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Analisi

Libano, una crisi cominciata con la guerra in Siria

Tra le tante emergenze che scuotono il paese, due milioni di profughi in fuga dal regime di Assad. Da quel momento ha avuto inizio il repentino crollo economico

Libano, una crisi cominciata con la guerra in Siria

Il boato di Beirut è l’urlo nero di un Paese esanime, imploso sotto il peso della sua sfortunata geografia, della sua complessa storia e della sua farraginosa architettura istituzionale. Le macerie della capitale sono la metafora di uno Stato ridotto alla fame quando fu, sino a 45 anni fa, all’inizio della guerra civile, “la Svizzera del Medio Oriente”. Per la prima volta dal 1975 nella classifica delle preoccupazioni la profonda crisi economica precede i conflitti e le tensioni geo-strategiche con gli ingombranti vicini, Siria e Israele. E tuttavia è impossibile scindere le due emergenze, in verità assai interconnesse, che stringono il Libano come una tenaglia fino a farlo soffocare.

Beirut è abituata alle bombe. Non a “questa” bomba. E se pure nessuno ne ha provocato l’innesco, è stato al minimo criminale da parte del potere costituito, distratto dalle manifestazioni di piazza e dal difficile contrasto della pandemia, lasciare per sei anni stoccate nel porto 2750 tonnellate sequestrate su una nave di nitrato di ammonio, un composto chimico usato dai gruppi terroristici per fabbricare ordigni.

vedi anche:

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Beirut addio, volto di un mondo impazzito

Senza acqua e senza elettricità, occupata da eserciti stranieri, allo stremo. E infine la grande esplosione. In cui sono rimaste uccise centinaia di persone chiuse in casa per il lockdown. L'ex Parigi del Medio Oriente è una città senza tregua, maledetta, troppo piccola per fare i conti con tanta ingiustizia


Sono i precedenti ad alimentare i sospetti, anche in mancanza di prove, a causa del consolidato retro-pensiero per il quale nulla da quelle parti succede per caso. E nonostante la ragione porti a concludere che, qui ed ora, un attentato non è negli interessi dei soliti attori. Non di Hezbollah, il partito di Dio sciita filo-iraniano, il cui ramo politico sostiene, assieme ai cristiano-maroniti, il governo del tecnocrate Hassan Diab e a dispetto della coincidenza con i giorni della sentenza attesa da 15 anni per i suoi quattro esponenti accusati dell’omicidio dell’ex premier Rafiq Hariri. Non di Israele, l’arcinemico di sempre, col quale dal 2006 è in atto una tregua fredda e che, al netto dei suoi problemi nell’intero scacchiere, non avrebbe potuto permettersi una eventuale e possibile strage di soldati della missione internazionale, presenti nel porto dell’Apocalisse (un italiano è rimasto ferito).

Semmai Hezbollah ha altre colpe. Il suo ramo militare ha trascinato il Libano nel pantano siriano per correre a difesa del presidente Bashar Assad e così contribuendo alla massiccia ondata di profughi, circa due milioni, insostenibile per il Paese dei Cedri che ne conta di suo il doppio (come se in Italia arrivassero 30 milioni di rifugiati). È stato un repentino precipitare in una crisi economica di dimensioni epocali, favorita anche da altri fattori come l’incremento del debito pubblico dovuto alle assunzioni clientelari nella pubblica amministrazione (170 per cento sul Pil, il secondo al mondo), il calo dei deposito nelle banche dovuto all’instabilità politica, ill crollo del valore della lira.

La crescita del Pil è scesa dall’8 per cento del 2010 sino a sfiorare lo zero attuale, il saldo delle spese correnti, rispetto al Pil, è peggiorato dal meno 15 al meno 30 per cento, gli investimenti diretti dal 14 al 6 per cento. E le cifre macro si sono riverberate ben presto nell’economia reale: inflazione galoppante, stipendi ridotti a un terzo, disoccupazione al 37 per cento tra gli under 25. “Save the Children” stima che nella Grande Beirut 910 mila persone non hanno soldi per comprare cibo e di questi più della metà sono bambini.

L’autunno scorso le manifestazioni contro un regime giudicato corrotto e incapace hanno portato in piazza soprattutto giovani, senza divisioni confessionali e accomunati dalla mancanza di prospettive future. Non hanno desistito nelle proteste nemmeno con la pandemia che ha preggiorato le loro condizioni. Ora il colpo di grazia dell’arci-bomba che ha raso al suolo il porto. Cosa di più importante per la Beirut del mare e dei commerci?
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