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Progetto Islander, così Nicole Berlusconi ha tratto in salvo 500 cavalli

Progetto Islander, così Nicole Berlusconi ha tratto in salvo 500 cavalli Progetto Islander, così Nicole Berlusconi ha tratto in salvo 500 cavalli
Tenuta di Angera, sul Lago Maggiore, qui nasce la onlus che si occupa dei cavalli maltrattati, torturati, affamati da proprietari e allevatori senza scrupoli. La nipote del leader di Forza Italia “Nel team siamo una decina, ognuno con una sua responsabilità. C’è chi si occupa delle segnalazioni su cavalli sfruttati o maltrattati, chi dell’adozione, ci sono i volontari. E poi collaboriamo con tanti veterinari, etologi e una rete di amici in tutta Italia che ci assistono sia nel centro di recupero, sia per i cavalli che diamo in pre-affido e nei controlli post-affido”
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“Questo è il mio posto magico, questa è la terra dei cavalli. In questo centro ho realizzato il mio sogno di bambina”. Nicole Berlusconi, 29 anni, ci porta con “Facetime” a vedere la tenuta di Angera, sul Lago Maggiore, dove di recente ha trovato casa la sua Onlus “Progetto Islander” con la quale ha già tratto in salvo oltre 500 cavalli maltrattati, torturati, affamati da proprietari e allevatori senza scrupoli. Sullo sfondo della videochiamata si intuisce un panorama che sembra il set della serie “Yellowstone”: campi, maneggi, paddock, cavalli, prati, boschetti…E’ da qui che Nicole, una ragazza molto tosta che non ha difficoltà ad ammettere di essere una “vera rompiscatole”, dirige le operazioni della sua truppa. 

Che nome è Islander?

“Si chiamava così la mia prima cavalla da salto, razza sella italiana”.

Quindi, prima di “sussurrare” ai cavalli, ha iniziato con il salto ostacoli sui pony?

“Ho cominciato a montare a undici anni, ma subito su un cavallo, saltando la tappa del pony. Ho fatto anche le mie garette, fino alle 130…”.

E poi?

“Poi mi sono iniziata a rendere conto di quello che girava intorno a quel mondo e ho abbandonato tutto. La mia passione per i cavalli nasceva anzitutto come amore verso gli animali, tutti gli animali. Al primo posto ho sempre messo il rispetto. E invece vedevo intorno a me tanto sfruttamento, la visione del cavallo come semplice mezzo agonistico e non come essere vivente. Quindi ho iniziato a distaccarmi. Ma non subito eh…anche io ho fatto parecchi errori. Ma era la normalità”.

Quale normalità?

“Il cavallo sempre chiuso in box 23 ore su 24, salvo uscire in campo per l’allenamento. Poi con l’esperienza e con le risposte che mi hanno dato gli stessi cavalli, ho aperto gli occhi e ho scoperto l’etologia, la doma dolce, il metodo naturale. E ho  cambiato gestione. Ho messo da parte tutto quello che mi era stato insegnato e ho ricominciato da capo. E adesso, come può vedere, i nostri cavalli sono liberi di pascolare in paddock tutto il giorno”.

Quanti cavalli gestite al momento?

“Una settantina. Dieci sono miei, alcuni adottati tra quelli salvati dall’associazione. Poi teniamo a pensione anche 25 cavalli di clienti privati. Abbiamo 43 ettari a disposizione, è un paradiso, e lo spazio non manca. Ma non ci sono solo cavalli, c’è un po’ di tutto: asini, mucche, cani…E’ una vera azienda agricola”.

Concretamente, cosa fate e quanti siete?

“Nel team Islander siamo una decina, ognuno con una sua responsabilità. C’è chi si occupa delle segnalazioni su cavalli sfruttati o maltrattati, chi dell’adozione, ci sono i volontari. E poi collaboriamo con tanti veterinari, etologi e una rete di amici in tutta Italia che ci assistono sia nel centro di recupero, sia per i cavalli che diamo in pre-affido e nei controlli post-affido”.

Chi vi segnala gli abusi sui cavalli?

Molte sono segnalazioni che arrivano dai privati anonimi attraverso la nostra mail (segnalazioni@progettoislander.it). Li capisco…dati i soggetti coinvolti hanno paura di ritorsioni. A volte sono proprietari o persone che frequentano maneggi e si accorgono di qualche cosa di strano, altre volte sono cittadini che assistono personalmente a maltrattamenti”.

C’è omertà nel mondo dell’equitazione?

“Purtroppo sì, tanta”.

Le forze dell’ordine che ruolo hanno?

“Con loro abbiamo collaborato e collaboriamo spesso. Se effettuano un sequestro ci chiedono di diventare i custodi giudiziari dei cavalli. In questo momento, a Castel di Guido, vicino Roma, stiamo appunto gestendo un sequestro di 70 cavalli, trovati pelle e ossa”.

