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Elio e le Storie Tese

Elio e le Storie Tese

Tecniche di resistenza al nulla

Dalla gavetta nell'hinterland milanese ai dischi di culto degli anni Novanta e alla successiva stardom da reality show. Tutto sul fenomeno Elio e le Storie Tese, sospeso tra musica e costume, satira e nonsense. Una parabola esaltante e malinconica al contempo, che racchiude quella di un'intera generazione

di Antonio Lo Giudice

Tutto inizia con un gruppo di amici che si riuniscono nella cameretta di uno di loro, ognuno col suo mazzetto di "figu" e l'ambizione di ottenere quella, rarissima, di Buso e completare così l'album Panini. A un certo punto irrompe, in ovvio ritardo, il più fesso del lotto, il quale non solo ha come unica doppia una vetusta figurina di Facchetti, denotando così un'evidente inutilità sociale, ma impone anche agli altri l'ascolto del disco di tali Elio e le Storie Tese che, in un impeto di imbarazzante intraprendenza, si è comprato quella mattina. La scenetta, che richiama quella che apriva "MonoTono" degli Skiantos, sottolineando però le differenze di epoca e di contesto, suonava nell'anno di grazia 1989 incredibilmente familiare a chiunque avesse dai 10 ai 25 anni - insomma, preadolescenti, adolescenti, tardo-adolescenti e, soprattutto, adolescenti tardi. Era il biglietto da visita degli Elio e le Storie Tese, gruppo guidato dal cantante Stefano "Elio" Belisari e dal tastierista Sergio "Rocco Tanica" Conforti - quest'ultimo già collaboratore dei Righeira e futuro arrangiatore dell'album "Le Nuvole" di Fabrizio De André. Si tratta di un gruppo cult nell'hinterland milanese e, in generale, nel Nord Italia grazie a una fitta attività live, a un numero imprecisato di bootleg (tra cui il famosissimo "Live in Borgomanero") registrati con fare cospirativo da cassetta a cassetta e ad alcune partecipazioni televisive su programmi alternativi delle reti Mediaset quali "Lupo Solitario" e "Araba Fenice".

Il gruppo, la cui formazione, composta esclusivamente da musicisti virtuosi, comprendeva anche il bassista Nicola "Faso" Fasani, il chitarrista Davide "Cesareo" Civaschi, il polistrumentista Paolo "Mu Fogliash" Panigada (successivamente meglio noto come "Feiez") nonché il turnista Curt Cress alla batteria, si muoveva nel nobile solco della musica demenziale italiana, richiamandosi, più che agli Skiantos (pur esplicitamente citati), ai più sottovalutati Squallor. I punti di contatto tra gli Elii e il gruppo di Totò Savio sono numerosi: la perizia tecnica e la raffinatezza negli arrangiamenti, l'utilizzo degli stilemi della canzone italiana a fine parodistico e dissacratorio, la costante ricerca della provocazione per spiazzare l'ascoltatore e la totale assenza di vergogna. Altre evidenti influenze del quintetto sono il progressive italiano e, soprattutto, Frank Zappa, del quale successivamente realizzeranno numerose cover.

Tuttavia, l'importanza  musicale degli Elio e le Storie Tese è decisamente limitata: i loro collage progressivi a base di frattaglie della musica italiana non hanno avuto, ad oggi, alcuna influenza sulla scena rock nostrana (forse con l'unica eccezione di Marta sui Tubi), nonostante il grandissimo successo dei loro dischi e delle loro partecipazioni televisive. Fondamentale, invece, il peso culturale dei loro testi su un'intera gererazione: le loro prime opere hanno tratteggiato un'epica di e per nerd di periferia e provincia, privi di ambizioni, che non fosse quella di accoppiarsi almeno una volte ogni morte di papa e di sentirsi meno marginali del solito. Una goffa ricerca della felicità, che prescinde da ogni rivendicazione sociale o politica (siamo in un periodo antecedente alla "discesa in campo" di Silvio Berlusconi e qualunque governo è visto come "roba da matusa", nemico a prescindere di SuperGiovane- l'idea di schierarsi non è nemmeno concepita; la stessa famosa "Sabbiature", che ne causò la censura televisiva al concerto del Primo Maggio 1991, più che brano di protesta va derubricata a riuscita provocazione) e che trova, come unico sollievo, il riunirsi tra persone con gli stessi disagi da cameretta per costruire un linguaggio comune zeppo di tormentoni incomprensibili all'esterno e prendere per il culo il fesso di cui sopra.
Insomma, tecniche di resistenza al nulla.

