Alessandro Capone
Note al testo del De opere et eleemosynis di Cipriano
Dopo l’edizione di M. Simonetti1, gli studi sul De opere et eleemosynis
si sono concentrati per la maggior parte sul contenuto dell’opera e sulle circostanze storiche cui essa accenna, lasciando in secondo piano gli aspetti più
propriamente testuali. L’edizione di M. Poirier, pubblicata in Francia nel 1999
e tradotta in italiano nel 20092, mette in evidenza vari problemi relativi a
questo testo, alcuni dei quali sono oggetto della presente indagine.
1. Op. eleem. 2: Et quia semel in baptismo remissa peccatorum datur, assidua et iugis operatio baptismi instar imitata Dei rursus indulgentiam largitur.
Et, parce que la remise de nos péchés nous est accordée dans le baptême
une seule fois, la constante et inépuisable mise en œuvre de la bienfaisance
pourra, sur le modèle du baptême, nous dispenser à nouveau le pardon de
Dieu.
E poiché è concessa una sola volta la remissione dei peccati nel battesimo,
la costante e inesauribile opera di beneficienza potrà, sul modello del battesimo, concederci nuovamente il perdono di Dio3.
Poirier osserva che «l’expression pléonastique alicuius rei instar imitari
(littéralement: imiter l’équivalent de quelque chose) ne se rencontre ni dans
la littérature profane (interrogée sur CD ROM), ni chez Tertullien, ni ailleurs chez Cyprien» (p. 77). L’osservazione è inesatta, giacché in Ad Fortunatum 11, a proposito del quarto dei fratelli Maccabei, Cipriano scrive che
quegli, dopo aver subito il taglio della lingua, manus quoque amputandas con1
Sancti Cypriani episcopi opera, ed. M. Simonetti e C. Moreschini, Turnhout, Brepols,
1976 (Corpus Christianorum 3 A pars II).
2
Cyprien de Carthage. La Bienfaisance et les Aumônes, intr., texte crit., tr., notes et index par M. Poirier, Paris, Les Éditions Du Cerf, 1999 (Sources Chrétiennes 440); Cipriano
di Cartagine. La beneficienza e le elemosine, intr., testo crit., note e indici di M. Poirier, tr.
di A. Carpin, Roma-Bologna, Edizioni San Clemente - Edizioni Studio Domenicano, 2009
(Sources Chrétiennes Edizione italiana 7).
3
Per ogni passo discusso si riporta la traduzione francese di Poirier e quella italiana di
A. Carpin.
Alessandro Capone
118
stanter extendit multum beatus genere isto supplicii, cui contigit extensis ad
poenam manibus passionis dominicae instar imitari (Coraggiosamente protese
anche le mani, perché gliele tagliassero: beatissimo per un supplizio di questo
genere, perché ebbe la possibilità di imitare l’esempio della passione del Signore con il tendere le mani al supplizio)4. Non si tratta pertanto di una costruzione isolata, quanto di uno stilema tipicamente ciprianeo.
2. Op. eleem. 5: Quod item in Psalmis Spiritus sanctus declarat et probat
dicens: Beatus qui intellegit super egentem et pauperem, in die malo liberabit illum Deus. Quorum praeceptorum memor Daniel cum rex Nabuchodonosor aduerso somnio territus aestuaret, auertendis malis ac diuina ope inpetranda remedium dedit dicens: Propterea, rex, consilium meum placeat tibi,
et peccata tua eleemosynis redime et iniustitias tuas miserationibus pauperum, et erit Deus patiens peccatis tuis. Cui rex non obtemperans aduersa
quae uiderat et infesta perpessus est: quae euadere et uitare potuisset, si peccata sua eleemosynis redemisset.
