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The Pill Outdoor Journal 56 ITA

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100 Miglia Monviso Una corsa, una sfida, ma anche un viaggio che passa attraverso storia, cultura, cibo, persone.

Kenya Alla conquista del monte Kenya, la seconda montagna africana più alta dopo il Kilimangiaro.

€6

Fabian Buhl Neve, roccia, ghiaccio e aria. Fabian condensa tutti gli elementi della montagna in una visione “multi-alpinistica”.

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RIDERS: Cristian Deppe Alcalde / Max Keith IMAGE: Rafa Rivero

1 THE SPEED PROJECT / Death albaoptics.ccValley

non ci rendiamo conto che questa ripetitività, più che rappre sentare una strategia difensiva, è di ventata la nostra condanna, la nostra “fatica di Sisifo”, molto simile alla puni zione inflitta al protagonista del mito, rinchiuso nell’Ade e costretto a traspor tare in cima ad una montagna un mas so che inesorabilmente ricade appena toccata la vetta, simbolo di qualsiasi impresa inutile, destinata a vanificarsi non appena compiuta. Un “condannato libero”, secondo Albert Camus, coscien te del suo destino.

Le tecnologie e il mondo del web stan no sviluppando l’illusione che si possa fare tutto e che non ci sia spazio per at timi morti, attribuendo importanza al nostro ritmo delirante. E invece, anche se ci fanno paura, dovremmo accettare i vuoti, perché ci mettono in contatto con noi stessi, con le nostre emozioni.

Fermarsi è un ottimo modo per godersi il riposo e valutare se stiamo andando nella strada giusta. È il buco in agenda a rappresentare la terapia più adatta, perché ci mette di fronte a quello che ci intimorisce di più: il dover dare una di rezione a ciò che facciamo. Non dimen tichiamo che la noia attiva l'emisfero destro del nostro cervello, quello delle intuizioni, della creatività. È come se stare senza far niente ci liberasse dalle tossine accumulate in mesi di impegni e stress, dalle catene del tempo.

EDITO

Pur sforzandomi, non riesco a ricorda re l’ultima volta in cui mi sono trovato senza fare niente. E per niente intendo proprio niente. Nemmeno dare il via ad una sessione di scrolling compulsi vo, aggiornare la casella di posta o te nere un podcast di sottofondo, quasi a replicare lo schema di quelle madri che lasciano la tv accesa solo perché “sentire qualche voce fa tanta compagnia”. Negli ultimi anni abbiamo instaurato un rapporto a dir poco conflittuale con il nostro tempo libero, ben delineato dal teologo francese Blaise Pascal nella sua opera intitolata Pensieri: “tutta l’in felicità dell’uomo sta nel non saper restare quieti in una stanza”. Un’affermazione che manifesta la nostra totale incapa cità di interrompere la routine. Sebbe ne il lockdown ci abbia ricordato con prepotenza i buoni motivi per uscire da “quella stanza”, trascorrere momenti di vuoto non significa necessariamen te rinunciare a tutto ciò che c’è fuori (o rimanere indietro rispetto a chi sta con tinuando a correre).

Oggi abbiamo rinunciato alla possibi lità di fermarci a pensare in favore di una ripetitività schematica che ci fa sentire al sicuro. Continuare a lavorare rincorrendo il weekend, per poi satura re tutte le nostre ore fino alla domenica sera, prenotare le vacanze nei villaggi turistici, dove seguire programmi deci si da altri dà la sensazione di aver svol to correttamente il compito affidato. La corsa a perdifiato che continuiamo a imporci, non è che un altro modo di spingere la pietra, preoccupati di arri vare in fretta alla vetta.

FIORASO PHOTO BEN READ

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L’ansia che sorge da queste circostan ze è stata battezzata come “oziofobia”. Quel dolce far niente, che i nostri non ni vedevano come un dono, aspettan do impazientemente la domenica per rilassarsi e riposare, oggi è percepito come paura. Non avere programmi ge nera sensi di colpa e frustrazione per non aver impiegato il tempo nel modo giusto. In ogni momento, in ogni situa zione dobbiamo a tutti i costi fare qual cosa. Una sorta di terrore del vuoto che tendiamo a combattere con agende pie ne di impegni, con una routine capace di rassicurarci, traducendo l’ansia in un impulso all’azione. Un medicinale che ha un effetto collaterale pesante: l’im postazione routinaria e schematica che imponiamo alla nostra vita fa piombare tutto ciò che facciamo nel baratro dell’e quivalenza. Non importa con cosa ab biamo deciso di riempire il tempo, ciò che conta è non rimanere soli. Il risul tato è un atteggiamento che ripara dal le angosce creando azioni ripetitive, il cui esito è l’impossibilità di fermarsi a Probabilmentepensare.

Per imparare a vivere meglio, dovrem mo imparare ad annoiarci di più. BY DAVIDE RUNNER JAMES PAUL

SHOP NOW ON WWW.LASPORTIVA.COM PROTEZIONI ERGONOMICHE MASSIMA AMMORTIZZAZIONE DOUBLE HEEL™ CONSTRUCTION VIBRAM SPRINGLUG TECH Equilibrio: sintesi armonica tra forze opposte e contrarie. Aequilibrium Series: il perfetto equilibrio tra comfort e tecnicità, leggerezza e durabilità, al servizio dell’alpinismo moderno. Il cuore è il tallone con tecnologia Double Heel™ che aumenta l’effetto frenante e permette una rullata più fluida riducendo l‘affaticamento muscolare. Aequilibrium ST GTX®: for your mountain.

4 THE CREW PHOTO PIERRE LUCIANAZ PRODUCTION The Pill Agency | www.thepillagency.com EDITOR IN CHIEF Denis Piccolo | denis@thepillagency.com EDITORIAL COORDINATORS Davide Fioraso, Filippo Caon, Chiara Guglielmina, Ilaria Chiavacci EDITING & TRANSLATIONS Silvia Galliani ART DIRECTION George Boutall | Evergreen Design House Niccolò Galeotti, Francesca Pagliaro THEPILLMAGAZINE.COM Ludovica Sacco | ludovica@thepillagency.com PHOTOGRAPHERS & FILMERS Matteo Pavana, Thomas Monsorno, Camilla Pizzini, Chiara Gugliel mina, Silvia Galliani, Francesco Pierini, Elisa Bessega, Andrea Schi lirò, Denis Piccolo, Achille Mauri, Simone Mondino, Alice Russolo, Patrick De Lorenzi, Giulia Bertolazzi, Tito Capovilla, Luigi Chiurchi, Isacco Emiliani, Pierre Lucianaz COLLABORATORS Filippo Caon, Chiara Guglielmina, Marta Manzoni, Sofia Parisi, Fabrizio Bertone, Eva Toschi, Luca Albrisi, Marta Manzoni, Luca Schiera, Giulia Boccola, Valeria Margherita Mosca SHOP & SUBSCRIPTIONS www.thepilloutdoorshop.com SHOP MAGAZINE MAP www.thepilloutdoor.com/magazine-finder COMPANY EDITOR Hand Communication, Via Piave 30, Saluzzo CN 12037, Italy hello@thepillagency.com COVER Kenya by Paolo Sartori PRINT L'artistica Savigliano, Savigliano - Cuneo - Italy, lartisavi.it DISTRIBUTION 25.000 copies distribuited in 1100 shops in Italy, Switzerland, Austria, Germany, France, Belgium, Spain, England & The Netherlands ADVERTISING hello@thepillagency.com | +39 333.7741506 FOLLOW US TheInstagram.com/thepilloutdoorwww.facebook.com/thepilloutdootwww.thepilloutdoor.comPillrivistabimestraleregistrata al tribunale di Milano il 29/02/2016 al numero 73

/ ENGINEERED IN THE DOL OMITES LOUIS GUNDOLF, SAFETY DISCUSSION, XIII+

6 ISSUE 56 THE DAILY PILL BEST JUSTOXYBURNECOKILLERMADECOLLABSSEVENAPERFECT DAY SULFUR TECNICA THEDEUTERNEW LIFE OF A QUARRY LUCA BANA MY MOUNTAINP.20P.16P.12P.8P.24P.28P.32P.36P.42P.46P.50 P.108P.90P.60P.54P.66P.74P.82P.98P.118P.130P.142 GABRIELE PINZIN LA SELVAGGIA VALLE MAIRA SOLICE JAMES POOLE L'ORSO FINLANDESE THE2050NORTH6ODISSEABIRTHOF WILD COUNTRY 100 MIGLIA MONVISO GIRO DEL KENYAFLIGHTMODEMONVISO PHOTO MARCO BENEDETTO CERINI

è stata studiata per offrire supporto e versatilità sulle vie più tecniche. Tecnologie e materiali innovativi rendono questa scarpa polivalente, in grado di offrire grandi prestazioni in tutti gli stili di arrampicata. VAPOR VERSATILITYONTHEEDGE. SHOP ONLINE · SCARPA.COM

VAPOR

OUTDOOR BY ISPO: ANNUNCIATE LE DATE PER I PROSSIMI TRE ANNI

NNORMAL LANCIA IL SUO PRIMO MODELLO: KJERAG

A giugno 2022 OutDoor by ISPO è tornato in presenza, nonostante il formato ridotto. Mediante un comunicato ufficiale, sono state rese pubbliche le date fino al 2025. Nel 2023 la fiera si terrà dal 4 al 6 giugno al MOC di Monaco di Baviera.

La collaborazione tra i due brand comincia 10 anni fa, quando Dynafit ini zia ad utilizzare il tessuto ad isolamento attivo Polartec Alpha integrandolo, nell’inverno 2014/2015, nella propria linea di scialpinismo Mezzalama. Pro prio la collezione Mezzalama ritorna in versione aggiornata proponendo un set da skimo leggerissimo, ultra-traspirante e facilmente comprimibile: gilet, giacca e sovrapantalone in Polartec Alpha con PET al 100% riciclato in grado di proteggere e isolare da vento e umidità.

Le date saranno, rispettivamente, dal 3 al 5 giugno 2024 e dal 19 al 21 maggio 2025.

TECNOLOGIA CHE DÀ VITA ALLE MAPPE

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BY LUDOVICA SACCO

THE DAILY PILL FERRINO E IL POLITECNICO DI TORINO INSIEME PER LA COLLEZIONE SS23

Stessa location di quest’anno ma “abbiamo già iniziato a lavorare su numerosi modi per migliorare l’offerta di spazio e utilizzarlo in modo molto più efficiente”. Nei prossimi anni invece si sposterà alla Neue Messe München, nel distretto urbano di Riem.

Komoot ha recentemente lanciato una nuova tecnologia proprietaria: Trail View. Supportata dall’intelligenza artificiale, ha il compito di riconoscere le immagini caricate dalla community per segnalare in maniera accurata le condizioni e la natura dei sentieri. In questo modo, gli appassionati potranno pianificare ancora più precisamente il tour da affrontare in base alle proprie capacità e tipo di sport. Per il lancio della nuova tecnologia, sono state scan sionate automaticamente oltre 15 milioni di immagini caricate dagli utenti.

KOMOOT LANCIA TRAIL VIEW, LA NUOVA

POLARTEC X DYNAFIT: IL RITORNO DELLA COLLEZIONE MEZZALAMA

NNormal, il neonato brand di Kilian Jornet, ha presentato il suo primo modello: si tratta di Kjerag, scarpa da trail running leggera e adatta a tutti. Situata sulla costa occidentale della Norvegia, Kjerag è una montagna che premia chi arriva in cima con viste mozzafiato sui fiordi. Per raggiungere la vetta si possono affrontare diversi percorsi, di ogni livello. È questo che ha ispirato NNormal a chiamarla Kjerag, una scarpa realizzata per ogni tipo di corridore. Con un peso di appena 200g, sarà disponibile in Europa e in Nord America da questo autunno.

L’evoluzione dei prodotti Ferrino segue una continua ricerca, il cui focus è garan tire caratteristiche ergonomiche superiori e un comfort senza precedenti. A fare la differenza, secondo quanto riportato dall’azienda, sono le caratteristiche tecni che dello schienale, fondamentali per gestire il carico e la temperatura. Numerosi test, svolti con il Politecnico di Torino, hanno permesso di gestire questi fattori. In arrivo nuove soluzioni nell’offerta di tende 3 stagioni per rispondere con una gamma più completa al crescente trend del fast trek con i modelli Thar 2 e Rift 2.

THE FIRST ALL-MOUNTAIN SHOE BUILT AROUND YOU TECNICA MAGMA S GTX INCUSTOMIZED15MINUTESBLIZZARD-TECNICA.COM MOMENTTHELIVE

BY LUDOVICA SACCO

THE NORTH FACE PRESENTA LA COLLEZIONE TRAIL RUNNING CON L'ARTISTA FERNANDO ELVIRA

Altra presenta Mont Blanc BOA, la prima calzatura nata in collaborazione con BOA Technology per offrire una calzata precisa e performante sulle lunghe di stanze. Mont Blanc BOA presenta una tomaia caratterizzata dal PerformFit Wrap powered by the BOA Fit System, con due rotelle che consentono di operare i microaggiustamenti necessari per ottenere una calzata precisa e avvolgente. Il risulta to è una maggiore connessione tra piede e scarpa e un’incrementata stabilità e dinamicità con il terreno per scegliere in ogni momento la vestibilità adeguata.

AGGIORNAMENTI DALL’ EUROPEAN OUTDOOR SUMMIT

Tempo di guardare avanti per l'European Outdoor Summit (EOS), il meeting promosso da European Outdoor Group che si terrà il 6 e 7 ottobre ad Annecy.

Oltre 150 senior executive hanno già confermato la loro presenza: Intersport, Haglöfs, Patagonia, Ortovox, Millet, La Sportiva, Petzl, Buff, Osprey, The Nor th Face, Icebug, Deuter, SCARPA, Keen e Osprey solo per citarne solo alcuni. Relatori ed esperti incoraggeranno il dibattito, informeranno, istruiranno e ispireranno i delegati a lavorare insieme come industria, per apportare i cam biamenti necessari per avere successo, sostenibilità e competitività in futuro.

PREMIO LETTERARIO ZAMBERLAN, IL CONCORSO DI NARRATIVA DEDICATO AI “CAMMINI”

Zamberlan ha recentemente presentato il proprio premio letterario, concorso di narrativa dedicato all’esperienza del “cammino”. L’atto di muoversi a piedi è diventato negli ultimi anni un’esperienza d’incontro, avventura, meditazio ne, salute. Allora perché non raccontarlo? Il bando si potrà scaricare da novem bre sul sito www.premiozamberlan.it. Il Premio nasce con diversi obiettivi tra i quali la valorizzazione del cammino, dell’identità territoriale, di un miglior rapporto tra uomo e ambiente, il sostegno a progetti che esaltano il paesaggio.

THE DAILY PILL RAB: IL SERVIZIO DI RIPARAZIONE SECOND STITCH ARRIVA IN TUTTO IL MONDO

Dopo aver gestito con successo l’upcycling interno presso il proprio centro di assi stenza nel Regno Unito, luogo d’origine del brand, Rab ha trasformato Second Stitch in un servizio di riparazione online a livello globale. Ciò ha uno scopo molto nobile: ridurre lo spreco di materie prime utilizzate nella produzione di nuovi capi di abbi gliamento, mantenendo al contempo in azione gli indumenti esistenti più a lungo. I Rab Service Center, infatti, in qualità di azienda certificata Climate Neutral, mirano a ridurre le emissioni di carbonio e raggiungere emissioni nette zero entro il 2030.

ALTRA DEBUTTA CON LA SUA PRIMA SCARPA DOTATA DEL SISTEMA BOA

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The North Face ha presentato la speciale collezione trail running “Elvira”, frutto della collaborazione con Fernando Elvira. L'artista spagnolo ha creato una stam pa unica in cui ogni simbolo rappresenta un momento nella mente di un ultra runner: le vette e le valli, gli alti e i bassi, i vicoli ciechi e i nuovi inizi. Perché anche con le gambe più forti e la preparazione più accurata, la gara si vince nella men te. La collezione è composta da una serie di capi e scarpe tra cui la giacca Flight Series Lightriser Futurelight e la scarpa limited edition Flight VECTIV Elvira.

1.MEINDL ISLAND MFS ROCK

Una vera leggenda nella storia degli scarponi da montagna. 30 anni dopo la prima versione, la serie Island si ripresenta con un nuovo design. Spe ciali zone di pronazione e supinazione supportano una camminata natura le. La versione Rock, compatibile con ramponi semiautomatici, è adatta a escursioni impegnative.

Il tempo passa, ma il fascino delle fia schette in pelle resiste ancora. E quella di Shinola, è tra le più belle che ab biamo mai visto. Acciaio inossidabile spazzolato, avvolto da una lussuosa pelle italiana premium conciata al vegetale. Dimensioni discrete per il gentleman che vuole portare appresso 6 once del suo liquore preferito. FIORASO

Per le feste, i picnic e per tutti quelli che amano uno stile di vita vagabon do. L'esclusivo design con alloggia mento cool-touch e maniglia oscillante facilita il trasporto. La dimensione da 8 quarti contiene abbastanza cibo per sfamare una folla. Può cucinare in mo dalità lenta o mantenere semplicemen te i cibi al caldo.

4.PRESTO NOMAD T RAVELING SLOW COOKER

Versatile, potente, precisa. Quantix SF è il modello SCARPA all round per fa lesia e vie lunghe, adatto a tutti i tipi di roccia. Una scarpetta innovativa con tecnologia Single Frame che sostiene il piede dal basso. È dotata di un’in tersuola dinamica Flexan su ¾ della lunghezza per un’eccellente tenuta su tutti gli stili di arrampicata.

3.WILDERNESS SYSTEMS P UNGO 120

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Unendo celebri elementi di design con un tocco moderno, la nuova versione di Pungo offre prestazioni dinamiche con stabilità superiore, velocità impa reggiabile, comfort premium ed equi paggiamento intelligente. Il sistema brevettato Phase 3 AirPro è il fulcro di ciò che rende i kayak Wilderness Sy stems i più comodi al mondo.

BEST MADE BY DAVIDE

6.UCO COLLAPSIBLE CAMP CUP

5.SCARPA Q UANTIX SF

Realizzata in polipropilene ultra re sistente, la Camp Cup di UCO Gear è un recipiente compatto progettato per l'avventura. La base flessibile in TPE si ripiega all'interno della strut tura rigida riducendone l'altezza del 50%. Impugnatura ergonomica con foro di fissaggio per moschettone. Capacità 350ml.

2.SHINOLA L EATHER WRAPPED FLASK

ENDORPHIN EDGE BEYOND BOUNDARIES. saucony.it

10.ALBA OPTICS

Con un peso di soli 45g, Fly è la giacca di “emergenza” più leggera sul mer cato. Capo indispensabile da portare sempre nello zaino, ha un taglio inno vativo che consente di contenere le cu citure al minimo. Il tessuto ha un coa ting interno che riduce sensibilmente la fastidiosa sensazione di “appiccico” tipico del nylon.

8.ALPAKA Z IP POUCH

9.LA SPORTIVA A EQUILIBRIUM LT GTX

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Stratos adotta le nuove lenti in policar bonato VZUM, sviluppate da Alba Op tics con un obiettivo: fornire la massima esperienza visiva in tutte le condizioni atmosferiche e su tutti i terreni. Lo sfiato centrale consente al calore di fuoriuscire prima che possa offuscare la vista. La montatura fissa la lente intercambiabi le con un semplice sistema ad incastro.

7.CRAZY FLY JACKET

BEST MADE BY DAVIDE FIORASO

STRATOS RST VZUM FLENS FLM

Fitly è uno zaino ultra compatto per portare con te tutto ciò di cui hai biso gno e correre come se non avessi niente addosso. Progettato ergonomicamente tenendo conto della biomeccanica, è dotato di un sistema di cintura toracica in attesa di brevetto. Due le versioni di sponibili: Sub45 per le uscite più brevi e Sub90 per quelle più lunghe.

11.FIFLY R UNNING PACK

First Dawn è la protezione impermea bile che serve nelle tue corse: leggera, traspirante, discreta e appositamente pensata per il trail running. Questo guscio DryVent a 2,5 strati è realizza to con 100% nylon intessuto riciclato Ripstop con cuciture termosaldate e finiture DWR prive di PFC. Tasca po steriore con cerniera.

12.THE NORTH FACE F IRST DAWN JACKET

Lo scarpone da escursionismo alpino ideale per backpacking e camminate di più giorni in quota. Costruzione del tal lone Double Heel che aumenta l’effetto frenante e permette una rullata più flu ida. Nuovo pacchetto suola/intersuola con costruzione Rubber Guard. Snodo direzionale 3D Flex System Evo per una perfetta mobilità della caviglia.

Un modo pratico per trasportare carte, contanti e altri oggetti mantenendo li asciutti dagli elementi. Realizzato in tessuto X-Pac VX21 resistente alle intemperie (e 100% carbon neutral), è foderato con nylon ripstop e chiuso da cerniere impermeabili YKK. Custodia extra per monete e protezione da scan sione RFID.

1.DONALD GLOVER X NEW BALANCE RC30

KILLER COLLABS BY DAVIDE FIORASO

Attore, cantante, comico, sceneggiato re, produttore. Ai suoi tanti talenti Do nald Glover aggiunge anche quello di "designer di calzature". La RC30 è una raffinata rivisitazione dei modelli da corsa degli anni '60 e '70. Il design mar catamente scanalato aggiunge un tocco contemporaneo alle proporzioni, pren dendo spunto dalla storica Trackster.

6.SATISFY X NORDAÙ 001 JADEITE

Jeff Staple, inesauribile creativo e pio niere dello streetwear, celebra i clas sici di casa Fossil reinterpretandoli con elementi in stile retro-futuristico e mid-century. Con dettagli ispirati al motivo veneziano, Nate è stato ripro gettato per sembrare “come estratto dalla Terra”. Cassa da 44 in acciaio inossidabile rivestita in silicone.

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4.TAXA OUTDOORS X TOPO DESIGNS WOOLLY BEAR TRAILER

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3.JOHN VOGL X RUMPL X SRAM ORIGINAL PUFFY BLANKET

Satisfy firma la propria versione del modello 001 di Norda, la prima scarpa da trail running realizzata con Dyneema a base biologica. Of ferte in una colorazione Jadeite con dettagli riflettenti che richiamano il mood Peace & Silence su lacci, lin guetta e alette. Ogni paio viene for nito con una borsa in nylon riciclato.

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Topo Designs e TAXA Outdoors pre sentano il trailer dei sogni, un vero e proprio campo base su ruote. Woolly Bear include uno spazio cucina, siste mi di stoccaggio, cassetto frigorifero ed una piattaforma rialzata che può ospitare una rooftop tent da 3 persone. Studiato per il fuoristrada, può seguir ti in ogni angolo della Terra.

Rumpl ha collaborato con il leggenda rio produttore di componenti SRAM e l’artista di Minneapolis John Vogl, per dare vita a questa vibrante versio ne della sua originale Puffy Blanket, la coperta all-season resistente alle intemperie. Colori caldi e pattern na turali su una base di colore rosso che richiama il marchio SRAM.

2.STAPLE X FOSSIL NATE SUNDIAL

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5.RVCA X HELINOX CHAIR ONE La collaborazione tra Helinox e RVCA unisce il comfort leggendario della Chair One a nuovi motivi in edizione limitata dell’artista Kelsey Brookes, ex scienziato che dal 2005 ha iniziato a sviluppare uno stile unico di arte fi gurativa. Parte del programma RVCA Artist Network, la collezione è pensa ta per vivere l'avventura.