Al pari dei primi programmi televisivi della Gialappa's Band (compagni di percorso degli Elio e le Storie Tese, che però segneranno la china in maniera ben più triste), il gruppo milanese ha integrato con le sue canzoni quei linguaggi tribali, fornendo una base comune per decine di migliaia di ragazzi in tutta Italia. Inoltre, in quella anonima fine degli anni 80, i loro testi rappresentavano quanto di più socialmente inaccettabile fosse in circolazione nei mangianastri dei teenager italiani- e ne sono prova le telefonate di mamme infuriate raccolte sulla loro segreteria e successivamente messe a chiusura del live Esco dal mio corpo e ho molta paura.

Elio e le Storie TeseTutto questo emerge già dal loro disco di esordio Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu (1989), un'opera già monumentale, anche se non il loro disco migliore: ogni brano è un classico, suonato in maniera sopraffina e con una struttura così contorta che avrebbe fatto impazzire anche il loro guru Frank Zappa, a partire dall'iniziale cavalcata rock "John Holmes (una vita per il cinema)" che, lungi dall'essere un'elegia del famoso pornodivo, è un trionfo di doppi sensi e assonanze baciati da una geniale anarchia verbale ("Soffrivo le pene/ Per colpa del pene/ Ma più il problema non si pone/ Sì perché il pene mi dà il pane"). "Nubi di ieri sul nostro domani odierno" (come spesso capita con Elio, i titoli non hanno alcuna attinenza coi brani) è la loro prima incursione a scopo vandalico nel mondo della canzone italiana ("Se mi butto nella vasca, emetto certe bolle che venendo a galla/ corron culla schiena, fandomi felice, giunte in superficie non mi piaccion più").
Ma il loro posto all'inferno, i Nostri se lo guadagnano con le successive "Silos", inno scatologico alimentare che parte come motivetto popolare per poi citare nel ritornello "Song for Che" e tramutarsi nel finale in un brano country, "Cassonetto differenziato per il frutto del peccato" frullato funk di leggende metropolitane e argomenti parrocchiali anti-aborto, con un piglio nel quale è impossibile distinguere l'ironia dal puro cazzeggio, e, soprattutto, "Piattaforma di trivellazione" (nel senso che, toccato il fondo si scava! Alla fine del brano ti chiedi: "Sono io malizioso o il senso del brano è proprio quello?").
Il successo del disco, però, è dovuto soprattutto alla scenetta "Cara ti amo", registrata dal vivo e primo grande esempio del realismo sentimentale nel quale gli Elii sono maestri. Il pezzo, in realtà più vicino al teatro che alla musica rock, costruisce un dialogo tra un ragazzo e una ragazza nel quale, alle proposte contrastanti di lui, corrispondono negazioni e offese sempre diverse di lei. La tensione si scioglie con l'offerta di "soldi per la pelliccia" in cambio dell'utero, in un tripudio di misoginia.
Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, come tutti i lavori successivi, è infarcito di ospiti più o meno eccellenti e di citazioni più o meno nascoste- ma questo è più argomento di speculazione, visto che la grandezza dell'opera va ricercata nella sua geniale mancanza di rispetto e nella sua capacità di costruire un linguaggio universale per tutti i giovani uomini.