C’est de même cette vérité que dans les psaumes l’Esprit-Saint manifeste
et authentifie en ces termes: «Heureux celui qui sait voir les besoins de l’indigent et du pauvre, au jour du malheur Dieu le libérera». Daniel se souvenait de ces préceptes lorsque, répondant au roi Nabuchodonosor qu’un rêve
fâcheux bouleversait de terreur, il lui donna pour détourner le malheur tout
en obtenant le secours de Dieu le remède que voici: «Ainsi donc, Roi, agrée
mon conseil, rachète tes péchés par des aumônes et tes injustices en faisant
miséricorde aux pauvres, et Dieu sera patient devant tes péchés». Le roi ne
lui obéit pas, et il eut à endurer les disgrâces et les tourments dont il avait
eu la vision, et auxquels il aurait pu se soustraire et se dérober, s’il avait racheté ses péchés par des aumônes.
Anche nei Salmi lo Spirito santo dichiara e testimonia questo, dicendo:
Beato chi comprende l’indigente e il povero, nel giorno della sventura Dio
lo libererà. Daniele, memore di questi insegnamenti, quando il re Nabucodonosor fu angosciato – atterrito da un sogno nefasto –, gli offrì questo rimedio per allontanare i mali e impetrare il soccorso divino, dicendo: Pertanto,
o re, ti sia gradito il mio consiglio: riscatta i tuoi peccati con elemosine e le
tue ingiustizie con opere di misericordia ai poveri, e Dio sarà paziente davanti ai tuoi peccati. Il re, non obbedendogli, subì le sventure e i mali che
aveva visto in sogno; cose che avrebbe potuto sfuggire ed evitare se avesse
riscattato i suoi peccati con le elemosine.
Prima di affrontare l’aspetto più spinoso del passo, osserviamo che l’e-
4
Tr. di Claudio Moreschini.
Note al testo del De opere et eleemosynis di Cipriano
119
spressione quorum praeceptorum memor è un altro stilema che Cipriano utilizza anche in Epist. 3,2,1 a proposito di Paolo: Et iterum: honora deum ex
tota anima tua et honorifica sacerdotes eius. Quorum praeceptorum memor
beatus apostolus Paulus secundum quod in actis apostolorum legimus, cum ei
diceretur: sic insilis in sacerdotem dei maledicendo?, respondit et dixit: nesciebam, fratres, quia pontifex est. Scriptum est enim: principem plebis tuae
non maledices. (Quando afferma: Temi Dio con tutto il tuo cuore, e santifica i suoi sacerdoti. Memore di questi precetti il beato Apostolo, secondo
quanto leggiamo negli Atti degli Apostoli, quando gli fu detto: Così osi insultare il sommo sacerdote di Dio?, rispose dicendo: Non sapevo, fratelli,
che è il sommo sacerdote, sta scritto infatti non insulterai colui che sta al
capo del tuo popolo)5. La ricorrenza dell’espressione quorum praeceptorum
memor mette pertanto in luce un tratto caratteristico dell’argomentare di Cipriano, il quale riconosce la validità dell’affermazione di un personaggio biblico sulla scorta di un passo veterotestamentario, considerato ben presente,
nei due casi appena riportati, nella memoria di Daniele e di Paolo.
Il problema principale del passo sta però nell’interpretazione di auertendis malis ac diuina ope inpetranda. Prima di entrare nel dettaglio della discussione, richiamiamo brevemente l’episodio biblico citato da Cipriano. Nel
cap. 4 del libro di Daniele si racconta che il re Nabucodonosor fece un sogno che lo lasciò molto turbato. Per conoscerne l’interpretazione radunò maghi, astrologi, caldei e indovini, ma senza ottenere una spiegazione. Infine
raccontò il sogno a Daniele, detto Baltazzar, il quale in un primo tempo rimase confuso e turbato, ma in seguito offrì al re la sua interpretazione, alla
fine della quale troviamo il consiglio riportato da Cipriano, anche se con
qualche variante rispetto alla traduzione dei LXX.
Il testo stabilito da Simonetti (auertendis malis ac diuina ope inpetranda)
è stato recepito da Poirier, il quale non si perita tuttavia di proporre un’interpretazione tanto ardita quanto poco convincente. Egli intende senza problemi auertendis malis come un dativo del gerundivo con valore finale, mentre trova difficoltà nell’espressione diuina ope inpetranda, che in ogni caso,
con un ragionamento poco chiaro, interpreta con valore finale.
