www.fgks.org   »   [go: up one dir, main page]

GLI EBREI A ROMA DURANTE L'IMPERO
(da AUGUSTO al periodo TARDO ANTICO)




Nell'impero pagano il giudaismo fu sempre considerata religio licita. Gli ebrei godevano dei diritti o di cives o di peregrini (stranieri), insieme a particolari privilegi in materia cultuale.

Per la legge romana il privilegium era una norma giuridica che toglieva lo stigma di trasgressione a determinate persone o gruppi di persone. Il contrasto tra la legge religiosa ebraica e quella civile imponeva agli imperatori la scelta tra persecuzione e concessione di privilegi. E la seconda fu la scelta politica attuata nei confronti degli ebrei, con o senza la cittadinanza romana.

Lo statuto prevedeva:
- la dispensa dall'obbligo del culto agli dei dello Stato e all'imperatore;
- l'esenzione dal servizio militare;
- la libertà di osservare i propri riti secondo la legge dei padri;
- l'autorizzazione a dare sepoltura ai morti;
- la facoltà di osservare il riposo del sabato, compresa la dispensa di comparire in giudizio il sabato (già Orazio parla dell'osservanza del sabato ebraico tra gli ebrei di Roma).


L'inserimento nella vita municipale degli ebrei con cittadinanza avvenne gradualmente senza che fossero mai aboliti il diritto privato ebraico e il riconoscimento della giurisdizione autonoma.

Nessun romano comunque, anche se colto, mostrò mai di capire l'ebraismo.

Tacito, nel riferire il provvedimento preso da Tiberio di confinare in Sardegna un contingente di ebrei con la scusa di combattere il banditismo, mostra di condividere un generale fastidio per il proselitismo della religione ebraica a Roma, nonostante la liceità ad essa riconosciuta.

Sotto Vespasiano la pretesa di inviare all'imperatore pagano i tributi destinati al Tempio scatenò la rivolta in Palestina; la feroce repressione comportò nel 70 d.C. la distruzione del Tempio di Gerusalemme, e la diaspora.
Al momento di narrare le ultime ore della città, Tacito inserisce una lunga digressione sulle origini dei giudei (Storie,V, 2-13) e segnala le diversità dei loro costumi come prove di malvagità:
il rigoroso monoteismo, l'assenza d'immagini nel Tempio, l'astensione dalle carni di maiale, il digiuno, il riposo del sabato, la circoncisione, il rifiuto di esporre i figli, la solidarietà tra le comunità sparse, sono visti con sospetto e suonano come capi d'accusa destinati alla stereotipia.


Dopo la distruzione del Tempio altri ebrei furono deportati in Italia; a Roma la comunità ebraica arrivò a contare fino a quarantamila persone (su una popolazione totale di 800 mila). In città si verificarono anche conversioni all'ebraismo.
Altri gruppi ebraici si distribuirono nell'Italia meridionale , a Venosa, Siracusa, Pozzuoli, Pompei, Taranto e Otranto, e in quella settentrionale, nell'area di Ferrara, Brescia, Milano.

La guerra del 66-70 non produsse limitazioni ai privilegi ebraici. Essi erano riconosciuti a tre condizioni:
- l'appartenenza alla nazione giudaica;
- la professione del culto ebraico;
- il pagamento di una speciale tassa per il Fiscus Iudaicus.

La nuova tassa, imposta da Vespasiano, pur nella sua finalità punitiva legalizzò indirettamente il riconoscimento del diritto della nazione ebraica a vivere secondo i propri costumi.

Domiziano, allo scopo di rimpinguare il fisco, estese la tassa a:
- tutti gli ebrei che nascondevano la loro origine;
- gli apostati;
- i giudaizzanti.
Incentivò pertanto il sistema della delazione.

Il buon Nerva limitò la tassa solo ai giudei dichiarati pur di abolire l'ignominia della delazione sui costumi giudaizzanti. Una moneta di nuovo conio portava la scritta fisci giudaici iniuria sublata.