Un esordio del genere sancisce il primo salto di qualità del gruppo: da fenomeno di culto locale a fenomeno di culto nazionale. La loro leggenda è accresciuta dallo storico singolo "SvEliatevi" che conteneva la prima versione di "Born To Be Abramo" e presto ritirato dal commercio a seguito delle proteste dei Testimoni di Geova, presi in giro nella copertina del disco, e ad alcuni problemi relativi ai diritti d'autore. "Born To Be Abramo" è l'ennesimo gioiello di rielaborazione della cultura giovanile (nel caso di specie, quella parrocchiale, in un'epoca in cui la parrocchia era centro di aggregazione di una certa importanza e di un'umanità molto più varia di quel che oggi si potrebbe aspettare), basato su un mix tra canzoni da Chiesa e brani dance anni 70 con un risultato a dir poco irresistibile - è tutt'ora uno dei loro classici nelle esibizioni live. Stendiamo un velo pietoso, invece, sull'inutile mini natalizio "The Los Sri Lanka Parakramabahu Brothers featuring Elio e le Storie Tese", definito dallo stesso gruppo come "il disco pacco di Natale".

Elio e le Storie TeseL'attività live all'inizio degli anni Novanta è frenetica e i Nostri cominciano a raccogliere materiale per quello che sarà il loro capolavoro, ovvero Italyan, Rum Casusu Çikti. Uscito nel 1992, segna la definitiva maturazione del gruppo: il collage, a differenza dell'album d'esordio, è convincente in tutti i suoi elementi e non risulta mai dispersivo. A partire dall'iniziare "Servi della gleba", gioiello di rock leggero italiano ibridato con la musica black, fino al tour de force progressivo di "La vendetta del Fantasma Formaggino", non vi è un istante del disco che non possa assurgere a status di cult. Prendete il nonsense favolistico de "Il Vitello dai Piedi di Balsa" (con Enrico Ruggeri special guest), o "Cartoni animati giapponesi"- catalogo pornografico in tempi assurdi, quasi fosse la colonna sonora di un perverso cartone Warner - anche la frase più irrilevante di questi brani crea una reazione immediata tra i fan del gruppo come non capita neanche tra i fanatici di Bruce Springsteen.
"Uomini col borsello" (con Riccardo Fogli alla voce) e "Essere donna oggi" stanno alla musica italiana come le tele strappate o sfregiate di Fontana stanno alla pittura. "Urna" è puro nerd-metal, mentre "Pippero", primo singolo del disco, frulla a ritmo dance leggende metropolitane e titoli di dischi trash e cult anni 70-80 ("Ramaya", "Fly Robin Fly", "Cuba dei Gibson Brothers, "Kung Fu Fighting" di Carl Douglas etc.), con l'accompagnamento, straniante nella sua solennità, del coro Le Mystere des Voix Bulgares.
"Supergiovane" è l'apoteosi del loro genio: una lunga suite progressiva - quasi un musical in miniatura - in cui vengono passati in rassegna centinaia di aspetti della cultura giovanile meno pop che si possa immaginare, ben esplicata nell'elenco iniziale strillato dall'Arch. Luca Mangoni (meglio conosciuto come "Mangoni"), compagno di classe di Elio e valore aggiunto dei loro concerti, nei quali accompagna ogni brano con la sua mimica sublimemente sguaiata e il suo viso sarcasticamente inespressivo.
Il disco vende più del precedente, grazie anche alla spinta dei singoli "Pippero" e "Servi della Gleba" i cui rispettivi video sono dei veri e propri gioiellini.

L'anno successivo, viene pubblicato il live Esco dal mio corpo e ho molta paura, composto esclusivamente da brani storici della band che non avevano trovato posto sui due precedenti album. Si tratta del classico disco che, lungi dall'essere all'altezza delle altre opere, serve più che altro a cementare il culto attorno al gruppo. Ma mostra anche quanta strada i cinque abbiano fatto dalla semplicità imbarazzante degli esordi a capolavori come "Supergiovane" o "La Vendetta del Fantasma Formaggino". Si tratta comunque di un'opera godibilissima, i cui picchi sono la lunga "Saga di Addolorato", nella quale si passa tranquillamente dalla ballata alla Tenco al calypso, e il dolente lentone "Cavo". Da segnalare l'ingresso nella line-up del batterista svizzero Christian "Millefinestre" Meyer, in seguito membro stabile della band.

