuata dal prof. Gilli, che corrispondono al quinquennio dell’ultimo consiglio dell’Ordine Nazionale dei Biologi, sotto la mia presidenza, abbiamo prodotto l’incrementato di oltre il 20 per cento il numero degli iscritti, passando da 46mila a 56mila. Tuttavia, sono migliaia i laureati nelle discipline afferenti alla nostra categoria non iscritti all’albo. Tra questi, i docenti, peraltro esentati dalla legge, e la vasta schiera dei ricercatori che, a vario titolo, esercitano in diversi settori (ad esempio, industrie farmaceutiche o elettromedicali, Irccs ecc.) che hanno l’obbligo di iscriversi. Ciò è stato già chiarito, a seguito di interpello proposto dall’Ordine Nazionale dei Biologi, prima della sua trasformazione in FNOB e negli undici ordini regionali o interregionali. Inoltre, ancora consistente è la piaga di

Professore Emerito di “Igiene generale e applicata” all’Università di Torino.

*

Clicca qui per leggere report in formato digitale sul sito www.fnob.it

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coloro che esercitano abusivamente la professione, per i quali la FNOB intraprenderà specifiche aioni di contrasto, anche di concentro con altri enti, quali Inps e Agenzia delle Entrate, per individuare coloro che ledono gli interessi della categoria proponendo una concorrenza illegittima e illecita nei confronti di quanto rispettano la legge. _______________________________ L’Analisi Il comitato Centrale della FNOB, nell’ambito di una strategia indirizzata a valutare la coerenza tra conseguimento del titolo universitario e destino professionale, ha ritenuto necessario procedere con una prima valutazione indirizzata ad analizzare quanti tra i laureati in Biologia, verosimilmente, si iscrivono all’Ordine. L’analisi in oggetto è costellata da variabili difficilmente controllabili e per attenuarne il “confondimento” si sono presi in considerazione cinque anni (2018/2022) al fine di poter disporre di numeri complessivamente consistenti oltre che poter formulare una analisi temporale di ampio respiro. I dati relativi al numero di laureati (triennali e magistrali ) per ogni singola


Primo piano

sede universitaria sono stati aggregati in modo tale da farli convergere su aree corMedia laureati magistralerispondenti (2018-2022) all’attuale assetto 40 organizzativo della FNOB; ne deriva che ,in prima Media laureati magistrale (2018-2022) 40 CALABRIA istanza , alcune aree si presentano con un Media iscritti all'ordine (2018-2022) 149 Media iscritti all'ordine (2018-2022) 149 numero di laureati ampiamente superiore alla media anche a ragione del fatto che su 200 2018 2019 2020 2021 2022 180 200quella area insistono più sedi universitarie 2018 2019 2020 2021 2022 A B A B A B A B A B 160 180ma fatto ancor più rilevante (come si può Iscritti all'ordine 127 1 134 2 184 2 166 7 134 3 140 osservare analizzando tabelle e numeri ) si A B A B 120 A B A B A B Totale laureati triennale 61 91 82 80 63 160possono individuare dinamiche particolari 100 Iscritti all'ordine 127 138 13443 2 80184 2 166 7 134 3 Totale laureati magistrale 46 37 36 140tra la laurea triennale e quella magistrale . 60 Fenomeno quest’ultimo meritevole di una 120 40 Totale laureati triennale 61 91 82 80 63 attenzione nell’ambito dei rapporti che do20 100vranno permettere alla FNOB di dialogare 0 LEGENDA 2018 2019 2020 2021 2022 80costruttivamente con il mondo accademico Totale laureati magistraleIscritti all’ordine 46 dopo laurea37 36 38 magistrale regionale 43 Totale laureati A magistrale sui quali torneremo successivamente. Iscritti all'ordine B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale 60 Ritornando ad una prima Media laureati magistrale (2018-2022) 537 analisi si 40osserva che l’andamento delle iscrizioni Media laureati magistrale (2018-2022) 537 20all’ordine è caratterizzato da dinamiche CAMPANIA Media iscritti all'ordine (2018-2022) 535trarci in inche a prima vista potrebbero MOLISE Media iscritti all'ordine (2018-2022) 535 0 ganno e quindi concludere che al centro LEGENDA 2018 2019 2020 2021 2022 700 sud ci si iscrive di più che al centro nord. 2018 2019 2020 2021 2022 700 2019 2020 dopo2021 2022 Totale laureati magistrale AB A B A2018 Iscritti all’ordine laurea magistrale È fondamentale però non regionale tanto osservare 600 A B A B A B i numeri assoluti (che sono peraltro conIscritti all'ordine 500 Iscritti all'ordine 493 B3 474 11 588 22 639 18 482 Iscritti 600 A B A 17B all’ordine A B dopo A laurea B triennale A B dizionati da un numero più significativo 400 Totale laureati triennale 529 602 621 695 600 di laureati/anno) quanto osservare gli an500 Iscritti all'ordine 493 3 474 11 300588 22 639 18 482 17 Totale laureati magistrale 580 553 484 511 557 damenti nel tempo che ci permettono da 200 400 un lato di fare ipotesi e dall’altro ci obTotale laureati triennale 529 602 621 695 600 100 bligano ad analizzare i fenomeni al fine di 0 porvi rimedio. 300 2018 2019 2020 2021 2022 LEGENDA Totale laureati magistrale 580 553 484 511 557 In altre parole, un andamento in cui i A Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale Iscritti all'ordine 200 laureati e gli iscritti si muovono negli anni Totale laureati magistrale regionale B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale incrociandosi ma in 545 sintesi “viagMedia laureati magistraleanche (2018-2022) 100 giando” insieme rappresentano una situaMedia laureati magistrale (2018-2022) 545 EMILIA ROMAGNA zione fisiologica nella quale noto che il Media iscritti all'ordine0 20/30% (2018-2022) 243necessità di dei biologi non avrà MARCHE Media iscritti all'ordine (2018-2022) 243 2018 2019 2020 2021 2022 LEGENDA iscriversi all’Ordine perché le attività la700 2018 2019 2020 2021 2022 vorative in cui saranno impegnati non la 700 A Iscritti600all’ordine laurea magistrale Iscritti all'ordine 2020 dopo 2021 2022 riterranno necessaria (anche se dovremmo A B A B A 2018 B A B 2019 A B 500all’ordine dopo laurea triennale Totale laureati magistrale regionale Iscritti all'ordine 181 B1 211 1 297 4 306 4 221 Iscritti 3 600 fare un attento approfondimento dei rapA B A B 400 A B A B A B porti ad esempio Ordine/insegnanti etc Totale laureati triennale 607 627 768 784 781 300 500 etc). Buona parte degli ordini così appaioIscritti all'ordine 181 1 211 1 297 4 306 4 221 3 Totale laureati magistrale 530 529 500 537 630 200 no dalla prima analisi ma la restante parte 400 si manifesta con due comportamenti che 100 Totale laureati triennale 607 627 768 784 781 bene osservare; ad esempio, Lombardia e 0 2018 2019 2020 2021 2022 300 Emilia-Romagna-Marche manifestano una LEGENDA Totale laureati magistraleIscritti all’ordine 530 dopo laurea529 500 Totale laureati 537magistrale regionale 630 “preoccupante” emorragia tra laureati e A magistrale 200 Iscritti all'ordine B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale iscritti mentre al contrario aree quali Pu100 glia-Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna si presentano con un fenomeno che po0 tremmo definire paradosso perché in nu-

CALABRIA

CAMPANIA MOLISE

EMILIA ROMAGNA MARCHE

2018

LEGENDA A

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

2019

2020

2021

2022

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023 Totale laureati magistrale regionale

15


Primo piano

mero degli iscritti all’ordine supera abbonMedia laureati magistraledantemente (2018-2022) i laureati. 417 I due fenomeni sono molto interessanMedia laureati magistrale (2018-2022) 417 ti e dovranno ,in accordo con LAZIO - ABRUZZO Media iscritti all'ordine (2018-2022) 453 gli ordini Media iscritti all'ordine (2018-2022) 453 territoriali, approfonditi dalla FNOB ma mentre il primo (quello emorragico ) è 700 2018 2019 2020 2021 2022 il risultato estremo di un fenomeno che 700 600 2020 2021 2022 A B A B A2018 B A B 2019 A B coinvolge un pò tutte le attività ordini500 365 1 279 2 556 9 607 6 458 14 Iscritti all'ordine stiche e quindi non solo i Biologi l’altro 600 A B A B 400A B A B A B 508 468 494 490 428 Totale laureati triennale (sempre in modo intuitivo ) può certa300 mente essere accreditato ad una politica 500 365 1431 279398 2 556 9 607 6 458 14 Iscritti all'ordine 441 421 Totale laureati magistrale 393 200 intrapresa dall’Ordine Nazionale nello “stanare” colleghi magari pur in possesso 400 100 508 468 494 490 428 Totale laureati triennale di una abilitazione alla professione veni0 2018 2019 2020 2021 2022 LEGENDA 300 vano impiegati senza che agli stessi fosse 421 431 magistrale regionale 398 A all’ordine dopo laurea441 magistrale Totale laureati magistrale Iscritti 393 Totale laureati imposta la iscrizione all’ordine Iscritti all'ordine B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale 200 Venendo ora a trattare l’iscrizione all’ordine si può osservare come, Media laureati magistrale (2018-2022) 480 a partire 100 dagli ultimi anni, il numero dei nuovi adeMedia laureati magistrale (2018-2022) 480 renti abbia annualmente raggiunto numeri 0(2018-2022) LOMBARDIA Media iscritti all'ordine assai 315 di stasi lusinghieri pur in momenti Media iscritti all'ordine (2018-2022) 315 2018 2019 2020 2021 2022 LEGENDA economica del Paese. Certamente l’aver ricollocato i Biologi tra gli operatori sanitari 600 2018 2019 2020 2021 2022 A Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale Totale laureati magistrale regionale 600 è stato un innegabile successo dell’ONB 2020 2021 2022 A B A B A2018 B A B 2019 A B 500 Iscritti all'ordine B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale Nazionale e tale rinnovata presenza dovrà 260 3 255 4 391 1 344 5 324 4 Iscritti all'ordine A B A B 400A B A B A B essere un vero e proprio cavallo di batta500 427 409 425 482 412 Totale laureati triennale glia far ritornare nella sanità i biologi con 300 260 3484 255536 4 391 1 344 5 324 4 Iscritti all'ordine 436 450 Totale laureati magistrale 495 tutto quanto sarà necessario in termini 200 400 scuole di specializzazione, master etc etc. 427 409 425 482 412 Totale laureati triennale 100 Questo sarà un vero “banco di prova “per 300 la nuova organizzazione dove il peso e la 0 LEGENDA 2018 2019 2020 2021 2022 forza della FNOB potrà trovare la massi495 436 450 484 536 Totale laureati magistrale A Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale Totale laureati magistrale regionale ma utilizzazione a livello periferico mentre Iscritti all'ordine B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale 200 al contempo gli ordini territoriali CON la potranno agire sui diversi Media laureati magistraleFnob (2018-2022) 202 Ministeri 100 determinando in questo modo una massa Media laureati magistrale (2018-2022) 202 PIEMONTE – LIGURIA critica neppure ipotizzabile prima della Media iscritti all'ordine istituzione (2018-2022) – VALLE D’AOSTA Media iscritti all'ordine (2018-2022) 181 0 della Federazione.181 LEGENDA 2018 2019riferimento 2020 2021 2022 Sempre in alle iscrizioni 300 2018 2019 2020 2021 2022 A Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale all’ordineTotale duole osservare come una irrilaureati magistrale regionale 300 A B A B A2018 B A B 2019 A B 2021 2022 250 2020 levante quota di laureati triennali ritenga Iscritti all'ordine B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale 120 3 105 1 204 1 242 8 232 4 Iscritti all'ordine utile iscriversi si dovrà procedere al fine 200 A B A B A B A B A B 250che ai laureati triennali vengano consentiti 373 378 446 396 413 Totale laureati triennale 150 ruoli nelle attività pubbliche sanitarie e non 120 3260 105242 1 204 1 242 8 232 4 181 176 Iscritti all'ordine Totale laureati magistrale 153 100 200che richiedano per l’esercizio la iscrizione all’ordine solo in questo modo potremmo 50 373 378 446 396 413 Totale laureati triennale pensare all’iscrizione come non più ad un 150 0 LEGENDA atto voluto bensì ad un atto dovuto. 2018 2019 2020 2021 2022 Totale laureati A all’ordine dopo laurea181 magistrale 176 260 magistrale regionale 242 Totale laureati magistrale Iscritti 153 In ultimo una rapida osservazione più Iscritti all'ordine 100di carattere accademico! Osservando i dati B Iscritti all’ordine dopo laurea triennale elaborati, non sfugge certo, che esistono 50“movimenti” su lauree magistrali che risul-

LAZIO - ABRUZZO

LOMBARDIA

PIEMONTE – LIGURIA – VALLE D’AOSTA

16

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023 LEGENDA

0

2018

2019

2020

2021

Totale laureati magistrale regionale

2022


Primo piano

tano essere molto più attrattive di altre. Ad esempio, Milano Statale, Napoli Federico II e Pavia hanno un andamento in cui in modo inequivocabile il numero di iscritti alle lauree magistrali supera i laureati triennali; segno questo della loro attrattività a discapito di altre sedi. Di fenomeni come questo FNOB dovrà trattare con il Ministero e con il mondo accademico forti anche del fatto che le più recenti (!!) riforme universitarie hanno conferito al mondo accademico di verificare e valutare il destino professionale dei propri laureati In ultimo si dovrà fare estrema attenzione al progredire delle Università Telematiche che dall’epoca del Covid hanno goduto di una evidente attenzione collettiva di famiglie e studenti. Ne è la prova la tendenza rappresentata nel grafico ove i numeri sono seppur apparente piccoli già paragonabili a quelli presentati da numerose università Italiane tenuto anche conto che le Telematiche, di norma, non pongono sbarramenti numerici. © hxdbzxy/shutterstock.com

Media laureati magistrale (2018

TOSCANA - UMBRIA

Media laureati magistrale (2018-2022)

TOSCANA - UMBRIA

Media iscritti all'ordine (2018-2022)

2018

2019

A

B

A

Iscritti all'ordine

154

2

Totale laureati triennale

Iscritti all'ordine Totale laureati magistrale

2020

2021

2022

2018 A B A

2019 B A B

144

244

2

348

348

354

335

224

208

154

2

B

A

214

Totale laureati triennale LEGENDA

Totale laureati magistrale

2

226

B

290

A

209

6

B

298

224

208

Totale laureati triennale

B

A

B

300

2

226

2

209

6

250

0

214 2018

335

298

290 2020

2021

2019

294

200 150

2022

Totale laureati magistrale regionale Iscritti all'ordine

100

50

LEGENDA Media iscritti all'ordine (2018-2022)

2019

2020

A

A

220

2

211

B

A

157

3

349

B

217

183

220

2

103

Totale laureati triennale

2021

2018 B A

344

220

Totale laureati magistrale

A

Media laureati magistrale (2018-2022)

BB

199

B

Media laureati magistrale (2018

A

Iscritti all'ordine 134

A

250

50

Iscritti all’ordine dopo laurea triennale

Iscritti all'ordine

350

354

B

2018

2022

100

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

A

2021

244

A

PUGLIA PUGLIA BASILICATA BASILICATA

2020

300

150

294

348

195

200

144

348

350

246

Media iscritti all'ordine (2018-

101

199

B 8

123

Media iscritti all'ordine0(2018275

20

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

2022

400

400

2019 2020 2021 2022 A Iscritti B all’ordine dopo laurea triennale 350

A

249

4

B

159

211

A

B

A

B

A

B

350

344

3

349

8

249

4

300

300

250

200

120

150

220

217

183

100

250

159

50

LEGENDA

Totale laureati magistrale A B

134

200

0

157

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

103

101

2018

2019

120

2021

2022

Totale laureati magistrale regionale

150

Iscritti all'ordine

Iscritti all’ordine dopo laurea triennale

100 Media laureati magistrale (2018

SICILIA

Media laureati magistrale (2018-2022)

SICILIA

LEGENDA Media iscritti all'ordine (2018-2022) A 2018

2019

2020

2021

A

2018

A

BB

A

B

A

Iscritti all'ordine

257

11

227

13

532

Totale laureati triennale

308

287

Totale laureati magistrale

178

196

Iscritti all'ordine

2020

B

B

257

257

11

237

212

50

347

0

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale 600 2022

2020

2021

2022

600

A

B

A

B

A

B

500

21

359

19

361

12

2019

A Iscritti B 500 all’ordine dopo laurea triennale

A 21 B359 19 A361 12B

251

201

Media iscritti all'ordine (2018-

400

301

227

180

13

300

532

400

200

Totale laureati triennale

308

LEGENDA

Totale laureati magistrale

178

287

251

100

0

196

A

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

B

Iscritti all’ordine dopo laurea triennale

237 2018

257

201

301 300

212 2020

2019

180

2021

2022

Totale laureati magistrale regionale

200

Iscritti all'ordine

100 LEGENDA Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023 A

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

17

0

20


Primo piano

© Banana Images/shutterstock.com

Media laureati magistrale (2018-2022)

SARDEGNA

Media laureati magistrale (2018-2022)

SARDEGNA

Media iscritti all'ordine (2018-2022) 2018

2019

2020

2021

A

B

A

B

A

B

A

B

Iscritti all'ordine

67

1

46

1

134

A

0

B170

4

Totale laureati triennale

93

Iscritti all'ordine

Totale laureati magistrale

135

61

52

2018

125

121

67

1

70

A

2020

A128 0B 88

46

69

1

70

140

A

120

100

134 80

2022

B

A

B

A

B

0

170

4

128

0

60

Totale laureati triennale

93

135

125

121

40

88

LEGENDA

61

0

52

A

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

B

Iscritti all’ordine dopo laurea triennale

70

69

2018

2019

A

B

Iscritti all'ordine

113

162

1

214

Totale laureati triennale

128

140

Iscritti all'ordine 200

249

A

BB

Totale laureati magistrale

1

A

131

227

B

202

228

225

Media iscritti all'ordine 0(2018-2022) 187

2018

2022

2

A

3

B

200

A

B

A

B

A

B

150 214

1

227

2

218

3

144 128

162

1

244 200

100

Totale laureati triennale

128

LEGENDA

Totale laureati magistrale

140

200

300

250

218

131 50 0

249

A

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale

B

Iscritti all’ordine dopo laurea triennale

202

127

225

20

2019 2020 dopo2021 2022 all’ordine laurea triennale B A Iscritti B

127

113

80 60

Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale 300

2021

2018 A B A

120

40

LEGENDA

2020

140

Media laureati magistrale (2018-2022)

Media iscritti all'ordine (2018-2022)

2019

2022

Iscritti all'ordine

Media laureati magistrale (2018-2022)

A

70

2021

Totale laureati magistrale regionale

VENETO – FRIULI VENETO – FRIULI TRENTINO TRENTINO 2018

2020

160

100

20

Totale laureati magistrale

109

180

2021

160

B

64

Media iscritti all'ordine (2018-2022) 109

180

2022

2019

64

2019

2020

187

2021

2022

Totale laureati magistrale regionale Iscritti all'ordine

250 200

144 128 150

2018

228

2019

244 2022 200

2020

2021

Totale laureati magistrale regionale Iscritti all'ordine

100

CONSIDERAZIONI COMPLESSIVE 50

CONSIDERAZIONI COMPLESSIVE Piemonte-Ligura-Val D'aosta Lombardia Veneto-Friuli-Trentino Emilia-Marche Toscana-Umbria Sardegna Lazio-Abruzzo Campania-Molise Calabria Puglia-Basilicata Sicilia

202 480 225 545 246 64 417 537 40 123 201

A

Piemonte-Ligura-ValB D'aosta Lombardia Veneto-Friuli-Trentino Emilia-Marche Toscana-Umbria Sardegna Lazio-Abruzzo Campania-Molise Calabria Puglia-Basilicata Sicilia Media laureati magistrale (2018-2022)

600 500 400 300 200 100 0

media % iscritti

media % iscritti all'ordine dopo la LEGENDA Media laureati Media iscritti laurea magistrale all'ordine dopo la (2018-2022) magistrale90 all'ordine (2018- Piemonte-Ligura181 Val D'aosta laurea magistrale Iscritti all’ordine dopo laurea magistrale (2018-2022) 2022) 315 66 Sicilia Lombardia (2018-2022) 187 83

Media laureati Media iscritti magistrale all'ordine (2018(2018-2022) 2022)

243 195 109 453 535 129 275 347

202 480 225 545 246 64 417 537 40 123 201

45 79 170 109 100 323 224 173

Media iscritti all'ordine (2018-2022)

Media laureati magistrale (2018-2022)

18

600

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023 500 400 300

0

2018

2019

2020

Iscritti all'ordine

315 66 Emilia-Marche Calabria 187 83 Campania-Molise 243 45Toscana-Umbria Sardegna 195 Lazio-Abruzzo 79 109 170 453 109 535 Media laureati magistrale 100 (2018-2022) Media iscritti all'ordine (2018-2022) 129 323 275 224 347 173

Sicilia

181

90

Media iscritti all'ordine (2018-2022)

2022

Totale laureati magistrale regionale

Iscritti all’ordine dopo laurea triennale Veneto-FriuliPuglia-Basilicata

2021

Trentino

Piemonte-LiguraVal D'aosta Lombardia

Puglia-Basilicata

Veneto-Fr Trentino

Calabria

Emilia-M

Campania-Molise Lazio-Abruzzo

Toscana-Umb Sardegna


Primo piano

LE UNIVERSITA’ MAGISTRALI CHE ATTRAGGONO PIU’ STUDENTI DALLA TRIENNALE 2018 2019 2020 2021 2022 Laureati - triennale - Federico II

130

141

211

301

258

Laurati - magistrale - Federico II

435

363

317

344

379

Università Federico II 500 400 300 200 100 0

2018

2019

2020

Laureati - triennale - Federico II

Laureati - triennale - Università di Milano

113

94

118

122

94

Laurati - magistrale - Università di Milano

206

171

185

216

197

2021

2022

Laurati - magistrale - Federico II

Università di Milano 500 400 300 200 100 0

2018

2019

2020

Laureati - triennale - Università di Milano

2021

2022

Laurati - magistrale - Università di Milano

Università di Pavia

Laureati - triennale - Università di Pavia

104

101

106

145

120

Laureati - magistrale - Università di Pavia

210

197

202

188

226

500 400 300 200 100 0

2018

2019

2020

Laureati - triennale - Università di Pavia

2021

2022

Laureati - magistrale - Università di Pavia

LO SVILUPPO DELLE UNIVERSITA’ TELEMATICHE Laureati

2108

2019

2020

2021

2022

variazione % 2018-2022

0

4

89

168

207

5075

Laureati alla università e-campus 250 200 150

100 50 0

2108

2019

2020

2021

2022

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Intervista

IL TUMORE ALLA PROSTATA SI COMBATTE ANCHE CON L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE Un progetto di 5 anni per individuare terapie personalizzate Ne parla Caterina La Porta (Università Statale di Milano) di Chiara Di Martino

I

ntercettare specificità tali da consentire una terapia personalizzata e migliorare, così, la sopravvivenza e la qualità di vita dei pazienti affetti da tumore alla prostata, e farlo grazie all’intelligenza artificiale: è l’obiettivo del progetto quinquennale intitolato “Development of artificial intelligence-based multiplex network for individualized risk stratification of prostate cancer” guidato da Carlotta Palumbo, ricercatrice in Urologia dell’Università del Piemonte Orientale, selezionato tra i cinque vincitori nell’ambito del bando Next Gen Clinician Scientist 2022 di Fondazione AIRC. Lo studio vede la collaborazione del Centro della Complessità e dei Biosistemi dell’Università Statale di Milano, guidato da Caterina La Porta, docente del dipartimento di Scienze e Politiche ambientali, e Stefano Zapperi, docente del dipartimento di Fisica “Aldo Pontremoli”; oltre al dipartimento di Scienze chirurgiche dell’Università di Torino e al dipartimento di Scienze chirurgiche dell’Università di Roma Tor Vergata. Il progetto, che per il primo anno riceverà un finanziamento di circa 300mila euro, gode, inoltre, del patrocinio e di un attivo concorso dell’associazione di pazienti “Europa Uomo Italia”. Sarà il primo sistema di intelligenza artificiale che definirà l’identikit di ciascun carcinoma prostatico sulla base di una moderna analisi

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Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

multi-livello che potrà essere impiegato anche per lo sviluppo di nuove modalità di biopsia non invasiva su sangue o urina: nello specifico, per ogni paziente, saranno integrati con un avanzato sistema di “multiple layer network” i dati clinici, anatomopatologici e radiologici con analisi di genomica e trascrittomica, arrivando a definire per ciascun paziente con una nuova diagnosi di tumore prostatico localizzato la più probabile classe di rischio, un parametro sul quale al momento si basano tutte le successive scelte terapeutiche. A spiegare cosa ci si aspetta da questo progetto e quali ne siano le premesse è Caterina La Porta è professore di Patologia Generale all’Università degli Studi di Milano dove coordina il gruppo di ricerca Oncolab. Negli ultimi 15 anni, ha spostato il suo interesse verso la biologia quantitativa e la salute digitale e il fulcro della sua attuale attività di ricerca si concentra sulla comprensione dell’eterogeneità del cancro utilizzando strumenti di biologia cellulare, biofisica e scienza dei dati. Quali sono, attualmente, i dati più aggiornati sul tumore alla prostata? Il cancro alla prostata è il tumore più comune tra gli uomini, è il quarto più comunemente diagnosticato nel mondo. Il tasso di sopravvivenza relativa a 5 anni per la maggior parte delle persone con tumore alla prostata locale o regionale è più del 95%. Per le persone a cui è stato diagnosticato un tumore alla prostata che


si è diffuso ad altre parti del corpo, il tasso di sopravvivenza relativa a 5 anni scende intorno al 32%. Com’è nato questo progetto e quali soggetti coinvolge? Nasce dalla collaborazione con colleghi urologi dell’Università di Novara, Torino e Tor Vergata che sono coinvolti nella definizione del protocollo e arruolamento dei pazienti. In particolare la giovane urologa Carlotta Palumbo che è Principal Investigator del progetto AIRC dedicato alla ricerca clinica under 40 anni. Qual è il fulcro della ricerca? Lo studio intende trovare una valutazione prognostica nuova, aggiornata e completa per scegliere le strategie terapeutiche migliori nei pazienti con carcinoma prostatico non metastatico di nuova diagnosi. Le analisi preliminare sulla sopravvivenza, infatti, mostrano un possibile ruolo nella sovradiagnosi e nel sovratrattamento secondo le attuali linee guida. Lo stesso “percorso” sarebbe possibile senza l’AI? Sicuramente richiederebbe più risorse e più tempo. Qual è l’obiettivo? Trattare i pazienti in modo personalizzato evitando di trattamenti superflui che sono nocivi per la salute del paziente e sono anche un costo. Questo tipo di progetto è già stato portato avanti per altre patologie tumorali? Il mio gruppo all’interno del Centro della Complessità Biosistemi ha già sviluppato la piattaforma ARIADNE che calcola il rischio di aggressività del tumore seno triplo negativo che è un dispositivo medico di tipo 2. La collaborazione con i clinici coordinati dalla dottoressa Palumbo all’interno del progetto AIRC permetterà di sviluppare strumenti analoghi per il tumore alla prostata. Quanto “dista”, in termini temporali, l’obiettivo finale di questo progetto? I tempi chiesti per il progetto AIRC, 5 anni. Quale ruolo ha l’innovazione tecnologica nel mondo della ricerca? È fondamentale per consentire di aiutare i pazienti ma anche per contenere le spese sanitarie. In quest’ottica ritengo che l’Università abbia un ruolo cruciale come fucina di innovazione sia in termini di idee sia di creazione di nuove figure professionali.

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Intervista

CHI È CATERINA LA PORTA

Il cancro alla prostata è il tumore più comune tra gli uomini, è il quarto più comunemente diagnosticato nel mondo. Il tasso di sopravvivenza relativa a 5 anni per la maggior parte delle persone con tumore alla prostata locale o regionale è più del 95%.

Caterina La Porta è professore di Patologia Generale all’Università degli Studi di Milano dove coordina il gruppo di ricerca Oncolab (www.oncolab.unimi.it) ed è membro del comitato direttivo del Centro per la Complessità e i Biosistemi (www.complexitybiosystems.it). Nel 2018 ha fondato la startup ComplexData di cui è CEO ed ARIADNE è la prima piattaforma tecnologica della società che è attualmente un dispositivo medicale di tipo 2. Durante la sua carriera scientifica, ha pubblicato più di 200 articoli su riviste internazionali, principalmente sul cancro e sulle malattie neurodegenerative, ricevendo migliaia di citazioni.