WAVE DAICHI 7

Una scarpa da trail running da uomo che si adegua allo spirito avventuroso di chi pratica questa attività. La nuova Wave Daichi 7 è dotata della MIZUNO WAVE, che ne migliora la struttura, e suola in EVA per una maggiore stabilità senza sacrificare l’ammortizzazione. La leggera suola in gomma Michelin offre un’aderenza impareggiabile in natura e il sistema di calzata regolabile protegge il piede, offrendo un’adattabilità imbattibile.

KILLER COLLABS BY DAVIDE FIORASO

Nella collezione SS22 di Supreme non è passato certo inosservato il trailer realiz zato da Airstream, storico produttore di caravan con sede in Ohio. La versione mo noasse da 22’ è facilmente riconoscibile da un'enorme tendalino Supreme. L'inter no è decorato con pavimenti personaliz zati, divano in pelle rossa, materasso con set di trapunte e cuscini in co-branding.

9.MISSONI X SUICOKE DEPA SALDALS

Per l’ultima uscita della Artist Series, TJB ha collaborato con Schoph Scho field per una grafica personalizzata del coltellino Elko. Schoph è un artista bri tannico divenuto famoso grazie ai nu merosi lavori nel mondo snowboard per marchi come Volcom, Lib Tech e Vans. Ha inoltre seguito progetti personali per una leggenda come Jamie Lynn.

Un design insolitamente cool che di stinguerà ogni tuo sorso da tutto il resto. Nella collezione Stance x Cor kcicle il Tumbler da 24 once in accia io inossidabile con triplo isolamento, la coffe mug con fondo antiscivolo e lo Sport Canteen per l'ufficio o il tem po libero che mantiene le bevande fredde per 25 ore, calde per 12.

11.STANCE X CORKCICLE COLLECTION

La prima collaborazione assoluta tra Huckberry ed il brand di Wolverine World Wide cavalca il successo del mo dello Hydro Moc, leggerissima slip-on in EVA sagomata progettata per solca re i sentieri che portano dentro e fuori dall'acqua. Edizione limitata in questa colorazione Coyote che troverai solo su huckberry.com.

12.THE JAMES BRAND X SCHOPH SCHOFIELD THE ELKO

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Seguendo il motto “Ride with Pride” nasce il cappellino da ciclismo Chro me Industries disegnato da Gay's Okay Cycling. Come parte della colle zione Citizen Chrome, che si concen tra sul giving back, il 100% dei profitti sarà donato ad OutRight Action In ternational a sostegno della comunità LGBTIQ+.

7.SUPREME X AIRSTREAM TRAVEL TRAILER

10.HUCKBERRY X MERRELL HYDRO MOC

M issoni presenta la sua prima col laborazione con la label nipponica Suicoke. Gli inconfondibili tessuti dello storico brand italiano incon trano l’estetica dei sandali Depa. Gli iconici pattern zigzag prendono vita attraverso il design Suicoke su palette accese i cui colori richiamano una na tura esotica e stimolante.

8.CHROME X GAY'S OKAY CYCLING CAP

LessCO2 blaLessbla Moreaction LESS Fake LESS EMISSIONS MORESOLIDARITY More RecyclingMORE CLIMATE NEUTRAL* OUTDOOR EQUIPMENTvau.de/climateneutralVAUDE and all VAUDE products are climate-neutral. The emissions arising from mobility, materials, manufacturing, and shipping are analyzed and systematically reduced. Emissions that are currently unavoidable are fully offset through the independent non-profi t organization myclimate. * ACHIEVEWEARLESSMORE

The North Face ha annunciato la sua collaborazione con la prestigiosa Accademia Costume & Moda di Roma per un’i niziativa unica nel suo genere. La partnership unirà gli stu denti più brillanti dell’Accademia al team The North Face, con l’obiettivo di sviluppare un progetto incentrato sul de sign circolare e sul pensiero creativo del futuro. Il risultato di questa partnership verrà presentato durante un evento speciale che si terrà presso Orefici 11, il flagship store di VF Corporation a Milano. Maggiori dettagli sull’iniziativa ver ranno resi disponibili prossimamente.

GREEN SHAPE AUMENTA LA SUA

U NITED REPAIR CENTRE: MAKERS UNITE E PATAGONIA CONTRO I VESTITI USA E GETTA Makers Unite e Patagonia hanno aperto ad Amsterdam lo United Repair Centre, un centro per la riparazione degli indu menti di tutta Europa. L'obiettivo è quello di agire come an tidoto ai vestiti usa e getta, rendendo più facile per i marchi incorporare la riparazione e il riutilizzo nel loro modello di business, contribuendo così a contrastare l'impatto negativo dell'industria tessile. Per avere un ulteriore effetto positivo, l'organizzazione offre lavoro e formazione alle persone in dif ficoltà. Le parti coinvolte sono sostenute da un consorzio di in vestitori olandesi con particolare attenzione all'impatto sociale.

Lo standard Green Shape per prodotti “environmental ly friendly”, introdotto internamente da Vaude nel 2010, ha raggiunto un'altra pietra miliare: un consiglio esterno composto da sei noti esperti di settore fornirà all'azienda, con effetto immediato, consulenza tecnica su tutti i temi ambientali. Questi argomenti garantiranno lo sviluppo di criteri al più alto livello possibile e soddisferanno le specifiche più rigorose dell'intera industria tessile. Nella fase successiva, Green Shape dovrebbe ricevere l'accredi tamento esterno.

CREDIBILITÀ E INDIPENDENZA

T HE NORTH FACE E ACCADEMIA COSTUME & MODA PARTNER PER IL FUTURO

ECO SEVEN

FIORASOVAUDE:

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/coberpoles@coberpoleswww.cober.it

ECO

E LAN OTTIENE IL RICONOSCIMENTO

GREEN STAR

Elan, l’unico produttore di sci che può affermare di progetta re, testare e produrre i suoi prodotti in un unico luogo, con il 100% di energia rinnovabile, ottiene l'ambito certificato Green Star per l’integrazione dei piani di responsabilità sociale e so stenibilità fino al 2030. Il 2022 è stato un anno fondamentale per Elan, con l’avvio di una centrale solare presso la sede slo vena di Begunje. Questo segue gli sforzi degli ultimi 10 anni, come l'introduzione di un nuovo standard per la tecnologia di stampa digitale ed il risparmio di oltre 32 tonnellate di ri fiuti di composti organici volatili (VOC) dal 2016.

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Sostenibilità non significa solamente attenzione agli aspetti pro duttivi, ma anche all’ambiente di lavoro e al benessere dei dipen denti. Il nuovo stabilimento di Monastir, Tunisia, rappresenta per Millet un ulteriore passo avanti per privilegiare il circuito breve, aumentando così la % di produzione di capi in tessuto confezionati in stabilimenti di proprietà, conformi ai requisiti che garantiscono il rispetto della CSR. A due ore di distanza dal la capitale, il nuovo edificio è qualcosa di rivoluzionario: 3500mq di spazio luminoso offrono ai 160 dipendenti condizioni di la voro moderne e un comfort ottimizzato negli spazi comuni.

M ILLET: UN NUOVO PASSO V ERSO LA SOSTENIBILITÀ

E DDIE BAUER LANCIA IL NUOVO PROGRAMMA (RE)ADVENTURE Noleggio, rivendita, riutilizzo. Eddie Bauer entra nel commercio circolare al fine di offrire prodotti convenien ti a più clienti possibili e prolungare così il loro ciclo di vita. Con il lancio del suo programma (Re)Adventure, lo storico marchio fondato nel 1920 a Seattle offre prodotti di rivendita a prezzi scontatissimi così come il noleggio giornaliero. Eddie Bauer si unisce a un movimento cre scente che vuole rendere lo spazio esterno più inclusivo e accessibile, nonché rispettoso dell'ambiente evitando il mantra "nuovo, nuovo, nuovo”. SEVEN BY DAVIDE FIORASO

C OTOPAXI DIVENTA MEMBRO DI 1 % FOR THE PLANET

Cotopaxi ha annunciato la propria adesione a 1% For the Planet, organizzazione internazionale che raggruppa imprese impegna te finanziariamente nella creazione di un pianeta sano, assisten do enti non profit che lavorano per migliorare le condizioni del pianeta. Fin dalla sua nascita, nel 2014, Cotopaxi ha donato l'1% dei proventi a partner dedicati attraverso la propria fondazione. "Dare è fondamentale per chi siamo come marchio e crediamo di poter fare di più insieme di quanto possiamo fare da soli" ha affermato Davis Smith, fondatore del brand. "Ecco perché siamo orgogliosi di far par te di una comunità globale di marchi che la pensano allo stesso modo.”

sibilità a chiunque, cura dei dettagli, comfort e durabilità.

Innovazione tecnologica e dei materiali Oxyburn studia e applica in manie ra chirurgica le tecnologie in base al tipo di capo e performance richiesta; un esempio è la Skin Tech che utilizza un tessuto le cui fibre cave forniscono termoregolazione in ogni contesto cli matico. Un’altra interessante tecnolo Il marchio Made in Italy di intimo tecnico sportivo continua a ricercare nuove soluzioni tecnologiche anche per gli atleti outdoor più esigenti.

24 THE PILL PRODUCTS BY LUDOVICA SACCO

I prodotti devono seguire caratteri stiche imprescindibili come l’acces

l’azienda sperimenta ma teriali e collauda modelli in condi zioni estreme grazie al supporto e i feedback del proprio team di tester.

L’intimo sportivo è ormai una secon da pelle, risultando uno degli strati più importanti da valutare durante le attività outdoor. È quindi fonda mentale utilizzare tessuti che siano morbidi, che non creino alcun attrito, che possano essere caldi ma allo stes so tempo molto traspiranti. Si devono adattare facilmente al corpo e ai mo vimenti, indipendentemente dal tipo di attività. Per questo motivo è ne cessaria una ricerca costante su ma teriali e tecnologie, per approfondire le necessità degli appassionati degli sport outdoor e riuscire a garantire le migliori performance per svolgere l’attività outdoor in pieno comfort e libertà di movimento. Live More Lives Il giovane brand bresciano Oxyburn (www.oxyburn.it) è un esempio del la costante ricerca verso qualità e innovazione nel settore dell’intimo tecnico sportivo. Ha iniziato il suo percorso concentrandosi sulle calze, sviluppando nel tempo il proprio know-how e applicandolo successi vamente nella realizzazione di un derwear per il mondo running, bike e winter sport. “Live More Lives” sono le parole chiave che racchiudo no la filosofia di Oxyburn, ovvero creare capi al servizio del benessere e delle prestazioni di ogni tipo di

TecnologiaOxyburn

Peratleta.farlo,

wearperinnovazioneel’under-tecnico

Scopri,komoot.it/adventure-ispianificaecondividiavventureconkomoot.

THE PILL PRODUCTS BY LUDOVICA SACCO

gia è la Exo-Skeleton, in grado di so stenere la muscolatura e ottimizzare la prestazione sportiva attraverso la struttura elastica Integratech. Que sta presenta delle celle tridimensio nali nella trama che producono un effetto massaggiante diminuendo la percezione della fatica e il rischio di contratture e crampi. L’azienda si concentra inoltre anche sul tipo di compressione dei capi, ad esempio l’utilizzo di una media compressio ne graduale riesce a incrementare la velocità del flusso ematico, con un migliore apporto di ossigeno alla muscolatura e un recupero più rapi do della tonicità. Con la SS22 Oxyburn ha presenta to diversi articoli di intimo tecnico performante per accompagnare gli sportivi anche nella stagione calda. Abbiamo selezionato i nostri prefe riti realizzando un outfit da uomo e da donna, in modo da raccontarvi nel concreto le novità in casa Oxyburn. Outfit uomo La maglia a manica corta Hill ha una vestibilità morbida e meno aderen te rispetto ai classici capi Oxyburn, utilizza una struttura a microrete autoventilante e applica uno stra to di fibra Dryarn a contatto con la pelle permettendo di mantenere il microclima corporeo ottimale. Com pletano l’outfit i traspiranti shorts Dynamic e la calza short-cut Levitate con trama a densità differenziate e inserti in fibra di carbonio. Outfit donna Consigliamo la canotta Type con il suo tessuto leggero e morbido che integra una struttura a rete autoven tilante, facilitando la traspirazione. Impossibile non citare il reggiseno sportivo Fit-Bra, con struttura elastica anatomica per la massima percezione dei movimenti. Completano l’outfit gli shorts Rise Up con tessuto analler gico, ideali per le pelli più sensibili.

Remco Graas è cresciuto in Olanda, dove notoriamente il panorama non ti mette di fronte a cime tutti i giorni, ed è proprio come si dice: lontano dagli oc chi, lontano dal cuore. Per tutta la sua infanzia sono servite a poco le vacanze con i genitori nelle Alpi: per Remco la vacanza vera iniziava quando torna vano a casa e poteva dedicarsi a due delle sue cose preferite: la piscina e il Game Boy. Il turning point, il momen to in cui Remco ha iniziato ad amare le vette, come spesso succede, è avvenuto nell’unico momento possibile, nell’ulti mo viaggio con i suoi sulle Alpi: diffi cile dire cosa abbia fatto scattare in lui

Just perfecta day

Se vivi e lavori a Innsbruck, e tutti i giorni alzando lo sguardo ti trovi di fronte la parete montuosa della Nor dkette, può succedere che a un certo punto tu abbia voglia di andarci. Può succedere soprattutto se l’amore per la montagna non è qualcosa che hai sempre avuto, ma l’hai scoperto pia no piano, si è introdotto in punta di piedi quando tu neanche ci pensavi e poi è diventato tanto grande da gui dare le scelte più importanti della tua vita. Il protagonista di questa storia non è un atleta famoso, un alpinista blasonato o qualcuno che ha scelto di compiere un’impresa folle, ma un ra gazzo che ama la montagna proprio come tutti quelli che si ritrovano tra le mani The Pill e che, un giorno, ha deciso di spararsi 3800 chilometri di dislivello in un colpo solo.

Steck, grazie al loro esempio capì che con più allenamento, quindi più forza nei muscoli, e un’attrezzatura ridotta all’osso, tutto sarebbe stato più sem plice e godibile. La montagna a quel punto lo aveva già definitivamente conquistato: stava ancora lavorando su tecnica ed equipaggiamento, ma l’a more viscerale era già esploso dentro di lui tanto che, nel 2017, sono successe due cose. La prima è che Remco ha de ciso di trasferirsi a Innsbruck per la vorare da Black Diamond Equipment, azienda che, per chiunque ami scalare, è the place to be come dipendente, e poi ha iniziato a pensare al progetto di scalare tutti i 4000 che ci sono in Europa. Un progetto come quello che vede l’inanellare così tante vette non può essere mosso dalla fretta, e Remco re la sua impresa porta avanti la sua vita e il suo lavoro da Black Diamond È proprio nel tragitto che compie tut ti i giorni verso l’ufficio che Remco comincia a pensare a un altro modo per suggellare la sua passione per le vette. Alzando il naso dalla pedalata, ogni mattina, segue il profilo della cresta della Nordkette, la catena mon tuosa che abbraccia Innsbruck. “A un certo punto ho iniziato a pensare che sa rebbe stato divertente scalarla tutta in un solo giorno, dalla mattina alla sera, anzi, dall’alba alla sera.” È così che nascono le idee per le piccole e grandi imprese di L’amore per la montagna può portare a compiere grandi imprese, ma anche guidare scelte di vita e portare un ragazzino che amava solo piscina e Game Boy a farsi quasi 4000 metri di dislivello in un giorno solo.

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30 THE PILL STORIES montagna: parte tutto da un’immagi ne, o da qualcosa che viene ascoltato o visto per caso, oppure da una sorta di richiamo ancestrale che le vette eserci tano su di noi. “Sono uscito di casa un sa bato sera verso le 2 del mattino: Innsbruck è una città molto viva, non dorme mai e a quell’ora c’era un sacco di gente in giro, dai bar e dai locali del centro proveniva musica di ogni genere. Io pensavo solo a quanto sarebbe stato bello vedere l’alba dalla cima del Brandjochkreuz.” Dal pensare al fare è un attimo, basta uscire poco fuori città, nascondere la bici dietro a un albero e poi iniziare a salire “Più salivo e più la musica e i ru mori della città si attutivano: man mano che passavano i minuti aumentava la lu minosità e riuscivo a distinguere meglio l’incredibile panorama che avevo di fronte. Dalla cima la città pareva così vicina che quasi mi sembrava di riuscire a vedere la mia ragazza prendere il caffè sul nostro balcone.” Passo dopo passo, senza la fretta di raggiungere traguardi o col lezionare vette, Remco ha trovato la sua strada e il suo modo di onorare la montagna: con 3800 metri di dislivello e 33 chilometri fatti in un solo giorno per godersi un’alba spettacolare dalle montagne di quella che, ormai, per Remco è casa. Una piccola impresa che però si è meritata di diventare un piccolo case history in azienda e di trasformarsi anche in una campagna video Black Diamond Equipment che si intitola, non a caso, Step by Step e che è stata lanciata ad agosto sul sito del brand. Più salivo e più la musica e i rumori della città si attutivano: man mano che passavano i minuti aumentava la luminosità e riuscivo a distinguere meglio dipanoramal’incredibilecheavevofronte.

BY ILARIA CHIAVACCI

Inside TecnicaSulfur

Come siete intervenuti? Abbiamo lavorato a stretto contatto con il nostro pool di tester internazionali su tutto l'arco alpino, composto da quindici alpinisti di cui la maggior parte lavo ra anche come guida alpina, sia nella fase di concezione sia in quella di test e validazione. Questo ci ha aiutato a mantenere fede al brief e ai bisogni irrisolti identificati in sede di analisi. Durante lo sviluppo abbiamo attiva to tre diverse fasi di test che ci hanno Da Marzo 2023 Tecnica si presenterà al mercato outdoor con una nuova scarpa da avvicinamento veloce, idealmente sviluppata per i professionisti della montagna, come le guide alpine, e per gli alpinisti e gli appasionati più tecnici che in generale sono alla ricerca di una scarpa performante, precisa e al tempo stesso comoda, per attività come avvicinamento, arrampicata su vie normali, quindi con gradi facili, scrambling e vie ferrate. Questa scarpa si chiama Sulfur.

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Adriano, è la prima volta che Tecni ca si presenta in questo segmento di calzature? Tecnica ha un ambi zioso piano di sviluppo pluriannuale per tutte le attività in montagna. Con Sulfur affrontiamo per la prima volta la categoria tech approach sia per una scelta di posizionamento del brand nel segmento ad alte prestazioni, sia per la possibilità di offrire un prodotto per le attività tecniche estive ai nostri clienti core che utilizzano con soddisfazio ne i prodotti Tecnica nella stagione invernale. Quindi le guide alpine, i professionisti della montagna e quegli appassionati che per le attività scial pinistiche indossano i nostri scarponi ZeroG e Peak. Questi, infatti, sono i medesimi professionisti e appassiona ti che nella stagione estiva indossano tipicamente le scarpe da avvicinamen to. Quali sono le caratteristiche e le necessità che una scarpa da appro ach deve avere? Sono caratteristiche teoricamente opposte tra loro. Grip e aderenza su terreni rocciosi, precisio dalle scarpe da avvicinamento è stata affrontata secondo una strategia di compromesso, cercando un punto di equilibrio tra caratteristiche opposte. Io stesso sono una guida di montagna, e conosco bene il dilemma di dover scegliere tra una scarpa scomoda ma precisa in arrampicata, e una scarpa più confortevole ma meno affidabile quando accompagno i clienti. Con la Sulfur abbiamo lavorato a una solu zione senza compromessi, ingegneriz zando soluzioni di design e tecnologie come la nuova Adaptive Shape Tech nology per ottenere un preciso fit da arrampicata, e avere allo stesso tempo il massimo livello di confort grazie al sostegno offerto dalla innovativa struttura di supporto dell'intersuola.

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aiutato ad affinare il progetto in ogni minimo dettaglio. La sfida per noi più grande come team di sviluppo è stata quella di unire proprietà tipiche della performance in verticale (precisione, grip, supporto) con tipologia di calzata e proprietà tipiche della fase di cam minata in avvicinamento (comfort di calzata e ammortizzazione).

Tante novità, a partire dalla tecno logia AST - Adaptive Shape Technology. Di cosa si tratta esattamente? Ogni piede ha una forma diversa, que sto è un dato di fatto. A partire dalla stagione estiva 2023 introduciamo la nuova tecnologia AST, Adaptive Sha pe Technology, che unisce insieme di versi ingredienti innovativi. Attraver so l'integrazione di schiume memory adattive in EVA di diverse densità con inserti termoplastici preformati e un plantare Ortholite, la Sulfur ha una costruzione anatomica del sottopiede senza concorrenti, che si adatta per fettamente alla forma di ogni piede. Inoltre la tomaia della Sulfur è stata sagomata attorno a una forma per cal zature anatomica, sviluppata e utiliz zata in esclusiva da Tecnica per otte nere una calzata precisa e avvolgente. Il risultato è che veste come un guanto già come esce dalla scatola, con un ec cellente sostegno dell’avampiede e del tallone che garantisce un supporto sta bile anche sui terreni più tecnici. Parlami dell’innovativa placca Edge Frame. Questo è un pò il se greto nascosto nella nuova Sulfur. Si tratta di un plate sviluppato dal team di ricerca e sviluppo, posizionato a contatto con l'intersuola, con cui lavo ra in sinergia. Realizzato in TPU, un elastomero termoplastico ad alte pre stazioni, è caratterizzato da una com binazione di nervature longitudinali che garantiscono durezza e rigidità torsionale alla punta e al mesopiede, e forature trasversali che favoriscono la flessione nell'area del metatarso. Il risultato è di fornire alla Sulfur per offrire la rigidità e il supporto di una piede alla punta, garantisce rigidità torsionale e stabilità del flex, aggiun gendo ulteriore supporto alla tecno logia Edge Frame. Sotto il tallone, ab biamo utilizzato una mescola in EVA del 10% più morbida, che assicura una migliore ammortizzazione e adattabi lità al suolo, per un comfort ottimale durante la camminata.

Quali altre soluzioni tecniche sono state ingegnerizzate per esaltare la precisione in arrampicata? Diciamo tica di offrire un prodotto veramente cata fino in punta. Il profilo rocker del pacchetto intersuola e suola che una transizione più fluida dal tallone alla punta. La suola Vibram con mescola Megagrip e climbing zone piatta in punta. E la fodera Gore-Tex per la ver sione impermeabile. Una scarpa con caratteristiche pre mium. Da quando sarà disponibi le? Al momento abbiamo la Sulfur in 6 taglie demo disponibili per i nostri promoter, gli atleti e per farle prova re in anteprima ai clienti. Da marzo 2023 sarà disponibile al pubblico in versioni specifiche da uomo e donna, con l'opzione di tomaia in pelle scamo sciata o tessuto sintetico, con o senza la

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membrana Gore-Tex.

