Malo me siento. Con queste parole il cinquantottenne imperatore Carlo V, ritiratosi nel monastero di Yuste dopo l’abdicazione, iniziava il suo ultimo viaggio, il 31 agosto 1558. Fino all’ultimo, il quadro su cui s’era più a lungo...
moreMalo me siento. Con queste parole il cinquantottenne imperatore Carlo V, ritiratosi nel monastero di Yuste dopo l’abdicazione, iniziava il suo ultimo viaggio, il 31 agosto 1558. Fino all’ultimo, il quadro su cui s’era più a lungo concentrato, fino a suscitare l’apprensione del suo medico personale, era stato quello che oggi chiamiamo La Trinità, fatto commissionare da lui a Tiziano tramite l’ambasciatore imperiale Francisco de Vargas fin dal 1551.
Cosa vedeva di così importante in quell’opera, il vecchio monarca? A lungo la critica ha creduto di poterla definire un manifesto visivo della Controriforma — non senza un totale disprezzo per la cronologia, visto che la Controriforma sarebbe iniziata solo parecchi anni dopo. Questo poderoso studio consente invece di definire il dipinto come l’ultima icona del progetto di una Monarchia universalis, fondato sulla profezia della terza e ultima età dello Spirito, era di pace della cristianità prima del giudizio finale. Risalente a Gioacchino da Fiore, questo progetto viene ripreso dal gran cancelliere Mercurino da Gattinara fin dal 1516 come orizzonte ideologico nei primi anni di regno del giovane imperatore: la base d’una religiosità intermedia, d’una terza via fra “papisti” e “luterani” che avrebbe consen-tito alla massima autorità dell’Occidente di porsi come sommo arbitro al di sopra di tutti i conflitti del secolo avvenire.
Tiziano, che amava calarsi nei personaggi dei propri dipinti, si autoritrae nell’opera, spo-glio e adorante, come devoto spirituale e ritrae anche l’amico Pietro Aretino, il flagello dei principi, come un penitente Re David. È nella complicità tra Tiziano e l’Aretino e nella let-tura comparata dei volgarizzamenti biblici dell’Aretino e la Trinità di Tiziano, che lo studio conferma ancora una volta la sottrazione della celebre tela alla tradizionale interpretazione controriformistica, collocandola nell’ambito dello spiritualismo valdesiano.