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Ragazzina dice no alle nozze combinate, genitori a processo, l’accusa: «Tentata induzione a contrarre matrimonio»

diFederico Berni

La minorenne pakistana, residente a Seregno, avrebbe dovuto sposare un cugino. Lei ha scelto di vivere in una comunità protetta e di continuare gli studi: il tribunale le ha dato ragione

Le misure dell’abito già comunicate al sarto, i viaggi in Pakistan del padre per mettere a punto i preparativi, la possibilità di anticipare addirittura il matrimonio «per telefono». Un futuro scritto da altri, fin da quando aveva 13 anni: «Sposerai tuo cugino». Alla protagonista della vicenda, sebbene sia diventata da poco maggiorenne, va dato un nome di fantasia per ovvi motivi di tutela della privacy: Fatima. D’altronde, più che il nome importa la sua forza nel dire «no» alle nozze combinate dalla sua famiglia.

Non è una storia di violenze e vessazioni, fisiche o morali, ma è comunque materia per le aule di giustizia. Il reato contestato è quello di «tentata induzione a contrarre matrimonio», introdotto nel 2019. Ne devono rispondere davanti a giudici di Monza i genitori, e un fratello maggiore di Fatima (difesi dall’avvocata Antonella Crippa). La ragazza è nata in Pakistan ma è cresciuta a Seregno. Oggi vive in una comunità protetta fuori dalla Lombardia, dove studia per prendere il diploma, e dove ha firmato per restare fino al ventunesimo anno di età. Un iter travagliato, dal punto di vista giuridico, con una prima richiesta di archiviazione da parte della procura e successivamente, a seguito di opposizione presentata dal difensore che cura gli interessi della ragazza, l’avvocata Lucilla Tassi, arriva il provvedimento del gip Angela Colella che impone al pm di formulare l’imputazione coatta.

Sono i responsabili della scuola frequentata da Fatima, quando questa è appena 13enne, i primi a segnalare il disagio, ormai cinque anni fa, che l’aveva indotta a compiere atti autolesionistici. «È sofferente e preoccupata per la decisione presa dai propri genitori di farle sposare un suo cugino di 21 anni», dicono gli insegnanti.

Fatima viene da una famiglia numerosa, con sei figli, seguita dai servizi sociali di Seregno. Il Tribunale dei minori, a seguito di quanto segnalato dagli insegnanti, ordina che vengano effettuati una serie di colloqui psicologici, anche alla presenza dei genitori. Il padre spiega che un «connazionale» in Pakistan si era detto «interessato» a sua figlia, ma aggiunge che la ragazza è «troppo piccola per pensare al matrimonio». Il progetto, però, riprende forza a dicembre 2022. In casa si parla di preparativi, dell’abito, di combinare il tutto entro l’estate 2023. A febbraio dello stesso anno, assiste a una telefonata fra il padre e lo zio. Nella conversazione, quest’ultimo si lamenta dell’ostilità di sua figlia all’idea di contrarre a sua volta matrimonio forzato. È in quel momento che sente le parole del papà: «Se si oppone chiama me... ci penso io con due colpi. Non importa se vado in carcere».

Un mese dopo questo episodio, Fatima chiede agli operatori dei servizi sociali di andare in una comunità protetta, per costruirsi una vita propria, a costo di rompere con i parenti, e con tutto l’ambiente d’origine. Scelta sofferta, tra l’esigenza di evitare «che il proprio futuro venisse condizionato dal volere altrui», da un lato, e l’affetto per la famiglia dall’altro. Sentimento che lei stessa ha sottolineato negli incontri con gli psicologi: «Mi hanno sempre trattata come una principessa».

La decisione di andare in comunità viene segnalata alla Procura. Gli inquirenti chiedono l’archiviazione del procedimento, non ravvisando nella condotta dei genitori e del fratello di Fatima «comportamenti costrittivi o minacce». Il reato introdotto da una normativa europea allo scopo di impedire i matrimoni combinati, però, prevede anche il caso dell’induzione. «Non basta credere alla presunta “buona fede” dei genitori, come evidenziato dal pm. Il nostro ordinamento tutela la libertà individuale — fa notare l’avvocato Tassi, che si è opposta alla richiesta del pm e ha ottenuto l’imputazione coatta —. Quindi gli interessi dettati dalle proprie tradizioni culturali vengono in secondo piano rispetto alla volontà della giovane, che ha scelto autonomamente di allontanarsi da casa».

9 maggio 2024