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Estratto da "Le funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo"

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Le funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo Dalla valutazione all’intervento
Manuali di psicologia Presentazione di Cesare Cornoldi Prefazione di Pierluigi Zoccolotti a cura di Gian Marco Marzocchi Chiara Pecini Maria Carmen Usai Paola Viterbori

LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

dalla valutazione all, intervento

A cura di Gian Marco Marzocchi, Chiara Pecini, Maria Carmen Usai e Paola Viterbori

LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

dalla valutazione all,intervento

Presentazione di Cesare Cornoldi Prefazione di Pierluigi Zoccolotti

Le funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo. Dalla valutazione all’intervento Gian Marco Marzocchi, Chiara Pecini, Maria Carmen Usai e Paola Viterbori (a cura di)

ISBN: 978-88-98542-85-7

© 2022, Hogrefe Editore, Firenze

Viale Antonio Gramsci 42, 50132 Firenze www.hogrefe.it

Coordinamento editoriale: Jacopo Tarantino Redazione: Alessandra Galeotti Impaginazione e copertina: Stefania Laudisa

Tutti i diritti sono riservati. È vietata la riproduzione dell’opera o di parti di essa con qualsiasi mezzo, compresa stampa, copia fotostatica, microfilm e memorizzazione elettronica, se non espressamente autorizzata dall’Editore.

I curatori

Gian Marco Marzocchi

Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di MilanoBicocca, ha conseguito il PhD in Neuroscienze presso la SISSA di Trieste. Cofondatore del Centro per l’Età Evolutiva di Bergamo, dove effettua consulenze a genitori, insegnanti e valuta zioni psico-diagnostiche per bambini e ragazzi, ha curato con Marina Cavallero l’adattamento italiano delle ADHD Rating Scale-5 for Children and Adolescents (Hogrefe, 2019).

Chiara Pecini

Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Firenze, ha conseguito il PhD in Neuroscienze dello sviluppo presso l’Università di Pisa e la specializ zazione in Psicologia Clinica presso l’Università di Siena. Ha svolto attività di ricerca clinica in Neuropsicologia dello sviluppo presso l’IRCCS Fondazione Stella Maris fino al 2018. I suoi temi di ricerca riguardano i processi cognitivi sottostanti lo sviluppo del linguaggio e l’appren dimento scolastico in condizioni tipiche e atipiche. È docente di master in vari Atenei italiani e autrice di numerose pubblicazioni scientifiche e di software per l’intervento in remoto nell’am bito dei disturbi del neurosviluppo.

Maria Carmen Usai

Professore ordinario presso il Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università di Ge nova, insegna Sviluppo delle differenze individuali e Psicologia dello sviluppo. Il tema delle funzioni esecutive nello sviluppo tipico e atipico costituisce uno dei suoi principali argomenti di ricerca e di docenza nell’ambito di alcuni master di secondo livello. Su questo e altri temi affini è autrice di pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali. Ha partecipato al gruppo di scrittura sui prerequisiti dell’apprendimento nelle nuove Linee Guida sulla gestione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (ISS, 2022).

Paola Viterbori

Professore associato in Psicologia dello sviluppo e dell’educazione presso l’Università di Genova, ha conseguito il PhD in Metodi di ricerca in psicologia e la specializzazione in Psicologia clinica presso lo stesso Ateneo. I suoi temi di ricerca riguardano la valutazione e l’intervento nell’ambito delle funzioni esecutive e lo studio della relazione fra funzioni esecutive e altri domini dello sviluppo.

Gli autori

Clara Bombonato

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

Silvia Bonetti

Équipe Evolutiva, Viareggio

Paola Brovedani

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

Claudia Casalini

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

Emanuela Castro Centro P.O.P., Livorno

Cesare Cornoldi Dipartimento di Psicologia generale, Università di Padova

Alessandro Crippa Laboratorio di Psicopatologia dello sviluppo, IRCCS “Eugenio Medea”, Bosisio Parini

Paola Cristofani

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

Maria Chiara Di Lieto

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

Martina Fontana

Dipartimento di Scienze della vita, Università di Trieste

Elena Gandolfi

Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova

Silvia Lanfranchi

Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, Università di Padova

Irene C. Mammarella

Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, Università di Padova

Alice Martinelli

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa

Gian Marco Marzocchi

Dipartimento di Psicologia Università di Milano-Bicocca

Sara Mazzotti

IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa Alessandra Mingozzi Università di Milano-Bicocca

Pietro Muratori IRCCS Fondazione Stella Maris, Pisa Maria Chiara Passolunghi Dipartimento di Scienze della vita, Università di Trieste

Chiara Pecini Dipartimento di Scienze della formazione, lingue, intercultura, lettere e psicologia Università di Firenze

Francesca Pulina Dipartimento di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione, Università di Padova

Carlotta Rivella Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova

Silvia Spoglianti Paroleincerchio, Imola Irene Tonizzi Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova

Laura Traverso Dipartimento di Scienze della formazione, Università di Genova

Maria Carmen Usai Dipartimento di Scienze della formazione Università di Genova

Antonino Vallesi Dipartimento di Neuroscienze e Padova Neuroscience Center, Università di Padova

Paola Viterbori Dipartimento di Scienze della formazione Università di Genova

Indice

Presentazione

Cesare Cornoldi XI

Prefazione

Pierluigi Zoccolotti XIII

Parte prima. Inquadramento teorico e strumenti per la valutazione e l’intervento

1. Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva Gian Marco Marzocchi e Alessandra Mingozzi 3

1.1. I primi studi sulle funzioni esecutive in età evolutiva 4

1.2. Modelli frazionati di FE 5

1.3. Modelli sequenziali di FE 7

1.4. Modelli di FE hot e cold 9

1.5. Modello di rielaborazione iterativa e reflection 10 1.6. FE e ciclo di vita: modelli unitari e dimensionali 13 1.7. Autoregolazione e FE 17

1.8. Nuove prospettive nelle FE 18

2. Correlati neurofunzionali delle funzioni esecutive dalla nascita all’adolescenza Antonino Vallesi e Paola Brovedani 21

2.1. Sviluppo della corteccia prefrontale e delle aree ad essa connesse 22 2.2. Le basi neurofunzionali sottese alle diverse funzioni esecutive 25 2.3. Vulnerabilità e plasticità dei circuiti sottesi alle FE 34 2.4. Conclusioni 36

3. Traiettorie evolutive nello sviluppo tipico delle funzioni esecutive Elena Gandolfi e Maria Carmen Usai 37

3.1 Lo sviluppo delle funzioni esecutive 37

3.2. Contesto di sviluppo delle FE: il ruolo delle relazioni parentali e del contesto socioeconomico 40

3.3. Funzioni esecutive e altri domini di sviluppo 42

4. Le funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo e in altre condizioni di sviluppo neurofunzionale atipico Chiara Pecini e Claudia Casalini 48

4.1. Disturbi e traiettorie atipiche dello sviluppo neurofunzionale 48

4.2. Profili di FE nello sviluppo neurofunzionale atipico 51

4.3. Ricadute clinico-educative nella presa in carico dei bambini con sviluppo atipico 57

5. La valutazione delle funzioni esecutive nel periodo prescolare e scolare Carlotta Rivella, Clara Bombonato e Paola Viterbori 61

5.1. Perché e quando valutare le FE 61

5.2. Come cambia la valutazione in relazione all’età del bambino 62

5.3. Strumenti di valutazione delle FE 63

5.4. Aspetti critici nella valutazione delle FE 68

5.5. Valutazione delle FE nella disabilità e nei disturbi del neurosviluppo 70 5.6. Televalutazione delle FE 71 5.7. Spunti conclusivi 72

6. Criteri generali per il potenziamento e la riabilitazione delle funzioni esecutive Laura Traverso, Emanuela Castro e Maria Chiara Di Lieto 74 6.1. Gli interventi 74 6.2. I benefici 79 6.3. Criteri generali 82

Parte seconda. Funzioni esecutive e sviluppo atipico: ricerche e casi clinici

7. Quadri a rischio nei primi anni di vita Sara Mazzotti, Alice Martinelli e Paola Viterbori 87 7.1. Il rischio nella prima infanzia 87 7.2. Ruolo e valutazione delle FE nella prima infanzia 89 7.3. La valutazione delle FE emergenti nella pratica clinica 92 7.4. Mediatori ambientali: ricadute valutative 96 7.5. Condizioni di rischio e sviluppo delle FE nella prima infanzia 97 7.6. Esperienze e prospettive di intervento 99 7.7. Conclusioni e prospettive 102 Caso clinico 103

8. Funzioni esecutive e disturbi primari del linguaggio Claudia Casalini e Clara Bombonato 106

8.1. Inquadramento nosografico dei disturbi primari del linguaggio 106 8.2. Fenotipo clinico dei disturbi primari del linguaggio 108 8.3. Endofenotipo cognitivo dei disturbi primari del linguaggio 109 8.4. La valutazione delle FE nei disturbi del linguaggio 114

VIII LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

8.5. L’intervento sulle FE nei disturbi del linguaggio 114 Caso clinico 117

9. Funzioni esecutive nei disturbi specifici di apprendimento

Silvia Spoglianti, Silvia Bonetti e Chiara Pecini 121

9.1. I disturbi specifici di apprendimento 121 9.2. FE ed apprendimento scolastico nello sviluppo tipico 124 9.3. FE e difficoltà di apprendimento scolastico 126 9.4. Protocolli di valutazione delle FE nei DSA 133 9.5. L’intervento sulle FE nei DSA 136 9.6. Spunti conclusivi relativi alla relazione tra DSA e FE 141 Caso clinico 142

10. Funzioni esecutive e disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD)

Gian Marco Marzocchi e Alessandra Mingozzi 146 10.1. Inquadramento nosografico 146 10.2. Modelli interpretativi di ADHD 147 10.3. FE e ADHD 150

10.4. Profili di FE e protocolli di valutazione 154 10.5. Interventi sulle FE nell’ADHD 157 10.6. Considerazioni conclusive 162 Caso clinico 162

11. Funzioni esecutive e disturbi dello spettro dell’autismo

Alessandro Crippa, Irene Tonizzi e Maria Carmen Usai 166 11.1. Inquadramento nosografico 166 11.2. Descrizione del funzionamento generale e modelli interpretativi 166 11.3. Profili e protocolli di valutazione 171 11.4. Gli interventi 173 Caso clinico 175

12. Funzioni esecutive e disabilità intellettiva

Silvia Lanfranchi, Martina Fontana, Maria Chiara Passolunghi, Francesca Pulina e Maria Carmen Usai 181

