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A NOTE CRITICO-TESTUALI ED ESEGETICHE ALL'EPITOMA REI MILITARIS DI VEGEZIO In memoria di Henry David Jocelyn Da alcuni anni Michael D. Reeve dedica le sue attenzioni allo studio della tradizione manoscritta e del testo dell'Epitoma rei militaris di Vegezio al fine di allestire una nuova edizione del trattato. Gran parte dei risultati di tale lavoro è stata pubblicata in tre recenti contributi1, dove sono state pure messe in evidenza le carenze, spesso assai gravi, dell'ultima edi?_ione critica dell'opera vegeziana, quella . teubneriana curata da Alf Onnerfors nel 19952• Dopo un radicale riesame della tradizione3, Reeve ha stabilito che essa discende da quattro testimoni perduti indipendenti fra loro: s (risalente a un manoscritto corretto sine exemplario a Costantinopoli nel 450 da un certo Flavio Eutropio), p, a (che si interromfe a IV 39, 1) e <I> (a cui fa capo un gruppo di codici che integrano i testo di a dopo IV 39, 1). Dal momento che a e cl> non tramandano porzioni di testo fra loro confrontabili, Reeve deve necessariamente servirsi per la constitutio textus di uno stemma sostanzialmente tripartito. Per sua stessa ammissione dunque egli è portato ad accettare nel testo - tranne rare eccezioni - le lezioni tràdite concordemente da due famiglie di testimoni4 • Un comportamento diverso implicherebbe infatti la 1 M.D. REEVE, Editoria! opportunities and obligations, «RFIC», 123, 1995, pp. 479-499; Io., Notes on Vegetius, «PCPhS», 44, 1998, pp. 182-218 (poi integrato con In., Vegetius 4.41.4, «PCPhS», 45, 1999, p. 108); In., The transmission of Vegetius's Epitoma rei militaris, «Aevum», 74, 2000, pp. 243-354. 2 P. FLAvn VEGETI RENATI Epitoma rei mìlitaris, ed. A. 6nnerfors, Stutgardiae - Lipsiae 1995. 3 Si tratta di più di 200 mss.: una lista di 193 codici latini in Ctt. R. SHRADER, A handlist of extant manuscripts containing the De re militari of Flavius Vegetius Renatus, «Scriptorium», 33, 1979, pp. 280-305; a essi si devono aggiungere altri 22 (o 23) individuati da REEVE, The transmission .. ., cit., pp. 250-251. 4 Cf. REEVE, Notes.. ., cit., p. 217: «I have usually found myself defending a reading shared by two witnesses ... Where I follow a single witness against the agreement of the other two, I blame the agreement on coincidental error in those two, successful conjecture in the single witness, or variants in the early stages of transmission»; e Io., The transmission ... , cit., p. 244: «Rather than bipartite, i;a;p, the stemma might well be tripartite, s/8/p· but whatever its shape, editors should think twice before printing a reading of E against ap セイ@ of 8 against EIJ». «Vichiana» 4 s. 3, 2001, 64-93 Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 65 presenza di errori congiuntivi comuni a due famiglie, che pertanto non potrebbero essere più considerate indipendenti. Ho qui riassunto, nella maniera più concisa possibile, le conclusioni di Reeve senza entrare nel merito di come egli sia giunto a esse. Mi preme infatti in primo luogo discutere alcune scelte testuali ed esegetiche da lui operate in maniera pressoché definitiva in uno studio pubblicato nel 1998 nei «Proceedings of the Cambridge Philological Society». Solo dopo aver fatto ciò sarà possibile trarre qualche preliminare considerazione sullo stemma codicum disegnato da Reeve nonché sulla validità del suo metodo ecdotico5• I 27, 1-4 Praeterea et uetus consuetudo permansit et diui Augusti atque Hadriani constitutionibus praecauetur, ut ter in mense tam equites quam pedites educantur ambulatum; hoc enim uerbo hoc exercitii genus nominant. 2 Decem milia passuum armati instructique omnibus telis _pedites militari gradu ire ac redire iubebantur in castra, ita ut aliquam 1tineris partem cursu alacriore conficerent. 3 Equites quoque diuisi per turmas armatique similiter tantum itineris peragebant, ita ut ad equestrem meditationem interdum sequanrur interdum cedant et recursu quodam impetus reparent. 4 Non solum autem in campis, sed etiam in cliuosis et arduis locis et descendere et ascendere utraque acies cogebatur ... impetus oop: in proeliis se Q. Qui Vegezio descrive l'addestramento ai lunghi fìercorsi (20 miglia) che devono compiere sia la fanteria che la cava leria tre volte al mese. Non si tratta in questo caso di un problema testuale ma esegetico (in proeliis se di Q è una congettura di Frecolfo di Lisieux [t 853] che probabilmente leggeva impedus nel suo antigrafo)6 • Reeve fornisce una sua spiegazione di impetus reparent «affinché nessuno possa pensare che tale espressione sia corrotta» 7• La spiegazione di Reeve è la seguente: Infantry and cavalry set off on the same walk. Problem: horses can go faster than men. Solution: the cavalry sometimes follow thc infantry, ; Il testo latino da me riportato è quello dell'edizione teubneriana di Onnerlors (o.e.). L'apparato crit!co è quello 。、ッエセ@ 、セ@ Reeve (Jl!otes.. .. , ci,t.) sulla base della 」ッャセ。コゥョ・@ diretta dei manoscrim; tale apparato e assai schematico pmche non rende conto d1 norma delle varianti dei singoli testimoni ma cerca di risalire a quanto si leggeva nei perduti capostipiti delle quattro ヲ。ュゥァャセ・N@ . .. . . 6 Cf. REEVE, Ed1tonal opportumties... , c1t., p. 483 e In., Notes ... , c1t., pp. 190-191. 7 Notes ... , cit., p. 191: «Lest anyone should conclude that there must be something wrong with impetus reparent». Vincenzo Ortoleva 66 sometimes fall away and by running back a certain distance renew their bursts of horsepower. A comma after sequantur would help. In sostanza Reeve intende che nel corso dell'esercitazione cavalleria e fanteria mantenessero lo stesso percorso e che, poiché i cavalli sono più veloci degli uomini, la cavalleria di tanto in tanto si fermasse per poi ricongiungersi alla fanteria mediante delle improvvise accelerazioni. In realtà tutto ciò non corrisponde a quanto si rinviene nel testo vegeziano. Qui cavalleria e fanteria non compiono un'esercitazione combinata, ma percorsi diversi forse anche in tempi diversi. In comune c'è solo che Vegezio tratta contemporaneamente del fatto che fanti e cavalieri debbono esercitarsi periodicamente sulla distanza di 20 miglia armati di tutto punto. L'avverbio similiter serve unicamente a indicare che la distanza da compiere è la stessa anche per i cavalieri (similiter tantum itineris peragebant). Tutto qui. A Vegezio preme tuttavia spiegare nel dettaglio che cosa i cavalieri avrebbero dovuto fare in quelle 20 miglia. Egli allora dice che «secondo quanto prevede ogni esercitazione della cavalleria, i cavalieri per un po' effettuano una carica (cioè simulano un attacco), per un po' si ritirano e ritornando indietro rinnovano gli attacchi (cioè attaccano di nuovo)». Tutto è veramente molto semplice e non me.ritereb?e forse spiegazioni se Reeve non a.vesse mostrato di 。セ・イ@ framteso 11 testo. Il verbo sequor non ha qm come oggetto sottmteso pedites, ma, usato assolutamente, ha il consueto significato di «attaccare» 8; analogamente cedo non significa qui «fall away», cioè «desistere», ma «ritirarsi» 9• Un cenno particolare merita recursu quodam, che Reeve traduceva con «by running back a certain distance». A parte che l'espressione «running back» («tornando indietro di corsa») non corrisponde più neppure alla ricostruzione voluta da Reeve 10, il senso non è precisamente questo, soprattutto perché quodam non si riferisce affatto alla lunghezza del percorso («a certain distance», dice Reeve ). Vegezio utilizza un'altra volta il termine recursus in mil. III 7, 10: 8 Cf. ad es. mii. II 17, 5: legionis ius est facile nec fugere nec sequi; II 22, 5: quod ideo omnibus exercitiis et processionibus custoditur, ut in ipsa pugna facilius obtemperent milites, szue eos pugnare siue stare siue sequi uel redire praeceperint duces (esempio interessante perché il contesto è quello dell'esercitazione come nel nostro caso). 9 • Cf. ad es. mii. I 10, 1: non enim semper pontibus flumina transeuntur, sed et cedens et znsequens natare cogitur frequenter exercitus; III 14, 8: hi [scii. milites aetate maturi] enim ad uicem muri nec cedere nec sequi aliquando cogendi sunt. 10 Se infatti Reeve interpreta cedant con «fall away» («desistono [dall'inseguire i fanti]») non si capisce perché i cavalieri dovrebbero pure «tornare indietro» dopo essersi fermati per dare vantaggio alle truppe a piedi. ゥセ@ Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 67 Quod si pons non tantum ad transitum sed etiam ad rccursum et commeatus necessarius fucrit, tunc in utroque capite pcrcussis latioribus fossis aggereque constructo dcfensorcs milites dcbct acciperc, a quibus tamdiu teneatur, quamdiu locorum necessitas postulat. In questo caso recursus ha valore di «ritorno», senza alcuna implicazione del concetto di «corsa» 11 • Valore analogo ha lo stesso termine nel nostro passo, dove recursu quodam significa semplicemente «con un dietro-front», cioè - traducendo in maniera più libera - «ritornando indietro» 12 • III 7, 6 Expediti uero equites fasces de cannis aridis ucl ulua faccrc consuerunt, super quos loricas et arma, ne udcntur, imponunt; ipsi equique natando transeunt colligatosque secum fasces pertrahunt loris. loris Stewechius: sociis ef3 socios B. Qui Vegezio descrive un metodo per trasportare l' equipaggiamento al di là di corsi d' acqya non guadabili. La congettura loris era stata accolta da Lang e da Onnerfors. Reeve difende invece sociis di ウセ@ traducendo «haul across for their comrades» e portando ad esempio mi!. III 5, 11 e III 19, 3 per socius nel senso di «compagno» 13 • Con il passo in questione siamo in realtà di fronte a un classico caso in cui un testo che apparentemente sembra dare un senso accettabile è in realtà corrotto. Iniziamo prendendo in considerazione la congettura loris di Stewechius: «e tirano a forza con cinghie i fasci a loro legati insieme». Il senso sembrerebbe migliore, ma bisogna chiedersi se è paleograficamente possibile che loris si sia corrotto in sociis. A tal fine ci viene in aiuto un passo di un'altra opera di Vegezio, il cap. 25, 3 della De otris boum epitoma (altrimenti nota come quarto libro della cosiddetta Mulomedicina), dove si descrive una sorta di gabbia (machina) mediante la quale si possono immobilizzare gli animali per curarli 14 : Cf. anche FoRCELLINI, s.v.: <<latiori sensu est simpliciter reditus, reucrsio, ritorno». A proposito di recursu quodam i.mproprie 、セ「ッョ@ ・セウイ@ considerate ai:iche le traduzioni di N. P. MILNER (Vegetius, Epitome of M1lztary Saence, translated w1th notes and introduction, Liverpool 19962, ad loc.): «by some rally» e di FR. L. mオlセer@ (Vegetius, Abrifl des Militarwesen, lateinisch und deutsch, Stuttgart 1997, ad loc.): «nach emer Art Anlauf von riickwarts». 