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Intervista

DAL LABORATORIO AL TRIBUNALE, LA BIOLOGIA AL SERVIZIO DELLA GIUSTIZIA Le analisi delle tracce biologiche rilevate sulle scene dei crimini giocano ruolo decisivo nei processi. Intervista a Vincenzo Agostini, biologo forense e consulente giudiziario di Ester Trevisan

D

ottor Agostini, qual è l’identikit del biologo forense? È un biologo che impiega le proprie conoscenze acquisite nei diversi ambiti della biologia per supportare il lavoro della magistratura. Che sia genetista, entomologo, microbiologo, quando viene incaricato da un magistrato o da un avvocato difensore di svolgere delle analisi, i suoi risultati poi entrano all’interno di un processo civile o penale. Il nostro compito è molto delicato, perché abbiamo la responsabilità di confermare l’attribuzione di una traccia trovata sulla scena del crimine a un determinato soggetto. Ciò implica ripercussioni sulla libertà di un indagato o di un sospettato. Lo stesso discorso vale quando i biologi genetisti forensi vengono incaricati di accertare i rapporti parentali, la responsabilità di cui sono investiti è enorme. Come GeFI abbiamo un codice deontologico interno che dobbiamo seguire per lavorare tutti rispettando determinati standard di qualità. Cos’è GeFi? È l’associazione scientifica Genetisti Forensi italiani, gruppo di lavoro ufficiale di lingua italiana dell’ISFG (International Society for Forensic Genetics). A grandi linee, i biologi iscritti sono 200, ma del gruppo di lavoro fanno parte anche docenti universitari e medici legali. I biologi forensi riuniti nel Gruppo Tossicologi Forensi Italiani (GTFI) prestano la loro attività, invece, nel campo della tossicologia, lavorando insieme con

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Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

i chimici per identificare le sostanze stupefacenti, mentre i colleghi del Gruppo Italiano di Entomologia Forense (GIEF) operano nell’ambito dell’entomologia. Queste tre associazioni sono le uniche ufficiali in Italia riconosciute anche a livello internazionale. Quali sono i casi più complessi che possono presentarsi a un biologo forense? Ogni caso è complesso a modo suo per diversi aspetti. Parlando in linea generale, quelli sicuramente più complessi sono gli omicidi e le violenze sessuali, perché lì abbiamo a che fare con un numero di reperti e tracce estremamente elevato. Molto, poi, dipende da chi interviene per primo sulla scena del crimine, il cosiddetto primo accesso che ad oggi in Italia viene eseguito dalle forze dell’ordine, nello specifico da colleghi biologi che lavorano nei reparti scientifici di polizia e carabinieri. Spetta a loro procedere con i rilievi e il campionamento delle tracce che rappresenta la fase più importante di tutto il procedimento, perché se il sopralluogo viene svolto in maniera errata, si corre il rischio di perdere potenziali elementi identificativi e probatori importanti. La scrupolosità e la precisione sono fondamentali in quei frangenti. E i casi che generalmente procurano maggiori soddisfazioni? Le soddisfazioni arrivano spesso. È il caso, per esempio, di quando si lavora come consulenti del magistrato che sta conducendo le indagini e su


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una traccia si trovano profili genetici inaspettati grazie ai quali si riesce a identificare un soggetto che poi risulta essere l’autore del delitto. In questo modo, si apporta un contributo determinate alle investigazioni, che viene riconosciuto anche dal magistrato. Molte soddisfazioni si possono ottenere anche prestando la propria attività per le difese, come consulente di parte che effettua le analisi, ma segue pedissequamente quelle svolte dai colleghi incaricati dalla magistratura ed esprime osservazioni in merito. Come consulente di parte, infatti, bisogna segnalare eventuali difformità, che magari hanno portato il magistrato ad accusare un soggetto che in realtà non c’entra nulla. È evidente, quindi, che una forte soddisfazione personale arriva quando, avvalendosi del nostro supporto, la difesa riesce a smontare l’impianto accusatorio e a dimostrare l’estraneità dai fatti dell’indagato. Diciamo che rappresentiamo un ottimo strumento per la magistratura, aiutandola a fare luce. Qual è il percorso che l’ha portata a svolgere questa professione? Io sono capitato per caso in ambito forense. Ho studiato biologia molecolare e genetica e, poiché la professoressa alla quale avevo chiesto la tesi in quel momento non aveva posti disponibili in laboratorio, mi suggerì di orientarmi verso la genetica forense. Ed è stato così che nel 2006 è scoccato l’amore con questa professione. Il consiglio che do sempre ai miei studenti della triennale è di capire bene quale disciplina biologica forense intrapren-

Vincenzo Agostini. Vincenzo Agostini svolge attività libero professionale in qualità di Biologo Forense-Consulente Giudiziario per varie Procure e Tribunali italiani, nonché per clienti e investigatori privati e come Consulente Tecnico di Parte (in ambito civile e penale). Professore a contratto di Biologia Forense presso l’Università del Piemonte Orientale. Esegue analisi genetico forensi per scopi identificativi/discriminativi e per accertamenti di paternità/parentela, nonché ricostruzioni della scena del crimine.

dere, così da scegliere la laurea specialistica più affine alla branca che si vuole approfondire. Quali sono gli sbocchi occupazionali per i biologi forensi? Dopo la laurea, la posizione di biologo forense più richiesta e appassionante è quella nelle forze dell’ordine. In questo caso, bisogna ambire al posto fisso nel settore pubblico, partecipare ai bandi di concorso, superarli e poi, una volta entrati, seguire i corsi di formazione interni che destinano ai laboratori. Un altro percorso che si può intraprendere è quello accademico, quindi continuando gli studi universitari con un post lauream con un dottorato di ricerca in scienze forensi, cercando di ottenere assegni di ricerca, fino a ricevere l’incarico di professore associato e poi ordinario. La terza strada, quella che ho scelto io, è la libera professione: ci si iscrive all’ordine, si apre la partita iva e ci si butta nella mischia. Come farsi riconoscere, poi, nella mischia? Ovviamente bisogna cercare sempre di aggiornarsi e formarsi e cercare di farsi un nome tra gli avvocati per ottenere consulenze di parte e nei tribunali per vedersi assegnare procure di ufficio. Ogni tribunale ha un albo di periti e consulenti tecnici e ogni biologo forense può essere iscritto a un solo albo che è quello di residenza territoriale. Auspichiamo che, grazie al nostro ordine, ci sia la possibilità di istituire un unico albo nazionale da cui tutti i magistrati possano attingere, quindi senza essere vincolati ai consulenti iscritti al loro tribunale e senza dover ricorrere all’incarico a fiducia nel caso in cui vogliano nominare un consulente “extraterritoriale”. Realizzare un unico albo nazionale potrebbe aiutare anche la lotta all’esercizio abusivo della professione, evitando che chi non è specialista nell’ambito della genetica forense assuma incarichi dalle procure e gestisca le pratiche. Quale contributo potrebbe dare l’intelligenza artificiale al lavoro del biologo forense? L’interpretazione della traccia nella genetica forense non può essere standardizzata, perché possiamo avere profili singoli, misti, misti complessi che da traccia a traccia e da caso a caso possono essere completamente differenti. Quindi il lavoro interpretativo del tecnico, a mio avviso, non può essere sostituito da un’intelligenza artificiale. Bene, invece, se si tratta di impiegare l’IA per agevolare il nostro lavoro da un punto di vista biostatistico e probabilistico attraverso il miglioramento dei software che noi già utilizziamo. Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Intervista

TUMORE DELL’OVAIO UNA STORIA DI CORAGGIO CONTRO IL BIG KILLER Informazione, innovazioni terapeutiche e prevenzione Interviste alla scrittrice Luisanda Dell’Aria e all’oncologo Domenico Bilancia di Carmen Paradiso

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a scrittrice romana Luisanda Dell’Aria racconta il suo rapporto con la malattia che l’ha colpita in conferenze pubbliche e incontri nelle scuole. Ha anche scritto un libro (“Abbi cura di te. Una storia vera”, che recensiamo in questo numero del “Giornale dei Biologi” nella rubrica letteraria) con il quale desidera accendere i riflettori su una patologia poco conosciuta sconosciuta, ancora oggi considerata uno dei big killer tra le neoplasie ginecologiche: il cancro dell’ovaio. Perché hai deciso di scrivere questo libro? In primis perché se avessi saputo qualcosa in più sul carcinoma varico non mi sarei trovata nella situazione in cui mi trovo. Quando mi sono ammalata ho sentito un’urgenza: di parlare alle donne. Una donna su sette non sa che esiste questa neoplasia. La maggior parte lo confonde con quello dell’utero e pensa che il pap test sia uno screening risolutivo. Non è così. E così ho scoperto che i sintomi che mi portavo dietro da un anno erano quelli del cancro all’ovaio. E questo mi ha spinta ad informare le altre donne sane perché vi restino tali. Perché la destinataria del libro si chiama “Donna”? In questo libro, che si può scaricare gratuitamente perché queste sono informazioni che non possono essere a pagamento, io non parlo della mia malattia, perché non sarebbe stata

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Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

una informazione. Invece, io desideravo informare quante più donne. Ho cercato un modo di scrivere che non spaventasse, che mi mettesse in contatto con loro. Quindi, ho immaginato di scrivere a una donna per tutte le donne. Che ho chiamato Donna. Cosa è successo prima della diagnosi? Ho iniziato ad avere dei sintomi, comuni, malesseri ordinari. Mi sono trascinata questi sintomi per un anno intero assumendo farmaci che curavano tutto tranne il mio vero problema. Fino a quando un giorno tutto è iniziato toccandomi un linfonodo sotto l’ascella risultato poi essere un nodulo necrotizzato. Da lì è partito tutto fino ad arrivare alla diagnosi di cancro all’ovaio metastizzato. Come vedi il futuro? Chi è malato di cancro ha un futuro. Tante volte non riusciamo a vederlo nell’immediato. Lo abbiamo perché sviluppiamo un vantaggio: la capacità dell’oggi. Riusciamo ad apprezzare, con uno spessore e una profondità diversa, quello che veramente è la vita che a volte ci sfugge. Io progetto il mio oggi, il mio domani perché il mio oggi è anche il mio domani. I progressi della ricerca continuano nel cercare di migliorare la comprensione di questa malattia e nell’offrire nuove opzioni di trattamento per i pazienti, così come ci spiega Domenico Bilancia, direttore del


Luisanda Dell’Aria (quarta da sinistra), durante una recente presentazione del suo libro a Potenza.

Dipartimento Oncologico dell’ospedale San Carlo di Potenza. Cosa è il tumore ovarico? Il tumore ovarico è una patologia complessa che richiede una gestione condivisa da più specialisti. Ogni anno circa 1 donna su 80 riceve una diagnosi di tumore ovarico per un totale di più di 5300 nuove diagnosi annue. La percentuale di sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è del 40 %, un dato legato alla diagnosi tardiva. Il tumore dell’ovaio è una neoplasia asintomatica nelle fasi iniziali, presenta segni e sintomi aspecifici tali da renderne difficile la diagnosi precoce. La sintomatologia spesso e sovrapponibile a quella di condizioni patologiche meno gravi. Quale legame tra il Tumore ovarico e la genetica? La caratterizzazione genetica delle neoplasie ovariche riveste un ruolo importante nella gestione del tumore perché è l’unica arma di prevenzione a disposizione per individuare i soggetti portatori di mutazioni patogenetiche, esposti al rischio di sviluppare un tumore ovarico, individui sui quali può essere pianificata la profilassi primaria con l’ovariectomia. Tutte le pazienti con tumore ovarico devono eseguire la ricerca di mutazioni BRCA1 e BRCA2 somatico e germinale perché una percentuale compresa tra il 6 e il 20% presenta una mutazione di tali geni. Tuttavia, esistono numerosi altri geni che possono essere coinvolti. La consulenza genetica e i test genetici possono aiutare a identificare i pazienti a rischio elevato. Si stima che se effettuato su tutte le pazienti con tumore ovarico il test genetico potrebbe favorire una

Domenico Bilancia. Domenico Bilancia è direttore della Unità Complessa di Oncologia Medica e del Dipartimento Oncologico dell’Azienda Ospedaliera Regionale San Carlo di Potenza. È specializzato in Oncologia Medica e Ematologia Generale Clinica e di Laboratorio.

riduzione almeno del 40% dell’incidenza del tumore. Ma le mutazioni possono diventare il bersaglio di terapie specifiche di alto significato terapeutico. Quali sono le prospettive terapeutiche? Negli ultimi cinque anni c’è stata un’evoluzione terapeutica che ha consentito di migliorare la comprensione di questa malattia e di offrire nuove opzioni di trattamento per i pazienti. In particolare, la combinazione di farmaci a bersaglio molecolare (PARP inibitori) con la chemioterapia standard e l’inibitore di VEGF bevacizumab (farmaco anti-angiogenico), sembrerebbe essere la strada più promettente, migliorando significativamente la sopravvivenza libera da progressione della malattia e riducendo il rischio di progressione del 32% rispetto al trattamento standard. I PARP inibitori sono farmaci target che bloccano la Poli ADP-ribosio polimerasi, un enzima chiave nella riparazione del danno al DNA su singola catena. Nelle pazienti con mutazioni del BRCA 1/2 risulta difettosa la riparazione dei danni al DNA su entrambe le catene attraverso il meccanismo della ricombinazione omologa, processo che può essere difettoso anche con altre mutazioni. Queste condizioni definite HRD+ (difetti della riparazione omologa) rappresentano la condizione ideale per l’azione degli inibitori di PARP che privano le cellule neoplastiche di qualsiasi possibilità di riparare il DNA inducendone la morte. Questo approccio terapeutico ha avuto una notevole efficacia non solo nelle donne con carcinoma ovarico avanzato che presentavano una mutazione BRCA o difetti della ricombinazione omologa HRD+. Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Salute

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n recente studio pubblicato sulla rivista Nature ha identificato un bersaglio terapeutico per combattere il carcinoma pancreatico, uno dei tumori più aggressivi. La ricerca, ancora in fase preclinica, è stata condotta dall’Istituto San Raffaele di Milano in collaborazione con l’Istituto Telethon di terapia genica, l’Università Vita e Salute, le Università di Torino e Verona, l’Inserm francese, il centro di ricerca Biopolis di Singapore e l’Università di Shanghai. Il progetto ha ricevuto il sostegno della Fondazione Airc per la ricerca sul cancro, del Consiglio Europeo della Ricerca e del ministero della Salute. È stato indentificato uno dei meccanismi chiave che promuove la crescita del tumore che potrà offrire un nuovo obiettivo terapeutico per rallentare la progressione della malattia

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Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

I l focus della ricerca è l’adenocarcinoma duttale del pancreas, una forma di tumore particolarmente letale. Il team di ricercatori guidato dal professor Renato Ostuni, responsabile del laboratorio di Genomica del Sistema Immunitario Innato presso l’Istituto San Raffaele Telethon per la Terapia Genica (SR-Tiget) e docente associato all’Università Vita-Salute San Raffaele, ha identificato e compreso uno dei processi biologici della malattia. La relazione tra l’infiammazione e la promozione della crescita del tumore del pancreas era fino a poco tempo fa un aspetto poco compreso. I ricercatori sono riusciti a identificare uno dei meccanismi chiave che stanno alla base di questo processo. Il tumore del pancreas è noto per essere particolarmente insidioso e difficile da trattare. Una delle caratteristiche principali di questa malattia è il suo sistema immunitario compromesso, che riduce significativamente l’efficacia delle terapie immunologiche, anche quelle più avanzate. Un altro aspetto critico del tumore del pancreas è la sua forte componente infiammatoria. Questo fattore ha una grande importanza, in quanto l’insor-


genza di danni ai tessuti e le conseguenti risposte infiammatorie, come nel caso delle pancreatiti, sono riconosciuti come fattori di rischio importanti per lo sviluppo di neoplasie. Nella progressione dell’adenocarcinoma duttale del pancreas (PDAC) emerge il ruolo importante di un di un sottogruppo di cellule del sistema immunitario, i macrofagi IL-1β+. Hanno scoperto un’interazione sinergica tra queste cellule immunitarie, i macrofagi IL-1beta+, e alcune cellule tumorali estremamente aggressive associate a processi infiammatori. Questa interazione crea un circolo vizioso che aumenta l’aggressività delle cellule tumorali e la capacità dei macrofagi di promuovere infiammazione e progressione tumorale. I macrofagi sono delle cellule chiave del sistema immunitario innato che svolgono un ruolo cruciale nella difesa dei tessuti e nell’innescare risposte rapide contro patogeni e minacce esterne. Tuttavia, nei tumori le loro funzioni subiscono una significativa alterazione, arrivando a favorire la progressione del cancro piuttosto che combatterla. I macrofagi, associati ai tumori (TAM), sono un obiettivo strategico nel campo dell’immunoterapia. La loro presenza in quantità elevate è spesso associata a una maggiore resistenza ai trattamenti, alla formazione di metastasi e a una ridotta sopravvivenza dei pazienti. Finora, lo sviluppo di terapie efficaci mirate a queste cellule è stato ostacolato dalla diversità dei TAM e dalla

Il tumore del pancreas è noto per essere particolarmente insidioso e difficile da trattare. Una delle caratteristiche principali di questa malattia è il suo sistema immunitario compromesso, che riduce significativamente l’efficacia delle terapie immunologiche, anche quelle più avanzate. Un altro aspetto critico del tumore del pancreas è la sua forte componente infiammatoria.

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Salute

complessità delle loro interazioni con l’ambiente tumorale. Per identificare un sottogruppo di macrofagi responsabili dell’aggressività delle cellule tumorali, sono state utilizzate tecnologie avanzate e un approccio multidisciplinare, che va dalla genetica alla bioinformatica. Questi macrofagi si posizionano vicino alle cellule tumorali, inducendole a innescare processi infiammatori, che a loro volta potenziano ulteriormente i macrofagi. Le tecnologie utilizzate si sono focalizzate sull’analisi a livello di singola cellula e sulla trascrittomica spaziale. Ciò ha permesso di comprendere le caratteristiche molecolari di migliaia di cellule individuali all’interno del loro ambiente naturale, fornendo una visione dettagliata e del microambiente in cui si sviluppa il tumore del pancreas. Questo studio ha permesso di comprendere che l’interruzione del ciclo infiammatorio potrebbe non solo potenziare l’efficacia delle immunoterapie contro il PDAC (carcinoma duttale del pancreas), ma potrebbe anche servire come strategia di prevenzione in soggetti a rischio. Dalla ricerca è emerso che nella lotta contro il cancro è indispensabile un approccio multidisciplinare. Solo grazie alla collaborazione degli specialisti si arriva ad una gestione completa della malattia. Questo lavoro rappresenta un passo importante verso la comprensione e il trattamento di una delle forme di cancro più letali; i risultati, pur se limitati a studi di laboratorio, offrono una prospettiva incoraggiante per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. (C. P.).

IDENTIFICATO BERSAGLIO TERAPEUTICO CONTRO IL CARCINOMA PANCREATICO Ricerca internazionale rivela meccanismi chiave nell’adenocarcinoma duttale aprendo la strada a terapie innovative Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Salute

© Carl Dupont/shutterstock.com

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n innovativo farmaco di derivazione biologica, che ripristina l’efficacia delle cellule immunitarie nella loro lotta contro il cancro, è stato oggetto di una ricerca condotta da un team dell’Università del Texas ad Austin guidato da Everett Stone, professore associato di ricerca presso il Dipartimento di bioscienze molecolari e professore associato di oncologia presso la Dell Medical School. Lo studio ha visto come co-autori Donjeta Gjuka, ex ricercatore post-dottorato dell’UT e attualmente scienziato presso Takeda Oncology, ed Elio Adib, ex ri-

FARMACO ANTIT CHE RIPRISTINA L IMMUNITARIA

La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica “ a nuove terapie nella lotta contro il cancro. Pr

di Carmen Paradiso 28

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023


cercatore post-dottorato presso il Brigham and Women’s Hospital e il Dana-Farber Cancer Institute, e attualmente medico residente presso Generale Brigham della Messa. I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Cancer Cell” e potrebbero segnare una svolta significativa per i pazienti oncologici. In alcune tipologie di tumori quali melanoma, cancro alla vescica, leucemia e cancro del colon, il farmaco ha dimostrato capacità di rallentare la crescita delle neoplasie, di prolungare la durata della vita e di potenziare l’efficacia dell’immunoterapia. In questi tumori, inclusi il mesotelioma e alcuni patologie cerebrali, la delezione del tratto di DNA 9p21 è la più frequente, con una prevalenza che varia tra il 25% e il 50% in tali tipi di cancro. La ricerca ha rilevato che i tumori con la delezione 9p21 tendono ad avere esiti clinici più sfavorevoli per i pazienti. Questo significa che queste neoplasie possono essere più aggressive e resistenti alle terapie convenzionali, risultando spesso meno sensibili alle immunoterapie. L’identificazione di questa delezione genetica è stata fondamentale per comprendere meglio i meccanismi che guidano la crescita e la diffusione dei tumori, nonché per sviluppare nuove strategie di trattamento. La delezione 9p21 porta alla rimozione di geni cruciali all’interno

ITUMORALE LA RISPOSTA

“Cancer Cell”, apre la strada revisti ulteriori test di sicurezza

I risultati della ricerca sono stati pubblicati sulla rivista scientifica “Cancer Cell” e potrebbero segnare una svolta significativa per i pazienti oncologici. In alcune tipologie di tumori quali melanoma, cancro alla vescica, leucemia e cancro del colon, il farmaco ha dimostrato capacità di rallentare la crescita delle neoplasie, di prolungare la durata della vita e di potenziare l’efficacia dell’immunoterapia. In questi tumori, inclusi il mesotelioma e alcuni patologie cerebrali, la delezione del tratto di DNA 9p21 è la più frequente, con una prevalenza che varia tra il 25% e il 50% in tali tipi di cancro.

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Salute

delle cellule tumorali. In particolare, questa mutazione coinvolge una coppia di geni responsabili della produzione di regolatori del ciclo cellulare, ovvero proteine che regolano la crescita e la divisione delle cellule in modo controllato. La perdita di questi geni porta le cellule a crescere in modo incontrollato, creando così le condizioni per lo sviluppo di un tumore maligno. La delezione coinvolge anche un gene “housekeeping” che produce un enzima responsabile della scomposizione della tossina MTA (Metilthioadenosina). Questa perdita, secondo quanto teorizzato da Stone, potrebbe conferire alle cellule tumorali un nuovo e straordinario potere: la capacità di disabilitare il sistema immunitario. “Il cancro ottiene un due per uno quando perde entrambi questi geni”, ha spiegato Stone. “Perde i freni che normalmente gli impediscono di crescere in modo incontrollato. E allo stesso tempo disarma le forze di polizia del corpo. Quindi, diventa un tipo di cancro molto più aggressivo e maligno”. Per sviluppare il farmaco i ricercatori sono partiti da un enzima prodotto naturalmente dall’organismo per degradare la tossina MTA. Hanno poi migliorato questo enzima con i polimeri flessibili per prolungarne la permanenza nel corpo. Senza ottimizzazioni, l’enzima naturale verrebbe eliminato dal corpo entro poche ore. Con la riduzione dei livelli di MTA e il miglioramento dell’ambiente nel TME (microambiente tumorale), si è avuto un aumento della funzione delle cellule T, fondamentali nella risposta immunitaria contro il tumore. Gli scienziati intendono condurre ulteriori test di sicurezza sul loro farmaco, noto come PEG-MTAP, ma i risultati sin qui ottenuti sono incoraggianti: il farmaco ha riportato i livelli di tossine alla normalità e ha riattivato il sistema immunitario, portandolo in modalità di attacco. Secondo le previsioni l’PEG-MTAP potrà essere utilizzato in combinazione con immunoterapie per aumentarne l’efficacia. Questo lavoro di ricerca è stato finanziato da: il National Cancer Institute, la Doris Duke Foundation, il MD Anderson Cancer Center dell’Università del Texas, la Joan and Herb Kelleher Charitable Foundation, la Kidney Cancer Association, la V Foundation e il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti. Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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MOLECULAR TUMOR BOARD STUDIO DEL REGINA ELENA NE CONFERMA L’IMPORTANZA L’80% dei pazienti trattati con i farmaci raccomandati ha risposto alle terapie nel 42% dei casi con una risposta parziale e nel 37% con la stabilizzazione della malattia

di Elisabetta Gramolini

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na nuova strada per il trattamento dei tumori viene battuta in questi anni grazie allo sviluppo e la diffusione dei Molecular tumor board, i consigli di esperti in varie discipline che si confrontano sui risultati dei test genomici e molecolari del paziente oncologico con l’obiettivo di personalizzare la terapia. Un recente studio a firma dei membri del Molecular tumor board dell’Irccs Istituto Nazionale Tumori Regina Elena di Roma mostra che circa l’80% dei pazienti trattati con i farmaci raccomandati dal board, sulla base di evidenze scientifiche e cliniche, ha risposto alle terapie nel 42% dei casi con una risposta parziale e nel 37% con la stabilizzazione della malattia. Per il lavoro, pubblicato sulla rivista Journal of Translational Medicine, sono stati arruolati 124 pazienti in progressione clinica, durante l’ultima terapia in indicazione. Il gruppo è stato suddiviso in tre sottogruppi, a seconda dell’intensità della profilazione molecolare applicabile. Dallo studio è emerso che, intensificando progressivamente la profilazione, è possibile identificare nuove vulnerabilità dei tumori e assegnare ulteriori terapie. Secondo i dati, di questo miglioramento potrebbero giovarsi da un minimo del 22% a un massimo del 66% circa dei pazienti e, secondo gli autori,

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ulteriori opportunità di terapia non sarebbero mai venute alla luce se questi pazienti non fossero stati inclusi nello studio. Gli Mtb potrebbero perciò rappresentare una risorsa per il futuro, in grado di rendere disponibili già oggi farmaci fuori indicazione, ovvero farmaci già autorizzati per impieghi diversi, ma impiegabili in un più ampio spettro di patologie neoplastiche purché le alterazioni molecolari bersaglio siano cercate minuziosamente. Purtroppo, solo una parte dei pazienti eleggibili per il trattamento (il 56%) ha potuto ricevere la terapia raccomandata dal board per una serie di motivi, tra cui spiccano la difficoltà di accedere a studi clinici spesso troppo lontani geograficamente e le lunghe procedure di accesso ai farmaci considerati off-label. Da qui l’esigenza, espressa dagli autori, di permettere ai Molecular tumor board di lavorare in rete, sia nazionale sia europea, per la condivisione su larga scala di esperienze cliniche, risorse, opportunità di cura e dati. Avere accesso a casistiche condivise, infatti, è fondamentale in questo ambito poiché le raccomandazioni terapeutiche si applicano a nicchie di pazienti con caratteristiche molto particolari. «L’importanza strategica dei Molecular tumor board è dovuta all’aumento esponenziale, in questi ultimi anni, delle opportuni-


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tà terapeutiche per i pazienti oncologici con malattia avanzata – spiega Gennaro Ciliberto, direttore scientifico dell’Istituto. - I motivi sono tre: conosciamo meglio le basi molecolari della malattia oncologica e la sua evoluzione nel tempo, il sequenziamento massivo del Dna, chiamato Ngs (Next generation sequencing), è diventato sempre più accessibile, ed è aumentato in modo considerevole il numero di farmaci capaci di bersagliare mutazioni cosiddette ‘driver’, quelle cioè che guidano la progressione tumorale in quanto si verificano in punti chiave di geni responsabili della malattia. Oggi possiamo pertanto identificare in un paziente con malattia avanzata, per esempio con tumore alla mammella, una mutazione “driver” rara per quel tipo di tumore, che può essere trattata con un farmaco che ad esempio è stato già approvato ed è in commercio per quella stessa mutazione genica nei tumori polmonari dove è molto più frequente. Si parla in questo caso di terapia fuori indicazione o off label. Il Molecular tumor board è così chiamato ad esprimersi

Gennaro Ciliberto. “L’importanza strategica dei Molecular tumor board è dovuta all’aumento esponenziale, in questi ultimi anni, delle opportunità terapeutiche per i pazienti oncologici con malattia avanzata”.

per raccomandare o meno un trattamento off label. Un processo molto articolato che non può essere quindi gestito da un singolo operatore e che genera grandi aspettative nei pazienti». «Il recente studio – conclude Patrizio Giacomini, responsabile del Clinical trial center dell’Ire e membro dell’Mtb - dimostra che i board si distinguono da altri organismi clinici multidisciplinari non solo per l’accresciuta capacità di implementazione della oncologia di precisione, ma anche per il loro ruolo di guida e anticipazione di scenari futuri. Sono un osservatorio importante per non arrivare impreparati ai grandi appuntamenti e alle sfide, anche economiche, di sostenibilità e di equità del modello di cura, davanti alle quali ci pongono già oggi le nuove tecnologie. Appropriatezza di cura e sostenibilità sono due imperativi deontologici per il nostro sistema sanitario. La grande sfida è portare cure di eccellenza gratuite alla portata di tutti i nostri pazienti e di tutti i cittadini italiani ed europei». Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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«Non siamo immuni da questo problema: il peso della resistenza antimicrobica è alle nostre porte - ha dichiarato la Williams -. La resistenza agli antibiotici sta aumentando più rapidamente di quanto ci rendiamo conto e abbiamo urgentemente bisogno di nuove soluzioni per fermare le infezioni invasive multiresistenti ai farmaci, così da evitare l’inutile morte di migliaia di bambini ogni anno». Il monito lanciato dall’esperta riguardava in particolar modo la situazione italiana, ritenuta mal posizionata sia come utilizzo di antibiotici sia come resistenze ai batteri.

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l tuo bimbo ha contratto un’infezione e nonostante abbia fatto ricorso a un antibiotico il problema non è scomparso? Non si tratta di un caso raro, purtroppo. Già, perché da una ricerca è stato rilevato che numerosi antibiotici raccomandati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità abbiano in realtà un’efficacia che non arriva neppure al 50%. A condurre lo studio, pubblicato su The Lancet Regional Health Southeast Asia, è stata l’Università di Sydney, in Australia. Ciò sarebbe dovuto ai tassi di resistenza dei farmaci contro le comuni infezioni normalmente riscontrabili in bambini e neonati. Per arrivare a determinare un simile risultato, sono stati analizzati 6.648 ceppi batterici isolati, provenienti da 11 Paesi in 86 pubblicazioni, al fine di esaminare la suscettibilità agli antibiotici dei batteri comuni che causano infezioni infantili. Da qui si è arrivati all’allarmante verdetto secondo il quale per infezioni quali polmonite, sepsi, ovvero infezioni del flusso sanguigno, e meningite le cure attualmente consigliate non siano in realtà sufficienti. Questo perché le linee guida universalmente riconosciute come valide sono a conti fatti superate, non più al passo con i tempi e necessiterebbero di un tempestivo aggiornamento. Ci sono delle zone geografiche che avvertono questa problematica in maniera più gravosa. Come quelle del Sud-Est asiatico e del Pacifico, comprese le vicine Indonesia e Filippine, dove si registrano migliaia di morti tra i bambini proprio a causa di cure inadeguate. Si tratta di decessi evitabili, se solo si intervenisse alla radice. Ma anche l’Oms ha riconosciuto la gravità della situazione attuale: la resistenza antimicrobica è una delle dieci principali minacce globali per la salute pubblica dell’umanità. E

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i dati non si fermano certamente qui. Le stime parlano di tre milioni di casi nel mondo a causa di sepsi, dei quali 570mila si convertono in decessi. E si ritorna al punto delle linee guida: quelle attuali sono state stabilite nel 2013, ormai dieci anni fa. Inevitabile che così non si riesca a stare al passo con delle malattie che nel frattempo riescono ad adeguarsi ai cambiamenti. Ma entriamo nel dettaglio andando a verificare quali sono questi antibiotici che risultano ormai obsoleti. Cominciamo l’elenco con il ceftriaxone, particolarmente utilizzato in Australia per curare numerose infezioni nei bambini come la polmonite e quelle riguardanti il tratto urinario. La sua efficacia sarebbe però di uno su tre per quel che concerne casi di sepsi o meningiti tra neonati. E spostiamoci sulla gentamicina, efficace per meno della metà dei casi. Solitamente prescritto in combinazione con le aminopenicilline non si è rivelato una soluzione valida per combattere le infezioni del flusso sanguigno in neonati e bambini. Ma perché questo è un problema per i più piccoli ancor più che per i più grandi? Ce lo spiega la dottoressa Phoebe Williams, autrice principale dello studio: «Poiché è meno probabile che i nuovi antibiotici vengano sperimentati e resi disponibili per i bambini». Insomma, semplicemente per un discorso precauzionale, che però paradossalmente, o forse no, diventa un freno quasi insormontabile per sbrogliare una matassa che va intricandosi sempre più. E che non può che peggiorare andando avanti nel tempo, qualora non si intervenga con un opportuno processo di aggiornamento che consenta alla ricerca di trovare soluzioni più adeguate al fine di controbattere l’insorgenza delle già descritte infezioni. In Italia questa problematica fu annunciata già in passato in epoca Covid da Lu-


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isa Galli, Segretario del Gruppo di Studio Farmacologia della Società Italiana di Pediatria (SIP), professore associato di Pediatria presso il Dipartimento di Scienze della Salute dell’Università di Firenze e direttore della Struttura dipartimentale complessa di Malattie infettive pediatriche dell’ospedale pediatrico Meyer. All’epoca i numeri apparivano ridotti rispetto a quelli attuali ma semplicemente «perché a causa del lockdown e della ridotta socializzazione c’è stata una minore diffusione delle infezioni, dunque abbiamo usato meno antibiotici in tutte le fasce d’età, inclusa quella pediatrica». (D. E.).