A questo punto è opportuno esaminare la tradizione manoscritta e prendere in considerazione i vari emendamenti proposti dagli studiosi. Ripor-
5
Tr. di Maria Vincelli. Cfr. anche Op. eleem. 15 Intuere in euangelio uiduam praeceptorum caelestium memorem … operantem (Osserva nel vangelo la vedova che, memore dei celesti precetti … fa beneficienza), dove non si fa riferimento a un passo scritturistico citato subito prima, ma in generale all’esortazione a contribuire al cesto delle offerte. D’altro canto la
vedova è contrapposta alla matrona ricca e facoltosa che non vede i bisognosi e i poveri.
120
Alessandro Capone
tiamo in primo luogo il testo di Krabinger, con le indicazioni che si possono trarre dal suo apparato critico6, e subito dopo il testo di Simonetti con
le varianti da lui indicate in apparato:
Krabinger: Quorum praeceptorum (peccatorum Bb) memor Daniel, cum
rex Nabuchodonosor aduerso somnio (adversus somnium Mb, sompnio A)
territus aestuaret (turbaretur Bb), auertendis malis ad (de V, ac Mabd W
Ba) diuinam opem inpetrandam (diuina ope impetranda V Mabd Bb, diuina
ope impetr. W Ba, de advertendis malis ac divina ope impetr. Mc, ad divinam opem impetr. A) remedium dedit dicens7.
Simonetti: Quorum praeceptorum memor Daniel cum rex Nabuchodonosor aduerso somnio territus (territus om. G) aestuaret (et add. S R), auertendis malis ac (ad W R h de V) diuina ope inpetranda (diuinam opem impetrandam h p) remedium dedit dicens8.
Dall’apparato di Poirier si ricavano le stesse informazioni offerte da Simonetti, fatta eccezione per alcune precisazioni9: ac: ad R1 [ac R2?] h m +
de V; diuina: diuinam h m p; ope: opera F1, opem h m p; inpetranda: impetrandam h m p.
Riportiamo ora le congetture degli editori sulla scorta dell’apparato di
Krabinger:
Nelle editiones veteres, Gravina (1544) e Morelliana (1564), troviamo: pro
auertendis malis ac diuina ope inpetranda; nelle edizioni Manutiana (1563),
Pameliana (1568) e nelle successive leggiamo: pro auertendis malis ad diuinam opem inpetrandam; in precedenza Erasmo (1520) aveva proposto: pro
auertendis malis ac mitigandis diuina ope inpetranda.
Nell’Ottocento Krabinger, come s’è visto, aveva accettato la lezione di al-
6
S. Caecili Cypriani episcopi Karthaginensis et martyris Libri ad Donatum, De dominica
oratione, De mortalitate, Ad Demetrianum, De opere et eleemosynis, De bono patientiae et
De zelo et livore. Ad codicum Mss. Vetustissimorum fidem recognovit et adnotatione critica
instruxit J.G. KRABINGER, Tubingae, in libraria H. Laupp, 1859.
7
W = Würzemburgensis 145, s. VII; Ma = Monacensis Clm. 4597, s. VIII; Mb = Monacensis Clm. 208, s. X; Mc = Monacensis Clm. 18203, s. XV; Md = Monacensis Clm. 21240,
s. XV; Ba = Bambergensis 476, s. X; Bb = Bambergensis 477, s. XI; A = Augustanus 65, s.
XV; V = Collatio codicis Veronensis vetustissimi ad margines exemplaris editionis Manutianae, quod in Bibliotheca Acad. Gottingensi asservatur.
8
S = Parisinus 10592, s. VI-VII; G = Sangallensis 89, s. IX; W = Wirceburgensis Univ.
theol. f. 145, s. IX; R = Vaticanus Reginensis lat. 116, s. IX; p = Vaticanus lat. 202, s. XI; h
= Leidensis Vossianus lat. oct. 7, s. XI; V = Codex Veronensis deperditus ex L. Latini collatione.
9
F = Taurinensis G V 37, s. V; m = Mantuanus B. Com. B III 18, s. XI; numeri in apice
= la lezione del manoscritto prima della correzione (1) e la correzione (2); + = mot supplémentaire à la suite du lemme.