13 REEVE, Notes ... , cit., p. 200. 14 Il testo è quello ャ・ァセ「ゥ@ in P. VEGETI RENATI Digestorum artis mulomedicinae libri, ed. E. Lommatzsch, Lipsiae 1903. 11 12 68 Vincenzo Ortoleva Cui [scii. machinae] transuersum tigillum ad modum iugi configendum est, ad quod equorum capita uel boum cornua religentur. Nam reliquum corpus ad temones fictos uel funibus alligetur, ut immotum praestetur ad medentis arbitrium. A proposito di fictos la tradizione del De curis boum così si comporta: deest in y Il fictos L: socis eT soccis B socios AY soc os (sic) K T2 s. l. om. W 15 • 7t loris In questo caso è possibile il confronto del passo di V egezio con la sua fonte, CoLVM. VI 19, 3: Primis autem duobus statuminibus inponitur firmum iugum, ad quod iumenta capistrantur uel boum cornua religantur, ubi potest etiam numella fabricari, ut inserto capite descendentibus per foramina regulis ceruix catenetur. Ceterum corpus laqueatum et distentum temonibus obligatur inmotumque medentis arbitrio est expositum. La lezione fidos, tràdita da L e accolta da Lommatzsch non dà un senso soddisfacente, soprattutto se si considera il ueL che segue subito dopo. D'altro canto, benché gran parte della tradizione (&ABTY1t) tramandi lezioni che sembrerebbero in qualche modo avere a che fare con il sostantivo socius, nel testo di Columella non compare nulla che possa anche lontanamente essere posto in relazione con tale termine. Columella usa invece le parole Laqueatum e obLigatur, che ci fanno istintivamente pensare a corde e cinghie. Anche Vegezio aveva del resto impiegato l'espressione ueL funibus alligetur; ciò porterebbe dunque a concludere che Loris, riportato da K e dalla seconda mano di T, sia la lezione genuina, benché sia palese che si tratti di congetture e non di lezioni leggibili nella tradizione medievale. Ragionando allo stesso modo si dovrebbe pertanto accogliere nel testo di miL. III 7, 6 la congettura loris di Stewechius, ipotizzando che in un qualche tipo di scrittura fosse possibile confondere Loris con sociis. Le cose stanno però diversamente, sebbene loris in entrambi i casi sia un buon esempio di come una congettura errata possa talvolta istradare verso un'autentica comprensione del testo. Nel De curis boum è infatti la lezione socis, tràdita da eT, quella genuina. Analogamente si deve leggere socis anche a miL. III 7, 6. In entrambi i testi socis è dunque 15 L'apparato critico è mio. Per le sigle dei testimoni cf. V. 0RTOLEVA, la tradizione manoscritta della «Mulomedicina» di Publio Vegezio Renato, Acireale 1996, pp. 8-13; con K si indicano i ff. 73'-75v di M, dove sono copiati da una seconda mano i capp. 15, 4 - 25 della De curis boum epitoma (porzione di testo originariamente assente in M così come negli altri esponenti dì y). Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 69 un ablativo, ma naturalmente non riconducibile a sacius ma a un sostantivo affine al termine mediolatino soca (che naturalmente può essere stato proprio saca, ma anche - come vedremo fra breve - socus o sacum), il cui significato è quello di «fune», «corda». L'attestazione più antica del sostantivo saca finora nota è quella rinvenibile in un papiro non letterario databile all'anno 564, pap. Tjaeder 8, 2, 9: sacas tartiles duas 16 • Esistono inoltre varie occorrenze in testi latini medievali. Due sono registrate nel lessico di Arnaldi 17: Rathari rex Langabardarum edictus p. 69, 10 Boretius (MGH, Leges, IV, Berolini 1868): si quis sagas furauerit de bauis iunctorios 18 ; Liber legis Langabardorum Papiensis dictus p. 374, 10 Bluhme (MGH, Leges, IV, Berolini 1868): si quis sogas furatus fuerit de boue iunctoria 19 • Arnaldi registra pure la voce soca (suca, saccia) come «mensura agraria», attestata a partire dall'VIII secolo. Du Cange (s.v. saga) riporta inoltre due attestazioni del XIII secolc2°. Il Dr. Johannes Staub del Mittellateinisches Worterbuch mi ha gentilmente inviato un elenco di altre occorrenze di soca/soga: GREG. CAT. chron. I, p. 277, 31 Balzani; Acta imp. Bohmer 1089 p. 783 ex. (ibidem saepius ); Chart. Tirol. notar. 305; Dipl. Frid. I, index vol. II. Tra queste riveste una certa importanza quella di Gregorio di Catino, perché relativa a un documento del 75621 • Continuazioni di saca I saga si rinvengono inoltre in varie lingue romanze22 tra cui il toscano e molti dialetti italiani; la più 16 Per questo riferimento sono debitore al Dr. Dietfried Kromer, Geschaftsfiihrender Direktor del Thesaurus linguae Latinae. Un succinto commento in J.-0. TJADER, Die nichtliterarischen Papyri !taliens aus der Zeit 445-700, I, Lund 1954, p. 435. L'occorrenza si rinviene anche in Ctt. Du CANGE, Glossarium ad scriptores mediae et infimae Latinitatis, editio noua aucta a L. Favre, Niort 1883-87, s.v. soca 1. 17 F. ARNALDI, Latinitatis ltalicae medii aeui lexicon imperfectum, Bruxelles 1939-64, s.v. soga. 18 Questa attestazione è riportata anche da Du CANGE s.v. soga. 19 Si vedano anche il Glossarium Cauense 108: Sogax. Id est funem; e il Glossarium Vaticanum 91: Socas (cf. MGH, Leges, IV, p. 655, 55). 20 «lnnocentius III PP. lib. 13. Epist. 61: Culcitram unam, mantilia 4, sogam carralem de cario, ferrum caldariarum. [Chronic. p。セュ・ョウ@ ad ann. QRセN@ apud Murator: セュ@ ..9. col. 821: Campana communis, quae erat adhuc m platea commums super uno aedzfzao ligneo, dum sonaretur ad sogam, fracta fuit]»: A?che in dセ@ Cange (s.v. soga) è ゥョッセエイ・@ イAーセエ。Zゥ@ un'occorrenza del termine nel senso d1 misura agraria. Sempre Du Cange registra mfme 11 lemma sogalis come «Census ex quauis soga, seu agri modo, pendi solitus». 21 Questa attestazione era nota anche a Du Cange (o.e., s.v. soca 2) e ad Arnaldi (o.e., s.v. soca) 3 22 Cf. W. MEYER-LfiBKE, Romanisches etymologisches Worterbuch, Heidelberg 1935 , nr. 8051; W. v. WARTBURG, Franzosisches etymologisches Worterbuch, XII, Basel 1963, s.v. soca; J. CoROMINAS, Diccionario critico etimologico de la lengua castellana, IV, Bema 1957, s.v. soga· J. CoROMINES, Diccionari etimològici complementari de la llengua catalana, VIII, b。イセ・ャッョ@ 1988, s.v. soga; S. BATIAGLIA, Grande dizionario della lingua italiana, XIX, Torino 1998, s. vv. s6ga, sogai6ne, sogame, ecc. Vincenzo Ortoleva 70 nota occorrenza si trova in DANTE inf XXXI 73-74: cércati al collo, e troverai la saga I che 'l tien legato, o anima confusa23 • Inoltre - e questo è un dato assai significativo - in testi tardogreci e protobizantini esistono alcuni termini che appaiono assai strettamente imparentati con il latino soca. La più antica attestazione è quella di Olimpiodoro di Tebe (V sec.) nella cui opera storica (457d) si rinviene: OV SpyCX. fipffiiKÙ KCX.Ì 8auµacrm a/;ta ÈmÒEt/;aµEVOV µoÀtç; croKKotç; kçc&yp11crav, KaÌ UO"'rnpov àvmpoùcrt. Il sostantivo cr6Koç; o crcoK6ç; («laccio», «corda») occorre inoltre anche in Jo. MAL. chron. 18 p. 438 (PG 97, 648a): àrrocrrrcicraç; tÒ 'iòwv l;ilj>oç; EKO\JIE tÒv cr6Kov; e in THPHN. chron. p. 339, 6 (PG 108, 480c): µi:>tà wù rraµ11piou aùwù KO\Jfaç; tòv cr6Kov. Nello Strategicon di Maurizio (I 2, 42 DennisGamillscheg), un testo del VII sec., si legge invece il composto Àwp6croKKoç; (o -KKov; il termine è all'accusativo)24 • Inoltre in HscH. (s.v.) è registrato il verbo croKaco; in Jo. MAL. chron. 14 p. 364 (PG 97, 541c) e ibid. 18 p. 438 (PG 97, 645c) si rinviene croKKi:>uco (o croKi:>uco); mentre in THPHN. chron. p. 184 (PG 108, 480c) si trova croKiçco (o crcoK-). Il diminutivo croKcipwv (o crcoK-) occorre in J o. MAL. chron. 14 p. 364 (PG 97, 541b); HERO geom. IV 11 (e altrove); CoNST. PoRPH. cer. 460; ibid. 463. In LEO GRAMM. p. 108 e in GEORG. CEDR. p. 341d è infine attestato un altro diminutivo: cr6Ktcrtpov (o crroK-). Il dato che maggiormente risalta è che in greco il sostantivo non è di genere femminile, come in latino medievale, ma maschile - almeno a giudicare dalle due occorrenze in Giovanni Maiala e in Teofane - o tutt'al più neutro (da ciò che si legge in Olimpiodoro e in Maurizio non si può infatti stabilire se si tratti di neutro o maschile). Quale che sia stata la forma del nominativo conosciuta da Vegezio, restituendo socis nei due passi sopra discussi recuperiamo in ogni caso delle attestazioni importantissime che mostrano come il termine fosse già in uso in latino alla fine del IV secola25 • 23 Sono grato al Prof. Max Pfister e al Dr. Marcello Aprile per avermi generosamente fornito in fotocopia le numerose schede del Lessico Etimologico Italiano relative a soca. 24 In MAvRrcrvs, Arta militara ed. H. Mihaescu, Bucuresti 1970, p. 53, il termine è erroneamente tradotto con «un saculçt de piele», quando esso ha invece chiaramente il valore di «cinghia» (analogamente nell'indice [p. 397] si legge «saccum scorteum [sic] cum loro»). Una traduzione erronea si rinviene anche in G. DENNIS - E. GAMILLSCHEG, Das Strategikon des Maurikios, Wien 1981, p. 81: «ein lederner Sack». 25 Il fatto che si possa ora provare che soca (o socus o socum) fosse attestato in Vegezio (e quindi verosimilmente alla fine del IV sec.) permette finalmente di fare giustizia di alcune ゥーッエセウN@ ヲッイュセャ。エ・N@ ゥセ@ passato セゥイ」。@ l'etimologia del sostantivo. Ad es. S. LAZARD (Étude des hellemsmes lznguzstzques de l Exarchat de Ravenne et de la Pentapole, Thèse de Doctorat, Université de Montpellier III 1979, pp. 697-699) riteneva che il vocabolo fosse stato intro- Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 71 Fin qui la nostra ricostruzione. Essa però necessita ora di una breve appendice. Quando infatti questo contributo era ormai in fase di stampa il Prof. Michael D. Reeve, con una lettera del 5 dicembre 2000, mi ha gentilmente comunicato che l'emendamento socis era già stato avanzato nel 1982 da Marfa Felisa del Barrio Vega nella sua tesi di dottorato 26• Le motivazioni che hanno indotto la studiosa spagnola a correggere in socis il tràdito sociis partono dalla constatazione che in castigliano è tuttora d'uso comune il sostantivo saga, riconducibile come anche qui si è messo in evidenza - al latino medievale soca; mancano invece nel lavoro della del Barrio Vega le considerazioni su cur. boum 25,3 e sulle occorrenze tardogreche. Il fatto che in maniera assolutamente indipendente due persone siano giunte ad analoghe conclusioni mi sembrerebbe comunque un altro piccolo punto a favore della validità della congettura. Nella stessa lettera del 5 dicembre M. D. Reeve mi ha inoltre informato del fatto che a mii. IV 21, 7 (per funes adtracto depressoque alio capite eleuati imponuntur in murum [a proposito del tolleno]) f3 tramanda ad funes socaque contro per f unes di 0027• Al momento non saprei dire se f3 in questo caso riporti la lezione genuina28 • Mi interessa invece soffermarmi sulla forma socaque. I due passi vegeziani sopra discussi (cur. boum 25,3 e mil. III 7, 6) - come si è detto - non ci dicono nulla circa il genere del sostantivo: si potrebbe trattare di soca, in accordo con le attestazioni mediolatine e romanze, ma anche benissimo di socus o socum, fatto che metterebbe in rapporto il vocabolo con quanto si legge nei testi tardogreci e protobizantini (in cui, com'è noto, si rinvengono non di dotto in latino dal greco bizantino all'epoca della セ・イ。