12.1. Caratteristiche generali 181 12.2. Descrizione del funzionamento nell’area delle FE 182 12.3. La valutazione delle FE nella disabilità intellettiva 183 12.4. Potenziamento delle FE in bambini e ragazzi con disabilità intellettive 186 Caso clinico 189

13. Funzioni esecutive e disturbi neuromotori

Maria Chiara Di Lieto, Paola Cristofani, Carlotta Rivella e Sara Mazzotti 196 13.1. Inquadramento nosografico 196

IX INDICE

13.2. Descrizione del funzionamento generale 198

13.3. Ruolo delle FE nella diagnosi funzionale 201

13.4. Esperienze e prospettive d’intervento 204 Caso clinico 207

14. Funzioni esecutive nel disturbo dello sviluppo delle abilità visuospaziali (disturbo non verbale)

Cesare Cornoldi e Irene C. Mammarella 209

14.1. Caratteristiche del disturbo 209

14.2. La memoria di lavoro nel disturbo non verbale 211

14.3. Lo studio di altre FE nel disturbo non verbale 214

14.4. Valutazione e intervento sulle FE nel disturbo non verbale 215 Caso clinico 216

15. Funzioni esecutive nei disturbi esternalizzanti e internalizzanti

Silvia Bonetti, Emanuela Castro e Pietro Muratori 223

15.1. Inquadramento nosografico 223

15.2. FE e disturbi internalizzanti ed esternalizzanti 227

15.3. Interventi che possono promuovere le FE in età evolutiva 233 Caso clinico 236

Bibliografia 241

Indice analitico 297

X LE FUNZIONI
NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
ESECUTIVE

Presentazione

È con grandissimo piacere che introduco questo volume sulle funzioni esecutive nell’ambito evolutivo, sia perché si tratta di un libro prezioso e molto completo sia perché in Italia si avvertiva il bisogno di una presentazione organica e aggiornata della tematica. Il testo è non solo prezioso, ma anche autorevole, perché dà voce a una rete di ricercatori italiani (GRIFE) che da anni si coordinano e danno vita ad iniziative per promuovere lo studio e la conoscenza delle funzioni esecutive in età evolutiva. Come Presidente nazionale dell’AIRIPA (Associazione Italiana per la Ricerca e l’Intervento in Psicopatologia dello Sviluppo), che è coinvolta nell’attività del gruppo GRIFE ed è beneficiaria dei diritti d’autore di questo volume con l’accordo di utilizzarli per inizia tive del gruppo, saluto quindi con estremo piacere la comparsa del testo. Devo confessare che, avendo a lungo frequentato Alan Baddeley e Tim Shallice, ed avendo più volte incontrato Donald Norman e Bruce Pennington, mi ero in passato fortemente interessato alla tematica delle funzioni esecutive, studiandole sperimen talmente e riprendendo il costrutto di controllo esecutivo per rappresentare la me moria di lavoro. Poi però, come era successo anche per altri colleghi, avevo ridotto il mio coinvolgimento sull’argomento, per due ragioni principali e cioè per l’eterogeneità delle funzioni e per l’eccessiva capacità esplicativa assegnata alle funzioni esecutive per spiegare i disturbi del neurosviluppo (v. ADHD, autismo e DSA) o altri costrut ti cognitivi (v. intelligenza). Purtroppo, alcuni studiosi di funzioni esecutive avevano continuato a ribadire queste tesi estreme della prima ora creando diffidenza. Vedo invece che il presente testo evita questo pericolo, grazie alla presenza di autori anche giovani che non hanno pesanti eredità da difendere e all’ampiezza della trattazione, che permette di andare in profondità sugli argomenti affrontati.

Va detto che lo stesso termine “funzioni esecutive” al plurale avrebbe dovuto ricor dare che si sta parlando di più “funzioni” e non di una sola. Il primo capitolo del libro, curato da Gianmarco Marzocchi (il quale non a caso viene da un dottorato svolto sotto la guida di Shallice) e Alessandra Mingozzi, ci offre una visione illuminata e moderna del costrutto, specificando che si sta parlando di un “termine ombrello” (come del resto sono “concetti ombrello” molti altri grandi termini usati dalla psicologia, a partire da percezione e linguaggio, per finire con attenzione, memoria e pensiero), che si riferisce a “una rete di processi cognitivi di ordine superiore per coinvolgere, dirigere o coor dinare altri processi psicologici di ordine inferiore, al fine di raggiungere determinati obiettivi”. E infatti, anche per altri costrutti citati, per esempio memoria, attenzione e

pensiero (che tra l’altro presentano molte sovrapposizioni con le funzioni esecutive), oggi si fa un riferimento generale, ma anche articolato. Si dedica magari ad essi un capitolo nei manuali introduttivi alla psicologia, ma poi si perviene a un’articolazione e a un’analisi di singoli semi-indipendenti aspetti. Guardiamo con sospetto chi parla tout court di “linguaggio” o di “memoria” senza tenere conto dei vari aspetti sottostanti, spesso scarsamente correlati fra loro, spesso con funzioni e criticità diverse a seconda delle tipologie di problemi o psicopatologie. Lo stesso mi sembra valere per le “fun zioni esecutive” anche se forse, in questo caso, c’è un maggiore comun denominatore, anche sulla base della maggiore riconoscibilità di comuni correlati neurali. Tuttavia, un’articolazione ragionata, consistente e condivisa richiede ulteriore ricerca. I vari ca pitoli del volume ci testimoniano ciò, mostrando come le varie tematiche affrontate richiedano una differenziazione fra strumenti e corrispondenti tipologie di funzioni esecutive, e nel primo capitolo si illustrano alcuni modelli e proposte di differenziazio ne delle funzioni esecutive, riflesso dell’attuale difficoltà a raggiungere una posizione condivisa.

Gli autori dei vari capitoli sono comunque rispettosi della ricchezza e varietà di proposte presenti nel campo e onestamente riportano le criticità del settore. Mi ha colpito vedere presentata la posizione recente di Sabine Doebel, che implicitamente riprende il timore di aporia associato alle funzioni di controllo (se esse controllano la mente, chi a loro volta le controlla?) e in qualche modo propone che le funzioni di con trollo si sviluppino sulla base di una serie di processi inerenti alle funzioni controllate.

In questo volume sono autore non solo di questa breve presentazione, ma anche – insieme a Irene Mammarella – di un capitolo che riguarda le funzioni esecutive nel caso del disturbo non verbale. Devo dire che, quando Irene mi propose di collaborare a questo capitolo, rimasi perplesso, perché non penso che le funzioni esecutive costi tuiscano una chiave fondamentale per la comprensione del disturbo. Ho poi accettato quando ho appreso che ci sarebbero stati capitoli anche per altre problematiche, per esempio i DSA, ove la situazione mi pare per molti versi simile. Ho quindi inteso il compito come un invito a considerare la possibilità che anche le funzioni esecutive possano avere un ruolo in questi disturbi e che quindi il clinico, con una visione am pia, ne deve tenere conto. Non vorrei tuttavia avere contribuito a creare in chi userà il volume l’idea che le funzioni esecutive abbiano uguale importanza in tutti i disturbi del neurosviluppo. Infatti, per quanto sia stata dismessa l’idea che in certi disturbi (in primis l’ADHD) il problema risieda solo nelle funzioni esecutive, continuo a pensare che in tali disturbi il peso delle funzioni esecutive sia particolarmente importante.

Cesare Cornoldi Professore emerito di Psicologia Università degli studi di Padova

XII LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

Prefazione

Quando un libro parla di funzioni cognitive quali intelligenza, memoria o attenzione, è certamente importante il riferimento a modelli teorici; tuttavia, il lettore possiede una comprensione generale dei fenomeni di cui si parla. La nostra conoscenza della mente umana include infatti una visione generale (o di “psicologia ingenua”, come viene talvolta definita) di questi processi psicologici. Quando la trattazione riguarda invece le funzioni esecutive, un primo problema è di tipo definitorio. Che cosa si in tende con il termine funzioni esecutive? Perché è utile riferirsi a questi processi?

Storicamente, il punto di partenza nella descrizione dei processi esecutivi deriva da studi neuropsicologici in pazienti con lesioni cerebrali. Alcuni pazienti (spesso con lesioni nelle aree frontali) presentavano disturbi complessi che non potevano essere in quadrati facendo riferimento solo a processi quali linguaggio, memoria, attenzione, ecc.

In epoche recenti, Alan Baddeley e Barbara Wilson nel 19881 hanno descritto un caso molto chiaro. A causa di un incidente stradale, R.J., un uomo di 42 anni, ave va subito un trauma cranico con emorragie in entrambi i lobi frontali. A sei mesi dall’incidente, R.J. presentava per alcuni aspetti un quadro chiaro di amnesia frontale, come indicato da una memoria episodica gravemente compromessa sia per il materiale verbale che per quello non verbale. Tuttavia, altri aspetti del profilo del paziente non erano facilmente inquadrabili in un disturbo di memoria. In particolare, R.J. presenta va un’alterazione della velocità e dell’accuratezza delle prestazioni in test di memoria semantica e alterazioni nella prestazione in alcuni compiti di apprendimento proce durale; inoltre, la sua memoria autobiografica era scarsa e soggetta a confabulazioni. Baddeley e Wilson hanno proposto che il quadro non era spiegabile come una forma qualitativamente differente di amnesia frontale ma si dovevano prendere in considera zione anche difficoltà aggiuntive (e parzialmente indipendenti) a carico delle funzioni di pianificazione e controllo del comportamento, ovvero delle funzioni esecutive. Gli autori concludevano che il quadro presentato dal paziente indicava sia un’amnesia frontale sia una “sindrome disesecutiva”.

Invocare l’esistenza di funzioni “esecutive” rappresenta quindi una necessità logica per spiegare alcuni disturbi comportamentali (in presenza di lesioni cerebrali) e, più

1 Baddeley, A. e Wilson, B. (1988). Frontal amnesia and the dysexecutive syndrome. Brain and Cognition, 7(2), 212-230. doi: 10.1016/0278-2626(88)90031-0

in generale, per spiegare il comportamento umano. Questa osservazione ci rimanda alla natura inferenziale dell’analisi che noi compiamo del comportamento, cioè di in terpretazione e di conoscenza dei processi sottostanti. In questo senso, la descrizione dei processi esecutivi non differisce da altri processi quali linguaggio, memoria o at tenzione. Anche in questi casi l’analisi non si limita a una mera descrizione del com portamento: l’approccio scientifico si caratterizza per l’obiettivo di formulare modelli esplicativi, cioè per l’interesse a comprendere le dimensioni sottostanti il comporta mento. Ne segue che la necessità di definire le funzioni esecutive, e di poterlo fare compiutamente solo all’interno di modelli che sono stati sviluppati sulla base della ri cerca, rappresenta una premessa per affrontare questo tema non in termini meramente descrittivi, ma sottolineando la natura inferenziale non solo dell’analisi scientifica ma anche dello stesso processo diagnostico.