Nella prima metà degli anni 90, pur snobbati tanto dalla critica alternativa quanto da quella ufficiale, gli Elio e le Storie Tese sono tra i gruppi rock italiani più amati. Ma restano ancora una band di culto e, date le loro ambizioni, cominciano a studiare la mossa che permetterà il loro definitivo salto di qualità. Il trampolino scelto per il successo è, sulla carta, quello più banale che si possa immaginare in Italia: la partecipazione al Festival di Sanremo. Meno prevedibile, invece, è stato il successo del brano presentato. "La Terra dei Cachi", finta canzone di protesta che nasconde un mix annichilente di luoghi comuni sul Belpaese, arriva seconda e pare non abbia vinto solo per l'opposizione di Pippo Baudo. Fatto sta che, dell'edizione 1996 del Festival della canzone italiana, tutti si ricordano Elio e le Storie Tese, vincitori anche del premio della critica, vestiti come i Rockets , col parrucchino in testa, oppure la versione velocizzata del loro brano, mentre l'anonimo pezzo vincitore di Ron è presto finito nel dimenticatoio.

L'exploit sanremese dà benzina per il successo del terzo disco Eat The Phikis. Pur non essendo all'altezza di Italyan, Rum Casusu Çikti, è l'ultimo grande disco della band. La vena comica dei Nostri è più esplicita, come testimoniano meravigliose goliardate come "Burattino senza Fichi" e la latinamericaneggiante "El Pube" (subito imparate a memoria dai fan).
D'altro lato, alcune scenette cominciano a mostrare una certa vena di malinconia, soprattutto nei due nuovi inni al ridicolo dramma dell'inadeguatezza giovanile: "Mio cuggino", gustoso pastiche di luoghi comuni e miti adolescenziali, e "Tapparella", che, grazie al suo crescendo epico da ballata progressive anni 70, diventerà uno dei cavalli di battaglia del gruppo nei concerti.
Vanno segnalate anche "Omosessualità" - proiettile punk che richiama la ruvidezza di "Urna"-  e "TVUMDB", che sfoggia arrangiamenti raffinati su base funk. Non manca qualche brano riempitivo ("Milza" e "Lo Stato A e Lo Stato B", decisamente inferiore alla versione dello stesso brano che era stata la sigla di "Mai Dire Gol" l'anno prima), ma il risultato finale è assolutamente all'altezza delle aspettative.

Nel 1997 il gruppo pubblica la raccolta Del Meglio del Nostro Meglio Vol. 1, nella quale trova finalmente posto la mitica "Born To Be Abramo", in una versione che vanta come guest Patrick Hernandez, l'autore di "Born to Be Alive", ma dalla quale, purtroppo, vengono eliminate le frasi recitate da Rocco Tanica che, nell'originale, creavano una perfetta atmosfera da "parrocchia estrema". L'ascolto è sempre piacevole, ma già il fatto in sé che il gruppo faccia uscire un "best of" indica che le idee cominciano a scarseggiare.

L'anno successivo, il sassofonista Feiez viene colpito da un aneurisma mentre si trova sul palco con la Biba Band (progetto parallelo di alcuni membri degli Elio e le Storie Tese) e muore sul colpo.

Elio e le Storie TeseCome sarebbe stato Craccracriccrecr (1999) senza la tragedia che aveva appena colpito il gruppo non è dato saperlo. Certamente, il loro quarto album comincia a segnare il loro declino. Non che sia un disco totalmente disprezzabile, ma è discontinuo e l'imprevedibilità anarchica degli esordi lascia il posto a un pur piacevole manierismo, che accompagna il gruppo ancora adesso.
Sono ottime, comunque, "La bella canzone di una volta", modellata sui motivetti anni 20 con un suono invecchiato ad arte, e "Bis", sulla cui natura di omaggio o parodia alla canzone rock italiana è ancora aperta la discussione.
Gli altri brani, invece, divertono senza stupire e gli omaggi/ sfottò ai vari generi musicali sono abbastanza calligrafici ("Disco Music","Rock ‘n' Roll"). Insomma, frullati musicali come "Supergiovane" o "Il vitello dai piedi di balsa" diventano solo un ricordo.
Paradossalmente, risulta più interessante la colonna sonora dell'orrido film "Tutti gli uomini del deficiente" uscita lo stesso anno, nella quale, almeno, si respira una maggiore creatività, forse a causa della natura del disco.