@ ァイ・」ッMセゥ。[@ Ctt. MERRITI CARLTON (Studies in Romance lexicology, based on a cofle'!Z?n of la!e Latm documents from Raven'!a, a un on9!ne 」セャエQ。@ che avrebbe av:uto 」ッセ・@ es1_to Chapel Hill 1965, pp. 40-43) ー・セウ。ケ@ prima saga e poi soca. Più veros1m1le appare l 1potes1 d1 G. aleセsio@ (Di alcuni termmz 12, 1936, pp. 202-205) che faceva derivare la voce da '-·sauca marinari, «Italia 、セ。ャ・エᄋZ@ partendo dalla radice 1.-e. ..·seu- I su- (del lat. suo, sutor). 26 M. F. DEL BARRIO VEGA, Edici6n critica y traducci6n del «Epitoma rei militaris» de Vegetius, libros III y IV, a la luz de los mauscritos espaiioles y セ・@ los mds antiguos testimonios europeos Tesis publicada Universidad Complutense de Madnd 1982, pp. CXCI-CXCII e 29. Lo ウセ・ッ@ Prof. r・カセ@ - che in questa sede torno a ringraziare - mi ha poi tempestivainteressa!e. . .. , . . . mente inviato le fotocopie delle ー。ァゥョセ@ 2 7 Stranamente la variante non è registrata nel! apparato d1 Onnerfors; lo e mvece m quelli di Lang (FLAVI VEGETI RENATI Epito1!1a rei militaris, ree. C. L., Lipsiae 18852 ) e della del Barrio Vega, che tuttavia non l'accoglie ョセャ@ testo. . _ . zs L'uso di ad in senso strumentale rientra del resto fra le caratteristiche della lmgua vegeziana· si veda ad es. quanto ho detto nella mia ree. a C. Giuffrida Manmana in «Gnomon», 72, 2000, 'pp. 411-412. Soca e funes si イゥョカセァッ@ ゥセッエイ・@ significativamente insieme anche in cur. boum 25,3: socis uel funibus. Ree_ve セQ@ ヲセ」・カ。@ u;fme notare nella _sua lettera come anche セ。イエッ@ libro j3 tramandi lez10m ben diverse da quelle d1 r.3 ma non per questo altre volte ョセャ@ meno verosimili. Vincenzo Ortoleva 72 rado traslitterazioni di termini latini). Se tuttavia si prende nella dovuta considerazione quanto riporta f3 a IV 21, 7 - anche solo ritenendo che si tratti di una variante tardoantica e non di una lezione genuina - la forma socum avrebbe un motivo in più per essere giustificata, sebbene non si possa naturalmente escludere - come ipotizza Reeve nella sua lettera - che socaque debba essere corretto in socasque. III 11, 7-8 Obseruatur autem, ne longo spatio fatigatum militem neue lassos post cursum equos ad publicum proelium cogas; multum uirium labore itineris pugnaturus amittit. 8 Quid faciet, qui ad aciem marcidus aduentat? Hoc et ueteres declinarunt et superiore uel nostra aetate, cum Romani duces per imperitiam non cauissent, ne quid amplius dicam, exercitus perdiderunt. Inpar enim condicio est lassum cum requieto, sudantem cum alacri, currentem cum eo, qui steterit, subire conflictum. marcidus e: mariae eius e anhelus of3 Il hoc N: hos e haec Bf3 Il perdiderunt of3: didicerunt 8. .. Di questo passo mi ero già occupato nel recensire l'edizione di Onnerfors 29 • In tale occasione mi ero espresso a favore di didicerunt, lezione che era stata già accolta da Lang. Nel suo contributo del 1995 Reeve aveva difeso anhelus di セヲャL@ che parrebbe preferibile a marcidus per motivi sia ritmici che paleografici30 • Nell'articolo del 1998 Reeve ha invece rivolto la sua attenzione sulla scelta fra didicerunt e perdiderunt, propendendo per perdiderunt in base a due distinti tipi di ragionamento31 • Il primo si fonda sulla possibilità che si accetti hoc nel testo. In tal caso - secondo Reeve - il verbo correlato a declinarunt sarebbe cauissent, non perdiderunt, sebbene cauissent si trovi inserito in una proposizione subordinata. Il senso sarebbe il seguente: «not only [... ] did the Romans of old avoid this, but when recent or contemporary generals failed to guard against it [... ] they lost their armies» 32 • La seconda possibilità vagliata da Reeve è che non si accetti hoc ma haec. Haec sarebbe non solo oggetto di declinarunt ma pure soggetto di perdiderunt, che anche in questo caso andrebbe preferito a didicerunt. A Reeve non rimaneva poi che spiegare perché exercitus perdiderunt è preceduto dall'inciso ne quid amplius dicam: «True, 29 In «Sileno» 21, 1995, pp. 305-307. 30 REEVE, Editoria/ opportunities .. ., cit., pp. 492-493. 31 REEVE, Notes ... , c1t., pp. 201-202. 32 REEVE, Notes ... , cit., p. 202. Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 73 commanders could do nothing amplius to their armies than lose them; but they could lose something amplius than armies, for instance cities, provinces, or for that matter, if they were as highly placed as Valens at Adrianople in 378, their own lives» 33 • In verità, il nesso quid amplius ha com'è noto il significato di «altro»; quindi l'espressione ne quid amplius dicam significa semplicemente «per non dire altro» 34 • Affermare - come sembrerebbe evincersi dalle parole di Reeve - che il senso del passo è «i comandanti romani perdettero gli eserciti, per non dire qualcosa di ancora maggiore (ad es. città, province, o le loro stesse vite)» è - mi pare - quantomeno forzare il senso dell'espressione. Ma torniamo ai dati in nostro possesso. Se si accetta hoc a inizio P.,eriodo mi sembra che - come ho già detto nella mia recensione a Onnerfors - sia davvero arduo difendere perdiderunt. Non è possibile - ed è anche contrario ali' usus scribendi vegeziano - fare di Romani duces sia il soggetto della proposizione subordinata che quello della seconda principale35 • Sarebbe inoltre vanificato l'espediente retorico di porre hoc a inizio periodo come complemento oggetto di due proposizioni coordinate. Quanto al senso, è piuttosto difficile capire perché l'espressione «perdettero gli eserciti» debba essere preceduta dalla parentetica «per non dire altro». Sebbene presentato come elemento di estrema importanza, il fatto di condurre a battaglia uomini e animali stanchi non può realisticamente essere visto da Vegezio come motivo di ulteriori sciagure oltre alla disfatta dell'esercito (come perdite di città e province e la morte di comandanti romani). Se invece si accetta didicerunt, non solo viene ristabilita la costruzione di un unico oggetto retto da due verbi (anzi da tre, perché anche cauissent nella subordinata ha come oggetto hoc), ma pure il senso ne guadagna: «ciò sia lo evitarono gli antichi sia - quando, per inesperienza, i comandanti romani non lo fecero - nell'età precedente o nell'attuale, per non dire altro, gli eserciti lo impararono a conoscere [a proprie spese]». In questo 」セウッ@ ben si セッューイョ、・@ ャGゥセウN・イュョエッ@ di ne アQZGゥセ@ amplius dicam, che mtroduce 1eufemismo didicerunt, quando c1 s1 aspetterebbe qualcosa del tipo «ne paJ;arono 。ウーイュセョエ・@ I.e 」ッョウセᆳ guenze». Infine, disco è un verbo prediletto 、セ@ V:gez1036; s1 veda i.n particolare l'uso che l'autore ne fa a III 1, 8: qui (sc11. ueteres) remedia REEVE, Notes ... , cit., p. 202. Cf. Th!L s.v. amplus, col. 201?, _PMセT@ H、ッカセ@ è riportato ーオセ・@ !I nostro passo). . Una costruzione simile non s1 nnv1ene mai - a quanto m1 nsulta - nelle opere d1 Vegezio. . . 36 T aie verbo si rinviene ben 19 volte nell'Epitoma; devono essere anche ricordate le occorrenze dei composti condisco (attestato sei volte), edisco (due volte) e perdisco (una volta). 33 34 35 Vincenzo Ortoleva 74 difficultatum experimentis didicerant, «che avevano imparato a porre rimedio alle difficoltà grazie all'esperienza». Perdo, per converso, si rinviene nell'Epitoma solo due volte a I 26, 2 (constipati [scil. milites] perdunt spatia pugnandz) e a IV 46, 1 (pugnandi impetum perdunt qui detruduntur in terras), in due situazioni molto diverse da quella del nostro passo ma assai affini fra loro. Quando invece, come a I 28, 9, Vegezio vuole indicare la perdita di uomini in battaglia il verbo utilizzato è amitto: tot itaque consulibus, tot ducibus, tot exercitibus amzsszs. Come si è detto, tuttavia, Reeve considera pure l'eventualità di accogliere haec di Bf3. In tal caso si supererebbero i problemi sopra discussi di fluidità del periodo perché haec sarebbe contemporaneamente oggetto di declinarunt e soggetto di perdiderunt: «queste cose e le evitarono gli antichi e ... mandarono in rovina gli eserciti». Reeve adduce due esempi di tale tipo di costruzione nell'Epitoma: I 13, 1 (quod armaturam uocant et campidoctoribus traditur) e II 15, 5 (quod pilum uocabant, nunc spiculum dicitur). In realtà questi esempi hanno scarsa attinenza con il nostro passo e provano ben poco, dal momento che in ambedue i casi il secondo dei due verbi fra loro coordinati è al passivo. Inoltre, accettando haec e dando quindi a perdiderunt il significato di «mandarono in rovina», l'incidentale ne quid amplius dicam avrebbe ancor meno senso di quanto si era visto a proposito di hoc ... perdiderunt. Al pari di poco sopra, non si può infatti fare a meno di notare che se è forse vero che il fatto di condurre a battaglia uomini spossati abbia potuto contribuire alla disfatta di un esercito, sembra però davvero eccessivo che proprio questo particolare fosse ritenuto da Vegezio la 'causa della rovina' anche di qualcos'altro, come città e province. Si tenga infine conto che haec è tràdito dalle due stesse famiglie di testimoni (Bf3) che riportano perdiderunt, mentre s, che ha didicerunt, tramanda hos, una lezione che non dà un· senso accettabile né con didicerunt né con perdiderunt. Il processo di corruzione del testo potrebbe pertanto essere il seguente: hoc ... didicerunt; hos ... didicerunt; (quest'ultima fase, testimoniata da Sf3, potrebbe haec ... ーセイ、ゥ・オョエ@ ・セウイ@ un mtervento congetturale volto a sanare qualcosa che appanva oscuro). III 15, 2 ... melius est plures acies facere quam militem exspargere. expargere s: expandere 6 spandere 13. Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 75 III 18, 15 ... nam in itineribus iam fatigatis, in fluminum transgressione diuisis, ッ」オーセエゥL@ in ゥオセウ@ ュッョエゥセN@ laborantibus, in campis in ー。ィセ、ゥ「オウ@ exspars1s atque secuns, m mansione dormientibus oportunum proelium semper infertur, cum aliis negotiis occupatus hostis prius interimatur quam praeparare se possit. exparsis e: sparsis Bfl III 26, 8 Melius est post aciem plura seruare praesidia quam latius militem exspargere. expargere e: spargere 5J3. Reeve ritiene che nei tre passi sopra riportati debba essere ristabilita la forma spargere, che era già stata accolta da Lang. I motivi addotti da Reeve contro ex(s)pargere sono i seguenti: la maggior parte delle attestazioni di ex(s)pargo riportate dal Th!L s.v. exspergo sarebbero dubbie; il fatto che il verbo ex(s)pargere sia attestato solo da E sarebbe da mettere in connessione con la caratteristica assai ricorrente in B (che insieme a M deriverebbe dal perduto e) di porre una i prima di se o st iniziali (cf. I 17, 2 istrenuissime, I 17, 3 iscutati, I 18, 1 istipendiosis, I 18, 4 istudiosae, ecc.) 37 • Tale caratteristica non è però rinvenibile in M e ciò viene spiegato da Reeve ipotizzando che il copista di quest'ultimo manoscritto - a differenza di quello di B abbia corretto la grafia errata di e38 • Esaminiamo ora la prima affermazione di Reeve circa le attestazioni di exspargo nel ThlL. Esse sono le seguenti: LvcR. V 371 (exspargz); Act. Andr. Matth. 18 p. 88, 23 (expargant Castiglioni, expurgant trad., oxoprctcroumv gr. p. 89, 3); GREG. TvR. Andr. 12 p. 833, 6 (exparsit: expersit, sparsit, 11. uu.); Lib. pontif. p. 85, 3 (exparsit: ixsparsit, sparsit 11. uu.); Vitae patr. lurens. 3, 5 p. 156, 2 (exspargente: et spargente 1. u.); GREG. M. in Ezech. I 11, 26 p. 917B (exparsum: expansum 1. u.). In verità, seppur a un esame superficiale, in tutti i casi in cui si rinvengono varianti expargo sembrerebbe essere sempre la lezione genuina: negli Act. Andr. Matth. expargant rende bene il greco oxopntcroumv; nelle Vitae patr. lurens. et spargente non pare altro che una banalizzazione di exspargente; lo stesso si può dire in Greg. M. per exP_arsum I expansum; in s;reg. Tur .. e nel L_ib .. pontif. occorrono varianti analoghe a quelle dei due passi vegez1am. Inoltre, expargo REEVE, Notes ... , cit., p. 203-205. . . . . . Reeve (Notes ... , cit., p. 204) aveva pure esammato 11 problema sotto 11 punto d1 カQセエ。@ delle clausole metriche (segnatamente per III 15, 2 e III 26, 8) ma - per sua stessa ammissione - non era giunto a risultati significativi. 37 38 76 Vincenzo Ortoleva ricorre, a quanto pare senza alcuna variante, in un poeta del IX secolo: Mrco De quadragesima (19) 17 (expargit ramos fraglantes magnum ob amorem) 39 • Il verbo expargo è dunque non dì rado attestato nel latino tardo e medievale. Prova ulteriore di tale uso è l'esistenza del corrispondente verbo espargere («spargere», «diffondere») nell'italiano antico. L'occorrenza per noi più significativa è quella leggibile nella Cronaca senese dall'anno 1202 al 1362, p. 49 (c. a. 1362): ... raunare la lor giente, la quale era per tutti quei pogi di Vicho e di Montecelles e stavano molti esparti40 • Lo stesso verbo si rinviene inoltre in un volgarizzamento di Giovanni Crisostomo (esparse le viscere della misericordia) e in TAsso Il mondo creato 6, 826 (mille antiche memorie a terra esparte); in un autore del XV-XVI secolo, MARIO EQUICOLA Di natura d'amore 353, esparse ha invece valore di sostantivo: «rime sparse» 41 • Quanto al fatto che la forma expargo sarebbe una variante grafica per spargo tipica di e, ciò non trova alcun riscontro probante. Come lo stesso Reeve ammette, la caratteristica di porre una i prima di se o st iniziali è propria di B ma non di M. Che tali varianti grafiche fossero presenti già in s e poi tutte (dico tutte) normalizzate in M è in linea teorica possibile, ma non è certo l'ipotesi più economica per spiegare i fatti. Forse, più semplicemente, tale caratteristica grafica deve essere confinata al copista di B. In ogni caso non mi pare che esista alcun nesso tra il posizionamento di una i davanti a se o st iniziali e un verbo composto da ex e spargo, seppur con un'anomalia nel vocalismo. Tanto più che - e questo Reeve tende a minimizzarlo - a III 15, 2 o ha expandere (e p spandere), lezione che non può che derivare da expargere proprio come avviene in GREG. M. in Ezech. I 11, 26 p. 917B. Forse che anche o, al pari di e, era affetto dalla caratteristica grafica di porre prefissi intensivi? Tutto quindi lascia pensa.re che le lezioni tràdite da s vadano accolte nei tre passi in questione. 39 Il testo in questione è edito in MGH, Poetae, III, p. 303, 17. Devo anche quest'indicazione alla cortesia di Johannes Staub del ML W. 40 Desumo questa informazione dalla banca dati dell'Opera del Vocabolario Italiano (consultabile su Internet). Il testo citato è edito in Cronache senesi, a cura di A. L1srn1 e F. lACOMEITI, Bologna 1939, pp. 41-158 41 Traggo queste ulteriori notizie dalle voci espargere, esparso ed esparto di BAITAGLIA, o.e., V, 1968. A proposito del volgarizzamento di Giovanni Crisostomo, Battaglia cita il passo da Tommaseo senza ulteriori precisazioni. Quanto all'etimologia, s.v. espargere, essa è ncondotta a «spargere, con il pref. e- intensivo»; le numerose attestazioni latine farebbero invece pensare a una derivazione diretta da ex(s)pargo. Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 77 III 21 Plerique rei militaris ignari pleniorem uictoriam credunt, si aduersarios aut locorum angustiis aut armatorum multitudine circumdederint ut aditum non inueniant abscedendi. 2 5ed clausis ex desperatione 」イ・セゥエ@ audacia, .et セオ@ spei セィゥャ@ _est, sumit ar1!1a formido. Libenter cupit dub1_0 セ」エ@ ウセ@ esse セッョエオイュN@ 3 Ideoque Scipionis common qm セュ・@ mam host1bus, qua fugerent, muniendam. laudata sententia est, q_m 、セクゥエ@ Nam cum abscedend1 ad1tu patefacto mentes omnium ad praebenda terga consenserint, inulti more pecudum trucidantur. 4 Nec insequentium ul!um periculum est, cum uicti quibus defendi potuerant arma conuertennt. Hoc genere, quanto maior fuerit, tanto facilius multitudo prosternitur. 5 Neque enim ibi requirendus est numerus, uhi animus semel territus non tam tela hostium cupit declinare quam uultum. 6 Ceterum clausi, licet exigui numero et infirmi uiribus, hoc ipso tamen sunt hostibus pares, quia desperantes sciunt aliud sibi licere non posse. Sed Vna salus uictis nul!am sperare salutem. sed una . . . salutem e: om. Bp. Reeve è del parere che la citazione virgiliana (Aen. II 354) che chiude il capitolo sia stata aggiunta da s e che il testo genuino ne fosse privo come in 8J342 • La sua convinzione è basata su due dati: il sed che introduce la citazione sarebbe «illogico», mentre sarebbe più naturale aspettarsi un nam, come si rinviene «in P e in molti altri manoscritti» 43 ; le citazioni da altri autori presenti nell'Epitoma vegeziana, come pure i semplici riferimenti, conterrebbero - a differenza del nostro caso - sempre l'indicazione della fonte44 • Esaminiamo tuttavia il passo in dettaglio. Qui Vegezio raccomanda di non circondare il nemico senza dargli una via di scampo: si possono infatti ricevere seri danni da chi, vedendosi ormai prossimo a morire, combatte per disperazione al massimo dell'audacia. Il punto di vista è dunque in questo caso quello della parte che prevale per numero e per la contingente situazione bellica, tanto è vero che il titolo del capitolo è Viam abscedendi hostibus dandam, ut deleantur facilius f ugientes. Inoltre, e questo è il dato più interessante, Vegezio non attribuisce ai soldati circondati e ridotti allo stremo alcuna capacità di elaborare una tattica che, pur disperata, consenta ad almeno una parte di loro di uscire fuori da una situazione tanto difficile. Essi non sono cioè dei kamikaze ante litteram che cercano la morte secondo una qualche strategia, ma delle fiere ferite e atterrite e per questo imprevedibili: ubi animus semel territus non tam tela hostium REEVE, Notes ... , cit., p. RPセN@ . . . . . Questi mss. sono - come s1 evmce da REEVE, The transmzsswn ... , c1t., p. 301 - quelli della cosiddetta «famiglia di R». , . . "' .. 44 Qui Reeve prende le mosse da un op1mone g1a espressa da Muller (o.e., p. 164 n. 1). 42 43 Vincenzo Ortoleva 78 cupit declinare quam uultum. Tale disperazione, cioè tale consapevolezza di andare incontro a morte sicura, - dice Vegezio - rende questi soldati pari a chi li attacca. Ma di ciò essi non si rendono conto. Se si attribuisce dunque il giusto valore all'argomentare dell'autore, si comprende perfettamente il motivo dell'inserimento del verso virgiliano a fine capitolo preceduto da sed: «Del resto, coloro che sono accerchiati, sebbene pochi e mal ridotti, proprio per questo sono tuttavia pari ai nemici, poiché avendo perduto ogni speranza sanno che non possono far altro [che scagliarsi in un attacco forsennato]. È questa p e r ò 1'unica salvezza per i vinti: non sperare in alcuna salvezza». Cioè: essi non lo sanno, ma quell'estrema azione disperata potrebbe forse salvarli. Nell'ultimo periodo dunque l'ottica di Vegezio muta assumendo per un attimo il punto di vista della parte soccombente45 • La citazione del verso dell'Eneide è pertanto perfettamente plausibile come pure il sed che la introduce. Del resto il fatto - ritenuto probante da Reeve - che tutte le citazioni in Vegezio sarebbero introdotte dalla menzione dell'autore citato46 non corrisponde a verità. A mil. IV 41, 3-4 (in un passo in cui si tratta dei segni atmosferici che i naviganti devono conoscere) Vegezio parafrasa riassumendo VERG. georg. I 424-456 senza citare la fonte; si noti che in tale occasione dal suo modello Vegezio riprende quasi alla lettera espressioni del tipo si quarto ortu neque obtunsis cornibus [scii. luna] (VERG. georg. I 432433: sin ortu quarto ... I pura neque obtunsis per caelum cornibus ibit) o sol quoque exoriens uel diem condens (VERG. georg. I 438: sol quoque et exoriens et cum se condet). Ma ciò che forse corrisponde più da vicino alla ripresa virgiliana del nostro passo si rinviene a dig. I 6, 1, dove VERG. georg. III 502 ( .. .pellis et ad tactum tractanti dura resistit) è rifuso nel testo con un'unica variante senza alcuna indicazione per il lettore47: ••• cutis et ad tactum tractanti dura resistit. In sostanza Vegezio non avverte alcun bisogno di citare il nome di In V.irgilio -: com'è noto - la frase viene pronunciata da Enea come ウオァセ・ャッ@ del breve discorso rivolto a1 compagni, non appena ci s1 era resi conto che la difesa d1 Troia, ormai invasa dai Greci, era impossibile. E significativo notare come le parole immediatamente precedenti (v. 353) siano moriamur et in media arma ruamus. L'ottica di Enea non era dunque m.olto dissimile 、セ@ quella dei soldati circondati di V egezio. Tuttavia, proprio come vuol fare mtendere Vegez10 con quel sed, la tattica suicida messa in atto dall'eroe troiano giunge. a un risultato insperato: O socii, quae prima ... fortuna salutis I monstrat iter quaque ostendzt se dextra, sequamur (vv. 387-388). 