Mi sembra che sia proprio questa la prospettiva con cui il volume curato da Mar zocchi, Pecini, Usai e Viterbori affronta il tema delle funzioni esecutive nei disturbi del neurosviluppo. La descrizione delle varie funzioni esecutive è sviluppata all’interno dei modelli recenti presenti nella letteratura scientifica e da questa impostazione deriva tutta l’articolazione successiva del testo, dalla descrizione (aggiornata ed approfondi ta) dei correlati neurofunzionali, alla presentazione puntuale delle traiettorie evolutive nello sviluppo tipico e atipico.

Il quadro che ne esce è certamente complesso. In particolare, può colpire il fatto che modelli cognitivi differenti propongano funzioni esecutive almeno parzialmente differenti e che modelli differenti sembrino più efficaci per spiegare aspetti differenti, ad esempio i correlati neurofunzionali oppure gli andamenti evolutivi. D’altro canto, la ricerca indica il forte potere esplicativo che assumono le funzioni esecutive in un ventaglio ampio di comportamenti, dall’acquisizione linguistica agli apprendimenti scolastici.

Questa complessità e insieme l’elevato potere esplicativo possono essere utilmente trasferiti dall’ambito della ricerca a quello della valutazione dei disturbi del neurosvi luppo. Negli ultimi anni, vi sono stati significativi cambiamenti nella prospettiva con la quale sono stati considerati questi disturbi. Alla fine del Ventesimo secolo, prevaleva una tendenza a sottolineare la specificità dei disturbi e a cercare di identificare la sin gola causa di ogni singolo disturbo. Negli ultimi vent’anni, è prevalsa una prospettiva in cui i disturbi del neurosviluppo vengono visti in un’ottica multifattoriale, in cui le varie condizioni cliniche sono descritte nella loro complessità senza necessariamente effettuare artificiose gerarchie tra sintomi (si veda, ad es., la distinzione tra sintomi primari e secondari). Questo cambio di prospettiva, sottolineato nel libro, è particolar mente significativo quando si esaminano le funzioni esecutive. Una prospettiva basata sulla specificità dei disturbi porterebbe a una visione meccanicistica del rapporto tra funzioni esecutive e disturbi del neurosviluppo. Viceversa, accettare la complessità dei quadri sintomatologici che sono tipici dei disturbi evolutivi consente di utilizzare in modo costruttivo il contributo esplicativo offerto dai processi esecutivi.

È in questa prospettiva che si sviluppa la serie di contributi che descrivono il ruolo delle funzioni esecutive in un ampio spettro di disturbi che spaziano dalla sfera delle difficoltà cognitive (come nel caso dei disturbi del linguaggio e dell’apprendimento) sino a disturbi comportamentali (ADHD) e di adattamento (disturbi esternalizzanti e

XIV LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

2

internalizzanti). La prospettiva della comorbidità e della multifattorialità consente una visione più unitaria dei disturbi del neurosviluppo e la descrizione del contributo delle funzioni esecutive ne arricchisce l’illustrazione senza creare automatismi interpretativi. Mi sembra vada sottolineato come questo approccio sia di notevole interesse per ché possiede grandi potenzialità interpretative non solo in una prospettiva di ricerca ma anche nell’analisi di casi singoli, ove venga rispettata ed affrontata la specificità del profilo individuale. D’altro canto, non si può negare la complessità di una valutazione effettuata nella prospettiva generale della comorbidità rispetto a un approccio che si fonda sull’idea della specificità del disturbo. Le etichette diagnostiche (caratteristi che di manuali internazionali quali DSM e ICD) rappresentano in qualche misura un “porto” sicuro in cui ancorare procedure diagnostiche nella prospettiva categoriale della “specificità”. Accettare la complessità dei quadri individuali rappresenta una sfida notevole, che tuttavia può dare risultati molto positivi in ambito clinico-diagnostico e contribuire ad arricchire la programmazione di piani di trattamento individualizzati. Vorrei far notare come questa prospettiva stia peraltro entrando a pieno titolo an che nella formulazione di buone pratiche cliniche. Si veda ad esempio il caso della recente Linea Guida sulla gestione dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento pubblicata nel novembre 2021 e recepita dal Sistema Nazionale Linee Guida nel febbraio di quest’anno2. La raccomandazione 6.1 riguarda, così, l’inclusione nel processo diagno stico dei disturbi dell’apprendimento (DSA), indipendentemente dall’età, della valu tazione di una serie di competenze cognitive, tra le quali sono indicate le funzioni esecutive con particolare riferimento alle funzioni di pianificazione e di monitoraggio. Inquadrare i disturbi dello sviluppo tenendo conto del ruolo delle funzioni ese cutive rappresenta quindi per il clinico un importante arricchimento ma anche una sfida non indifferente. In questo percorso il volume curato da Marzocchi, Pecini, Usai e Viterbori può rappresentare un punto di riferimento importante per la chiarezza dei riferimenti teorici, la ricchezza di informazioni e la varietà di esemplificazioni in ambito clinico-diagnostico.

https://snlg.iss.it/wp-content/uploads/2022/03/LG-389-AIP_DSA.pdf (consultato il 15/11/2022).

XV PREFAZIONE
Pierluigi

Parte prima

Inquadramento teorico e strumenti per la valutazione e l’intervento

Modelli neurocognitivi delle funzioni esecutive in età evolutiva

Le funzioni esecutive (FE) sono processi psicologici fondamentali per l’autoregola zione di pensieri, comportamenti ed emozioni nella vita di tutti i giorni. Vengono implementate quando abbiamo bisogno di esercitare il controllo sui nostri pensieri e comportamenti, specialmente quando stiamo cercando di mettere in atto qualcosa che possa superare le nostre abitudini, impulsi e desideri. Più formalmente, spesso le FE sono state definite come una rete di processi cognitivi di ordine superiore per coinvolgere, dirigere o coordinare altri processi psicologici di ordine inferiore, al fine di raggiungere determinati obiettivi (Diamond, 2013). Il termine “funzioni esecutive” viene utilizzato come umbrella term atto a indicare molteplici domini correlati tra di loro in base a modelli neurocognitivi che nel corso degli anni sono stati pubblicati sulle principali riviste scientifiche.

L’interesse per le FE in età adulta risale ad oltre centosettant’anni fa, con il fa moso caso di Phineas Gage del 18481, che permise di iniziare a comprendere il ruolo e il funzionamento dei lobi frontali. Dopo centoquarant’anni, nel 1988 comparve il primo articolo scientifico di Welsh e Pennington sulla valutazione dei lobi frontali nei bambini, facendo riferimento al costrutto delle FE, termine già molto utilizzato in neuropsicologia degli adulti.

La nostra comprensione delle FE e dei processi di controllo è in gran parte dovuta ai lavori pioneristici di Tim Shallice e Donald Norman sul sistema attentivo superviso re (SAS) (Norman, Shallice, Davidson, Schwartz e Shapiro, 1986), da un lato, e di Alan Baddeley sull’esecutivo centrale della memoria di lavoro, dall’altro (Baddeley e Hitch, 1974). In questa sede, per ragioni di spazio, non possiamo descrivere questi due mo delli, ormai ritenuti classici e facilmente rinvenibili nella letteratura neuropsicologica.

Già negli anni novanta, gli autori interessati a comprendere la natura e la struttura delle FE riscontrarono che questi due modelli classici (il SAS e l’esecutivo centra le) avevano il limite di essere dei monoliti, ragion per cui vengono chiamati model li unitari delle FE, una sorta di scatola nera (era proprio definita una black box) in cui si collocavano i processi cognitivi di ordine superiore capaci di governare i nostri

1 Gage era un operaio delle ferrovie che sopravvisse a un incidente nel quale una barra di ferro penetratagli nel cranio gli distrusse gran parte del lobo frontale sinistro.

1

comportamenti più complessi, ma che, tuttavia, non potevamo comprendere perché la ricerca non aveva ancora avuto accesso alla struttura interna della scatola nera.

1.1. I primi studi sulle funzioni esecutive in età evolutiva

Il manifesto di apertura allo studio delle FE in età evolutiva scritto da Welsh e Pen nington nel 1988 aprì la strada alle ricerche di neuropsicologia clinica dello sviluppo tramite la somministrazione di batterie di test classicamente usati per valutare le FE in età adulta.

Nel 1991 due gruppi di ricerca, uno coordinato dalla Welsh e l’altro da Levin, pubblicarono i risultati dei primi studi che permisero di comprendere la struttura in terna delle FE anche nei bambini di 6-12 anni, somministrando batterie di test classici e conducendo a posteriori delle analisi fattoriali esplorative (EFA) per comprendere come si strutturavano le misure relative alle FE.

Il gruppo di ricerca della Welsh (Welsh, Pennington e Groisser, 1991) propose i seguenti sei test: la Torre di Hanoi (ToH), il Wisconsin Card Sorting Test (WCST), il Matching Familiar Figure Test (MFFT), un compito di ricerca visiva, uno di fluenza verbale e uno di apprendimento di sequenze motorie. L’analisi fattoriale mise in luce l’esistenza di tre fattori: il primo, denominato rapidità della risposta, includeva misu re che implicano efficienza e rapidità (compiti di ricerca visiva, di fluenza verbale e di sequenziamento motorio); il secondo, denominato generazione di ipotesi e controllo dell’impulsività, rimanda al controllo delle risposte impulsive e alla flessibilità cognitiva (compito di WCST e di MFFT); infine, il terzo, la pianificazione, che includeva le prestazioni alla Torre di Hanoi.

L’altro studio pubblicato da Levin e collaboratori nel 1991 comprendeva la sommi nistrazione di una batteria simile: il WCST, il California Verbal Learning Test (CVLT), la Torre di Londra (ToL), il Twenty Questions (una prova di ragionamento) e un go/ no-go test. Anche in questo caso dall’analisi fattoriale esplorativa emersero tre fattori: il primo venne denominato controllo delle perseverazioni e includeva misure relative al controllo delle risposte impulsive; il secondo venne definito formazione dei concetti e includeva misure di ragionamento e memoria; infine, il terzo fattore venne definito pianificazione e includeva il punteggio della ToL.