Note al testo del De opere et eleemosynis di Cipriano
121
cuni manoscritti: auertendis malis ac ad diuinam opem inpetrandam; mentre
Hartel aveva proposto: auertendis malis a diuina ope inpetranda10.
Ora osserviamo che il capitolo 5 del Op. eleem., in cui si trova il passo
in esame, si apre con queste parole: Remedia propitiando Deo ipsius Dei verbis data sunt, in cui riscontriamo la stessa costruzione dare remedium + dativo del gerundivo. Nel nostro passo, dunque, senza intervenire in alcun
modo, si può intendere auertendis malis … remedium dedit11.
Resta da chiarire l’espressione diuina ope inpetranda. Sebbene il sostantivo ops ricorra solo in questo passo del Op. eleem., tuttavia è ben attestata
in Cipriano la locuzione ope diuina in coppia con un altro sostantivo12: De
lapsis 1 Ope atque ultione diuina securitas nostra reparata est; De zelo et livore 5 Quia Goliath interfecto et ope ac dignatione diuina tanto hoste deleto populus admirans in laudes Dauid praedicationis suffragio prosiliit, Saul
simultatis adque insectationis furias de liuore concepit.
Il verbo inpetro ricorre altre tre volte nel Op. eleem.13, due delle quali
nello stesso capitolo 5: Neque enim mereri Dei misericordiam poterit qui misericors ipse non fuerit aut inpetrabit de diuina pietate aliquid in precibus qui
ad precem pauperis non fuerit humanus (Infatti non potrà meritare la misericordia di Dio chi non è stato lui stesso misericordioso, e non impetrerà nulla
dalla pietà divina nelle sue preghiere chi non sarà stato umano verso la preghiera del povero); e poco dopo il passo in esame: Ostendit orationes nostras ac ieiunia minus posse, nisi eleemosynis adiuuentur, deprecationes solas
parum ad inpetrandum ualere, nisi factorum et operum accessione satientur
(Egli mostra che le nostre preghiere e i nostri digiuni hanno meno efficacia
se non sono coadiuvati dalle elemosine; che le suppliche da sole valgono poco
ad impetrare se non sono completate dalle azioni e dalle opere di carità).
S. Thasci Caecili Cypriani opera omnia. Recensuit et commentario critico instruxit G.
HARTEL, Vindobonae, apud C. Geroldi filium bibliopolam academiae, 1868.
11
Cfr. anche Op. eleem. 3 Quam benigna est diuina clementia, quae cum sciat non deesse
sanatis quaedam postmodum uulnera, dedit curandis denuo sanandisque uulneribus remedia
salutaria.
12
Cfr. p. es. anche De dominica oratione 14 Quae [voluntas Dei] ut fiat in nobis, opus
est Dei uoluntate, id est ope eius et protectione; Epist. 18,2,1 Neque enim deserentur ab ope
et auxilio domini, qui mites et humiles et paenitentiam uere agentes in bonis operibus perseuerauerint, quominus illis quoque diuino remedio consulatur; Epist. 64,6,2 2 Quod cum circa
uniuersos obseruandum sit atque retinendum, magis circa infantes ipsos et recens natos obseruandum putamus, qui hoc ipso de ope nostra ac de diuina misericordia plus merentur; Epist.
57,5,2 De cuius [domini] ope et pietate qui in eum confidimus possumus esse securi; Ad Fortunatum 10 Quando unusquisque secundum dominica promissa et fidei suae merita tantum
accipiat de Dei ope quantum se credat accipere.
13
Cfr. Op. eleem. 6 Sensit Petrus impetrari posse quod sic petebatur nec defuturum Christi auxilium uiduis deprecantibus, quando esset in uiduis ipse uestitus.
10
122
Alessandro Capone
Quest’ultima occorrenza è particolarmente utile ai fini della presente indagine, giacché dimostra che Cipriano usa inpetro in senso assoluto nell’accezione di «ottenere soddisfazione». Ora, se si ammette che inpetro possa
avere questo valore anche nel passo in esame, si può con un intervento minimo restituire un senso sufficientemente scorrevole: si tratta infatti di correggere inpetranda in impetrando (= ad inpetrandum). Benché raro14, il dativo del gerundio è richiesto dalla locuzione remedium dedit e fa il paio con
auertendis malis; d’altro canto la corruzione in inpetranda appare piuttosto
facile dopo i femminili diuina ope.