THE PILL PRODUCT BY DAVIDE FIORASO TO ADRIANO ROSSATO

PosettesColdesAiguillettePosettesdes

è saper approcciarsi a questa maesto sa natura alpina con lo stesso sguardo incantato dei pionieri di queste vette, magari arricchito dalla moderna con sapevolezza dell'estrema fragilità della natura stessa. Ed è proprio con questo stesso approccio che ci mettiamo in moto verso uno dei classici del massiccio del Monte Bian co, stiamo parlando dell'Aiguillette des Posette. Situato all'estremità orientale della valle di Chamonix, l'Aiguillette des Poses è un percorso che può piace re a un’ampia gamma di persone. Il pa norama in vetta è uno dei più estesi del massiccio e da lì si possono osservare in particolare l’Aiguilles Rouges, il Buet, il Glacier du Tour, il Rifugio Albert 1er e la diga di Emosson. L'hike che abbia mo scelto è un anello con partenza nel parcheggio degli impianti di risalita in località Le Tour. Da qui si raggiunge l'Aiguillette des Posettes seguendo un SILVIA PHOTO

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PIERRE LUCIANAZ

Eppure, se torniamo indietro nel tem po, potremmo vedere come non furono gli alpinisti a “scoprire” Chamonix, ma gli antichi “camminatori” di allora. Fu rono infatti questi esploratori ante litte ram a farsi per primi soggiogare dal fa scino del Monte Bianco e, ancora oggi, una delle attività sportive più apprez zate nella valle di Chamonix è proprio l’hiking. I numerosi sentieri che offre la valle sono uno stimolo per riconnetter si con sé stessi e con la natura, ascoltan do il rumore dei propri passi e godersi l’attimo presente davanti ad uno scena rio spettacolare. Sui bellissimi sentieri di Chamonix c'è spazio per tutti e si può incontrare una grande varietà di persone: escursionisti, trail runner, al pinisti che si avvicinano alle loro vie di arrampicata o che salgono verso i rifu gi. Camminare lentamente o in modo veloce, da soli o in compagnia, con uno zaino a pieno carico o leggero. Nessuna di queste cose importa, ciò che conta Chamonix, anche conosciuta come la capitale mondiale dell’alpinismo. Esattamente qui, a fine ‘700 nacque questa attività che nel corso degli anni ha visto generazioni e generazioni di appassionati sfidare i ghiacciai e la cima imponente del Monte Bianco. Per questo motivo, scegliere Chamonix come meta delle proprie escursioni ad un primo, fugace, pensiero potrebbe sembrare senza alcun senso.

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GALLIANI

THE PILL STORIES TEXT SILVIA GALLIANI PHOTO PIERRE LUCIANAZ

Una volta superata la targa commemora tiva, la vista è completamente libera e di fronte ai nostri occhi si erge il massiccio del Monte Bianco e l’Aiguilles Rouges.

Il percorso si snoda poi tra imponenti paravalanghe che proteggono il paese sottostante. Ad un bivio, proseguiamo verso Aiguillette des Posettes. La vista è totalmente aperta, spettacolare, e il sen tiero attraversa una vegetazione bassa molto fitta composta, tra le altre cose, da cespugli di mirtilli. Il percorso si divide poi in due tratti paralleli che si rincon trano fino ad unirsi in un ampio terre no composto di ardesia. Dopo un'altra traversata, la vetta diventa ben visibile: davanti a noi si staglia un panorama maestoso. Una volta in cresta, riusciamo a sovrastare il paese di Vallorcine e, con un ultimo piccolo sforzo, raggiungia mo velocemente la vetta attraverso un sentiero leggermente più ripido. Infine, scendendo leggermente sul versante di Vallorcine, arriviamo alla Croix des pita. È ora di iniziare la nostra discesa, potremmo prendere lo stesso percorso dell’andata o proseguire in direzione Col des Montets per chiudere l’anello. Preferiamo questa seconda opzione, perché vale la pena dare un'occhiata al panorama offerto durante la prima par te della discesa! Il percorso segue la cre sta quasi in linea retta su di un sentiero in leggera discesa. Al termine della cre sta, si erge il Col des Montets e qui parte il percorso che porta al Lac Blanc. Da qui in poi la pendenza aumenta bruscamen te ma troviamo delle scale che facilitano la progressione. È un momento cruciale, bisogna stare attenti e proseguire in di rezione del villaggio di Le Tour per non finire al Col des Montets. La discesa con tinua nel bosco attraverso brevi tornanti abbastanza ripidi. Dopo aver attraversa to una passerella in legno, raggiungia mo finalmente il sentiero della salita e il parcheggio di Le Tour. Stanchi ma felici della piccola ma importante conquista che abbiamo appena ottenuto. E con gli occhi ancora pieni delle magnificenza del Monte Bianco e dei suoi paesaggi.

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sentiero che prima passa attraverso il bosco e successivamente all’aria aper ta nella sua seconda parte. In discesa il rientro avviene prima su di un sicuro sentiero in cresta per poi rientrare nel bosco e infine raggiungere di nuovo il parcheggio. È però possibile anche scen dere per il sentiero intrapreso in salita. Con i nostri zaini deuter completamente carichi per l'avventura di 2 giorni che ci aspetta, iniziamo il nostro itinerario dal parcheggio di ghiaia che si trova sulla sinistra quando si arriva al villaggio di Le Tour. Il sentiero, ben segnalato, sale dolcemente fino ad un primo incrocio, da qui seguiamo in direzione Aiguillet te des Posettes (l'altro trail è il sentiero del ritorno). Molto rapidamente il per corso sprofonda nel bosco, sempre ben tracciato e segnalato. Uscendo dal bosco il sentiero si fa più ripido e la vista spa zia sul villaggio di Le Tour, sul Col de Balme e sugli impianti di Charamillon e Les Autannes. Proprio Col de Balme è la nostra tappa per la notte. Il rifugio Col de Balme, costruito nel 1877, si trova infatti al confine tra Svizzera e Francia, tra Trient e Vallorcine. È aperto solo da giugno a settembre e la vista da qui è in credibile. Dopo una tranquilla notte di sonno profondo, ci svegliamo il giorno successivo pieni di energia. Una colazio ne veloce ma abbondante, prendiamo i nostri zaini e siamo pronti per ripartire.

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Durante l’attività

Al tempo stesso, ciò ci presenta anche delle sfide che dobbiamo essere in gra do di accettare e superare per vivere al meglio l’esperienza nella sua totalità. Quando si parla di difficoltà in monta gna la mente vola subito alla difficoltà del percorso, al dislivello che andremo ad affrontare, alla durata dell’escur sione. Ma anche mangiare in modo corretto in un ambiente montano o selvaggio può far sorgere alcune sfide interessanti, in particolare se si tratta di un'avventura di più giorni o di più set timane. Dalla conservazione degli ali menti, all’avere acqua calda corrente o un angolo cottura, sono tutti fattori da prendere in considerazione quando si decide di avventurarsi outdoor per più giorni e senza supporto. Il punto di partenza è pianificare in anticipo il maggior numero di pasti e spuntini che andremo a fare. Questo ha diversi vantaggi, permette infatti di mangiare in modo più sano, usare ingredienti freschi e possibilmente lo cali/stagionali, spendere meno soldi grazie ad un acquisto fatto in modo più intelligente, usare meno imballag gi di plastica. Altri fattori da tenere in considerazione sono: avremo accesso regolare al rifornimento e, in caso af fermativo, con quale frequenza e come sarà possibile accedervi? Come verrà trasportato il cibo? Come verrano con servati gli alimenti (nel caso si viaggi in ambienti freddi, caldi o umidi)?

Per la maggior parte delle attività che durano meno di 1 ora, non è necessa rio consumare qualcosa di diverso dall'acqua, a condizione che si abbiano adeguatamente riempito le riserve di glicogeno prima della partenza. Sulla base di recenti studi dell'Università del Texas, per chi si allena per più di un’ora, consumare 20-60g di carboidrati all'ora durante l'attività aiuta a ritardare l'affa ticamento e a migliorare la resistenza. Ottimale sarebbe scegliere fonti di car boidrati con IG da moderato ad alto che si convertono rapidamente in zucchero nel sangue: datteri, sformati di patate, sandwich di pane bianco, gel energeti ci, bevande sportive. Dopo l’attività Il momento migliore per fare riforni mento è il prima possibile dopo l'eserci zio. Nelle prime due ore, il rifornimento di glicogeno è più rapido, in genere il 130-150% del tasso normale. Nelle suc cessive 4 ore, il tasso rimane ancora ele vato ma a un livello inferiore. Fare ri fornimento in anticipo è fondamentale per coloro che saranno fisicamente attivi più volte in un giorno. La combinazione di proteine e carboidrati ha dimostrato in numerosi studi di essere più efficace nel promuovere il recupero del glico geno muscolare e la crescita del tessuto muscolare rispetto ai soli carboidrati. Alcuni esempi di spuntini post attivi tà possono essere frittelle fatte in casa, panini dolci e verdure a foglia, yogurt e sandwich al burro di arachidi e banana. Vivere esperienze a contatto con la natura può arricchire la nostra vita e darci innumerevoli soddisfazioni.

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SoulMountainFood

In seguito è consigliabile effettuare un leggero spuntino (se possibile) 6090 minuti prima dell’attività: vanno benissimo una bevanda isotonica, un frullato fatto in casa, latte di avena con cioccolato o della frutta secca.

Prima dell’attività Ecco alcuni semplici suggerimenti su come gestire la vostra alimentazione in avventure outdoor. Il punto di parten za è assolutamente fare rifornimento prima di partire. Per prestazioni otti mali, infatti, si dovrebbe mangiare tra le 2 e le 4 ore prima dell'attività, il che lascia abbastanza tempo al corpo per ricaricare le riserve di glicogeno. Ide ali in questo senso sono riso integrale con pollo o fagioli e insalata, porridge con latte, frutti di bosco e semi, patate dolci con peperoni, spinaci e salmone.

Questo zaino è ridotto all'essenziale e pesa solo 1200 grammi nella versio ne SL e 1210 nella versione Regular, offrendo allo stesso tempo grande comfort e portabilità. Ciò è, in parte, grazie al collaudato sistema dorsa le Aircontact di deuter rivestito nella nuova rete Air Spacer che svolge tre funzioni in una: assicura comfort, am mortizzazione e ventilazione mentre si indossa lo zaino. L'innovativa rego lazione della lunghezza della schiena Clip & Loop offre una vestibilità su misura e confortevole anche sulle lun ghe distanze, mentre le alette mobili VariFlex ECL e un cuscinetto lombare ergonomico a forma trapezoidale di stribuiscono il carico in modo effica ce. Inoltre, il resistente tessuto ripstop realizzato con fibre ad alte prestazioni è costruito per resistere ai rigori del le escursioni a lunga distanza. Air contact Ultra è inoltre dotato di vari portamateriali sulla parte anteriore e cinghie portamateriali modulari che possono essere posizionati per fissare vari oggetti allo zaino o utilizzati per comprimere il carico. Questi possono anche essere rimossi insieme al parte superiore dello zaino quando è neces sario perdere qualche grammo in più. Compatibile con i sistemi di idratazio ne da 3,0 litri, lo zaino è dotato di 3 ta sche esterne e uno scomparto interno elasticizzato per riporre indumenti bagnati/sudati, borracce, ecc. Compatibile con l'approccio respon sabile di deuter alla sostenibilità, il tessuto del corpo è certificato bluesign e realizzato con oltre il 50% di fibre ri ciclate. Inoltre, come tutti i nuovi pro dotti deuter dal 2020, è privo di PFC. Durante il nostro spettacolare hike di 2 giorni sull'Aiguillette des Posette, abbiamo avuto l'opportunità di testare il nuovo arrivato di casa deuter. L'estate 2022 vede infatti l'arrivo di Aircontact Ultra, lo zaino per i veri escursionisti che vogliono spingersi oltre i propri limiti. Aircontact Ultra è infatti il prodotto ideale per tutti coloro che hanno bisogno di uno zaino leggero e affidabile in ambiente outdoor.

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Nicola Giuliani, che di Campo Base è il curatore, è il general manager di Tones on the Stones e sicuramente fa parte della seconda categoria di mon tagnini, quelli che si spendono perché le nostre valli, che sono di una bellez za rara, diventino luogo di scambio e contenitore delle cose più varie, legate al mondo dell’outdoor, ma non solo: Tones Teatro Natura è un luogo dove si fa teatro, ma anche musica classica, jazz, e dove ci si confronta sulla cul tura della montagna e dell’outdoor. Il programma è ricchissimo e inizia a luglio con l’opera rock di Stewart Copeland The Witched Seed, prosegue con la nona edizione di Nextones, che è un festival dedicato alle arti visive e sonore dove si spazia dalla perfor ming art ai live di musica elettronica, ad agosto ospita un seminario sul te atro inclusivo, Awareness Campus, e si conclude con Campo Base Festival, dal 2 al 4 settembre. “Campo Base è nato perché tutti avevamo bisogno di metterci in discussione, riguar dare le carte che avevamo in mano e tro vare un punto di incontro tra tutte queste discipline. Lo abbiamo fatto con l’aiuto di architetti, filosofi e artisti e siamo entrati in questo spazio con l’ottica di ripensarlo, ma soprattutto con la volontà di creare un festival dedicato alla montagna, ai suoi tempi, alle sue bellezze e alle sue esigen ze.” Campo Base è infatti incontri con i grandi nomi della scienza e della filosofia, ma anche con esploratori, climber, artisti e chef. Le installazioni e le performance musicali, così come le proposte cinematografiche, i labo ratori, le escursioni e le degustazioni hanno un obiettivo molto semplice: costruire tutti insieme un modo etico e sostenibile di vivere la montagna nella sua completezza. “Con Alessan dro Gogna, che è alpinista ma anche filoso fo e storico dell'alpinismo, questo progetto ha preso forma nel suo aspetto più con cettuale e lui ne è il curatore scientifico. Durante Campo Base farà un intervento finalizzato a mettere in discussione l’idea di conquista, ma avremo anche ospiti come Emanuele Coccia, che parlerà della soglia tra ambiente naturale e ambiente dome stico: il fulcro, il concetto fondamentale, è che vogliamo costruire un nuovo concetto di vivere lo spazio montano.” La location a questo proposito è incredibilmente scenografica e si trova in una valle dove il turismo di massa è per fortu na un concetto sconosciuto: siamo in Piemonte, a Oira, frazione del comune di Crevoladossola, un luogo magico incastrato tra la Val Devero, la Val For mazza e la Val d’Ossola. “Sono luoghi di straordinaria bellezza dove probabilmente il turismo si è sviluppato un po’ meno per ché si tratta di un territorio fortemente in dustrializzato, ma anche la vicinanza con la Svizzera ha sempre inibito lo sviluppo del turismo: per noi questo è sempre stato un punto di forza.”

Gli amanti della montagna di solito si dividono in due categorie: i puristi, quelli che non ci vorrebbero niente e nessuno e che la vivono nel suo essere più selvaggia e dura, e quelli che invece si spendono perché sia luogo di incontro, di scambio e di turismo responsabile. In questo scenario si inserisce la Fondazione Tones on the Stones, fondazione che dà vita a Tones Teatro Natura: un teatro a cielo aperto ricavato nell'ex sito industriale di Cava Roncino in Val d’Ossola che è contenitore di una miriade di progetti che uniscono performance artistiche, musica elettronica, il festival Nextones e a cui, dallo scorso anno, si è aggiunto Campo Base, evento settembrino dedicato alla cultura della montagna e al rapporto con la natura.

42 La nuova vita di una cava BY ILARIA CHIAVACCI

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La musica è chiaramente ossatura e parte integrante del festival, quindi ci saranno gli epici dj set di Buka, ma la tre giorni sarà popolata da metodi di fruizione estremamente creativi e anche molto diversi tra loro. “Ci sarà ad esempio Felix Blume, che è un grande vecchio del recording francese e che per Campo Base ha realizzato un'installazio ne dove la registrazione di 250 api diverse è stata riprodotta da 250 speaker: sarà in centro a Domodossola e sarà la prima cosa visibile di tutto il festival, perché montata dalla sera prima. Come corollario poi sarà seguita da laboratori di entomologia per bambini, perché proprio l’interdisciplina rità è la colonna portante di Campo Base. Ospiteremo anche un bellissimo lavoro di Matteo Rosini, artista visivo e sonoro che ha realizzato una sorta di composizione musicale ispirata alle stelle: lui utilizza un software che gli permette di individuare quando una stella è allo Zenith e, quando questo succede, si genera una sinfonia. Io credo che gli artisti siano dei grandi si smografi di quello che potrà venire in fu turo, e di tutte le possibilità che abbiamo di cambiare strada, di modificare il nostro atteggiamento, il nostro approccio. Sono in qualche modo rivelatori di quelli che posso no essere metodi alternativi, danno anche una dimensione di speranza e allo stesso tempo rappresentano momenti di grande piacere e divertimento: ci sarà ad esempio anche il produttore e sound designer Davi de Tomat, che ha rielaborato un coro alpino con musica elettronica.”

L’altro grande focus chiaramente è la sostenibilità, che è uno degli asset fondamentali intorno a cui ruota tutta l’attività sia di Tones Teatro Natura che di Campo Base. “Siamo certificati già da due anni con la certificazione ISO 20121, che è una certificazione ambientale dedica ta agli eventi più rigida tra quelle esistenti in questo momento, molto onerosa in ter mini di sforzi che l’organizzazione fare per ottenerla. Il nostro principio guida è da sempre stato quello di sfruttare le risorse che sono presenti sul territorio e tutti i materiali che utilizziamo sono materiali di riciclo, organizzati in maniera tale da poter essere riassemblati e riutilizzati di anno in anno. Il campeggio, poi, è organizzato di fianco ad un fiume in modo che le docce e i lavabi utilizzino l’acqua della fonte: abbia mo anche dei saponi che facciamo produrre ad hoc e che sono biologici al 97% e for niamo a tutti i sacchetti per l’immondizia. Per noi però la sostenibilità non si limita a buttare e a far buttare i rifiuti nel sac chetto giusto, ma sono le pratiche artisti che, la condivisione di pensieri di persone che hanno un certo tipo di conoscenza e la trasmissione di questi pensieri e di queste pratiche a vari livelli, con l’obiettivo di es sere il più efficaci possibili.”

“Saranno due quest’anno i focus principa li: la cultura della montagna vista dal pun to di vista delle donne, quindi avremo ospi ti grandi interpreti femminili come Tamara Lunger e Federica Mingolla, e poi tutta una parte legata all’attivismo ambientale, che per noi è un attivismo che non è solo teorico, ma anche pratico. Per questo abbia mo invitato alcuni attivisti a far diventare Campo Base la loro sede di incontro per quei giorni. Presenti come associazioni. Ci sarà un bel clima, che è una realtà del lago Maggiore, e The Outdoor Manifesto. Lo speech che aprirà il festival, poi, vedrà protagonisti Luca Mercalli ed Emanue le Coccia proprio sul tema dell’abitare la montagna. Ma oltre alle parole ci saranno anche altre attività finalizzate a vedere sul territorio cosa si può fare per modificare il proprio modo di stare dell’ambiente, natu rale e montano. In questo contesto, oltre ai talk, si inseriscono anche i numerosi labo ratori e attività educational come Fermen to Cibo di Montagna, un progetto che vede coinvolti Matteo Sormani, chef del risto rante Walser Schtuba di Riale, insieme allo chef Giandomenico Iorio e il corpo docente dell’Istituto Alberghiero di Domodossola: tutti i micro produttori della zona ogni set timana, da febbraio, stanno seguendo un percorso di formazione per arrivare al festi val con una produzione legata al tema del rifugio: ovvero un luogo con risorse scarse e con la necessità di valorizzare tutto ciò che sul territorio è disponibile, come le erbe spontanee.”

Accanto agli eventi musicali, alle per formance artistiche e alle installazioni si snoda infatti il percorso di Campo Base che, a settembre, detta la conclu sione della kermesse intervenendo su gli aspetti più intangibili del rapporto tra uomo e natura e, in questo caso, montagna: “Ci sembrava interessante po ter lavorare sul concetto dello sviluppo di un turismo, di un modo di abitare e di fru ire dei luoghi diverso: più rispettoso, meno invasivo e che apprezza tutto quello che il territorio può condividere. Cerchiamo di far sì che la montagna possa insegnare qualcosa a chi partecipa: questo è un am biente che non può essere preso d’assalto, altrimenti si snatura. Tones Teatro Natura è un insieme di progetti complementari: è come se fosse un portale che si affaccia su tanti mondi diversi, la musica ne è sicura mente al centro, ma dall’altra parte Campo Base si focalizza sulla cultura della monta gna e sui temi del rapporto uomo-natura.”

Campo Base è nato perché tutti avevamo bisogno di metterci in questeincontroecheriguardarediscussione,lecarteavevamoinmanotrovareunpuntoditratuttediscipline.

Tones Teatro Natura è un progetto di riqualificazione proprio di uno spazio ex industriale: l’ex Cava di Gneiss, che rappresenta anche il forte legame del territorio con le attività di estrazione, è allo stesso tempo rappresentazione reale e simbolica dell’intervento uma no nell’ambiente montano e di come questo possa essere gestito con una convivenza etica e sostenibile. “La cava apparteneva a una famiglia del territorio: contadini e cavatori da generazioni che avevano sempre mantenuto la gestione al 100% familiare. Il proprietario è legatissi mo a questo spazio, che è molto ricco anche dal punto di vista dell'agricoltura: una por zione di territorio è ancora sua e la coltiva con alberi da frutto. Avrebbe potuto molto più semplicemente cederla ad altri cavatori ma, proprio perché nutre un grandissimo senso di responsabilità verso la sua terra, ha voluto che fossimo noi ad occuparcene portando avanti questo progetto."

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Rivoluzione&LucaBana

Avventura

"Anche se nel muovere i primi passi su roccia ho da subito realizzato come l'arrampicata fosse qualcosa che faceva davvero al caso mio, non avrei mai pensato di poter raggiungere certi livelli."

BY MARTA MANZONI

Qual è la più grande differenza tra queste due attività secondo te e perché hai scelto l’arrampicata? Si tratta di due sport completamen te diversi. Nel calcio giochi con una squadra e il risultato dipende in larga misura anche dalla prestazione dei propri compagni, mentre nell’arram picata sei solo te stesso e la parete, e la performance sportiva si misura in base alle abilità del climber: uno sport mol to più complesso e selettivo, che mette direttamente a nudo i propri limiti, le proprie debolezze fisiche, tecniche e mentali, senza sconti. Rispondendo alla seconda domanda, devo dire che nel muovere i primi passi su roccia ho da subito realizzato come l’arrampica ta fosse qualcosa che faceva davvero al

47 Il suo nome è Luca Bana: nato nel 1998, abita a Premolo (BG). Sportivo fin da bambino, la sua attività principale è l’arrampicata su roccia: si ritiene uno scalatore a 360° con una forte voglia di sperimentare, conoscere e muoversi con disinvoltura tra diverse discipline, passando dalla falesia alle vie trad, dalle vie multipitch moderne al boul dering. Un’attitudine che lo ha por tato a intraprendere numerosi viaggi verticali, sia in Europa che nel resto del mondo: Grecia, Francia, Spagna, Svizzera, Austria, Norvegia e Stati Uniti. Dopo aver salito diverse linee di 9a (e il 9a+ di Goldrake), questo in verno ha realizzato la prima salita di "Extrasistole galoppante", una via di 9a nella storica e dura falesia di Cornal ba. Luca vive l’amore per l'arrampicata attraverso valori etici, ma anche per divertimento, inteso nel suo senso più puro, e come un talento che tira fuori il meglio da chi è capace di imparare con costanza ed umiltà. Nell’ottica di trasformare la sua passione in una professione, il climber ha inoltre con seguito la laurea in scienze otorie, oltre al titolo di istruttore FASI, ed è un atle ta del team di SCARPA.

Com’è nata la passione per l’arram picata e come hai mosso i primi passi in montagna? Il mio approc cio all’arrampicata risale a circa dieci anni fa. Ho frequentato la montagna sin da piccolo, soprattutto con mio pa dre, che mi ha sempre affascinato con i suoi entusiasmanti racconti alpinistici. Così, tra il 2011 e il 2012, spinto dalla curiosità che ho sempre avuto per la verticalità in generale, ho deciso che era arrivato il momento di mettere im brago e scarpette. Accompagnato pro prio da papà (la cui attività di scalato re era ormai terminata già da qualche anno), salii la mia prima via su roccia, da primo di cordata, durante la mia prima vera uscita in falesia alla Cor nagera (BG). Un inizio molto diretto e senza tanti fronzoli. Da lì a poco, l’en tusiasmo di sperimentare un mondo “nuovo” si è trasformato in una vera e propria passione, che ha reso l’arram picata la mia attività sportiva principa le e un lavoro a tutti gli effetti.

