Getty Images

Cinquantuno milioni. E’ il numero dei profili Facebook “violati” da Cambridge Analytica, l’azienda americana di consulenza e marketing impegnata nella campagna elettorale di Donald Trump e nella vittoria del “leave” nel referendum inglese del 23 giugno 2016. Secondo le inchieste del Guardian e del New York Times, per accedere ai profili, l’azienda avrebbe utilizzato un moderno cavallo di Troia: un’app chiamata “thisisyourdigitallife”, spacciata per uno dei tanti test psicologici presenti sul social network, ma che in realtà consentiva, attraverso la localizzazione, le pagine seguite e altre interazioni, di accedere ai dati della persona che la installava e a quelli dei suoi amici. Cambridge Analytica è diventata col tempo un vero e proprio comitato elettorale 2.0, in grado di sfruttare ogni informazione sensibile proveniente dagli stessi elettori per cercare di influenzare il voto a favore del migliore offerente.

La copertina dell’Economist del 22 marzo 2018. The Economist

Facebook è finita nella tempesta, accusata di aver saputo almeno dal 2015 dell’illecito travaso di dati, ma di non aver informato gli utenti coinvolti e di essersi fidata delle certificazioni fornite da Cambridge Analytica rispetto all’avvenuta distruzione del pachidermico database in loro possesso. Quelle informazioni non erano state affatto distrutte ma anzi, come ha spiegato Christopher Wylie, il ricercatore esterno di Cambridge Analytica che ha fatto scoppiare lo scandalo, sono state utilizzate in tempi recenti per profilare in profondità gli utenti e sottoporre loro flussi di informazioni, notizie e contenuti.

Leggi anche: Che cos’è la psicometria, al centro del ‘Facebookgate’, e perché ne sentiremo parlare sempre di più in futuro

Dopo un lungo silenzio Mark Zuckerberg, il fondatore del social network, ha pubblicato nella serata di mercoledì un lunghissimo post per fare il punto sulla vicenda. “Ho creato Facebook e alla fine sono responsabile di quello che accade sulla nostra piattaforma“, ha scritto.

La sua versione era attesa ormai da giorni, soprattutto dai piani alti di Wall Street, dopo il tonfo del titolo in Borsa. Zuckerberg si è preso tutto lo spazio di cui aveva bisogno, per giustificare l’operato della sua azienda.

Ha parlato anche di fiducia, un aspetto importante quando si parla di social media: “C’è stato un tradimento del rapporto di fiducia fra Cambridge Analytica e Facebook. Ma si è trattato anche del tradimento del rapporto di fiducia tra Facebook e le persone che condividono con noi i loro dati e si aspettano che noi li proteggiamo. Dobbiamo sistemare questa cosa”.

Decisamente con altri toni aveva descritto il suo “pubblico” quando appena 19enne, dal computer del suo dormitorio ad Harvard, aveva creato la prima versione del social network, chiamato The Facebook. Ecco la trascrizione della conversazione tra Mark e un amico di college, tratta da un articolo di Business Insider del 13 maggio 2010.

Zuckerberg: Sì, quindi se avrai mai bisogno di informazioni su qualcuno ad Harvard…

Zuckerberg: Basta chiedere.

Zuckergerg: Ho oltre 4.000 e-mail, foto, indirizzi.

[Amico]: Cosa? Come fai?

Zuckerberg: La gente me li ha appena presentati.

Zuckerberg: Non so perché.

Zuckerberg: Loro si fidano di me

Zuckerberg: Idioti ottusi!

Certo, bisogna mettersi nei panni di un studente universitario che ha appena progettato una piattaforma unica per gli standard dell’epoca. I toni sono quelli di una chiaccherata tra amici, in cui uno dei due si vanta con l’altro. Per di più nessuno avrebbe immaginato che, dopo 14 anni, quei 4000 dati sarebbero diventati 2,2 miliardi di utenti e Zuckerberg sarebbe diventato la sesta persona più ricca del mondo, con un patrimonio netto di 70 miliardi di dollari.

Al di là dei toni e della “colorita” definizione, quello che fa più riflettere è che il primo pensiero del padre della piattaforma che assieme a Google ha rivoluzionato il mondo di Internet sia stato condividere dati sensibili con un suo amico: un gesto che cozza con il richiamo alla fiducia del post di qualche giorno fa e che getta ulteriori dubbi sulla vicenda. Perché nel 2015 quando Facebook ha scoperto gli abusi di Cambridge Analytica, ha deciso di non dire nulla né agli utenti né ai media? Il business dei dati sensibili è stato fin dagli inizi il vero obiettivo di Zuckerberg?

Le richieste degli ultimi giorni di politici e membri del Congresso, volte ad organizzare un’audizione parlamentare per il ceo di Facebook, ci indicano che le risposte a questi quesiti arriveranno presto.