46 lZEEVE, Notes ... , cit., p. 205: «Surely he would have attributed this quotation». 47 E merito di C. Braidotti aver individuato questa reminiscenza virgiliana schedandola in Interpretationes Vergilianae minores, conlegerunt I. BARABINO, A. V. NAZZARO, A. Sc1voLETTo, II 1, Genova 1994, p. 233. 45 • Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 79 Virgilio ogni qual volta ne riutilizza espressioni o versi mteri, così come non sente la necessità di riportare i nomi dei trattatisti a lui precedenti da cui prelevava di peso lunghi brani per riutilizzarli nelle sue opere. Da questo punto di vista Virgilio per Vegezio non differisce affatto dalla manualistica in prosa. IV 9 Neruorum quoque copiam summo studio expedit colligi, quia onagri uel ballistae ceteraque tormenta nisi funibus neruinis intenta nihil prosunt. 2 Equorum tamen saetae de caudis ac iubis ad ballistas utiles asseruntur. lndubitatum uero est crines feminarum in ciusmodi tormentis non minorcm haberc uirtutem Romanac neccssitatis experimento [... ] 5 Cornua quoque uel cruda coria proficit colligi ad catafractas texendas aliaque machinamcnta siue munimina. texendas B: tegendas E texenda p. Il capitolo ha per titolo Quid faciendum sit, si neruorum defuerit copia, ma l'ultimo periodo non fa riferimento alle corde per le balliste e le catapulte ma a corni e a pezze di cuoio. Il motivo di ciò va ricercato nel fatto che tali oggetti vanno attentamente raccolti qua e là, quando bisogna difendere una città assediata, alla stessa stregua di crini di cavallo e capelli di donna, che possono egregiamente sostituire - dice Vegezio - i nervi di bue. Si tratta dunque anche in questo caso di materiali di fortuna. Proprio nell'ultimo periodo la tradizione offre sostanzialmente due varianti: texendas (già accolta da Lang e da Onnerfors) e tegendas. Anche Reeve difende (pur con qualche dubbio) texendas 48 sulla base di queste considerazioni: le catafractae (cioè le corazze) erano sufficientemente robuste da non aver bisogno di essere ricoperte con del cuoio; esse stesse erano invece fatte di cuoio, come si ricava da TAC. hist. I 79, 3; la lezione tegendas di s è sorta dalla presenza nello stesso periodo dell' accenno ai machinamenta (macchine belliche) e ai munimina (accorgimenti difensivi in generale), per i quali Vegezio raccomanda più volte la necessità di un rivestimento in cuoio non conciato (corium crudum) affinché fosse più difficile per i nemici appiccarvi fuoco; texendas andrebbe infine riferito unicamente a catafractas e non ad aliaque machinamenta siue munimina, sostantivi che sarebbero collegati solo alla preposizione ad. Il senso per Reeve sarebbe dunque 48 REEVE, Notes .. ., cit., p. 211: «Probably one should accept texendas». Vincenzo Ortoleva 80 il seguente: «for making the links of catafractae and for other machines and defensive structures» 49 • Questa interpretazione del testo offre alcuni motivi di perplessità. Partiamo dal passo di Tacito invocato da Reeve: Id principibus et nobilissimo cuique tegimen, ferreis lamminis aut praeduro cario consertum, ut aduersus ictus impenetrabile ita impetu hostium prouolutis inhabile ad resurgendum. Tacito sta qui descrivendo l'armatura dei cavalieri Rossolani, una popolazione della Sarmazia. Tale armatura dice Tacito - era di due specie: un tipo era costituito da una corazza a scaglie di ferro (ferreis lamminis ); un altro da una non meglio definita struttura in cuoio durissimo (praeduro cario). Anche se l'autore non ci fornisce una descrizione precisa, tali pesanti armature dovevano differire parecchio dalla corazza in dotazione ai soldati romani, di cui subito dopo viene messa in evidenza la leggerezza: Romanus miles facilis lorica. Ai tempi di Vegezio la corazza pesante a scaglie metalliche (detta catafracta) era tuttavia in uso anche alla cavalleria romana50. Non si hanno però ulteriori notizie circa il secondo tipo di armatura dei Rossolani, quello costituito da cuoio durissimo; di certo tale corazza non era impiegata dall'esercito romano ai tempi di Vegezio. Reeve commette dunque un errore di valutazione citando Tacito per difendere la lezione texendas. Esiste invece un passo di un altro autore latino che sembrerebbe a prima vista avere maggiore attinenza con quanto stiamo discutendo. Si tratta di VARRO ling. V 116, dove si spiega l'etimologia di lorica: lorica, quod e loris de cario crudo pectoralia faciebant. Questo riferimento è stato però stranamente trascurato da Reeve. Poiché Vegezio sembra impiegare indistintamente i termini lorica e catafracta sia per indicare le corazze leggere di cuoio che quelle pesanti a scaglie della cavalleria51 , la notizia fornita da Varrone parrebbe in qualche modo appoggiare la lezione texendas 、ゥセ@ (texenda p). È tuttavia realistico che si potesse raccomandare di raccogliere pezze di cuoio grezzo, cioè non conciato, per farne corazze? Se esaminiamo il passo di Varrone notiamo che egli non descrive un uso a lui contemporaneo ma una pratica risalente a un'epoca 'primitiva'. Il suo interesse precipuo è infatti avva49 REEVE, 50 セヲN@ Notes ... , cit., p. 205. Ctt. DAREM.BERG - E. SAGLio, Dictionnaire des antiquités grecques et romaines, III 2, Pans 19.18, s.v. lorica, pp. 1315-1316 e I 2, Paris 1918, s.v. cataphracti, cataphractarii, pp. 966-967. S1 veda anche R. M. RATIENBURY, An ancient armoured force, «CR», 56, 1942, pp. 113-116. 51 Cf. ad es. II 6, 3 (equites loricatos); II 14, 6 (loricatus [scii. decuria] et armis circumdatus admiratù:ine equ_um possit ascendere ... ) per lorica nel senso di catafracta omnibus cum ウオュセ@ e I. 20,. 3 (セ。エヲイ」ゥウ@ et galeis mumebatur pedestris exercitus); I 20, 6 (quid enim pedes sagittarzus sme catafracta) per catafracta nel senso di lorica. Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 81 lorare la derivazione della parola lorica da forum, non delineare la storia dell'evoluzione delle armature. Vista sotto questa luce la notizia di Varrone sembra più un'ipotesi che un dato reale52 : non risulta infatti che la pelle grezza di animali fosse impiegata per fabbricare corazze, essendo quelle in uso all'esercito romano in cuoio (ma naturalmente conciato), in ferro, a maglia di ferro e, più tardi, come si è visto sopra, a scaglie di ferro 53 • Qualcuno potrebbe tuttavia obiettare che qui Vegezio sta descrivendo dei rimedi di fortuna. Torniamo però ai cruda caria. Come aveva notato lo stesso Reeve, Vegezio accenna altrove all'uso del cuoio non conciato come protezione di machinamenta e munimina contro il fuoco a mil. IV 15, 4: extrinsecus autem, ne inmisso concremetur incendio, crudis ac recentibus coriis uel centonibus operitur (a _proposito delle uineae o causiae ); e a IV 17, 1: ne tantum opus hostili concremetur incendio, diligentissime ex crudis coriis uel centonibus communita (a proposito delle turres). Il termine corium, senza alcun aggettivo, si rinviene inoltre in altri contesti analoghi: IV 4, 1 (cauetur praeterea, ne portae subiectis ignibus exurantur. Propter quod sunt coriis ac ferro tegendae ); IV 15, 5 (plutei dicuntur qui ad similitudinem absidis contexuntur e uimine et ciliciis uel coriis proteguntur); IV 18, 1 (machinamentum illud ingens [scil. turris] direptis coriis de lignis exurit); IV 18, 2 (ut perruptis coriis uel centonibus intrinsecus fiamma condatur). Si noti come in tutte le occorrenze ora riportate si rinvenga la forma plurale così come nel nostro passo (Varrone usa invece il singolare)54. Deve essere inoltre sottolineato come a IV 4, 1 il verbo utilizzato sia tega e a IV 15, 5 protego. Abbiamo dunque in mano due elementi che combaciano perfettamente, cruda (e sottolineo cruda) caria e tegendas, e altri due che forse potrebbero essere messi assieme, ma non in maniera altrettanto 5l L'etimologia varroniana sembra avere un'eco in SERV. Aen. XI 679: nam rroprie lorica in bel{o uti consueuerant. セオエ。カゥ@ ne p:isso corriest tegimen de Zo;o factum, quo ュ。ゥセイ・ウ@ spondente Virgilio non parla propnamente d1 una corazza ma d1 una pelle d1 toro che ncopre le spalle 、・セ@ ァオ・セイゥッ@ Ornito: cui pellis latos umeros e;ep.Uf- iuuenco I P,ur,natori ッーセイゥ@ (vv. 679-680). Sigmf1cat1vamente poco sopra (vv. 677-678) V1rg1ho aveva defimto le armi d1 Ornito ignota. 53 Cf. DAREMBERG - SAGLIO, o.e., III 2, s.v. lorica, pp. 1314-1316. 54 Il dato che il cuoio grezzo fosse usato P.er proteggere dal セッ」@ iセ@ macchine belliche si rinviene anche in VITR. X 13, 5 (tegebat [SCII. turres] autem conzs crudis, ut ab omm plaga essent tutae); Io. X 13, 7 (tegebatur autem is [scii. aries] coriis crudis quemadmodum turris); in 。」・セッ@ ュ。」・イエセウL@ circa Io. X 14, 3 (percrudis cori_is auplicibus consutis, fartis alr,a aut ー。ャ・ゥセ@ tegatur machina tota [scii. エ・セオ、ッ}I[@ Io. X 15, 6-7 Hセョウオー・イ@ conzs crudzs totus anes e:at qu:idruplzces inuolutus. Ex quibus autem fumbus pe_ndebat, eoru1!1 caP,zta fuerunt ex (erro {。」エセ@ catenae, et ipsae coriis crudis erant muolutae). S1 noti come anche m V1truv10 sia sempre impiegato il plurale. 