Il testo è dunque il seguente:
Quorum praeceptorum memor Daniel, cum rex Nabuchodonosor aduerso
somnio territus aestuaret, auertendis malis ac diuina ope inpetrando remedium dedit (Daniele, memore di questi insegnamenti, poiché il re Nabucodonosor, atterrito da un sogno nefasto, era angosciato, diede un rimedio per
allontanare i mali e ottenerne la liberazione con l’aiuto di Dio)15.
3. Op. eleem. 6: Tabitha operationibus iustis et eleemosynis praestandis
plurimum dedita cum infirmata esset et mortua, ad cadauer exanimae Petrus accitus est.
Tabitha, qui s’était consacrée très activement à la pratique d’une juste bienfaisance et à la distribution d’aumônes, était tombée malade et était morte:
elle ne respirait plus lorsqu’on appela Pierre auprès du cadavre.
Quando Tabità – che si era molto dedicata a giuste opere di carità e a
fare le elemosine – si ammalò e morì, Pietro fu chiamato presso il suo cadavere esanime.
La lezione exanimae, tràdita solo da alcuni manoscritti (S R a Wac)16, è
14
Cfr. p. es. Tert. De pallio 2,6 Sic et Herculea posteritas Temeno pariter Peloponnesum
occupando producunt (= ad Peloponnesum occupandun); 4,9 [mulieres] In semetipsas lenocinando … et stolam et supparum … eieravere; Paen. 2,4 Prophetando (= ad prophetandum [v.
l. ei predicandae]) universorum prophetarum emisit ora [Deus]. Più in generale vd. R. Kühner e C. Stegmann, Ausführliche Grammatik der latinischen Sprache, II/1, Hannover, M.
Hüber, 1962, p. 746 e ss.; J.B. Hofmann, Lateinische Syntax und Stilistik, neubearbeitet von
A. Szantyr, vol II, München, C.H. Beck, 1972, p. 376s
15
Si ricordi che l’esempio di Daniele e Nabucodonosor è riportato dopo la citazione del
Salmo 40,2 (Beato chi ha a cuore il bisognoso e il povero, nel giorno del giudizio Dio lo libererà): il rimedio insegnato da Daniele consentirà al re di allontanare le sciagure preannunciate in sogno e di ottenere, con l’aiuto di Dio che gradisce le elemosine, la liberazione dai
mali.
16
S = Parisinus 10592, s. VI/VII; R = Vaticanus Reginensis Lat. 116, s. IX; a = Admontanus 587, s. XII; W = Wirceburgensis Univ. Th. f. 145, s. IX. Questi i manoscritti secondo
l’apparato di Simonetti. Anche Poirier fa riferimento a quattro manoscritti, ma dà notizia in
Note al testo del De opere et eleemosynis di Cipriano
123
stata accolta da Hartel e con qualche esitazione da Simonetti e Poirier, il
quale rileva in altri casi la confusione dei codici tra il dittongo ae con e (e
viceversa) e obietta che Cipriano preferisce la declinazione in –is, –e a quella
in –us, –a, –um, per gli aggettivi unianimis, exanimis, inanimis17. In ogni caso,
per quanto sembri che ritenga poziore la lezione exanime, come emerge dalla
traduzione, tuttavia Poirier accetta il testo di Hartel e Simonetti.
Ora il genitivo exanimae dà l’impressione di essere la lectio difficilior e
in quanto tale preferibile all’accusativo exanime, tramandato da F P W Y G
D h p e18. Va tuttavia rilevato che poco dopo, descrivendo il miracolo della
resurrezione di Tabità, Cipriano conclude: Mors itaque suspenditur et spiritus redditur et mirantibus ac stupentibus cunctis ad hanc mundi denuo lucem rediuiuum corpus animatur (La morte, dunque, viene sospesa, è ridato
lo spirito; e, mentre tutti sono meravigliati e stupiti, il corpo redivivo si rianima nuovamente a questa luce del mondo). L’espressione corpus animatur
fa pensare a cadauer exanime più che a cadauer exanimae19.
