Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma 123, 2022, pp. 135-157
DOI:
La forma urbis e la scienza.
Riflessioni sui primi risultati di nuove analisi
In uno degli ultimi numeri di Minerals, una rivista
scientifica internazionale non estranea a indagini archeometriche, sono stati pubblicati i primi risultati di una ricerca compiuta congiuntamente da più istituzioni: la Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali (Musei
Capitolini), il Consiglio Nazionale delle Ricerche (Istituto
di Geologia Ambientale e Geoingegneria), l’Universitat
Autònoma de Barcelona (Departament de Geologia),
l’Institut Català d’Arqueologia Clàssica e l’Universitat de
Barcelona (Departament de Mineralogia, Petrologia i
Geologia Aplicada, Facultat de Ciències de la Terra)1.
L’obiettivo che ci si era posti era innanzitutto determinare, attraverso il prelievo di un numero significativo di
campioni – più di 100 unità –, la provenienza del marmo
di cui sono composte le lastre della pianta severiana.
Si tratta di una questione che aveva già avuto una risposta sostanzialmente corretta in letteratura, ma non
ancora specifiche analisi scientifiche2. Come è detto in
maniera più approfondita nello studio recentemente
pubblicato, i campioni sono stati sottoposti a un insieme
di tecniche analitiche (tra cui analisi mineralogiche, petrografiche, isotopiche e di catodoluminescenza).
Riguardo la provenienza del marmo il risultato non è
sorprendente, dal momento che i dati petrografici (osservazione in microscopia ottica dei campioni in sezione
sottile), isotopici e di catodoluminescenza evidenziano
le caratteristiche tipiche del marmo proconnesio. Che
lo studio fosse necessario (e necessario sarà estenderlo a
tutti i frammenti) è dimostrato tuttavia dalla rilevante
eccezione del frammento 238a, di cui si dirà brevemente
più avanti.
Di particolare importanza è la novità sull’ulteriore
utilizzo della catodoluminescenza (CL) che si aggiunge
insieme alla descrizione petrografica e alla composizione
isotopica come strumento utile negli studi di provenienza sui marmi antichi.
La catodoluminescenza è diventata una tecnica standard per le indagini in diversi campi delle geoscienze e
delle scienze dei materiali ed è stata introdotta nello
studio dei marmi antichi verso la fine degli anni Ottanta
del Novecento3. Si tratta di una tecnica di caratterizzazione fisica che consiste nell’emissione di luce da parte
di un materiale quando questo viene colpito da un
fascio di elettroni incidenti. Nei minerali, la risposta
luminescente dipende dalla presenza di difetti strutturali
o di impurità chimiche rilevabili in traccia al loro interno. In particolare, esistono determinati elementi chimici che possono attivare, modificare o inibire la risposta
luminescente propria di un determinato minerale.
Così, nel caso della calcite, minerale costitutivo dei
marmi bianchi, la risposta che si osserva è un colore
blu di debole intensità; tuttavia, piccole quantità di
1
CASAS et al. 2021: le note che seguono riprendono quanto esposto più
analiticamente in quella sede. Le parti più specificamente tecniche sono a
cura di Mauro Brilli, Lluís Casas e di Roberta Di Febo. Le riflessioni e le
conclusioni, nell’ambito delle rispettive competenze, sono di tutti gli autori.
2
Un tentativo, con le tecniche allora disponibili, fu compiuto nel 1984
da Lucos Cozza, che fece avere diversi campioni al laboratorio del British
Museum. Le finalità della ricerca (provenienza del marmo ed eventuale connessione tra due frammenti relativi al Foro Romano) erano in tutto simili a
quella odierne. Presso gli archivi dei Musei Capitolini non è conservata alcuna menzione di questo tentativo. Si veda tuttavia TUCCI 2017, pp. 358360, che riferisce della vicenda e degli inconcludenti risultati.
3
BARBIN et al. 1989 e 1992.