INFEZIONI PEDIATRICHE PERCHÉ I FARMACI COMUNI SONO SEMPRE PIÙ INEFFICACI L’allarme lanciato da uno studio australiano: molti medicinali raccomandati dall’Oms hanno un’efficacia che non arriva al 50% per trattare polmonite, sepsi e meningite Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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SOSTANZE NATURALI ALLEATE DI CUORE E PROSTATA In arrivo un nuovo che aiuta la salute dell’uomo concepito dagli esperti della Società Italiana di Andrologia e basato su elementi come tè verde, broccolo e pomodoro di Domenico Esposito

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Più di 230mila persone all’anno muoiono tra ischemie, infarti, malattie del cuore e cerebrovascolari. Un aiuto concreto arriva, però, dalla natura. Dal cardo mariano al tè verde, dal broccolo al pomodoro, fino all’ippocastano: sono complessivamente sette le sostanze che compongono il nuovo integratore realizzato dagli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) al fine di salvaguardare proprio la salute maschile e disponibile in tutte le farmacie a partire dal mese di luglio. Gli studi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Uro

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ue sono le minacce più concrete per un uomo adulto: il cuore e la prostata. Partiamo dalla seconda. Il tumore alla prostata è il carcinoma in assoluto più diffuso tra la popolazione maschile. Il professor Vincenzo Mirone, professore ordinario di Urologia presso l’Università Federico II di Napoli e presidente della Fondazione Pro Ets, ha annunciato dei dati sconfortanti nel corso del suo intervento alla XII Commissione Affari sociali della Camera dei Deputati in riferimento al “Piano europeo di lotta contro il cancro”. «Circa un uomo su otto in Italia ha probabilità di ammalarsi di tumore della prostata nel corso della sua vita - ha evidenziato il docente universitario -. Al momento ci sono 46mila persone che convivono col cancro alla prostata. E parliamo di una mortalità di circa settemila uomini ogni anno». Poi ha aggiunto: «Tra i principali fattori di rischio per il tumore della prostata si annoverano la familiarità e l’età. Diversamente dell’ereditarietà, la familiarità si definisce come il concentrarsi di più casi in una stessa famiglia, associato a fattori ambientali, comportamenti e stili di vita, che potrebbe anche derivare da un difetto genetico non ancora noto». Un problema che sarebbe da ricercare anche in ambito sociologico-culturale con una scarsa informazione da parte di istituzioni e dei genitori stessi nei confronti dei figli. Quando, invece, la prevenzione sarebbe fondamentale. Ma il cancro è solo uno dei mali che riguardano la prostata: ecco perché la prevenzione è importante. Quindi, le malattie cardiovascolari, che costituiscono ancora oggi la principale causa di morte nel nostro Paese: più di 230mila persone all’anno muoiono tra ischemie, infarti, malattie del cuore e cerebrovascolari. Un aiuto concreto arriva, però, dalla natura. Dal cardo mariano al tè verde, dal broccolo al pomodoro, fino all’ippocastano: sono complessivamente sette le sostanze che compongono il nuovo integratore realizzato dagli esperti della Società italiana di andrologia (Sia) al fine di salvaguardare proprio la salute maschile e disponibile in tutte le farmacie a partire dal mese di luglio. Gli studi sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Uro: il nuovo mix è costituito da silimarina, sulforafano, licopene, escina, tè verde, glutatione ridotto e triptofano, tutte sostanze che, messe insieme, garantiscono un sostegno alla prevenzione di tumori come quello della prostata ma fanno bene anche ai tratti urinari, oltre a migliorare il profilo di rischio cardiovascolare, l’attività

epatica e persino l’umore. Insomma un prodotto completo. Alessandro Palmieri, presidente Sia e professore di Urologia all’Università Federico II di Napoli, ci ha tenuto a spiegare cosa li abbia spinti alla creazione del prodotto: «L’invecchiamento, uno stile di vita scorretto e l’esposizione all’inquinamento ambientale sono elementi che possono compromettere la salute, in larga parte perché inducono un incremento della produzione di radicali liberi e un maggior stress ossidativo che danneggia cellule e tessuti, spianando la strada a tumori, malattie metaboliche e cardiovascolari». Vero che alla base di tutto c’è sempre una sana e corretta alimentazione ma - aggiunge Palmieri - «esistono molecole bioattive che possono essere di grande aiuto perché sono in grado di migliorare le funzioni biologiche». Luca Gallelli dell’Istituto di Farmacologia clinica dell’Università di Catanzaro ha illustrato perché sono stati impiegati determinati elementi: «Sono stati scelti non solo perché hanno effetti benefici sull’organismo a prescindere da età e condizioni di salute, ma anche perché non hanno effetti collaterali e possono essere inseriti in un singolo supplemento senza dar luogo a interazioni negative, ma anzi potenziando reciprocamente le proprie azioni positive». I composti presenti in Drolessano questo il nome del prodotto - sono estratti prevalentemente da piante già note per la loro capacità curativa. Ognuna di esse aggiunge il suo prezioso contributo affinché possa riuscire a incidere in campi apparentemente così diversi. Tra le ultime proprietà evidenziate anche le capacità antiossidanti del glutatione, l’azione positiva su umore e attività cognitiva dell’aminoacido triptofano e i tanti benefici del tè verde, che protegge dalla tossicità di molti agenti cancerogeni e ha dimostrato di contribuire alla prevenzione dei tumori. Tommaso Cai, urologo dell’ospedale Santa Chiara di Trento, ha aggiunto ulteriori dettagli: «Nel Drolessano abbiamo inserito anche due composti di cui è stata verificata un’azione positiva specifica per la salute maschile: ci riferiamo all’escina estratta dai semi e dal guscio dell’ippocastano, antiossidante utile nell’ambito dell’urolitiasi, dell’infertilità maschile e del varicocele, del cancro della prostata e della vescica, della prostatite cronica. I dati mostrano anche un possibile effetto antitumorale nelle cellule di carcinoma prostatico e un’attività antinfiammatoria simile al cortisone, oltre a un’azione antiossidante che potrebbe avere risvolti per l’infertilità». Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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INDIVIDUATA CAUSA COMUNE TRA INVECCHIAMENTO E MALATTIE NEURODEGENERATIVE Indagini concentrate sui cambiamenti che avvengono nella struttura della cromatina a seguito dell’invecchiamento. Potenziali trattamenti di malattie come la SLA

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invecchiamento e l’insorgenza di malattie neurodegenerative, come la SLA, hanno una base molecolare comune? Dai risultati di una nuova ricerca, coordinata dall’Università degli studi di Cagliari e dalla Sapienza Università di Roma, pare proprio sì. Gli autori dello studio, pubblicato sulla rivista Cell Death and Discovery, hanno individuato interrelazioni tra l’invecchiamento e l’espressione genica di fattori di rischio per malattie neurodegenerative e sperimentato un approccio promettente per trattarle. L’invecchiamento, come spiegano gli scienziati, è associato a una serie di cambiamenti molecolari che portano al deterioramento funzionale dei tessuti e aumentano le probabilità di malattia e morte. Questo processo, come fanno notare gli autori, non sembra avvenire in modo casuale, ma segue una sequenza programmata di eventi che sembrano essere conservati anche tra specie evolutivamente diverse. Nel sistema nervoso, l’invecchiamento o la senescenza neuronale possono essere quantificati funzionalmente attraverso il deterioramento delle funzioni cognitive e il declino delle capacità locomotorie. Poiché tali manifestazioni coincidono con i sintomi insidiosi che segnalano l’insorgenza e la progressione delle più comuni malattie neurodegenerative come il morbo di Alzheimer, il morbo di Parkinson o la sclerosi laterale amiotrofica (SLA), i ricercatori hanno ipotizzato che l’invecchiamento e la

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neurodegenerazione patologica possano essere regolati da un insieme comune di geni. Per verificare tale ipotesi, gli scienziati hanno concentrato le loro indagini sull’analisi delle modifiche epigenetiche che si verificano con l’invecchiamento. Si tratta di cambiamenti nella struttura della cromatina, sostanza localizzata nel nucleo cellulare, composta da DNA e proteine, che influenzano l’espressione genica. Queste modifiche, secondo gli autori, possono anche alterare i livelli di espressione di fattori di rischio per malattie neurodegenerative. Lo studio è stato coordinato da Fabian Feiguin del Dipartimento di Scienze della vita e dell’ambiente dell’Università di Cagliari e da Laura Ciapponi del Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università di Roma. «Nel nostro studio - spiega Fabian Feiguin - abbiamo scoperto per la prima volta che la proteina TDP-43, che ha un ruolo centrale nella patogenesi della SLA e che è permanentemente richiesta nel sistema motorio per mantenere l’attività locomotoria, riduce gradualmente la sua espressione man mano che i cervelli del comune moscerino della frutta (Drosophila melanogaster) e del modello murino invecchiano ». Gli stessi studiosi hanno quindi individuato un nuovo ruolo dell’enzima Suv39. Suv39 causa un aumento della metilazione dell’istone H3K9 nella regione promotrice di TDP-43, il fattore più frequentemente alterato nella scle-


rosi laterale amiotrofica (SLA), influenzando i livelli di espressione dell’mRNA e della proteina di questo gene attraverso modifiche epigenetiche che sembrano essere conservate nei cervelli invecchiati di Drosophila, nel topo e nelle cellule umane. «Il nostro lavoro – spiega Marta Marzullo del team della Sapienza – ha evidenziato che durante l’invecchiamento sia nel moscerino della frutta che nel modello murino la metiltransferasi Suv39 agisce sul gene TDP-43 riducendone l’espressione». I ricercatori sostengono di aver identificato un meccanismo senza precedenti in base al quale Suv39 guida la progressione dell’invecchiamento locomotore attraverso la regolazione dei livelli di espressione di TDP-43. Il ruolo di Suv39 sembra essere evolutivamente conservato dalla Drosofila ai vertebrati e può contribuire a comprendere le interrelazioni tra l’invecchiamento umano e le malattie neurodegenerative. «Sorprendentemente - continua Laura Ciapponi dell’ateneo romano - quando abbiamo inattivato genicamente o chimicamente l’attività di Suv39 abbiamo osservato livelli più elevati di TDP-43, e soprattutto una significativa ri-

Nel sistema nervoso, l’invecchiamento o la senescenza neuronale possono essere quantificati funzionalmente attraverso il deterioramento delle funzioni cognitive e il declino delle capacità locomotorie.

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duzione del declino locomotorio dipendente dall’età». Questo risultato suggerisce che la modulazione delle attività enzimatiche coinvolte nelle modifiche epigenetiche potrebbe essere un approccio promettente per comprendere e potenzialmente trattare le malattie neurodegenerative legate all’invecchiamento, come la SLA. Lo studio è stato sostenuto da Fondazione AriSla, ente non profit che finanzia la ricerca scientifica sulla SLA in Italia, e da AFM-Telethon. «Siamo soddisfatti di aver sostenuto questo filone di ricerca che ha aggiunto conoscenza sui meccanismi molecolari legati all’insorgenza della SLA - commenta Mario Melazzini, presidente di Fondazione AriSLA - L’importanza di svolgere studi sul ruolo della TDP-43 è stata evidenziata recentemente anche dal piano strategico della ricerca sulla SLA del NINDS (National Institute of Neurological Disorders and Stroke), il principale istituto degli NIH americani per la ricerca neurologica. In linea con questa visione, riteniamo strategico continuare a supportare ricerca di base, finalizzata a fornire risposte concrete ai pazienti». (S. B.) Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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FRUTTA FRESCA UN ALLEATO CRUCIALE PER LA SALUTE DEL CERVELLO Un nuovo studio ha rivelato il legame tra consumo di frutta e prevenzione di demenza e depressione in soggetti sani

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Oltre ai benefici nutrizionali, frutta e verdura giocano un ruolo cruciale nella prevenzione di malattie croniche come il cancro, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione e il diabete. Recentemente, è stato valutato l’effetto sulla struttura del cervello e sulla relazione che ci può essere con la salute mentale. È emerso in particolare il ruolo protettivo che ne può derivare in malattie quali la depressione, l’ansia e il deterioramento cognitivo.

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l consumo di frutta fresca potrebbe essere un potente alleato nella lotta contro la demenza e la depressione. Ad evidenziarlo lo studio guidato dal ricercatore italiano Santino Gaudio, dell’Università svedese di Uppsala, e pubblicato sulla prestigiosa rivista NeuroImage, che rappresenta il primo tentativo di indagare la relazione tra i cambiamenti strutturali del cervello e l’assunzione di frutta e verdura in soggetti sani. Il consumo di frutta e verdura è noto per i suoi benefici sulla salute, come evidenziato in diversi studi. Questi alimenti sono ricchi di nutrienti essenziali come fibre, potassio, vitamine, fitochimici (carotenoidi, antiossidanti) e minerali (elettroliti). Oltre ai benefici nutrizionali, frutta e verdura giocano un ruolo cruciale nella prevenzione di malattie croniche come il cancro, le malattie cardiovascolari, l’ipertensione e il diabete. Recentemente, è stato valutato l’effetto sulla struttura del cervello e sulla relazione che ci può essere con la salute mentale. È emerso in particolare il ruolo protettivo che ne può derivare in malattie quali la depressione, l’ansia e il deterioramento cognitivo. Il team di ricerca ha esaminato un ampio campione di oltre 9.900 persone, i cui dati sono stati raccolti dalla banca dati britannica Uk Biobank. L’obiettivo era valutare la correlazione tra il consumo di frutta fresca e il volume di materia grigia nel cervello, quella parte di tessuto cerebrale composta principalmente da neuroni. È stato uno studio prospettico di coorte i cui partecipanti sono stati reclutati in ventidue centri di valutazione del Regno Unito. Sono stati analizzati i dati di risonanza magnetica cerebrale (MRI) raccolti tra il 2014 e il 2019, mentre sono stati esclusi i partecipanti con BMI inferiore a 18,5, (poiché una grande perdita di peso può essere un indicatore di alcune malattie di base) disturbi neurologici o mentali, diabete, o significativi cambiamenti dietetici. Il campione finale comprendeva 9925 partecipanti. Sono state analizzate le abitudini alimentari, in particolare l’assunzione di frutta e verdura, insieme ad altri modelli dietetici e vari fattori di stile di vita e dati clinici. I volumi del cervello sono stati misurati tramite risonanza magnetica cerebrale strutturale. I risultati hanno mostrato che il consumo di insalata e verdura cruda è positivamente associato al volume totale della sostanza bianca. Sorprendentemente, il consumo di frutta fresca ha mostrato un’associazione negativa con il volume totale della materia grigia (GM). Tuttavia, le

analisi regionali sulla GM hanno rivelato che un maggiore consumo di frutta fresca era correlato a un aumento del volume di GM in aree critiche come l’ippocampo sinistro, la corteccia fusiforme occipitale temporale destra, il giro postcentrale sinistro, il giro precentrale destro e della corteccia del lobulo giustapposto sinistro e destro (precedentemente corteccia motoria supplementare) Si è scoperto che un aumento nel consumo di frutta fresca corrisponde a un incremento del volume della materia grigia in diverse aree del cervello, in particolare nell’ippocampo, noto per il suo ruolo cruciale nei processi di memoria e nello sviluppo di demenza e depressione. La ricerca suggerisce che una maggiore assunzione di frutta fresca potrebbe proteggere il cervello dalla riduzione della materia grigia, un fenomeno osservato sia nelle persone affette da demenza sia in quelle colpite da depressione. In altre parole, la frutta fresca potrebbe non solo rallentare il processo di invecchiamento cerebrale, ma anche prevenire l’insorgenza di queste malattie. Lo studio sottolinea l’importanza di una dieta ricca di frutta e verdura per il mantenimento di una struttura cerebrale sana e per la prevenzione di disturbi neurologici. Mentre ulteriori ricerche sono necessarie per comprendere appieno il meccanismo dietro questi effetti, è chiaro che la frutta fresca gioca un ruolo significativo nella promozione di un cervello sano e nella prevenzione di malattie come la demenza e la depressione. Sulla base di questi risultati, gli autori dello studio hanno invitato le istituzioni nazionali a considerare una campagna d’informazione per promuovere un maggiore consumo di frutta nella popolazione. L’obiettivo è quello di sfruttare questi risultati Questa ricerca apre nuove prospettive sulla relazione tra dieta e salute del cervello, evidenziando come scelte alimentari quotidiane possano avere un impatto significativo sul nostro benessere mentale e fisico. La ricerca futura dovrebbe concentrarsi sull’identificazione dei meccanismi specifici attraverso i quali la frutta e la verdura influenzano la struttura e la funzione cerebrale. Inoltre, sarebbe utile esplorare l’effetto di specifici tipi di frutta e verdura, nonché il ruolo di altri fattori dietetici e stili di vita nella salute del cervello. Questi studi potrebbero fornire ulteriori informazioni per sviluppare linee guida dietetiche mirate e strategie preventive contro le malattie neurodegenerative e psichiatriche. (C. P.). Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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UN NEMICO INVISIBILE DA TEMERE: IL GLAUCOMA In Italia oltre un milione di persone soffre di questa malattia subdola che può portare anche alla perdita della vista

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è un nemico invisibile che subdolamente si insinua nelle nostre vite complicandole notevolmente. La componente infida di questa malattia è che nelle fasi iniziali non comporta alcun sintomo, per tanto senza una visita di controllo periodica diagnosticarla in tempo è di fatto impossibile. Parliamo del glaucoma, una malattia cronica e progressiva che colpisce il nervo ottico e che può portare alla perdita della vista. Pur essendo silenzioso, sa come farsi sentire: in Italia ne soffre oltre un milione di persone. Tra queste 150mila vivono in Lombardia. 40

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Il punto è che non tutti ne sono a conoscenza non avendo mai fatto nulla per diagnosticarla. A confermare questa tendenza è stato il professor Luca Rossetti, Direttore della Clinica Oculistica della ASST Santi Paolo e Carlo di Milano: «La maggior parte dei pazienti non sa di avere il glaucoma perché nelle sue fasi iniziali è totalmente asintomatico e ciò rende la diagnosi precoce molto difficile». Poi l’esperto spiega come agisce questo disturbo degenerativo: «Generalmente coinvolge entrambi gli occhi determinando danni permanenti al nervo ottico che nel tempo possono

portare a ipovisione e cecità. Basti pensare che nel 25% dei casi un occhio va incontro alla perdita della vista, mentre nel 10% dei casi entrambi gli occhi sono esposti al rischio concreto di perdere la vista. A partire dai 40 anni è buona norma sottoporsi regolarmente a controlli oculistici che includano la misurazione della pressione intraoculare così da poter scoprire la malattia nelle fasi iniziali, quando ancora non presenta sintomi evidenti». La patologia è definita cronica, progressiva e irreversibile e ciò che la caratterizza è un danno alle cellule nervose dell’occhio che ha come diretta conseguenza un danno al campo visivo. Ma come fare a contrastare questo nemico silenzioso? Qui entrano in gioco i controlli periodici da specialisti del settore, poiché una diagnosi tempestiva e con le opportune cure del caso può risultare determinante per evitare guai peggiori. Che, come già scritto in precedenza, possono arrivare fino alla perdita della vista, con tutto ciò che ne consegue in termini di qualità della vita. Un forte impulso alla ricerca in tal senso è stato dato durante la pandemia da Covid con le innovazioni digitali rese possibili dell’intelligenza artificiale, ormai sempre più parte della nostra quotidianità, nonché valido aiuto in campo medico e sanitario. In particolar modo l’IA ha giocato un ruolo cruciale in ambito diagnostico e di monitoraggio del glaucoma attraverso due approcci principali che rientrano nell’ambito dell’apprendimento automatico. Parliamo dell’apprendimento supervisionato e dell’apprendimento non supervisionato delle macchine. Il primo implica che il modello venga addestrato utilizzando dati etichettati come patologici o non patologici (informazioni fornite). Per quanto riguarda il secondo, invece, si riferisce a una modalità in cui il modello cerca di identificare pattern o strutture nei dati senza avere queste etichette iniziali. (D. E.).


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on l’inverno alle porte e le temperature che sono drasticamente calate dopo un’estate da caldo record, ecco che l’influenza torna a bussare alle nostre porte. A dire il vero, in leggero ritardo rispetto al recente passato. Sì, perché la stagione influenzale procede in maniera meno spedita, probabilmente proprio per via del clima mite che ci ha accompagnato fino a poco tempo fa. Ciò, però, non deve indurci ad abbassare la guardia. Tutt’altro. Perché le stime dicono che saranno sei i milioni di italiani allettati a causa di quelli che sono i sintomi classici dell’influenza, ovvero tosse, mal di gola, mal di testa e nausea. Con il picco previsto in concomitanza delle festività natalizie. Non una bella notizia, certo. È il virologo Fabrizio Pregliasco a fare il punto della situazione: «Non è facile individuare il momento in cui la vera influenza si manifesta sotto l’aspetto epidemiologico, ma ciò avviene quando la temperatura è bassa e rimane tale per diversi giorni». Poi aggiunge che potrebbe arrivare «a cavallo delle festività natalizie, perché sono anche complici viaggi, baci e abbracci». Cosa comportano i malanni di stagione? Lo spiega il Ministero della Salute. Anche per la stagione 2023/24 i sintomi principali sono febbre alta, tosse e dolori muscolari. Quindi, quelli comuni, come mal di testa, brividi, perdita di appetito, affaticamento e mal di gola. E soprattutto nei bambini non sono da escludere nausea, vomito e diarrea. In genere si guarisce in un lasso di tempo che va dai sette ai dieci giorni, ma guai a sottovalutare la portata dell’influenza se riguarda soggetti a rischio con patologie croniche, over 65 e bambini piccoli. In tal caso, il pericolo che vadano incontro a complicanze più gravi è concreto. Dunque, come fare per non ammalarsi o quanto meno provare a dribblare l’influenza? Non esiste una ricetta in grado di tenerla a distan-

TORNA L’INFLUENZA: SINTOMI E CONSIGLI Tosse, mal di gola, mal di testa e nausea: con l’inverno alle porte si ripropongono i classici malanni di stagione

za al 100%, ma è possibile adottare alcuni comportamenti - come evidenziato sempre dal Ministero della Salute - che aiutano a ridurre la trasmissione dell’influenza. La prima dovremmo averla appresa durante la pandemia da Covid: lavare regolarmente le mani e asciugarle in modo corretto. In particolare, vanno sciacquate con acqua e sapone per almeno 40-60 secondi, a maggior ragione dopo aver tossito o starnutito. Utili si rivelano i disinfettanti per le mani a base alcolica che contrastano i virus presenti in mani contaminate. Non è finita qui. Può sembrare

scontato, ma giova ricordarlo: bisogna evitare il contatto con ammalati, avendo premura di mantenere il giusto distanziamento fisico (almeno un metro) e occhio ai posti affollati. Se possibile, in presenza di sintomi, è preferibile isolarsi in casa o indossare mascherine chirurgiche che contribuiscono a ridurre le infezioni. Sempre raccomandata la vaccinazione, che rappresenta lo strumento più efficace di prevenzione. Come obiettivo minimo di copertura si punta a raggiungere quota 75% per gli over 65 e i soggetti a rischio, ma l’ideale sarebbe arrivare al 95%. (D. E.). Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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1. Grothe T, Wandrey F, Schuerch C. Short communication: Clinical evaluation of pea sprout extract in the treatment of hair loss. Phytother Res. 2020 Feb;34(2):428-431. German. doi: 10.1002/ptr.6528. 2. Daniel Schmid et al. “Hair growth

stimulated

by

pea

sprout extract” Hair care. March 2013 3. Grothe T et al. “Clinical evaluation of pea sprout extract in the treatment of hair loss” Phytotherapy research : PTR 2020 Feb; Vol. 34 (2), pp. 428431.

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capelli sani svolgono molte funzioni fisiologiche come la difesa per la pelle, il mantenimento della temperatura corporea e soprattutto sono una costituente importante della nostra identità estetica. Ogni capello cresce ad una velocità di 0,35 mm al giorno e ogni giorno cadono circa 100 capelli. Il ciclo di crescita dei capelli è caratterizzato da tre fasi distinte: la fase di crescita (anagen), un periodo transitorio di regressione mediata dall’apoptosi (catagen) e relativa quiescenza (telogen), in cui i capelli vengono rilasciati dal follicolo e cadono. Attraverso la perdita ciclica e la crescita di nuovi capelli, il numero di capelli rimane relativamente costante con circa l’85-90% dei follicoli piliferi in fase anagen. Tuttavia, se la percentuale di capelli in fase telogen aumenta e la percentuale di capelli in fase anagen diminuisce, si può osservare una caduta diffusa dei

capelli. Entro i 50 anni, circa un uomo e una donna su due sono colpiti da una caduta lenta e involontaria dei capelli, che può essere causata da una varietà di fattori tra cui cambiamenti ormonali, malnutrizione, stress, uso di farmaci o storia familiare. In diversi studi è stato notato come l’estratto idrosolubile di germogli di pisello biologici commestibili (Pisum sativum L.), sia utile per stimolare la crescita dei capelli e ridurne la caduta. I germogli di pisello sono una ricca fonte di vari nutrienti come biotina e L-arginina, nonché metaboliti vegetali secondari come gli isoflavoni, che sono stati suggeriti come l’elemento cardine per cui pisum sativum si dimostri promuovere la crescita dei capelli in modelli sperimentali. Uno studio condotto dal ricercatore svizzero Grothe ha dimostrato che l’applicazione su 10 volontari di un fluido contenente il 2% di estratto di germogli di pisello, in una zona monitorata del cuoio capelluto, migliora l’espressione di geni

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considerati rilevanti per i capelli, vale a dire il fattore di crescita dei fibroblasti-7 (FGF7) e il gene noggin che codifica la nanoina, del 56 e dell’85%, rispettivamente. Lo studio appena citato ha aperto nuove frontiere e lo scienziato Daniel Schmid ha approfondito il ruolo di questo estratto proprio sui geni noggin e FGF7 nel ciclo del follicolo pilifero. L’espressione del gene Noggin ha una funzione indiretta, inibisce l’attività della proteina morfogenetica ossea 4 (BMP4) che ha un ruolo di sovraespressione nella transizione telogen-anagen, quindi fondamentale per iniziare un nuovo ciclo di capelli. La sovraespressione della nionina provoca invece una minore fase refrattaria e quindi un minor tempo di kenogen, ovvero quella fase che passa tra la caduta del vecchio capello e l’uscita del nuovo; il kenogen in condizioni di salute tricologica deve avere un tempo di durata prossimo allo zero, in quanto alla caduta deve seguire simultanemanete una ricrescita senza far rimanere scopertoo il cuoio capelluto. La proteina 2FGF7 è stata identificata come un segnale papillare dermico che partecipa all’attivazione delle cellule

Uno studio condotto dal ricercatore svizzero Grothe ha dimostrato che l’applicazione su 10 volontari di un fluido contenente il 2% di estratto di germogli di pisello, in una zona monitorata del cuoio capelluto, migliora l’espressione di geni considerati rilevanti per i capelli vale a dire il fattore di crescita dei fibroblasti-7 (FGF7) e il gene noggin che codifica la nanoina, del 56 e dell’85%, rispettivamente.

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germinali dei cheratinociti per proliferare e iniziare il nuovo ciclo di capelli. Un altro studio su venti soggetti, ha mostrato come l’estratto di germoglio di pisello formulato al 4% in una base di gel, applicato su una zona del cuoio capelluto due volte al giorno per tre mesi, abbia dato risultati davvero incoraggianti. I risultati mostrano infatti come il trattamento del cuoio capelluto con l’estratto di germogli di pisello abbia evidentemente ridotto la quantità dei capelli in caduta (telogen -28,3%) e aumentato la densità dei capelli in crescita (anagen + 7,9%). Accertata la sua azione benefica come trattamento topico, un successivo studio pilota di intervento nutrizionale su 21 volontari ha dimostrato che l’estratto di germogli di pisello è efficace anche se consumato come integratore alimentare. L’assunzione giornaliera di 100 mg di estratto di germoglio di pisello per 8 settimane ha ridotto significativamente la perdita di capelli già dopo 28 giorni di trattamento. Non sono stati segnalati eventi avversi. Di conseguenza, l’estratto di germogli di pisello può essere un mezzo efficace per promuovere in modo sicuro la crescita dei capelli e ridurre la perdita di capelli in soggetti che hanno una perdita eccessiva di capelli.

PISUM SATIVUM PER CAPELLI SANI L’estratto idrosolubile di germogli di pisello biologici commestibili può stimolare la crescita e ridurre la caduta

di Biancamaria Mancini Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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VITAMINA E NELLA PELLE UMANA Prospettive per l’utilizzo antiossidante e protettivo di questo importante nutriente

di Carla Cimmino

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Tratto da “Vitamin E in human skin: Organ-specific physiology and considerations for its use dermatology”, Author links open overlay panelJens J. Thiele, Swarna Ekanayake-Mudiyanselage.

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ella pelle, è stato dimostrato che l’induzione del danno ossidativo da parte di stimoli ambientali come UVA, UVB e ozono avviene nei lipidi, proteine e DNA. La vitamina E è un nutriente essenziale attenzionato nel settore della cura della pelle per le sue proprietà antiossidanti. Gli antiossidanti il glutatione o l’ubichinolo-10 sono sintetizzati dagli esseri umani, i livelli di vitamina E cutanea dipendono dalla sua assunzione orale o dalla somministrazione topica. Le principali fonti naturali di vitamina E sono le verdure fresche, gli oli vegetali, i cereali e le noci. Uno studio pubblicato di recente che analizza i dati dietetici di quasi 10.000 individui suggerisce che la maggior parte degli uomini e delle donne negli Stati Uniti non riesce a soddisfare le attuali raccomandazioni sull’assunzione di vitamina E (Maras et al., 2004). Lo strato corneo umano contiene abbondanti livelli di α-tocoferolo (vitamina E) che può essere impoverita: direttamente, mediante assorbimento della radiazione UVB, e/o indirettamente, mediante ossigeno singoletto allo stato eccitato o intermedi dell’ossigeno reattivo che sono generati dai fotosensibilizzatori durante l’assorbimento UV anche negli UVA- allineare. I massimi di assorbimento di α- e γ-tocoferolo rientrano tra 290 e 295 nm (Baxter et al., 1943, Yuen e Halliday, 1997) e quindi si estendono bene nello spettro UV solare. L’esaurimento diretto dell’α-tocoferolo e la formazione del suo radicale possono influenzare anche altri pool antiossidanti endogeni. L’α-tocoferolo viene fa-

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cilmente rigenerato dal suo radicale a spese di riducenti come l’ascorbato, che a sua volta può essere rigenerato dal glutatione. Oltre all’esaurimento diretto da parte degli UVB, i livelli di α-tocoferolo nella pelle possono anche essere consumati come conseguenza della sua azione antiossidante di rottura della catena. L’assorbimento dei fotoni UVB e UVA da parte di fotosensibilizzatori endogeni (ad esempio porfirine, riboflavina, chinoni e bilirubina) determina il suo stato elettronicamente eccitato. Il sensibilizzatore eccitato reagisce successivamente con un altro substrato (reazione di tipo I) per formare radicali o ioni radicalici, o con l’ossigeno (reazione di tipo II) per generare ossigeno singoletto (Foote, 1991). I fotosensibilizzatori, come la melanina, sono presenti in quantità variabili nello strato corneo (Jimbow et al., 1993). Pertanto, il loro potenziale, dipendente dalla lunghezza d’onda, di generare o eliminare i radicali liberi e di assorbire i raggi UV può modulare la deplezione dell’α-tocoferolo durante e dopo l’esposizione solare. Un altro fattore di stress esogeno che ha dimostrato di influenzare i livelli cutanei di vitamina E è l’ozono, inquinante dell’aria, sugli


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Pur non esistendo ancora prove sufficienti provenienti da studi controllati sull’efficacia della vitamina E nel trattamento di specifici disturbi dermatologici, l’integrazione orale di vitamina E è raccomandata nella terapia della sindrome delle unghie gialle, della malattia da vibrazioni, dell’epidermolisi bollosa, della prevenzione del cancro, della claudicatio, delle ulcere cutanee, della sintesi del collagene e della guarigione delle ferite.

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antiossidanti della pelle: mentre non è stata osservata alcuna deplezione di vitamina E quando è stata analizzata la pelle a tutto spessore, sono stati analizzati separatamente. Si è concluso che l’ozono stesso è troppo reattivo per penetrare in profondità nella pelle e reagisce rapidamente con i lipidi e le proteine della barriera cutanea (Thiele et al., 1998b). Di conseguenza, è stato dimostrato che lo strato corneo è lo strato cutaneo più suscettibile alla deplezione di vitamina E indotta dall’ozono. Inoltre, la vitamina E dello strato corneo è altamente suscettibile al trattamento topico con perossido di benzoile (Weber et al., 2003). Uso della vitamina E nei disturbi della pelle Pur non esistendo ancora prove sufficienti provenienti da studi controllati sull’efficacia della vitamina E nel trattamento di specifici disturbi dermatologici, l’integrazione orale di vitamina E è raccomandata nella terapia della sindrome delle unghie gialle, della malattia da vibrazioni, dell’epidermolisi bollosa, della prevenzione del cancro, della claudicatio, delle ulcere cutanee, della sintesi del collagene e della guarigione delle ferite. Poiché la vitamina E non è un farmaco, mancano studi controllati con placebo per il trattamento di queste condizioni. Tuttavia, nel campo della cura della pelle, che comprende i cosmeceutici, esiste un ampio corpus di prove sperimentali che indicano effetti fotoprotettivi. Inoltre, studi recenti indicano che l’uso della vitamina E può fornire benefici dermatologici che superano lo scopo dei cosmetici e possono estendersi ad un’area che è stata definita “cosmeceutica”. Recentemente, Tsoureli-Nikita et al. hanno eseguito uno studio clinico in singolo cieco, controllato con placebo, in cui 96 pazienti affetti da dermatite atopica sono stati trattati con placebo o vitamina E orale (400 IE/giorno) per 8 mesi. Hanno riscontrato un miglioramento e una quasi remissione della dermatite atopica e una diminuzione del 62% dei livelli sierici di IgE nel gruppo trattato con vitamina E. La correlazione tra l’assunzione di α-tocoferolo, i livelli di IgE e le manifestazioni cliniche dell’atopia suggerisce che la vitamina E orale potrebbe essere un eccellente coadiuvante terapeutico per la dermatite atopica (Tsoureli-Nikita et al., 2002). Un altro studio multiclinico in doppio cieco ha rivelato un miglioramento significativo del cloasma e delle lesioni pigmentate della

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dermatite da contatto utilizzando le vitamine topiche E e C, con la combinazione che si è rivelata chiaramente superiore ai gruppi di trattamento con singole vitamine (Hayakawa et al., 1981). Le formulazioni topiche utilizzate per la depigmentazione che contengono vitamine C ed E, oltre all’idrochinone e ai filtri solari comunemente usati, sembrano essere sicure ed efficaci (Guevara e Pandya, 2003). Inoltre, vi sono prove che lo stress ossidativo è coinvolto nella fisiopatologia del melanoma e del cancro non melanoma (Sander et al., 2003) e che la vitamina E rallenta la crescita del melanoma promuovendo l’apoptosi delle cellule tumorali e inibendo l’angiogenesi mediata dal VEGF (Malafa et al. al., 2002a; Malafa et al., 2002b). Nonostante questi e altri risultati incoraggianti sugli effetti clinici benefici della vitamina E, sono necessarie ulteriori ricerche sotto forma di studi controllati ben progettati per chiarire il ruolo della vitamina E e dei suoi derivati nei suddetti e in altri disturbi della pelle. Logica per l’uso della vitamina E e dei co-antiossidanti per la fotoprotezione Una serie di studi sugli antiossidanti non enzimatici dello strato corneo hanno dimostrato che la vitamina E è l’antiossidante barriera fisiologico predominante nella pelle umana (Thiele et al., 2001). Lo strato corneo e il derma mancano di importanti coantiossidanti, come la vitamina C, mancando di protezione antiossidante. Infatti, dopo l’esposizione solare ai raggi UV, questi sono i siti cutanei che mostrano il danno proteico ossidativo più pronunciato, di conseguenza, l’integrazione di antiossidanti con vitamina E e co-antiossidanti sinergicamente attivi (vitamina C), può migliorare le strategie fotoprotettive dei filtri solari. Fotoprotezione fornita dalla vitamina E Numerosi studi topici hanno dimostrato che l’applicazione di vitamina E prima dell’esposizione ai raggi ultravioletti riduce significativamente le risposte acute della pelle, come eritema ed edema, formazione di cellule scottature solari, perossidazione lipidica, formazione di addotti al DNA, immunosoppressione, nonché legame dei fotosensibilizzatori indotto dai raggi UVA e chemiluminescenza. Reazioni cutanee croniche dovute all’esposizione prolungata ai raggi UVB/UVA, come rughe cutanee e incidenza di tumori cutanei sono stati diminuiti anche dalle formulazioni topiche di vitamina E.