82 Vincenzo Ortoleva impeccabile: cruda caria e texendas. Questa seconda soluzione implica inoltre - come aveva _già notato Reeve - la particolarità di riferire texendas solo a ad catajractas e non ad aliaque machinamenta siue munimina; nel primo caso invece l'espressione aliaque machinamenta siue munimina si accorda ottimamente con tegendas, molto peggio con catafractas. Se volgiamo però la nostra attenzione proprio su catafractas notiamo che questo termine pone difficoltà non solo con tegendas ma anche con texendas. Perché infatti Vegezio avrebbe sentito la necessità di usare l'aggettivo alia in riferimento a machinamenta e munimina? In effetti le corazze sono certamente dei munimina55 , ma di sicuro esse non possono essere ritenute in alcun modo dei machinamenta. È questo il punto che offre maggiori possibilità di risolvere il problema ed è strano che Reeve non lo abbia tenuto in nessun conto. La soluzione mi sembra dunque questa: tegendas di e è la lezione genuina; catafractas, riportato a quanto pare concordemente da tutta la tradizione, è invece una corruzione di cataractas. Le cataractae erano un tipo di porta che si calava dall'alto in maniera simile a una saracinesca. Ripristinando la lezione cataractas si comprende perfettamente perché Vegezio abbia anteposto l'aggettivo alia a machinamenta siue munimina: essendo le cataratte dotate di un particolare meccanismo che permetteva di alzarle o abbassarle esse potevano a buon diritto essere considerate dei machinamenta56 ; essendo delle strutture difensive erano senz'altro dei munimina 57 • Naturalmente, dopo la corruzione di cataractas in catafractas qualcuno avrà pensato di correggere il non più plausibile tegendas in texendas. Il termine cataracta, senza dubbio una lectio difficilior rispetto a catafracta, si rinviene un'altra volta nell'Epitoma (IV 4, 1) in un contesto che getta ulteriore luce sul nostro passo. Guarda caso proprio a IV 4, 1 il raro cataracta è banalizzato nel più comune catajracta in alcuni testimoni. Utesto di IV 4, 1 è il seguente (questa volta l' apparato è quello di Onnerfors ): De cataractis et portis, ne noceantur ab ignibus. Cauetur praeterea, ne portae subiectis ignibus exurantur. Propter quod 55 Per munimen (o munimentum) riferito alle corazze si veda VEG. mii. I 20, 9 (ueteribus munimentis armorum) e III 23, 3 (catafracti equites propter munimina, quae gerunt). 56 Anche le turres sono del resto definite da Vegezio machinamenta (mii. IV 17, 1: turres autem dicuntur machinamenta). 57 VEG .. mil.. IV 18, 5: quae [scii. falarica] ballistae impetu destinata perrupto munimine ardt;ns figztur lzgno turritamque machinam frequenter incendit (dove però il munimen è il cumo stesso). Cf. anche Ov. am. I 6, 29-30: urbibus obsessis clausae munimina portae I prosunt. Sull'uso del cuoio per proteggere dal fuoco strutture difensive fisse cf. CAES. Gal!. 22, 4: totum autem murum ex omni parte turribus contabulauerant atque has coriis zntexerant. yn Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 83 sunt coriis ac ferro tegendae; sed amplius prodest, quod inuenit antiquitas, ut ante portam addatur propugnaculum, in cuius ingressu ponitur cataracta, quae anulis ferreis ac funibus pendet, ut, si hostes intrauerint, demissa eadem extinguantur inclusi. catafractis AB 1CFLMPQS corr. Be caractis H Il cataracte T catafracta (-phr- F) FLQ. Si nota in effetti una certa discrepanza fra il titolo del cap. IV 4 e il suo contenuto, perché nel primo sembrerebbero annunciarsi consigli su come difendere le cataratte e le porte dal fuoco, mentre nel testo gli accorgimenti contro le fiamme sono riferiti solo alle porte58; delle cataratte si parla invece in altri termini alludendo all'uso fattone in passato (quod inuenit antiquitas) per chiudere gli assedianti in una trappola mortale 59• Fatto sta in ogni caso che anche le cataratte, al pari delle porte, erano costruite con assi di legno e pertanto potevano essere incendiate dagli assedianti. Come contromisura era dunque opportuno rivestirle di materiale ignifugo come pezze di cuoio o ferro 60 • Passiamo ora all'ultimo punto della nostra discussione: cosa hanno a che fare i cornua con la protezione contro il fuoco di cataratte, macchine belliche e strutture difensive? Niente, assai probabilmente61 • Si consideri pure che con la congiunzione uel (cornua quoque uel cruda caria) non si possono porre in alternativa due materiali tanto diversi come i corni e il cuoio non conciato. In Vegezio si rinvengono altre cinque occorrenze significative del nesso quoque uel: mil. II 23, 5 (ad palum quoque uel sudibus); mil. II 23, 10 (missibilia quoque uel plumbatas); dig. II 58, 2 (articuli quoque uel suffragines); dig. II 79, 11 (uermes quoque uel lumbria); dig. II 88, 4 (ex niuibus quoque uel pruinis); dig. II 89, 3 (radices quoque uel /olia cucumeris siluaticz). In tutti i casi vengono considerate alternative cose assai affini fra loro: il palus o i sudes, i missibilia o le.plumbatae (armi セ。@ lanci.o), i nodelli o le pieghe del pastorale (parti della zampa dei cavalli), ecc. Nel nostro passo ci si aspetterebbe dunque qualcosa di simile a ciliaa A meno che non si voglia riferire la frase ne noceantur ab ignibus del titolo solo a partis. Cf. PLB. X 33, 8; D. H. VIII 67, 7; D. C. 247, 3-9; Liv. XXVII 28, 10-11. 6°Che le cataratte fossero di materiale ligneo è ricavabile soprattutto da AEN. T ACT. XXXIX 3: i:àv òÈ irì-xiovEC twv iroÀ.Eµiwv i:irEtcrcf>&pwvmt Ka'i f3ouÀ.J.1 aùtoòc; Km&xE1v, xpセ@ 58 59 セloエᄉ」ゥイPュ@ 0 avw0Ev àirò toU µEO"OJtUÀ.OU JtUÀT\V l;ut.(t)V Wc; iraxu.tU't(J)V KU'i cri:m8rtfX'.J<J0at _aùtfiv. Dallo stesso passo si evince che esse potessero essere nnforzate con lamme d1 ferro (crm18ripcòcr0m) al pari delle porte. 61 Cf. anche MiiLLER, o.e., p. 305: «Der genaue Zweck. von .Horn (sofern es ィゥセイ@ a!s Materiai verstanden wird, nicht als cmzelner Gcgenstand) 1st !111f ebenso オョセャ。イ@ w1e d1e Verarbeitungsfahigkeit und -methode dieses Matenals, aus dem ia Bogen gcfert1gt wcrden». Vincenzo Ortoleva 84 quoque uel cruda caria o a centones quoque uel cruda coria62 • Non sembra tuttavia verosimile che lezioni come cilicia o centones si siano corrotte in cornua. L'unica soluzione percorribile mi sembra pertanto la seguente: la lezione genuina era cornea, un aggettivo collegato a cruda tramite uel. Il termine corneus è attestato nel senso traslato di «duro», «resistente». L'occorrenza per noi più significativa è quella di PuN. nat. XXXI 102: cornea uidemus corpora piscatorum 63 • Il testo di mii. IV 9, 5 deve pertanto essere così restituito: Cornea quoque uel ad cataractas tegendas aliaque machinamenta cruda caria proficit 」ッャゥァセ@ siue munimina. Cioè: «E utile raccogliere anche pezze di cuoio resistente o non conciato per rivestire le cataratte e le altre macchine o opere di difesa». IV 16, 1 Musculos dicunt minores machinas, quibus protecti bellatores su<perfoe>datum auferunt ciuitatis; fossatum etiam adportatis lapidibus, lignis ac terra non solum conplent sed etiam solidant, ut turres ambulatoriae sine inpedimento iungantur ad muros. superfoedatum auferunt Onnerfors: sudatum auferunt ep si lutum offuerit a Il fossatum etiam adportatis el3: om. a. Il contesto è la descrizione delle tecniche di assedio. Onnerfors aveva congetturato superfoedatum sulla base soprattutto di VITR. X 16, 7 (iussit [scil. Diognetus] omnes publice et priuatim quod quisque habuisset aquae, stercoris, luti per eam f enestram per canales progredientes effundere ante murum) e di CoRIPP. Iohann. VII 347-350 (ipsis impressat harenis I belliger ora, superfoedant quas saepe mouendo (.quadrupedes, mistasque fimo nec respuit undas I turba siti feruens). Onnerfors riteneva cioè che gli assediati fossero soliti riempire il fossato della città con fango ed escrementi per rendere più difficile alle macchine belliche avvicinarsi alle mura. Di contro, sarebbe stato compito degli assedianti, protetti dai musculi, asportare tale fanghiglia dal fossato. Il senso dell'espressione sarebbe dunque dovuto essere: «Sono detti musculi quelle macchine più piccole protetti dalle quali i soldati portano via i liquami [dal fossato J della città». In effetti la セオャ・N@ qualità i{;nifughe di cilicia e centones si veda sopra a proposito delle attestazioni d1 conurn m Vegez10. 63 Cf. anche PuN. nat. VII 80; PERs. 1, 47 (ripreso in SmoN. epist. VIII 11, 20 e in CYPR. GALL. ・クッセ@ .. 297); TERT. ieiun. 12; CAEL. AvR. acut. II 37, 209; SmoN. epist. I 12, 3; ibid. III 13, 9; zbzd. IV 1, 4. • 62 Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 85 congettura di Onnerfors appare già a prima vista assai poco verosimile e bene fa Reeve a respingerla64 • Tuttavia la difesa che Reeve fa di sudatum («palizzata», da sudes), la lezione genuina tràdita da ウセL@ è troppo debole e stranamente basata su un'incompleta disamina delle attestazioni. Reeve afferma infatti che il sostantivo sudatum in latino è attestato solo in Gloss.c III 428, 9: KavaKt:<; [scil. KaµaKt:<;] Kap!1Km {ウ」ゥセN@ ク。セkエ}@ a:rz!culis sudatum, 。ァセゥオ_F・ョ、ッ@ セョッャイ・@ che nell autore b1zantmo Urb1c10 (p. 370, 25 dell ed1z10ne d1 M1haescu dello Strategicon di Maurizio 65) si rinviene l'espressione <j>ocrcrcirrov セ@ crouòcirrov kpyacriaç;. Sulla base di quest'ultimo dato Reeve conclude che «the occurrence of crouòcirrov in Urbicius may only show that sudatum was already in the text of the Epitoma» 66 • Cioè, se interpreto correttamente le parole di Reeve, l'autore bizantino avrebbe desunto il termine crouòciwv direttamente da questo passo dell'Epitoma, che potrebbe però essere stato già corrotto. Tale asserzione denota tuttavia una sorprendente scarsa familiarità con i più usuali strumenti per lo studio del greco tardo. Non è infatti per nulla vero che crouòcirov sia unicamente attestato in Urbicio p. 370, 25 Mihaescu. Sarebbe bastato a Reeve consultare i comunissimi lessici di Lampe67 e di Sophocles68 per apprendere che il termine occorre anche in Chron. Pasch. p. 396 (PG 92, 1016a): rù vuK-rÌ EKaucrcv -rò crouòciwv aùwu KaÌ wÙ<; n:upyoKacrrÉÀ.À.ouç. Esistono inoltre attestazioni protobizantine anche di crouòa, una traslitterazione del latino sudes: Chron. Pasch. p. 396 (PG 92, 1016a), THPHN. chron. p. 416 (PG 108, 988a); CoNST. PoRPH. adm. 180; THPHN. coNT. 618. Sia Urbicio p. 370, 25 Mihaescu che l'autore del Chronicon Paschale utilizzavano dunque il sostantivo crouùcirov non perché conoscevano VEG. mil. IV 16, 1 ma perché nel gergo militare tardoimperiale erano impiegate sia la forma latina sudatum che la sua traslitterazione greca. Il passo di Vegezio sarà pertanto così tradotto: «Sono detti musculi quelle macchine più piccole protetti dalle quali i soldati sradicano la palizzata della città». REEVE, Notes ... , cit., pp. 211-212. . . . . MAVRICIVS, o.e. Il passo citato da Reeve fa parte d1 una porzione d1 testo, 、・ョッュ。エセ@ Oùpp1Klou bn't'Tjowµa, tràdita solo dai codd .. NPV..Essa ッセ」オー。@ le pp. 368-372 dell'ed. d1 Mihaescu; non si rinviene invece in quella d1 Denms-Gam1llscheg (o.e.). 66 REEVE, Notes ... , cit., p. 212. 67 G. W. H. LAMPE, A patristic Greek lexicon, Oxford 1961-68. . . 6s E. A. SoPHOCLES, Greek lexicon of the Romdn and Byzantzne penods, Boston Cambridge 1870. 