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Editoriali

Nella politica americana c’è una metafora alla quale si ricorre per descrivere quelle situazioni in cui un problema si ingigantisce in silenzio e di nascosto nel tempo fino a quando, all’improvviso, diventa catastrofico. Il detto dice più o meno: «Una diga non si rompe finché non si rompe, e quando si rompe è troppo tardi». La situazione oggi a Washington appare più o meno così. Le dighe stanno per rompersi. Le preoccupazioni per l’età di Joe Biden e la sua attitudine a governare, i suoi momenti di incoerenza e di confusione, si vanno accumulando da anni. Tuttavia, la diga crollata dopo la disastrosa performance di Biden nel dibattito televisivo ha fatto della sua capacità di governare l’argomento centrale della politica americana. Non basta: c’è un’altra diga, più grande, che non si è ancora rotta ed è quella a difesa della candidatura di Biden. La sua rottura, tuttavia, sembra che possa avvenire nel giro di pochi giorni, o in una settimana o due. Nel caso in cui un gran numero di democratici del Congresso dovesse firmare una lettera che gli chiede di fare un passo indietro, Biden si troverebbe in grossi guai.

Se dovesse inciampare ancora – adesso che ogni suo movimento è monitorato come al microscopio – per Biden calerebbe il sipario. Ufficialmente, con l’eccezione di pochi sconosciuti membri del Congresso, i democratici sono solidali con il loro presidente. In realtà, dietro le quinte, le onde d’urto del panico si stanno ancora propagando, e nel dibattito pubblico adesso predomina la questione di chi potrebbe sostituire meglio Biden come candidato del Partito democratico. Prima in lista è Kamala Harris, in quanto vicepresidente. Nei sondaggi è dietro Trump di due o tre punti. All’interno del Partito democratico sfidarla sarebbe considerato un atto razzista, perché è una donna di colore e di origini asiatiche. Se sarà lei la sostituta di Biden, senza dubbio sceglierà un maschio bianco come suo vice, possibilmente il governatore di uno degli swing state, gli “stati in bilico” dove si deciderà l’esito delle elezioni. Questo è il motivo per cui potreste sentire parlare di Josh Shapiro, il governatore della Pennsylvania, uno degli stati in bilico insieme a Wisconsin, Arizona, Nevada, Michigan, Georgia e North Carolina.

Biden sta puntando tutto sulla sua abilità di presentarsi e comportarsi bene nei prossimi giorni. Intende proiettarsi come leader al summit della Nato della settimana prossima a Washington. Oggi concederà un’intervista spontanea e senza limitazioni a George Stephanopoulos di ABC Television. L’emittente doveva mandarla in onda domenica, ma ha deciso di anticiparla. Ormai la saga Biden si sta sviluppando come un reality show, il che sembra alquanto appropriato, tenuto conto che questo è lo stile che Trump ha impresso alla politica americana. La ricerca di un’alternativa a Biden intanto va avanti. Il suo team sta giocando d’azzardo, scommette che, se in televisione stasera apparirà lucido e pieno di energie, riuscirà a guadagnare qualche giorno di sopportazione in più da parte del numero sempre crescente di donatori e di membri democratici del Congresso che vogliono sostituirlo. Se si presenta bene a un comizio nel Wisconsin e a un altro evento in Pennsylvania, potrebbe aiutare ma non bastare.

Dopo aver parlato con un buon numero di amici a Washington, mi sono fatto l’opinione che se Biden sarà sostituito, i democratici perderanno le elezioni comunque, perché ci saranno profonde divisioni interne al partito e in ogni caso non ci sarà un candidato più forte di Trump. Non lo è nemmeno Gavin Newsom, il governatore della California che preferirebbe correre per la Casa Bianca nel 2028 ma che al momento, con il 43 per cento, è dietro Trump nei sondaggi di opinione di quattro punti percentuali. Se Biden riuscirà a sopravvivere all’attuale crisi, potrebbe anche rimanere il candidato del suo partito, ma a mio avviso, a quel punto vincerà Trump. Per i democratici le speranze stanno svanendo.

In tutto questo Donald Trump continua a essere un criminale condannato, un molestatore sessuale, un colpevole di frodi bancarie ed evasione fiscale, l’uomo accusato di aver istigato un’insurrezione violenta. Ma per il New York Times – che sta seguendo la crisi di Biden con uno zelo insolito e come se fosse uno scandalo equivalente al Watergate – il tema centrale non è Trump, è Biden. Per Trump la crisi Biden è una manna dal cielo.

intanto festeggia la sua immunità, grazie ai suoi amici alla Corte Suprema, e va avanti a testa bassa con il “Progetto 2025”, un piano per la creazione di campi di internamento e deportazioni su grande scala, insieme a una purga del governo federale. Trump inoltre intende installare alla Casa Bianca, al Pentagono, alla Cia, al Dipartimento della Giustizia, all’Fbi e dappertutto suoi “fedelissimi” preapprovati. La maggioranza Maga della Corte Suprema degli Stati Uniti ha ora dato a Trump un’immunità pressoché totale. In sostanza, questa odiosa corte ha caricato una pistola e gliel’ha messa in mano. Non ci saranno più limiti.

Adesso Trump può infrangere la legge come gli pare e piace, può fermare quasi tutti i processi contro di lui, dichiarare una guerra commerciale all’Europa, sganciarsi dalla Nato, invitare Viktor Orbán e Marine Le Pen alla Casa Bianca, e consegnare al suo amico Vladimir Putin metà Ucraina su un vassoio d’argento. Siete pronti per tutto questo? Ah, a proposito: ci sono anche buone possibilità che Trump riesca a fare piazza pulita e dare ai Maga repubblicani anche il controllo della Camera e del Senato. Con una Corte Suprema Maga estremista, con il controllo sia della Casa Bianca sia del Congresso, Trump sarebbe nella posizione di poter fare qualsiasi cosa gli piaccia. L’America diventerebbe una democrazia illiberale, o peggio. Temo per il mio Paese.

Traduzione di Anna Bissanti

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