Sebbene pochi studi abbiano dimostrato una penetrazione significativa della vitamina E topica negli strati dermici, si discute ancora sull’efficacia della vitamina E topica per proteggere i componenti dermici nella pelle umana. Chung et al. hanno dimostrato che un pretrattamento topico e occlusivo con vitamina E al 5% per 24 ore protegge dalla sovra regolazione indotta dai raggi UV della metalloelastasi dei macrofagi umani nella pelle umana in vivo. Anche gli esteri della vitamina E (acetato di vitamina E), si sono rivelati agenti promettenti nel ridurre il danno cutaneo indotto dai raggi UV, tuttavia, i loro effetti fotoprotettivi sembrano essere meno pronunciati rispetto alla vitamina E. Alla luce della vasta evidenza sperimentale sulle proprietà fotoprotettive degli antiossidanti, è stato suggerito che l’aggiunta di coantiossidanti sinergici, come le vitamine C ed E, può aumentare il potenziale fotoprotettivo delle moderne formulazioni di protezione solare (Thiele et al., 2000). Le formulazioni di protezione solare ad ampio spettro attualmente disponibili, sebbene efficaci nel prevenire la formazione di eritema, proteggono scarsamente contro la formazione di radicali liberi indotta dai raggi UVA nella pelle umana. La vitamina E acetato e il sodio ascorbil fosofato hanno dimostrato di essere bioconvertiti nelle vitamine E e C, e quindi di migliorare significativamente la fotoprotezione dei filtri solari contro la formazione di radicali liberi negli strati epidermici vitali (Hanson e Clegg, 2003). Dosaggio e utilizzo pratico nei prodotti per la cura della pelle Sebbene numerosi prodotti topici per la cura della pelle affermino di contenere “vitamina E”, questi prodotti possono in realtà contenere concentrazioni e formulazioni molto diverse tra cui la vitamina E attiva, i suoi numerosi esteri e molti altri derivati. I recenti progressi nella ricerca biofisica (ad esempio, emissione di fotoni ultra deboli; spettroscopia nel vicino infrarosso/ Raman; risonanza paramagnetica elettronica (Fuchs et al., 2002)) e biochimica (ad esempio, la recente identificazione di foto-lipidi superficiali della pelle altamente sensibili e specifici) prodotti di ossidazione/SqmOOH (Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2003)) hanno portato allo sviluppo di test non invasivi (ad esempio, il “test di fotoossidazione del sebo” (Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2002)) che aiuteranno

definire meglio le curve dose-risposta rilevanti di antiossidanti come la vitamina E. L’uso di prodotti da risciacquare contenenti α-tocoferolo in concentrazioni inferiori allo 0,2% porta ad un aumento significativo dei livelli di vitamina E nello strato corneo della pelle umana e protegge dalla perossidazione lipidica in vivo ( Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2005, Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2005). Pertanto, è probabile che le formulazioni topiche contenenti α-tocoferolo a concentrazioni comprese tra lo 0,1% e l’1% costituiscano misure efficaci per la cura della pelle per migliorare la protezione antiossidante della barriera cutanea. Secondo la teoria della rete antiossidante, le combinazioni con coantiossidanti come la vitamina C possono aiutare a migliorare gli effetti antiossidanti e la stabilità della vitamina E. Considerazioni dermatologiche particolari, controindicazioni ed effetti avversi Dermatite allergica da contatto Sebbene la vitamina E e i suoi derivati siano ampiamente utilizzati in molti prodotti cosmetici topici, le segnalazioni di effetti collaterali come reazioni cutanee allergiche o irritanti sono rare. Negli studi clinici, il tocoferolo e il tocoferolo acetato si sono rivelati sicuri per l’uso nelle formulazioni topiche per la pelle poiché le reazioni irritanti o sensibilizzanti sono state riscontrate solo in percentuali molto piccole. Per quanto riguarda l’integrazione orale, i test di tossicità riproduttiva e dello sviluppo condotti sugli animali utilizzando il tocoferolo e molti dei suoi derivati sono risultati estremamente negativi o addirittura hanno mostrato qualche effetto di riduzione della tossicità (rivisto in Zondlo Fiume, 2002). In casi clinici, tuttavia, sono stati descritti effetti collaterali clinici dopo l’applicazione topica di prodotti contenenti vitamina E, ad esempio dermatite da contatto locale e generalizzata, orticaria da contatto ed eruzioni simili all’eritema multiforme (Brodkin e Bleiberg, 1965). Assunzione di vitamina E durante la gravidanza Dosi orali di vitamina E comprese tra 50 UI e 1000 UI al giorno sono state tollerate negli esseri umani con effetti collaterali minimi o assenti. Gli integratori di vitamina E per la gravidanza di solito contengono solo piccole dosi di vitamina E, sebbene non siano stati osservati effetti avversi anche a dosi più elevate (Brigelius-Flohe

Sebbene la vitamina E e i suoi derivati siano ampiamente utilizzati in molti prodotti cosmetici topici, le segnalazioni di effetti collaterali come reazioni cutanee allergiche o irritanti sono rare. Negli studi clinici, il tocoferolo e il tocoferolo acetato si sono rivelati sicuri per l’uso nelle formulazioni topiche per la pelle poiché le reazioni irritanti o sensibilizzanti sono state riscontrate solo in percentuali molto piccole.

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Studi sull’uomo hanno dimostrato in modo convincente effetti fotoprotettivi significativi della vitamina E naturale e sintetica quando applicata localmente prima dell’esposizione ai raggi UVA e UVB. Tuttavia, in particolare per quanto riguarda il danno cutaneo indotto dai raggi UVB, gli effetti fotoprotettivi della maggior parte degli antiossidanti erano modesti, rispetto ai filtri solari.

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et al., 2002). In teoria, tuttavia, a causa del coinvolgimento del sistema del citocromo P450 nel metabolismo del RRR-α-tocoferolo integrato per via orale, è necessario tenere conto delle interazioni farmacologiche quando vengono somministrati dosaggi sovranutrizionali di vitamina E. Non esiste alcun rapporto pubblicato che documenti gli effetti avversi sul feto dovuti all’uso di prodotti topici a base di vitamina E. Assunzione orale di vitamina E e chirurgia dermatologica In un recente studio, a 40 volontari sani è stata somministrata una dose di 800 UI di dl-α-tocoferolo acetato per 14 giorni (Dereska et al., 2006). Il sangue intero è stato analizzato per l’aggregazione piastrinica, il profilo della coagulazione e il tempo di sanguinamento simulato. Il dosaggio moderato di α-tocoferolo non sembra avere un impatto significativo su alcun parametro quando si confrontano pre e post-integrazione nel sangue intero in vivo. Tuttavia, la potenza del test eseguito era inferiore al valore desiderato di 0,8 e questi risultati negativi devono essere interpretati con cautela. Inoltre, per giungere ad una conclusione definitiva sono necessari studi prospettici controllati di volume maggiore. Prospettive Le strategie topiche da sole potrebbero non essere sufficienti per rafforzare la difesa antiossidante della pelle nel derma e quindi prevenire o ridurre il fotoinvecchiamento in questo compartimento cutaneo. Pertanto, la ricerca attuale sulla vitamina E si concentra sulla distribuzione sistemica della vitamina E nei vari compartimenti della pelle umana. Da una recente scoperta è venuto fuori che il sebo umano contiene elevate quantità di α-tocoferolo e che la secrezione delle ghiandole sebacee è un importante percorso fisiologico di rilascio dell’α-tocoferolo alle regioni cutanee ricche di ghiandole sebacee, come la pelle del viso (Thiele et al., 1999). Allo stesso modo, è stato riportato che i farmaci somministrati per via orale vengono trasportati alla superficie cutanea e allo strato corneo attraverso la via di secrezione delle ghiandole sebacee (Faergemann et al., 1995). Uno studio randomizzato sull’integrazione di vitamina E nell’uomo con assunzione giornaliera di 400 mg di RRR-α-tocoferile acetato (RRR-α-toc) o 400 mg di all-rac-α-tocoferile acetato (all-rac-α-toc) per 14 giorni hanno studiato possibili aumenti della vitamina E cutanea. Campioni di sangue a

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digiuno, campioni di sebo facciale e lipidi della superficie cutanea della parte inferiore del braccio (SSL) sono stati prelevati in momenti compresi tra 0 e 21 giorni. Sorprendentemente, pur rimanendo invariati fino al giorno 14, i livelli di sebo di α-tocoferolo erano aumentati il giorno 21 sia nel gruppo RRR-α-toc che in quello allrac-α-toc rispettivamente dell’87% e del 92%. Per quanto riguarda l’integrazione alimentare di vitamina E e la sua biodisponibilità nella pelle umana, questi risultati suggeriscono che (1) la secrezione delle ghiandole sebacee è un meccanismo di rilascio rilevante; (2) le biodisponibilità di RRR-α-toc e di all-rac-α-toc sono simili; e (3) un accumulo significativo richiede un periodo di integrazione giornaliera di almeno 2-3 settimane (Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2004). Pertanto, la supplementazione orale di vitamina combinata con l’applicazione topica può avere implicazioni per condizioni di pelle sebostatica e secca (ad esempio, dermatite atopica) così come per la pelle dei bambini in età prepuberale, che hanno una bassa attività delle ghiandole sebacee (Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2005, Ekanayake-Mudiyanselage et al., 2005, Ekanayake-Mudiyanselage e Thiele, 2006). Studi sull’uomo hanno dimostrato in modo convincente effetti fotoprotettivi significativi della vitamina E naturale e sintetica quando applicata localmente prima dell’esposizione ai raggi UVA e UVB. Tuttavia, in particolare per quanto riguarda il danno cutaneo indotto dai raggi UVB, gli effetti fotoprotettivi della maggior parte degli antiossidanti erano modesti, rispetto ai filtri solari. Per quanto riguarda gli effetti fotoprotettivi contro le alterazioni cutanee indotte dai raggi UVA, che sono in gran parte determinati dai processi ossidativi, la somministrazione topica di miscele antiossidanti contenenti vitamina E potrebbe essere particolarmente promettente in aggiunta alle moderne formulazioni di protezione solare. Una migliore conoscenza della fisiologia unica e specifica della pelle della vitamina E, compresa la sua penetrazione percutanea, le interazioni con la barriera cutanea, la bioconversione degli esteri della vitamina E e le vie di rilascio cutaneo della vitamina E orale, potrebbero aiutare a sviluppare prodotti per la cura della pelle più efficaci e a valutare meglio indicazioni e regime posologico per la prevenzione e il trattamento dei disturbi cutanei acuti e cronici.


È nata la FNOB Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi

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IL BIOLOGO ETOLOGO CHE CONTRIBUÌ ALLO STUDIO DEI BAMBINI AUTISTICI Nikolaas Tinbergen (1907-1988) Premio Nobel Per la Medicina e Fisiologia nel 1973 in compartecipazione con Konrad Lorenz e Karl von Frisch

di Giuliano Russini*

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ikolaas Tinbergen (per i suoi amici e colleghi Niko), fa parte di quei biologi che hanno influenzato intere generazioni di giovani in tutto il mondo, invogliandoli a iscriversi a Scienze Biologiche per diventare etologi o zoologi; il suo fascino lo esercitò per decine di anni sin dalla seconda metà del secolo scorso grazie alle decine di libri scientifici e divulgativi che pubblicò nel settore della zoologia comparata e dell’etologia, di cui ne fu uno dei massimi esponenti insieme ad altri biologi naturalisti come Konrad Lorenz, Karl von Frisch -con i quali condivise nel 1973 il premio Nobel per la Medicina e la fisiologia- che come citato nel giorno delle premiazione dal comitato scientifico di Stoccolma venne assegnato: “…per i loro fondamentali e pionieristici studi sul comportamento comparato animale in Natura, che stanno avendo fondamentali ricadute in psichiatria e psicologia per la comprensione di quello umano…” (scientific committe, Nobel Prize 1973). Tra le sue opere più famose, ci sono libri come “Lo studio dell’Istinto, del 1951”, “Il comportamento sociale degli animali, del 1968” e “Segnali per sopravvivere, del 1976” questo ultimo fu anche oggetto di un documentario di grande valore scientifico. *Biologo (botanico-fitopatologo).

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Niko Tinbergen nacque in Olanda nel 1907 ebbe cinque fratelli, uno dei quali vinse il premio Nobel per l’Economia, Jan Tinbergen. Sin da piccolo, come spesso accade nella vita di questi grandi biologi, mostrò un fortissimo interesse per la biologia, interessandosi di animali (insetti, pesci, rettili, uccelli) e piante, da adolescente costruì una serra nella quale coltivava decine di specie diverse di piante fiorifere, alcune aventi una origine geografica di paesi dell’estremo Oriente, ottenute da semi, rizomi e bulbi che acquistava da appositi vivai. Entrò all’Università di Leida dove studiò biologia sotto il biologo Jan Verwey, che lo indirizzò allo studio del comportamento animale. I suoi studi sul comportamento animale furono subito brillanti, ma soprattutto caratterizzati dal fatto che sapeva risolvere problemi e dare risposte a questioni riguardanti la biologia del comportamento animale, con esperimenti semplici; appena laureato in biologia, gli fu assegnato il compito di capire se il pesce gatto fosse, come gli zoologi e gli ittiologi di allora (erano gli anni ’30 del 900) credevano, sordo. Niko T. progettò un esperimento molto semplice per risolvere il problema, associò l’atto di lasciare cadere dei frammenti di carne -quando il pesce era lontano e non poteva vedere- (il pesce gatto nero “Ameiurus melas” è


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una specie carnivora) nell’acqua dell’acquario ove era presente, con il suono di poche note di un flauto, il tutto senza che il pesce lo vedesse perché nascosto, il pesce si avvicinava alla superficie per mangiare la carne; dopo alcune sessioni (in gergo tecnico dette di abituazione), suonò semplicemente il flauto, ma non somministrò la carne e il pesce si avvicinò comunque al pelo dell’acqua intento a mangiare la carne che non trovò. Tale esperimento dimostrò che non l’odore, non la vista, avevano permesso tale associazione, ma il suono del flauto percepito dal pesce associato alla somministrazione di carne, dimostrando che il pesce gatto non è sordo ma ci sente benissimo. Divenne poi allievo di Konrad Lorenz e passò un anno di lavoro e ricerca negli USA; allo scoppio delle Seconda Guerra Mondiale, venne imprigionato per due anni in un campo di concentramento, da cui riuscì a salvarsi. Dopo la fine della seconda Guerra Mondiale passò un altro anno negli USA, per poi stabilirsi definitivamente in Inghilterra diventando professore di Zoologia Comparata e di Etologia alla Oxford University. Qui, Tinbergen, fece le sue principali scoperte, sull’”Istinto animale”, sulla “Vita sociale degli animali”, sullo “Scatenamento dei Meccanismi Innati” famoso in inglese come “Innate Releasing Mechanism” e sulla “Teoria Motivazionale” che gli valsero il premio Nobel per la Medicina e Fisiologia nel 1973. Fino ad esso per sommi capi, ho descritto il Tinbergen più noto. Pochi sanno però che il biologo etologo olandese, verso la fine della sua carriera, si interessò allo studio dei “bambini autistici”. Questo interesse nacque in N.Tinbergen poiché da biologo non poteva ignorare la sofferenza umana, correlando le sue conoscenze nel tentativo di alleviarle e nello specifico da etologo, di cercare di utilizzare le sue conoscenze accumulate in quasi cinquanta anni di ricerca e lavoro su campo con tante specie animali differenti, per cercare di alleviare un male, che purtroppo fa muovere nel buio e nella solitudine, i cuccioli afferenti alla specie umana “Homo sapiens” appunto l’autismo.

N. Tinbergen, mentre sta preparando su campo uno dei suoi esperimenti con specie di uccelli afferenti alla famiglia dei Laridae (gabbiani).

Uno dei celebri libri di Niko Tinbergen.

La moglie di Tinbergen, Elisabeth, era una psicologa clinica che studiava i bambini autistici da anni, ma era molto scoraggiata nel vedere che le terapie psicologiche, occupazionali e logopediche applicate fino a quel momento (seconda metà degli anni ’70, inizio degli anni ’80 del ‘900) da tutti gli psichiatri, psicologi clinici, terapisti occupazionali, logopedisti e altri operatori socio sanitari, non davano in alta percentuale i risultati sperati, per quanto riguarda la componente ludica, sociale e verbale in questi bambini. N. Tinbergen, si avvicinò allo studio di questi bambini sfortunati con l’approccio del biologo etologo e l’esperienza di chi aveva studiato nei minimi dettagli, movimenti e comportamenti durante tutti i loro processi maturativi, nei cuccioli (prole) animali afferenti a decine di specie di vertebrati differenti (pesci, uccelli, mammiferi, compresi i primati). In particolare i suoi studi passati, che lo portarono a definire il concetto dei “MeccaGiornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Salute

nismi Scatenanti Innati” negli animali dagli invertebrati (insetti), vertebrati (pesci, uccelli e mammiferi), quei meccanismi che per un determinato segnale ambientale (colore dei fiori, cambio di temperatura ambientale e sostanze ormonali disperse nell’ambiente con urine e feci, o ghiandole esterne), innescano fenomeni di ricerca del cibo, accoppiamento sessuale, lotta, fino ad elaborare la “Teoria Motivazionale” secondo la quale sempre per stimoli ambientali i cuccioli (o prole) vengono motivati all’attenzione e a imparare dai genitori, vedi il volo negli uccelli ad esempio, o a catturare prede per nutrirsi imparando le tecniche di caccia, vedi leoni e felini in generale, o i rapaci, lo portarono ad elaborare una Teoria molto audace sulle possibili cause (e quindi a proporre modelli terapeutici) dell’autismo nei bambini, la Teoria del fenomeno “PSICOGENO” nel bambino autistico, secondo cui danni emozionali a pochi mesi di vita post natale (dagli 0 ai 3-4 mesi di vita) nel bambino, sono la causa scatenante l’autismo e la cura può avvenire con protocolli gestuali ma non verbali, o meglio, parte della cura. L’autismo infantile è considerato fino a oggi una delle malattie più enigmatiche e intrattabili che ci siano: diffusissimo è infatti il luogo comune che sia pressoché impossibile vincere la resistenza che tutti i bambini autistici oppongono inizialmente a ogni tentativo di entrare in contatto con loro. Niko Tinbergen propose quindi in base all’esperienza clinica della moglie Elisabeth, una via nuova e audace cambiando paradigma, ovvero introducendo il metodo dell’Etologia comparata (un po’ come quando nacque l’Etologia come manifesto scientifico, ove la Natura e gli habitat dove vivono gli animali, sono il laboratorio dove studiarli, senza intrappolarli in gabbie): osservare con attenzione minuziosa e prolungata ogni singolo aspetto del comportamento di questi bambini, per poi elaborare una terapia dell’autismo che si basi su alcuni princìpi dell’etologia comparata. Secondo N.Tinbergen, sostenitore insieme alla moglie dell’origine psicogena dell’autismo, il danno emozionale che il bambino autistico ha subìto nei primissimi mesi di vita (ad esempio per un rapporto anaffettivo della madre per problemi 52

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N .Tinbergen, si avvicinò allo studio di questi bambini sfortunati con l’approccio del biologo etologo e l’esperienza di chi aveva studiato nei minimi dettagli, movimenti e comportamenti durante tutti i loro processi maturativi, nei cuccioli (prole) animali afferenti a decine di specie di vertebrati differenti

psicologici e psichiatrici, o per droga e alcolismo, o per la perdita della madre in questa fascia di età), può essere riparato soltanto con interventi terapeutici diversificati, ma fondati sul gesto o comunque sull’espressione non verbale; il tocco, la gestualità, l’abbraccio, il contatto corpo-corpo, mirano a restaurare, attraverso una vera e propria simulazione non priva di momenti altamente drammatici, il rapporto affettivo che, in condizioni normali e Naturali, si instaura fra “la madre e il suo bambino in fasce”. Solo dopo che sarà stato ristabilito questo equilibrio emotivo fondamentale e primigenio, si potrà iniziare l’apprendimento delle abilità manuali, fisiche e delle prestazioni di tipo ludico, linguistico-verbale e sociale nel bambino, su cui si incentrano le terapie correnti dell’autismo, con risultati assai sconsolanti se mancanti appunto, di quel passaggio primordiale “indispensabile” che è il recupero tramite contatto fisico, gestuale e non verbale, del rapporto madre-figlio, che N.Tinbergen propose. Da questi studi Niko Tinbergen e la moglie Elisabeth produssero un libro sensazionale nel 1984, che è la prova più innovativa e autorevole finora esistente nel campo dell’etologia umana. Immensa è la ricchezza di osservazioni etologiche comparate che N.Tinbergen utilizzò e insieme a esse i coniugi Tinbergen tentarono di proporre una teoria e un protocollo pratico che possa aiutare chi si muove nell’oscurità, individuando una terapia per una delle malattie più penose che conosciamo. Preziosi furono anche i consigli pratici che i Tinbergen esposero per chiunque, genitori ed educatori, abbia a che fare con bambini autistici.

Bibliografia - Function and Evolution in Behaviour: Essays in Honour of Professor Niko Tinbergen, 1976. - Bambini Autistici, Niko Tinbergen, Elisabeth A. Tinbergern, 1984.


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Il ricordo

RICORDO DEL BIOLOGO PROF. PATRIZIO GIULINI SCOMPARSO A OTTOBRE Russini: “Fu uno dei massimi esperti al mondo di giardini storici, parchi storici, archeologici e del verde antico, urbano e periurbano”

di Giuliano Russini*

C

on senso di tristezza sono venuto a sapere tramite un messaggio sul telefono, un giorno dopo l’accaduto, che lo scorso sabato 21 ottobre 2023, il Prof. Patrizio Giulini è venuto a mancare. Ho avuto modo, di conoscere il Prof. P. Giulini, uno dei più importanti botanici a livello europeo del secolo scorso, telefonicamente; lo chiamai circa tre anni fa, per invitarlo come relatore ad un congresso organizzato dall’allora Ordine Nazionale dei Biologi (ONB), oggi Federazione Nazionale degli Ordini dei Biologi (FNOB) sul ruolo fondamentale e storico dei biologi ambientali, o biologi naturalisti (botanici, zoologi, ecologi, entomologi etc.), nella corretta progettazione del verde urbano e periurbano, i cui risultati sono spesso, solo in Italia, ignorati dalle pubbliche amministrazioni per ignoranza, pur trattandosi di figure professionali tra le più antiche nel settore, in particolare oggi alla luce degli evidenti effetti negativi planetari opera dei cambiamenti climatici e dei processi di siccitosi e desertificazione che stanno coinvolgendo non solo le aree naturalmente e storicamente sottoposte al processo naturale di desertizzazione, per ragioni geografiche e geologiche, ma anche aree geografiche che almeno negli ultimi secoli non ne sono mai state soggette, ma che a causa dell’impronta antropica negativa, quali l’acidificazione degli oceani e *Biologo (botanico-fitopatologo).

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mari, la distrofica deforestazione (per citarne due solamente, l’elenco sarebbe lungo) per alimentare il ciclo del legname, i cui effetti principi sono l’alterazione del ciclo idrologico dell’acqua, stanno determinando. Per ragioni di salute, il Prof. P. Giulini non poté venire a Roma, ma la telefonata continuò per ben tre ore e mazza, nelle quali ebbi modo di essere testimone di tanti aneddoti, ricordi di altri illustri biologi sia botanici che zoologi, che furono coetanei del Prof. P. Giulini e dei suoi viaggi di esplorazione e ricerca in Asia, Africa, dei ruoli fondamentali che ebbe in collaborazione con la Banca Mondiale durante gli anni ’70 e ’80 e le Nazioni Unite (NU), nei progetti di lotta alla desertificazione (riduzione della fertilità del suolo), in varie regioni del Mondo e del ruolo che ebbe come biologo docente nelle facoltà di Veterinaria e Agraria, nell’Università di Somalia durante gli anni ’70 e ’80 del XX secolo. La telefonata fu anche un modo di conoscere dalla sua voce, come il Prof. P. Giulini fu uno dei personaggi chiave relativamente allo sviluppo scientifico dell’Orto Botanico di Padova, l’Orto Botanico più antico del Mondo e, degli sviluppi che portarono alla nascita, da lui fondato insieme alla biologa Giulia Zenoni Politeo, del “Gruppo Giardino Storico dell’Università di Padova”, all’interno del quale riunì professionisti di diverso tipo (biologi, architetti, archeologi, storici dell’arte), una struttura ancora oggi pienamente attiva e


Il ricordo

che fa dello studio del verde antico e dei giardini storici italiani e non, le sue tematiche principali. Infatti il Prof. Giulini oltre le competenze citate prima e che descriveremo più in dettaglio fra poco, fu uno dei massimi esperti al mondo di giardini storici, parchi storici, archeologici e del verde antico, urbano e periurbano; in particolare della componente riguardo l’impianto vegetazionale. Il Prof. Giulini oltre ad essere un biologo di prima qualità e nello specifico un botanico e fitogeografo con una fortissima attenzione verso la Conservazione della Biodiversità e del fondamentale ruolo che l’ambiente ha su quella che oggi viene chiamata One Health era anche un uomo polivalente, con grande erudizione storica e archeologica. Carriera del Prof. Patrizio Giulini ed eredità concettuale Patrizio Giulini si è laureato in Scienze Biologiche durante gli anni ’60 del secolo scorso e come disse lui stesso in una intervista “…mai scelta fu più giusta, per poter avere una visione olistica delle forme viventi e le relazioni che esse sviluppano negli ambienti che popolano…ma forse la scelta fu guidata dall’alto, affinché nascesse un paladino protetto da un Ordine Professionale per difendere l’Orto Botanico e la vegetazione”, fu uno dei fondatori del Gruppo Giardino Storico Università di Padova, insieme alla biologa Giuliana Baldan Zenoni Politeo. Inizialmente fu assistente volontario dal 1965 e di ruolo dal 1967 presso la facoltà di Agraria dell’Università di Padova. Successivamente è stato docente di Fitogeografia ed Ecologia vegetale e poi di Botanica generale e Botanica Sistematica fino al 1997 nella facoltà di S.M.F.N., quando si è dimesso dal ruolo. Divenuto professore a contratto di Geobotanica nell’ambito del corso di laurea in Scienze e Tecnologie per l’Ambiente a Padova e di Botanica Applicata nel primo decennio del 2000 all’Università di Verona, per il corso di laurea in Conservazione dei Beni Culturali. Fu anche docente presso l’Università di Somalia per le Facoltà di Agraria e di Veterinaria 1974, 1975, 1981, 1983, i corsi di laurea che il Governo Italiano decise di creare insieme a quello di Medicina e Chirurgia e Scienze, durante il protettorato di tale regione del Corno d’Africa. Fu anche docente nell’ambito di numerosi corsi sul restauro dei giardini storici e non. Fu componente in qualità di biologo di spedizione, della Spedizione Alpinistica e Scientifica del CAI sull’Annapurna III (Nepal)

Patrizio Giulini.

Orto Botanico di Padova. Fu uno dei personaggi chiave relativamente allo sviluppo scientifico dell’Orto Botanico di Padova, l’Orto Botanico più antico del Mondo e, degli sviluppi che portarono alla nascita, da lui fondato insieme alla biologa Giulia Zenoni Politeo, del “Gruppo Giardino Storico dell’Università di Padova”:

nel 1977, della spedizione paleontologica congiunta Università di Padova, Università di Ferrara e Università di Torino, in Tailandia nel 1987. Fu consulente nel 1975 della Banca Mondiale riguardo ai problemi della siccità ricorrente in Somalia e componente del Comitato Nazionale per i Giardini Storici del Ministero BB.CC.AA. fino alla sua soppressione. Progettista della componente verde e paesaggistica per A.S.T.E.A e in collaborazione con i componenti di XQUADRO. Membro dell’Academia Internationalis de Hortis et Naturalibus Prospectibus, dell’Accademia Trevigiana per l’Ambiente, dell’Unione Forestali d’Italia, dell’A.S.T.E.A; Fu premiato con la cittadinanza di Padovano Eccellente. Ha scritto ben 140 lavori scientifici, fu editor e coautore di volumi di interesse ambientale e storico. Sebbene il ricordo del Prof. Patrizio Giulini negli ultimi anni rimane giustamente molto legato al suo “fondamentale” ruolo di studioso del verde antico, dei giardini storici e dell’Orto Botanico di Padova, la sua carriera ci mostra che nacque come classico biologo da campo che associava l’esplorazione in aree remote del mondo, con gli aspetti scientifici e l’amore per lo studio e la scoperta di vegetazioni e anche faune ben lontane dai posti natii. Con la perdita del Prof. Patrizio Giulini, scompare un altro elemento in Italia, caratterizzante una figura quella del biologo da campo (quali furono i miei maestri), intento ad osservare ogni cosa in natura con la curiosità e lo stupore di un bambino e la razionalità dello scienziato, comprendendone le intime relazioni con tutti gli altri elementi circostanti, con una visione olistica, sempre più oggi offuscata dalla tecnologia e dalle iperspecializzazioni, questo in tutti i campi del sapere e scientifici. L’autore dell’articolo e tutta la FNOB si uniscono al cordoglio della famiglia. Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Ambiente

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n un’Italia che ha visto profondi cambiamenti durante gli ultimi tre decenni, le sue città si trovano ad affrontare sfide sempre più importanti. Il recente report “Ecosistema Urbano 2023” di Legambiente, realizzato in collaborazione con “Ambiente Italia” e “Il Sole 24 Ore”, fornisce uno sguardo approfondito sulle prestazioni di 105 comuni capoluogo, delineando un quadro complesso e, in alcuni casi, preoccupante. Giunto alla sua trentesima edizione, offre un’analisi dettagliata, iniziata nel 1994, evidenziando le emergenze persistenti, quali smog, problemi negli spostamenti, spreco idrico e una significativa presenza di auto in circolazione. La classifica del 2023 vede Trento in vetta, seguita da Mantova e Pordenone, mentre metropoli come Roma, Milano, Firenze e Genova registrano oscillazioni negative. Sono stati identificati interventi fuori luogo e comportamenti che hanno frenato i territori, sottolineando che, nonostante alcune migliorie come l’aumento della raccolta e delle piste ci-

clabili, sono emersi rallentamenti significativi. Indicatori cruciali, come il tasso medio di motorizzazione (a livelli tra i più alti d’Europa: 66,6 auto ogni 100 abitanti) e la produzione di rifiuti (da una media pro capite di 455 kg/anno del ‘94 a 516 kg/anno nel 2022), persistono tuttora, mentre il trasporto pubblico rimane al di sotto degli standard europei. «Le città - ha dichiarato Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente - vanno ripensate come motori di un cambiamento capace di renderle vivibili e a misura umana, nonché laboratori fondamentali per il percorso di decarbonizzazione. Occorre infrastrutturarle, realizzando gli impianti industriali dell’economia circolare, riducendo le perdite nella rete di distribuzione dell’acqua, completando la rete di fognatura e depurazione delle acque reflue, facilitando la permeabilità del tessuto urbano alle acque piovane per adattarsi alla crisi climatica e ricaricare le falde, diffondendo le colonnine di ricarica elettrica negli spazi pubblici». Se lo smog “avvolge” Torino, Milano, Bologna e Firenze, il traffico soffoca Catania e Roma. Nella Capitale e nel capoluogo etneo il sistema del Tpl è in difficoltà, mentre la gestione dei rifiuti “annaspa” a Palermo, Catania, Venezia, Firenze e Roma. Firenze, Catania e Bari

SOSTENIBILITÀ URBAN MA STRADA IN S

Molte metropoli come Roma, Milano e Firenze devono affrontare anco 56

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023


sono alle prese con la dispersione di acqua potabile, Venezia lotta contro il consumo del suolo. Napoli, Palermo, Torino e Roma faticano a diffondere l’energia solare termica e fotovoltaica. Risulta complicato promuovere la ciclabilità a Genova, Roma e Napoli. Scendendo più nei dettagli, le concentrazioni legate al biossido di azoto rimangono elevate a Milano, Palermo e Torino, dove sono tanti anche i giorni di superamento limiti dell’ozono. Catania ha un numero cospicuo di auto circolanti, con 78 ogni 100 abitanti. La differenziata, nonostante le complicazioni, è aumentata al 16,3% per Palermo (era al 15,4% lo scorso anno), mentre Catania si attesta al 26,2% e Napoli al 37,8% (il 35% era l’obiettivo normativo da raggiungere nel 2006). I catanesi effettuano appena nove viaggi pro capite annualmente sul loro Tpl, Firenze e Genova hanno avuto oltre 8 morti e feriti ogni 1000 abitanti per incidenti stradali. Trento confermatasi al vertice, grazie alla qualità dell’aria con trasformazioni positive nei livelli di NO2 e rimanendo entro i limiti per Pm 10 e Pm 2,5, registra un peggioramento nei giorni di sforamento per l’ozono. I consumi di acqua diminuiscono leggermente, passando da 149,7

La corsa verso centri abitati più resilienti e vivibili sembra, tuttora, un traguardo ancora lontano, ma non irraggiungibile. Nonostante le criticità, ci sono realtà e buone pratiche che stanno già facendo la differenza.

© Massimo Todaro/shutterstock.com

Ambiente

a 147,4 litri pro capite al giorno. La produzione totale di rifiuti scende lievemente a 446 Kg/ab/anno. Mantova è seconda, salendo dalla decima posizione dell’anno precedente. Ha ridotto i valori medi di NO2 a 21,7 microgrammi/mc e si segnala una crescita nella differenziata, passando dall’83,2% all’attuale 84,8%, quarto posto assoluto. Il Tpl raddoppia quasi il numero di passeggeri, andando da 36 a 66 viaggi/abitante annui. Si distingue anche per i metri quadrati destinati ai pedoni con l’ottavo posto in quella particolare graduatoria. Nelle zone a traffico limitato è prima con 1.729,5 mq/100 ab. Gradino più basso del podio per Pordenone. Buone la riduzione dei consumi idrici da 175,6 a 161,2 litri pro capite giornalieri e le perdite della rete, al 9,9%. La produzione di rifiuti urbani si restringe da 520 a 493 kg per abitante all’anno, progredisce la differenziata dal 85,3% all’86,9%, secondo posto assoluto. Il Tpl si amplia di un terzo e l’infrastrutturazione per le biciclette migliora, da 18,06 a 19,11 metri equivalenti ogni 100 abitanti. (G. P.).