Quanti cavalli avete salvato finora?

“Dal 2012 siamo a circa 500”.

Vi arriva una segnalazione, cosa fate?

“Se possibile, portiamo il cavallo al nostro centro di recupero e qui iniziamo un percorso riabilitativo a livello sia fisico che psicologico. Una volta che il cavallo è tornato in salute e riteniamo che sia pronto, lo diamo in adozione. Naturalmente controlliamo chi lo prende, sia prima che dopo l’affido, perché noi restiamo i custodi giudiziari”.

Chi si prende un cavallo maltrattato?

“Le richieste per cavalli domati e in salute sono tante. Più difficili sono quelle che chiamiamo le adozioni del cuore. Cavalli che non possono più essere montati, o perché molto anziani o perché i danni fisici o psichici sono troppo grandi. Alcuni cavalli restano con noi e sappiamo che li terremo per sempre”.

A volte va male?

“Siamo molto  attenti e quindi, prima di dare in adozione un cavallo, ci assicuriamo che sia davvero a posto. Solo una volta ci è capitato un incidente. Un cavallo che era stato trattato così brutalmente da aver sviluppato una forte aggressività contro l’uomo. Dopo mesi di paziente lavoro con noi, sembrava aver superato il trauma e la nuova proprietaria era contenta. Ma in una occasione, senza aver dato alcun preavviso, la attaccò all’improvviso mordendola al seno”.

E’ mai successo che vi siate ripresi un animale dato in affido?

“Come no! In alcuni casi, quando abbiamo capito che il cavallo era sfruttato in maniera non corretta, abbiamo revocato l’affido. Un cavallo anziano, con più di 30 anni, veniva utilizzato da un maneggio per portare in passeggiata i principianti. E glielo abbiamo tolto”.  

Quali sono le discipline più a rischio per i maltrattamenti?

“Non voglio gettare la croce su una disciplina piuttosto che un’altra, anche perché sono tutte potenzialmente a rischio. Il problema sono sempre i singoli, non gli sport. Senza quindi generalizzare, si può dire che abbiamo riscontrato tanti problemi con la doma vaquera, quella con i cavalli spagnoli. Troviamo cavalli segnati  da speroni molto duri e dalla cagna o serreta, un capezzone da doma che spesso ha delle punte all’interno che provocano ferite e lacerazioni sulle parti più sensibili e delicate del naso. Ma anche l’endurance è a rischio, perché ci sono cavalli portati al limite, allo stremo delle forze. Vogliamo parlare del salto ostacoli? Speroni elettrici e protezioni per gli arti anteriori che in realtà nascondono punte: se il cavallo tocca l’ostacolo sente dolore e quindi si abitua a saltare più in alto. Ma se queste sono torture evidenti, ci sono anche maltrattamenti meno visibili ma altrettanto duri. Anche tenere un cavallo legato alla posta tutto il giorno, senza che possa muoversi, magari in un ambiente poco illuminato o arieggiato. Oppure senza contatti con i suoi simili, perché non dimentichiamo mai che in natura i cavalli sono animali sociali, da branco”.

In Italia si fa abbastanza?

“La verità? Ancora no. Anche le federazioni potrebbero attivarsi di più. Noi possiamo intervenire se vediamo qualche abuso durante una gara o una manifestazione. Per esempio a Fiera cavalli a Verona siamo di supporto nella commissione etica che controlla che non ci siano maltrattamenti. Siamo i rompiscatole ufficiali. Ma non possiamo controllare quello che avviene nei maneggi affiliati alle varie federazioni. Noi non possiamo, loro invece potrebbero. E raramente lo fanno”.

Perché un proprietario o un atleta dovrebbe maltrattare il proprio cavallo? Non ha senso…

“Il problema è spesso la fretta e anche…l’ignoranza. Dicono: si è sempre fatto così. Ma per fortuna l’umanità evolve. Il dolore e i metodi coercitivi sono certamente più veloci, ma non è vero che siano i migliori. Con la corretta comunicazione, basata sull’etologia, i risultati sono migliori e i cavalli restano competitivi anche più a lungo. Ma noi vogliamo tutto e subito, abbiamo fretta. Dobbiamo vendere subito un cavallo o prepararlo in poco tempo per una gara. Così montiamo imboccature sempre più forti, bardature sempre più coercitive. Il dolore è la scorciatoia a portata di mano”.

Lei è la nipote di Silvio Berlusconi, la figlia del fratello Paolo. Nel suo mondo il cognome Berlusconi è un fardello o un passpartout?

Sbuffa. “Dobbiamo proprio parlare della mia famiglia? Il cognome che porto rappresenta un onere e un onore: è un motivo in più per fare le cose al meglio”.