64 65 Vincenzo Ortoleva 86 IV 41, 6-7 Aliquanta ab auibus, aliquanta significantur a piscibus, quae Vergi1ius in Georgicis diuino paene comprehendit ingenio et Varro in libris naualibus diligenter excoluit. 7 Haec gubematores sese scire profitentur, sed eatenus, quatenus eos peritiae usus instituit, non altior doctrina firmauit. sese ed. Paris. 1532: si se e se f3c1> Il sed eatenus f3cl>: sede actenus e Il peritiae QL: imperitiae ef3cl> Il firmauit QLA<: firmabit e formauit f3cl>. Vegezio sottolinea qui quanto sia importante per i nocchieri la conoscenza dei fenomeni atmosferici. Reeve ha forse ragiç?ne a difendere se di (3cjl contro la congettura sese accolta nel testo da Onnerfors69 • La sua discussione su imperitiae I peritiae è però viziata da un errore di valutazione dell'usus seri.bendi vegeziano. Vegezio in sostanza dice che i nocchieri affermano di conoscere i segni necessari alla previsione del tempo, ma nella misura in cui essi hanno imparato ciò per esperienza, senza lo studio degli autori che hanno scritto sull'argomento (come per esempio Virgilio e Varrone citati subito prima). Stando così le cose, Reeve difende imperitiae di eJ3cj>, giudicando a ragione la lezione peritiae di QL una congettura banalizzante risalente a Frecolfo di Lisieux. La giustificazione fornita da Reeve per imperitiae usus è però assai improbabile. Egli infatti ritiene che tale iunaura non abbia un significato negativo ma che essa indichi la conoscenza conseguita mediante l' esperienza in contrapposizione a quella acquisita dai libri. A sostegno della sua tesi Reeve cita mii. IV 40, 6: non solum peritiae ratio sed etiam uulgi usus intellegit, dove peritiae ratio corrisponderebbe a altior doarina e uulgi usus «sicuramente» a imperitiae usus70 • Il fatto è tuttavia che un simile uso del sostantivo imperitia (la cui accezione è sempre negativa) non è mai attestato né in Vegezio né altrove. La «pratica dell'imperizia» (imperitiae usus) non può insegnare nulla a nessuno, né tanto meno ai gubernatores, dei quali a mil. IV 43, 2 Vegezio afferma essere dote fondamentale proprio la peritia (in nauarchis diligentia, in gubernatorib us peritia, in remigibus uirtus eligitur). In realtà nella tradizione del passo in questione si è verificato un fatto molto semplice: l'originario in peritiam è stato banalizzato nella lezione imperitiae. Restituendo in peritiam il senso è molto chiaro: « •.. ma fino a dove l'esperienza li ha ammaestrati alla perizia, non una più alta dottrina li ha rafforzati [o istruiti] in essa». Quando il verbo instituo assume il significato di «educare» o «ammaestrare» qualcuno, la cosa insegnata può essere espressa Notes ... , cit., pp. 214-215. Notes .. ., cit., p. 214: «perìtiae ratio corresponds to altior doctrìna here and uulgi usus surely to imperitiae usus». 69 70 REEVE, REEVE, Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 87 con de e l'ablativo (C1c. de orat. III 148), con l'ablativo semplice (C1c. Brut. 37), con ad e l'accusativo (CoLVM. VI 2, 8; VEG. mii. prooem.; I 25, 3; III 4, 10), con in e l'ablativo (Qv1NT. inst. I 11, 1; VVLG. Phil. 4, 12). Il ThlL non riporta esempi di costruzioni con in e l'accusativo 71 ; in questo caso però in peritiam sembra più probabile di in peritia per l'attrazione del verbo successivo. Sia firmo chefarmo sono infatti attestati con in e l'accusativo ma non con in e l'ablativo 72, e mi pare d'altra difficile ー・ョセ。イ@ che l'espressione non altior セッ」エゥョ。@ firmauit parte ーゥセ@ (formauzt) s1 debba mtendere assolutamente senza nfenmento a in peritia(m )73• Passiamo ora al problema della scelta tra firmauit e formauit. Reeve aveva individuato due passi dell'Epitoma che potevano gettare luce su quello in questione: II 9, 7 (legionem sibi creditam assiduis open.bus ad omnem deuotionem, ad omnem f ormabat industriam) e III 1O, 18 (apud ueteres ars militaris in obliuionem saepius uenit, sed prius a libris repetita est, postea ducum auctoritate firmata). Sulla base di questi confronti Reeve propendeva per formauit, perché a II 9, 7 jormo ha un nome di persona come complemento oggetto proprio come nel nostro passo, mentre ciò non avviene a III 1O, 18 con firmo. Ciò appare un modo davvero strano di procedere, perché se Reeve considera «a persona! object» 74 legionem di II 9, 7 non si capisce perché egli non possa ad esempio fare altrettanto con aciem di III 18, 5, dove il verbo reggente è firmo: secundus dux in media acie ponitur peditum, qui eam sustentet et firmet. In realtà non è certo questa la discriminante per la scelta tra firmauit e f ormauit. I verbi firmo e f armo non sono sinonimi, mentre sostanzialmente lo sono forma e instituo. Se pertanto si accetta formauit, l'espressione significherà che V egezio sottolinea il fatto che i timonieri fondano la loro conoscenza dei fenomeni atmosferici sull'esperienza e non sullo studio di opere specifiche. Lo studio dei trattati sarebbe dunque non solo alternativo alla pratica quotidiana ma pure preferibile a essa. Ciò tuttavia sembra difficile da accettare in un autore che ha sempre attribuito grande importanza all' esperienza75 e che a mii. IV 46, 9 afferma addirittura, A meno che così non si voglia intendere il passo di Quintiliano (inst. I 11, 1) sopra citato: puerum quem in hoc instituimus. 72 Per firmo cf. ThlL s.v., col. 811, 15-17; per formo cf. Th!L s.v., col. 1105, 22-31. 73 Inoltre, da un punto di vista paleografico, la corruttela imp,eritiae ha qualche leggera pr<?babilità ゥセ@ più di d_er!vare da in peritian:i che da in perjtia. E noto infatti 」ッセ・@ セ・ャ。@ scnttura onciale la M d1 fme parola fosse solitamente abbreviata con セ@ o con .;.; quest ultimo segno - in particolare - potrebbe essere stato confuso con una E. 74 REEVE, Notes ... , cit., p. 215. 7s Cf., per limitarci alla sola Epitoma rei militaris, III 5, 2 (antiquus omnium gentium usus inuenit); IV 26, 4 (illud quoque usus inuenit); IV 30, 5 (quae ad oppugnandas uel defendendas 71 Vincenzo Ortoleva 88 a proposito delle lusoriae (navi addette al pattugliamento fluviale), che il frequentior usus raggiunge risultati migliori della uetus doctrina: de lusoriis, quae in Danubio agrarias cottidianis tutantur excubiis, reticendum puto, quia artis amplius in his frequentior usus inuenit quam uetus doctrina monstrauerat. Se invece si accoglie firmauit l'appunto di Vegezio va confinato al fatto che ciò che i timonieri hanno imparato con l'esperienza non è poi stato da loro approfondito con persone che prostudi specifici (cosa del resto più che scontata ーセイ@ babilmente non sapevano né leggere né scrivere). E questo un concetto di certo più accettabile, che si rinviene pure a mii. III 1O, 18, il luogo prima riportato ([scii. ars militaris] prius a libris repetita est, postea ducum auctoritate firmata). Unica differenza è che nei due passi le fasi dell'apprendimento sono invertite: prima l'insegnamento teorico e poi quello pratico a III 1O, 18; prima la pratica quotidiana e poi l'auspicato studio sui libri a IV 41, 7. IV 46, 5 Falx autem dicitur acutissimum ferrum curuatum ad similitudinem falcis, quod contis longioribus inditum chalatorios - sunt funes, quibus antemna suspenditur - repente praecidit conlapsisque uelis liburnam pigriorem et inutilem reddit. 」⦅セ。ャエッイゥウ@ G. Pellisserius ap. Turnebum, Adu. XXIV 25, sunt Onnerfors: collatorio sub E collatorios J3 collocatorios 41. Ci troviamo nell'ultimo capitolo dell'opera, dove Vegezio descrive le macchine belliche necessarie nelle battaglie navali. r・カセN@ appoggia la congettura chalatorios76 , ma respinge chalatorios sunt di Onnerfors, sulla base del fatto che un'incidentale di questo tipo, senza alcun collegamento con la proposizione principale, non si rinviene altrove in Vegezio. Secondo Reeve il passo dovrebbe pertanto leggersi nel modo seguente: chalatorios f un es, quibus antemna suspenditur, repente praecidit. In realtà Reeve fa bene a respingere la congettura di Onnerfors ma sbaglia ad accettare chalatorios di Pellisserius, che è un semplice intervento banalizzante. È invece collatorios la lezione genuina. Il termine collatorius non è registrato nel ThlL né in altri lessici latini. Esistono tuttavia vari indizi che devono far sospettare l'esistenza di urbes auctores bellicarum artium prodiderunt uel quae recentium necessitatum usus inuenit); IV 35, 3 (quod ars ipsa et omnium architectorum cottidianus usus edocuit). 76 REEVE, Notes ... , cit., p. 217: «'lowering', which must be right». Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 89 questo vocabolo nel gergo marinaresco. Partiamo dalle attestazioni mediolatine. Il MLW s.v. collo 1 registra due significati: «1 torquere - foltem: Vita Erasmi 51 hic collatus erit, uitam hic cum pace subibit [ ... ] 2 naut. i. q. prouehi - auslaufen: SALIMB. chron. p. 391,7 dixit coruus: cola, cola! mitte te foras!». Nel lessico di Du Cange s.v. collare 2 si rinviene: «E portu soluere, proficisci. Statuta Massi!. lib. 4, cap. 18. § 2: Quaelibet nauis quae onerabit peregrinos in Massilia, uel domini earum satisfaciant marinariis de suo loquerio in hac terra antequam col/et de insulis Massiliae. Vela dare, uox Italica. Pact. inter Salad. et Pisan. ann. 1174. apud Lam. in Delic. erudit. inter not. ad Hist. Sicul. Bonincont. part. 1 pag. 197: Quando ueniunt in tempore collandi, non debent retinere nec uelas, nec timones, etc.». Il verbo collare occorre pure nell'italiano antico in due accezioni principali: «torturare» e «manovrare le vele prima di salpare»; quest'ultimo significato è anche quello del termine provenzale colar77 • Collegato a collare è nell'italiano antico il sostantivo colla, il cui significato è quello di «corda», usata sia per torturare che per issare le vele78 • I lessici etimologici non sanno dare una spiegazione univoca di questi esiti romanzi. In Battisti-Alessio, ad esempio, si ipotizza che il latino medievale collare sia un prestito popolare dal greco KoÀciçro («punire», «castigare») e che la voce sia «passata dal linguaggio dei carnefici a quello dei galeotti» 79 • Torniamo ora al passo di Vegezio. Secondo quanto è tràdito da J3 (e a ben vedere anche da s) vengono denominate collatorii quelle funi a cui è sospesa l'antenna (o pennone); l'analogia con il significato «di issare le vele per salpare» che assume il verbo collare nel latino medievale, in italiano e in provenzale è fortissima e non può non essere tenuta in considerazione. Collatorius (scii. funis) sembra dunque un derivato di confero atto a designare appunto la «fune che sostiene l'antenna (insieme con altre)» 80 • Strettamente imparentati con collatorius sarebbero il verbo mediolatino collare (con i suoi esiti romanzi) e il sostantivo italiano colla (nel senso naturalmente di «fune»). È poi verosimile che sempre all'interno del gergo marinaresco si sia sviluppato il significato secondario di «torturare», «castigare», nell'àmbito di pu77 Cf. MEYER-LUBKE, o.e., nr. 2041, che oltre all'italiano antico e al provenzale registra anche il siciliano kuddari ( «iiberschreiten», «iibersteigen» ), il calabrese koddare («aus Gesichtskreis verschwinden»). Si veda anche BATIAGLIA, o.e., III, 1964 s.v. collare 2. 