NA: TRENTO IN TESTA SALITA PER TUTTI

ora elevati livelli d’inquinamento atmosferico e ritardi nelle infrastrutture

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Ambiente

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egambiente, nel corso del VI Forum nazionale sulla bioeconomia delle foreste ha mostrato una popolazione che, se da un lato gode per l’abbondanza del proprio patrimonio boschivo, dall’altro fatica a rendere le città verdi e sostenibili. La risorsa boscosa si è estesa a oltre 11 milioni di ettari, coprendo il 36,7% del territorio. Nel 2022, su 105 capoluoghi monitorati, la media è di soli 24 alberi/100 abitanti. Soltanto 43 città superano o raggiungono i 20 alberi/100 ab., 18 scendono sotto i 10/100 ab. e dieci registrano meno di 5/100 ab. Modena (117/100ab), Cremona (99/100 ab) e Trieste (96/100 ab) sono le più virtuose. Tuttavia, gli sforzi attuali nella piantumazione risultano insufficienti per raggiungere gli obiettivi della Strategia UE sulla biodiversità, che mira a interrare 3 miliardi di piante legnose entro il 2030. La media di vegetazione pro capite in Italia si attesta intorno a 53,7 metri quadrati, secondo i dati Istat 2021. Preoccupano i rinvii riguardo a pianificazione e gestione soste-

nibile, la valorizzazione delle filiere forestali, la prevenzione degli incendi, la lotta alla deforestazione e all’illegalità. A dieci anni dalla legge n. 10/2013, che richiede ai Comuni sopra i 15mila abitanti un catasto delle alberature e azioni specifiche per incrementarle, siamo ancora lontani dal completare gli obiettivi stabiliti. Inoltre, dobbiamo raggiungere l’obiettivo 11 dell’agenda 2030 Onu per lo Sviluppo Sostenibile, che promuove «città e insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili». Una nota positiva è l’istituzione del primo Cluster nazionale del legno, avviato a luglio 2023 dal MASAF (Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste). Quindici i soggetti che lo costituiscono: Federlegnoarredo, CNA, Confartigianato, Confcooperative, LegaCoop Associazione Generale Cooperative Italiane, Consorzio Legno Veneto, Cluster Arredo Legno FVG, FSC Italia, PEFC Italia Uncem Nazionale, Università della Basilicata, di Padova, della Tuscia e Consiglio Nazionale delle Ricerche. «C’è ancora molto da fare - spiega Antonio Nicoletti,

DAL BOSCO ALLA CITTÀ LA VIA VERDE PER FAR DECOLLARE L’ITALIA CHE VERRÀ Legambiente disegna una mappa per un Paese green, identificando le azioni che la politica deve intraprendere senza indugi se vuole assicurare un benessere sostenibile

di Gianpaolo Palazzo 58

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023


responsabile aree protette di Legambiente - per proteggere e valorizzare la nostra ricchezza di ecosistemi forestali e molte Regioni sono in ritardo nella gestione forestale sostenibile, nella pianificazione e certificazione delle foreste. Persistono altri ritardi nel contrasto all’illegalità dentro la filiera legno-energia e la dipendenza dall’estero per l’approvvigionamento. Bisogna incrementare i boschi con popolamenti maturi e senescenti (foreste primarie o vetuste) con l’obiettivo di tutelare il 30% del territorio e destinare a riserva integrale il 10% delle foreste e realizzare hot-spot di biodiversità forestale». L’appello pressante alle istituzioni italiane si concretizza per l’associazione ambientalista proponendo cinque azioni: si parte dall’implementazione della Strategia Forestale Nazionale, come prima tappa essenziale. Diventa cruciale tradurre in azioni concrete gli impegni presi, puntando all’incremento della capacità di assorbimento CO2 e al rafforzamento della bioeconomia circolare entro il 2030, con particolare attenzione alla trasparenza. Necessari, pure, la piena applicazione della Legge 10/2013, che regola lo sviluppo degli spazi

La risorsa boscosa si è estesa a oltre 11 milioni di ettari, coprendo il 36,7% del territorio. Nel 2022, su 105 capoluoghi monitorati, la media è di soli 24 alberi/100 abitanti. Soltanto 43 città superano o raggiungono i 20 alberi/100 ab., 18 scendono sotto i 10/100 ab. e dieci registrano meno di 5/100 ab.

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Ambiente

verdi urbani, insieme a controlli e verifiche per assicurare che si sviluppino aree verdeggianti, migliorando la qualità di vita e contrastando il surriscaldamento. L’incentivazione dei Cluster Regionali rappresenta, quindi, un passo avanti per potenziare il made in Italy e accrescere la produzione interna di prodotti lignei. Questo contribuirà ad accelerare la transizione ecologica, con l’utilizzo di valide alternative a plastica e cemento nell’edilizia. Un’altra mano di aiuto potrà arrivare dal completamento con successo dei progetti PNRR dedicati all’Ambiente, una priorità imprescindibile. Proteggere la gente dalle ondate di calore è cruciale per affrontare la crisi climatica, e qualsiasi possibile sforbiciata ai fondi destinati a questo scopo dev’essere evitata. Occorre promuovere, infine, un piano nazionale di messa a dimora delle specie vegetali. Servirà, infine, sempre di più concentrarsi sulla crescita responsabile del vivaismo e sulla ripresa di quelli pubblici, portando avanti un approccio completo alla gestione e alla preservazione del nostro capitale frondoso con azioni economiche e fiscali a supporto del settore.

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CITTÀ CALDE E CEMENTO MINACCIANO ZONE AGRICOLE E SERVIZI ECOSISTEMICI Il consumo di suolo, nel 2022, accelera alla velocità di 2,4 metri quadrati al secondo e avanza, in dodici mesi, di altri 77 km2, oltre il 10% in più rispetto al 2021 60

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Ambiente


Ambiente

Pier Paolo Pasolini sul finire degli anni Sessanta già aveva intravisto il pericolo ed era pronto a non tralasciare la giustizia sociale: «Penso all’abbandono di certi vecchi casali laziali, o siciliani. Bene, soltanto per difendere dalla strage uno di questi casali, mi dico che dovrei avere la forza, mistica, di cambiare corso alla mia vita: dedicarmi a tale causa, come Gandhi all’indipendenza dell’India, o Dolci alla rinascita di Partinico. Occorrono proteste e digiuni, e magari la bomba molotov, per difendere la “bellezza antica”». Una veduta percepita non in qualità di semplice sfondo ornamentale, bensì come un contesto vivo di corpi, suoni e vita, da esaltare attraverso lo sguardo.

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l termometro sale nelle città italiane insieme alla sensazione di calura e affaticamento e dietro il drastico innalzamento della colonnina di mercurio c’è una colpa silenziosa: la fame di terra. I dati rivelati dal recente Rapporto 2023 dell’Ispra (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) dipingono un quadro allarmante, mostrando un incremento +10% nel consumo di suolo durante il 2022, rispetto all’anno precedente. Le metropoli italiane, vere e proprie “fornaci” nel corso delle giornate più roventi, registrano picchi impressionanti. La differenza di temperatura nelle aree urbane di pianura rispetto al resto è di 4°C in estate con massime di 6°C a Firenze e di oltre 8°C nel capoluogo lombardo. Tali fenomeni sono direttamente attribuibili al consumo accelerato di suolo, che in dodici mesi è avanzato di 77 km2, equivalente a 2,4 metri quadrati al secondo, ma c’è anche di più dietro una faccia della medaglia. Oltre a compromettere il clima cittadino, l’alterazione del paesaggio pone anche serie minacce idrogeologiche e decima le preziose aree agricole. Nel 2022 più di 900 ettari in località a rischio idraulico medio sono diventati impermeabili, un valore sostanzialmente superiore alla media nazionale (con un accrescimento percentuale dello 0,33%) e abbiamo sacrificato ben 4.500 ha di terreni agricoli, il 63% nel consumo totale a livello italiano. Oltre 2.500 ha si trovano, poi, in aree a pericolosità sismica alta o molta alta, il 7,5% (quasi 530 ha) è in quelle soggette a frane. L’Ispra stima che ciò comporti una perdita di servizi ecosistemici, tra cui la capacità di assorbire l’acqua, la produzione alimentare e la conservazione della biodiversità, con un costo annuo quantificato in ben nove miliardi di euro. Il fenomeno non colpisce uniformemente il Paese, dal momento che si concentra, soprattutto, tra Lombardia e Veneto, nella Pianura Padana, lungo la costa adriatica, in alcuni tratti del litorale romagnolo, marchigiano e pugliese, e seguendo la via Emilia. In questa corsa all’urbanizzazione ci sono Comuni che resistono: Ercolano (Na), Montale (Pt), San Martino Siccomario (Pv), Genova, Reggio Calabria e Firenze emergono

come esempi virtuosi, salvaguardando quanto di prezioso hanno. Tuttavia per gli esperti, la necessità di una riflessione e di azioni immediate diventa sempre più evidente, poiché il nostro patrimonio naturale sta scomparendo a un ritmo preoccupante. La logistica e la grande distribuzione organizzata, principali imputati, hanno raggiunto un picco senza precedenti, con una crescita che ha superato i 506 ha, il massimo rilevato dal lontano 2006. Nell’arco degli ultimi sedici anni, ha sofferto soprattutto il Nord-Est, con oltre 1.670 ha, equivalenti al 5,8% del totale impatto antropico nell’area. Al Nord-Ovest sono stati danneggiati 1.540 ha (6,1%), mentre nel Centro la cifra si attesta a 940, (4,7%). Le grandi infrastrutture contribuiscono all’8,4%, mentre gli edifici eretti nell’ultimo anno su spazi precedentemente agricoli o naturali sfiorano quota 1.000 ha, costituendo il 14% delle nuove superfici artificiali. Piazzali, parcheggi e altre superfici pavimentate assorbono ulteriori 948 ha (pari al 13,4%), mentre le attività estrattive concorrono con 385 ha (5,4%). Un dato minaccioso emerge dall’installazione d’impianti fotovoltaici a terra, che ha richiesto quasi 500 ha, di cui 243 rientrano nella categoria europea. Queste cifre delineano una realtà dove la richiesta per fini non legati all’agricoltura continua a svilupparsi in modo esponenziale. L’invito a privilegiare più aree verdi pubbliche e a ridurre gli spazi destinati ai posteggi potrebbe essere uno slogan adottato da molti oggi, viste le problematiche venute a galla dalla ricerca. In passato, invece, sembrava che la priorità assoluta fosse data alla viabilità, con tutte le sue implicazioni, sacrificando ogni altra necessità. Lo scontro intricato tra profitto economico e rispetto dell’ecosistema richiede comportamenti e atti concertati. Diventa sempre più imperativo rivedere le politiche di sviluppo urbano, abbracciando soluzioni innovative e sostenibili. Dalle infrastrutture verdi alle tecnologie eco-compatibili, il percorso verso città più resilienti è complicato, ma non inaccessibile. L’invito che viene dall’Ispra è, dunque, riconoscere questa sfida collettiva e muoversi in armonia con la Natura, custodendola come un bene indispensabile. (G. P.). Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Ambiente

DOPO 500 ANNI IL CASTORO TORNA IN ITALIA: GLI EFFETTI PER UOMO E AMBIENTE Definite le aree in cui concentrare il futuro monitoraggio delle popolazioni di castoro e le azioni volte a prevenire e limitare i possibili danni dovuti alle attività della specie

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ssente da oltre 500 anni dalla nostra penisola, il castoro europeo ha recentemente iniziato la ricolonizzazione dell’Italia. Benché si tratti di un’ottima notizia in termini di biodiversità ritrovata, si pone la necessità di valutare gli effetti che avranno le nuove popolazioni su uomo e ambiente. Il castoro, infatti, è in grado con le sue attività di modificare il paesaggio e anche di creare danni a infrastrutture e coltivazioni, entrando in conflitto con l’uomo. Fino a pochi anni fa, il castoro europeo (Castor fiber) era totalmente assente dall’Italia: la caccia eccessiva e la distruzione del suo habitat avevano portato all’estinzione tutte le popolazioni presenti sul territorio nazionale. Il suo ritorno, iniziato nel 2018 con la dispersione naturale dall’Austria verso Trentino Alto-Adige e Friuli Venezia-Giulia, è stato anche favorito da reintroduzioni non autorizzate in Italia centrale, in particolare in Toscana, Umbria, Marche. A sostenerlo è un recente studio congiunto dell’Università Statale di Milano e dell’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iret) di Sesto Fiorentino, pubblicato su Animal Conservation.

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Ambiente

Come spiegano gli autori, le iniziative di reintroduzione e di rewilding sono strategie chiave per invertire l’impatto umano sugli ecosistemi e ristabilire i processi naturali. Tuttavia, il rewilding può comportare scenari di gestione complessi, perché molte specie in espansione possono avere un impatto economico e causare conflitti tra uomo e fauna. I conflitti possono essere particolarmente impegnativi quando sono coinvolti carnivori, grandi erbivori e, come nel caso del castoro, ingegneri dell’ecosistema, specie in grado con le loro attività, di modificare notevolmente gli habitat e il paesaggio. Lo studio dei ricercatori italiani nasce quindi con l’obiettivo di fornire utili indicazioni per una gestione appropriata della specie, cercando prima di tutto di definire le vie di colonizzazione più probabili. Gli autori hanno raccolto tutti i dati di presenza disponibili per il castoro in Europa, tramite l’utilizzo di database di distribuzione delle specie (iNaturalist, GBIF) e attraverso ricerche mirate sul campo. «Abbiamo curato le attività di raccolta dei campioni per le analisi genetiche, monitoraggio dei punti di presenza, eventuali analisi necroscopiche e determinazione degli effetti sugli ecosistemi forestali», afferma Emiliano Mori del Cnr-Iret, responsabile del progetto con Andrea Viviano dello stesso istituto. In seguito gli autori hanno testato grazie a modelli di distribuzione della specie, l’idoneità ambientale per il castoro in Europa e valutato quali fossero le aree d’Italia più favorevoli alla diffusione del castoro nel prossimo futuro. La mappa risultante da queste indagini è stata sovrapposta a mappe di coltivazioni arboree e presenza di canali artificiali, per andare a identificare le aree in cui le attività di costruzione di tane e dighe dei castori potrebbero causare conflitti con le attività umane. «Ampie zone d’Italia - spiega Mattia Falaschi, ricercatore dell’Università Statale di Mi64

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I castori rosicchiano e abbattono alberi, scavano e sbarrano corsi d’acqua, trasformando così il proprio habitat.

lano e primo autore dello studio - sono idonee per la stabilizzazione del castoro e, mentre le popolazioni settentrionali sembrano essere più isolate, in Italia centrale abbiamo riscontrato un maggiore potenziale di espansione della specie». «Le zone di potenziale conflitto con l’uomo – prosegue il ricercatore - si trovano principalmente in Toscana, Umbria, Marche e in Trentino Alto-Adige, dove i castori potrebbero avere accesso ad aree con presenza di piantagioni arboree o infrastrutture sensibili alle attività della specie». «I modelli - termina Falaschi - suggeriscono invece aree di potenziale conflitto molto limitate in Friuli Venezia-Giulia». I castori rosicchiano e abbattono alberi, scavano e sbarrano corsi d’acqua, trasformando così il proprio habitat. I ricercatori fanno notare che, se da una parte la presenza del castoro può ridurre il rischio idraulico, mitigando l’intensità degli eventi di piena, la costruzione di dighe e tane può talvolta cambiare il flusso d’acqua causando danneggiamenti a infrastrutture umane come canali artificiali, strade e ponti; in altri casi le attività di foraggiamento e rosicchiamento del castoro possono causare danni alle coltivazioni. Per questi motivi, i ricercatori sostengono che i risultati del loro studio possono aiutare a capire dove concentrare sia il futuro monitoraggio delle popolazioni di castoro sia le azioni volte a prevenire e mitigare i possibili conflitti tra uomo e fauna selvatica. Come suggeriscono gli autori, metodi efficaci ed economici di controllo non letale dei danni possono essere impiegati seguendo l’esempio della Norvegia, limitando cioè l’accesso alle colture da parte dei castori attraverso solide recinzioni nelle aree di potenziale espansione. Infine, un adeguato monitoraggio e la divulgazione di efficaci campagne educative possono favorire l’attuazione delle misure improntate a una coesistenza pacifica tra fauna selvatica e uomo, con effetti positivi sulla biodiversità. (S. B.)


LA VIOLENZA NON TI FARÀ STARE MEGLIO.

LORO SÌ. Gli operatori sanitari e socio-sanitari lavorano tutti i giorni per la tua salute. Aggredirli verbalmente e fisicamente è un reato e un atto di inciviltà che va contro il tuo stesso interesse e quello della collettività.

Campagna contro la violenza verso gli operatori sanitari e socio-sanitari

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Innovazione

SICCITÀ: QUALI RIMEDI PER IL BELPAESE I dissalatori potrebbero rappresentare un’importante soluzione alla crisi idrica italiana di Michelangelo Ottaviano

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n Italia i dissalatori sono sempre stati poco considerati nonostante siano una tecnologia che potrebbe rappresentare una soluzione importante alla crisi idrica della nostra penisola. Anzi, i dissalatori stanno diventando un’opzione fortemente percorribile in vista dell’aridità che incombe sul futuro di tutto il Pianeta: ormai, infatti, la siccità non è più un problema che riguarda i Paesi il cui clima è storicamente arido e secco. Nei luoghi dove la siccità c’è sempre stata i dissalatori hanno sin da subito giocato un ruolo importante per l’approvvigionamento idrico. Attualmente però 66

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

gli impianti di dissalazione in tutto il mondo sono circa 20mila: in Europa è la Spagna il Paese a detenere il maggior numero di impianti (765), i quali sono in grado di produrre circa 2,2 miliardi di mc di acqua al giorno. In Italia gli impianti sono 340, ma la maggior parte sono fermi e tutti di piccole dimensioni, tranne il complesso della raffineria Sarlux (gruppo Saras) di Sarroch, in provincia di Cagliari, che è il più grande del nostro territorio e dell’intero bacino del Mediterraneo. Ad oggi il dissalatore di Sarroch è impiegato esclusivamente per l’alimentazione energetica, ma questi

impianti potrebbero essere messi a servizio della popolazione anche per un uso domestico dell’acqua. L’Italia ricava solo lo 0,1% dei suoi prelievi idrici dalla desalinizzazione, e il momento di grave insufficienza idrica richiederà una crescita di questa percentuale. Il paragone instituito in precedenza con la Spagna nasce dal fatto che la penisola iberica destina all’irrigazione dei campi tra il 50% e il 70% dell’acqua prodotta; in Italia il primo impiego assoluto che si fa dell’acqua è proprio quello agricolo. È quindi intuitivo come migliorare e incentivare l’uso di tali impianti possa rappresentare una soluzione concreta alla questione. È chiaro, inoltre, come l’operazione di maggiore successo e più proficua in assoluto sarebbe quella di generare acqua dolce, che verrebbe utilizzata per qualsiasi altra attività. I grandi limiti di questi strumenti sono sempre stati il fabbisogno energetico e lo smaltimento della salamoia, ma lo sviluppo e il miglioramento di questi dispositivi è in progressiva espansione. L’obiettivo è quindi ridurre ulteriormente il consumo e le emissioni della dissalazione ad osmosi inversa. I dati riportati dal Gruppo Acciona affermano che, già ad oggi, l’energia necessaria per far funzionare un dissalatore moderno è praticamente dimezzata rispetto alle versioni precedenti. Per quel che riguarda i processi di smaltimento delle sostanze di scarto, il risultato che si punta ad ottenere è la conversione totale della salamoia in soluzioni acide e alcaline che abbiano una concentrazione sufficiente per essere reimpiegate in nuovi processi di dissalazione. Dopo quanto disposto dal Decreto Siccità, diversi centri italiani stanno progettando l’installazione di nuovi dissalatori: del resto, la realizzazione di questi impianti è stata inserita anche tra le priorità della Cabina di regia per l’emergenza idrica. A Taranto è stato già avviato l’iter per la realizzazione del più grande dissalatore italiano.


Innovazione

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l tumore al pancreas è ancora oggi per l’uomo tra le neoplasie più letali; una chimera, tremendamente reale, che la medicina contemporanea cerca di combattere. Le proiezioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità prevedono che l’incidenza di questa malattia aumenterà notevolmente nei prossimi 40 anni, e i numeri di chi riesce a superarla non sono ad oggi confortanti. Ma la Scienza, quasi per definizione, è una disciplina che non ammette un pensiero pessimista, tutt’altro; e proprio in questa prospettiva è importante sottolineare come la ricerca stia andando sempre più avanti. Un importante contributo è stato di recente fornito dagli scienziati dell’Ospedale San Raffaele di Milano, i quali hanno compreso e individuato un meccanismo che promuove la crescita del tumore al pancreas. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature, è ancora in fase preclinica, ma i risultati ottenuti sono di particolare importanza: si parla di una nuova possibile strategia che potrebbe fermare l’insorgere del tumore in persone a rischio o potenziare la risposta nei pazienti all’immunoterapia. L’attenzione dei ricercatori si è concentrata sul ruolo particolare di alcune cellule del sistema immunitario innato, i macrofagi, che hanno il compito di proteggere i tessuti e attivare le risposte contro i patogeni. Nei tumori però, i macrofagi possono riprogrammare la loro attività, arrivando perfino a sostenere l’avanzata della neoplasia. Una delle particolarità note del tumore al pancreas è la presenza di una forte componente infiammatoria. Ciò è particolarmente rilevante poiché l’insorgenza di danni ai tessuti e le risposte infiammatorie che ne conseguono (come le pancreatiti) sono noti fattori di rischio per lo sviluppo neoplastico. Nel nuovo studio, i ricercatori sono riusciti finalmente a capire da cosa dipende la capacità dell’infiammazione nel promuovere la crescita tumorale. In particolare, si sono concentrati sull’interazione dei macrofagi, chiamati IL-1β+,

TUMORE AL PANCREAS IL RUOLO DEI MACROFAGI Un team di ricercatori del San Raffaele di Milano ha scoperto uno dei meccanismi che favorisce la crescita della neoplasia

e alcune cellule tumorali caratterizzate da uno specifico profilo infiammatorio e da un’elevata aggressività nell’adenocarcinoma duttale del pancreas (Pdac). Il team è riuscito a individuare un nuovo sottogruppo di macrofagi, chiamati IL1β+ TAM, capaci di stimolare l’aggressività delle cellule tumorali nelle loro vicinanze. Come spiegato nello studio, gli IL-1β+ TAM sono localizzati in piccole nicchie vicino alle cellule tumorali infiammate, ed è proprio la vicinanza fisica tra macrofagi e cellule tumorali che potrebbe sostenere la progressione della malattia. I macrofagi inducono una riprogrammazione infiammatoria e pro-

muovono il rilascio di fattori che, a loro volta, favoriscono lo sviluppo e l’attivazione degli IL-1β+ TAM. I macrofagi rendono le cellule tumorali più aggressive, e le cellule tumorali riprogrammano i macrofagi in grado di favorire l’infiammazione e la progressione della malattia. Questo approccio ha portato a una riduzione dell’infiammazione e a un rallentamento della crescita del tumore del pancreas. Bloccare il meccanismo infiammatorio, quindi, potrebbe essere utile per aumentare l’efficacia delle immunoterapie contro il Pdac, ma anche una strategia di prevenzione nelle persone a rischio. (M. O.). Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Innovazione

LA “TERAPIA FORESTALE” PER CURARE L’ASMA Lo studio, pubblicato su Forests, ha stabilito gli effetti benefici sui bambini asmatici prodotti dai monoterpeni di Pasquale Santilio

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na ricerca condotta dall’Istituto per la bioeconomia del Consiglio nazionale delle ricerche e dal Club alpino italiano, con l’Istituto Pio XII di Misurina e l’Ospedale universitario di Parma e alle Università di Ferrara e Verona, ha stabilito che i monoterpeni, componenti degli oli essenziali emessi dalle piante, possono sortire effetti significativi sulla riduzione dei sintomi dell’ansia, contribuendo al miglioramento delle funzioni respiratorie di bambini e adolescenti affetti da asma e sottoposti alle terapie convenzionali. Lo studio ha individuato 68

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

e isolato, attraverso l’analisi di dati ambientali e clinici raccolti nel corso dell’estate 2022, l’effetto dell’esposizione ai monoterpeni, componenti profumati degli oli essenziali diffusi dalle piante che sono molto presenti nelle foreste, sui parametri respiratori che normalmente si misurano per valutare le terapie tradizionalmente utilizzate contro l’asma. Lo studio è stato pubblicato su Forests. Francesco Meneguzzo, ricercatore del Cnr-Ibe e membro del Comitato scientifico centrale del Cai, ha sottolineato: «I nostri studi dimostrano come gli esiti dei trattamenti dell’a-

sma adolescenziale siano stati condizionati dalla quantità di monoterpeni inalati dai giovani pazienti, nel tempo trascorso nella foresta di conifere che attornia il lago di Misurina (Belluno). Dopo la nostra scoperta sul ruolo terapeutico degli stessi monoterpeni sui sintomi di ansia, oggi abbiamo un quadro molto più chiaro e ampio sulle funzioni curative della foresta, sia per quanto riguarda la sfera psicologica sia per quella fisiologica». Lo svolgimento della ricerca è stato articolato, poiché i ricercatori hanno dovuto incrociare i dati ambientali con quelli clinici raccolti su 42 pazienti. Federica Zabini del Cnr-Ibe, responsabile Cnr del progetto e supervisore della ricerca, ha affermato: «Questa ricerca rappresenta il culmine di anni di lavoro: abbiamo dimostrato che l’aria forestale svolge un ruolo terapeutico ad ampio spettro, e questo offre la definitiva giustificazione scientifica all’adozione delle prescrizioni sanitarie cosiddette verdi. Si pensi che in Germania, Canada, Giappone e Corea del Sud, con molte meno evidenze scientifiche, sono state sviluppate reti di stazioni per la terapia forestale. E proprio in Germania, tra qualche mese, entreranno in funzione le prime stazioni dotate di personale medico e di psicologi». Davide Donelli dell’Università di Parma/Azienda ospedaliero-universitaria di Parma, ha aggiunto: «Abbiamo applicato metodi statistici avanzati, specifici della ricerca clinica, per confermare risultati che hanno stupito e che, oggi, ci permettono di disporre di criteri per individuare e qualificare stazioni di terapia forestale, e ottimizzare le funzioni dei centri di trattamento e riabilitazione dell’asma infantile e adolescenziale». Questi risultati potranno aprire la strada alla costruzione di nuovi centri in alta quota, immersi in foreste ricche di monoterpeni, anche nelle aree appenniniche.


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ra le molte sostanze che hanno cambiato la nostra vita, c’è anche il nitrato d’ammonio, il cui utilizzo in campo agricolo ha permesso di contrastare le carestie consentendo un forte aumento della popolazione mondiale, passata dai 2,5 miliardi del 1950 agli 8 miliardi di oggi. Lidia Armelao, direttrice del Dipartimento scienze chimiche e tecnologie dei materiali del Cnr, ha spiegato: «I circa 50 milioni di tonnellate di nitrato d’ammonio che vengono prodotti ogni anno nel mondo trovano impiego come fertilizzante per l’agricoltura, fornendo alle colture l’azoto di cui tutti i vegetali hanno bisogno per la loro crescita. Sebbene la nostra atmosfera contenga quasi l’80% di azoto, questa forma dell’elemento non è direttamente utilizzabile dalle piante ed è quindi necessario farla passare nel terreno e renderla così disponibile per le colture agricole tramite alcuni batteri azotofissatori, naturalmente presenti nei suoli, oppure aggiungendola artificialmente ai terreni, grazie a fertilizzanti ricchi di azoto». Artefici di questa rivoluzione sono stati tre chimici tedeschi premi Nobel: Fritz Haber, Carl Bosch e Wilhelm Ostwald. Matteo Guidotti dell’Istituto di scienze e tecnologie chimiche “Giulio Natta” del Cnr, ha chiarito: «Haber già nel 1909 aveva brevettato il processo che consente ancora oggi di ottenere ammoniaca gassosa da azoto atmosferico e da idrogeno, che è stato poi perfezionato nel 1913 da Bosch». Lidia Armelao ha aggiunto: «Nel processo, chiamato Haber-Bosch, un catalizzatore a base di ferro rende possibile la combinazione efficace di azoto e idrogeno per produrre ammoniaca, operando ad alte pressioni (150-300 bar) e ad alte temperature, superiori a 400°C. Si realizza così nel reattore chimico la “fissazione” dell’azoto atmosferico, replicando in condizioni industriali quanto i batteri del suolo sono in grado di fare, lentamente

UNA MOLECOLA UTILE ALLA NOSTRA ESISTENZA Il nitrato d’ammonio ha reso coltivabili terreni privi di nutrienti naturali, permettendo di sconfiggere le carestie

ma efficacemente, in condizioni molto più blande. Abbinando la sintesi di Haber-Bosch al processo Ostwald si ottiene, con prestazioni ancora oggi insuperate, l’acido nitrico disponendo dei due precursori necessari per ottenere il nitrato d’ammonio». Il nitrato d’ammonio continua a essere un prodotto fondamentale per l’industria chimica a livello mondiale, rendendo coltivabili numerose aree della Terra che altrimenti non sarebbero tali, essendo prive di nutrienti presenti in modo naturale. Matteo Guidotti ha dichiarato: «La presenza di azoto proveniente dal

processo Haber-Bosch è da oltre un secolo così rilevante in tutta la nostra catena alimentare che un recente studio di chimica agronomica ha stimato che circa l’80% dell’azoto presente oggi nei tessuti di un essere umano derivi dall’azoto atmosferico fissato artificialmente tramite il processo Haber-Bosch. Questo sale trova applicazioni anche come ingrediente di esplosivi per l’industria mineraria, per l’edilizia e per l’ingegneria civile». Sono numerose le ragioni che rendono il nitrato d’ammonio di estrema importanza nella storia dell’umanità dell’ultimo secolo. (P. S.). Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Innovazione

“PETROLIO” DA PLASTICA RECUPERATA IN MARE Un processo per riconvertire la plastica in combustibile. I risultati su ACS Sustainable Chemistry & Engineering

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n team di ricercatori di Enea ha messo a punto un processo che consente di riconvertire oltre il 90% della plastica recuperata in mare e sulle spiagge in nuovo “petrolio” da utilizzare come combustibile o per produrre nuove plastiche, vernici, solventi e numerosi composti organici. Riccardo Tuffi, ricercatore del Laboratorio Enea di Tecnologie per riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali, che ha realizzato la ricerca insieme ai colleghi Lorenzo Cafiero e Doina De Angelis, ha dichiarato: «Abbiamo sottoposto cam70

Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

pioni di plastica raccolta in mare a un particolare trattamento termo-chimico denominato pirolisi che consente di decomporre, a una temperatura al di sopra dei 400°C e in assenza di ossigeno, il materiale plastico di partenza in olio e gas ricchi di idrocarburi potenzialmente sfruttabili per la produzione di nuovi combustibili e prodotti chimici. Per migliorarne ulteriormente la resa e la qualità abbiamo utilizzato un catalizzatore, ricavato a sua volta dalla lavorazione di un materiale di scarto, ovvero, le ceneri prodotte dagli impianti di gassificazione e di combustione del carbone. Si tratta di

un rifiuto industriale la cui produzione mondiale annua ammonta a circa 1 miliardo di tonnellate; è considerato una potenziale causa di inquinamento ambientale mentre il suo utilizzo per la sintesi di catalizzatori potrebbe rappresentare un passo verso la sostenibilità dei processi produttivi». Il campione di plastica che è stato preso in esame ha subito un processo di conversione in idrocarburi di grande valore economico (circa l’87% in olio leggero e l’8% in gas) e i gas prodotti durante il trattamento termo-chimico si sono rivelati più che sufficienti a sostenere il fabbisogno energetico del processo (450°C). Rispetto al trattamento dei rifiuti urbani, la raccolta e il riciclo meccanico della plastica raccolta in mare e sulle spiagge risultano molto più complicati, perché si tratta di materiali eterogenei composti da molti polimeri di forme e dimensioni diverse difficili da individuare e raccogliere. Inoltre, possono contenere una quantità considerevole di sabbia, sale, conchiglie, alghe e in genere subiscono anche differenti processi di degradazione, come quello foto-ossidativo ad opera della radiazione solare. «Tutti questi fattori rendono il riciclo meccanico una sfida ardua mentre la pirolisi catalitica può essere considerata una delle opzioni più valide per il trattamento della plastica marina perché è in grado di gestire grandi quantità di rifiuti altamente eterogenei e non pretrattati», ha sottolineato Riccardo Tuffi. Una recente indagine ha rivelato che nessuna delle oltre 100 piccole e medie imprese che trattano i rifiuti plastici marini in tutto il mondo ha utilizzato la pirolisi. Il ricercatore Enea ha così concluso: «Nel prossimo futuro, invece, piccoli impianti di pirolisi installati nei porti potrebbero addirittura produrre carburante per le imbarcazioni a partire proprio dalla plastica recuperata in mare». (P. S.).


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nea ha sviluppato una tecnologia in grado di intercettare rapidamente le nocciole guaste senza sgusciarle, così da eliminarle prima che vengano immesse nella catena di lavorazione industriale. Il sistema, composto da una sorgente Terahertz a stato solido e da un rivelatore, è capace di misurare il contenuto di acqua nelle nocciole, parametro qualitativo ritenuto molto importante per la conservazione del prodotto dalle aziende che operano nel settore. L’efficienza di questa tecnologia è stata verificata con successo in laboratorio, ma grazie alla sua semplicità, può essere facilmente implementata in un sistema industriale applicabile alla filiera delle nocciole. La tecnologia, inoltre, è stata ulteriormente perfezionata con un sistema di intelligenza artificiale, implementando una rete neurale su un gran numero di campioni. Manuel Greco, che sta svolgendo sull’argomento il dottorato di ricerca nell’ambito di una collaborazione tra Enea e Università di Roma Tre, ha sottolineato: «La coltivazione e la lavorazione delle nocciole è una delle eccellenze del settore agroalimentare italiano, che vede coinvolte nella sua filiera imprese delle più svariate dimensioni, dal piccolo coltivatore alla grande multinazionale. Il settore richiede di trovare metodi sempre più efficienti per identificare i frutti avariati, che immessi in produzione possono rovinare la qualità di interi lotti di nocciole. Al momento, la procedura di selezione può essere automatizzata solo per frutti sgusciati, in caso contrario è disponibile solo tramite analisi visuale non automatizzata». Già utilizzato per applicazioni in campo nucleare e della conservazione dei beni culturali, il sistema sviluppato nei laboratori Enea di Frascati si basa sulle caratteristiche della radiazione THz, che ha frequenze di poco superiori a quelle utilizzate nei comuni forni a microonde.