La tolleranza romana verso gli ebrei diminuì drasticamente dopo l'editto di Costantino (313) che aveva liberalizzato il cristianesimo e molto più dopo l'editto di Tessalonica di Teodosio (389), che proclamò il cristianesimo religione di Stato.

I privilegi in materia cultuale furono tutelati dagli imperatori cristiani (i Giudei erano pur sempre testimoni di verità -testes veritatis- e questa verità non poteva essere soppressa con il paganesimo o le eresie). Vennero invece abolite molte libertà personali, con discriminazioni -odiosa privilegia- che avevano lo scopo di:
- separare visibilmente gli ebrei dai cristiani;
- preservare i cristiani dal proselitismo giudaico;
- sottolineare la vittoria della religione del Nuovo Testamento su quella del Vecchio;
- convincere gli ebrei ad abbandonare la fede giudaica per sottrarsi alle vessazioni.

Agli ebrei fu incrudelito il divieto di circoncidere i cristiani sotto pena di proscrizione o di morte;
per i cristiani fu creato il crimine di apostasia, sotto pena della confisca dei beni e di negazione del diritto di fare testamento.
Dal IV secolo nell'insegnamento teologico dei predicatori e degli scrittori ecclesiastici, prevalse la tendenza a porre barriere tra cristiani ed ebrei:

Costanzo(339) vietò ai giudei di tenere schiavi cristiani e di contrarre matrimonio con donne cristiane.

Onorio (404) li escluse dal servizio nell'esercito.

Teodosio II (438) li escluse da ogni pubblico ufficio.

Sotto gl'imperatori cristiani iniziò la tendenza ad obbligare gli ebrei a rispettare il calendario delle festività religiose dei cristiani, a partecipare a prediche forzate, a non lavorare di domenica.

Rimase un importante privilegio già riconosciuto nell'impero pagano, cioè quello di riunirsi in un luogo per le funzioni religiose, per cantare e pregare in ebraico, suonare lo shofar; ma nel VI secolo questo diritto fu limitato con la norma che la preghiera non dovesse essere udita in nessuna chiesa nelle vicinanze, pena la definitiva perdita del diritto d'uso della sinagoga.

La tassa che da sempre gli ebrei della Palestina e della diaspora versavano al Santuario di Gerusalemme (l'aurum coronarium) e per gli usi comunitari, già liberata dagli editti di Cesare e di Augusto dalla cupidigia delle autorità locali, fu trasferita nel 429 nel fisco dell'imperatore e divenne la tassa speciale sugli ebrei.


Le restrizioni crebbero ancora dopo la caduta dell'impero d'occidente, con i goti, i bizantini e i longobardi. I privilegi furono limitati assai più da Giustiniano (527-565) che abolì per gli ebrei la libertà di giurisdizione in materia religiosa (Codice Giustinianeo1,9.8; Novella di Giustiniano numero 146 del febbraio 553).

Mentre l'impero s'avviava ad una lenta e inarrestabile decadenza politica e militare, il papato conquistava un potere sempre maggiore e determinante anche per la vita degli Ebrei della penisola.
Papa Leone Magno (395-461) addossò per primo a loro la colpa dell'uccisione di Gesù; una "felix culpa" per sant'Agostino, grazie alla quale la Chiesa aveva potuto trionfare sulla Sinagoga.

Da Gregorio Magno (590-604) in poi, e per oltre tredici secoli, la storia degli ebrei di Roma e di quelli residenti nello Stato della chiesa conobbe vicende alterne, a seconda dell'atteggiamento dei singoli pontefici nei loro riguardi.
In molti Sinodi e da molti Papi il popolo ebreo sarà dichiarato "condannato eternamente a servire" per sua colpa.
Alle restrizioni delle libertà si aggiungerà l'obbligo del vestito speciale. La politica della Chiesa romana mirò sempre a tollerare gli ebrei riducendoli però in condizioni d'impotenza.