I due modelli appena presentati sono in parte sovrapponibili perché includono un fattore relativo alla pianificazione, misurato in entrambi i casi con i compiti delle torri; un altro fattore simile riguarda il controllo delle risposte impulsive, ovvero dei processi di inibizione; infine, emergono divergenze tra gli aspetti relativi alla rapidità di risposta o di generazione di concetti. Da questi primi studi risulta in modo chiaro che esistono dei fattori parzialmente indipendenti nel dominio delle FE nei bambini, ma è altrettanto vero che la struttura dei processi cognitivi dipende in larga parte dai test e dalle misure considerate nelle analisi statistiche.

Nel 1996 Bruce Pennington e Sally Ozonoff definirono le FE come complesso di abilità necessarie per la messa in atto di un comportamento finalizzato al raggiungimento di un obiettivo. In merito ai rapporti con altri domini cognitivi, il dominio esecutivo sembrerebbe differenziabile da percezione, memoria e linguaggio, mentre apparirebbe

4 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

IN ETà EVOLUTIVA

parzialmente sovrapponibile ai domini di attenzione, ragionamento e problem solving. Gli autori identificarono due aspetti cardine che contraddistinguono le FE: esse (1) forniscono un contributo essenziale per la selezione di azioni contesto-specifiche e per l’integrazione di informazioni provenienti da altri domini; (2) sono utili per la regolazione del comportamento durante la fase di esecuzione. Pennington e Ozonoff condussero una rassegna molto ampia nel dominio delle FE circoscrivendo così cinque funzioni maggiormente ricorrenti negli studi presenti in letteratura scientifica: l’ini bizione comportamentale, la pianificazione, la memoria di lavoro verbale e visuospaziale, la flessibilità cognitiva e la fluenza verbale fonemica e semantica. Il loro lavoro fu pionie ristico anche perché distinsero i principali test in base ai diversi processi esecutivi. In seguito, molti altri autori si occuparono di questo genere di tassonomia, per cui cerche remo di fare chiarezza al termine del capitolo per evitare di disorientare il lettore con classificazioni in parte contraddittorie.

1.2. Modelli frazionati di FE

Nel 2000 Miyake e collaboratori pubblicarono su Cognitive Psychology un articolo tra i più citati nella letteratura neuropsicologica, in cui venne proposto un modello che ha frazionato le FE in tre componenti parzialmente indipendenti, anche se correlate tra loro: l’inibizione delle risposte predominanti (inibizione), l’aggiornamento delle informazioni nella memoria di lavoro (updating of working memory) e la flessibilità co gnitiva (shifting). Tale modello è annoverato tra i modelli frazionati delle FE, insieme ai modelli di Levin et al. (1991), Welsh, Pennington e Groisser (1991), Pennington e Ozonoff (1996) e Barkley (1997), tutti accomunati dall’idea che i modelli unitari di FE fossero fin troppo semplicistici e che le FE potessero essere concepite come un domi nio scomponibile in diverse componenti indipendenti ma interrelate.

Rispetto all’inibizione, Miyake e collaboratori (2000) focalizzarono la loro attenzio ne prevalentemente sulla soppressione volontaria delle risposte divenute automatiche, dominanti e preponderanti. È un tipo di comportamento osservabile che gli autori han no misurato tramite le risposte errate a tre tipologie di compito, quali il test di Stroop, lo Stop Signal Task (SST) e l’antisaccade task. Nel test di Stroop al soggetto vengono proposti stimoli conflittuali, come ad esempio la parola “nero” scritta in rosso: la richie sta è di pronunciare il nome del colore (rosso) e non leggere la parola (nero), compito che risulta più veloce e automatizzato, in quanto il processo di lettura è più esercitato e quindi automatico rispetto alla denominazione dei colori. Nell’SST, durante una fase di apprendimento vengono presentati degli stimoli visivi cui bisogna rispondere veloce mente, mentre nella fase successiva vengono presentati, in misura minoritaria, avverti menti sonori in corrispondenza degli stimoli che avvisano il soggetto di non rispondere agli stimoli visivi. Anche in questo caso il compito richiede al soggetto di trattenersi dal rispondere a uno stimolo al quale precedentemente era stato allenato e abituato a rea gire in modo rapido e continuativo. Nell’antisaccade task sono proposti in un emicampo stimoli visivi che i soggetti devono evitare di guardare, inibendo la risposta automatica di dirigere la saccade verso lo stimolo per indirizzarla verso il lato opposto.

Il secondo processo individuato da Miyake e collaboratori nel dominio delle FE

5 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI
ESECUTIVE

consiste nell’aggiornamento e nel monitoraggio delle rappresentazioni contenute nella memoria di lavoro (updating of working memory). Tale componente fa riferimento, da un lato, alla capacità di monitorare e codificare le informazioni in ingresso rilevanti per il compito in esecuzione, dall’altro all’abilità di valutare le informazioni contenute nei magazzini mnestici, per sostituire quelle datate e divenute irrilevanti con quelle in ingresso e maggiormente pertinenti. Ciò che è importante sottolineare è che la funzione di aggiornamento va oltre la semplice ritenzione del materiale rilevante per il compito e prevede come suo elemento saliente la possibilità di manipolare attivamente e volontariamente le informazioni. Proprio la caratteristica di manipolazione attiva di materiale distingue la memoria di lavoro dalla memoria a breve termine (MBT), che consente il mantenimento delle informazioni senza la componente di manipolazione attiva e che in termini evolutivi si sviluppa prima e più velocemente.

I tre compiti proposti per catturare questo processo cognitivo furono: keep track task, tone monitoring task e letter memory task. Il keep track task prevede che ai partecipanti vengano mostrate inizialmente sei diverse categorie di parole, per poi successivamente mostrare due-tre parole per categoria: il compito del soggetto è di ricordare l’ultima parola presentata per ciascuna categoria. Nel tone monitoring task sono presentati tre tipi di suoni (con frequenza alta, media, bassa), di cui il soggetto deve tenere traccia premendo un tasto all’udire del quarto suono di una certa tipologia e riportando infine quanti suoni alti, medi o bassi sono stati presentati. Il letter memory task utilizza un paradigma di n-back, in quanto viene presentata una serie di lettere al ritmo di una ogni due secondi; il compito è di mantenere continuamente in memoria le ultime quattro lettere presentate: ad ogni lettera nuova il soggetto dovrà scartare quella vista in quintultima posizione e rievocare solo le ultime quattro lettere lette.

La terza e ultima componente individuata è definita flessibilità cognitiva o shifting Con questo termine ci si riferisce alla capacità di spostarsi flessibilmente tra prove co gnitive o comportamentali, operazioni ed assetti mentali multipli e differenti. La fles sibilità implica un disancoraggio dell’attenzione da un compito divenuto irrilevante in base alle richieste contestuali e il successivo ancoraggio a un nuovo e diverso set cogni tivo e comportamentale per realizzare un compito richiesto. Garon, Bryson e Smith (2008) definiscono lo spostamento come il passaggio da un “set mentale” a un altro. Indipendentemente dalla forma particolare che assumono, tutte le attività di cambio di set comportano due fasi. Una prima fase richiede la formazione di un set mentale in cui viene fatta un’associazione tra un particolare stimolo e una risposta, in cui ci si concentra sugli elementi rilevanti, mantenendoli in memoria di lavoro; la seconda fase consiste nel passaggio a un nuovo set mentale che è in conflitto con il primo. Miyake e colleghi (2000) individuarono come test particolarmente rappresentativi della flessi bilità cognitiva il plus-minus task, il number-letter task e il local-global task, tre test acco munati dalla necessità di spostarsi tra differenti set mentali, mettendo appunto in atto un’abilità di shifting. I tre test sono accomunati dal requisito di flessibilità cognitiva, mentre si differenziano per la natura delle informazioni, tra cui spostarsi flessibilmente durante il compito (shifting tra addizioni e sottrazioni, tra categorizzazioni di numeri o lettere e tra focalizzazione attentiva sul particolare o sul globale).

Si veda figura 1.1 per una sintesi delle prove individuate per ciascuna componente del modello di Miyake et al. (2000).

6 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

Plus-minus task

Number-letter task

Local-global task

Keep track task

Tone monitoring task

Letter memory task

Antisaccade task

Stop signal task

Stroop task

Shifting

Updating

Inibizione

Figura 1.1. Struttura del dominio esecutivo e prove volte alla valutazione della singole componenti ese cutive (Miyake et al., 2000)

1.3. Modelli sequenziali di FE

Nonostante, come mostrato dai modelli frazionati, le FE possano essere scomposte in diverse componenti e raggruppate in alcuni meccanismi cognitivi fondamentali, non è semplice identificare un compito il cui fallimento possa essere imputabile ad una difficoltà selettiva ed esclusiva a carico di un singolo processo esecutivo. Partendo da questo presupposto si è assistito alla formulazione di modelli atti a spiegare le FE attraverso un approccio funzionale: le FE vengono descritte in funzione della modalità con cui contribuiscono alla risoluzione di problemi o al superamento di un compito complesso. Tali modelli, detti modelli sequenziali, risultano più aderenti all’applica zione di schemi comportamentali complessi e permettono di costruire strumenti di valutazione dotati di maggior validità ecologica, dal momento che riescono a fornire una panoramica del comportamento reale del soggetto nell’atto di perseguire e rag giungere un obiettivo.

La peculiarità del modello proposto da Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch nel 2003 è la seguente: anziché concettualizzare le FE come gruppo di sottofunzioni, ne de scrivono il funzionamento facendo attenzione alle differenti fasi che si susseguono. In particolare, gli autori illustrano come i differenti processi esecutivi operino in modo integrato nell’intento di risolvere problemi e/o di raggiungere obiettivi. La decisione di avvalersi di questo approccio è imputabile al desiderio degli autori di sottolineare la

7 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE IN ETà EVOLUTIVA

dimensione strategica e metacognitiva del dominio esecutivo, che un modello fram mentato porta inevitabilmente a perdere. Il modello prevede quattro fasi temporal mente e funzionalmente distinte: rappresentazione del problema, pianificazione, esecu zione e valutazione.

La rappresentazione del problema può essere definita come costruzione, ricostru zione e riconfigurazione dello spazio problemico e dei costrutti coinvolti in esso, oltre che confronto e movimento flessibile tra i diversi costrutti. Questa fase di problem solving richiede flessibilità, quindi capacità di spostare agevolmente il focus attentivo e abilità nel muoversi tra le varie prospettive e rappresentazioni in gioco; richiede, inol tre, ridefinizione delle priorità e stima dei legami intercorrenti tra i singoli elementi.