LE NOCCIOLE GUASTE? NON SI SGUSCIANO PIÙ Sviluppata una tecnologia per individuare le nocciole non utilizzabili prima che entrino nella catena di lavorazione

Emilio Giovenale, ricercatore Enea del Laboratorio Applicazioni dei plasmi ed esperimenti interdisciplinari, ha spiegato: «La radiazione elettromagnetica, a queste frequenze, è in grado di attraversare facilmente i materiali dielettrici, come il guscio della nocciola, e di rilevare la quantità di acqua all’interno del frutto. Misurando la trasparenza alla radiazione THz di una serie di nocciole, è stato possibile verificare che quelle avariate risultavano molto più trasparenti rispetto a quelle sane e questo anche quando da una analisi visiva esterna il frutto appariva perfetta-

mente sano. Questo sistema migliora il riconoscimento e permette di definire meglio la soglia di discriminazione tra campioni sani e avariati, sulla base dei requisiti forniti da chi dovrà poi utilizzare le nocciole». Oltre alle applicazioni per identificare i frutti guasti, la tecnologia sviluppata può essere anche utilizzata al fine di monitorare il ciclo completo di accrescimento del frutto, fino alla maturazione, tramite la misura del contenuto di acqua, ottenendo in tal modo informazioni utili alla sua ottimale conservazione dopo la raccolta. (P. S.). Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Beni culturali

BOLOGNA, COME CURARE LA TORRE GARISENDA CHE RISCHIA DI CROLLARE Il ministero della Cultura scende in campo per metterla in sicurezza. Il basamento malmesso pregiudica la stabilità della struttura: è corsa contro il tempo.

di Rino Dazzo

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Beni culturali

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ologna la Dotta, città dei portici e delle torri. Capace di anticipare di qualche secolo la skyline di Manhattan o delle metropoli della modernità. Al posto dei grattacieli? Le torri, appunto. I grattacieli del Medioevo. Come la Garisenda, una delle torri simbolo del capoluogo emiliano. Un gigante dai piedi d’argilla, purtroppo, pericolosamente instabile, con la sua inclinazione di quattro gradi che la fa sembrare ancor più fragile e incerta, costantemente sul punto di cadere. In realtà la «Tarr Mazza», o la «Garisannda», come la chiamano i bolognesi, è così da secoli. Praticamente da quando fu costruita, intorno al 1109, dalla potente famiglia guelfa dei Garisendi, desiderosa di affermare il proprio prestigio e di mostrare in senso fisico, come altre famiglie bolognesi, l’aspirazione a elevarsi socialmente ed economicamente. Sessanta metri la sua altezza originaria, anche se poi la Garisenda fu accorciata intorno al 1360 con la rimozione di alcune parti sovrastanti e l’abbassamento di dodici metri. Da allora la «Torre Mozza», che vive all’ombra dell’altra famosa Torre degli Asinelli, incombe coi suoi 48 metri sulla piazza sottostante. Dal 2011 sofisticati strumenti satellitari monitorano costantemente i movimenti della Garisenda, documentandone anche i più impercettibili spo-

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Beni culturali

stamenti. E l’allarme è scattato quando, nel 2018, sono emerse anomalie nel basamento, gravemente malmesso. L’anno successivo il Comitato tecnico scientifico allestito da Comune e Università di Bologna ha consegnato una relazione che ha accennato alla possibilità di torsione della torre evidenziando come fossero stati ormai «oltrepassati i limiti di prudenza», mentre nel 2020 un’altra relazione tecnica ha attestato come «i valori di probabilità di collasso sono inaccettabilmente elevati, oltre 10mila volte superiori a quanto tipicamente consentito dalle norme». Oscillazioni anomale, pericolose e inquietanti, a cui hanno provato a porre rimedio alcuni interventi strutturali finanziati dal Comune nel 2022. Adesso, a quanto pare, la situazione si è fatta ancor più preoccupante. Una nuova relazione del Comitato tecnico scientifico, datata 15 novembre 2023, ha definito la situazione «da codice rosso», accennando esplicitamente al rischio crollo. L’area sottostante la Garisenda è stata transennata, col divieto di transito per pedoni, veicoli e mezzi pubblici. Due gli scenari disegnati dagli esperti. Nel primo, la parte principale della torre potrebbe crollare addosso alla chiesa di San Bartolomeo. Nel secondo, la Garisenda potrebbe addirittura finire addosso alla Torre degli Asinelli, la più alta delle torri di Bologna: 98 metri. Insomma, ipotesi angoscianti per la sicurezza pubblica, ma anche per l’elevato valore affettivo che i bolognesi attribuiscono alle due Torri, autentiche icone della città. Che siano necessari lavori di consolidamento e messa in sicurezza è palese, anche se non c’è uniformità di vedute tra gli scienziati sugli interventi da compiere. Il ministero della Cultura, intanto, ha stanziato cinque milioni di euro per contribuire allo scopo. Ne ha dato notizia lo stesso ministro Gennaro Sangiuliano, al termine di un incontro a Roma col 74

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L’area sottostante la Garisenda è stata transennata, col divieto di transito per pedoni, veicoli e mezzi pubblici.

sindaco di Bologna, Matteo Lepore. «Siamo pronti a dare altre risorse, laddove necessario, e collaboreremo con i nostri uffici anche per l’iscrizione al Patrimonio Unesco», ha assicurato il ministro. «Ci sono monumenti simbolo di ciascuna città e le Torri lo sono per Bologna come il Colosseo lo è per Roma, il Duomo per Milano e il Maschio Angioino per Napoli. Sono simboli della nostra storia e della nostra identità che abbiamo il dovere di tutelare». E in effetti è impossibile immaginare Bologna senza la torre della Garisenda e senza neppure quella degli Asinelli, i suoi monumenti più conosciuti e ammirati, anche nel passato. Della Garisenda ha scritto Dante Alighieri prima nelle Rime e poi nella Divina Commedia, paragonandola per la sua pendenza al gigante Anteo colto nell’atto di chinarsi. Giosué Carducci, invece, ha dedicato una poesia in onore «dell’Asinella» e «della Garisenda», «Le due Torri», facente parte del Libro I delle sue Odi Barbare. Un tempo sulla piazza di Porta Ravegnana non affacciavano soltanto le due torri sopravvissute fino a oggi. Tra il 1918 e il 1919 furono abbattute, tra le proteste dei cittadini, la torre Conforti, la Artenisi e la Riccadonna. Ma tutta Bologna era piena zeppa di torri, un centinaio secondo le stime recenti. Oggi ne sopravvivono soltanto 24, tra cui la Torre Azzoguidi, detta «Altabella», o la Prendiparte, detta «Coronata», entrambe alte circa sessanta metri. O ancora le torri Scappi, Uguzzoni e degli Oseletti, alte tra i 30 e i 40 metri. Ma le più celebri sono, appunto, quella degli Asinelli (98 metri) e della Garisenda (48). Una targa fissata alla base di quest’ultima attesta che la Garisenda sembra stia per cadere, ma è soltanto un’illusione ottica. Ora, però, occorre intervenire in modo mirato e soprattutto in tempi stretti, per scongiurare il peggio.


Beni culturali

I

n occasione della Giornata internazionale contro il Traffico illecito di Beni Culturali dell’UNESCO, che si è celebrata il 14 novembre a partire dal 2020, l’Università di Roma La Sapienza ha deciso di organizzare un incontro in occasione del quale sono stati esposti per la prima volta dei reperti etruschi nella mostra “Caere. Storie di dispersione e di recuperi”, allestita presso il Museo e curata da Laura Michetti, direttrice del Museo delle Antichità etrusche e italiche della Sapienza, Claudia Carlucci del Polo Museale Sapienza, Alessandro Conti del Dipartimento di Scienze dell’Antichità e Rossella Zaccagnini della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale. «Il recupero del patrimonio archeologico disperso è frutto di un lavoro di squadra paziente, fatto di ricerche e intuizioni, di ricostruzioni e confronti, che si arricchisce dell’esperienza e contributo di tante professionalità e quando finalmente le tessere del mosaico vanno al loro posto, abbiamo l’orgoglio di restituire alla pubblica fruizione reperti di valore storico assoluto» ha detto Laura Michetti. All’incontro, oltre agli organizzatori della mostra, era presente la rettrice Antonella Polimeni, la quale ha spiegato che «il tema dell’esposizione è quello della dispersione del patrimonio archeologico, causata dagli scavi clandestini che affliggono l’intero territorio nazionale». Oltre a lei c’erano archeologi ed esponenti delle forze dell’ordine e di istituzioni. La rettrice ha sottolineato l’importanza del ruolo del Ministero della Cultura, dei Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio culturale, della Guardia di Finanza, i quali si sono impegnati e tutt’ora si impegnano nella tutela e nel recupero del patrimonio archeologico disperso, combattendo contro gli scavi clandestini svolti soprattutto nell’area del Lazio etrusco. È importante menzionare, tra i vari reperti in mostra, un grande cratere a calice con figure rosse, gemello del

Cratere di Sarpedonte.

CONTRO IL TRAFFICO DEI BENI CULTURALI La Sapienza di Roma ha esposto reperti etruschi recuperati nella mostra “Caere. Storie di dispersione e di recuperi” di Eleonora Caruso “Cratere di Sarpedonte”, opera firmata da Euphronios, importante artista reco del VI secolo a.C. Il Metropolitan Museum of Art di New York, che possedeva l’opera, l’ha restituita affidandola alla Sapienza dalla Soprintendenza Archeologia belle arti e paesaggio per la provincia di Viterbo e per l’Etruria meridionale. Il cratere era stato concesso al museo newyorkese nel 1999, dopo essere stato sottratto alla necropoli di Greppe S. e dopo diversi passaggi di proprietà. Nel 2010 l’opera è rientrata in Italia grazie a una ricostruzione precisa e in seguito a un accordo tra le autorità italiane e americane.

Ci sono poi 4 lastre di terracotta di produzione etrusca come testimonianze di pittura antica. Nell’agosto 2019 il Comando provinciale della Guardia di Finanza di Roma le ha sequestrate prima che queste finissero nel mercato clandestino. Per quanto riguarda il patrimonio archeologico sommerso e costiero dell’Etruria Meridionale, questo è tutelato grazie a ordinanze di interdizione e attraverso controlli condotti sulle navi e nei porti per prevenire il trasporto illegale di Beni Culturali anche all’estero. La mostra rimarrà aperta fino al 28 febbraio 2024. Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Sport Beni culturali

“San Rocco gettato in carcere” del Guercino.

TORNA L’AFFRESCO DI GUERCINO Il “San Rocco gettato in carcere”, dopo il restauro, è stato presentato nell’Oratorio San Rocco a Bologna

N

el 1618 Giovanni Francesco Barbieri, anche detto il Guercino, dipinse il suo primo lavoro pubblico a Bologna, l’affresco “San Rocco gettato in carcere”. Fu eseguito nel momento in cui il pittore frequentava Bologna al servizio del Cardinale Alessandro Ludovisi, che poi sarà Papa Gregorio XV. Guercino partecipò a questa impresa all’interno dell’oratorio di San Rocco per dipingere e rendere onore alla vita del Santo: infatti l’affresco rappresenta il momento in cui San Rocco, arrestato come persona sospetta e condotto a Voghera davanti al governatore, fu get76

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tato in prigione, poichè per adempiere il voto non volle rivelare il suo nome dicendo solo di essere “un servitore di Gesù Cristo”. Qui vi trascorse cinque anni, vivendo il carcere come un “purgatorio” per l’espiazione dei peccati. L’opera si trovava in un edificio di antica costruzione, per questo l’affresco necessitava di un intervento di pulitura per il suo stato di conservazione precario. Dunque subì una precisa operazione di restauro realizzata da un gruppo di studiosi e restauratori del Dipartimento di Beni Culturali dell’Università di Bologna, con la supervisione della Soprintendenza Archeologia, belle arti

e paesaggio per la Città Metropolitana di Bologna. Il parroco di Santa Maria della Carità, don Davide Baraldi, a cui fa capo l’Oratorio che ospita spesso eventi culturali, ha giocato un ruolo chiave nell’iniziativa, dimostrando un profondo impegno verso la conservazione del patrimonio artistico e culturale della città. L’operazione di restauro, durata due mesi e costata circa 20 mila euro, è stata finanziata da una fondazione bancaria oltre che da privati donatori. I risultati ricavati dalle analisi diagnostiche permetteranno di effettuare studi storico-artistici approfonditi e quindi contribuiranno al progetto “Guercino oltre il colore”, avviato dal Laboratorio Diagnostico del Dipartimento di Beni Culturali dell’Alma Mater nel 2017, in collaborazione con Lumiere Technology. «L’opera riveste un’importanza fondamentale nel suo corpus di opere e fa parte di un importante ciclo dedicato alla vita del santo che riveste le pareti dell’Oratorio di San Rocco, la cui realizzazione venne affidata a una squadra di allievi di Ludovico Carracci» ha affermato Barbara Ghelfi, professoressa ordinaria di storia dell’Arte Moderna, la quale si è occupata del restauro insieme a Giulia Iseppi, docente di Storia delle Arti Applicate, Fabio Bevilacqua, docente di Restauro, e Chiara Matteucci, specialista in Diagnostica Artistica e Technical art History. «In questo contesto, l’indagine sul “San Rocco gettato in carcere” ha permesso di raccogliere nuovi dati sulla tecnica giovanile del Guercino, restituendo così alla città un tassello fondamentale della sua storia artistica», ha concluso l’insegnante. L’opera è stata presentata pubblicamente martedì 7 novembre alle ore 17 nell’Oratorio di San Rocco a Bologna, in via Monaldo Calari 4, dalla squadra dell’Alma Mater responsabile di tutte le fasi del lavoro scientifico e tecnico. Dunque il lavoro del pittore ferrarese è tornato finalmente a essere visibile al pubblico. (E. C.)


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Sport

SINNER & FRIENDS È DAVIS 47 ANNI DOPO Gli azzurri hanno firmato un’impresa in semifinale con la Serbia e hanno chiuso i conti in finale con l’Australia di Antonino Palumbo 78

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L’

Italia è la regina della Coppa Davis. Trascinata dal fenomenale Jannik Sinner, la Nazionale di tennis ha vinto il prestigioso trofeo a 47 anni dalla prima e ultima volta volta, battendo in finale per 2-0 l’Australia, dopo aver rimontato ed eliminato in semifinale la Serbia del fuoriclasse Novak Djokovic. Gli unici a imporsi, nell’epica finale in Cile, erano stati infatti Corrado Barazzutti, Adriano Panatta, Paolo Bertolucci e Antonio Zugarelli, nel

Fonte: Fipt

Sport

1976. Un trionfo epico, ricordato anche per la decisione di Panatta e Bertolucci di indossare magliette rosse per quasi tutto il doppio, in contrasto con la dittatura di Pinochet nel Paese sudamericano. Stavolta l’azzurro non è mai sparito, mentre i nomi degli “eroi” sono quelli di Jannik Sinner, Lorenzo Sonego, Matteo Arnaldi, Lorenzo Musetti e Simone Bolelli, gli atleti italiani che si sono avvicendati in campo nel corso della Coppa Davis 2023. A Malaga, per la finale, è arrivato anGiornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Sport

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vero peccato, dopo l’impresa negli Usa in semifinale. Per la finale con l’Australia, capitan Volandri ha scelto come primo singolarista Matteo Arnaldi. Il match con Sergei Popyrin è stato un’autentica altalena di emozioni lunga 147 minuti, con il sanremese a segno nel primo set (7-5) ma eccessivamente falloso nel secondo, andato al tennista di Sydney piuttosto rapidamente (2-6). Nella terza e decisiva partita, i due contendenti hanno tenuto il servizio fino al nono game, con Arnaldi che ha ritrovato colpi e fiducia, annullando diverse palle break all’australiano. Nel decimo game, la svolta: Popyrin è tornato a sbagliare e l’azzurro ha chiuso l’incontro, grazie a un errore del rivale, al primo match point. «Non ho giocato la mia miglior partita, ma non avevo mai affrontato una finale di questo calibro. Sono soddisfatto del risultato» ha commentato Arnaldi a fine match. È toccato poi a Sinner, numero 4 Atp, opposto ad Alex de Minaur, dodicesimo nella classifica mondiale del singolare. Che ha iniziato il match con un atteggiamento comprensibilmente aggressivo, salvo perdere il servizio nel terzo game e poi nel nono: Italia avanti 1-0 anche nel secondo singolare. Sinner ha tenuto il servizio in apertura di secondo set e marcato subito un break nel secondo gioco, spianando un’autostrada a se stesso e all’Italia verso la seconda Coppa Davis della storia azzurra. Malgrado qualche errore non forzato dell’altoatesino, la differenza fra i due giocatori è emersa nitidamente con l’avanzare del match. De Minaur è stato in partita solo nel sesto game, chiuso però in rimonta da Sinner per un netto 6-0 che ha dato la “Davis” all’Italia. «È una gioia per gli italiani che sono venuti fino a qui a Malaga – le parole di Jannik dopo il trionfo - e per tutti quelli che stanno a casa e hanno tifato per noi. È una cosa grande. In questa stagione abbiamo sofferto – ha aggiunto - ma siamo una squadra unita, e ognuno di noi può sorridere di questo successo. Chiudere così la stagione è bellissimo, ci dà molta energia per preparare la prossima». © Leonard Zhukovsky/shutterstock.com

che Matteo Berrettini, attualmente fuori dai giochi per guai fisici. Seconda classificata nel girone con Canada, Cile e Svezia, l’Italia ha debuttato nella fase finale con i Paesi Bassi, giovedì 23 novembre. Non è cominciata bene, per gli azzurri. Protagonista della qualificazione dell’Italia nella fase a gironi, Matteo Arnaldi ha ceduto al terzo set a Botic van de Zandschulp e ha “affidato” le chance di semifinale nelle mani di Jannik Sinner, reduce dalle memorabili prestazioni delle Atp Finals (battuto solo in finale da Novak Djokovic), e di Lorenzo Sonego, doppista designato con il fenomeno altoatesino. Detto, fatto: Sinner ha faticato solo nel primo set con Tallon Griekspoor, vinto al tie-break, poi ha trasformato il secondo in un allenamento. Anche il doppio contro Griekspoor e Wesley Koolhof si è risolto in due partite, vinte da Sinner e Sonego per 6-3, 6-4. Il capolavoro di Sinner e dell’Italia è arrivato in semifinale, con la Serbia di Djokovic, che non perdeva in singolare in Coppa Davis dal 2009. Una statistica che si è fatta preoccupante quando Musetti, dopo aver vinto il primo set con Kecmanovic, è crollato per 6-2, 6-1 nei successivi. L’ennesimo Sinner-Djokovic è diventato l’ultima spiaggia degli azzurri. Impressionante il primo set di Jannik, vinto 6-2, grazie a due break: evento epocale contro Nole. Il serbo, però, numero 1 al mondo da 400 settimane, è tornato a esprimere il suo tennis “feroce” nel secondo parziale, vinto con analogo punteggio. La sliding door della partita sul 4-5 del terzo set, quado Sinner annullato tre match point a Djoovic, per poi strappargli il servizio nell’undicesimo gioco e chiudere i conti sul 7-5. Il resto l’ha fatto la complicità di Sonego e Sinner nel doppio: break nel sesto game e primo set vinto 6-3, poi nel secondo decisivo il settimo gioco, con Jannik da fondocampo e Sonego perfetto a rete. Italia in finale, dunque, a 25 anni dall’ultima volta. Un epilogo maledetto, quello del 1998, per il ritiro del top player azzurro Andrea Gaudenzi nel primo singolare con la Svezia, che si sarebbe poi imposta per 4-1. Un

Jannik Sinner. Il capolavoro di Sinner e dell’Italia è arrivato in semifinale, con la Serbia di Djokovic, che non perdeva in singolare in Coppa Davis dal 2009.


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adono le barriere, anche sulla neve. E anche per gli studenti. A Torino, nel 2025, per la prima volta i Giochi mondiali universitari invernali saranno anche “universali”, perché saranno aperti come mai prima d’ora a tutti i migliori atleti paralimpici, iscritti alle università di ogni paese. Inclusività e sostenibilità sociale, dunque, su nevi e piste del Piemonte per la rassegna che si terrà dal 13 al 23 gennaio 2025. La decisione è stata deliberata dal Consiglio direttivo del Comitato organizzatore dei Giochi, per il quale l’annuncio mondiale arrivato nelle scorse settimane rappresenta l’ulteriore conferma della vocazione del Piemonte come Land of Sport. A dare la comunicazione ufficiale è stato il presidente del Comitato organizzatore di Torino 2025, Alessandro Ciro Sciretti: «Torino 2025 sarà l’Universiade di tutti e per tutti – le sue parole - aperta per la prima volta agli atleti paralimpici, che potranno competere nelle discipline sportive della neve insieme agli atleti normodotati. A Torino, dunque, un’altra prima volta dopo l’invenzione delle Universiadi nel 1959, sulla spinta dell’intenzione del nostro territorio di innovare nell’insegna della sostenibilità sociale». La scelta degli organizzatori di Torino 2025 è in sintonia con le linee guida del Dipartimento per lo Sport della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che promuove sostenibilità e innovazione per favorire la socializzazione e l’inclusione. E amplifica quanto messo in campo a Federcusi, la Federazione dello Sport Universitario Italiano, che promuove azioni concrete di inclusione sociale, attraverso la pratica di attività motoria e sportiva a livello nazionale e territoriale. La proposta di rendere “universali” le Universiadi era gi stata avanzata dalla Fisu (Federazione italiana sport universitari) già in fase di candidatura

Fonte: wugtorino2025.com

Sport

L’UNIVERSIADE 2025 SARÀ PER TUTTI A Torino, per la prima volta, gli atleti paralimpici gareggeranno sulle stesse piste dei normodotati

per l’attribuzione dei Giochi mondiali universitari invernali: «Ci abbiamo lavorato negli ultimi due anni con il Comitato organizzatore e con la Fis – ha confermato il direttore dei Giochi invernali della Fisu, Milan Augustin - perché questo progetto è da tempo inserito nella strategia globale a lungo termine della Fisu per il 2027, per cui sono molto felice di questa novità. Questa è una giornata storica per tutto il movimento dello sport universitario che, ancora una volta da Torino dove tutto è nato grazie a Primo Nebiolo, aggiunge un’altra opportunità importante». La nuova pagina verrà

inaugurata dai para-atleti con disabilità visive e delle categorie Sitting e Standing nello sci alpino e nello sci di fondo, ma si spera di ampliare il discorso in termini di discipline e di numeri nel corso delle future edizioni. Testimonial dell’iniziativa è il campione paralimpico Alessandro Daldoss, sciatore ipovedente e vincitore della Coppa del Mondo 2013/2014 nella categoria Visually Impaired: «Feci solo da apripista con la mia guida all’Universiade di Trentino 2013, mentre ora gli atleti disabili potranno proprio gareggiare sulle stesse piste dei colleghi normodotati». (A. P.) Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Sport

NON SOLO AZZURRI: AGLI EUROPEI DI CALCIO GIÀ QUALIFICATI 5 CT ITALIANI A far compagnia al commissario tecnico della Nazionale, Luciano Spalletti, ci sono Rossi (Ungheria), Calzona (Slovacchia), Tedesco (Belgio) e Montella (Turchia)

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he Campionati europei sarebbero stati, quelli del 2024 in Germania, senza la nazionale italiana campione in carica? Tristi, probabilmente, per i tanti appassionati di “pallone” - donne e uomini - del nostro Paese dove le sconfitte calcistiche generano emozioni incredibilmente forti, come ricorda una celebre frase attribuita a Winston Churchill. Alla fine, con qualche palpitazione di troppo e un inatteso cambio d’allenatore la scorsa estate - da Roberto Mancini, volato in Arabia Saudita, allo scudettato Luciano Spalletti -, gli Azzurri sono riusciti ad acciuffare il “pass” per la Germania nella partita decisiva con l’Ucraina, disputata proprio in Germania (a Leverkusen) a causa del conflitto nell’ex Repubblica Sovietica. Donnarumma e compagni non saranno però gli unici italiani a disputare gli Europei, così come Spalletti non sarà l’unico allenatore italiano della manifestazione. Sono infatti cinque i commissari tecnici del nostro Paese ad aver centrato l’obiettivo e che, verosimilmente, saranno in panchina per il Fußball-Europameisterschaft 2024. Si tratta di Marco Rossi (Ungheria), Francesco Calzona (Slovacchia), Domenico Tedesco (Belgio) e Vincenzo Montella (Turchia), oltre al ct azzurro. L’Italia vanta dunque cinque allenatori su 21 squadre già qualificate e 24 totali ammesse alla manifestazione. Salvo sorprese, l’Italia delle panchine batterà il record detenuto dai Paesi Bassi e risalente al 2008, dove furono presenti

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tre commissari tecnici olandesi: Marco Van Basten con l’Olanda, Guus Hiddink con la Russia e Leo Beenhakker con la Polonia. Da calciatore, Marco Rossi ha festeggiato una Coppa Italia Primavera e un Torneo di Viareggio con la maglia del Torino e poi, da grande, una promozione in A col Brescia e una Coppa Italia con la Sampdoria. Prima di chiudere la carriera, ha militato nell’América in Messico e nell’Eintracht Francoforte in Germania. La sua carriera da allenatore è iniziata a Lumezzane, nel 2003, e dopo alcune stagioni nelle serie minori ha vissuto una svolta con la chiamata dell’Honvéd di Budapest, nove anni dopo. Alla guida della nazionale ungherese è arrivato nel 2018. In tre anni, ha portato i magari dalla Lega C a un passo dalla finale di Lega A in Nations League, oltre a disputare Euro 2020 (due anni fa) e cogliere prestigiosi successi esterni con Germania e Inghilterra. Francesco Calzona, 55 anni, calabrese di nascita ma toscano d’adozione, non ha saputo dir di no al suo ex allievo Marek Hamsik, quando l’ex napoletano gli ha telefonato dalla Slovacchia. A lungo vice-allenatore di big come Maurizio Sarri, Eusebio Di Francesco e Luciano Spalletti, Calzona ha portato il credo calcistico dell’attuale ct azzurro (per il quale nutre una profonda stima) in Slovacchia. Era chiamato a portare ordine, disciplina e gioco. Dopo un anno ha qualificato la Slovacchia all’Europeo, partendo dalla quinta fascia, precedendo il sor-


© Marco Iacobucci Epp/shutterstock.com

Salute

prendente Lussemburgo, l’Islanda e la Bosnia ed Erzegovina. Gli uomini di Calzona sono stati gli unici a far gol, per due volte, al Portogallo, con Hancko e Lobotka nella sfida giocata allo Stadio do Dragão di Porto. Cresciuto a Aichwald in Germania, ma italiano di nascita e di sangue, è un altro allenatore d’origine calabrese: Domenico Tedesco. Partito dalle giovanili dell’Aichwald, si è trasferito per sette anni a Stoccarda e altri due all’Hoffenheim, prima di iniziare ad allenare i “grandi”. E’ arrivato secondo nella Bundesliga tedesca con lo Schalke 04 e poi nella Prem’er-Liga russa con lo Spartak Mosca, prima di andare al RB Lipsia e vincere la Coppa di Germania, battendo in finale il Friburgo. L’8 febbraio scorso ha assunto il ruolo di ct del Belgio, guidandolo alla vittoria del girone di qualificazione agli Europei grazie al 3-2 esterno sull’Austria a Vienna e battendo in amichevole la Germania, a Colonia. Da calciatore, Vincenzo Montella è stato un attaccante da record: fra gli altri, i 4 gol alla Lazio nel derby romano del 10 marzo 2002. Già campione d’Italia con la Roma e vicecampione

Luciano Spalletti, ct dell’Italia.

Salvo sorprese, l’Italia delle panchine batterà il record detenuto dai Paesi Bassi e risalente al 2008, dove furono presenti tre commissari tecnici olandesi: Marco Van Basten con l’Olanda, Guus Hiddink con la Russia e Leo Beenhakker con la Polonia.

© Fabrizio Andrea Bertani/shutterstock.com

Vincenzo Montella, ct della Turchia.

d’Europa con l’Italia, ha allenato i giallorossi nella Serie A 2010/2011 assistito da Aurelio Andreazzoli perché all’epoca ancora senza patentino. E’ poi passato sulle panchine di Catania, Fiorentina (due volte), Milan, Siviglia e Adana Demirspor. Alla guida del Siviglia, ha eliminato il Manchester United di Mourinho dalla Champions League 2017-2018. Il 21 settembre scorso è diventato il ct della nazionale turca, qualificandola a Euro 2024 con due turni d’anticipo grazie all’1-0 in Croazia e al 4-0 sulla Lettonia. Come Rossi con l’Ungheria e Tedesco col Belgio, di recente ha battuto in trasferta la Germania (3-2), impresa mai facile nonostante il momento non esaltante della nazionale tedesca. E Spalletti? Lo conosciamo un po’ di più, gli auguriamo ancor di più, dopo il capolavoro-scudetto con il Napoli. Intanto, dopo un esordio difficile (1-1 in Macedonia del Nord) sembra aver ridato carattere e compattezza all’Italia, oltre che idee di gioco. C’è un Europeo da difendere e poi un Mondiale da riconquistare, a livello di qualificazione. Manchiamo dal 2010: troppo. (A. P.) Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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Sport Fonte: FederVolley

Sport

Julio Velasco.

VOLLEY, VELASCO ALLA GUIDA DELLE AZZURRE Il coach dei denomeni negli anni Novanta torna al timone della Nazionale femminile, per conquistare Parigi 2024

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Velasco sia. Alla fine il guru argentino della pallavolo, il prometeo della ‘Generazione di fenomeni’ degli anni Novanta, ha inaugurato il nuovo corso della Nazionale femminile di pallavolo. Preceduta dalla comunicazione dell’Uyba Busto Arsizio, dove Julio Velasco allenava, la presentazione del nuovo commissario tecnico è stata un manifesto del suo modo di intendere e vivere la pallavolo. «Come quando accettai l’incarico al maschile anche adesso metto la stessa regola: disponibilità incondizionata delle atlete. Nella massima considerazione delle 84

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necessità di una giovane» ha detto Velasco. Per il 71enne tecnico de La Plata, che succede a Davide Mazzanti, si tratta di un ritorno: aveva infatti allenato la Nazionale femminile azzurra già tra il 1997 e il 1998. Si è rimesso in gioco con un obiettivo: una medaglia a Parigi 2024, da inseguire con serenità e senza alzare troppo le aspettative. Nella presentazione ufficiale al Centro federale Pavesi di Milano, Velasco ha confessato la sua emozione: «Questa è una squadra che ha già fatto grandissimi risultati e sento una grande responsabilità e quindi sono molto contento di accettarla. Anche

perché non vedo modo migliore di affrontare la vecchiaia che accettare certe sfide» ha dichiarato, ribadendo la sua abilità comunicativa. Fino allo scorso agosto al timone delle nazionali giovanili maschili, con grandi risultati ottenuti negli ultimi anni, Velasco ha anche annunciato parte dello staff che lavorerà per lui, ufficialmente dal 1° gennaio. Assistenti allenatori saranno Massimo Barbolini e Lorenzo Bernardi, il preparatore fisico Pietro Muneratti, i fisioterapisti Maira Di Vagno e Francesco Bettalico, lo scoutman Massimiliano Taglioli e il team manager Marcello Capucchio. Le azzurre hanno mancato la qualificazione a Parigi 2024 nel torneo preolimpico di settembre in Polonia e, per andare ai Giochi, dovranno difendere la loro posizione nel ranking mondiale. Velasco si è detto fiducios in tal senso. «Dobbiamo superare i problemi, le aspettative, le emozioni e tutto quello che troveremo a Parigi il prossimo anno – ha detto al Centro Pavesi - perché sono sicuro che la nazionale femminile disputerà i Giochi Olimpici 2024. Il sogno di tutti è questo». Il nuovo ct ha già tracciato il percorso di avvicinamento, che ha comprensibili variabili: «Man mano che termineranno il loro impegni con i club dopo una settimana di riposo le atlete inizieranno ad allenarsi con la Nazionale. Abbiamo solo il punto interrogativo sulla finale di Champions League, dipende chi ci arriverà. Quello potrebbe essere rappresentare un problema, soprattutto in ottica della Volleyball Nations League, manifestazione che dovremo affrontare nel migliore dei modi». Sulla convivenza fra Paola Egonu e Kate Antropova, Velasco è stato chiaro: «Avere due opposte come Egonu e Antropova è la cosa migliore. Sono fortissime, ma non giocheranno assieme. Anche se potrei sempre cambiare idea». Ma la priorità è un’altra: «Sarà importante trovare giocatrici che ricevono bene». (A. P.)