78 Cf. BATIAGLIA, o.e., III, 1964, s.v. colla 2. 79 C. BArnSTI - G. ALESSIO, Dizionario etimologico italiano, II, Firenze 1951, s.v. collare 3. MEYER-LUBKE, o.e., nr. 2041, non riesce a fornire alcuna spiegazione («Woher?»). 80 A questo particolare tipo di funi accenna pure CAES. Gal!. .III 14, UMVセ@ ウ・セーイ@ a proposito della Jalx: .. .falces ーイ。・セオエ@ msertae 。、ヲゥク・アオセ@ longunzs, non abs.zmzlz Jo:ma muralium falcium. His cum funes quz antemnas ad malos destmabant, comprehensz adductzque erant, navigio remis incitato praerumpebantur. Vincenzo Ortoleva 90 nizioni che venivano inflitte ai membri dell'equipaggio delle navi mediante l'uso di corde. Il greco KoÀaçro non mi sembra invece avere niente a che vedere con quanto qui si sta discutendo. Esiste inoltre un altro elemento che avvalora tutta la nostra ricostruzione e testimonia ulteriormente la correttezza della lezione collatorios di Jl Ancora una volta è il lessico marinaresco italiano a fornircelo. Nel Vocabolario marino e militare di Alberto Guglielmotti, pubblicato nel 188981 , alla voce collatore si legge: « ... ciascuno di quei cavetti che servono a tesare le sartie, stringendo di forza ed avvicinando tra loro le bigotte superiori alle corrispondenti inferiori, perché le sartie restino (omòtone) ugualmente tese e rigide». Le fonti dichiarate da Guglielmotti per la compilazione di questa voce sono soprattutto i dizionari marinareschi di Crescenzi (1602-1607), Pantera ( 1614), Roffia (XVIII sec.) e Stratico (1813-14)82; il termine era dunque in uso almeno sin dalla fine del XVI secolo. Già negli anni Trenta tuttavia collatore era una parola in disuso; ecco infatti come si esprime Bardesono di Rigras nel suo Vocabolario marinaresco 83 , alla voce corridore: «Nella sistemazione di quelle corde che si chiamano manovre fisse o dormienti84, si dà il nome di corridore ad un pezzo di corda che si passa nelle bigotte85 di ciascuna di quelle per dar loro la tensione necessaria [ ... ] Il Padre Guglielmotti voleva che si dicesse collatore, ma questa voce oggi non è usata». La lezione collatorios è dunque corretta. Ma si tratta di un aggettivo o di un sostantivo? L'ipotesi dell'aggettivo (collatorios funes) si scontra con due ostacoli principali: sembra difficile pensare che Vegezio abbia introdotto un termine così tecnico senza inserire nemmeno un sicut dicunt, o un'espressione simile; l'esito italiano è - come si è visto - il sostantivo collatore (significativamente maschile, nonostante fune in italiano sia femminile). Sembra dunque più verosimile che collatorios sia un sostantivo. In questo caso però doveva trovarsi qualcosa tra collatorios e f un es quibus antemna suspenditur. Ritorniamo all'apparato fornito da 81 A. GuGLIELMorrr, Vocabolario marino e militare, Roma 1889 (rist. anastatica Milano 1967). 82 B. CRESCEN_ZI, Nautica mediterranea, Roma 1602-1607; P. PANTERA, L'armata navale, Roma 1614; M. FR. RoFFIA, Vocabolarietto di termini marinareschi (edito da P. FANFANI, in «Il bッイァィセョゥN@ ?tudi. di セゥャッァ@ e di ャセエ・イ@ italiane», 1, 1863, pp. 628-638); S. STRATICO, Vocabolano di manna m tre lingue, Milano 1813-14. In Roffia il termine è registrato come colatore, in Stratico come colatoio. 83 C. BARDESONO DI RrGRAS, Vocabolario marinaresco Roma 1932. 84 e· , . 1o stesso autore s.v. manovra - manovrare, ' 1oe - spiega p. 200 - «corde ... [che] hanno questo nome perché d?po che si son messe al loro posto e tese, non si devono più toccare se non per tenderle d1 nuovo se si fossero allentate». 85 Cf. bセrdeson@ DI RrGRAS, o.e., s.v.: «Attrezzo che come la carrucola serve per il passaggio d1 una corda, ma senza rotelle [ ... ] Il canapo si chiama corridore o collatore». Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 91 Reeve: J3 riporta la lezione genuina collatorios; cl> una palese banalizzazione, collocatorios; in s invece si legge collatorio sub. Soffermiamoci sul testo di s. Esso sembra derivare da un'errata divisione delle parole congiunta a un'attività coagetturale. Uno scriba avrà infatti rinvenuto nel proprio antigrafo qualcosa (probabilmente due lettere) di difficilmente decifrabile dopo collaton·os e avrà congetturato collatorio sub. Proviamo a rimettere la s al suo posto; avremmo collatorios ub. La lezione ub non è certamente accettabile ma potrebbe istradarci verso quella genuina. Se infatti pensiamo a un codice scritto in onciale non avremmo difficoltà a notare come VB possa essere l'esito di una cattiva interpretazione di !E, cioè i. e. In tal modo tutta la frase è più chiara: ... collatorios, id est f un es quibus antemna suspenditur. L' espressione id est è del resto spesso usata da Vegezio per chiosare termini tecnici86 • Bisogna infine notare che i. e. si doveva trovare in condizioni di difficile intelligibilità anche negli antigrafi di o e di cj>, dal momento che i copisti di tali manoscritti hanno preferito ometterlo. A questo punto mi pare opportuno trarre qualche considerazione più generale. Si è detto che Reeve considera lo stemma codicum del1' Epitoma sostanzialmente tripartito. Ciò lo porta inevitabilmente a propendere quasi sempre per la lezione tràdita dall'accordo di due testimoni. Sulla base di quanto emerso in questa sede mi sembra invece di poter affermare che la tesi dell'indipendenza dei tre (o quattro) testimoni sia errata e di conseguenza sia in più punti errata la constitutio textus che su ciò si basa. Ricapitoliamo brevemente i dati in nostro possesso: III III III III 11, 15, 18, 21, 8 2 15 6 III 26, 8 IV 9, 5 IV 41, 7 Lezione corretta Errori didicerunt e expargere e expars1s e sed una salus uictis nullam sperare salutem e expargere e tegendas e firmauit QLN (firmabit e) perdiderunt oJ3 expandere o spandere 13 sparsis 013 om. 013 spargere 013 texendas o texenda 13 formauit Ilei> 86 Limitandosi ali' Epitoma si rinvengono le seguenti occorrenze: II 8, 3; Il 14, 7; Il 19, 7; IV 32, 2; IV 36, 1; IV 38, 7 (bis); IV 38, 9; IV 38, 10; IV 38, 12; IV 39, 2. Vincenzo Ortoleva 92 Sebbene i casi presi in considerazione siano relativamente pochi, la tendenza di a13 a concordare in errore (o in omissione) non può essere una mera coincidenza. Esistono tuttavia altre carenze nel metodo ecdotico di Reeve. La prima è l'assoluta mancanza di considerazione per i fondamentali nessi di continuità fra latino tardo, latino medievale e lingue romanze. In più di un caso ho potuto dimostrare come si possa letteralmente brancolare nel buio se si cerca di stabilire il testo dell'Epitoma, avendo a disposizione, come unici strumenti lessicografici, il Thesaurus linguae Latinae o l'Oxford Latin Dictionary. A proposito di soca I -um (III 7, 6), expargo (III 15, 2; III 18, 15 e III 26, 8) e collatorius (IV 46, 5) mi pare di aver evidenziato a sufficienza quanto determinante sia il raffronto delle lezioni offerte dalla tradizione con termini mediolatini e romanzi (soprattutto italiani) che possano essere a esse collegati. La lingua di Vegezio è un'autentica miniera di dati preziosi non solo per il filologo classico ma anche per quello romanzo, purché si riesca a risalire alle lezioni genuine scrostando quella patina di normalizzazione che si è andata accumulando con le vicende della tradizione87 • Altro aspetto assai sottovalutato da Reeve è quello dei rapporti tra il lessico militare tardolatino e quello protobizantino. Questi rapporti - per motivi che è facile intuire - sono strettissimi e vanno per la maggior parte considerati come influssi del latino sul greco: si veda quanto detto a proposito di soca 1-um (III 7, 6) e di sudatum (IV 16, 1). Nella trattazione di quest'ultimo termine Reeve dimostra inoltre assai stranamente di non conoscere i più comuni lessici del greco tardo. Tali lessici devono invece essere sempre consultati da chi è alle prese con testi tecnici latini di IV-V secolo; può infatti accadere che un termine della lingua parlata, di cui quasi si sia perduta traccia negli autori latini pervenutici, possa essere più ampiamente attestato in traslitterazione o calco in grecd 8• È infine da segnalare una certa tendenza di Reeve a offrire spiegaコゥセョ@ macchinose di problemi testuali ed esegetici (cosa che talvolta si umsce a una modesta conoscenza delle tecniche militari romane): a I 27, 1-4 è gravemente frainteso il tipo di addestramento di fanteria e cavalleria; a IV 9, 5 è ritenuta genuina la lezione texendas nonostante la sintassi e il senso facciano pensare il contrario; a IV 41, 7 viene a Per un'indagine 。ョャセァ@ alla presente condotta sul testo dei Digesta artis mulomedicinalis Note crztzco-testualz ed esegetiche al primo libro dei Digesta artis mulo"'!edicinalis di Vegezio, «WS», 113, 2000, pp. 245-280. 88 E questo ad es. il caso di pontile; cf. 0RTOLEVA, Note critico-testuali... , cit., pp. 270-277. 87 cf. 0RTOLEVA, Note critico-testuali ed esegetiche all'Epitoma rei militaris di Vegezio 93 tutti i costi difeso il nesso imperitiae usus nell'assai poco verosimile senso di «pratica acquistata con l'esperienza». In casi come questi, dopo aver acquisito la necessaria documentazione, è invece preferibile percorrere la via più semplice e immediata; soluzioni complicate, sebbene in apparenza appaiano spiegare tutto, finiscono per allontanarci ancor di più da una reale comprensione dei fatti. Nella chiusa del suo articolo del 1998 Reeve aveva orgogliosamente messo in evidenza come l'esame di tutti i manoscritti, la delineazione di un realistico stemma codicum e la stesura di un apparato critico che riflettesse i rapporti dei testimoni gli ..avessero permesso di fare notevoli progressi rispetto all'edizione di Onnerfors 89 • Ciò è naturalmente vero, ma è anche vero che per giungere a una soddisfacente constitutio textus dell'Epitoma rei militaris la strada da percorrere è ancora molto lunga. VINCENZO 0RTOLEVA 8') REEVE, Notes ... , cit., p. 218.