La seconda fase, di pianificazione, comporta la selezione delle azioni in una speci fica sequenza, la più efficiente tra le alternative proposte. La formulazione di un’appro priata modalità di procedere richiede un’attenta analisi dei mezzi e dei fini, memoria di lavoro, definizione di obiettivi e sotto-obiettivi, elaborazione di alternative di azione, previsione delle conseguenze delle proprie azioni, stima delle risorse fisiche e sociali e della loro accessibilità, gestione di queste ultime.

All’elaborazione del piano segue la sua implementazione: l’esecuzione. Gli autori identificano due componenti dell’esecuzione: intending ed uso delle regole, differen ziate e classificate come due sottofasi. Con il termine intending si fa riferimento alla ritenzione del piano per un periodo di tempo sufficiente alla messa in atto di un’ap propriata azione, comportamento; l’uso delle regole rimanda invece alla traduzione del piano in azione concreta. Questa fase richiede controllo attenzionale, volizione, gestione delle priorità, flessibilità e strategicità.

La quarta ed ultima fase, la valutazione, ha luogo se e solo se le tre precedenti sono andate a buon fine. La valutazione consente di determinare se l’esito desiderato è stato raggiunto, di rilevare e correggere eventuali errori commessi e di revisionare le precedenti fasi del problem solving, onde trarne indicazioni utilizzabili in un prossimo futuro. Il modello è esemplificato graficamente in figura 1.2.

Si tratta di un modello che non fornisce una spiegazione delle FE, ma che dà im portanti indicazioni in merito al contributo di specifici processi base (cognitivi e non) nel dominio esecutivo, agli strumenti che sarebbe opportuno utilizzare per mappare le FE, alla modalità con la quale le differenti FE operano in sinergia tra loro.

La cornice teorica entro cui si inserisce il suddetto modello è la teoria della comples sità e del controllo cognitivo (Frye, Zelazo e Palfai, 1995; Zelazo, Müller, Frye e Marco vitch, 2003). Si tratta di un approccio che spiega il dominio esecutivo e il suo sviluppo

8 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO
Rappresentazione del problema Pianificazione Valutazione Esecuzione -Intenzione (intending) -Uso delle regole
Figura 1.2. Modello del problem solving di Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch (2003)

IN ETà EVOLUTIVA

focalizzando l’attenzione sulla complessità, definita facendo riferimento alla struttura gerarchica del sistema di regole utilizzato dal soggetto. In linea con questa teoria, i cambiamenti evolutivi nel dominio esecutivo sarebbero funzione del grado massimo di complessità delle regole che un soggetto è in grado di formulare e di utilizzare in modo efficace ed efficiente nella risoluzione di problemi. Aumentare il grado di com plessità delle regole offre al soggetto la possibilità di esercitare una nuova forma di controllo su ragionamento e comportamento. Il grado di complessità delle regole è a sua volta funzione della capacità di riflettere ed elaborare ipotesi in merito al significa to e al contributo che le regole possono offrire. La formulazione delle regole è guidata dal linguaggio interno e prevede l’associazione tra un antecedente e una conseguenza (“se… allora…”).

1.4. Modelli di FE hot e cold

Possiamo citare un’ulteriore organizzazione teorica delle FE proposta da Zelazo e Müller (2002), che hanno posto l’accento sulle componenti emotive e affettive del funzionamento esecutivo. Fino agli anni novanta del Novecento, infatti, le varie teo rizzazioni e i vari studi si focalizzarono quasi esclusivamente su quelle FE poi definite in seguito “fredde”, ovvero fondate su una dimensione puramente cognitiva. Merito di Zelazo e di Müller fu di suggerire un modello di carattere dominio-generale in cui si potessero distinguere aspetti esecutivi “caldi” e “freddi”. Le componenti esecutive “fredde” a livello neurale sono associate all’attivazione delle regioni prefrontali dorso laterali e sono elicitate, a livello contestuale, in situazioni astratte e di fronte a proble mi non legati strettamente all’ambiente (ad es., gran parte delle FE valutate con test performance-based somministrati nei contesti controllati dei laboratori sperimentali sono FE fredde). Esse vengono richiamate in attività che sono richiedenti dal punto di vista cognitivo, ma emotivamente neutrali, come ad esempio in compiti di memoria di lavoro. Le FE “calde”, invece, sono associate all’attivazione dell’area ventrale e mediale delle regioni prefrontali e sono elicitate in situazioni in cui esiste un coinvolgimento motivazionale, come ad esempio in caso di reward o di richieste contestuali che inclu dono la regolazione degli affetti, quali situazioni ansiogene. È stato suggerito che en trambe le FE, calde e fredde, lavorino in interazione come parte di un sistema adattivo più ampio, volto alla gestione e risoluzione delle problematiche quotidiane. Strumenti esemplificativi che catturano il costrutto di FE fredde sono quelli tipicamente usati in setting sperimentali, tra cui ricordiamo il go/no-go per l’inibizione motoria, il Wi sconsin Card Sorting Test (WCST) per la flessibilità cognitiva, il digit span e il Corsi Block-Tapping Test, rispettivamente per la memoria di lavoro verbale e visuospaziale, la ToL per la pianificazione.

Lo strumento più esemplificativo nell’ambito delle FE calde è costituito dall’Iowa Gambling Task (IGT; Bechara, Damasio, Damasio e Anderson, 1994), il cui adatta mento in età evolutiva è rappresentato dal Children’s Gambling Task (Kerr e Zelazo, 2004), una prova finalizzata alla valutazione della capacità di prendere delle decisioni in situazioni nelle quali entrano in gioco ricompense e punizioni, rendendo la perfor mance carica dal punto di vista emotivo. Questo strumento, nonostante attivi in larga

9 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE

parte le FE calde, sembrerebbe risentire anche di aspetti esecutivi freddi, in particolar modo di abilità di memoria di lavoro (Manes et al., 2002), rendendo evidente che FE calde e fredde si integrino e modulino tra di loro. Per quanto riguarda il loro sviluppo, mentre le FE fredde sembrano seguire una curva di sviluppo progressiva e graduale, sviluppandosi durante gli anni prescolari e continuando a migliorare gradualmente fino all’adolescenza, periodo di rapido sviluppo esecutivo, fino a raggiungere una sta bilizzazione intorno ai 20 anni, le FE calde sembrano caratterizzate da curve di svi luppo più brusche, mostrando un salto qualitativo dai 3 ai 4 anni. In uno studio di Hongwanishkul, Happaney, Lee e Zelazo (2005), infatti, bambini di 3 anni mostrava no prestazioni in compiti esecutivi caldi decisamente peggiori rispetto a bambini di 4 e 5 anni, le cui performance erano invece equiparabili. In uno studio condotto da Poon (2018) le FE calde sembrano caratterizzate da un periodo di fragilità e riassestamento intorno all’adolescenza (14 anni), dove i soggetti mostrano i più alti comportamenti di impulsività e di sensibilità alla ricompensa, tendenze che si riducono durante la tarda adolescenza, probabilmente grazie alla maturazione delle aree limbiche e para limbiche, che rendono più semplice per gli adulti regolare i propri comportamenti in situazioni cariche emotivamente (per un approfondimento sugli aspetti neurologici, cfr. il capitolo 2).

Appare quindi evidente come FE fredde e calde si integrino nel funzionamento esecutivo quotidiano, rappresentando una serie di operazioni mentali che si interfac ciano e interagiscono sempre con emozioni e motivazioni; sono dunque calate in un contesto di vita necessariamente carico dal punto di vista affettivo, volte all’esecuzione di comportamenti complessi indispensabili per un buon adattamento della persona nel proprio ambiente di vita. Gli studi in età evolutiva mostrano infatti come fragilità nelle FE calde siano associate a comportamenti problematici in ambito scolastico (ad es., disattenzione; per un approfondimento sulle FE nell’ADHD, cfr. il capitolo 10), mentre difficoltà nelle FE fredde siano associate a più basse performance accademiche (ad es., scrittura e lettura; per un approfondimento sulle FE nei DSA, cfr. il capitolo 9) (Brock, Rimm-Kaufman, Nathanson e Grimm, 2009; Willoughby, Kupersmidt, Voegler-Lee e Bryant, 2011; Zelazo, 2020).

1.5. Modello di rielaborazione iterativa e reflection

Secondo il modello di rielaborazione iterativa (IR model) (Cunningham e Zelazo 2007), che si basa sulla rivisitazione della teoria della complessità e controllo cognitivo (Frye, Zelazo e Palfai, 1995; Zelazo, Müller, Frye e Marcovitch, 2003), lo sviluppo delle FE sarebbe possibile grazie all’aumento dei processi di rielaborazione riflessi va (reflection) di informazioni attraverso circuiti neurali che coordinano regioni della corteccia prefrontale (PFC). Le FE sono in grado di modulare gli aspetti attentivi, e di conseguenza di controllare i comportamenti, rendendoli più adattivi e pianificati. Il punto chiave dell’IR model sono i processi riflessivi (reflection) che vengono elicitati dal rilevamento di incertezze o conflitti, o più in generale da qualsiasi aspetto che segnala un problema e richiede quindi di essere processato in modo deliberato e non automatico (ovvero con processi di tipo top-down).

10 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

IN ETà EVOLUTIVA

Questi aspetti conflittuali sarebbero in grado di attivare processi riflessivi, cioè ri elaborazioni attive di informazioni che consentono alle persone di mantenere attiva mente in memoria il materiale per formulare comportamenti più complessi orientati all’azione, generando così una maggiore flessibilità cognitiva e un maggior controllo inibitorio delle proprie azioni. Appare quindi evidente come nell’IR model i processi riflessivi coinvolgano le tre FE basilari: memoria di lavoro, flessibilità cognitiva e con trollo inibitorio, consentendo all’individuo di raggiungere comportamenti complessi in un’ampia gamma di situazioni. L’aumento progressivo dei processi riflessivi si può individuare nella crescente capacità dei bambini, durante lo sviluppo, di individuare situazioni problematiche (conflitti), fermarsi, considerare le proprie opzioni anche a seconda del contesto in cui si trovano prima di emettere una risposta, mettendo in atto quindi dei processi deliberativi di tipo top-down. La capacità di fermarsi dopo aver individuato il conflitto permette al bambino di mettere in atto le proprie FE, spesso inizialmente utilizzando un discorso ad alta voce indirizzato a se stesso mentre esegue l’azione, per mantenere al meglio nella propria memoria di lavoro le regole esplicite di comportamento (Gooch et al., 2016), regole che consentono di raggiungere una buona flessibilità cognitiva e controllo inibitorio. L’IR model è in grado di catturare le interazioni dinamiche tra influenze più di tipo bottom-up (area limbica) e più di tipo top-down (aree corticali) durante lo svolgimento di azioni orientate a uno scopo. In alcuni casi le informazioni posso essere processate senza un gran coinvolgimento dei processi riflessivi (cioè con poche rielaborazioni iterative), come ad esempio nei casi in cui la situazione sia poco conflittuale e necessiti solo di una semplice valutazione; in questo caso vengono coinvolte maggiormente le aree limbiche. L’individuazione del conflitto, come già accennato, elicita i processi riflessivi: in questo caso le informazioni precedentemente elaborate dalle aree limbiche vengono integrate da un’ulteriore ela borazione a carico di regioni corticali (tra cui la PFC), che permette di cogliere più aspetti di una specifica situazione e di integrarli in una rappresentazione (o interpreta zione) più ricca, sfaccettata e complessa, dando la possibilità all’individuo di apprezzare una più ampia gamma di opzioni e comportamenti da mettere in atto.