Quando scegli una via, oltre l’inte resse per la stessa, in proporzione quanto contano raggiungere un re cord, la performance, e il riconosci mento successivo? Vedendo l’arram picata come una sfida con me stesso, la ricerca della performance è legata prima di tutto all’esigenza di mettermi costantemente alla prova, con l’intento di migliorare nel tempo e di spinger mi sempre un po’ più in là alzando sempre l’asticella, indipendentemente da ciò che poi ne deriva. È chiaro che a volte la scelta e l’interesse per un determinato progetto possono essere condizionati, oltre che dalla difficoltà e dall’importanza dello stesso, anche dal “successo” e dall’impatto mediati co una volta realizzato, ma questo pas sa in secondo piano, almeno per me. Scegli e motiva la tua verità tra le seguenti tre: arrampicare è un ta

lento, puro divertimento, o un’at tività egoistica? Se devo sceglierne una, tra le tre opzioni direi la seconda: arrampicare deve essere innanzitutto divertimento, ma questo vale per tut ti gli sport. Se questo ingrediente di base viene a mancare, non vedo come si possa proseguire nel lungo periodo con l’attività sportiva, la quale diven terebbe qualcosa di forzato e fonda mentalmente privo di senso. Credo che gli insuccessi nell’arrampicata, così come nello sport in generale, non debbano essere vissuti negativamente come fallimenti, bensì come occasione di crescita che offre la motivazione a riprovarci e a migliorare. Personal mente, quando vengo respinto ripe tutamente da vie dure che mi sono prefissato di salire, cerco sempre di mettere da parte la delusione e di man tenere un mindset positivo, pensando che comunque sto facendo qualcosa che mi piace indipendentemente dal risultato. Molte volte è fondamentale, almeno per me, non farsi manovrare troppo dalla prestazione e dal peso dei successi/insuccessi, ma lasciarsi gui dare dal puro piacere di arrampicare, insomma: “don’t take it too seriously”.

Prima di dedicarti completamente all’arrampicata giocavi a calcio...

Sei un chiodatore, hai riflettu to sull’impatto sull’ambiente che causa chi chioda? Non credi che esistano già abbastanza vie? Certa mente bisogna chiodare con criterio e cognizione, con un occhio di riguardo all’ambiente: personalmente, preferi sco attrezzare solo itinerari che meriti no davvero e per cui valga veramente la pena investire tempo ed energie. C’è da dire che a volte, quando nella pro pria zona i progetti rimasti da salire scarseggiano, chiodare diventa quasi una necessità per poter trovare stimoli freschi e mettersi alla prova su nuovi terreni, come alternativa al dover ma cinare parecchi chilometri per andare a provare vie altrove, lontano da casa. Detto questo, credo sia più rilevante e in un certo senso dannoso l’impatto ambientale di alcuni frequentatori del le falesie stesse, sovente poco respon sabili nei confronti della natura, più che la chiodatura in sé.

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Tra gli altri valori in comune, ricono sco anche il desiderio di conoscenza, la dedizione alimentata dalla passione ti pica di chi ama ciò che fa, e la necessità di lasciare una propria “impronta” nel rispetto della natura.

Quali sono i pensieri che ti attra versano la mente mentre scali? Quando scalo sono concentrato unica mente in quello che sto facendo, nella mia progressione verso l’alto, cercando di non farmi distrarre da alcun tipo di influenza esterna: mente e corpo sono in sintonia, penso ad arrampicare e a dare il massimo, senza troppe aspetta tive o pressioni psicologiche. Ti affascina di più ripetere vie sto riche o aprire nuovi itinerari mo derni? Se parliamo di vie multipitch, prediligo maggiormente l’apertura o la ripetizione di itinerari moderni: la mia concezione della scalata in ambiente è più improntata su questo genere di salite, vie di alta difficoltà su roccia compatta con obbligato impegnativo.

Perché hai scelto di entrare a far parte del team atleti di SCARPA e quali sono i valori che avete in co mune? Ho scelto SCARPA perché of fre calzature italiane con cui ho sem pre avuto un ottimo feeling negli anni, e questo è fondamentale, ma anche perché ha il merito di portare costante mente novità e cambiamenti, guardan do al progresso, all’innovazione e con l’ambizione di perfezionare i prodotti nel tempo, ascoltando le necessità di ogni sportivo. Questo principio si spo sa perfettamente con la mia inclinazio ne sportiva volta al continuo migliora mento delle performance, tipica di chi guarda sempre oltre e non si ferma.

Ciononostante, anche la ripetizione di vie storiche ha sempre un suo fascino perché permette di immedesimarsi nella logica degli apritori e rendersi conto di quanto fossero dei visionari, ma allo stesso tempo abili nello sfrut tare i punti deboli della parete.

49 caso mio, anche se non avrei mai pen sato di poter raggiungere certi livelli: arrampicavo esclusivamente per puro divertimento, solo nel fine settimana, spesso dopo la partita con la squadra. In seguito ho capito che per potermi esprimere al meglio in quella discipli na avrei dovuto fare una scelta: così, ad essere “appese al chiodo” furono proprio le scarpette usate per calciare. Preferisci la roccia alle competi zioni. Come mai? Sì, il mio terreno di gioco preferito è sempre stato la roccia: è lì dove riesco a esprimermi al meglio e dove mi trovo più a mio agio, forse anche per una questione di attitudine personale. Certamente stia mo parlando di due “ambienti” com pletamente diversi, che sanno offrire stimoli differenti, ma la soddisfazione, le emozioni e le sensazioni che provo nel realizzare un progetto duro su roc cia, che sia boulder, una via in falesia o multipitch, non sono paragonabili a quelle che la competizione è in grado di trasmettermi.

Hai fatto della tua passione per l’arrampicata il tuo lavoro, ti con sideri un privilegiato? No, assoluta mente. Fare della propria passione un lavoro non lo considero un privilegio, per me è stato qualcosa di spontaneo e naturale, che mi ha richiesto costan za e impegno. Mi è sempre piaciuta l’idea di costruirmi un futuro dove passione e professione coesistessero, o meglio, rappresentassero un tutt’u no nel quale potessi sentirmi realizza to e soddisfatto.

Chi è il migliore alpinista di sem pre? Difficile da dire, ogni epoca ha avuto personaggi che hanno fatto la storia dell’alpinismo. Ma se devo dare una risposta secca, personal mente dico Walter Bonatti: alpinista completo dal fisico di ferro, un visio nario, un innovatore che ha saputo leggere con occhi moderni pareti impressionanti considerate impossi bili per il periodo, spostando avanti i limiti e le possibilità dell’alpinismo estremo. Ricordo con piacere una delle sue frasi celebri: “È quando so gni che concepisci cose straordinarie, è quando credi che crei veramente, ed è soltanto allora che la tua anima supera le barriere del possibile.”

Prossimi progetti a breve e lungo termine? Partendo dal presupposto che la motivazione che alimenta la mia tendenza, come scalatore, a migliorare nel tempo e ad alzare l’asticella è anco ra tanta, porsi degli obiettivi stimolan ti, che siano a breve o a lungo termine, risulta fondamentale per il proprio percorso di crescita: tra questi vi collo co qualche via sportiva di riferimento mondiale, come la famosa Biographie a Céüse, e alcune multipitch moderne di alto livello, come la linea estrema di WoGü in Räikon. Detto questo, l’ar rampicata per me è anche lasciarsi tra sportare dalle sensazioni del momento e in questo mettersi costantemente alla prova, con i propri limiti, per questa ragione preferisco non pianificare o pensare troppo a quello che farò, piut tosto sono concentrato sul presente e su ciò che mi ispira al momento.

Hai paura mentre scali? Credi sia possibile non averne? Dipen de sempre da che tipo di salita si sta considerando e dal contesto in cui ci si trova. Per esempio, quando scalo in falesia sono concentrato unicamente ad arrampicare e non penso a nient’al tro: la caduta fa parte del gioco, è un qualcosa di normale, dunque, soprat tutto ad alti livelli, non si può pensare di scalare con la paura di volare, dal momento che un blocco psicologico del genere andrebbe a compromettere altamente la prestazione. D’altra parte in montagna, specie su vie multipitch di forte ingaggio o in situazioni dove non sono concessi errori, bisogna man tenere una soglia dell’attenzione ben più alta e una certa dose di paura, se così la vogliamo chiamare, può essere funzionale nel prendere determinate decisioni con ragionevolezza e cautela.

51 La famiglia di mia madre è originaria dell’Al ta Valtellina e io sento scorrere nelle mie vene un senso profondo di appartenenza a questa terra, ma anche e soprattutto appartengo alle montagne. Respirarne l’aria, fiutare la presenza intensa degli elementi naturali, contemplare i dettagli e le linee di questi gloriosi giganti di roccia ricoperti di colori, mi fa sentire a casa e viva, viva nel senso trascendente di sentirmi interconnessa ai cicli naturali che, più che in al tri luoghi, qui sono così perfettamente scanditi e Nonostantericonoscibili.nella storia della propria esistenza, nel corso delle ere geologiche, le montagne si siano trasformate e abbiano subito profondi cambiamenti dovuti a eventi di natura geologi ca e climatica (i periodi glaciali, in particolare, hanno avuto un notevole influsso sulla fauna e sulla flora dei sistemi montuosi, causando ad esempio in quest’ultima un forte dinamismo, tanto che alcune specie sono state spinte, dalle avverse condizioni climatiche, verso altitudini minori), in esse, osservando, riesco a riconosce re l’ immagine familiare della natura in diveni re ma che si ripete, e mi sento rassicurata, per ché la conosco e vi sono appartenente. Riesco a riconoscere le fasce altitudinali che tendono a seguire uno schema fisso e, alle quote più ele vate, dove gli alberi non riescono a crescere, gli habitat caratterizzati da piante erbacee basse e resistenti e, a tratti, le rocce e le morene, che testimoniano l’antica espansione dei ghiacciai.

Montagne e rilievi si sono formati in seguito a complessi fenomeni orogenetici di subsidenza che hanno sollevato enormi accumuli di sedi menti marini fin sopra il livello del mare. La flora li ha ricoperti in modo vario e progres sivamente in funzione dell’altitudine, dell’e sposizione solare e della condizione edafica (del suolo), climatica e geografica del massic cio. Si possono allora distinguere dei piani (o fasce) altitudinali, ognuno dei quali presenta una vegetazione caratteristica e quindi uno specifico paesaggio vegetale. Il mio preferito è quello che si estende oltre la foresta alpina, quella zona intermedia che corrisponde al li mite superiore della vegetazione, dove si tro vano prevalentemente soggetti isolati di abe te rosso, larice, salice nano, pino mugo, pino cembro e ontano e arbusti nani, come ginepro, rododendro e rosa canina, intercalati da ampie zone di pascolo.

BY VALERIA MARGHERITA MOSCA ILLUSTRATIONS NICOLA MAGRIN

montagna

sarebbe stato il giorno perfetto per trovare un tesoro. Il sentiero era duro una volta passata la piana e, ogni volta, mi sembrava una nuova sfi da. La sera tornavo a casa trionfante e appesan tita dai grammi dei miei tesori. Nicola invece ci va quasi ogni giorno. Mi ha raccontato che per lui è diventato un luogo del pensiero, dove il silenzio e le suggestioni del paesaggio gli per mettono di fermarsi a sentire. La Val Sissone è conosciuta in tutto il mondo per la presenza di spettacolari esemplari di minerali, anche rari e dalle forme perfette. È facile trovarli per via della struttura geologi ca di quest'area in cui si sono mischiate rocce di provenienza, composizione ed età molto di verse tra loro. Percorrendo la valle ci si trova a passare attraverso almeno tre domìni geologici diversi e altrettanti conseguenti cambiamenti di paesaggio, fino ad arrivare ad un'ampia con ca racchiusa dalle maestose pareti del Monte Disgrazia. Lui, signore indiscusso della valle, con il suo gigante seracco che incombe sulla vi sta e il suo nome che sembra evocare eventi in fausti ma di cui invece l’origine etimologica de riva dal termine del dialetto locale "desglàcia", e cioè sghiacciarsi. Forse per via dei grandi blocchi di ghiaccio che improvvisamente cadono sull’omonima Vedretta, sospesa sulla valle, sbriciolandosi centinaia di metri più sotto tra spaventosi bo ati. La sua forma è incisa nel batolite del Màs ino-Bregaglia, corpo di rocce magmatiche in trusive risalente a circa 30 milioni di anni fa. Il magma incandescente, venne a contatto con le rocce incassanti, modificandole profondamen te: il calore elevato infatti portò i loro minerali a riorganizzarsi nuovamente, generandone altri, mentre i fluidi espulsi, ricchi di elementi rari, fornirono la materia prima per specie minera logiche nuove e uniche, diverse per ciascuna roccia interessata dai fenomeni di metamorfi smo di contatto. Fascinazione pura. Che strano questo scritto, dove ho parlato di tutto e di niente, senza un capo e una coda, sen za una fine e un inizio, ma pieno di immagini sensazionali che sento nel profondo quando sono lassù. Come quelle di Nicola.

In estate la bellezza di questo habitat è accen tuata dalle abbondanti fioriture che spiccano nei suoi pascoli e dalle numerose piante er bacee che rigettano dopo il riposo invernale.

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Si trovano infatti in abbondanza imperatoria (Peucedanum ostruthium L.), bistorta (Poly gonum bistorta), romice scudato (Rumex scu latus), mirtillo rosso (Vaccinium vitis idaea), veronica beccabunga, tarassaco (Taraxacum officinale), rabarbaro alpino (Rumex alpinus), genziana punteggiata (Gentiana punctata), cinquefoglia (Potentilla), malva (Malva sylve stris), spinacio di montagna (Chenopodium bonushenricus), farfaraccio (Petasites), tossilla gine (Tussilago farfara), piantaggine (Plantago L.), epilobio (Epilobium), angelica (Angelica), carota (Daucus carota), silene rigonfia (Silene vulgaris), alchemilla (Alchemilla vulgaris) e numerose altre specie. Elencando queste specie e immaginando que sto habitat, mi tornano subito in mente gli scorci bellissimi della “mia montagna”, la Valmalen co. Ed ecco apparire nei miei ricordi, in fondo alla valle di Chiareggio, disegnata dalla forza del Mallero, la piana di Forbesina con le ultime case pioniere, e poi su, a sinistra, la Val Sissone, scrigno di minerali ricercati e pietre speciali, adagiata sotto la parete nord del Disgrazia. La piana di Forbesina per me è un luogo di sogno. Qui confluiscono tre valloni che compongono, con la propria forma, intrecciandosi, una croce quasi perfetta. Sono, in ordine, il Muretto, che scende da nord-ovest e che sovrasta dall’altro lato l’Engadina, il Ventina, che arriva ripido e minaccioso da sud-est, e il Sissone scintillante e meno esplorato, da sud-ovest. È verso questo versante che si muove sempre la mia attenzio ne, ed è qui che abita Nicola Magrin, mio amico vero e compagno di viaggio di una vita intera, a cui appartengono le meravigliose illustrazio ni ispirate alla nostra valle a corredo di questo scritto, e che sono incluse nel suo imperdibile libro “Altri voli con le nuvole” edito da Salani. Il mio sguardo è sempre rapito da quell’angolo stretto che gira a destra nascondendo la valle. Da piccola ci andavo con il nonno, per pietre e minerali, sicura, ogni mattina, che quello

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Gabriele Pinzin è originario dell’Indonesia ma cresce, studia e vive a Torino. In quella stessa città, al Politecnico, nasce in lui una passione per tutto quello che è design, comunicazione, grafica, fotografia. Creatività in senso lato che in breve tempo trasforma in un lavoro. Poi, quasi dal nulla, si scopre anche runner. Un amore quello per il mondo della corsa che si fa strada lentamente, al punto tale che oggi non può più farne a meno. È possibile coniugare comunicazione e creatività con il running? L’abbiamo chiesto direttamente a lui.

Gabriele Pinzin

BY DENIS PICCOLO

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57 Ciao Gabriele, raccontaci un po di te. Sono nato in Indonesia nel 1982 ma sono stato adot tato da genitori originari di Torino, anzi più precisamente di Settimo, quando avevo ap pena sei mesi. Quindi ho avuto la classica in fanzia da bambino italiano. Dopo una forma zione scientifica mi sono iscritto al Politecnico alla facoltà di architettura e da lì e nata la mia passione per tutto quello che è design e crea tività. Finiti gli studi, ho trovato lavoro subito, ed eccomi qua dopo quasi 13 anni. Ora sono direttore creativo dell’agenzia Sixeleven che si occupa di comunicazione e digital a 360 gra di: grafica, web, video, content, illustrazioni, insomma tutto quello che può essere utile ad un brand per crescere e lanciarsi nel mondo. Invece il tuo rapporto con la corsa quando e dove è nato? Penso che un po’ come tutti i ragazzi, dopo anni universitari passati un po’ allo sbaraglio con conseguente aumento del la fatica fisica e mentale, ho iniziato a correre per rimettermi un po’ in forma. Da sempre faccio attività sportiva, da piccolo ho praticato nuoto a livello agonistico, poi per anni ho gio cato a basket, all’università però ho iniziato a impigrirmi. Volevo vivere la vita da studenti, quelle cose che si fanno solo a 20 anni! Fin ché ad una certa è nato in me il desiderio di uno stile di vita più sano, quindi ho iniziato a corricchiare facendo uscite brevi. Non è nata subito una passione ma era quella mezz’oretta che mi prendevo per me, per staccare da tut to. Senza che me ne rendessi conto la corsa ha iniziato a far parte della mia vita, mi sono comprato le mie prime vere scarpe da run ning, poi da cosa nasce cosa e mi sono ritro vato iscritto alle mie prime gare. Non mi sono mai ritenuto una persona competitiva ma sentivo quell’adrenalina in più nel momento delle competizioni che mi faceva stare bene. Dalle 10km sono passato alle mezze maratone e poi alle maratone. La mia “prima volta” è stata nel 2018, a Venezia.

Invece come ti sei avvicinato al mondo del trail? Dopo le prime gare su strada ho cerca to di migliorarmi sempre di più. Per caso ho trovato un gruppo facebook che cercava gente per correre sulla collina torinese. Si trattava di quella che avrebbe voluto essere la sezione trail di Base Running, una community di run ning su strada di Torino abbastanza grande. Tuttavia la cosa non è andata in porto a causa delle basse adesioni ma io sono stato ricontat tato dai due ragazzi conosciuti attraverso il gruppo che mi hanno invitato a correre con loro. Si chiamano The Perfect Run, una sorta di esperimento composto da Matteo Siletto, runner professionista specializzato in verti cal, e Mattia Roppolo, osteopata. The Perfect Run cerca di bilanciare i vari allenamenti con tutto quello che la tecnologia ci da per quan to riguarda le analisi della corsa in modo da creare, come appunto dice il nome, la corsa perfetta per ognuno di noi. Quindi come det to prima ho iniziato a correre con loro preva lentemente su trail, anche se il mio obiettivo principale rimane la strada. Se il tuo focus rimane la strada, come vivi il trail? Il mio approccio con il trail si è raffor zato appunto grazie ai ragazzi di The Perfect Run e per il motivo che la corsa su strada dopo un po’ mi annoia. La stessa cosa mi succede in ambito lavorativo, lavoro come se fossi un dipendente ma ho la partita IVA perché mi da la sensazione di essere più libero. Lo stesso con la bici, ho una gravel e la uso su strada ma se vedo un bel sentiero non me lo lascio scappare. Nel correre in generale mi piace la velocità ma al tempo stesso anche vivere la natura e questo mi ha spinto a iniziare a cor rere sui sentieri. Lo faccio per divertimento e per godermi l’atmosfera della partenza, del pre e post gara, dei ristori. A volte vedo un paesaggio bellissimo e mi fermo per fare delle foto. Tanto non saranno quei 10 secondi in più o in meno a cambiare la mia esperienza.

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Gara road e trail preferita? E quelle che vorresti fare? Su strada ce ne sono state tante belle, sicuramente la più memorabile è stata la mia prima maratona corsa a Venezia nell’ac qua alta per gli ultimi chilometri, è stato epi co. Un’altra maratona che vorrei fare è quella di Tokyo perché mi piace un sacco viaggiare e spesso tento di legare le competizioni ad una meta che vorrei visitare. Per quanto riguarda il trail non saprei dirti invece…

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Dai pensaci bene… Effettivamente la LUT si potrebbe fare. L’ha corsa un mio compagno di strada e me ne ha parlato solo in termini entu siastici, la parte dolomitica ispira molto anche me. Altrimenti mi piacerebbe fare la Corti na-Dobbiaco, è una strada bianca fatta su una ferrovia dismessa, dove si passa dentro anche a dei tunnel nella montagna.

Svolgi un lavoro creativo, in che modo la corsa si inserisce in questo contesto? Sicu ramente la corsa mi aiuta nel mio lavoro in quanto mi permette di ritagliarmi quel mo mento per me in cui riesco a pensare a nuovi progetti e idee. Il cervello gira e mentre corro ho una visione diversa rispetto a quando sono seduto davanti al computer. Mi aiuta anche sfogare lo stress accumulato ma soprattu to, nel lungo termine, mi abitua a essere più metodico, a prendermi degli impegni e saper organizzare tempi e scadenze. Corro 5 volte a settimana alla mattina alle 6 prima di an dare al lavoro, sia d’inverno che d’estate. Ci sono quelle volte in cui non ho voglia ma per arrivare all’obiettivo che mi sono prefissato comunque lo faccio e questa progettualità in qualche modo si rispecchia anche nell’ambito lavorativo. E per quanto riguarda il rapporto fra run ning e design? Non solo il running in sé ma tutto quello riguarda il mondo outdoor per me ha un legame fortissimo con quello che è estetica e design. Vengo da quel mondo e per me ha un suo peso molto importante, sopra tutto oggi dove, purtroppo o per fortuna, vale molto. Sono sempre alla ricerca di brand, cap sule o collaborazioni un po’ diverse dal solito, che escano fuori dagli schemi e da quello che è l’estetica per la massa. Qualche pezzo diver so, non consueto, da poter utilizzare sia nella corsa che nella vita di tutti i giorni. Un altro aspetto importante è però quello tecnico, ov vero il dettaglio, le innovazioni e le soluzioni tecniche che ci sono dietro ad un determinato prodotto. Hai corso con la nuova Saucony Endor phin Trail, cosa te ne pare? Essendo un designer prima di tutto mi ha colpito l’este tica, bellissima, bellissimo il colore giallo e la suola rossa quando corri risalta tanto. Per quanto riguarda l’aspetto tecnico mi ha im pressionato la calzata e la sua comodità, non avevo ancora provato la tecnologia Speedroll delle calzature da strada portata su una scar pa da trail, e devo dire che facilita molto la spinta anteriore, velocizzando la corsa e fa cendo meno fatica, pensavo che la tecnologia PWRRUN PB ammortizzasse molto a scapito del ritorno di energia invece la scarpa rimane molto reattiva.