Si può ancora notare che l’espressione cadauer exanime/exanimum si ritrova anche in altri autori20, come p. es.: Hier. Vita sancti Pauli 8,24 Nam
Alexandriam istiusmodi homo uiuus perductus, magnum populo spectaculum
praebuit: et postea cadauer exanime, ne calore aestatis dissiparetur, sale infuso, Antiochiam ut ab imperatore uideretur, allatum est; Hier. Epist. 36,15
Helisaeus quoque, qui duplici glorificatus est spiritu, cuius ossa uitam exanimo cadaueri reddiderun; Cypr. Gallus Heptateuchos (Numeri) 481 Nam
quicunque manu contingit corpora functa, / uel iacet exanimum cuius sub
tecta cadauer, / sordibus afficitur templumque infuscat Aeternum; Paul. Preticor. De vita sancti Martini 1,322 Sed sedula fratrum / religio exanimum
plangebat maesta cadauer, / maerens supplicio fratris, non funere carnis; 4,267
Cum subito exanimum nati conplexa cadauer / mater adest.
Questi elementi inducono pertanto a preferire l’espressione cadauer exaparticolare solo di R e m (Mantuanus B. Com. B III 18, s. XI); gli altri due dovrebbero essere S e a, mentre W presenta exanime.
17
L’obiezione è valida in realtà solo per il primo aggettivo, giacché exanimis è attestato
solo nel passo in esame, mentre inanimis non sembra essere presente in Cipriano.
18
F = Taurinensis G V 37, s. V; P = Parisinus 1647 A, s. IX; W = Wirceburgensis Univ.
theol. f. 145, s. IX; Y = Monacensis 4597, s. IX; G = Sangallensis 89, s. IX; D = Oxoniensis
Bodl. Laud. Misc. 451, s. IX; h = Leidensis Vossianus lat. oct. 7, s. XI; p = Vaticanus lat. 202,
s. XI; e = Londinensis Br. Mus. Roy. Ms. 6 B XV, XII.
19
Sempre in riferimento a Tabitha cfr. Commod. Instruct. 2,14,18 Dat tibi memoriam
<Tabitha> clarissima quondam; / exanimata iacet precibus uiduarum erecta.
20
Cfr. tuttavia Hier. Epist. 60,15 Adulescens Valentinianus et paene puer post fugam, post
exilia, post recuperatum multo sanguine imperium haut procul ab urbe fraternae mortis conscia necatus est et cadauer exanimis infamatum suspendio.
124
Alessandro Capone
nime, tràdita dalla maggior parte dei manoscritti, alla variante cadauer exanimae.
4. Op. eleem. 15: Intuere in euangelio uiduam praeceptorum caelestium
memorem, inter ipsas pressuras et angustias egestatis operantem, in gazophylacium duo quae sola sibi fuerant minuta mittentem, quam cum animaduerteret Dominus et uideret, non de patrimonio sed de animo opus eius examinans et considerans non quantum sed ex quanto dedisset, respondit et dixit:
Amen dico uobis quoniam uidua ista omnibus plus misit in dona Dei. Omnes enim isti de eo quod abundavit illis miserunt in dona Dei. Haec autem
de inopia sua omnem quemcumque habuit victum misit.
Observe le veuve qui, dans l’Évangile, garde présents à l’esprit les préceptes du ciel, et qui exerce la bienfaisance au milieu même de sa détresse et
de sa gêne, en jetant dans le tronc du trésor deux piécettes, son seul bien. En
l’apercevant et en la voyant, le Seigneur, appréciant son geste selon la mesure non de sa fortune mais des son cœur, considérant non pas la somme mais
la part de ses biens qu’elle avait donnée, prit la parole en ces termes: «En
vérité, je vous dis que cette veuve a mis plus que tout le monde dans les offrandes à Dieu. Car tous les autres ont pris sur leur superflu pour mettre
dans les offrandes à Dieu. Elle, elle a pris sur sa misère et mis tout ce qu’elle
avait pour vivre».