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Libri

UNO STORIA VERA DI SENSIBILIZZAZIONE ATTRAVERSO LA MALATTIA “Se il mio mal di pancia non fosse stato sottovalutato, se la mia cattiva digestione non fosse stata trascurata...”, Luisanda Dell’Aria racconta il suo incontro con il tumore all’ovaio di Anna Lavinia

Luisanda Dell’Aria “Abbi cura di te” Scaricabile gratuitamente sul sito internet https://luisanda-dellaria.weebly.com

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er quasi un anno ho curato una gastrite. Era cancro all’ovaio. Stramaledetta realtà”. Questa è la storia, disgraziatamente vera, accaduta a Luisanda Dell’Aria che, con un forte senso di attenzione per l’altro (sarebbe meglio dire l’altra) condivide con il mondo, in una lettera aperta a tutte le donne. Perché questo non ricapiti più, affinché questa non sia la storia di nessun’altra. Quando la vita ti colpisce così forte da toglierti il fiato, puoi reagire in diversi modi e fare molte cose. La prima è incassare il colpo come un pugile esperto ma insieme puoi farne un’altra: andare avanti. La strada che ti si apre sotto i piedi ti porta, inevitabilmente, verso un baratro ma anche ad una nuova consapevolezza. È senza dubbio la via più impervia, la strada è ardua ed in continua salita ma è quella necessaria da percorrere senza esitazione. Non si può tornare indietro, non si può cercare un percorso alternativo, non si può rifiutare. Questa via talvolta regala anche qualcosa di positivo: la sofferenza può trasformarsi in esperienza per gli altri. Dalla rabbia alla spe-

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ranza passando per la paura, condividere la realtà con le altre donne con coraggio per non abbattersi e non guardarsi indietro ma vivere pienamente nel presente. Dietro queste parole di vita vissuta, l’obiettivo dell’autrice è rendere le altre donne consapevoli dei sintomi del cancro all’ovaio in modo da riconoscerlo se dovessero mai incappare in lui. “Se il mio mal di pancia non fosse stato sottovalutato, se la mia cattiva digestione non fosse stata trascurata, se i miei dolori che andavano e venivano non fossero stati scambiati per quel che non erano... se, se, se... troppi se, veramente troppi, è tempo che abbiano un senso, un abito concreto che li trasformi da fantasmi a sintomi da non trascurare.” Pagina dopo pagina, la protagonista racconta le numerose difficoltà affrontate prima di arrivare alla diagnosi corretta e la grande condanna del non sapere nonostante le numerose informazioni, ad esempio quelle trovate sul web ma solo successivamente. Infatti, online ci sono molti siti dedicati (approfondimenti, video, forum, community di pazienti) eppure l’informazione corretta, quella che doveva arri-


Libri

Sandro Campani “Alzarsi presto” Einaudi, 2023 – 16 euro Nell’andare a funghi qualcosa succede sempre. Anche trovare un libro come questo che somiglia ad una fresca camminata nel bosco lungo gli appennini reggiani e modenesi. Sottoterra, nella vita silenziosa della natura, ci sono tesori preziosissimi che Piero e Sandro (due fratelli molto diversi) scoveranno insieme al loro legame. (A. L)

Giulio Pompilio “Il cuore ha sempre ragione” Marsilio, 2023 – 16 euro

vare, non ha fatto l’ultimo passo giusto: non ha raggiunto la donna che si è ammalata di cancro. Si è fermata da qualche parte, fuori dalla porta del suo medico curante o della sua ginecologa. Nonostante il carcinoma ovarico sia tra le neoplasie ginecologiche più aggressive è un tumore difficile da diagnosticare ma non completamente silente. Potrebbe allora essere d’aiuto riferire quali sono i sintomi a cui prestare attenzione, così come vengono sottolineati più volte in questa preziosa autobiografia. Dolore pelvico/addominale, difficoltà digestive, senso di gonfiore, urgenza e frequenza di urinare, difficoltà a mangiare/sentirsi sazi. Quando si manifestano, ripetuti nel tempo, sono veri e propri campanelli d’allarme. È molto difficile scrivere di cancro e allo stesso modo, non è facile leggerne ma l’informazione non deve far paura perché la prevenzione è l’unico strumento vero che mette nelle condizioni di agire subito ed in tempo. La potente voce di questo manoscritto donato a tutti è la necessità dell’autrice di fare rete, dare informazioni utili sul tumore all’ovaio. La forza della testimonianza può realmente salvare la vita.

Nell’età dell’oro della cardiologia, il direttore scientifico del Monzino nonché uno dei cardiochirurghi a capo di uno dei laboratori di medicina rigenerativa scientificamente più produttivi d’Europa, spiega come prendersi cura del cuore. Tecnologia, medicina rigenerativa, come sta cambiando il modo di tenere vivo il nostro battito? (A. L)

Roberta Scorranese “A questo serve il corpo” Bompiani, 2023 – 19 euro Quell’insieme di cellule specializzate che costituisce il corpo umano non è altro che l’involucro della nostra intimità più vera. Attraverso il corpo delle tante donne dipinte nella storia dell’arte, una potente riflessione sulle conseguenze dello sguardo degli altri. Ed è a questo che serve il corpo: a specchiarsi, a ribellarsi. (A. L)

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Concorsi

CONCORSI PUBBLICI PER BIOLOGI UNIVERSITÀ DI CATANIA Scadenza, 3 dicembre 2023 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore a tempo determinato, settore concorsuale 05/C1 - Ecologia, per il Dipartimento di scienze biologiche, geologiche e ambientali. Gazzetta Ufficiale n. 84 del 03-11-2023. AZIENDA SANITARIA LOCALE ROMA 4 DI CIVITAVECCHIA Scadenza, 3 dicembre 2023 Conferimento dell’incarico quinquennale di dirigente medico/biologo/chimico, responsabile della unità operativa complessa Laboratorio analisi per il Polo ospedaliero. Gazzetta Ufficiale n. 84 del 03-11-2023. UNIVERSITÀ “LA SAPIENZA” DI ROMA Scadenza, 14 dicembre 2023 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di prima fascia, settore concorsuale 05/A1, per il Dipartimento di biologia ambientale. Gazzetta Ufficiale n. 87 del 14-11-2023. AZIENDA SANITARIA REGIONALE MOLISE DI CAMPOBASSO Scadenza, 17 dicembre 2023 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo, disciplina di patologia clinica/ biochimica clinica, a tempo indeterminato. Gazzetta Ufficiale n. 88 del 17-11-2023. UNIVERSITÀ DI BRESCIA Scadenza, 17 dicembre 2023 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di prima fascia, settore concorsuale 06/A3 - Microbiologia e microbiologia clinica, per il Dipartimento di me-

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dicina molecolare e traslazionale. Gazzetta Ufficiale n. 88 del 17-11-2023. UNIVERSITÀ DI PERUGIA Scadenza, 21 dicembre 2023 Procedura di selezione per la chiamata di un professore di prima fascia, settore concorsuale 05/F1 - Biologia applicata, per il Dipartimento di medicina e chirurgia. Gazzetta Ufficiale n. 89 del 21-112023. UNIVERSITÀ SAINT CAMILLUS INTERNATIONAL UNIVERSITY OF HEALTH SCIENCES DI ROMA Scadenza, 21 dicembre 2023 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore, a tempo determinato, settore concorsuale 05/F1 - Biologia applicata, per la Facoltà dipartimentale di medicina, in lingua inglese. Gazzetta Ufficiale n. 89 del 21-11-2023. UNIVERSITÀ DI VERONA Scadenza, 21 dicembre 2023 Procedura di selezione per la copertura di un posto di ricercatore, a tempo determinato in tenure track, settore concorsuale 05/ E2 - Biologia molecolare, per il Dipartimento di biotecnologie. Gazzetta Ufficiale n. 89 del 21-11-2023. AZIENDA OSPEDALIERA OSPEDALI RIUNITI VILLA SOFIA - CERVELLO DI PALERMO Scadenza, 24 dicembre 2023 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di due posti di dirigente biologo per le procedure della procreazione medicalmente assistita, a tempo indeterminato e pieno. Gazzetta Ufficiale n. 90 del 24-11-2023.

AZIENDA SANITARIA LOCALE “NO” – NOVARA Scadenza, 24 dicembre 2023 Concorso pubblico, per titoli ed esami, per la copertura di un posto di dirigente biologo, disciplina di statistica sanitaria ovvero igiene degli alimenti e della nutrizione, a tempo indeterminato, per la S.C. SISP. Gazzetta Ufficiale n. 90 del 24-11-2023. AZIENDA SOCIO-SANITARIA TERRITORIALE DEL GARDA DI DESENZANO DEL GARDA Scadenza, 24 dicembre 2023 Procedura di stabilizzazione del personale precario della dirigenza sanitaria per la copertura di due posti di dirigente biologo per varie discipline. Gazzetta Ufficiale n. 90 del 24-11-2023. CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE – ISTITUTO DI RICERCA GENETICA E BIOMEDICA DEL CNR DI MILANO Scadenza, 4 dicembre 2023 Selezione pubblica, per titoli e colloquio, per il conferimento di n.1 assegno C) “Assegni Senior” per lo svolgimento di attività di ricerca inerenti l’Area Scientifica: “Scienze biomediche, Scienze bio-agroalimentari (AG)” da svolgersi presso l’Istituto di Ricerca Genetica e Biomedica del CNR, sede secondaria di Milano presso l’Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI) nell’ambito del programma di ricerca “Progetto NUTRAGE_FOE 2021”, per la seguente tematica: “Identificazioni e validazione di biomarcatori attraverso la definizione di meccanismi molecolari e cellulari dell’invecchiamento”. Per informazioni, www. cnr.it, sezione “concorsi”.


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REPLAYING LIFE’S TAPE LE CONTINGENZE STORICHE NELLE DINAMICHE EVOLUTIVE Gli esperimenti di replicazione dei processi evolutivi su scala ridotta per verificare l’eventuale presenza di pattern convergenti o l’insorgenza di percorsi evolutivi unici e peculiari

di Simone Ciaralli*

Q

uanto del mondo vivente che ci circonda è il risultato di peculiari contingenze storiche e quanto, invece, ci si presenta sotto una forma e non potrebbe essere altrimenti? Il dibattito sul ruolo del caso nel determinare l’aspetto del mondo affonda le sue radici nella filosofia classica. La natura stessa dei concetti di evento casuale e casualità è al centro di profonde controversie. Dal punto di vista biologico, il dibattito verte sul ruolo di fattori deterministici e contingenze storiche nel processo evolutivo. Uno dei principali contributori a tale controversia fu Stephen J. Gould, che nel suo saggio più famoso, “La vita meravigliosa”, sottolinea il ruolo delle contingenze storiche nelle dinamiche evolutive. Il paleontologo americano sostiene che un ipotetico esperimento volto a ripercorrere l’evoluzione della vita sulla Terra a partire dalle origini condurrebbe a risultati del tutto differenti [1]. Determinismo e contingenze storiche Prima di addentrarsi nel dibattito, occorre puntualizzare cosa si intende per processi deterministici, e ciò a cui si fa riferimento quando si parla di contingenze storiche, almeno in un contesto biologico. Fornire una definizione esaustiva di tali concetti richiederebbe una discussione approfondita che va oltre gli scopi di questa trattazione. Pertanto, mi limiterò a proporre una sintesi generale di come questi concetti siano stati interpretati nella biologia evoluzionistica. Un processo è deterministico quando associa una causa a uno specifico PhD student in Evoluzione del Comportamento Animale e collaboratore di BioPills: il vostro portale scientifico.

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effetto, che deve necessariamente realizzarsi a partire da tale causa. In altre parole, in un sistema deterministico è sempre possibile prevedere le condizioni finali sulla base di condizioni iniziali note [2]. In biologia evolutiva, il determinismo è associato ai concetti di ripetibilità e convergenza [3]. Quest’ultima è definita come la presenza di caratteristiche condivise da più specie o taxa, in virtù di un processo evolutivo in ambienti simili. Più in dettaglio, è possibile distinguere esempi di evoluzione parallela (output simili che scaturiscono da condizioni di partenza simili) e evoluzione convergente in senso stretto (output simili che scaturiscono invece da condizioni di partenza differenti) [4]. Le contingenze storiche, al contrario, introducono una componente di imprevedibilità, che rende impossibile determinare lo stadio finale di un sistema a partire da condizioni iniziali note [4]. In biologia evolutiva, il concetto è utilizzato per indicare eventi passati che impongono vincoli al processo evolutivo successivo, limitandone le possibilità in modo non prevedibile a priori [5]. Se il determinismo si traduce in risposte osservabili (come le convergenze evolutive, appunto), eventi contingenti causeranno invece l’insorgere di elementi unici, di idiosincrasie. Si tratta di processi evolutivi peculiari e non prevedibili, che divergono da altri pur in virtù di condizioni di partenza simili [3]. Per scendere più nel dettaglio nell’applicazione di tali concetti al contesto biologico, è necessario relazionarli agli attori principali delle dinamiche evolutive. La selezione naturale è un processo deterministico nella sua essenza. Essa causa infatti la diffusione all’interno di una popolazione di caratteristiche che massimizzano la fitness in relazione a un determinato ambiente. Tale componente meccanicistica agisce però su una


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Fig. 1. Design di studio per indagare il ruolo delle contingenze storiche in contesti di laboratorio. (A) Evoluzione parallela di popolazioni derivanti da cloni identici, poste nelle stesse condizioni ambientali. (B) Integrazione al design sperimentale A, in cui vengono prelevate popolazioni in specifici istanti della loro storia per replicarne il processo evolutivo in ambienti identici e verificare se esso vari. (C) Popolazioni identiche crescono nelle medesime condizioni ambientali durante la fase 1, per essere poi collocate in un nuovo ambiente per la fase 2, nella quale si verifica l’eventuale insorgere di convergenze. (D) Variante in cui la prima fase è condotta in ambienti multipli e la seconda in un contesto ambientale comune, per indagare il ruolo di fattori storici. (E) Variante in cui si prelevano popolazioni da ambienti naturali e le si collocano in un medesimo ambiente in condizioni di laboratorio. Immagine da Blount et al. (2018) [4]

variabilità di partenza, data da mutazioni casuali non prevedibili, e in relazione a un ambiente, le cui variazioni non sono strettamente determinabili a priori [4]. Inoltre, la relazione genotipo-fenotipo-ambiente, alla base del concetto di fitness, è tutt’altro che lineare. Fenomeni come la plasticità fenotipica causano infatti interazioni complesse tra genotipo e fenotipo, in relazione a condizioni ambientali mutevoli. A tutto ciò si somma la natura stessa del processo di selezione, che produce adattamenti, ma non si traduce necessariamente in forme ottimizzate, essendo limitata dalla variabilità di partenza. In ultimo, la selezione può favorire forme alternative, strategie differenti per far fronte a problematiche simili [3]. Alla luce di ciò, è evidente che il nucleo deterministico del processo di selezione interagisce fortemente con altri fattori che espongono il processo evolutivo a una consistente influenza da parte di eventi contingenti. Ed è proprio su queste dinamiche che si basa il dibattito tra l’Evolutionary Contingency Thesis (ECT) e la Robust View of Life (RVL). La prima si concentra sul ruolo di fattori contingenti nel determinare le risposte evolutive, mentre la seconda sottolinea la presenza di forme che compaiono ripetutamente anche in scenari evolutivi differenti, come risultato di convergenze [3].

Replaying lifes’s tape L’unico modo per risolvere il dibattito a favore di una delle due visioni, o meglio di appurare l’influenza relativa di componenti deterministiche e contingenze storiche sulle dinamiche evolutive, è replicare la storia della vita sulla Terra. Un esperimento di questo tipo, il Replayng life’s tape proposto da Gould [1], è chiaramente speculativo, ma esistono studi che hanno implementato metodologie per replicare i processi evolutivi su scala ridotta [4]. L’obiettivo finale è verificare l’eventuale presenza di pattern convergenti (predetti dalla RVL) o l’insorgenza di percorsi evolutivi unici e peculiari (in linea con l’ECT) [3]. Le metodologie più utilizzate per i cosiddetti replay experiments sono [4]: • utilizzo di software appositamente programmati per simulare le dinamiche evolutive di ipotetiche popolazioni biologiche, con un controllo completo sui parametri che determinano le mutazioni e la fitness individuale; • esperimenti in laboratorio con organismi modello, di cui possono essere seguiti i processi evolutivi; • studi in natura a lungo termine, con focus sulle dinamiche evolutive di intere popolazioni nel tempo; • analisi comparative di taxa che condividono percorsi Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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evolutivi in ambienti simili. Considerate le difficoltà nel seguire dettagliatamente i processi evolutivi di popolazioni in natura, e le criticità associate alle analisi comparative (in particolare nel determinare l’effetto di singoli fattori), i risultati più robusti ci giungono da studi in laboratorio su organismi modello. Tali studi garantiscono un maggior controllo sulle condizioni ambientali durante il percorso evolutivo e sulle dinamiche delle popolazioni oggetto di studio, costantemente monitorate. Gli studi di laboratorio sono riconducibili a tre design differenti, che condividono l’obiettivo di rilevare convergenze o divergenze evolutive. I parallel replay experiment (Fig. 1A) seguono l’evoluzione di una serie di popolazioni identiche in partenza, sottoposte alle stesse condizioni ambientali. Gli analytic replay experiments (Fig. 1B) derivano dai primi, ma consistono nel prelevare individui in differenti istanti del processo evolutivo di una data popolazione. Gli individui vengono poi ricollocati in ambienti identici e si monitora la loro evoluzione, per verificare se seguirà nuovamente lo stesso percorso definito dalla popolazione di riferimento da cui sono stati prelevati, oppure se andrà incontro a divergenze. Tale processo è utilizzato per indagare il peso delle contingenze storiche, appurando se popolazioni prelevate in stadi intermedi di un processo evolutivo noto, riseguiranno lo stesso processo in condizioni ambientali identiche. In ultimo, gli historical difference experiments (Fig. 1C, D, E) sono divisi in due fasi, nei quali le popolazioni si trovano in condizioni ambientali differenti. Tipicamente consistono nel seguire l’evoluzione di popolazioni poste in un medesimo ambiente e poi ricollocate in un altro ambiente, differente dal primo. Alcune varianti prevedono anche una prima fase con popolazioni poste in due (o più) condizioni ambientali differenti, che vengono poi ricollocate in un ambiente comune. In tal modo è possibile rilevare l’effetto delle condizioni ambientali nella prima fase (contingenze storiche) nel determinare i pattern evolutivi osservati nella seconda [4]. Uno degli esempi più interessanti di parallel replay experiments è il Long-Term Evolution Experiment with Escherichia coli (LTEE), che monitora i percorsi evolutivi di 12 popolazioni di E. coli, inizialmente identiche, fondate nel 1988. Dopo più di 65 000 generazioni, le popolazioni, collocate in condizioni ambientali stabili, sembrano seguire percorsi evolutivi paralleli. Tale risultato è dunque in linea con la RVL e mostra una comparabilità dei percorsi evolutivi, a fronte della presenza di mutazioni casuali. Tuttavia, una delle 12 popolazioni sembra aver intrapreso un percorso evolutivo divergente, grazie a una mutazione che ha permesso la selezione della crescita aerobica su citrato. L’acquisizione di tale capacità ha modificato il percorso evolutivo della popolazione, portandola a divergere dalle altre sotto molteplici caratteristiche. Tale percorso potrebbe essere il risultato di particolari contingenze storiche sperimentate dalla specifica popolazione [4]. Il dibattito rimane dunque particolarmente acceso, e non 92

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mancano ulteriori evidenze contrastanti. Esperimenti simili al LTEE sembrano supportare la presenza di pattern evolutivi paralleli o convergenti piuttosto comuni, sostenendo la visione per cui la componente deterministica abbia un ruolo consistente nelle dinamiche evolutive [4]. Al contempo, recenti analisi molecolari sembrano suggerire un ruolo preponderante di fattori casuali e contingenze storiche nel determinare il percorso evolutivo di specifiche proteine [6]. Inoltre, ai risultati contrastanti si aggiungono i dibattiti sulle questioni metodologiche. Gli studi di laboratorio, infatti, fanno riferimento a condizioni altamente controllate, che renderebbero più facilmente osservabili dei pattern ripetuti, a fronte di una più limitata rappresentazione delle contingenze storiche. Il ruolo di queste nell’estrema complessità della storia della vita sulla Terra sarebbe infatti scarsamente rappresentabile dalle implementazioni proposte in laboratorio, che si affidano essenzialmente a variazioni dell’ambiente chimico-fisico di riferimento. A ogni modo, il pattern che sembra emergere dalle evidenze empiriche è la prevalenza di dinamiche evolutive convergenti e ripetute quando le condizioni ambientali offrono un limitato numero di possibili alternative, in termini di adattamenti. Se l’ambiente è invece più complesso, offrendo la possibilità di molteplici “soluzioni” evolutive, le contingenze storiche giocano un ruolo determinante nell’insorgere di una componente di imprevedibilità [4]. Definire un dominio circoscritto Come interpretare le controversie che emergono dai dati empirici? Come spesso accade in biologia, non è possibile arrivare a delle conclusioni valide universalmente. Occorre infatti contestualizzare la contrapposizione tra ECT e RVL nei singoli casi studio. Come suggerito da Lewis (2018), è necessario definire un dominio di variabilità entro il quale contestualizzare le affermazioni relative a processi deterministici o contingenze storiche. Infatti, solo all’interno di domini ristretti è possibile fornire una definizione di contingenza realmente antitetica alle nozioni di convergenza e replicabilità. Definire uno specifico ambito è fondamentale anche per potere impostare delle misure di contingenza utilizzabili per risolvere il dibattito in chiave empirica. In tale contesto, il dibattito tra ECT e RVL sarà impostato diversamente a seconda che ci si riferisca, ad esempio, al dominio delle possibili proteine, o al morfospazio delle possibili strutture del mondo animale [5]. Anche Wong (2019) puntualizza la necessità di contestualizzare la controversia ECT – RVL in ambiti circoscritti, utilizzando il concetto di modal range. Si tratta essenzialmente del range di scenari evolutivi possibili preso in considerazione per definire nel dettaglio i pattern robusti che si ripetono in scenari differenti, e il ruolo delle contingenze nel limitare tale ripetibilità. Occorre infatti definire convergenze e idiosincrasie sulla base di parametri oggettivi validi all’interno di uno specifico contesto. A tal proposito, la definizione di idiosincrasia come proces-


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so evolutivo unico e peculiare dovrà essere riferita a quali tratti si prendono in considerazione. Inoltre, è fondamentale chiarire il livello di scala a cui si lavora, e in base a quale riferimento venga valutata l’unicità di un particolare tratto. All’interno di confini così definiti è possibile impostare modelli che validino la ECT o la RVL sulla base di dati empirici. A tal proposito, l’autore propone una stima di likelihood che possa associare i dati raccolti a situazioni intermedie nel continuum che ha come estremi ECT e RVL. In tal modo, il dibattito potrà essere risolto valutando l’influenza relativa di fattori contingenti e deterministici per singoli ambiti circoscritti [3]. Dunque, in termini pratici, la valutazione del significato da attribuire agli innumerevoli esempi di convergenze e idiosincrasie riscontrabili nel mondo naturale è da effettuare dopo aver contestualizzato una domanda di studio in un ambito circoscritto. Lavorando su gruppi di specie, ad esempio, è possibile apprezzare la convergenza nei meccanismi fotosintetici delle piante C4 e CAM, selezionati indipendentemente in taxa distinti che abitano regioni aride [4]. Al contempo, è possibile identificare specie che risultano da processi evolutivi unici e peculiari e che manifestano caratteristiche nel complesso assenti in altri taxa viventi. Si prenda ad esempio l’ornitorinco (Ornithorhynchus anatinus). La riproduzione attraverso la deposizione di uova, la capacità di produrre veleno, l’elettrocezione e la presenza di una struttura simile a un becco lo rendono unico tra i mammiferi viventi. [3, 4] Tuttavia, se si modifica il dominio di riferimento, cambiano anche i valori attribuiti a forme differenti. Ad esempio, se si ampliano gli orizzonti temporali per includere i mammiferi estinti, ecco che l’ornitorinco perde la sua unicità. Esistono infatti specie affini ormai estinte che presentavano insiemi di caratteristiche simili [3]. Inoltre, se si sposta il focus dalla specie al singolo carattere il quadro cambia nuovamente. L’oviparità dell’ornitorinco, ad esempio, non è considerabile un idiosincrasia nei mammiferi viventi, essendo un carattere condiviso anche da altre specie, le echidne (famiglia Tachyglossidae) [3]. Un altro fattore importante nel definire l’ambito circoscritto entro il quale valutare evidenze di unicità o convergenze è il livello di scala. Valutare l’evoluzione di una popolazione a livello fenotipico è diverso dal valutarla a livello genetico. Esempi di evoluzione parallela a livello fenotipico possono infatti nascondere delle divergenze nei genotipi che non si traducono in diversità fenotipiche. Tornando al LTEE, uno dei meccanismi utilizzati per spiegare la comparsa della crescita aerobica su citrato in una delle popolazioni di E. coli è proprio l’esistenza di una serie di mutazioni neutre o debolmente vantaggiose accumulatesi in una popolazione nel corso delle generazioni, senza che vi fossero particolari variazioni fenotipiche. Tale divergenza genetica ha poi posto le basi per lo sviluppo di variazioni fenotipiche importanti [4]. Osservare esempi di evoluzione parallela a livello fenotipico non esclude dunque la possibilità di riscontrare pattern evolutivi unici e divergenti su scala genetica, dovu-

ti a particolari contingenze. Ancora una volta, quindi, definire il contributo relativo di fattori deterministici e contingenti nelle dinamiche evolutive è possibile soltanto all’interno di uno specifico dominio circoscritto [3, 5]. Conclusioni Il dibattito sul ruolo di fattori deterministici e contingenze storiche nel determinare i percorsi intrapresi dall’evoluzione nella storia è una tematica centrale della biologia evoluzionistica. Considerata l’ampiezza del dibattito e la portata della tematica, questa trattazione è poco più di un’introduzione generale. Tuttavia, alla luce dell’impossibilità di giungere a una risoluzione del conflitto, in virtù di evidenze empiriche spesso contrastanti, è necessario ragionare su singoli ambiti. Contestualizzare la controversia in domini circoscritti permette infatti di valutare convergenze e percorsi evolutivi unici e peculiari con lo stesso metro, permettendo alle evidenze derivanti dalle sperimentazioni di acquisire un senso. Attraverso queste, è infatti possibile attribuire la rilevanza relativa di fattori contingenti e deterministici nel singolo ambito, contribuendo a una migliore comprensione delle dinamiche evolutive nel dominio considerato. Lavorando su soggetti diversi, e a scale diverse, potranno ottenersi risultati contrastanti, che porteranno a conclusioni divergenti, ma ciascuna valida per il proprio contesto. Tutto ciò non si traduce necessariamente in una frammentazione e in un indebolimento del dibattito generale. Al contrario, la suddivisione del confronto in singole unità modulari contribuirà a una miglior comprensione delle dinamiche evolutive globali. Tuttavia, tale risultato è raggiungibile solo tenendo ben in mente la straordinaria complessità del mondo naturale che ci circonda; non un vincolo, ma l’essenza stessa della sua meravigliosa bellezza.

Bibliografia 1. Gould, S. J. (1989). Wonderful life: the Burgess Shale and the nature of history (First edition.). New York: W.W. Norton & Company. 2. “determinismo” nell’Enciclopedia Treccani. (n.d.). Retrieved May 9, 2023, from https://www.treccani.it/enciclopedia/determinismo 3. Wong, T. Y. W. (2019). The evolutionary contingency thesis and evolutionary idiosyncrasies. Biology & Philosophy, 34(2), 22. https://doi.org/10.1007/ s10539-019-9684-0 4. Blount, Z. D., Lenski, R. E., & Losos, J. B. (2018). Contingency and determinism in evolution: Replaying life’s tape. Science, 362(6415), eaam5979. https:// doi.org/10.1126/science.aam5979 5. Lewis, C. T. (2018). The domain relativity of evolutionary contingency. Biology & Philosophy, 33(3), 25. https://doi.org/10.1007/s10539-018-9635-1 6. Xie, V. C., Pu, J., Metzger, B. P., Thornton, J. W., & Dickinson, B. C. (2021). Contingency and chance erase necessity in the experimental evolution of ancestral proteins. eLife, 10, e67336. https://doi.org/10.7554/eLife.67336.

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PREBIOTICI E PROBIOTICI NELL’IMMUNOTERAPIA CONTRO IL CANCRO Arricchire e diversificare il microbiota intestinale può conferire benefici al paziente oncologico durante il trattamento antitumorale

di Daniela Bencardino*

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n tumore è una condizione patologica causata da cellule che si replicano senza alcun controllo e può essere benigno o maligno. I tumori benigni non si diffondono in altre zone del corpo e le cellule solitamente conservano le loro caratteristiche di origine a differenza dei tumori maligni che invadono e legano le normali cellule vicine dando origine a metastasi. I tumori maligni sono dunque più aggressivi e possono sfuggire ai meccanismi di difesa che il sistema immunitario sviluppa proprio per identificare ed eliminare le cellule tumorali. Alla base della strategia usata dal tumore per sfuggire al sistema immunitario vi è un duplice processo che si chiama “immunoediting del cancro”. Duplice perché può promuovere l’acquisizione di meccanismi che annullano le difese immunitarie consentendo al tumore di progredire, ma può anche mettere in atto un serie di reazioni che ne limitino l’avanzamento. L’evoluzione della malattia e il suo decorso dipendono quindi dall’equilibrio che si instaura tra l’avanzamento del tumore e la risposta immunitaria. Negli ultimi anni sono stati studiati diversi approcci immunoterapici, parliamo di terapie che “risvegliano” il sistema immunitario e lo stimolano a difendersi dal tumore [1,2]. Alcune di queste hanno l’obiettivo di inibire i checkpoint immunitari, cioè le molecole che frenano naturalmente la risposta immunitaria quando non è più necessaria (ad esempio dopo la guarigione dall’infezione di un patogeno) prevenendo infiammazione o altri danni che altrimenti potrebbero essere

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Comunicatrice scientifica e Medical writer

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causati dall’autoimmunità. I checkpoint si attivano quando i recettori CTLA-4 (antigene 4) e PD-1 (recettore di morte programmata) presenti sui linfociti T interagiscono con i rispettivi ligandi. Questa interazione inibisce l’attività dei linfociti e di conseguenza la risposta immunitaria risulta bloccata. In presenza di un tumore i checkpoint sono iperattivati perché le cellule tumorali esprimono i ligandi PD-L1 e PD-L2 che interagiscono con il recettore PD-1 dei linfociti T bloccando la risposta immunitaria e il tumore può svilupparsi indisturbato. Gli inibitori del checkpoint immunitario sono anticorpi monoclonali immunomodulatori che impediscono ai recettori dei linfociti T (CTLA-4 e PD-1) di prendere contatto con i ligandi della cellula tumorale. In questo modo la risposta immunitaria viene ripristinata e il tumore può essere identificato ed eliminato [3]. Recenti studi clinici hanno dimostrato che la terapia con inibitori del checkpoint immunitario migliora la sopravvivenza dei pazienti oncologici, anche nei casi gravi. Ma l’efficacia clinica varia dall’80% per il linfoma di Hodgkin refrattario a meno del 20% per la maggior parte delle altre neoplasie e può essere compromessa da eventi avversi correlati allo stato immunitario del paziente. Per esempio, un microbiota intestinale alterato può influenzare il sistema immunitario ed è per questo motivo che all’immunoterapia si associa l’integrazione di probiotici e prebiotici con l’obiettivo di migliorare l’efficacia del trattamento antitumorale e al contempo di ridurne la tossicità. I prebiotici sono sostanze organiche non digeribili presenti negli alimenti principalmente sotto forma di fibre idrosolubili mentre i probiotici sono preparazioni a singola specie o combinazione di più specie batteriche. Entrambe


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le tipologie di integrazioni promuovono la crescita di batteri utili allo sviluppo del microbiota intestinale e possono conferire un beneficio durante il trattamento con inibitori di checkpoint immunitario [4,5]. Il ruolo del microbiota intestinale Una fetta di responsabilità nella riduzione degli effetti dell’immunoterapia è da attribuire all’assunzione di antibiotici. Infatti, il 69% dei pazienti oncologici riceve un trattamento antibiotico prima o dopo la terapia con inibitori di checkpoint immunitario riducendo le probabilità di sopravvivenza senza il ripresentarsi della malattia. La ragione risiede nella perdita dell’equilibrio del microbiota intestinale causata dall’azione antibiotica. Gli antibiotici, infatti, esercitano prima di tutto un effetto diretto sui tessuti del paziente e poi l’attività dei microrganismi resistenti favorisce l’insorgenza di infezioni che possono indebolire lo stato di salute già gravemente compromesso del paziente. La numerosità e l’eterogeneità del microbiota intestinale sono, dunque, due aspetti fondamentali che influiscono sul trattamento con inibitori di checkpoint immunitari, sia in termini di efficacia che di effetti avversi immuno-correlati [6,7]. È stato osservato che i pazienti con melanoma metastatico sottoposti a immunoterapia anti-CTLA-4 e con un microbiota intestinale composto prevalentemente da Enterobacterales e Firmicutes spp. sopravvivono più a lungo senza che la malattia progredisca. I pazienti con un microbiota ricco di Bacteroides non fanno registrare risultati simili e questo conferma la specificità del ruolo delle specie batteriche nel rendere efficace l’immunoterapia [7,8]. Ad esempio, Bacillus polymorpha, Bacteroides fragilisis e Burkholderia cepacia risultano strettamente associate a un elevato livello di efficacia immunoterapica anti-CTLA-4 e a un minor numero di effetti avversi al trattamento. Per quanto riguarda la tossicità, invece, il trattamento anti-CTLA-4 sembra favorire la presenza di Faecalibacterium spp. che aumenta il rischio di colite. Questa stessa specie, insieme a Bifidobacterium longum, Collinsella aerogenes ed Enterococcus faecium prevale anche nel microbiota intestinale di pazienti affetti da melanoma che rispondono bene al trattamento con anti-PD-L1, mentre nei soggetti che mostrano una bassa risposta si registra una prevalenza di Bacteroides thetaiotaomicron, Escherichia coli e Anaerotruncus colihominis. Anche nel caso di questo trattamento si riscontra un certo grado di tossicità responsabile di disfunzioni tiroidee e polmonari. Tutte queste osservazioni suggeriscono la necessità di ridurre al minimo il trattamento antibiotico nei pazienti oncologici sottoposti al trattamento con inibitori di checkpoint immunitario [7].