Sei anche avvantaggiato da Torino che ha questa particolarità di avere la collina subito a pochi metri dalla città. È vero, è molto bello questo aspetto. Torino è una città a misura d’uomo e ha la particolarità di avere un fiume che la attraversa, un elemento fan tastico perché ti da quello sbocco verso un qualcosa di outdoor senza sentirsi affossati nel cemento. Subito dietro al fiume c’è la col lina quindi quando esci a correre puoi de-ci dere se fare il lungo fiume, quindi un tratto pianeggiante, oppure andare verso la collina che permette di fare salite, dislivelli e alcuni tratti tecnici per variare gli allenamenti. Ci sono parecchi sentieri che si sviluppano per almeno 30/40km.

LaValleselvaggiaMaira

BY DENIS PICCOLO

Da oltre 20 anni sono guida alpina e accom pagno persone e gruppi diversi a vivere una esperienza che sia il più possibile a contatto con la natura, sia qui, sulle nostre Alpi, in Svizzera e Alto Adige, che in diversi posti del mondo come Iran, Venezuela, Himalaya. Ora sono specializzato sulla Valle Maira dove in estate si praticano escursionismo e arrampica ta mentre in inverno ci si dedica allo scialpi nismo. Ho scoperto la Valle accompagnando qui alcuni gruppi di scialpinismo per molti anni. Qua ho incontrato Manuela, mia moglie che è originaria della Valle, e alla fine mi sono stabilito qui, nel 2017, creando con lei quella che oggi è la moderna Locanda Mistral, una piccola struttura ricettiva che vuole essere un centro per persone amanti della natura e della montagna.

Come sono organizzate le stagioni qui in Valle Maira? In primavera partiamo con l’e scursionismo perché c’è una fioritura direi unica in tutte le Alpi che va assolutamente vi sta. In alta stagione, cioè a luglio e agosto, ci si concentra sull’arrampicata raggiungendo tut

Grazie al gruppo Panorama Distribution siamo stati per qualche giorno in esplorazione in una delle valli più autentiche e selvagge del Piemonte occidentale, stiamo parlando della Valle Maira, qui abbiamo incontrato la guida alpina Renato Botte, che ci ha accompagnato per in qualche escursione hiking.

63 Renato non sei originario della Valle Mai ra, come sei finito qui? Esatto, io sono nato in Alto Adige, precisamente a San Genesio.

Come vi dividete i compiti di gestione del la Locanda? A Manuela piace la montagna ma quella che l’appassiona maggiormente è la cucina. Quindi lei si occupa della parte ri cettiva ed è la chef della Locanda. Nella sua cucina utilizza prodotti tipici locali, inoltre proponiamo sempre anche una variante vege tariana e cerchiamo di usare il più possibile prodotti stagionali e locali abbinati a ricette tipiche della zona ma con uno stile moderno. Io invece, oltre al mio lavoro di guida, essen do di madrelingua tedesca mi occupo prin cipalmente dei clienti stranieri provenienti da Germania, Austria, Svizzera. Direi che il 60% di chi viene da noi è straniero mentre il 40% proviene dall’Italia. Io mi occupo di ac compagnare tutti i nostri clienti in escursioni, arrampicate, ciaspolate e scialpinismo. Devo dire che però la maggior parte della gente che viene da noi ha già una buona cultura di base della montagna e spesso necessita solo di consulenza e varie proposte su itinerari da seguire. Abbiamo un sito dove scaricare le tracce GPX per tutti coloro che hanno spirito di avventura e voglia di scoprire posti nuovi in autonomia in montagna. Perché qualcuno dovrebbe scegliere la Locanda Mistral? La nostra struttura punta molto sulla sostenibilità e ogni azione che de cidiamo di intraprendere viene valutata sulla base di se stiamo facendo un danno ambien talistico e alla comunità. Detto questo, la Lo canda è un punto di ritrovo per amanti della montagna dove stare bene in natura e tornare a casa contenti. Mi sembra che la Valle Maira, pur scono sciuta ad un pubblico più mainstream, at tragga comunque un certo tipo di utenti, ovvero tutti coloro che vogliono sperimentare la montagna vera, quella più selvaggia Assolutamente sì. Questa è una valle un po’ dimenticata da tutti ma con un patrimonio naturale e culturale altissimo che vorrem mo mantenere intatto. C’è sicuramente del passaparola, soprattutto fra guide alpine che trovano questo luogo ideale per un certo tipo di utente che vuole fare escursioni o scialpini smo in un ambiente incontaminato.

65 ti i 3000 della Valle Maira. In autunno tornia mo alle escursioni verso luoghi dove ci sono castagne e foliage. Infine in inverno facciamo ciaspolate e scialpinismo senza impianti. La Valle Maira è infatti una delle poche valli che non ne ha. Tre motivi per cui qualcuno dovrebbe veni re in Valle Maira. Il primo è sicuramente lo spirito di avventura, poi la ricettività di alto livello e infine la natura intatta. Cinque posti dove fare escursioni sia in estate che in inverno. In estate ti direi sicu ramente la Rocca Provenzale che è un’arram picata semplice, poi la traversata del Monte Scaletta, il sentiero del Pier Giorgio Frassati con i laghi e una vista unica sulla Francia. An cora la Cima di Rocca la Meja sopra la Gaudet ta, poi il Pelvo d’Elva e il Chersogno che sono due tremila impegnativi ma molto belli con il Monviso davanti. In inverno c’è talmente tan to da fare che bisogna un po’ vivere alla gior nata valutando come sono le condizioni neve e il pericolo valanghe perché ci sono oltre 100 possibilità.

Valle Maira in futuro? Quello che dobbiamo riuscire ad avere sono 9 mesi di lavoro all’an no in modo da creare posti di lavoro. Poi io sono convinto che la sostenibilità sia la dire zione da percorrere, ovvero mantenere la val le intatta il più possibile così come la cultura del posto. Un vero e proprio turismo slow. La raggiungibilità della Valle rimane ancora un po’ un problema perché è lontana da tutto ma questo può anche diventare un aspetto posi tivo perché spinge la gente a fermarsi di più invece che fare la classica toccata e fuga.

Mi parli dei Percorsi Occitani? I Percorsi Occitani sono stati creati nel 1992, si tratta di un anello di 14 tappe che fa tutto il giro della valle, da sud a nord, e permette di rivivere la cultura della Valle Maira ricca di chiese, case, architettura. Va da Dronero e si conclude a Chiappera passando anche dalla Locanda Mi stral. Ci vogliono circa due settimane, con al giorno dalle 4 alle 5 ore di camminata quindi fattibile da tutti e creato anche per chi vive in città, Un vero e proprio turismo slow. La Valle Maira è posto piccolo e tu sei ar rivato da straniero. La community locale ti ha subito apprezzato e sostenuto? In Valle Maira ci sono solo 13 comuni, se togliamo i comuni più grossi arriviamo a 1000 abitanti e ci sono circa un migliaio di posti letto, sicura mente è un posto diverso all’Alto Adige che conosco bene dove alcuni comuni hanno die ci volte in più di posti letto, ma non è quello che vogliamo fare qui. Noi vogliamo dar vita a qualcosa che crei posti di lavoro tutto l’anno sia per gli artigiani che per i produttori locali. Io sono arrivato qua in pianta stabile nel 2017, all’inizio nemmeno io ero troppo convinto e la gente mi vedeva appunto come lo straniero, tutti erano un po’ sull’attenti, anche giusta mente essendo una comunità così piccola. Ma essendo Manuela e la sua famiglia originari di qui ci siamo presto formati un piccolo gruppo di amici che ancora oggi ci da sostegno e tiria mo avanti piuttosto bene. Spero che la nostra idea piaccia e che anche altri vadano avanti in questa direzione.

Sei ambassador del gruppo Panorama Diffusion com’è iniziata questa collaborazione? Sono da molto tempo amico di Günt her Acherer, amministratore di Panorama Diffusion, che è una persona che come me ama le sfide e la montagna ma sopratutto è una persona eccezionale. Prima che mi trasfe rissi qui definitivamente siamo spesso venuti per gite di scialpinismo o hiking e ce ne siamo innamorati (io non solo del posto ma anche di mia moglie Manuela). Sono ambassador del gruppo da diversi anni e direi che alla base di tutto c’è un amicizia, inoltre i prodotti sono davvero incredibili e molto affidabili, per me utilizzarli è un piacere. La loro azienda è mol to visionaria e ci offre la possibilità di testare i loro prodotti, sia a noi che ai nostri clienti, abbiamo ad esempio molte scarpe Meindl che i nostri clienti possono testare durante il loro soggiorno e le loro attività.

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SolissolitudineJamesPoole

BY FILIPPO CAON

The Speed Project è una corsa di cir ca 500 chilometri nata nell’ambiente dell’ultrarunning di Los Angeles. Dove, come in altre grandi città, negli ultimi anni sono nate community alternati ve di corridori. Sono spesso ambien ti chiaramente legati a un orizzonte estetico, un pò hipster e talvolta stuc chevole, ma che stanno diventando a tutti gli effetti un volto di questo sport.

Perché sempre più persone sentono la spinta a organizzare eventi auto gestiti che escono dal format e dalla standardizzazione delle gare tradi zionali? Ci sono tante ragioni quante persone che lo fanno, certe volte sono profonde, altre sono più superficia li e spinte da approcci usa e getta: “sembra figo, voglio farlo anch’io”.

Lo stile non è qualcosa di esteriore o di superficiale, non si limita all’apparenza, non è il look. Lo stile è qualcosa di estre mamente personale, e quasi sempre è mosso da una ragione. Non decidi a caso se partecipare a una gara con 3000 par tecipanti o se correre 100 miglia da solo dietro casa, o nel deserto del Sahara, c’è sempre una ragione. Poi può essere più o meno profonda, più o meno ragionata, più o meno consapevole, ma c’è. È per questo che vale la pena parlare di The Speed Project. Non perché sia una cor sa nel deserto, non perché parte da Los Angeles, ma perché nasce da un’idea, e alla fine sono le idee che ci interessano.

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Poco o molto tempo fa, a seconda di quan do leggerete questo articolo, James Poo le, ultrarunner londinese per The North Face e Alba Optics, ha percorso TSP in solitaria; sul suo tentativo The North Face ha prodotto un corto di 11 minuti intitolato Solis. Qualche giorno prima di incontrarlo a Chamonix gli abbiamo chiesto di parlarci della sua traversata, e da dove nascesse il bisogno di farlo. Non credo che la corsa abbia significati particolari, ma credo che il modo in cui si corre porti con sé un senso, faccia senso, consapevolmente o no. Nell’ultrarunning non conta soltanto correre forte e lontano, ma conta anche lo stile e l’attitudine con cui lo si fa. Più o meno sappiamo tutti di cosa si parla se si parla di stile. Lo stile è ciò che rende riconoscibile un modo di agire rispetto a un altro. Uno stile di canto, uno stile di pittura, uno stile alpinistico.

Stile deserto e

Il percorso parte da Santa Monica e arri va al cartellone di Las Vegas e tradizio nalmente si corre a staffetta, in squadre da sei corridori, a parte questo non ci sono regole: non c’è assistenza da par te dell’organizzazione, ammesso che ce ne sia una, non c’è un percorso definito al di fuori della partenza e dell’arrivo, e non c’è pubblico (almeno nelle in tenzioni), ovviamente non c’è un sito internet, ma c’è una pagina Instagram – perché niente è fondamentale, ma qualcosa è più fondamentale di altro.

Il TSP non ha un percorso ufficiale, come lo hai tracciato? Sì, non c’è un percorso designato. C’è qualcosa chia mato ‘"OG route", che consiste nel per corso utilizzato dal primo team nel 2012. Nel mio caso, cercavo di avere la più grande avventura che potevo, e amo cor rere in montagna. Quindi ho aggiunto la salita a Mount Baldy, prima di lanciarmi nel deserto del Mojave seguendo la linea più lineare possibile fino a Vegas, ho uti lizzato Komoot per tracciare tutto il per corso, è stato fondamentale l’utilizzo di questa app. Parlami del deserto. Le mie uniche due esperienze nel deserto sono state nel Mojave e nel Gobi, che non è certamen

Quando hai deciso di correre TSP, e perché? Ho deciso di tentare questo progetto nel 2019, quando Nils, il cofon datore, mi contattò per parlarmene. Poi il è arrivato il Covid e non ho potuto farlo fino a quest’anno. Volevo provarci per ché sembrava davvero un’avventura epi ca, un modo unico per vedere luoghi che non avevo mai visto prima. E la semplice idea di essere abbastanza bravo su cose lunghissime, e che potessi fare questa cosa dopo due anni in cui non ne avevo avuto l’opportunità. È una ragione abba stanza semplice, ma davvero non era per vincerla. Mi interessava soltanto anda re là fuori e correre nel deserto, e avere un’avventura.

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71 te come il Sahara, con miglia e miglia di dune di sabbia. Ciononostante, il Gobi è davvero tagliente, e il Mojave e la Death Valley per molti aspetti non sono diver se. In entrambi i casi trovi a malapena delle forme di vita, semplicemente per ché le cose lì non sopravvivono. Durante tutto il tempo che ho passato nella Death Valley non ho visto nulla: non ho visto riflessi di occhi nella notte, non ho visto ragni o insetti. Era semplicemente isola to, brullo, e quasi del tutto privo di vita. Per cui vedere il mio team era una cosa così bella, perché non avevo visto lette ralmente niente o nessuno per ore e ore. Ma correre nel deserto mi piace, c’è un certo senso di quiete nella solitudine, che è qualcosa di abbastanza raro oggi. Ma essere laggiù nell’oscurità e nel silenzio della notte è qualcosa di catartico.

Dal tuo punto di vista cosa spinge certe persone a organizzare eventi di ultrarunning al di fuori delle gare tradizionali? In termini di organiz zazione dello Speed Project, è sicura mente Nils, uno dei cofondatori, che è indubbiamente un carattere interessan te, pittoresco, ed è una sorta di ribelle alla burocrazia e alla norma. Infatti non ci sono regole al di fuori del fatto che devi partire dal Molo di Santa Monica e devi arrivare all’insegna ‘Welcome’ di Las Vegas. Sotto un aspetto di com mercializzazione dello sport. Credo che TSP ci si scontri. Certo, sono sedu to qua a Chamonix ora, dove UTMB ha totalmente commercializzato la corsa sponsorizzando qualunque cosa possa essere sponsorizzata, e non sono con tro a tutto questo. Ma TSP è una specie di antitesi, e credo che sia bello avere una situazione in cui coesistono diversi tipi di gare. Dall’altra faccia della me daglia, The Speed Project ha sponsor commerciali, e molti brand hanno avu to un team che partecipava nel passato.

Qual è il futuro di questi eventi nel panorama dell’ultrarunning? Per il futuro degli eventi di ultrarunning ve diamo una crescente popolarità, soprat tutto per gare come UTMB. Ma di nuovo, dall’altro lato abbiamo visto un crescente interessamento per la fatica negli ultimi anni, e credo che continuerà a crescere, perché come dico anche nel film, a un certo punto, la tua motivazione va oltre a medaglie t-shirt e podi o traguardi, e inizi a cercare qualcos’altro. Senza dub bio io cerco qualcosa di diverso, qualcosa che ha una storia, qualcosa che mi per metta di incontrare e conoscere persone che non conoscevo. E questo non sempre accade nelle gare organizzate, quindi sì, credo che vedremo sempre più iniziative come il TSP. Almeno spero.

Per quanto riguarda le aspettative degli altri, non era qualcosa che facevo per qualcun altro. Era un atto egoistico, per andare fuori dai radar per quattro giorni e mezzo.

Non penso che uno si lanci in queste distanze preoccupandosi di cosa pensano le altre persone.

Quindi la commercializzazione c’è, ma sembra più underground. È puro senso della corsa. Sei letteralmente tu contro la strada e i brand non hanno realmente un impatto su questo.

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videocamera attorno? Non ti mette va sotto pressione? Dunque, l’idea era che loro non dovessero interferire affatto con la mia gara. Gli avevo dato istruzio ni precise di non incoraggiarmi o di non supportarmi in alcun modo. Ciò che è accaduto poi è che la distanza tra i risto ri era enorme e io l’avevo sottostimata, e loro hanno iniziato a fornirmi acqua e assistenza, oltre ad essere ovviamen te qualcuno da vedere di tanto in tanto. Quando corri qualcosa come 500 chilo metri devi cambiare i tuoi piani a mano a mano che prosegui. Quindi loro hanno iniziato a darmi acqua, che era oggetti vamente un salvavita. E direi di no, non non era previsto che fossero coinvolti, ma semplicemente che fossero lì e docu mentassero la cosa. Per quanto riguarda le aspettative degli altri, non era qual cosa che facevo per qualcun altro. Era un atto egoistico, per andare fuori dai radar per quattro giorni e mezzo. Non penso che uno si lanci in queste distan ze preoccupandosi di cosa pensano le altre persone. Non penso sia importan te, è solo corsa, non è così importante. Non si tratta della pace nel mondo, si tratta letteralmente di mettere un passo davanti a un altro, e se le persone hanno delle aspettative su di me su questo, è un problema loro, non mio.

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BY CAMILLA PIZZINI

Allafinlandesedell’orsoscoperta

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77 Ab Sportartiklar Oy fonda così Karhu (che significa “orso” in finlandese), in un picco lo laboratorio nel centro di Helsinki. Con queste scarpe ai piedi sempre più atleti iniziano a conquistare addirittura meda glie d’oro alle Olimpiadi e infatti, per i de cenni successivi, l'azienda è rimasta all'a vanguardia nel settore della corsa. Ma c’è una vera e propria particolarità di questo brand di cui molti non sono a conoscenza.

Nel 1951, Karhu vendette il suo marchio iconico a tre strisce ad adidas, che lo usa ancora oggi. A quale prezzo? Circa 1600 euro e due bottiglie di whisky.

Tornando alle origini Siamo volati in Finlandia, per scoprire il paese delle infinite foreste e fresche spiagge del Golfo di Botnia, pronti per correre, testare e comprendere appieno il fascino di questi luoghi incontaminati. Con noi Ossi Peltoniemi e Hanna-Maija Rantakylä, due runner finlandesi. Desti nazione? Pori, una città posizionata tra i boschi e il mare. Correre nella natura “In Finlandia c’è una grande cultura del running ed anzi negli ultimi anni ci sono più runner off road che sulle piste degli stadi. Or mai di appassionati di maratone ce ne sono pochi. I nostri territori sono ricchi di spazi incontaminati, lontano dalle città, con laghi splendidi e percorsi ben tenuti. Oltretutto per 6 mesi all’anno i sentieri, sopratutto in Lapponia dove vivo, sono coperti di neve. Per noi finlandesi è normale correre off road, sul ghiaccio o nella sabbia.” Mi dice Ossi dopo alcuni km di corsa. Ed effettivamente, di strade asfaltate ce ne sono, ma dopo ore passate lungo il litorale, abbiamo corso principalmente su terreni morbidi e dis sestati. Qui la natura ha preso il dominio e i finlandesi non l’hanno cambiata, si sono saputi adattare.

Nello stato con la più bassa densità di popolazione dell'Unione Europea e con una la più alta percentuale di superficie boscosa, nasce ad inizio ‘900 un brand con un unico scopo: far correre le persone.

Questa scelta non ferma la sua crescita, poco alla volta continua ad espandersi sen za sosta, si evolve e si modernizza, grazie anche ad innovazioni come l’Air Cushion negli anni ’70 e la tecnologia Fulcrum, che agevola la spinta della corsa, negli anni ’80. Mentre tutti i colossi mondiali di scar pe trasferivano la loro produzione all’e stero o in luoghi più economici, Karhu ha mantenuto la produzione dei suoi prodotti in Finlandia, rendendo così il proprio sti le sempre più autentico ed ecosostenibile.

In un mondo in rapido sviluppo, tutt’oggi questo brand ha continuato a tenere il pas so con un'economia globale e delle richie ste di mercato in continuo cambiamento.

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81 Sei mesi di buio e neve E quando le temperature scendono ed è buio? “Corriamo comunque” risponde Hanna-Maija “Non ci fermiamo. Ovvio, non è una condizione così agevole e ci sono varie precauzioni di cui tenere conto, d’al tronde a -25° hai delle necessità diverse, ma alla fine corriamo e basta.” Ed Ossi, che di neve ne vede tanta ogni anno, annuisce sorridendo. “Raramente io ad esempio uso i chiodi nelle scarpe, fa così freddo che il ghiaccio è secco e ho abbastanza tenuta con delle scarpe con la suola in gomma. Ti vesti per bene ed esci.” La nostra destinazione Arriviamo così a Pori, una piccola città po sizionata nella Finlandia dell’ovest, nella regione di Satakunta. Un momento di me ritato riposo e si riparte. Il mare ci attende. Lunghe distese di sabbia bianca, alcuni cespugli che incontaminati crescono qua e là tra delle splendide dune che sul limitare della spiaggia lasciano spazio alla foresta.

Insieme a noi, ai nostri piedi, c’è la novità per quanto riguarda la sezione running di Karhu: Ikoni 2.0 Dune Pack. Una scarpa versatile, multi terreno con una grande capacità di ammortizzazione. Leggera, co moda ed adatta sia ad asfalto che a terreni più tecnici. È proprio questa scarpa che ci ha accompagnato nelle nostre corse di queste splendide ed inconsuete giornate di sole. “Ha una bella risposta e il cushioning di certo fa comodo sui terreni più duri. Sicura mente potrebbe essere una buona soluzione se si passa spesso da asfalto a terreni più wild” mi fa notare Hanna-Maija. La Ikoni è stata ulteriormente rinnovata nel suo peso ren dendola più leggera, con una costruzione in mesh per traspirabilità e sostegno conti nuo durante un allenamento. Dopo averla provata sia sulla sabbia che su dei terreni più rigidi non possiamo che esserne felici. La nostra corsa continua. Duna dopo duna arriviamo a destinazione: un piccolo golfo al nord dei confini della regione. Ci sono pace e tranquillità. Anche il mare ormai è piatto. Ci rimangono ancora molti km da fare, il ritorno ha sempre un sapore diver so. Ma per ora ci godiamo questo posto. Ad attenderci ci sarà un buon loimulohi (salmone alla fiamma) e tante storie da vanti ad un falò. Ikoni 2.0 Dune Pack. Una scarpa versatile, multi terreno con una grande capacità di ammortizzazione. Leggera, comoda ed adatta sia ad asfalto che a terreni più tecnici.

Se mi avessero chiesto alcuni giorni fa come mi aspettavo la Finlandia, non avrei mai potuto immaginare un posto così.

“Correre sulla spiaggia mi è sempre piaciuto. Fa bene alle caviglie e fortifica muscoli che di solito non si usano. È anche un ottimo terreno per testare delle scarpe…”

Un progetto ecologico, nato dalla voglia di mettersi alla prova con un approccio non-stop e “by fair means” nella salita delle sei classiche nord delle Alpi (Petit Dru, 3733m, Grand Jorasses, 4208m, Monte Cervino, 4478m, Ei-ger, 3967m, Pizzo Badile, 3308m, e Große Zinne – Cima grande di Lavaredo – 2999m), pedalando da una montagna all’altra.