Sembra esserci una forte associazione tra lo sviluppo di FE e il miglioramento di network corticali nella PFC; in particolar modo lo sviluppo della corteccia prefrontale laterale si associa ad un maggior uso di regole nel bambino, aspetto che si traduce in una migliore regolazione del suo comportamento. Durante lo sviluppo negli anni prescolari il bambino diventa progressivamente in grado di usare regole via via più strutturate che dipendono da reti neurali più complesse e integrate.

Il modello IR, infine, descrive entrambi i processi cognitivi e neurali associati alla riflessione e come questi coinvolgano le FE generando comportamenti più regolati. A livello neurale si pongono i processi di rielaborazione iterativa che attivano regioni corticotalamiche (incluse la PFC e regioni subcorticali). A livello cognitivo i processi riflessivi scaturiti dalla rielaborazione iterativa elicitano un processamento e un ripro cessamento attivo delle informazioni, considerando il contesto e l’utilizzo di sistemi di regole comportamentali, e si interfacciano con le FE sia calde che fredde, dando luogo a un’interpretazione più ricca della situazione. A livello comportamentale, infine, le FE calde e fredde permettono un efficace funzionamento sociale sia in contesti neutri che in contesti affettivamente carichi.

11 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI
ESECUTIVE

Apprendimento efficace e adattivo, compresa la regolazione emotiva e il funzionamento sociale

Comportamento

Abilità neurocognitive

Processi neurali

Prossimale

Modulazione dell’attenzione e del comportamento diretto a uno scopo in contesti freddi

Modulazione dell’attenzione e del comportamento diretto a uno scopo in contesti caldi

Distale FE fredde: flessibilità cognitiva, memoria di lavoro, controllo inibitorio FE calde: dirette a uno scopo; modulazione dell’approccio/ evitamento, valutazione

Funzioni esecutive

Riflessione Riprocessamento elaborativo delle informazioni; considerazione del contesto Uso di regole Formulazione e mantenimento in memoria di lavoro di regole e sistemi di regole

Rielaborazione iterativa Processamento rientrante nei circuiti talamocorticali che coinvolge regioni della PFC disposte gerarchicamente e regioni importanti per il ragionamento, l’azione e l’emozione

Figura 1.3. Schematizzazione del modello di rielaborazione iterativa (Iterative Reprocessing, IR) (adattato da Zelazo, 2020)

12 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

1.6. FE e ciclo di vita: modelli unitari e dimensionali

Le traiettorie evolutive delle FE sono state oggetto di numerosi studi e ricerche (per un approfondimento, cfr. il capitolo 3). Vi è un sostanziale accordo in merito alla loro natura gerarchica: le prime abilità a comparire sarebbero quelle fondamentali (ad es., controllo attentivo e memoria di lavoro), seguite da quelle più complesse e multifat toriali (Senn, Espy e Kaufmann, 2004; Huizinga e Smidts, 2011). Manca consenso, invece, in merito alla stadialità o linearità dello sviluppo dei singoli domini esecutivi.

I cambiamenti più significativi a livello esecutivo avvengono durante l’età presco lare, ricoprendo un ruolo fondamentale per lo sviluppo di processi cognitivi superiori nel corso del ciclo di vita. Il veloce e rapido incremento delle FE si situa, infatti, nel la fascia d’età dei 3 e 5 anni e si associa ad una maggiore organizzazione cognitiva e comportamentale, alla messa in atto di comportamenti autoregolatori, all’aumento della flessibilità e alla diminuzione di risposte reattive a stimoli esterni (Garon, Bryson e Smith, 2008). In effetti, è stato suggerito che lo sviluppo delle FE in questi anni possa riflettere un cambiamento più qualitativo delle funzioni cognitive, mentre gli sviluppi successivi possano riflettere raffinamenti quantitativi e il perfezionamento di queste abilità (Best e Miller, 2010). La teorizzazione e strutturazione precoce di questo costrutto risulta, però, difficile e complessa, in quanto le FE sono modulate da altre capacità, come ad esempio il linguaggio, la memoria e il sistema attentivo, ed è inoltre necessario tenere presente la variabilità delle capacità e la dimensione evolutiva che caratterizza il periodo infantile. Per far fronte a questa problematicità in letteratura esistono diverse teorie interpretative delle FE, ad uno o più fattori. La tecnica utiliz zata per estrarre il numero di domini cognitivi a livello esecutivo è l’analisi fattoriale confermativa (CFA). Tramite essa, una batteria di compiti accomunati da simili aspetti esecutivi ma che differiscono negli stimoli e nelle richieste è somministrata ad uno stesso campione, rendendo così possibile estrarre la varianza di FE in comune. At tualmente, considerando l’età adulta, il modello a tre fattori proposto da Miyake et al. (2000) risulta essere il più adatto secondo la CFA; in questa casistica il costrutto di FE è descritto come organizzato in un’entità unitaria di carattere dominio-generale con tre distinte componenti: controllo inibitorio, memoria di lavoro e flessibilità cognitiva. Queste tre componenti sembrano essere differenziate tra loro ma fortemente cor relate (modello unity but diversity). Le differenze individuali nelle performance dei compiti, importanti per predire comportamenti cruciali dal punto di vista clinico e sociale, hanno suggerito sia l’unità che la diversità del modello. La struttura tripartita, rilevata tramite il metodo dell’estrazione delle variabili latenti, risulta presente a partire dall’infanzia media (Miyake e Friedman, 2012; Miyake et al., 2000; Garon, Bryson e Smith, 2008). Sebbene la struttura delle FE caratterizzate sia da un’unità che da una diversità (tripartizione) sembri ben applicabile a partire dalla tarda infanzia fino all’età adulta, l’immagine appare in parte diversa nella prima infanzia. A differenza delle ricerche che si sono focalizzate su campioni di soggetti più grandi (tarda infanzia, adolescenza ed età adulta) vi sono stati tre studi sperimentali che hanno trovato, nel periodo prescolare, un modello di FE meglio descritto da un unico fattore (Wiebe, Espy e Charak, 2008; Wiebe et al., 2011; Hughes, Ensor, Wilson e Graham, 2010).

A questo proposito Wiebe, Espy e Charak (2008) ritengono, per ragioni di bontà

13 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE IN ETà EVOLUTIVA

di adattamento e di parsimonia, una soluzione a un fattore maggiormente rappresen tativa del modello osservato in un campione di bambini di età compresa tra i 3 e i 6 anni. I ricercatori hanno utilizzato una serie di compiti per la misurazione delle FE in età prescolare, riscontrando che una divisione tra memoria di lavoro e controllo inibitorio non andasse a migliorare la bontà di adattamento del modello. La ricerca di Wiebe et al. (2011) replica l’indagine condotta da Wiebe, Espy e Charak (2008), ma in un campione maggiormente strutturato di bambini di 3 anni e con una batteria testistica più appropriata per l’età prescolare. I dati raccolti sostengono un modello unidimensionale delle FE di carattere unitario, scelto in base all’adattamento relativo e assoluto del modello. Gli autori ipotizzano però, in entrambi gli studi, che la struttura a due fattori sia in grado, da un lato, di prevedere maggiormente esiti importanti come eventuali difficoltà comportamentali o capacità accademiche e scolastiche del bambi no, dall’altro che le combinazioni, in gruppi latenti di bambini, di regolari variazioni e differenze nella componente di memoria di lavoro e quella inibitoria siano meglio rappresentate da un unico fattore. In assenza di prove empiriche, i risultati attuali supportano comunque una concettualizzazione unitaria delle FE all’inizio del periodo prescolare, scelta sulla base del criterio di parsimonia.

Il terzo studio condotto da Hughes, Ensor, Wilson e Graham (2010) porta ulterio ri prove a sostegno di un modello unidimensionale delle FE in età prescolare. In que sto caso si tratta di una ricerca a carattere longitudinale, dove quindi i bambini sono stati valutati all’età di 4 e 6 anni tramite la somministrazione di batterie testistiche atte a misurare le capacità di controllo inibitorio, memoria di lavoro e pianificazione. I risultati ottenuti tramite la tecnica di CFA supportano l’applicazione di un singolo costrutto unitario delle FE per descrivere le variazioni nei punteggi dei bambini sui tre compiti di controllo inibitorio, memoria di lavoro e pianificazione. Questi risultati si applicavano sia a bambini di 4 anni che di 6 anni, indipendentemente dal loro genere.

Le ricerche qui presentate, a favore di un modello unidimensionale, mostrano però delle differenze in riferimento alle fasce di età dei campioni presi in considerazione, ai compiti utilizzati e ai metodi di analisi dei dati impiegati. Ad esempio, gli studi di Wiebe, Espy e Charak (2008) e Wiebe et al. (2011) hanno preso in analisi le compo nenti esecutive di inibizione e di memoria di lavoro, senza raccogliere dati inerenti alla misura della flessibilità cognitiva, confrontando diversi modelli ipotetici attraverso il metodo della CFA. Hughes, Ensor, Wilson e Graham (2010), invece, non hanno potuto confrontare modelli di FE concorrenti, perché includevano solo un compito rilevante per le tre diverse dimensioni delle FE: memoria di lavoro, controllo inibitorio e pianificazione (Usai, Viterbori, Traverso e de Franchis, 2014). Possiamo inoltre ag giungere che le evidenze a favore di un modello unitario presente nel periodo prescola re, possono essere coerenti con l’ipotesi di una differenziazione successiva dei processi esecutivi a partire dalla scuola primaria. Ciò è in linea con un processo generale di crescente specializzazione funzionale dei sistemi neurali, inizialmente indifferenziati, come esito di un processo evolutivo di adattamento. In conclusione, si ipotizza che le FE rimangano sempre molto correlate tra di loro, ma dissociabili a partire dalla tarda infanzia e dall’età adolescenziale e adulta, in linea con il modello unity but diversity di Miyake et al., 2000 (Wiebe, Espy e Charak, 2008; Wiebe at al., 2011; Hughes, Ensor, Wilson e Graham, 2010).