Osserva nel vangelo la vedova che, memore dei celesti precetti, pur tra le
ristrettezze e le angustie della sua miseria fa beneficenza, gettando nella cassa
del tesoro le uniche due monetine rimastele. Quando il Signore si accorse di
lei e la vide, giudicando la sua offerta non in base alla consistenza del dono
ma all’animo, considerando non quanto ma da quanto aveva donato, intervenne dicendo: In verità vi dico che questa vedova ha messo più di tutti
nelle offerte di Dio. Tutti costoro, infatti, hanno messo nelle offerte di Dio
qualcosa del loro superfluo. Questa, invece, vi ha messo, traendolo dalla sua
miseria, tutto ciò che aveva per vivere.
Si tratta del noto brano della vedova al tempio che si legge in Lc 21,3s21.
Poirier in nota osserva che l’espressione «dans les offrandes à Dieu» n’est
présent à cet endroit ni dans le texte grec ni dans la Vulgate, qui écrit au
verset suivant in munera Dei (grec: e„j t¦ dîra toà qeoà)» (p. 119).
In primo luogo occorre notare che nella tradizione del testo lucano la lezione e„j t¦ dîra toà qeoà è attestata da vari manoscritti, come si evince
dall’apparato ad locum di Nestle-Aland, ed è stata accolta nell’edizione curata da Merk. In secondo luogo è bene mettere in evidenza quanto Cipriano
21
Erroneamente il curatore dell’edizione italiana delle Sources Chrétiennes ha inserito il
riferimento a Mc 12,41-44.
Note al testo del De opere et eleemosynis di Cipriano
125
aggiunge poco dopo, commentando lo stesso episodio: Atque ut intellegamus haec opera Deo dari et eum quisque haec faciat Deum promereri, Christus
illud dona Dei appellat et in dona Dei uiduam duos quadrantes misisse
significat, ut magis ac magis possit esse manifestum quia qui miseretur pauperis Deo faenerat (Inoltre, perché capiamo che queste opere di beneficienza
sono un dono offerto a Dio e che chiunque le compie acquista meriti presso
Dio, Cristo le qualifica come doni fatti a Dio, affermando come una vedova
abbia messo due spiccioli nelle offerte di Dio, perché possa apparire sempre
più evidente che chi ha compassione dei poveri impresta a Dio). L’insistenza
sull’espressione in dona Dei, sulla quale Cipriano basa in questo passo la sua
riflessione teologica, dimostra che egli aveva sotto mano un testo lucano con
la lezione in dona Dei.
Al contempo è possibile osservare che Cipriano non è l’unico testimone
di questa lezione, presente anche in altri autori22: Aug. In Iohan. ev. 17,6
Merito et illa uidua omnes facultates suas, duo minuta misit in dona Dei;
Aug. Sermo 105A,1 Multum dimisit qui spem saeculi dimittit, quomodo et
illa uidua de duobus minutis quae misit in gazophylacium. Nulla, inquit, plus
dedit; et multi multa dederunt qui diuites erant; non dederunt amplius quam
ista vidua in dona Dei, hoc est, in gazophylacium. Multi divites multa mittebant et ipse attendebat; Aug. Sermo 107A,7 Illam uiduam recolite pauperem, quae ferebat duo minuta, et multa iactantibus in gazophylacium diuitibus spectabant qui aderant et ea quae magna mittebantur adtendebant. Intrauit illa, misit duos minutos. Quis illam dignatus est vel videre? Sed Dominus, sic eam uidit ut ipsam solam uideret et ipse illam commendauit non
videntibus, id est, ut attenderetur quae nec uidebatur. Videtis, inquit, hanc
uiduam, et tunc illam attenderunt, plus, inquit, misit in dona Dei quam illi
diuites, magna ex magno. Illi ingentia munera diuitum intuebantur et laudabant. Duos nummos illos quando uiderunt, etsi ipsam uiduam postea viderunt? Plus, inquit, misit in dona Dei quam illi diuites. Illi enim de multo
multum miserunt, haec autem totum quod habuit misit; Aug. Sermo 125A,4
Vidua, quae duo minuta attulit, quam exiguum habebat! Et Dominus eam
uidebat. Certe si negligebant, quia multum non attulit quam duo minuta,
uidere poterat cor sapientis quae dedit. Quae plus in dona Dei misit, quam
quae sibi nihil dimisit? Hier. Epist. 18A,14 Haec duo minuta, quae mulier
uidua mittit in dona Dei23.
