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Non lasciamo sole le famiglie è ora di passare ai fatti e riaprire i centri di aiuto

Non lasciamo sole le famiglie è ora di passare ai fatti e riaprire i centri di aiuto
In un primo momento le istituzioni ossia Stato, Regione, Comuni e le associazioni che si occupano di disabili si sono trovate a dover fronteggiare l’emergenza senza sapere esattamente cosa sarebbe successo. Una volta compresa la situazione, la risposta delle istituzioni non è stata immediata e solo successivamente è iniziato un confronto e un dialogo con le associazioni di disabili, per concordare soluzioni condivise. Ma non si è passati del tutto dalle parole ai fatti. Tante promesse non sono state mantenute e inoltre questa emergenza ha prodotto spese inattese. Alcune famiglie con figli disabili, a causa della chiusura dei centri diurni dove i loro figli ricevevano assistenza, svolgevano attività per stimolare la socialità e acquisivano competenze, si sono trovate da sole a fronteggiare la situazione ossia a gestire la difficile quotidianità dei loro figli, al massimo ricevendo dai centri una telefonata alla settimana per sapere come stavano. Così facendo le famiglie si sono sentite sempre più sole e arrabbiate e alcune senza lavoro oppure in cassa integrazione non hanno più saputo dove sbattere la testa. Non possiamo dire alle famiglie che ci vuole ancora del tempo perché di tempo non ne non né hanno più. Noi come associazione Ledha che lavora per i diritti delle persone con disabilità, stiamo facendo il possibile per migliorare la situazione perciò avere risposte più chiare da parte delle istituzioni ci permetterebbe di dare a nostra volta risposte più chiare alle famiglie.
Roberto Morali

Come dice Roberto inizialmente la situazione ha colto tutti alla sprovvista e non si sapeva cosa fare. Le considerazioni del danno economico sono prevalse su tutto, cancellando di fatto anche diritti acquisiti tipo la possibilità per persone disabili di frequentare centri diurni. Togliere questi luoghi ad un ragazzo disabile è più impattante sulla sua vita e quella della sua famiglia rispetto al chiudere le scuole, palestre o centri di aggregazione per persone normodotate che, in quanto autosufficienti, sono in grado seppur con fatica di organizzarsi la vita. Oltre alla chiusura dei centri diurni, si era già cominciato a togliere fondi alle famiglie per l’assistenza ai disabili prima del periodo di massima emergenza quando la Regione per esempio voleva sospendere le misure B1 e B2 (che permettevano di pagare una persona per accudire i propri figli). Per fortuna poi, durante l’emergenza i contributi non sono stati sospesi. Mi auguro che dopo questo periodo continuino ad essere erogati. Giustamente all’inizio anche in questo caso, per tutelare la salute delle persone disabili e i loro famigliari, i servizi e i centri sono stati chiusi. Adesso che la fase di chiusura totale è passata ci si aspettava una riapertura che però al momento non c’è stata. Telefonare una volta la settimana per chiedere come si sta può essere solo vissuto come una presa in giro. Inoltre nel momento in cui i centri riapriranno potranno accogliere solamente un terzo delle persone di prima e la difficoltà sarà anche stabilire chi potrà essere accolto e chi no. Ci sono molte criticità ma qualcosa deve essere fatto. I problemi sono tanti e vorremmo che oltre ad aprire tavoli di lavoro con tante idee interessanti, si arrivasse a metterle in pratica in modo urgente. Evitiamo di lasciare le famiglie da sole in preda alla depressione, rabbia e disperazione. Cerchiamo di aiutarle nel miglior modo possibile e in tempi rapidi, perché non si può chiedere ancora dell’altro tempo alle famiglie: adesso è giunto il tempo di agire.

*Mattia Abbate, l’autore di questa rubrica, è affetto da distrofia muscolare di Duchenne. "Questo spazio dice - è nato per aiutare chi convive con difficoltà di vario genere ad affrontarle e offre alle persone sane un punto di vista diverso sulla realtà che le circonda". Segnalate un problema, raccontate una storia di disabilità all’indirizzo e-mail postacelere@repubblica.it
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