2
Mauro Brilli, Lluís Casas, Roberta di Febo, Francesca de Caprariis, Claudio Parisi Presicce
manganese possono rendere tale risposta intensa e di
colore rosso/arancione, mentre la presenza di ferro può
sopprimere completamente la catodoluminescenza. In
base al rapporto quantitativo tra elementi attivatori e
inibitori, l’emissione luminosa può assumere diverso
colore (rosso, arancione, blu, ecc.), intensità (alta, media,
bassa) e distribuzione (omogenea, eterogenea). Da un
punto di vista tecnico, l’analisi si basa sull’osservazione
del campione preparato in forma di sezione sottile standard attraverso un microscopio petrografico accoppiato
a un sistema di catodoluminescenza. La radiazione visibile emessa dal campione, quando viene bombardato
da elettroni, viene registrata in forma di microfotografie.
In letteratura esistono diversi database di microfotografie
di riferimento, dette cathodomicrofacies, relativi ai principali distretti di cava delle aree del Mediterraneo centrale e orientale e che possono essere utilizzati per studi
comparativi4.
La finalità dello studio archeometrico intrapreso sulla
forma urbis non è stata solo quella di stabilire la provenienza delle lastre marmoree, ma anche e soprattutto
di risolvere questioni specifiche relative allo studio della
pianta marmorea, come l’attribuzione di determinati
frammenti a una specifica lastra, la corrispondenza tra
coppie di frammenti, la verifica di ipotesi di affinità basate su evidenze archeologiche. Innovativo è stato sia
l’uso della catodoluminescenza sia l’approccio utilizzato,
che differisce nettamente da quelli standard.
Gli studi tradizionali di catodoluminescenza prevedono una descrizione qualitativa delle caratteristiche
dei campioni in termini di colore, intensità e omogeneità, mentre nel caso specifico della forma urbis, lo
studio di catodoluminescenza si è concentrato sulla descrizione quantitativa e statistica del colore. La risposta
catodoluminescente del marmo proconnesio è normalmente molto bassa e con colori dello spettro blu-viola.
Di conseguenza, per valutare la somiglianza di risposta
tra campioni diversi è stato necessario usare tempi di
esposizione elevati (15 secondi) e soprattutto misurare
quantitativamente il colore medio ottenuto nello spazio
dei colori RGB. Nello spazio cromatico RGB qualsiasi
colore si può definire come una combinazione di un
certo contenuto di rosso (R), verde (G) e blu (B).
In questa maniera ogni colore ha la sua posizione
nello spazio cromatico ed è possibile calcolare quantitativamente la distanza tra colori diversi. Tale distanza
fornisce informazioni sulla similarità (distanza piccola)
o diversità (distanza grande) tra due colori. Tutti i colori
misurati sono relativamente simili, come ci si aspetterebbe nel caso dell’uso di uno stesso tipo di marmo per
tutte le lastre. Comunque, la quantificazione del colore
misurata per tutti campioni è stata utile per stabilire il
campo di variazione cromatica di riferimento del marmo
della pianta severiana.
Visivamente parlando, si potrebbe dire che due campioni che si collocano lungo i margini opposti di questo
campo cromatico vengono considerati distanti (0% di
similarità). Viceversa, più la loro distanza all’interno
del campo cromatico di riferimento diminuisce, maggiore sarà la loro similarità. Una similarità del 100%
implica che i colori coincidano esattamente.
La metodologia è stata dapprima testata su quei campioni che appartenevano senza dubbio alla stessa lastra
(vale a dire nei casi chiarissimi di frammenti fisicamente
combacianti o parte di un nucleo di frammenti combacianti). In questo caso, i risultati mostrano valori
molto alti di similarità, considerando una similarità minima di almeno il 70% come soglia. Gli scarsi casi in
cui i valori di similarità sono bassi sottolineano il fatto
che c’è sempre una certa possibilità di trovare eterogeneità naturali a breve distanza nei marmi studiati5.