PETIT DRU MATTERHORN GRAND JORASSES EIGER NORDWAND PIZ BADILE GROSSE ZINNE CHAMONIX STECHELBERG BLATTEN/LÖTSCHENTAL RIF. AURONZOBONDO GRINDELWALD

BY MARTA MANZONI

North6: la reinterpretazione delle classiche nord delle Alpi

82 È North6, la reinterpretazione delle sei pare ti settentrionali classiche delle Alpi, la stra ordinaria avventura che hanno intrapreso e concluso con successo lo scorso anno gli alpinisti Roger Schäli (SUI) e Simon Gietl (ITA). “Tra le montagne nascono rapporti vera mente speciali, profondi e intensi. Tra compagni di cordata nasce una connessione profonda, un legame indissolubile” racconta Roger Schäli. Muovendo passi sospesi nel vuoto si forma no profonde amicizie, come quella che lega Schäli a Simon Gietl, rispettivamente atleti Salewa e La Sportiva: dalle Alpi al resto del mondo, hanno affrontato innumerevoli spe dizioni fianco a fianco, tra grandi emozioni e sconfitte. Per completare il loro ambizio so progetto, a seconda del percorso e delle condizioni in montagna, i due alpinisti pro fessionisti si sono spostati a piedi, arrampi cando, in bici, in parapendio o con gli sci. I numeri dell’incredibile ‘viaggio’ parlano da soli: 30.770 metri di dislivello positivo, 29.470 metri di dislivello negativo, mille chilometri in bicicletta, il tutto in quattordici giorni. Gli ingredienti segreti per riuscire a mettere a segno questo sogno sono stati forza di volon tà, molta esperienza, fiducia in sé stessi e nel proprio compagno di cordata. Roger Schäli, ricorda North6 come una delle esperienze più belle e indimenticabili della sua vita: “Condividere una sfida di questa portata con un amico vero è un’emozione davvero rara e prezio sa. Questo progetto è stato una carica di energia positiva, dall’inizio alla fine!” Per Simon Gietl, North6 ha rappresentato “una nuova dimen sione del vivere la montagna, ricca di avventure e ricordi. Una grande opportunità e un onore riu scire a realizzare questo sogno insieme a Roger.”

La cima grande di Lavaredo. Ogni viaggio ha le sue origini, i suoi perché…

Il piano originale che prevedeva la partenza dalla Francia viene rivisto a causa delle condizioni meteoro logiche instabili. Così, il progetto North6 inizia in ordine inverso, partendo dalla Große Zinne – Cima Grande di Lavaredo (2999m) nella prima metà di settembre del 2021. Un luogo speciale, come un fla shback per Roger e Simon, che nel 2012 avevano già compiuto la traver sata invernale delle Tre Cime. Una volta raggiunta tramite la via Co mici la vetta della Cima Grande, la più piccola delle sei classiche, i due amici intraprendono due intense tappe in sella alle loro bici da corsa: dopo 334km e un dislivello di 3720m giungono ai piedi della loro seconda sfida: il Pizzo Badile.

Il sole non ha ancora illuminato i due alpinisti quan do lasciano la Capanna Sasc Furä. Tramite il percorso Cassin, e sotto la guida di Roger, in tre ore sono in vet ta. Poi è il momento della discesa, attraverso la cresta Nord: il meteo è favorevole e così l’ultimo tratto può essere fatto in parapendio. “Non ci posso credere! Anche la seconda parete è filata liscia come l’olio, regalandoci anche l’emozione di un volo col parapendio. È stato semplicemente fantastico!” è il commento entusiasta di Simon. Dopo un breve momento di risposo, sono entrambi di nuovo in sella, direzione passo dello Spluga.

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Il Pizzo Badile. Tutti gli incontri sono esperienze, legami eterni.

La Svizzera accoglie Simon e Roger con delle condizioni perfette, così continuano verso Kleine Scheidegg (2061m). Il piano prevede di salire il primo tiro sull'Eiger in serata e di allestire un bivacco per iniziare la via "Chant Du Cy gne" (7A) al mattino presto. Quindi, verso le 5 del mattino, i due iniziano ad arrampicare alla luce delle frontali e, po che ore dopo, verso le 14.00, salgono sulla cresta ovest per raggiungere la vetta dell'Eiger. La discesa dalla montagna avviene passando per il fianco occidentale. All'altezza del "fungo", i piloti preparano i loro parapendii, e percorrono l’ultima parte in volo: il grande professionista del para pendio Lucien Caviezel, infatti, aveva dato il suo via libe ra, dopo aver controllato ancora una volta il meteo. Segue una lunga tappa ciclistica attraverso il Passo del Grimsel (2164m), fino a Zermatt. VivereL’Eiger.emozioni vere.

87 183 chilometri e 3080 metri di disli vello separano Grindelwald da Zer matt, una lunga pedalata che porta i due compagni all’ombra della loro quarta prova. Per l’indomani sono previste piogge e nevicate, pertan to, decidono di prendersi un giorno di pausa e salire fino alla capanna Hörnli (3260m). Il giorno seguente attaccano la parete nord del Cervi no alle sei di mattina. Roger Schäli e Simon Gietl si alternano nel tirare la via Schmid, coperta da molta neve fresca. Nonostante le condizioni av verse, i due amici raggiun-gono la vetta del Cervino alle 18.00. Il rientro avviene attraverso la cresta Hörnlig rat, e anche questo percorso è reso più arduo dal brutto tempo ma, fi nalmente, alle due di notte, arrivano al campo base Campingplatz Täsch, provati ma gioiosi. Dopo una breve notte, Chamonix chiama e così an che i 140 chilometri e 4460 metri di dislivello che li separano dal nuovo paese: in Francia li attendono le ulti me due pareti Nord: Grand Jorasses e Petit Dru. Sua maestà il Cervino . Stanchi ma felici.

Arriva l’ora della quinta parete nord consecutiva. La regione alpina ai piedi del Monte Bianco accoglie Roger e Simon con pioggia intensa e neve, ma una finestra di bel tempo è all'orizzonte. La cordata si prepa ra meticolosamente, entrambi san no che sulla parete nord tutto deve funzionare alla perfezione. All’alba Simon e Roger escono dalla tenda e scelgono il Colouir Nord per la salita. 17 ore dopo sono in vetta. Dopo una veloce pausa, riscendono lungo la parete sud, fino a fermarsi al Refuge de la Charpoua (2841m) all'1.30 del mattino, esausti ma sod disfatti. Resta solo l'ultima pare te nord, che attende Simon Gietl e Roger Schäli a 4208 metri di quota: Grand Jorasses. Il Petit Dru. La pazienza è la virtù dei forti.

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L’ultima tappa inizia con una piacevole sorpresa: il cielo è terso e le correnti d’aria ascensionali sono favorevoli. Non resta che spiegare le ali del parapendio, volando dal Re fuge de la Charpoua (2841m) alla Mer de Glace. Da lassù è impossibile non restare incantati dalla parete nord delle Grandes Jorasses, che si staglia verso il cielo mostrandosi in tutta la sua imponente grandiosità. Dopo l’atterraggio, i due esperti piloti e alpinisti salgono rapidamente al Re fuge de Leschaux (2431m), dove terminano gli ultimi pre parativi per il gran finale. Alle prime luci dell'alba, Roger e Simon si trovavano al Bergschrund. I primi metri della via "Sindone diretta", che comportano circa 1100 metri di disli vello, sono particolarmente ingaggianti. Ma la progressio ne è comunque rapida e l’emozione di raggiungere la vetta (intorno alle 15.00) è immensa!

Le Grandes Jorasses. Last but not least.

BY ILARIA CHIAVACCI PHOTOS ACHILLE MAURI & ELISA BESSEGA

Odissea2050allaricercadellaneve

Nel 2050, ma forse anche prima, gli impianti sciistici per come li conosciamo potrebbero non essere più sostenibili dal punto di vista idrico.

Quali sono gli scenari ipotizzabili per le economie e le comunità montane?

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Avete presente il ciclo dell’acqua? Quello che si studia alle elementari per cui la successione dei fenomeni di spostamento e circolazione dell'ac qua all'interno dell'idrosfera e i cambiamenti di stato dovuti ai continui scambi di acqua tra at mosfera e crosta terrestre determinano, di fatto, la vita? Ecco, lo abbiamo incasinato. Nel nord Italia è stato sfondato il record di 100 giorni senza piogge e le proiezioni climatiche non fan no che confermare che, a tendere, pioverà sem pre meno. E quindi nevicherà sempre meno. E se nevicherà sempre meno, e andremo incontro al modificarsi dello scenario alpino, cosa suc cederà all’economia delle comunità montane?

Abbiamo provato ad analizzare lo scenario, attuale e futuro, insieme a due ricercatori e un attivista, perché il futuro delle nostre val li, e dell’ambiente in generale, dipenderà dalle connessioni virtuose tra scienza e ideologia che riusciremo a mettere in campo.

100 giorni senza pioggia “Lo stato di fatto è che i mesi di dicembre, genna io, febbraio e anche marzo sono stati decisamente sotto la media stagionale per quanto riguarda le precipitazioni: il nord Italia ha toccato 100 giorni senza pioggia. In tutto il territorio nazionale, e in particolare nel nord ovest, si è verificato un deficit di acqua incredibile, sia in termini di acqua liquida, quindi di pioggia, che di neve” spiega Luca Brocca, dirigente di ricerca del gruppo di idrologia del CNR-IRPI. “In Italia esiste una fitta rete di sensori e quello che noi facciamo, incrociando i dati con quelli satellitari, è stimare in base a quanta acqua è piovu ta, quanta ce ne sia nel suolo, nel sottosuolo e nei fiumi. Ecco: tutte queste stime ci dicono che la ridu zione, rispetto a un normale anno idrologico, è stata del 60/70%. Questo fa sì che l’acqua che è nel suolo, ma anche quella dei fiumi, sia molta meno e quindi si crei una carenza, in primo luogo nell’agricoltura.”

È una tendenza destinata a durare? “Sul lun go termine quello che tutti ci aspettiamo è che con l’aumento delle temperature la quantità di precipi tazioni nel Mediterraneo sia destinata a diminuire. Le proiezioni climatiche ce lo dicono da tanto tempo. Ma quando questo succederà non possiamo dirlo con esattezza. Il prossimo anno? Nell’arco dei prossimi cinque anni? Dieci? Nessuno lo sa. Ma il rischio che ci siano periodi di carenza di acqua è concreto, quindi quello che dobbiamo fare è impegnarci per arginare la situazione. In Piemonte alcune sorgenti dei comuni montani si sono totalmente prosciugate e l’acqua dagli invasi a valle è stata ripompata a mon te: questa mancanza d’acqua ha reso necessario un dispendio di energia sia per riportarla in quota, sia per sanificarla.” Senza contare quella utilizzata per fabbricare la neve artificiale. “La neve che spariamo per tenere aperti gli impianti sciistici, e l’acqua che conseguen temente utilizziamo a questo proposito, è un ele mento che non è più sostenibile. In un inverno come questo la neve è stata quasi sempre sparata: questo si riflette inevitabilmente sull’economia delle stazioni sciistiche, che hanno un consumo d’acqua non in differente. E come al solito quando manca qualcosa bisogna sempre capire chi ne ha più bisogno: a lungo andare se l’acqua viene utilizzata per mantenere gli impianti sciistici non si può utilizzare per altri sco pi, come l'agricoltura, l’industria o per avere l’acqua nelle case. Finché la coperta è lunga, come è sempre stato in Italia, non ci sono problemi. Quando la co perta inizia ad accorciarsi si renderanno necessarie delle scelte.” Ci sono delle proiezioni su quando la coperta proprio non ci sarà più? “Le proiezioni per il 2050 ci dicono che la riduzione delle precipita zioni invernali e l’aumento delle temperature faran

Inoltre, mancando la copertura nevosa, anche quest’anno non avremo le riserve idriche che sono quelle normali dei nostri territori e potrebbero es serci dei problemi di diverso tipo: dalla diminu zione delle falde acquifere all'approvvigionamento dei pascoli. Molti laghi alpini stanno letteralmente scomparendo: per chi come noi studia gli ecosistemi acquatici appare chiaro quanto il problema sia enor me.” L’ambiente montano sta cambiando, ma po trebbe arrivare a modificarsi radicalmente o a scomparire? "L’ambiente montano non scomparirà mai perché è caratterizzato da un’orografia ben defi nita, cioè da delle quote di un certo tipo, ma di sicuro presto o tardi non saranno più le montagne a cui sia mo abituati: saranno più brulle, come quelle che ci sono in altre parti del mondo, come i massicci dell’A sia centrale ad esempio. Saranno montagne sempre meno alpine e sempre più mediterranee, sicuramente non più le Alpi per come le abbiamo conosciute.” Che orizzonte temporale abbiamo prima che succeda tutto ciò? “Se continua così nel 2050 la situazione dei fiumi alpini sarà tragica: almeno un quarto avrà un terzo della portata di oggi. Questo significa che la riduzione dell’acqua sarà la norma, e non un’eccezione come quest’anno.”

95 no sì che la neve si sciolga prima, facendo presumere che per quella data sarà molto difficile mantenere in funzione gli impianti sciistici sull’arco alpino.” 8 anni di caldo “In Piemonte questo dicembre abbiamo avuto una anomalia termica di un grado sopra la media, a gennaio di quasi due” integra Stefano Fenoglio, docente dell’Università degli Studi di Torino e responsabile del centro per lo Studio dei Fiumi alpini di Ostana. "Per l’ottavo anno di fila abbiamo avuto un inverno anomalo, con temperature superiori alle medie storiche. Lo zero termico è stato superiore ai 3000 metri per un moltissimi giorni: tre mesi senza precipitazioni e ghiaccio che fonde oltre i 3000 metri costituiscono una situazione incredibile per le nostre Alpi. Tutto questo poi sta determinando un crollo del la portata dei fiumi, che hanno la metà della portata che dovrebbero avere in questo periodo: anzi, alcuni, come il Pellice, ne hanno appena il 30%. Questo ha delle ripercussioni su tutti gli ambienti montani.

Quindi cosa possiamo fare? “Di sicuro quello che non possiamo più fare è far finta che non stia succedendo nulla. Quindi tenere in piedi impianti di risalita con neve artificiale anche a quote ridicole. Oppure: alcune colture che un tempo erano tipiche degli ambienti montani, come il grano saraceno, oggi non crescono più perché piove troppo poco e fa troppo caldo. Dobbiamo metterci in testa che siamo noi a doverci adattare al clima che cambia, non pos siamo pretendere che sia il contrario.” A proposito di adattare, anche la rete idrica probabilmente andrebbe ammodernata. “La nostra è una delle più sfasciate d’Europa: pren diamo l’acqua per portarla dal punto A al punto B, ma la metà viene persa per strada. Una delle prime azioni da mettere in campo potrebbe quindi essere Per l’ottavo anno di fila abbiamo avuto un inverno anomalo, con temperature superiori alle medie storiche. Lo zero termico è stato superiore ai 3000 metri per un moltissimi giorni: tre mesi senza precipitazioni e ghiaccio che fonde oltre i 3000 metri costituiscono una situazione incredibile per le nostre Alpi.

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97 quella di migliorare la qualità delle infrastrutture idriche, l’altra è utilizzare l’acqua in maniera più so stenibile. Non sprecarla sicuramente, ma anche au mentare il numero delle coltivazioni meno esigenti dal punto di vista idrico. È importante che l’acqua venga lasciata nei fiumi perché ci aiuta a depurarli da tut te le sostanze nocive che vi vengono riversate e che con la massa d’acqua presente si diluiscono. Se noi riduciamo la massa d’acqua gli elementi inquinanti rimangono intatti, con conseguenze sanitarie che an cora non sono neanche state messe sul piatto, ma che ci saranno.” La guerra dell’acqua “Quello dell’acqua è un sistema integrato che parte dai ghiacciai, che si stanno ritirando: non nevica e non piove più quindi di acqua fondamentalmente non ce n’è.” Continua Luca Albrisi, attivista e docu mentarista (Across Emptiness è il suo ultimo lavoro, in cui riflette appunto sul futuro delle valli). “La poca acqua che dai ghiacciai arriva ai fiu mi viene utilizzata per tutta una serie di cose, tra cui probabilmente la meno importante è sciare. Serve per irrigare, ma anche banalmente per attività molto più direttamente connesse alla sopravvivenza, come bere e lavarsi. Il fatto di voler continuare a costruire nuovi impianti e nuove piste non è sano per il contesto sto rico in cui viviamo e ci sono moltissime valli dove la guerra dell’acqua di fatto è già in atto. Quando sen tiamo termini del genere viene spontaneo pensare si tratti di situazioni legate ai paesi del sud del mondo, ma invece sono parole che si riferiscono a quello che succede in Italia. In Val di Non, ad esempio, la colti vazione delle mele a fondo valle è piuttosto intensiva e non c’è più acqua per il resto delle colture, tanto che l’acqua viene spesso presa dalle vicine val di Pejo e Val di Sole, con una conseguente sollevazione delle comunità locali.” Parlando di comunità locali però parte della loro economia si regge proprio sull’indotto eco nomico legato agli sport invernali, e quindi agli impianti di risalita. Come si possono conciliare questi aspetti? “Innanzitutto il modello di gestio ne degli impianti è abbastanza obsoleto, soprattutto se rapportato alle condizioni climatiche attuali, e poi il sistema, anche a livello economico-turistico, non si regge più in piedi. Fino a cinquant’anni fa poteva avere un senso perché ha permesso a certe comunità montante di crescere e svilupparsi, ma per le condi zioni ambientali e sociali di oggi non più. Se per man tenere un indotto economico bisogna distruggere una valle significa che è un modello che non è sostenibile, neanche economicamente e socialmente. L’acqua uti lizzata per sparare la neve è acqua che viene tolta al resto: ok che portando la gente a sciare si incrementa il turismo, ma di fatto si distrugge la vita di una valle. Non solo, se si spinge solo su quel tipo di economia, tutte le persone valide che non sono interessate a la vorare in quel settore non hanno altra scelta se non quella di andarsene, contribuendo allo spopolamento dell’arco alpino. L’unica soluzione che ci può essere è quella di andare verso lo sviluppo di un turismo mol to più leggero. Che non vuol dire smantellare gli im pianti dall’oggi al domani, ma smettere di costruirne di nuovi, o nuove piste e nuovi collegamenti. Oppure iniziare ad accettare l’idea che a basse quote non si potrà più sciare.” Da attivista quali comporta menti personali a livello di turismo responsabile incoraggeresti? “Il problema è la narrazione che è stata costruita negli ultimi 50 anni intorno alla mon tagna, che per l’utente medio è sinonimo di settimana bianca, bisognerebbe passare il messaggio che ci sono moltissimi modi per viverla, non solo quelli legati agli impianti di risalita e allo sci in pista.”

Se per mantenere un indotto

98 willFriendsbeFriendsLanascitadiWildCountry BY ILARIA CHIAVACCI

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Le più belle storie legate al mondo dell’outdoor spesso sono anche in credibili storie umane, dove amicizia, passione, amore per la natura e voglia di spingersi oltre i propri limiti si fondono insieme. Le radici di queste vicende imprenditoriali e di cuore spesso sono lontane nel tempo e nello spazio: quella che si srotola in queste pagine inizia nell’estate del 1972 ed è quella che ha portato Ray Jardine e Mark Vallance a inventare quei picco li attrezzi meccanici a camme mobili che si usano durante l’arrampicata in parete come mezzi di assicurazione e progressione e che tutti chiamiamo “Friends”. L’incontro casuale tra un ingegnere aerospaziale e un impren ditore uniti dall’amore per l’arrampi cata ha portato alla creazione di uno degli strumenti che sarebbero diven tati imprescindibili prima, e alla fon dazione di un brand vero e proprio poi. Immaginatevi per un attimo il contesto: chi scalava all’epoca era in grado di completare degli 8a con pro tezioni mobili e la comunità dei clim ber che si radunavano nello Yosemite e che tentava di scalare The Nose, era fortemente motivata a trovare dei si stemi per non rischiare la pelle tutte le Rayvolte.Jardine dalla sua aveva il back ground: al di là dell’enorme passione per l’arrampicata si guadagnava da vivere come ingegnere aerospazia le e, come tale, sapeva maneggiare numeri e leggi della fisica parecchio bene. Era affascinato in particolare dalla faccenda della spirale ad an golo costante, che in natura si trova nelle conchiglie, nelle pigne, nei gra dienti di pressione barometrica e nel le grandi nebulose a spirale: a questo concetto si era già ispirato un altro climber, Greg Lowe, per produrre i suoi Cam Nuts. Dopo averli provati e aver constatato che c’era qualcosa che non andava, Ray ne estrapolò il concetto fisico e si mise per mesi a lavorare a un prototipo alternativo. L’illuminazione, la genialata, di Ray è stata quella di provare a costruire uno strumento con un doppio set di camme opposte caricate a molla indipendentemente: come le ruote di un'auto con sospensioni indipen denti ognuna di queste camme è in grado di adattarsi alle irregolarità della superficie, che in parete pos sono variare di molto. Il momento della verità per Ray è stato su una via che si trova a Split Rock e che si chiama Fantasia: un 5.8 dove grazie ai suoi prototipi di Friends si è po tuto lasciare andare completamente e testare così la tenuta della sua in venzione. Quella chiaramente non fu l’unica volta in cui Ray provò il suo strumento, che deve il nome proprio a un aneddoto successo in parete in un momento in cui l’ingegnere stava arrampicando con l’altro protagoni sta di questa storia, quello che avreb be poi dato origine al brand Wild Country, Mark Vallance.

Come una storia di amicizia un’intuizionechediventarel’arrampicataimprenditoriaehaportatoalosportpraticatoesicuroèoggigrazieagenialeeallaperseveranzadueclimberche,primadiognialtracosa,sonostatigrandiamici.

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Tanto Ray quanto Mark furono da subito coscienti del potenziale della neonata invenzione, Mark ne voleva una scorta da portare con sé una volta tornato in Regno Unito, e Ray si era convinto ed era determinato a pro durre i suoi Friends negli Stati Uniti.

Unico problema: non trovò nessuno a quell’epoca negli States disposto ad accontentarlo. Così Ray, che aveva sempre riconosciuto l’anima da im prenditore di Mark, gli scrisse chie dendo di produrre i Friends proprio nel Peak District, le montagne in cui aveva mosso i suoi primi passi da sca latore. I risvolti di quella lettera furo no due: l’apertura di alcune vie piut tosto dure nel complesso montuoso, la Ray's Roof a Baldstones, che ancora è leggenda, prende il nome proprio da Ray Jardine, ma in quel momen to vennero anche gettate le basi di quell’avventura imprenditoriale che sarebbe poi diventata la Wild Coun try. L’azienda vera e propria, nata con il preciso scopo di produrre Friends su larga scala, vide finalmente la luce nel 1977, e se oggi può festeggiare 45 anni di attività è perché i due amici non si sono dati per vinti un attimo. In principio la difficoltà maggiore fu riuscire a trovare sia investitori che fornitori e personale specializzato. Mark, che ci credeva con tutte le sue forze, decise quindi di lasciare il la voro, prendere in prestito la somma

Mark, classe 1944, è stato uno scala tore insaziabile. Nato e cresciuto nel Regno Unito, da ragazzo ha vissuto a Chesterfield e ha frequentato pa recchio il Peak District. Ha sempre nutrito una forte passione per la graniglia, a sua detta il tipo di roc cia migliore per imparare, e, per rag giungerla, si faceva chilometri in bici fino a Birchen, Gardom's, Chatswor th, Froggatt e Stanage. Sebbene non si possa definire in senso stretto un inventore, sicuramente ha sempre avuto voglia di fare, e di creare, da vendere. Dal costruirsi un piumino da zero da solo con la macchina da cucire della madre fino all’andare a lavorare per la British Antarctic Sur vey e per la Peak District National Park Authority e viaggiare così in tutto il mondo, Mark è sempre sta to guidato nelle sue scelte sia dall’e stro imprenditoriale che dall’amore per la montagna e per l’alpinismo. Ma eccoci all’estate del 1972: Mark e Ray in quel periodo erano en trambi istruttori presso la Colorado Outward Bound School e andavano insieme a scalare nello Yosemite e, anche se Mark ancora non lo sapeva, Ray stava già lavorando al prototipo di sicura che poi avrebbe cambiato la vita di entrambi e di molti scalatori in tutto il mondo. Ray ci stava anco ra mettendo mano, e iniziò a usare i Friends insieme a Mark molto più tardi, nel 1975. Ed è stato durante una salita del Power Failure Sul Wa shington Column in Yosemite che la sua creazione fu battezzata, quando Ray, dopo i molti giuramenti di Mark sul fatto che avrebbe mantenuto il segreto su cosa contenesse il sac chetto blu che si portavano sempre durante le escursioni, gliene rivelò il contenuto. A inventare il nome fu un altro scalatore e amico: Kris Walker che, per non tradire il segreto di Ray, visto che la situazione era piuttosto affollata gli chiese: “Hai portato i tuoi...ehm... Friends, Ray?”