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Prebiotici e probiotici nei trattamenti immunoterapici I batteri intestinali migliorano la risposta agli inibitori dei checkpoint immunitari nel paziente oncologico, ma sull’effetto della dieta e di una sua integrazione ci sono ancora numerosi dubbi. Non è ancora chiaro, infatti, se nel paziente in immunoterapia sia più importante l’assunzione di probiotici per la modulazione del microbiota oppure quella di prebiotici per l’arricchimento [9]. Studi preclinici hanno dimostrato che i prebiotici, accertati come integratori sicuri non invasivi, sono di supporto a immunoterapie contro il cancro sia in termini di efficacia che di ridotta tossicità. Dalla fermentazione intestinale dei prebiotici, principalmente carboidrati fermentabili non digeribili, si formano acidi grassi a catena corta che abbassano il livello di pH nell’intestino favorendo la crescita di specie “buone”, come il Lactobacillus e il Bifidobacterium, e delle cellule Treg (cellule T regolatorie) che prevengono la colite. L’amido resistente, invece, facilita la crescita di batteri associati alla produzione di butirrato, un acido grasso noto per le sue proprietà antitumorali e antinfiammatorie. Il butirrato, infatti, inibisce la produzione delle citochine pro-infiammatorie e dell’interleuchina 2 (IL-2). Anche l’inosina, prodotta come metabolita dal Bifidobacterium pseudolongum, ha un effetto positivo sull’efficacia della risposta antitumorale e prolunga il tempo di sopravvivenza del paziente senza il ripresentarsi del tumore [8]. Per quanto riguarda i probiotici, invece, gli studi suggeriscono che il Clostridium butyricum, batterio anaerobio in grado di produrre acido butirrico, possa migliorare la risposta agli inibitori del checkpoint immunitario in pazienti con carcinoma renale avanzato. I probiotici sono disponibili anche come combinazione di più specie batteriche, tra i più noti il Lactobacillus combinato con il Bifidobacterium. L’integrazione di quest’ultima specie probiotica nella dieta Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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riduce gli eventi avversi immuno-correlati come la colite e aumenta la prevalenza sia del Lactobacillus che delle cellule Treg, migliorando la risposta al punto di raggiungere la quasi eradicazione del tumore. Nei pazienti affetti da tumore del fegato e carcinoma polmonare non a piccole cellule, la somministrazione orale di L. Bifidobacterium e L. rhamnosus combinata con inibitori PD-1 sembra migliorare la prognosi. Nonostante i dati incoraggianti, sull’impiego dei probiotici emerge qualche criticità riferita a due specie in particolare. Blautia obeum è associata a un immunofenotipo negativo con aumento del rischio di sviluppare eventi avversi e Bacteroides spp. può indurre l’espansione delle cellule Treg e stimolare un’eccessiva produzione di citochine antinfiammatorie che promuovono lo sviluppo di neoplasie come nel caso dell’interleuchina 10 (IL-10). In alcuni studi è stata dimostrata l’efficacia dei probiotici nella riduzione degli effetti avversi da chemio e radioterapia (ad esempio per prevenire stati diarroici, costipazione, vomito, nausea e mucositi), ma questi risultati sono in contrasto con quelli derivanti da altri studi. La ragione è da ricercare nel numero ancora troppo limitato di questi studi che prendono in considerazione tumori di diversa tipologia che quindi coinvolgono zone del corpo diverse, due aspetti © Troyan/shutterstock.com

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che potrebbero influire non poco sull’effetto del probiotico [10]. Un aspetto che merita attenzione è la produzione dei probiotici di nuova generazione. Questi batteri, isolati e identificati mediante tecniche e analisi di sequenziamento, risentono dell’influenza di numerosi fattori come le variazioni geografiche, le abitudini alimentari, il tipo di tumore e la variabilità individuale del paziente. Nell’insieme, questi fattori possono generare una sovrapposizione dei taxa individuati rendendo più complesso lo studio delle relazioni tra la specie e il ruolo che svolge sul sistema immunitario. La standardizzazione degli approcci di sequenziamento del microbiota sarà cruciale nel tentativo di rispondere alle domande ancora aperte sull’impiego dei probiotici nel trattamento antitumorale [11,12]. Un’ulteriore promessa per il futuro dell’immunoterapia arriva dalla combinazione di prebiotici e probiotici da cui si originano i simbiotici, prodotti funzionali con effetti sinergici capaci di indurre un potenziale miglioramento dell’efficacia immunoterapica [12]. Lo stile di vita e il microbiota intestinale Quando si parla di stile di vita si fa riferimento allo svolgimento di una regolare attività fisica, alla regolarità del sonno, nonché a una dieta sana ed equilibrata, tutti aspetti che impattano notevolmente sul microbiota intestinale. L’esercizio fisico regola il microambiente tumorale aumentando la risposta alle immunoterapie, diversifica il microbiota intestinale e riduce i livelli di biomarcatori metabolici e infiammatori. L’acido lattico prodotto dall’attività fisica regola l’espressione di PD-L1 nelle cellule tumorali e, a concentrazioni ridotte, aumenta il numero di cellule immunitarie infiltranti il tumore. Questo vuol dire che un paziente allenato non accumula acido lattico e di conseguenza apporta un notevole contributo all’efficacia dell’immunoterapia a cui è sottoposto [13]. Altrettanto impor-


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tanti sono gli effetti del sonno dato che diversi studi dimostrano come dormire poco e male porti a disbiosi con importanti alterazioni in termini di diversità delle specie che popolano il microbiota intestinale. Anche i cambiamenti nutrizionali, sia quelli a breve termine che quelli più duraturi, possono avere effetti sul sistema immunitario andando a modulare la composizione del microbiota. Un’alimentazione ricca di grassi riduce notevolmente la popolazione microbica intestinale favorendo i patogeni produttori di metaboliti pro-infiammatori. Una dieta con ridotto apporto di vegetali, infatti, riduce le specie degradanti le fibre, aumenta la prevalenza delle specie Lactococcus, Eggerthella e Streptococcus e riduce i livelli di acidi grassi a catena corta che, ricordiamo, prevengono eventi avversi nel trattamento con inibitori di checkpoint immunitario. Nei pazienti con melanoma che seguono una dieta ricca di fibre si osserva una risposta alla terapia anti-PD-1 cinque volte superiore. Questo suggerisce il ruolo cruciale della fibra nel potenziamento dell’immunoterapia, anche senza l’integrazione di probiotici e prebiotici. L’estratto di soia fermentata, infine, si presenta come ottimo coadiuvante della chemioterapia riducendo il senso di affaticamento e la perdita di appetito [4,13]. Conclusioni Il numero in crescita degli studi sui meccanismi molecolari coinvolti conferma l’influenza esercitata dal microbiota intestinale sul trattamento con inibitori di checkpoint immunitario nel paziente oncologico. L’evidente associazione tra la composizione batterica dell’intestino e la risposta immunitaria supporta l’integrazione di prebiotici e probiotici nei trattamenti immunoterapici per ottimizzarne l’efficacia e ridurne la tossicità. Anche lo stile di vita del paziente ha effetti significativi sul microbiota intestinale e i cambiamenti che ne conseguono possono influenzare la sua risposta al trattamento immunoterapico. Non è ancora stata definita la composizione specifica del microbiota intestinale più favorevole alla promozione di una risposta immunitaria antitumorale. Ma l’impiego di metodologie e tecnologie innovative come il sequenziamento di ultima generazione, l’analisi dei big data e l’intelligenza artificiale, consentirà di indagare nel dettaglio la relazione tra il microbiota intestinale e l’immunoterapia. Sarà possibile determinare le specie che producono chiari benefici durante il trattamento antitumorale e in quali concentrazioni. Queste informazioni faciliteranno lo screening dei pazienti per stabilire la loro idoneità all’immunoterapia nell’ottica di favorire sempre più un approccio personalizzato (medicina di precisione). Inoltre, l’uso di metodi specifici ed efficaci per modulare il microbiota intestinale e l’osservazione accurata e completa del suo ruolo nella risposta immunoterapica guideranno lo sviluppo di linee guida basate sull’applicazione clinica di questo promettente supporto al trattamento antitumorale.

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IL LAGO MOERIS SE DOVESSE RISCALDARSI DI UN SOLO GRADO °C Riflessione sul legame tra i nostri consumi energetici in relazione all’energia legata ai processi naturali che hanno interessato la Terra

di Antonio Lo Cascio*

Q

uesto articolo vuole essere una riflessione sul legame tra i nostri consumi energetici in relazione all’energia legata ad uno o più processi naturali che hanno interessato la Terra. Ad esempio, il nostro consumo energetico globale può modificare la temperatura degli oceani? Per rispondere a questa domanda possiamo partire da un evento naturale ben documentato che ha interessato il nostro pianeta. Il lago Moeris, in Egitto, si presta particolarmente bene a questo esercizio: profondo dai 60 ai 70 m, è stato prosciugato 4.200 anni fa dal riscaldamento globale, almeno nelle regioni equatoriali. Questo riscaldamento prosciugò anche il Nilo, sopprimendone le piene per circa vent’anni. Il risultato fu una grave carestia che fu la causa della caduta dell’Antico Regno, 2700 a.C. - 2160 a.C. Ecco le principali caratteristiche del lago che verranno utilizzate nell’articolo: Superficie: 600 km² Lunghezza: 50 km Larghezza: 12 km Altitudine: -47 m Profondità · Massima: 18 m · Media: 4 m Volume : 978 600 000 m³ ≃ 1 km³ Il lago è il piccolissimo punto del Governatorato di al Fayoum, il numero 15.

*

Membro del Consiglio Direttivo della SEII.

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- Egitto = 1.010.000 km2 Lago/Egitto 600/1.010.000 = 5,94 decimillesimi = 1.683,502 volte più piccolo. - Terre emerse = 149.000.000 km² Lago/Terre emerse 600/149.000.000 = 4.03 milionesimi = 248.139 volte più piccolo. - Oceani = 361.000.000 km² Lago/Oceani = 600 : 361.000.000 = 1,66 milionesimi = 602.410 volte più piccolo. - Terra = 510.000.000 km² Lago/Terra = 600 / 510.000.000 = 1,18 milionesimi = 847.458 volte più piccolo.

Governatorati dell’ Egitto 1. Matruh 2. Alessandria 3. Buhayra 4. Kafr El Sheikh 5. Daqahliyya 6. Damietta 7. Port Said 8. Sinai del Nord 9. Gharbiyya 10. al-Manufiyya 11. al-Qalyūbiyya 12. Sharqiyya 13. Ismailia 14. Giza 15. al-Fayyum 16. Il Cairo 17. Suez 18. Sinai del Sud 19. Beni Suef 20. Minya 21. Wadi al-Jadid 22. Asyut 23. Mar Rosso 24. Sohag 25. Qena 26. Luxor 27. Assuan Per informazioni sul contesto storico, vedere il documentario di Davina Bristow “Les Heures sombres de l’Egypte antique” [1] France 5, Science Grand Format, Histoire, 2018, 1 h 24 min Fonte Wikipedia.


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Alcuni dati essenziali Oceani La superficie degli oceani corrisponde al 70% della superficie terrestre! Il volume d’acqua calcolato su 100 m di profondità è di 35.000.000 di km³ d’acqua. Lago La sua superficie è di 600 km², il suo volume, su una profondità media di 4 m, è di 2,4 km³. Per poterlo confrontare con il volume preso in considerazione per gli oceani, occorre correggerlo a 100 m di profondità. V corretto a 100 m = 600.000.000 m² x 100 m = 60.000.000.000 m³ = 60 km³. Rapporto oceani/lago Il valore del rapporto tra il volume degli Oceani e quello del Lago è di circa 583.333. Quantità di energia per riscaldare il lago La superficie del Lago Moeris è di 600 km² e il suo volume corretto è di 60 km³. Tuttavia, per aumentare la temperatura di un litro d’acqua di un solo grado °C [2] sono necessarie 1.000 calorie, ossia 1 chilocaloria. E per 1 m³ saranno necessarie 1.000 kilocalorie. Solo per il Lago Moeris servirebbero, dunque, 60.000 miliardi di chilocalorie! Che diviso per il numero di kJ forniti da un litro di carburante (36.775 kJ) dà il totale dei litri necessari per riscaldare tutta l’acqua del lago di un solo grado Celsius: 1.631.543.168 litri di carburante. Più di un miliardo e mezzo di litri! Se consideriamo l’aumento della temperatura dell’acqua del lago di un grado in un anno, avremo il numero di litri di carburante all’anno che dovranno essere bruciati. Questo numero di litri diviso per il chilometraggio medio annuo di un’auto dà il numero di auto che devono sempre circolare sul terreno equivalente alla superficie del lago per ottenere il numero totale di auto all’anno “necessarie”: 1.631.543.168 litri di carburante/anno: 5.000 km/anno = 326.309 auto/anno Per produrre questa quantità di energia servirebbero quindi l’equivalente di circa 326.000 automobili che dovrebbero percorrere ciascuna 5.000 km/anno, sempre sulla stessa superficie di 600 km². Anche supponendo che il rendimento di un motore termico sia del 100%, in questo caso la produzione mon-

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diale di energia, riferendosi ai calcoli del lago che è di 25,70 anni (vedi la dimostrazione nel paragrafo successivo) dovrebbe essere moltiplicato per 2,63, il che dà 67,59 volte la produzione mondiale di energia! Vale a dire, ci vorrebbero quasi 68 anni di produzione globale per ogni anno in corso! (BP, 2022, https://www.connaissancedesenergies.org/bp-statistical-review-world-energy-2022-leschiffres-cles-de-lenergie-dans-le-monde-220629) e che tutta questa energia termica vada interamente nel lago e non nell’atmosfera. I valori indicati di seguito sono minimi poiché l’efficienza termica di un motore è ovviamente inferiore al 100% (vicino al 38% nel migliore dei casi). Tuttavia, il rapporto oceani/laghi equivale a circa 583.333. Ciò significa che per l’intera superficie degli oceani avremmo bisogno di 583.333 volte più automobili, ovvero 190.166.558.000 per un solo grado di aumento/ anno su una profondità di 10 m. Se ora calcolo “soltanto” per 10 m di profondità è perché calcolare per i 100 m di profondità iniziali sarebbe un ragionamento completamente insensato. Il motivo è ovvio. Tutti i valori dovrebbero essere moltiplicati per mille. Quindi, tra l’altro, “avremmo bisogno” di 190.000 miliardi di automobili. Si tratterebbe, quindi, di poco più di 190 miliardi di automobili con altrettanti guidatori (non dimentichiamo Giornale dei Biologi | Nov/dic 2023

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che sulla Terra ci sono solo 7 miliardi di abitanti, bambini compresi). Tuttavia, ci sono poco più di 1 miliardo di automobili sulla Terra. Ne mancano quindi poco meno di 189 miliardi per poter aumentare la temperatura degli oceani di questo solo fatidico grado! Che mi spieghino, Greta e soci, come è possibile arrivare a questo punto con 1/190 (lo 0,005 %) delle auto “necessarie” per questo disastro ecologico? “Quindi’’, il cosiddetto inquinamento atmosferico “causato” dalle automobili è dovuto, sic, ai gas ad effetto serra (GES) di cui si parla costantemente. E qualcuno dovrebbe anche spiegarmi come gli antichi egizi, 4.200 anni fa, riuscirono a provocare questo “disastro ecologico” locale di portata mondiale? La Terra non potrebbe mai produrre tante automobili, né contenerle e, soprattutto, per guidarle occorrerebbero altrettanti automobilisti, che attualmente sono, ‘’appena’’, circa 1 miliardo. Finalità Perché ho scritto questo articolo? A seguito di questo rapporto RTBF: ‘’Biodiversità - La riproduzione e la sopravvivenza delle tartarughe marine minacciate dal riscaldamento globale.’’ Dove il giornalista ha fortemente insistito sulla necessità di questi studi a causa del continuo riscaldamento degli oceani. Secondo uno studio pubblicato mercoledì 02/08/2023 da The Royal Society Open Science Journal [3], l’aumento della temperatura dell’oceano sta mettendo a rischio la sopravvivenza delle popolazioni di tartarughe marine riscaldando i loro siti di nidificazione sulle spiagge di tutto il mondo. L’ingenuo che riceve questo messaggio di “allarme”, di volta in volta evidenziato, difficilmente resta indifferente alla sorte di queste povere tartarughe od altri animali. Infatti, il vero messaggio subliminale è: “L’oceano si sta riscaldando a causa dell’Antropocene, principalmente a causa del nostro eccesso di consumazione di energia termica che genera emissioni di gas ad effetto serra responsabili del riscaldamento.’’ Il messaggio è semplicistico e mai sfumato. Ed è anche un messaggio quasi quotidiano! Non dobbiamo preoccuparci dei gas ad effetto serra, ma solo dell’energia prodotta dalle nostre società, perché bisogna produrne per far vivere l’intera Umanità. Partiamo dai dati di produzione/consumo di energia aggiornati regolarmente da BP e su cui tutti sono d’accordo: www.connaissancedesenergies.org/bp-statisticalreview-world-energy-2022-les-chiffres-cles-de-lenergiedans-le-monde-220629. Vediamo che nel 2021 il consumo globale di energia primaria è stato pari a 5,95 x 1020 J 100

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che, tenendo conto del numero di secondi in un anno, corrisponde a 1,89 x 1013 W e per una superficie terrestre di 5,1 x 108 km2 à 3,7 x 10-2 W/ m2. Nel 2021, il consumo globale di energia primaria è stato pari a 5,95 x 1020 J. Le Flux géothermique ou flux de chaleur [4]: Quantità di energia evacuata dalla Terra, espressa per unità di superficie e per unità di tempo. Il flusso medio è di 65mW.m-2 sulla superficie dei continenti e di 101mW.m-2 sulla superficie del fondale oceanico, ovvero 87mW.m-2 per l’intero globo (Pollack et al, 1993). 65 mW/m2 = 65.10-3 W/m2 = 6,5.10-2 W/m2 Questi due valori sono trascurabili rispetto al flusso energetico di 171 W/m2 ricevuto dal Sole sulla superficie terrestre e poi dissipato secondo diversi meccanismi per mantenere una temperatura approssimativamente costante (www. science-climat-energie. be/2020/12/11/leffet-deserre-et-le-bilan-energetique-de-la-terre/) Torniamo ai dati riguardanti il riscaldamento del Lago Moeris. Il consumo globale del BP 2021 (= energia primaria) è stato pari a 595 exajoule (= à 5,95 x 1020 J come sopra indicato), oppure, mediante arrotondamento, a 600.1018 J, che dà, dopo la conversione in kcal, 1,4.1015 kcal, ossia 1,4 x 1018 cal. Per il lago abbiamo visto che l’aumento di 1°C richiede 6.1018 cal. Il riscaldamento del volume d’acqua di tutti gli oceani a una profondità di 10 m necessita 36.1019


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cal. Servirebbe quindi circa 25,7.101 volte - quindi 25,70 volte - più energia di quella prodotta e consumata in un solo anno per aumentare di un solo grado la temperatura degli oceani a soli 10 metri di profondità. Verifica: 595 exajoule, ossia +/- = 600.1018 J 10.000 J = 2,390057.101 kcal 600.1018 J = 6 x 2,390057.1014 kcal = 1,434034.1015 = 1,4.1015 kcal 36.1019/1,4.1018 = 25,7.101 o 25,70 Questo risultato mostra che la nostra produzione di energia è minuscola rispetto alla produzione di energia naturale suscettibile, ad esempio, di riscaldare lo strato superficiale degli oceani e non è esponenziale, come lo dimostra l’aumento regolare del consumo di energia nel corso degli ultimi anni (confronta ad esempio le tabelle BP). Questo risultato di 25,7 è minimo perché, come accennato in precedenza, l’efficienza termica di un motore non è del 100 %. Addendum (con la collaborazione del Prof. Alain Préat) © Peter Hermes Furian/shutterstock.com L’evoluzione climatica del Lago Moeris si inserisce nel quadro globale di una fluttuazione legata al ciclo di Bond (evento n. 3) di 4200 anni fa. I cicli di Bond legati all’ultima glaciazione e all’Olocene riflettono in primo luogo segnali di forte instabilità climatica mostrando un riscaldamento molto rapido di quasi 10°C, portando in pochi decenni a condizioni quasi

interglaciali. Il riscaldamento è quindi brutale, seguito da un progressivo raffreddamento per fasi con la crescita di calotte a base fredda. La letteratura riguardante i cicli di Bond e gli eventi di Heinrich associati è immensa. Questi cicli sono legati ai cicli di Dansgaard-Oeschger (Pleistocene superiore) e sembrano causati dalla stessa causa. Il contenuto di CO2 non ha alcun ruolo riconosciuto in questi cicli. Riteniamo quindi che un improvviso e significativo riscaldamento ha interessato inizialmente il Lago Moeris. Addendum finale del Prof. Antonio Lo Cascio Il valore del rapporto dei volumi oceani/lago, a 10 m di profondità, equivale a circa 583.333. Mentre il rapporto delle sole superfici equivale a circa 602.410. Valore che non è lontano di quello precedente. “Il mio articolo è la dimostrazione che il riscaldamento climatico non è dovuto al CO2, ma a delle cause naturali indipendenti dall’uomo.” Tra queste ci sono : - I vulcani, terrestri e sottomarini, molto più numerosi e per la maggior parte sconosciuti. - Incendi boschivi ricorrenti. - Fuochi di Miniera, che non si spengono mai. - Scioglimento del Permafrost dovuto al riscaldamento naturale. - L’esistenza della corrente El Niño nell’emisfero settentrionale e La Niña nell’emisfero meridionale, di cui non si parla quasi mai. - La durata della circolazione completa delle acque sottomarine profonde attorno alle terre emerse è di circa mille anni. La conclusione finale è che: “Per qualsiasi attività, umana e non, è necessaria dell’Energia. Qualsiasi utilizzo di energia, indipendentemente dalla sua provenienza, comporta inevitabilmente la produzione di rifiuti”.

Bibliografia [1]https://www.france.tv/documentaires/histoire/997065-les-heures-sombres-de-l-egypte-antique.html [2]Tra 14,5 et 15,5 °C à pressione atmosferica ( 101.325 Pa, 1.013,25 hPa = 1,01325 bar = 1 atm = 760 Torr ). [3]https://royalsocietypublishing.org/doi/10.1098/rsos.221002 [4]https://eduterre.ens-lyon.fr/thematiques/energie/geothermie/geothermie.

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NUOVI STUDI SUL CARCINOMA RENALE A CELLULE CHIARE Analisi del tessuto adiposo perirenale: un nuovo ed efficace punto di vista per la comprensione di questa neoplasia

di Gloria Felicelli, Carmela Polito, Aniello Saviano, Domenica Sorvillo, Luca Musella, Federica Fenu, Daniela Terracciano*

L’

obesità è una patologia cronica multifattoriale caratterizzata da un eccessivo peso corporeo dovuto ad accumulo di tessuto adiposo. Essa è considerata un’epidemia in rapida crescita, associata a molteplici comorbidità, tra cui malattie cardiovascolari, diabete mellito di tipo II ed aumento del rischio di sviluppare numerosi tipi di cancro. È nota, infatti, una stretta associazione tra obesità e aumentato rischio di sviluppare alcuni tumori maligni, come il carcinoma prostatico, ovarico e renale1. È interessante notare che questa associazione risulta maggiore per i tumori localizzati in organi circondati dal tessuto adiposo lasciando presupporre che tale tessuto possa in qualche modo influire sui meccanismi Figura 1: rappresentazione schematica del ruolo endocrino del tessuto adiposo. La figura è stata di proliferazione tumorale e sviluppo di realizzata utilizzando componenti rilasciate da Servier Medical Creative Commons Attribution 3.0 metastasi2. Sono molteplici le cellule del tessuto adiposo che potrebbero influenzare il microambiente tu- tessuto connettivo, infatti, è caratterizzato da una grande morale tramite il rilascio di molecole mediatrici; questo eterogeneità ed è costituito solo per un terzo da adipociti maturi mentre la restante parte è formata dalla cosiddetta frazione vasculo stromale che comprende cellule immunitarie, cellule endoteliali, fibroblasti, periciti, ma* crofagi, peadipociti in vari stadi di maturazione e cellule Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università degli mesenchimali staminali. Nel loro insieme tali cellule sono studi di Napoli Federico II. in grado di rilasciare una pletora di molecole che potreb102

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Figura 2: Anatomia del rene e del tessuto adiposo perirenale. La figura è stata realizzata utilizzando componenti rilasciate da Servier Medical Creative Commons Attribution 3.0

bero condizionare il microambiente tumorale aumentando l’aggressività del tumore. A tal proposito, numerosi studi hanno dimostrato che il tessuto adiposo è un vero e proprio organo endocrino3 capace di secernere molecole note con il termine di adipochine che potrebbero essere coinvolte nella fisiopatologia di numerose malattie, tra cui il cancro, aumentando la proliferazione delle cellule tumorali e la loro capacità di originare metastasi. Attualmente sono state identificate circa cento molecole rilasciate da tale tessuto come l’interleuichina-1 (IL1), interleuchina-6 (IL6), interleuchina 10 (IL10), interleuchina-12 (IL12), interleuchina-18 (IL18), il Trasforming Growth Factor β (TGFβ), il Tumor Necrosis Factor α (TNFα), la leptina, la resistina, l’adiponectina, le chemochine tra cui l’interleuchina-8 (IL8), la proteina Monocyte Chemoattractant Protein-1 (MCP1) e proteine angiogeniche come il Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF). Queste molecole possono agire quali fattori endocrini, come nel caso della leptina o dell’IL6, o localmente come VEGF e TNFα. Attra-

verso tali molecole con funzione autocrina, paracrina e/o endocrina, il tessuto adiposo integra i segnali metabolici e comunica, direttamente o indirettamente, con altri organi e tessuti. Ad oggi, è stato già ampliamente dimostrato che il tessuto adiposo può contribuire a processi patologici quali malattie cardiovascolari, sindrome metabolica, infiammazione cronica, obesità e diabete mellito di tipo 2, e guidare la progressione del carcinoma mammario e prostatico4. In questo scenario lo studio del tessuto adiposo perirenale, un particolare deposito di tessuto adiposo viscerale che avvolge ciascun rene e la ghiandola surrenale ad esso associata, potrebbe portare ad una maggiore comprensione dei processi che guidano la progressione del carcioma renale a cellule chiare. Tale tumore rappresenta il più comune e più letale dei tumori renali, sia a causa dell’alto tasso di recidive che per la bassa responsività dei pazienti metastatici alla terapia sistemica. Infatti, per circa il 25% dei pazienti che sviluppa metastasi dopo resezione chirurgica, la sopravvivenza a 5 anni è inferiore del 10%. In aggiunta, numerosi studi hanno evidenziato che pazienti obesi presentano una maggiore probabilità di sviluppare questo tumore e che all’aumentare dello spessore del tessuto adiposo perirenale la sopravvivenza a cinque anni dei pazienti dopo escissione chirurgica del tumore primario peggiora5. Una maggiore comprensione della fisiopatologia di questo tumore è cruciale per individuare nuovi biomarcatori circolanti che possano coadiuvare la diagnosi di que-

Figura 3: Adipociti maturi colorati con Oil Red-O.

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sta patologia. Il carcinoma renale, infatti, può rimanere clinicamente occulto per la maggior parte del suo decorso, a causa del suo esordio asintomatico, motivo per cui la diagnosi avviene spesso accidentalmente durante esami eseguiti per altri motivi. Al fine di identificare nuovi biomarcatori circolanti che coadiuvino la diagnosi di questo tumore potrebbe essere utile lo studio delle molecole rilasciate dal tessuto adiposo perirenale. Ad oggi, lo studio del tessuto adiposo si è già dimostrato determinante per la comprensione dei meccanismi di progressione del carcinoma mammario, ovarico e prostatico portando alla scoperta di un vero e proprio cross-talk tra questi tumori e gli adipociti in cui le adipochine rilasciate da quest’ultimi condizionano il microambiente tumorale accelerando la progressione del tumore e le cellule cancerose, a loro volta, possono guidare la riprogrammazione metabolica degli adipociti adiacenti per ottenere substrati energetici e metabolici aggiuntivi necessari per una rapida crescita tumorale6,7,8. Il sistema sperimentale dei mezzi condizionati potrebbe costituire un approccio innovativo determinante per chiarire l’impatto di questo fenomeno sulla progressione del carcinoma renale a cellule chiare. Tale approccio prevede il trattamento delle cellule tumorali di carcinoma renale a cellule chiare con il mezzo di coltura ricavato dall’incubazione degli adipociti maturi differenziati provenienti da pazienti affetti da tumore. Le cellule mesenchimali staminali da cui ricavare gli adipociti possono essere facilmente isolate dal tessuto adiposo perirenale dopo digestione meccanica ed enzimatica ed amplificate in vitro. In seguito, è possibile differenziare le cellule staminali attraverso la somministrazione di un cocktail di farmaci, quali insulina, rosiglitazone, biotina, pantotenato, desametasone e IBMX (Figura 3). Il mezzo condizionato degli adipociti differenziati così ottenuti può essere utile per esperimenti sulla proliferazione, la migrazione e l’invasività, delle cellule di carcinoma renale in vitro. Il sistema del mezzo condizionato è un approccio sperimentale innovativo ed efficace per stabilire l’effetto delle molecole rilasciate dagli adipociti maturi sulla progressione del carcinoma renale a cellule chiare. In aggiunta, oltre alla valutazione dell’effetto delle molecole rilasciate dagli adipociti maturi, potrebbe essere determinante l’identificazione delle adipochine presenti nel mezzo condizionato tramite saggi ELISA in multiplex in modo da identificare le molecole rilasciare dagli adipociti in grado di influenzare il fenotipo tumorale delle cellule di carcinoma renale in vitro. In questo contesto, l’identificazione delle adipochine coinvolte e il meccanismo molecolare con cui esse operano, potrebbe consentire da una parte l’identificazione di nuovi biomarcatori prognostici che possano 104

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coadiuvare la gestione clinica del paziente e dall’altra la caratterizzazione di nuovi target farmacologici per il trattamento dei pazienti affetti da carcinoma renale a cellule chiare metastatico.

Bibliografia 1-Park J, Morley TS, Kim M, Clegg DJ, Scherer PE. Obesity and cancer--mechanisms underlying tumour progression and recurrence. Nat Rev Endocrinol. 2014 Aug;10(8):455-465. doi: 10.1038/ nrendo.2014.94. Epub 2014 Jun 17. PMID: 24935119; PMCID: PMC4374431. 2-Jung J, Kim NH, Kwon M, Park J, Lim D, Kim Y, Gil W, Cheong YH, Park SA. The inhibitory effect of Gremlin-2 on adipogenesis suppresses breast cancer cell growth and metastasis. Breast Cancer Res. 2023 Oct 25;25(1):128. doi: 10.1186/s13058-023-01732-2. PMID: 37880751; PMCID: PMC10599028. 3-Polkinghorne MD, West HW, Antoniades C. Adipose Tissue in Cardiovascular Disease: From Basic Science to Clinical Translation. Annu Rev Physiol. 2023 Nov 6. doi: 10.1146/annurev-physiol-042222-021346. Epub ahead of print. PMID: 37931169. 4-Pi-Sunyer FX. Comorbidities of overweight and obesity: current evidence and research issues. Med Sci Sports Exerc. 1999 Nov;31(11 Suppl):S602-8. doi: 10.1097/00005768-199911001-00019. PMID: 10593535. 5-Hsieh, J., Purdue, M., Signoretti, S. et al. Renal cell carcinoma. Nat Rev Dis Primers 3, 17009 (2017). https://doi.org/10.1038/nrdp.2017.9 6-La Civita E, Liotti A, Cennamo M, Crocetto F, Ferro M, Liguoro P, Cimmino A, Imbimbo C, Beguinot F, Formisano P, Terracciano D. Peri-Prostatic Adipocyte-Released TGFβ Enhances Prostate Cancer Cell Motility by Upregulation of Connective Tissue Growth Factor. Biomedicines. 2021 Nov 15;9(11):1692. doi: 10.3390/biomedicines9111692. PMID: 34829922; PMCID: PMC8615771. 7-Liotti A, La Civita E, Cennamo M, Crocetto F, Ferro M, Guadagno E, Insabato L, Imbimbo C, Palmieri A, Mirone V, Liguoro P, Formisano P, Beguinot F, Terracciano D. Periprostatic adipose tissue promotes prostate cancer resistance to docetaxel by paracrine IGF-1 upregulation of TUBB2B beta-tubulin isoform. Prostate. 2021 May;81(7):407417. doi: 10.1002/pros.24117. Epub 2021 Mar 18. PMID: 33734457; PMCID: PMC8251776. 8-D’Esposito V, Ambrosio MR, Giuliano M, Cabaro S, Miele C, Beguinot F, Formisano P. Mammary Adipose Tissue Control of Breast Cancer Progression: Impact of Obesity and Diabetes. Front Oncol. 2020 Aug 7;10:1554. doi: 10.3389/fonc.2020.01554. PMID: 32850459; PMCID: PMC7426457.


LA PRIORITÀ SEI TU Individuare precocemente un tumore può fare la differenza. Il Servizio sanitario nazionale offre screening gratuiti, sicuri e attendibili, per la prevenzione dei tumori al colon-retto, al collo dell’utero e alla mammella. Aderisci all’invito della tua Azienda sanitaria. Non rinviare l’appuntamento con la salute. Scopri di più su salute.gov.it #laprioritàseitu

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L’ONB si è trasformato

Sono stati costituiti la FNOB e gli Ordini Regionali dei Biologi*

Calabria Campania-Molise Emilia Romagna-Marche Lazio-Abruzzo Lombardia Piemonte-Liguria-Valle D’Aosta Puglia-Basilicata Sardegna Sicilia Toscana-Umbria Veneto-Friuli Venezia Giulia-Trentino Alto Adige *

Tutte le informazioni su www.fnob.it


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