Una volta testata la metodologia, è stato possibile stabilire che bassi valori di similarità tra due campioni
possono essere considerati come un’indicazione, scientificamente fondata, di bassa probabilità di appartenenza
a una stessa lastra. Dall’altro lato, è importante però
sottolineare che alti valori di similarità tra due frammenti non implicano necessariamente che essi siano
collegati, perché lastre diverse potrebbero effettivamente
condividere le stesse caratteristiche cromatiche. La prima
questione di interesse per gli studiosi (è possibile stabilire
se il frammento x fa parte della stessa lastra del frammento
y?) non può dunque trovare risposta positiva.
Come si diceva, sono stati selezionati gruppi di frammenti oggetto di alcune tra le ipotesi più discusse e interessanti della storia degli studi sulla pianta marmorea:
la pertinenza alle lastre di Palatino e adiacenze del
gruppo 40acd (Adonaea); del gruppo 70ac, 103 (tempio
di Faustina); del gruppo 452 (C[uriae]vetae[res?]). Si è
cercato di determinare con certezza l’appartenenza alla
lastra 5 (Celio; IX-5 nella numerazione Stanford) del
celebre gruppo 42a-de = 5Abcd e, ancora, di verificare
la pertinenza alla lastra 29 (V-9 Stanford) del gruppo
517a-f. Su alcuni dati è opportuno soffermarsi brevemente, in particolare nei casi di incompatibilità tra
gruppi/frammenti.
Nel caso del Palatino è necessario un caveat: compatibilità o incompatibilità delle relazioni rispetto alla
lastra dipendono dal cardine costituito dal frammento
18a. Questo è l’unico frammento appartenente alla
lastra verticale del quinto filare (18, VII-11 Stanford)
che comprende il Palatino e dunque è l’unico disponibile
per una verifica. È necessario considerare in proposito
che l’attribuzione al tempio dei Castori, sicura per la
BLANC et al. 2020.
La presenza di eterogeneità, infatti, è correlata a volte a caratteristiche
macroscopiche, come nel caso dei campioni 28a e 28c, certamente pertinenti
alla stessa lastra. Il confronto tra i due produce una percentuale di similarità
piuttosto bassa (60%) dovuta al fatto che le caratteristiche vene parallele del
marmo proconnesio sono molto più visibili nel campione 28c che in 28a.
4
5
La forma urbis e la scienza. Riflessioni sui primi risultati di nuove analisi
3
1a-b. Il frammento 238: A. nel suo stato più conservato (da Pianta 1960); B. nello stato attuale (foto © Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali).
maggioranza degli studiosi e per chi scrive, non è unanime6. Mentre i dati di compatibilità possono contribuire a riaprire questioni che sembravano chiuse7, si registrerebbe, nel dato negativo, il definitivo trasloco del
gruppo degli Adonaea dal Palatino, dopo un’occupazione
di diversi secoli, a cominciare dall’area del Giardino
Spada nella fantasmagorica restituzione di Francesco
Bianchini all’area della Vigna Barberini nella più recente
e autorevole ripresa della questione da parte di Filippo
Coarelli8.
Più interessanti e fondati su basi più solide sono gli
altri risultati che emergono da questa prima tornata di
analisi. Tra i frammenti presi in considerazione, solo
per il frammento 238a le analisi isotopiche indicano
una diversa provenienza del marmo (possibilmente cave
di Aphrodisias o in alternativa le varietà non lichnitiche
di Paros). Il dato è di interesse straordinario in quanto
il frammento, in condizioni evidentemente più integre,
fu trovato ai piedi della parete dell’Aula del Tempio
della Pace e condivide lo stesso iter di provenienza della
maggioranza dei frammenti: scoperta nel 1562 e trasporto a Palazzo Farnese. Il frammento, di cui il disegno
del codice vaticano integra la parte perduta (Fig. 1, ab), rappresenta un tempio (238ab) che Emilio Rodríguez Almeida ha collegato alla lastra 37 (IV-6 Stanford),
corrispondente all’area del Campo Marzio compresa
tra i templi di Largo Argentina e il settore meridionale
del gruppo del vicus Stablarius (252,272).