14 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

ETà EVOLUTIVA

È importante sottolineare, però, l’esistenza di diverse ricerche sostenitrici di una concettualizzazione bidimensionale riscontrata fin dall’età prescolare, che diverge dal le ricerche precedentemente esposte. Un esempio è lo studio svolto da Miller et al. (2012), i quali hanno individuato una struttura a due fattori, sempre in età prescolare, caratterizzata da memoria di lavoro e inibizione. I risultati longitudinali di Usai, Vi terbori, Traverso e de Franchis (2014) hanno anch’essi supportato una strutturazione a due fattori in un campione di bambini di 5 e 6 anni. Il miglior adattamento ai dati in entrambi i livelli di età, infatti, rifletteva un modello in cui si distingueva da una parte inibizione e dall’altra memoria di lavoro e flessibilità cognitiva, che emergevano come componenti unitarie non distinte tra loro. Monette, Bigras e Lafrenière (2015) hanno riscontrato che i bambini della scuola materna mostrano una differenziazione tra i processi di memoria di lavoro rispetto al controllo inibitorio, mentre la flessibilità cognitiva non ha ancora un’autonomia operativa. Tuttavia, anche se distinte, le com ponenti di memoria di lavoro e di inibizione si sono dimostrate significativamente correlate, risultato che porta ulteriori prove empiriche a favore sia dell’unità che della diversità delle FE, come precedentemente sostenuto da Miyake et al. (2000).

Le numerose discrepanze in merito ai differenti modelli qui proposti hanno por tato Scionti e Marzocchi (2021) ad indagare i modelli dimensionali e unidimensionali delle FE, andando a considerare anche la loro validità ecologica. La prima ricerca svolta si è concentrata su un campione di bambini di 36-59 mesi, con l’obiettivo di in dagare la dimensionalità delle FE. In questa casistica la struttura ad un fattore non si è rivelata una buona soluzione per i risultati, mentre la caratterizzazione bidimensionale è risultata adatta e in linea con le ricerche precedenti di Miller et al. (2012) e Monette, Bigras e Lafrenière (2015), divergendo dai risultati ottenuti da Wiebe, Espy e Charak (2008), Wiebe et al. (2011) e Hughes, Ensor, Wilson e Graham, 2010. I due fattori estratti, correlati tra di loro, erano controllo inibitorio e memoria di lavoro/flessibilità cognitiva, suggerendo la presenza di un’unità e diversità delle FE come proposto da Miyake et al., (2000). Nel secondo studio, i dati hanno supportato una struttura bi dimensionale rispetto ad un modello unitario: infatti, le componenti di controllo ini bitorio e memoria di lavoro/flessibilità cognitiva risultavano distinte. Inoltre, rispetto a studi precedenti, è stata considerata la validità ecologica di questi modelli andando ad indagare le loro connessioni con aspetti comportamentali e di autoregolazione: in questo caso la struttura bidimensionale ha supportato una validità ecologica maggiore rispetto alla struttura unidimensionale.

La revisione della letteratura di Garon, Bryson e Smith (2008) risulta particolar mente interessante perché propone la necessità per la ricerca futura di concentrar si maggiormente sulla dimensione evolutiva della FE. Garon e collaboratori hanno proposto un modello di FE integrativo gerarchico, in cui ogni componente esecutiva nei primi anni di vita è costruita su funzioni a sviluppo precedente, il cui precursore è l’attenzione; la memoria di lavoro è la componente che si sviluppa per prima, seguita poi da controllo inibitorio e infine da flessibilità cognitiva, che si fonda su entrambe. Ad oggi la letteratura suggerisce che le forme elementari delle principali componenti esecutive siano presenti precocemente durante il periodo prescolare e che i cambia menti durante la seconda metà di questa fase siano dovuti in particolare allo sviluppo dell’attenzione e all’integrazione delle FE. Sebbene il quadro proposto da Miyake et

15 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE
IN

al. (2000) sia stato particolarmente utile per il raggiungimento degli obiettivi presenti, si riscontra la necessità di studiare modelli esecutivi che riflettano il contesto evolutivo in cui i bambini sono inseriti. L’approfondimento letterario, infine, suggerisce che le competenze alla base delle FE si sviluppino gerarchicamente, con due fasi principali: prima dei 3 anni si ha l’emergere delle competenze di base necessarie per le compo nenti esecutive, mentre lo sviluppo successivo ai 3 anni sembra essere considerato un periodo di integrazione in cui queste competenze basilari si coordinano. Come detto in precedenza, i modelli di FE presenti nel panorama scientifico sug geriscono che i primi anni di vita siano caratterizzati da FE indifferenziate, che si frazionano in FE discrete, ma correlate, a partire dagli anni della scuola primaria. Questo modello evolutivo prevede prestazioni altamente correlate tra memoria di la voro, inibizione e compiti di flessibilità negli anni prescolari. Si ipotizza, quindi, che le relazioni tra le FE si indeboliscano con l’età fino all’età adulta, in linea con il veri ficarsi di un frazionamento delle FE in funzioni correlate, ma dissociabili. Lo studio di Howard, Okeley e Ellis (2015) ha cercato di valutare queste previsioni utilizzando misure ben consolidate del funzionamento esecutivo e gruppi di età più precisi rispetto alle ricerche precedenti. A differenza delle precedenti revisioni, i ricercatori si sono concentrati sulle FE in un range d’età molto più ampio. I risultati attuali suggeriscono che le prestazioni esecutive nei compiti durante l’età prescolare siano non correlate tra loro, mentre le FE dei bambini più grandi, al contrario, siano sempre più correlate tra loro; ciò fornisce prove in contrasto con il modello che prevede un funzionamento esecutivo inizialmente indifferenziato (e dunque con FE altamente correlate) e che diviene gradualmente più diversificato con l’aumentare dell’età. I risultati indicano quindi che una singola traiettoria evolutiva diretta verso una crescente differenziazione delle FE potrebbe essere insufficiente per spiegare esaustivamente lo sviluppo precoce delle FE. Sebbene Wiebe et al. (2011) abbiano trovato prove simili per un modello ad un fattore delle FE, utilizzando gruppi di bambini di 3 anni, il modello a due fattori da loro individuato ha fornito un adattamento leggermente migliore ai loro dati, nono stante sia poi stato scelto il modello unidimensionale seguendo un criterio di maggiore parsimonia. I dati attuali forniscono evidenze rispetto al fatto che gli anni prescolari possano essere un periodo di integrazione di processi esecutivi inizialmente non corre lati, piuttosto che una risorsa esecutiva unificata nei primi anni prescolari. I risultati di Howard, Okeley e Ellis (2015) evidenziano anche la necessità di considerare la natura potenzialmente mutevole e la struttura del funzionamento esecutivo dei bambini più piccoli in un’ottica evolutiva e di cambiamento.

Questa prospettiva ha permesso un esame delle FE e uno spostamento del focus verso una dimensione evolutiva, alla luce di questioni centrali di sviluppo come le tra iettorie evolutive, le sequenze di acquisizione, il cambiamento qualitativo/quantitativo e i meccanismi di sviluppo sia a livello comportamentale che neurale. Sulla base di questo quadro la ricerca futura dovrebbe predisporre di un’ampia fascia di età e compiti comparabili per rivelare le traiettorie di sviluppo di ogni componente, esaminare le diverse relazioni tra le componenti e valutare i possibili meccanismi di sviluppo (Best e Miller, 2010).

In conclusione, si potrebbe ipotizzare che le discrepanze dei differenti modelli te orici qui proposti possano essere dovute a due principali ragioni: in primis al fatto

16 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

ETà EVOLUTIVA

di considerare fasce d’età troppo ampie che possono non riflettere qualitativamente i cambiamenti funzionali in un’ottica evolutiva e, in secondo luogo, alla difficoltà in me rito alla scelta di compiti adeguati alla valutazione delle FE in età prescolare (Wiebe et al., 2011).

1.7. Autoregolazione e FE

Come evidenziato da Nigg nella review riguardo al costrutto di autoregolazione (2017), anche se il tema dell’autoregolazione gioca un ruolo centrale negli studi psicologici odierni, la caratterizzazione e definizione di questo costrutto risulta ad oggi ancora poco chiara e delineata. L’autore mette in luce come in letteratura ci sia tuttora poca chiarezza riguardo al costrutto di autoregolazione, che viene ancora definito in modi diversi e che viene spesso fatto coincidere con altri costrutti che, pur avendo aree di sovrapposizione, non necessariamente costituiscono dei sinonimi. Si sottolinea anche come questa confusione e ambiguità nella terminologia abbia causato un rallentamen to nei progressi di ricerca. Tra i termini collegati e spesso fatti coincidere con l’auto regolazione vengono ricordati i costrutti di FE, controllo cognitivo ed effortful control: essi appartengono tutti a processi top-down dell’autoregolazione a livello cognitivo, ma non sono identici in tutto e per tutto al costrutto sopracitato. Nella definizione di tale concetto, Nigg fa riferimento alla capacità dinamica e adattiva di modulare i propri stati interni o i propri comportamenti in modo autonomo, capacità formata sia da processi top-down (intenzionali) che da processi bottom-up (automatici). Tale abilità viene gradualmente acquisita nel corso dello sviluppo, in cui si passa da una regolazione a opera di altri individui (in primis i caregiver) a una regolazione interna, detta appunto autoregolazione.