22
Oltre ai passi di Agostino e Gerolamo, cfr. anche Orig. In Gen. 1,8 Si sit in nobis sensus ad furandum nos provocans, istud est reptile pessimum; si vero sit in nobis sensus, ut,
etiamsi ‘duo minuta’ habeamus, haec ipsa pro misericordia offeramus ‘in dona Dei’, iste sensus avis est, nihil de terrenis cogitans, sed ad firmamentum coeli volatibus tendens.
23
J. Labourt, editore dell’epistolario geronimiano, rinvia però a Mc 12,41-44.
126
Alessandro Capone
Tra tutte quelle appena riportate appare interessante la seconda occorrenza (Sermo 105A,1), in cui Agostino spiega che l’espressione in dona Dei
equivale a in gazophylacium, a conferma del fatto che si tratta di una variante antica e meno diffusa. A questo proposito di particolare importanza
è la testimonianza di Origene, il quale riporta la variante e„j t¦ dîra toà
qeoà con esplicito riferimento al passo lucano24. Il passo di Op. eleem. consente dunque di recuperare un’antica versione latina di Lc 21,4, precedente
la Vulgata ed evidentemente diffusa soprattutto nella chiesa cartaginese.
24
Cfr. Orig. Com. in Io. 19,7,41s “In' oân nohqÍ, t… tÕ ™n tù gazofulak…J taàta t¦
·»mata ØpÕ e„rÁsqai, paraqhsÒmeqa ¤per ¢pÕ Louk© kaˆ M£rkou memaq»kamen, Ñnomas£ntwn
tÕ gazoful£kion. 'ApÕ mn toà Louk© taàta: «'Anablšyaj d e„j toÝj b£llontaj e„j tÕ gazoful£kion t¦ dîra aÙtîn plous…ouj, edšn tina c»ran penicr¦n b£llousan lept¦ dÚo, kaˆ
epen: 'Alhqîj lšgw Øm‹n Óti ¹ c»ra ¹ ptwc¾ aÛth ple‹on p£ntwn œbalen: p£ntej g¦r oátoi ™k toà perisseÚontoj aÙto‹j œbalon e„j t¦ dîra toà qeoà, aÛth d ™k toà Øster»matoj
aÙtÁj p£nta tÕn b…on ˜autÁj, <Ön> ecen, œbalen». 'ApÕ d toà kat¦ M£rkon: «Kaˆ ˜stëj Ð
'Ihsoàj katšnanti toà gazofulak…ou ™qeèrei, kaˆ p©j œballen calkÕn e„j tÕ gazoful£kion.
Kaˆ polloˆ ploÚsioi œballon poll£: ™lqoàsa d m…a c»ra ptwc¾ œbalen lept¦ dÚo, Ó ™stin
kodr£nthj. Kaˆ proskales£menoj toÝj maqht¦j aÙtoà epen aÙto‹j: 'Am¾n lšgw Øm‹n Óti ¹
c»ra ¹ ptwc¾ aÛth ple‹on p£ntwn œbalen tîn ballÒntwn e„j tÕ gazoful£kion: p£ntej g¦r
™k toà perisseÚontoj aÙto‹j ›balon: aÛth d ™k tÁj Øster»sewj aÙtÁj p£nta Ósa ecen œbalen, Ólon tÕn b…on aÙtÁj». 19,8,49 Kaˆ toàto epen kaqorîn t…na trÒpon pollaplas…ona
dun£menoi fšrein e„j tÕ koinÕn oƒ Óson ™pˆ tÍ dun£mei ploÚsioi ™k toà perisseÚontoj aÙto‹j
œbalon e„j t¦ dîra toà qeoà ™lacisthmÒrion, ïn oŒo… te Ãsan suneisfšrein.