La presumibile posizione (determinata, in assenza di
contatti con altri frammenti, da andamento delle venature, spessore ecc.) e la rappresentazione del tempio,
un periptero allungato con fronte esastila e adyton, sono
gli elementi che hanno portato Rodríguez Almeida a
identificarlo con il tempio di Marte in circo (a sua volta
collocato da una lunga tradizione di studi in corrispondenza delle strutture sotto la chiesa di San Salvatore in
Campo) 9. Si tratta di un’attribuzione che richiede ora
un ripensamento critico.
Sarà necessario ridiscutere e campionare tutti i frammenti
pertinenti alla lastra 37 o relativi al nucleo a suo tempo
6
È oggi da escludere l’ipotesi che questo come altri frammenti che condividono anche iter di rinvenimento e provenienza (ad es., il fr. 38, Thermae
Agrippae) appartenga a una pianta pre-severiana. Per il frammento 18a si
veda specificamente STEINBY 1989, pp. 24-33, con bibl. prec. Diversa è l’ipotesi di PALOMBI 2007, pp. 279-290, che propone di attribuire frammento e
raffigurazione ad altra lastra e ad altro monumento. Nella complessa interpretazione di questo frammento pesa la differenza tra realtà e rappresentazione delle architetture incise: si tratta però di differenze relativamente
comuni nella pianta marmorea e soprattutto per i monumenti del Foro Romano, resi con una trascuratezza e con un tratteggio sintetico solo parzial-
mente giustificati dalla densità monumentale di questo settore (si veda MUZ2014, pp. 107-122).
7
Per la questione di Vigna Barberini e dell’area delle pendici palatine i
due studi di C. Cecamore (CECAMORE 1999 e 2002) hanno ricevuto difficile
accoglienza nella letteratura scientifica: forse questi dati possono essere occasione di una revisione complessiva, a partire dalle caratteristiche fisiche
della relazione tra i frammenti e la griglia della parete.
8
COARELLI 2012, pp. 515-526, ma si veda già BRUNO 2012, pp. 243244.
ZIOLI
4
Mauro Brilli, Lluís Casas, Roberta di Febo, Francesca de Caprariis, Claudio Parisi Presicce
2. Localizzazione ipotetica del gruppo 42, G. Gatti (da Pianta 1960).
isolato da Rodríguez10 per aver qualche dato più definito,
ma la conclusione per ora inevitabile è che il frammento
238ab non rappresenta il tempio di Marte in circo, o, se lo
rappresenta, non appartiene alla pianta severiana.
Di grande interesse è anche il contributo del dato negativo nella questione del gruppo 517a-f in relazione alla
parte bassa della lastra verticale 29 (Fori Imperiali; V-9
Stanford): si tratta di un’importante ipotesi di posizionamento su base topografica proposta anni fa da Tucci11.
Nel complesso problema del percorso dell’Aqua Marcia
fino in Campidoglio ora è possibile forse concentrarsi
sulla fondatezza e operabilità di altre ricostruzioni12.
Non è del tutto inaspettato, ma il più clamoroso per
importanza nei risultati negativi è il dato di incompatibilità dei frammenti della lastra 5 (IX-5 Stanford, tempio
del Divo Claudio) con quelli relativi al gruppo 42a-de,
che contiene l’iscrizione iconica e datante della pianta
marmorea, Severi et An/tonini aug[g]/nn. Guglielmo
Gatti aveva inserito il gruppo tra i complessi non localizzati, lasciando interlocutorio il posizionamento che
è poi divenuto definitivo (fig. 2)13. La mancata appartenenza dei frammenti alla pendice nord-orientale del
Palatino, dove erano stati collocati da Lanciani14, era
soprattutto conseguenza dell’inserimento del frammento
42f nel resto del gruppo: in tal modo l’ampiezza della
lastra si rivelava incompatibile con quelle, in verticale,
relative al settore Palatino-Velabro.