106 più alta di soldi possibile e fondare una propria società. Non solo: per dimostrare la qualità del loro prodot to l’imprenditore-climber si prestò a una dimostrazione pratica: un volo di 9 metri agganciato a due Friends sul Dexterity a Millstone Edge nel Peak District. Il video in questione andò in onda nel 1978 durante un episodio di Tomorrow's World sulla BBC: di lì a sei mesi i Friends esplosero in popola rità e vennero esportati in ben sedici diversi paesi.

Fun fact: il nome del brand, Wild Country, deriva dal fatto che Mark, che soffriva di una leggera dislessia, leggendo un racconto sulla nuova via Wide Country nell’Eldorado Canyon State Park in Colorado confuse la dicitura con Wild Country. Da qui il nome, che venne stampigliato per la prima volta con un font simile a quello utilizzato dal National Park Service degli Stati Uniti per i segna via, e così è rimasto. Il rimando al sole del logo infine risale a una di quelle mattine con la sveglia punta ta all’alba per andare a sciare. Mark stava andando da Las Vegas a Snow bird: il sole nascente sull’orizzonte del deserto sembrò un’immagine abbastanza forte ed evocativa per il brand che sarebbe nato di lì a poco. Storie come queste, oltre a testimo niare quanto un legame di amicizia possa essere forte e portare a grandi avventure, sia che si tratti di spedi zioni che di iniziative professionali, sono il fondamento di quello che è oggi l’arrampicata moderna. Inven zioni come quella dei Friends sono quello che ha permesso a un’attività estrema di diventare uno sport po polare e, soprattutto, sicuro. Mossi dall’amore per l’arrampicata Mark e Ray hanno continuato a spostare l’asticella sempre un po’ più in là: il primo costruendo da zero un’azien da, e il secondo continuando a per fezionare e migliorare i loro Friends. Oggi conosciamo infatti la versione più aggiornata, quella che permette ai climber di scalare le vie più dif ficili in modo sicuro e a spingersi oltre i limiti grazie all’angolo di in clinazione della camma a 13,75 gradi all’introduzione dell’asse flessibi le. Mark Vallance purtroppo se n’è andato nel 2018, la sua eredità però vive nel brand che ci ha lasciato, la sua filosofia in un’autobiografia, Wild Country – The man who made Friends, e lo spirito di amicizia che è stato fin dall’inizio il motore di questa storia nella strettissima collaborazione tra Wild Country e alcuni tra i migliori scalatori del mondo. Il team di ricer ca e sviluppo lavora infatti ancora oggi a stretto contatto con un team di atleti internazionali come Caroli ne Ciavaldini e James Pearson, spe cialisti dell’arrampicata in fessura quali Pete Whittaker e Tom Randall, e climber girovaghi come il belga Siebe Vanhee.

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Fun fact: il nome del brand, Wild Country, deriva dal fatto che Mark, che soffriva di una leggera

BY DALMASSO PHOTOS PIERRE LUCIANAZ BOFFELLI

& DANIELE

100Monvisomiglia

LUCA

111 160km di corsa in montagna, partendo da Saluzzo, risalendo la Valle Po, passando in Francia attraverso lo storico Buco di Viso (datato 1400 o giù di lì), scendendo la Valle Varaita e tornando infine nel piccolo gioiello di Saluzzo, capitale dell’omonimo marchesato per più di quattro secoli a ca vallo tra il XII e XVI.

È così che è partita questa gara tre anni fa, con un’edizione zero nel 2020 tanto com plicata quanto utile a capire dove e come potersi muovere in futuro. L’anno succes sivo la prima edizione con buon successo di pubblico, di volontari, di partecipazio ne. Quest’anno un’edizione sontuosa: tre distanze (25km in Valle Po, una vertical di 6km in Valle Varaita, oltre alla cento miglia, ovviamente), 18 comuni coinvolti, quasi 500 volontari, 15 eventi collaterali tra musica, enogastronomia e tradizione. Si può davvero dire che un territorio intero ha collaborato attivamente. Cento miglia, o 160km che dir si voglia, sono una fatica, una sfida, ma anche un viaggio che passa attraverso storia, cultu ra, cibo, persone. Questo racconta Silvano Gadin, stratosferico professionista col mi crofono in mano, sulla linea di partenza di una calda serata saluzzese, agli atleti schierati: zainetti colmi, bastoncini a tra colla o in mano, frontalina già sulla testa, occhi che tradiscono un’emozione, una tensione palpabile, brividi lungo la schie na durante il countdown. E poi… Si parte! Un viaggio che, come spesso accade, ha tante storie da raccontare. Storie di fatica, di delusione, di stanchezza. Di vittorie. Contro gli avversari o contro se stessi. Danilo, il campione umile Questa terra ha sfornato campioni di di versi sport, non ultimo di certo la corsa in montagna. Tanti atleti nel passato, poi i due gemelli che sono diventati il simbolo stesso della specialità: Martin e Bernard Dematteis. Ma c’è un altro campione che è rimasto un po’ meno sotto i riflettori. Ep pure ha vinto tanto, tantissimo. Si chiama Danilo Lantermino, ha 41 anni e vive da sempre a Piasco, paesino all’imbocco della Valle Varaita. Campione italiano di corsa campestre da ragazzino e una quantità smisurata di altri titoli. Poi qualche anno un po’ in disparte prima di approdare al trail running, specialità per la quale è im possibile qui fare l’elenco delle gare da lui vinte. Alla Cento Miglia del Monviso è fa vorito ma con questa distanza, si sa, non si scherza. Parte cauto, studia gli avversari. Al km 40 decide che è il momento di tene re il proprio ritmo, e va. I restanti 120km in completa solitudine, una cavalcata intorno al Monviso prima, nella sua Valle Varaita poi. Conclude dopo 21 ore in una Saluzzo gremita: sarà poco appariscente, lui, poco Terres Monviso è un progetto culturale, sportivo ed enogastronomico che unisce tutto il territorio che sta ai piedi del Monviso, montagna iconica per eccellenza. Dai princìpi di questo progetto e sulle ceneri del Tour Monviso Trail (a sua volta nato dai vecchissimi ricordi del Giro del Monviso di fine anno ‘80), è nata l’idea di una cento miglia che unisse idealmente tutte queste terre.

115 social, pochissimo egocentrico, ma è ben voluto da tutti e l’intervista di Gadin sulla pedana del traguardo, lui con i suoi due bambini accanto, gli rende giustizia e ne esce l’umiltà di un campione come ce ne sono davvero, ma davvero pochi.

Alessandra, luce nella notte Correre di notte non è una cosa facile e non a tutti piace. Ad Alessandra proprio non piace. La prima parte della Cento Mi glia del Monviso, quindi, se la gode poco perché è tutta di notte e poi i primi 60km sono troppo corribili, sanno di trasferi mento. Ma tutto viene dimenticato a Cris solo, dove spegne la pila alle prime luci dell’alba: c’è il Monviso ad attenderla. Ore su sentieri impegnativi, salite lunghe, alta montagna. Si torna a respirare, a sorridere.

Alessandra ha 31 anni e vive a Noale, in provincia di Venezia. Corre da una vita ed è molto esperta di ultra distanze. È abitua ta alle Dolomiti, uniche e bellissime, per carità. Però, questo Monviso… È piacevolmente sorpresa dalla tanta gente sul percorso: “i volontari delle gare sono tut ti gentili, ma qui si respira davvero una bella atmosfera ovunque io passi” dice. Nel pome riggio, alla base vita di Sampeyre, si accor ge di avere la pila nello zaino accesa. Ma ledizione. Quando viene buio, sull’ultima salita, non può più illuminare il sentiero davanti a sé. Arriva in cima e il volontario della Protezione Civile gli offre la sua, un gesto che Alessandra non dimenticherà. In discesa deve tenere il freno a mano tirato, perché forse non è proprio una pila da trail running e non fa abbastanza luce. Ma poco importa, il suo vantaggio sulla seconda è grande. Taglia il traguardo vincitrice a Sa luzzo in meno di 26 ore e viene accolta da tanta gente, un’atmosfera di festa: non se lo aspettava! Vincere è sempre bello, ma se le cose vanno così, il sapore che lasciano le terre del Monviso è dolce.

DANILO LANTERNINO 1ST PLACE

Francesco, la testa fa la differenza 2018: Francesco scrive su un quaderno il suo peso e arriva a segnare 122kg. Basta, è trop po. Inizia a correre perché vuole dimagrire ma all’inizio è un calvario il solo e semplice fatto di riuscire a correre, senza guardare quanto tempo e quanti km. Con un po’ di costanza riesce ad alternare corsa e cammi nata e a fare due uscite a settimana. E i kg iniziano a scendere. Uscito dal lockdown del 2020, prova ad alzare l’asticella: prima 10km di fila, poi addirittura 21. Qualcuno gli parla di un trail intorno al Monviso, 43km. Si iscrive e si studia un percorso per prepararsi: prima una gara di 16km, poi

Michael, zaino e sacco a pelo Qualche “capatina” in Europa l’aveva già fatta, anche in Italia. Lavaredo Ultra Trail 2017, Tor des Geants l’anno seguente. Al cune gare in Spagna, l’ultima in Val d’A ran l’anno scorso. Quest’anno decide di tornare in Italia e sceglie proprio la Cento Miglia del Monviso. Michael Scogings, peruviano di nascita ma statunitense di residenza, di esperienza di ultra distan ze ne ha tantissima. Arriva nel saluzzese in treno ed è un bell’esempio di atleta/ turista che vuole vivere il territorio. Pre nota un agricampeggio, praticamente sul percorso della cento miglia, o pochissimo distante. Si muove con il minor impatto possibile, si presenta con zaino, materas sino e sacco a pelo. Diluvia la sera in cui arriva e i gestori del campeggio lo ospi tano nell’abitazione: per tutti è una bella occasione di scambiare opinioni, cono scersi, sapere qualcosa del Monviso rac contando in cambio qualcosa sullo stato della Georgia. Venerdì sera alle 21 è sulla linea di partenza, si gode la notte in bassa Valle Po e l’alba al cospetto del Monviso. Alla sera è alla base Vita di Sampeyre, km 110: mangia un piatto di pasta, si fa fare un massaggio e riparte per la seconda notte sui sentieri. Si unisce ad altri due atleti per gli ultimi 30km e arriva sorri dente alle 8 di domenica mattina: 35 ore e rotti, ennesima esperienza da portarsi appresso. Ritorna in campeggio e crolla letteralmente, i piedi ancora fuori dalla tenda. Se lo merita un bel riposo. I suoi commenti saranno ottimi, ne ha visti di panorami nel mondo, ma il Monviso lo ha affascinato. Si gode ancora il lunedì nel verde collinare della bassa Valle Varaita, e poi via, verso altre avventure. Tutto questo è solo una piccola parte di quello che è stato la Cento Miglia del Mon viso e di quello che sarà nei prossimi anni. Con tenacia e tanta testa, si riprende sull’ultima salita e taglia il traguardo di Saluzzo la domenica mattina. Un sogno immenso: nessuno, nemmeno lui stesso l’avrebbe mai immaginato qualche anno fa. Eppure l’amore per il trail, la natura, la corsa, la montagna e una determinazione smisurata fanno fare cose impossibili.

117 una di 30km ma quando prova ad iscri versi non ci sono più pettorali disponibili. “Mi spiace” gli scrivono gli organizzatori, “la 30 è sold out, abbiamo pettorali solo per la 60km”. Ormai il tarlo del trail lo tormenta e così si iscrive alla 60. Follia pura. Eppure la finisce: faticando, ma la finisce. L’anno seguente, 2022, da rigoroso e preciso quale è, pianifica bene un’altra volta: 60km alla Maremontana, 80km alla UltraDolomites. Il tutto per preparare un sogno: la Cento Miglia del Monviso. Parte agitato ma poi fila tutto liscio per ore. Lo scoglio, enorme, lo trova al 120esimo chilometro: è iniziata la seconda notte, la fatica è tanta, a volte pare anche troppa. Cerca l’aiuto di Elena, la compagna: la chiama, si sfoga, cerca l’aiuto di qualche altro concorrente. Ma è dentro di sé che deve cercare la motivazione, e la trova. Con tenacia e tanta testa, si ripren de sull’ultima salita e taglia il traguardo di Saluzzo la domenica mattina. Un sogno immenso: nessuno, nemmeno lui stesso l’avrebbe mai immaginato qualche anno fa. Eppure l’amore per il trail, la natura, la corsa, la montagna e una determinazione smisurata fanno fare cose impossibili.

BY DENIS PICCOLO POWERED BY KOMOOT

Il

GirointornomondoaVesulodelMonviso

121 La sua dimensione è il risultato del pec cato da lui commesso, o perlomeno così racconta la leggenda. Tra i piemontesi particolarmente legati alla mon-tagna si tramanda la storia del Re Vesulo e della sua sposa Besimauda, sovrani di queste valli. Vesulo non era il migliore dei ma riti e Besimauda discuteva spesso con lui riguardo i suoi atteggiamenti verso le dame di corte. All’ennesima, furiosa, di scussione Vesulo sbatté Besimauda fuori di casa. Questo non calmò l’ira di lei, che imprecò talmente forte contro il re che gli dei dovettero trasformare entrambi gli sposi in pietra per porre fine a tale baccano. Vesulo, pentito delle sue azioni, chiese agli dei di esaudire un desiderio: che lui e sua moglie potessero essere ab bastanza alti da guardarsi in viso. Ecco il perché della sua imponenza, della sua particolare cresta. Vesulo, il Re di Pietra: il Monviso. È da un po’ che non esploro quei sentieri, circa 5 anni a dirla tutta, e ne sento dav vero il bisogno: devo staccare. Mi serve un amico: “We, Fabio, te la butto lì: fac ciamo il giro del Viso. Anche in giorna ta, partiamo di notte e torniamo di notte. Anzi va dormiamo in rifugio così ce la godiamo di più.”

Non so perché, ma è sempre una bella sensazione esplorare le montagne di casa. È come se fosse ogni volta un’esperienza diversa, nonostante le conosca a fondo. Il Monviso. Lui mi ha particolarmente affascinato. Imponente, affilato, colui che più di tutti ispira la forma delle montagne nei disegni dei bambini. Ne sono rimasto incantato fin da piccolo, ogni volta che rientro da un lungo viaggio me lo trovo lì davanti, sempre presente, a darmi il bentornato a casa.

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123 BACKPACK FERRINO AGILE 35 JACKET FERRINO ACADIA POLES COBER BUXUS CAP CIELE SHOES SCARPA RUSH TRK GTX

124 T-SHIRT CRAZY ACCELERATION, SHORT CRAZY ACCELERATION, POLES COBER BUXUS, CAP CIELE

125 Bene si parte allora, mi collego all’account The Pill di Komoot dal mio Mac di casa, traccio il percorso dividendolo in due giorni grazie al “multi-day planner”, lo salvo nella nostra raccolta (se vi interessa lo trovate nei nostri tour) e via lo butto velocemente sull’Iphone e sul Garmin con traccia GPX. Ore 5.30 partiamo da Saluzzo muniti dell’attrezzatura e dei viveri necessari per l’escursione, forse troppi viveri, ergo cioccolata ma va bene così. Komoot ci avverte che ci aspetta un’escursione di circa 40km, l’app ci con siglia di dormire al Rifugio Vallanta che si posiziona circa a metà strada, sotto la parete ovest del Monviso, seguiremo il consiglio, al Vallanta la polenta è spetta colare come la birra locale Kauss. Arrivati a Pian del Re, dopo un caldo caf fè, ci avviamo in direzione del Buco di Viso, il panorama è spettacolare. È noto per essere il più antico traforo alpino, re alizzato tra il 1479 e il 1480, specificata mente voluto da Ludovico II, Marchese di Saluzzo, in accordo con il Re di Provenza Renato d’Angiò, per agevolare il passag gio di merci dai due versanti delle Alpi.

Il Marchesato di Saluzzo voleva infatti evitare i pesanti dazi imposti dal regime dei Savoia per il commercio del sale di Provenza. Quale scorciatoia migliore se non una galleria di 75 metri scavata at traverso il Colle delle Traversette? Que sto passaggio non è stato solo teatro di movimento di prodotti oltre che di interi eserciti, ma un vero e proprio punto di contatto tra due culture. Attualmente è una galleria utilizzata dagli escursioni sti, solo nel 2018 sono stati registrati oltre 20.000 passaggi. Dal Buco di Viso salia mo e raggiungiamo il confine attraverso il Colle delle Traversette, un valico alpino di quasi 3000 metri che unisce la Valle Po con la Valle del Guil francese. Il pae saggio è impressio-nante: davanti a noi una vallata immensa, in grado di farmi sentire piccolo. Dietro di noi riusciamo a scorgere la cima appuntita del Monviso e più ci avviciniamo, più cresce la voglia di andare avanti. Proseguiamo lungo la val le del Guil e dopo quasi due ore raggiun giamo il Refuge du Viso, a 2460 metri, qui siamo in piena terra francese, facciamo una breve sosta, riempiamo le nostre bor racce e diamo tregua per qualche minuto ai nostri piedi. Ordiniamo anche due bir re e due caffè, una cosa che vi sconsiglio Riprendiamofortemente. a salire verso il Passo Val lanta costeggiando il Lac Lestio, un la ghetto incantevole a 2508 metri. Prose guiamo per altri 3km fino a quando non scorgiamo sotto di noi il Rifugio Vallan ta. Ci piazziamo in branda, doccia gelata

"We, Fabio, te la butto lì: facciamo il giro del Viso. Anche in giornata, partiamo di notte e torniamo di notte. Anzi va dormiamo in rifugio così ce la godiamo di più.”

127 (non c’è molta luce per scaldare l’acqua viste le poche precipitazioni) e ceniamo accompagnati dalle luci del tramonto con in sottofondo moltissime risate di hiker come noi, stanchi ma felici.

Sveglia presto, talmente preso che non c’è ancora pronta la colazione. Nessun problema, abbiamo cioccolata in abbon danza. Direzione rifugio Quintino Sella. Ci scaldiamo con una bellissima discesa di circa 4km immersa nei prati e in par te accompagnata dal Torrente Vallanta e da moltissime vacche, qualcuna di loro ancora nel mondo dei sogni. Il sentiero ricomincia a salire attraverso il fresco bosco dell’Alevé, ricco di Pini Cembri, fino a raggiungere il Lago Bertin, incor niciato dalle rocce. Proseguiamo verso un’area più selvaggia, ovvero il Passo San Chiaffredo che porta ad un paesaggio più minerale man mano che si raggiunge Pas so Gallarino. Siamo circondati da cime e ghiaioni rocciosi, l’opposto degli inter minabili prati percorsi il giorno prima. Scorgiamo anche diversi laghetti e il Ri fugio Quintino Sella, l’imponente edificio in pietra posizionato proprio ai piedi del Monviso, vicino al lago grande del Viso. Ancora qualche sforzo su un terreno piut tosto tecnico e finalmente raggiungiamo il Rifugio. Il lago grande di Viso riflette i colori del cielo e si colora di un blu non classificato nella libreria pantone. Sembra un colore inesistente, è così carico di pig mento che pare che l’acqua sia molto più Passiamoconsistente.dal lago Chiaretto che è deci samente unico: un gioiello turchese inca stonato in una scultura di rocce decorata da macchie di piante ribelli. Ogni volta che passo di qui, sia io che i miei com pagni di viaggio rimaniamo in silenzio a contemplare la bellezza di questo luo go. A malincuore, ci lasciamo alle spal le il lago per ritornare al nostro punto di partenza, non prima di passare dalla sorgente del Po. Si trova a 2022 metri di altitudine e viene presentata ai visitatori attraverso un solido sasso che recita “Qui nasce il Po”. È la generazione di quella che per molti dei nostri antenati è stata fonte di vita e di sostentamento, un luogo che racchiude un’aura quasi sacra. Dopo circa 40km, 2290 metri di dislivel lo e quasi 16 ore di camminata, raggiun giamo Pian del Re terminando la nostra Ciescursione.sentiamo grati, stanchi, certo, ma grati. Sono grato a me stesso per aver deciso di riscoprire la mia montagna di casa. Sono grato a Fabio per la compagnia e le risate. Ma alla fine, sono grato anche a Vesulo. Una sorte terribile la sua, ma che ha per messo a me e molti altri di vivere espe rienze importanti in questi luoghi unici. Alla fine, sono grato anche a Vesulo. Una sorte terribile la sua, ma che ha permesso a me e molti altri di vivere esperienze importanti in questi luoghi unici.

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129 TEMPO 15:55 DISTANZA 33,6km DISLIVELLO SALITA 2.286m DISLIVELLO DISCESA 2.286m ACCEDI QUI ALLA TRACCIA DEL PERCORSO SUL PROFILO KOMOOT DI THE PILL OUTDOOR RIFUGIO QUINTINO SELLA BOSCO DEI PINI LAGOCELEBRIBERTIN PASSO GALLARINO PARCO NAZIONALE DEL MONVISO LAGO CHIARETTO BUCO DI VISO RIFUGIO DI VISO LAGO LESTIÒ VISO DI GRANGERIFUGIOVALLANTAVALLANTASOULIERERS RÉSERVE NATURELLE RISTOLAS-MONT-VISODE PARTENZA 3.000M2.500M2.000M 5KM 10KM 15KM 20KM 25KM

BY MATTEO PAVANA perDisconnettereFlightmode:riconnettere

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“Giocare” e “Sapersi mettere in gioco” partono da presupposti diametralmente opposti: osare nei confronti di sé stessi non è mai divertente. Richiede coraggio, richiede uno sforzo. Osare è quello che La Sportiva ha fatto recentemente con l’uscita sui suoi canali del nuovo film corto “Flightmode”, una storia sulla visione critica, ma costruttiva, dell’alpinista tedesco Fabian Buhl sull’alpinismo d’oggi. Le immagini, raccolte dall’assodata coppia di filmer Matteo Pavana e Marco Zanone, ci trasportano in una prospettiva, quella del pensiero di Fabian, in continua evoluzione e di cui, nelle prossime pagine, lo stesso Matteo ci racconta l’essenza.

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Polivalenza Fabian Buhl è uno degli alpinisti più polivalenti e sfaccettati della scena mondiale contemporanea. Dopo un passato da forte sciatore agonista, Fabi ha scoperto l’arrampicata, dedicandole la totali tà delle proprie energie. La sua curiosità verso la scalata in tutte le sue forme (dal bouldering all’arrampicata sportiva, dalle multipitch alle so litarie) è stata anche la benzina che lo ha portato a spostarsi verso cime sempre più lontane, ver so un alpinismo a tutto tondo e a tutto mondo. Solo recentemente Fabi ha rivolto il suo sguardo e il suo dinamismo verso quella che è ritenuta da molti la nuova frontiera di vivere la montagna: l’arte del volo libero. Neve, roccia, ghiaccio e aria. Fabi condensa tutti gli elementi della montagna in una visione multidimensionale, “multi-alpinistica”. L’estetica, la difficoltà e la velocità hanno sempre l’assoluta rilevanza nei termini dell’intensità dell’espe rienza, ma sono condite ulteriormente di una sperimentazione tipica delle nuove esplorazioni.

