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Il dovere dell'immaginazione: necessario non è comprare e godere, ma fare e pensare in proprio

di Marco Lodoli

“Godere consumare il bene prodotto da altri – l’espressività altrui – sembra una buona sorte, a chi ha denaro. Non lo è. Necessario non è comprare e godere, ma fare e pensare in proprio. Per il ragazzo delle moltitudini come per il ragazzo delle minoranze popolari.” Così scriveva Anna Maria Ortese in “Corpo celeste”, un libro che consiglio a tutti per come riesce a tenere uniti in modo commovente i temi morali e quelli estetici, il bene e il bello, per come racconta una vita intera trascorsa in povertà e intensità così estreme da toccare quasi la santità. Già nel 1980 la Ortese aveva compreso quali fossero i rischi maggiore del nostro tempo: una passività stordita, l’arroganza con cui si pretende di comprarsi non solo la vita, ma anche l’espressività, cioè l’immaginario.


E’ nella tensione tra ciò che le cose sono e ciò che dovrebbero essere che si gioca gran parte dell’educazione sentimentale di un giovane. La naturale, quasi fisiologica insoddisfazione dell’adolescenza deve trovare la forza per immaginare un’altra vita, più giusta, più armoniosa, più bella. Non si sa bene dove sia quest’altra vita, se esiste davvero o è solo un sogno, ma ogni giovane deve sentire in sé la spinta verso la bellezza e la bontà, parola scandalosa nella sua inattualità. A dodici, tredici, quindici anni parte un viaggio che può essere straordinario se la prua è indirizzata verso le remote isole della purezza.


Scogli, secche, tempeste, delusioni non mancheranno e probabilmente non si sbarcherà da nessuna parte: ma l’immaginazione deve rimanere viva, costruire nuove rotte, inventare il vento. La colpa maggiore è saziare di beni inutili o nocivi chi vuole sentire i morsi della fame e della sete: fame e sete di bellezza, sia chiaro, non di altro. Proprio ieri ero a una festa di bambini di dieci anni, l’età dell’innocenza, della tenerezza, della fantasia: guardavo le bambine vestite come adolescenti, come donne, che si dimenavano ballando penose canzoncine sudamericane.


I maschi avevano gli occhiali da sole, i capelli tagliati in modi assurdi, innaturali, e ostentavano un’aria da canaglie che hanno visto di tutto e non credono più a nulla. Bambini e adolescenti derubati del loro diritto a fantasticare, a trasformare le cose, il mondo, il tempo. Il kit dell’immaginazione è già pronto e impacchettato, la pubblicità lo sostiene, il marketing lo diffonde, la rassegnazione lo accetta. La grande prateria è già tutta edificata, l’oceano è uno stabilimento con le canzoncine e gli animatori, il futuro è un presente stretto come un negozio ingombro di merci già usate. Forse per essere più liberi bisogna imparare a essere più soli.

20 febbraio 2012
 
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