Si rivelano qui fondati i dubbi di Gatti espressi nei
decenni a venire anche da altri studiosi15, ma rimane
chiaramente valido il ragionamento relativo alle relazioni
lastra/parete, per cui è fuori dubbio l’appartenenza del
gruppo a una lastra orizzontale del settore più alto. Su
queste possibilità conviene dunque concentrare le ricerche future.
Queste alcune delle novità che ci premeva condividere
in una sede con lettori di formazione archeologica e
con interessi nella topografia antica di Roma antica.
Soprattutto è importante condividere alcune riflessioni.
Sono confermate le potenzialità di questa indagine e
l’opportunità di estendere la campionatura a tutti i frammenti: l’intenzione è dare agli studiosi un ulteriore elemento di verifica e controllo di possibili relazioni tra i
frammenti, uno strumento che deve avere tuttavia regole
e modalità interpretative ben considerate e affinate.
9
Si veda da ultimo CAVALLERO 2018, pp. 317-334, con bibliografia aggiornata.
10
RODRÍGUEZ ALMEIDA 1991-1992, fig. 12.
11
TUCCI 2006, pp. 63-73.
12
SAVIANE 2022, pp. 177-179, con bibliografia aggiornata.
13
Pianta 1960, pp. 109-111 (G. Gatti). La questione fu ripresa da Rodríguez Almeida (1980, pp. 65-69), che ribattezzò come 5A il gruppo, rendendo così definitiva l’ipotesi di collocamento.
14
LANCIANI 1885, pp. 157-160.
15
Si vedano i dubbi in proposito di PAVOLINI 2006, pp. 44-45; per la questione rimando a DE CAPRARIIS 2016, pp. 87-88.
La forma urbis e la scienza. Riflessioni sui primi risultati di nuove analisi
Come sappiamo, la ricerca di attacchi tra i frammenti
della pianta è stata definita a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso grazie allo studio della parete
che ha restituito l’impronta della griglia delle lastre. Da
allora margini, grappe, tasselli, insieme all’analisi di rovesci, spessori, venature, andamento delle tracce di segagione sono alla base di ogni approccio di ricerca di
attacchi tra i frammenti della pianta severiana. La prima
questione è naturalmente quale posizione può occupare
questo nuovo potenziale arnese in un armamentario
formato essenzialmente da relazioni fisiche.
Come si è detto, la compatibilità tra frammenti non
è da sola garanzia di appartenenza alla stessa lastra: può
essere tuttavia un elemento importante, anche se non
decisivo, nel lavoro di accostamento.
In altre parole, una volta esteso a tutti i frammenti – e
sviluppati al massimo i dati percentuali – il nesso di
compatibilità tra due o più frammenti potrà coadiuvare
i dati fisici (tipo di rovescio, spessore ecc.) per stabilire o
affinare eventuali rapporti di vicinanza o di pertinenza.
L’incompatibilità tra frammenti promette invece qualcosa
di più. Anche qui occorrerà estendere il campo di indagine
a tutti i frammenti, ma anche in attesa di un censimento
completo si può da subito osservare il maggior peso e l’utilità per la ricerca che viene ad assumere il dato negativo.
Non è possibile determinare con certezza se i frammenti x e y appartengano alla stessa lastra, ma è possibile
stabilirne la reciproca incompatibilità e questo è insieme
un dato positivo e un buon punto di partenza.
5
CAVALLERO 2018
CECAMORE 1999
CECAMORE 2002
DE CAPRARIIS 2016
LANCIANI 1885
MUZZIOLI 2014
PALOMBI 2007
PAVOLINI 2006
Pianta 1960
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Abstract
The authors summarize recent analysis on the fragments of the severan marble plan focusing particularly on cathodoluminescence
(CL) microscopy and stable isotopes (Minerals 2021; 11(12):1400). Some of the consequences of the results on some reconstructions
of the fragments are briefly discussed.
Keywords: Forma Urbis; severan marble plan; cathodoluminescence; Adonaea; Palatino; tempio di Marte in circo; topografia del
Celio; Aqua Marcia.