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Narcisismo

Esplorazioni che, come si può dedurre dall’intro duzione, si concretizzano di questi tempi anche dall’approccio che l’alpinista ha con la tecnologia e con sé stesso. La stessa tecnologia che, anche e soprattutto nei panni controversi e contraffatti dei social media, ha rivoluzionato l’essere umano e il suo modo di vivere e percepire l’intera realtà e, come ovvio che sia, anche la natura, la monta gna e l’alpinismo.

“I social media hanno acquisito molta influenza negli ultimi anni. Secondo alcuni sta diventando lo strumento misurabile più importante del no stro alpinismo, la scalata stessa è secondaria ri spetto agli obiettivi della sponsorizzazione e al potenziale del contenuto prodotto […] È tempo di mettere in discussione il nostro approccio e la nostra motivazione […] Dobbiamo accontentare gli sponsor, ma l'essenza dell'alpinismo è concen trarsi sulle visioni e perseguirle con impegno. Se il motto “climb first, talk later” è la nostra linea guida, non avremmo molti problemi, ci diverti

135 remmo molto di più e l'alpinismo sarebbe proba bilmente più sicuro.” Quella riportata è la traduzione di un estratto dell’articolo “Könnte Narzissmus im Bergsteigen das Ende des Idealismus bedeuten?” (tradotto in italiano “Il narcisismo nell’alpinismo può signi ficare la fine dell’idealismo?”), scritto proprio da Fabian e pubblicato come contributo in uno degli ultimi libri di Reinhold Messner, dal titolo “Zwi schen Durchkommen und Umkommen: Die Fas zination des Bergsteigens” (tradotto in italiano “Tra sopravvivere e morire: il fascino dell’alpini smo). Ed è proprio questo articolo il tema centrale del corto: il rapporto tra alpinismo, tecnologia e social media. In riferimento al fenomeno social, Fabian è certo di una cosa: essi nuocciono irrime diabilmente l’alpinismo. Gli alpinisti sono sem pre meno alpinisti, le riviste sempre meno riviste e le aziende sempre più aziende. Se da una parte aumentano gli alpinisti con un’etica sempre più morbida e mediocre, così le

riviste di settore spesso non si preoccupano del la qualità delle proprie notizie (per non parlare della loro veridicità), mentre, dall’altro lato, sono sempre meno le aziende di montagna che met tono al centro della loro attività la montagna. È semplice da capire.

• Gli atleti devono compiacere gli sponsor che danno loro denaro per compiere quelle che do vrebbero essere salite straordinarie o, comunque, risultati degni di nota (le aziende, dal canto loro, devono giustificare tali investimenti).

• Gli alpinisti ormai non si chiamano alpinisti, bensì “atleti”.

• Gli atleti devono essere anche comunicatori eccelsi, perché le aziende devono anche creare contenuti. Alle volte succede che, come risultante di questo procedimento contorto, alcuni di que sti atleti diventino comunicatori così eccelsi da dimenticarsi di essere effettivamente degli atleti (figuriamoci alpinisti).

• È sempre minore anche il personale delle aziende che pratica le attività che vende, tra cui l’alpinismo. Questo, ovviamente, intacca la quali tà stessa dei prodotti.

• Riviste, blog e web magazine compiacciono sponsor e aziende attraverso il meccanismo ar caico-moderno della pubblicità. Alcuni di questi mezzi di informazione inoltre predispongono degli spazi mono-brand esclusivi, ovviamente a pagamento.

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• Gli atleti condividono le proprie salite su rivi ste, blog e web magazine di montagna.

La parola d’ordine rimane “compiacere”, la prio rità “vendere”. Vivere la montagna sembra sem pre più piegarsi ai meccanismi ormai tipici del nostro tempo: quelli della logica del nonsenso. In un mondo in cui la verità è estremamente malle abile, a causa soprattutto della facilità della sua manomissione, essa ne perde per forza di cose la consistenza. La verità s’incurva, l’oggettività diventa soggettività. E la soggettività, quando è portata al suo culmine, diventa narcisismo. Fabian invece è un alpinista la cui consapevo lezza riflette un’umanità in controtendenza, in

• Le aziende dell’industria outdoor cavalcano la moda e la tendenza, praticando profitti piuttosto importanti.

• Il mercato outdoor non è mai stato così florido. Alcune delle aziende del mercato outdoor non hanno nemmeno risentito del cosiddetto “effetto pandemia”.

• Il mercato compiace se stesso.

• In tutto questo, le aziende devono compiacere il mercato. Il mercato ha delle regole che non si possono controllare.

• Il personale delle riviste, dei blog e dei web magazine di montagna pratica sempre meno le attività che queste trattano o dovrebbero tratta re. Questo, ovviamente, intacca la qualità stessa dell’informazione di settore.

139 cui non esiste il bisogno di mostrare la versione migliore di sé stessi e seguire l’ingannevole mito dell’autocelebrazione, compiacere le aziende ed essere degli alpinisti-comunicatori.

Fabian ha de ciso di allontanarsi da qualsiasi tipo di distrazio ne, virtuale e non, per focalizzarsi interamente alla ragione della sua vita: l’alpinismo in ogni sua forma e combinazione. Ignoto Ignoto ed esplorazione sono una coppia di termi ni che l’uomo non ha mai considerato separata mente: tutto ciò che non si conosce deve essere scoperto, è sempre stato così e così sarà per sem pre. Lo è stato per Marco Polo, Charles Darwin, Amelia Earhart, Ernest Shackleton, Mary Kin gsley, Neil Armstrong e per tutte le donne e gli uomini che hanno voluto mettere il naso “un pò più in là”. In alpinismo, se allarghiamo la prospettiva dai social media a un punto di vista strettamente tecnologico, l’ignoto diventa sempre più piccolo, diventando sempre meno sconosciuto. L’equi paggiamento moderno, le previsioni meteo in costante aggiornamento, i corpi nazionali e in ternazionali di soccorso anche nelle regioni più remote del pianeta hanno reso tutto più semplice, sicuro, scontato. Esistono variabili che, soprat tutto se la prerogativa è la ricerca dell’avventura, vanno riviste: l’incertezza, l’accettazione dell’i gnoto e la completa dedizione all’obbiettivo. La concentrazione, la fatica e l’attesa sono ciò di cui l’alpinismo moderno ha bisogno per le grandi sa lite del futuro, ma è anche ciò di cui l’alpinista contemporaneo ha bisogno per raggiungere una consapevolezza superiore e completa, soprattutto come essere umano. Tempo Il concetto di tempo non è mai stato tanto di storto. Questo perché la velocità a cui la vita si muove non è mai stata tanto elevata. Muoversi in maniera lenta non è più considerato efficiente, questo concetto vale per qualsiasi cosa. E l’alpini smo non ne è esente. I tempi dell’alpinismo sono tanto veloci quanto i tempi i cui l’alpinismo viene

140 raccontato. Non serve più infatti navigare lun ghe settimane per attraversare l’Oceano Atlanti co per immergersi nell’ambiente selvaggio della Patagonia, come non è più necessario aspettare altrettante settimane, se non addirittura mesi, per ricevere notizie o racconti riguardanti una specifica spedizione. L’informazione “fast-based” ha ucciso, perché di questo si tratta, l’aspetto più affascinante e romantico di cui è composto l’alpi nismo: l’attesa. L’immediatezza sterilizza l’essen za stessa su cui quelle avventure e quei racconti dovrebbero erigersi. Per non parlare della veloci tà con cui il successo di un alpinista venga lodato per poi essere dimenticato pochi giorni dopo, con la prossima notizia, in un clima di disarmante disinteresse. Rischio Il rapporto tra social media e alpinismo assu me per Fabian una valenza talmente ambigua da considerarsi rischiosa. Per l’alpinismo che si esprime ai massimi livelli è necessaria la massi ma concentrazione per la via, la scalata e le con dizioni della parete. Solo così si è in grado di po tersi prendere delle responsabilità per sé stessi e il proprio compagno. Legare una “motivazione social” ad una scalata importante porta per forza di cose a un rischio che, aggiunto a quello intrinseco in alpinismo, non può essere considerato in alcun modo se non inutile. Non si tratta più di scalare per motivi scientifici, per essere degli eroi, per riscattare la propria na zione, ma per vivere intensamente un’esperienza. E nonostante il rischio di un incidente praticando alpinismo non si azzeri mai, è davvero un pecca to se si realizza per motivi sbagliati ed evitabili. Invece continua a prendere forza, anche se passa inosservata, l’abitudine dei singoli individui di spingersi per un numero sempre maggiore di vol te e per intervalli di tempo sempre più lunghi al di là dei propri limiti. Ciò non accadrebbe infatti in condizioni normali, in cui si pratica un’attività prettamente per se stessi, per il proprio benessere psico-fisico, non considerando altre variabili co stantemente alla portata di scroll. Fabian invece

WALTER

141 ha deciso di dare spazio al “come”, piuttosto che al “quanto”, puntando alla qualità e alla sicurez za del proprio alpinismo. Vale veramente la pena interrogarsi sul motivo per cui si agisce in un de terminato modo e al gusto che si vuole dare a tale Seesperienza.taleragionamento viene tenuto in riferimento invece a un pubblico di semplici appassionati e non di professionisti, quello dell’emulazione resta tuttora il rischio primo e più pericoloso. Responsabilità Tutto deve partire da una domanda: “Perché sca lo?” E tutto deve finire con la stessa identica ri sposta: “Perché scalo.”

"Non si può negare che in alcune prestazioni specializzate ed estreme di oggi vi sia effettivamente un certo quoziente di avventura, che però, va detto, non sempre risulta spontanea e a volte raggiunge persino limiti e significati davvero poco edificanti sul piano umano.

Domanda e risposta sono la responsabilità che gli alpinisti devono prendersi per rendere questa attività più sicura, più viva. Perché l’alpinismo torni ad essere l’arte del sopravvivere lassù per vivere quaggiù. Vi lascio con queste parole, a di mostrazione che c’era già chi, prima di Fabian, si interrogava su queste tematiche.

A ispirare questa avventura, a sostenerla e a spingerla, è infatti quasi sempre un perverso e inarrestabile meccanismo fatto di concreti interessi. Mass media, business e pubblicità tra loro coalizzati formano una forza pressante e sempre più esigente, un potere ben combinato che segue, precede, inquadra e condiziona i suoi protagonisti. E questi si trovano presto prigionieri di una escalation impietosa, chiusi in una morsa che li forza a prestazioni inedite, li costringe a un’affannosa ricerca della riuscita a ogni costo, li riduce infine alla triste impossibilità di rinunciarvi.” BONATTI,

NEL 1989

TEXT ILARIA CHIAVACCI PHOTO

PerdersiKenyaperritrovarsi PAOLO SARTORI

Italia - Nairobi - Monte Kenya e ritorno

Paolo Sartori è un fotografo e un videomaker, ma prima di ogni altra cosa un profondo conoscitore e amante della montagna e un alpinista. Tornato dalla sua ultima spedizione sul monte Kenya ha condiviso con noi alcune riflessioni che ha maturato durante la missione.

Paolo Sartori, insieme alla crew composta da Tazio Ferrari, Alain Vignal, Mattia Lia e Lena Drapella, è tornato da qualche mese dall’ascensione del monte Kenya, la seconda montagna africana più alta dopo il Kilimangiaro. “A differenza del Kilimangiaro, che è frequentatissimo, sul monte Kenya salgono in pochi: mentre sulla cima del primo si arriva con un trekking, l’altro è più tecnico e bisogna arrampicare per raggiungere la vetta.”

144

146 Niente che tu non abbia già fatto sulle Alpi o in giro per il mondo… Sì, sia io che gli altri, abbiamo una discreta esperienza in montagna e siamo abituati e cime ben più tecniche. Tazio ed Alain sono addirittura guide alpine, quindi una salita di difficoltà classica come il monte Kenya certamente non ci spaventava. Quello che però ci ha sia messo in difficoltà, e che ci insegnato qualcosa, è stato il meteo, o meglio la mancanza di informazioni certe su di esso e sulle condizio ni della montagna. Di solito non capita mai di non avere dei siti di riferimento affidabili, o di non conoscere nessuno che abbia già fatto quel percorso recentemente prima di te e che ti possa dare delle indicazioni: facendo un giro di tele fonate in Italia riesci a scoprire in breve tempo quelle che possono essere le criticità a cui andare incontro, lì eravamo totalmente al buio. Sapeva mo di essere in grado di affrontare la salita, ma ci mancavano tutta una serie di informazioni che solitamente contribuiscono a creare la nostra zona di comfort come alpinisti. In parole povere eravamo in balia della montagna, dovendo fare affidamento soltanto su quello che potevamo ve dere, sul nostro intuito e sulla nostra esperienza. Poi c’è un altro fattore da contare, lì sei a una settimana di viaggio da Nairobi, in un territorio dove non c’è soccorso alpino, perciò, benché la montagna in sé non presentasse particolari criti cità, siamo stati molto scrupolosi e la sensazione è stata quella di ritrovare un po’ lo spirito dell’al pinismo com'era 50, 60, o 70 anni fa, o almeno come noi ci immaginavamo che fosse. Sebbene si tratta di vie ripetute molte volte ogni anno, il fatto di essere gli unici alpinisti in zona e di non avere informazioni ha creato un clima che non ho sperimentato nemmeno l’anno scorso quan do, come fotografo, ho seguito due spedizioni in Karakoram. In quei casi, anche se le vie di salita erano molto più difficili, al campo base giun gevano previsioni meteo accurate con cadenza giornaliera. Partire per una salita senza avere la minima idea di come evolverà il meteo è stato una cosa nuova per tutti noi. Ci siete riusciti alla prima? No, il primo ten tativo fatto è fallito, appunto perché abbiamo dovuto rinunciare a metà per via delle condi zioni avverse. In un territorio tanto vasto le stazioni meteo non sono capillari, e anche con i nostri dispositivi Garmin non siamo riusciti a individuare la finestra di bel tempo con suf ficiente precisione: doveva essere estremamente soleggiato e così è stato per il trekking di avvi cinamento, che è durato cinque giorni, con una marcia iniziata a 2500 metri d’altitudine e che ci ha portato ai 4300m di Shipton Camp. Da lì poi abbiamo fatto il nostro primo tentativo una mattina che in teoria doveva essere bellissima, mentre invece ha iniziato a nevicare, c’era vento, nebbia e poi c’erano delle nubi dense che incu tevano un certo timore. Anche perché il Monte Kenya non fa parte di una catena montuosa, ma è una montagna singola, di origine vulcanica, in mezzo a una pianura sterminata, quindi hai una discreta visibilità su cosa c’è intorno a te e arri vati all’incirca sui 5000 ci siamo resi conto che le nuvole continuavano ad addensarsi e che proba bilmente si sarebbe scatenato un temporale di lì a breve. Abbiamo deciso di scendere: col senno di poi il temporale non è mai arrivato, ma in quel momento abbiamo preferito non rischiare di tro varci in condizioni di difficoltà. Buona la seconda quindi. Yes. A quel punto abbiamo deciso di fare il giro intorno al mas siccio, per salire dall’altro lato della montagna e provare ad arrivare in cima tre giorni dopo, nell’ultimo slot che avevamo a disposizione pri ma di partire. Lì paradossalmente è successo il contrario: le previsioni non erano ottime, perciò abbiamo fissato la partenza alle quattro del mat tino con poche aspettative se non quelle di dare il nostro meglio; alle undici della sera preceden te c’erano condizioni pessime, con una nevica

Come hai mai hai scelto il monte Kenya?

Un giorno stavo facendo delle ricerche per un sa fari e nelle foto vedevo sempre questa montagna solitaria e aguzza, così ho iniziato a informarmi meglio e più cercavo e più l’idea di salire fino in cima mi stuzzicava. Il fatto poi che sia una meta poco battuta rende tutto più romantico, c’è il trekking intorno al massiccio, quindi parliamo comunque di una zona lievemente antropizzata, ma tutta da scoprire. Non è un tipo di esperienza blasonata e gettonata come salire fino al campo base dell’Everest, prima di partire ero riuscito a trovare poche informazioni, sia sul percorso a piedi, che sulla parte di arrampicata, e questo ha fatto scattare l’istinto dell’esploratore. In merito all’organizzazione pratica della spedizione? Come ti sei mosso? Per organiz zare questo tipo di viaggi è fondamentale mette re insieme il team giusto e finalmente lo scorso aprile ne ho avuto la possibilità, grazie anche ad Haglöfs, che ha sostenuto la spedizione come sponsor. Non avevamo mai fatto niente tutti e quattro assieme, ma conoscevo personalmente ognuno di loro da altre spedizioni e ho avuto Non c'era bisogno di stare a confrontarsi con chi lo aveva fatto prima, con chi ci ha messo di più, con chi ci ha messo di meno, noi eravamo lì per il solo fatto di voler vivere quell’esperienza con le nostre capacità e il nostro amore per la montagna.

150 ta che anche a detta dei nostri portatori locali è stata un evento eccezionale. Fortunatamente però siamo riusciti ad andare e anche a tornare sfruttando poche ore di inaspettato bel tempo: ha iniziato a piovere cinque minuti dopo essere rientrati al campo base. Il terreno ci ha agevola to: abbiamo trovato roccia perfetta con difficoltà che ci ha permesso di procedere quasi sempre in conserva, ma la vera ricompensa della giornata è stata la vista. Non ho mai visto un’alba come quella mattina, e mentre gradualmente guada gnavamo quota potevamo vedere panorami che si estendevano sempre più verso un infinito fatto di pianure e colline verdeggianti. Questa salita non rientra in nessuna top 10 per quanto riguar da difficoltà o performance, ma ci ha fatto capire come un'esperienza del genere possa essere mol to appagante senza dover per forza battere chis sà quale record di velocità o conquistare chissà che grado. Ultimamente invece l’alpinismo sta pren dendo molto la piega della super perfor mance. Sì, e questo è un peccato: l'attività in montagna in generale è sempre più incentrata sul grado di difficoltà o sulla velocità. La nostra esperienza in Kenya è stata l’opposto: non c'era bisogno di stare a confrontarsi con chi lo aveva fatto prima, con chi ci ha messo di più, con chi ci ha messo di meno, noi eravamo lì per il solo fat to di voler vivere quell’esperienza con le nostre capacità e il nostro amore per la montagna. Ne ho parlato molto anche con i ragazzi che erano in Kenya con me: far diventare l’alpinismo una questione di gradi o di record è veramente ri duttivo, ci sono troppe altre cose in ballo e uno riesce a godersele solo se si concentra sull’espe rienza in sé, non sulla performance. E poi ogni salita può essere challenging, comunque avrai sempre decisioni da prendere e valutazioni da fare: come nel nostro caso, non si trattava di una spedizione in cui corri il rischio di non tornare, quelle che fanno gli alpinisti di punta, ma una decisione sbagliata sarebbe stata sufficiente a trasformare il viaggio in un disastro.

Principalmente perché sono abbastanza innamo rato dell'Africa, è una meta che avevo in testa da un po’, ma il Kilimangiaro mi interessava relati vamente perché è una vetta molto commerciale.

152 la fortuna di poterli raggruppare. Incastrando gli impegni di tutti siamo riusciti a partire ad aprile, che per il Kenya non è il massimo perché coincide con la stagione delle piogge, ma questo ci ha fatto forse capire che qui sulle Alpi ci siamo abituati ad uscire solo con le condizioni ottimali, quando l’esperienza ti connette molto di più con l’ambiente anche se non si verificano tutte le con dizioni che vorremmo.

Tu hai citato il Kilimangiaro, oltre al di scorso della performance, nel mondo dell’alpinismo e del climbing ora come ora c’è molto hype anche riguardo alle missio ni, vedi le Seven Summits, o i quattordici ottomila. È vero ed è un peccato, perché si riduce quella che dovrebbe essere l’esperienza personale di ognuno a un qualcosa da raggiun gere a tutti i costi perché fa status. È un po’ quello che nel mio mondo, quello della fotogra fia, è successo con Instagram: se vai in Islanda devi per forza fare le foto a quei quattro posti dove sono stati tutti e che sono i più famosi. Fare i 14 ottomila ora va molto di moda e in tanti lo fanno letteralmente ad ogni costo, an che ambientale, e chissenefrega di come sono arrivato in cima, o come sono arrivato a toccare quei quattordici punti, magari arrivando in eli cottero fino al campo base. Ho sentito di gen te che si è messa i ramponi per la prima volta nella vita proprio al campo base dell’Everest. Ecco, così è troppo. Perché se è vero che l’hype che c’è ultimamente intorno alla montagna sta facendo sì che molte persone si avvicinino ai valori dell’alpinismo e della scoperta della na tura, il rovescio della medaglia è che siccome va di moda chi se lo può permettere paga qual siasi cifra per provare l’experience di salire su un ottomila. Così, oltre a causare un danno am bientale sfruttando troppo determinati posti, si perde tutto il fascino dell’ignoto e dell’esplo razione: per noi è stato molto bello fare questa esperienza in Kenya proprio perché siamo ar rivati senza sapere veramente cosa aspettarci. Il tema, per quanto riguarda le mete più get tonate, è anche quello di uno sfruttamento eccessivo del territorio. Esattamente: ci sono posti della Cordillera Blanca in Perù, del Nepal o del Karakoram che assomigliano a delle di scariche tanti sono i rifiuti che vengono lasciati in giro dagli escursionisti. Una delle cose che ci ha stupito in positivo dell’ascensione al monte Kenya e che abbiamo sperimentato nei dodici giorni di viaggio è invece l’estrema pulizia che abbiamo riscontrato. Come scegli le mete per le tue escursioni? Per esempio anche leggendo The Pill! Ma in ge nerale direi che la strategia migliore è quella di essere molto curiosi, di certo non cercando sui profili di chi ha milionate di follower, ma ma gari seguendo chi ha uno stile di alpinismo che ci piace, e poi approfondendo, facendo ricerca. Oggi come oggi sul web si trova molto, ma an che chiedendo a chi è stato su una vetta prima di noi, documentandosi, cercando mappe delle zone dove si vuole andare. Fare i 14 ottomila ora va molto di moda e in tanti lo fanno letteralmente ad ogni costo, anche ambientale, e chissenefrega di come sono arrivato in cima, o come sono arrivato a toccare quei quattordici punti, magari arrivando in elicottero fino al campo base.

MONTEBELLUNAMOENAMOENAMOENAITAITAITAITA

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160 LAST WORD BY DAVIDE FIORASO Ma cos’altro deve fare Madre Natura? Quale altro avvertimento può lancia re questo vecchio pianeta? Cosa serve ancora a noi stupidi umani per capire che la terra si è ammalata? Non c’è mai stata così tanta CO2 in atmosfe ra da 63 anni a questa parte, cioè da quando sono iniziate le misurazioni. Oggi la concentrazione di anidride carbonica ha raggiunto il valore più alto della storia moderna. Attualmen te ci sono nell’aria 419,13 parti per mi lione di biossido di carbonio. Il record precedente risaliva esattamente a un anno fa, dove il valore si era attesta to a 417,9. A riferirlo è l’osservatorio di Mauna Loa, nelle Hawaii, che da decenni monitora questi dati a livello Admondiale.essere onesti, gli studi sui gas ser ra, rivelano che questi valori erano già stati raggiunti. Circa 4,6 milioni di anni fa, quando le condizioni clima tiche sulla terra erano estremamente diverse. Quando, cioè, l’uomo e la sua stupidità non avevano ancora fatto la loro comparsa.

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