L’autoregolazione è un costrutto spesso messo in relazione con quello di FE, e da alcuni autori fatto totalmente coincidere con esso. Le FE, come già detto pre cedentemente, permettono di gestire un conflitto immediato (ad es., inibendo una risposta automatica), così come di gestire nell’immediato dei conflitti futuri, tramite ad esempio una pianificazione accurata orientata al futuro. Il crescente riconoscimento dell’esistenza di FE calde, caratterizzate da un coinvolgimento emotivo, ha reso ancora più sfumata la differenziazione rispetto all’autoregolazione di tipo emotivo. Barkley (2012) ha sostenuto che FE potessero essere considerate qualsiasi tipo di azione volta al raggiungimento di un obiettivo, facendole equivalere a processi top-down di autore golazione; Zelazo e Cunningham (2007) hanno sottolineato il diretto coinvolgimento delle FE nei processi di autoregolazione emotiva, giungendo alla descrizione delle due tipologie di FE, calde e fredde, già ampiamente citate. Nella loro ottica quindi, le FE calde rappresenterebbero dei processi top-down di autoregolazione emotiva, mentre le FE fredde sarebbero dei processi top-down di autoregolazione cognitiva in contesti dove gli aspetti emotivi risultano minimizzati. Secondo la loro visione, quindi, quando l’obiettivo finale è costituito dall’autoregolazione (cioè, quando le FE sono impiegate al servizio dell’autoregolazione), allora il concetto di FE risulta totalmente identico e sovrapponibile a quello di autoregolazione, dal momento che le FE sia calde che fred de sono coinvolte in tutti i processi top-down dell’autoregolazione. La visione di Nigg

17 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE IN

(2017), tuttavia, si distanzia parzialmente da quella di Zelazo e Cunningham (2007), mettendo in guardia il lettore dal porre in atto un’equazione fin troppo semplicistica tra FE e autoregolazione. Secondo Nigg, infatti, il costrutto di autoregolazione fa ri ferimento alla capacità adattiva di modulare i propri stati interni e comportamenti, mentre le FE sono un set di capacità mentali che possono certamente consentire e facilitare l’autoregolazione, ma che non coincidono totalmente con essa. Le FE, infatti, possono essere utilizzate anche per altri scopi rispetto a quello di autoregolarsi; una FE ampiamente citata è rappresentata dal problem solving: quando una persona mette in atto un problem solving sta implementando una FE, ma non sta necessariamente esercitando un processo di autoregolazione. Anche il costrutto di controllo cognitivo è spesso collegato all’autoregolazione. Esso viene definito come “la capacità di regolare in modo flessibile il comportamento in un contesto di obiettivi e compiti dinamica mente mutevoli”(Carter e Krus, 2012, p. 89); pur essendo collegato alle FE, il controllo cognitivo è un costrutto più ristretto e formato da aspetti più basilari rispetto a processi cognitivi ed emotivi complessi inclusi nelle FE. Così come le FE, anche il controllo co gnitivo può essere utilizzato sia nell’implementazione dell’autoregolazione che per al tri scopi. L’ultimo termine spesso in relazione con le FE e l’autoregolazione è l’effortful control (EC, controllo efficace): esso fa riferimento alla capacità di utilizzare strategie di controllo top-down per autoregolarsi, è collegato a tratti temperamentali basilari e non include aspetti e strategie di cognizione complessa. Quando il controllo cognitivo è utilizzato per raggiungere l’autoregolazione, esso si delinea come effortful control.

1.8.

Nuove prospettive nelle

FE

Infine, Doebel (2020) propone un’interessante visione critica delle FE, che si discosta dalla classica visione modulare, la quale esercita nel panorama scientifico una forte influenza su come i ricercatori concettualizzino le FE. L’autrice, infatti, mostra i limiti della visione attuale predominante riguardo alle FE, viste come un insieme di poche (e variabili, a seconda del modello) componenti che supportano altri fenomeni di svilup po e l’autoregolazione. I limiti di tale visione sono riscontrabili nel fatto che allenare le FE tramite training appositi non sempre migliori il funzionamento esecutivo o altre abilità in differenti domini, specialmente quando si considerano gli effetti far transfer, ovvero gli effetti dei training su vari aspetti del comportamento e dell’apprendimento, correlati ma distinti rispetto alle FE. Inoltre, molti studi mostrano la scarsa corre lazione tra le misure di FE utilizzate nei setting sperimentali e le misure di FE e di autoregolazione valutate tramite questionari, aspetto che sembra screditare l’idea che le FE giochino un ruolo cruciale nel supportare processi di autoregolazione.

Distanziandosi dunque dall’idea dello sviluppo delle FE visto come l’emergere di un set di diverse componenti dominio-generali, differenziabili tramite specifici subtest, Doebel propone una visione in cui lo sviluppo delle FE riflette l’acquisizione di un’abilità di controllo del comportamento attraverso l’attivazione di contenuti men tali, tra cui conoscenze, credenze e valori diretti verso un obiettivo specifico. Questi obiettivi specifici, quindi, attiverebbero contenuti mentali quali conoscenze rilevanti, credenze, valori, regole, interessi e preferenze, che il bambino acquisisce nel corso del

18 LE FUNZIONI ESECUTIVE NEI DISTURBI DEL NEUROSVILUPPO

IN ETà EVOLUTIVA

suo sviluppo calato in uno specifico contesto socioculturale, che influenza il modo in cui il bambino eserciterà il controllo del suo comportamento. Per chiarire al meglio la questione, Doebel riporta un esempio pratico: un bambino che impara a non picchiare un suo compagno che gli ha rubato un gioco non sta semplicemente esercitando la propria FE di inibizione della risposta come fosse qualcosa di decontestualizzato e applicabile a qualsiasi situazione, ma sta mettendo in atto una serie di credenze, regole e valori, quali ad esempio la comprensione del dolore altrui nel caso in cui picchiasse il compagno, la comprensione delle punizioni che seguirebbero questo atto, la compren sione dell’esistenza di alternative socialmente accettabili alla violenza fisica e così via. La visione prevalente sullo sviluppo delle FE, quindi, prevede che esse si sviluppino in modo endogeno, decontestualizzato, e che supportino lo sviluppo in vari domini cognitivi, quale per esempio l’autoregolazione; la visione alternativa proposta da Doe bel afferma che l’acquisizione del controllo da parte di un individuo non possa essere scomposta o spiegata in termini di componenti (inibizione, flessibilità, memoria di lavoro), ma che una persona, semplicemente, eserciti il suo controllo in una modalità specifica, modalità influenzata e resa possibile dai contenuti mentali elicitati e acquisiti durante lo sviluppo, cioè i sistemi di valori e regole, credenze, conoscenze, predispo sizioni personali, ecc. In questa prospettiva, le correlazioni tra misure tipiche di FE e altre misure di abilità dominio-specifiche come, ad esempio, la teoria della mente (ToM), sono indice del fatto che entrambe le misure valutino e catturino il control lo comportamentale diretto verso specifici obiettivi ottenuti tramite l’attivazione dei contenuti mentali sopracitati (conoscenze, credenze, norme, ecc.). Nelle teorizzazioni classiche, le FE e la ToM sono correlate perché le FE vengono ritenute necessarie per esprimere una conoscenza concettuale già esistente (ad es., saper inibire il proprio punto di vista nel momento in cui si deve rispondere pensando al punto di vista altrui, sapendosi spostare flessibilmente). Nella teorizzazione di Doebel, FE e ToM sono molto più interrelate: da una parte, saper rispondere correttamente a un compito di falsa credenza necessita lo sviluppo del controllo, che è ottenuto tramite l’attivazione di conoscenze rilevanti; dall’altra, la conoscenza di stati mentali altrui è in grado di supportare la performance in alcune misure di funzionamento esecutivo. La nuova teorizzazione di Doebel permette inoltre di spiegare le basse correlazioni spesso os servate tra misure di funzionamento esecutivo performance-based e valutazioni tramite questionari e rating scale: al posto di catturare due costrutti totalmente differenti (te oria spesso riportata a spiegazione delle basse correlazioni tra i punteggi ottenuti con le due diverse misure), le misure performance-based e i questionari valuterebbero un controllo comportamentale esercitato in modi diversi con diverse tipologie di creden ze, conoscenze e valori messi in gioco, aspetti che cambiano notevolmente a seconda del contesto in cui si trova il bambino.

Doebel, nella sua riflessione (2020), fa riferimento anche alla già citata teoria dell’IR di Cunningham e Zelazo (2007), in cui i processi riflessivi (reflection) gioca no un ruolo fondamentale nello sviluppo e sostenimento delle FE; secondo l’autrice, nonostante i processi riflessivi siano sicuramente indispensabili per un buon funzio namento esecutivo nei vari ambienti di vita, la capacità e la predisposizione a metterli in atto cambierebbe in gran parte a seconda dei contenuti mentali attivati nella mente del bambino in relazione a uno specifico obiettivo. La riflessione e il conseguente

19 1. MODELLI NEUROCOgNITIVI DELLE FUNZIONI ESECUTIVE

sviluppo del controllo esecutivo, quindi, si verificano grazie alle conoscenze concettuali coinvolte nello specifico contesto, caratterizzato da specifici obiettivi. È importante sottolineare che secondo questa visione si possono riscontrare delle differenze nell’ac quisizione del controllo e dei processi riflessivi a seconda del contesto socioculturale in cui il bambino si trova a vivere, contesto che modella anche i diversi sistemi di credenze, regole, valori e, in generale, i contenuti mentali che supportano l’acquisizio ne di abilità esecutive. Per permettere un miglior funzionamento esecutivo, dunque, invece che allenare il bambino durante compiti esecutivi a esercitare la riflessione, secondo Doebel sarebbe necessario fornirgli un numero abbondante di esperienze che gli consentano di comprendere il valore del controllo e di comprendere il bisogno di esercitarlo durante momenti critici (che Cunningham e Zelazo nel 2007 definirono “situazioni di conflitto”). Ciò che si verifica nello sviluppo tipico, quindi, non è tanto l’acquisizione di competenze generali, separate e decontestualizzate, quali inibizione, flessibilità o memoria di lavoro, bensì di abilità che permettono di esercitare il con trollo diretto verso specifici obiettivi, grazie all’acquisizione e all’attivazione di vari contenuti mentali. Due importanti implicazioni emergono dal lavoro di riconcettua lizzazione attuato da Doebel (2020): da una parte, emerge il bisogno di ripensare ai training sulle FE in relazione a specifici obiettivi e relative credenze, valori e norme: invece di tentare di aumentare l’inibizione comportamentale di un bambino con trai ning poco ecologici, ha senso considerare gli specifici obiettivi e i sistemi di credenze che potrebbero supportare il suo raggiungimento (ad es., spiegare a un bambino che esistono diverse alternative socialmente accettabili al picchiare un compagno di classe quando ruba il suo gioco); fornire, cioè, dei value-based training di FE, ovvero dei training non decontestualizzati, ma focalizzati e basati sui sistemi di valori importanti per il bambino e per i suoi obiettivi, valori che possono anche variare a seconda del contesto socioculturale di riferimento (sappiamo infatti che la conoscenza concettuale può cambiare anche in base allo status socioeconomico, SES). Il secondo punto fonda mentale per l’autrice è la necessità di attuare valutazioni delle FE molto più ecologiche rispetto a quelle classiche laboratoriali in uso oggi: al posto di chiedere al bambino di inibire la risposta che lo porterebbe a schiacciare il bottone (il classico paradigma del go/no-go task), si potrebbe chiedere al bambino di inibire la risposta che lo porterebbe a toccare giocattoli per lui attraenti visualizzati sul monitor. In questo modo le misure di FE risulterebbero più valide dal punto di vista ecologico e più pertinenti rispetto alle domande di ricerca e ai risultati di interesse.

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