Il gruppo, a cui si è unito il secondo tastierista Antonello "Jantoman" Aguzzi, comincia a dilatare notevolmente i tempi di realizzazione dei suoi album e a intramezzarli con una serie di inutili dischi dal vivo, forse a causa delle numerose apparizioni televisive e dei progetti paralleli dei suoi membri.

La qualità, tuttavia, non migliora: Cicciput (2003) è un'altra opera in chiaroscuro, il cui successo è dovuto all'ottima scelta di singoli (sono effettivamente irresistibili "Shpalman", sigla di un ipotetico cartone animato con l'azzeccata partecipazione di Max Pezzali, e "Fossi Figo", ennesima ballata demenziale-malinconica,). "Gimmi I", forse il brano migliore del disco, è un omaggio allo Zappa più pop, esplicitato dalla partecipazione di Ike Willis.
Il resto del disco non convince molto: "Budi Giampi" e "Pagano" mostrano la solita tecnica sopraffina, ma non vanno oltre l'esercizio masturbatorio.

Un po' meglio Studentessi (2008), la cui varietà richiama i tempi migliori, anche se la comicità del gruppo, ormai, ha sempre un retrogusto di già sentito. Si tratta del solito disco ben suonato, ben prodotto, estremamente divertente ma che, forse inevitabilmente, non ha quella capacità di rendersi immediatamente mito e linguaggio comune che aveva caratterizzato i primi tre lavori del gruppo. In ogni caso, la world music di "Parco Sempione" rinverdisce la leggenda del gruppo e sono parimenti valide la sinfonica "Plafone" e "Heavy Samba", che passa imprevedibilmente dalla bossa nova all'hard-rock anni 70. "Suicidio a sorpresa", invece, è gustosa solo per chi (come il sottoscritto) si diletta col metal estremo.

Nel 2013, a diciassette anni da "La Terra dei Cachi", Elio e le Storie Tse tornano a Sanremo da concorrenti (dopo aver partecipato a numerose edizioni come ospiti o curatori del "dopofestival"). La circostanza che il 99% dei critici si strappi i capelli davanti ad una sciocchezzuola come "Dannati Forever" o, peggio, a un vacuo esercizio onanista come "La Canzone Mononota" sta a dimostrare come, dalla metà degli anni Novanta, il pregiudizio negativo nei confronti dei Nostri sia stato sostituito da uno (altrettanto ottuso) positivo. Il nuovo secondo posto sul palco dell'Ariston è infinitamente meno meritato di quello ottenuto nel '96 con un brano, quello sì, davvero divertente e originale.

Tuttavia, al netto di queste considerazioni, ogni nuovo disco di Elio e le Storie Tese è come un ritorno a casa e L’Album Biango (titolo beatlesiano e idiota) non fa eccezione. Superati, poi, i due mediocri brani sanremesi posti in apertura della scaletta, questa nuova fatica dei milanesi si fa voler bene.
Ritenendo inutile scrivere della bravura tecnica del gruppo, preferisco concentrami su come la stessa sia stata utilizzata. A tratti egregiamente, soprattutto nei tre brani migliori dell’album - “Enlarge (your penis)”, “Lampo”, che sbertucciano i tic dell’internauta medio, e “Il Complesso del Primo Maggio”, tour de force sulla musica sinistrorsa che okkupa regolarmente il concertone di piazza San Giovanni. Il pezzo ricorda i migliori parti del gruppo nei primi anni 90 (non siamo ai livelli di “Supergiovane”, ma è quanto di più vicino abbiano prodotto almeno nell’ ultimo decennio) ed è impreziosito dalla partecipazione nell’intro di un Eugenio Finardi in forma smagliante. “Amore Amorissimo” (molto Alan Sorrenti dance oriented) si prenota per essere il prossimo brano che farà scatenare Mangoni sul cubo nei concerti del gruppo.
La vena generazionale, non priva di una certa malinconia, emerge soprattutto nella bella “Il Ritmo della Sala Prove” e nella storiella nonsense “Luigi Pugilista”. Abbastanza fine a se stessa, invece, la rielaborazione degli stilemi del prog italiano in “Come gli Area”- con lo stesso gruppo di Tofani e Fariselli a suonarne l’introduzione strumentale. Come al solito, gli intermezzi tra un brano e l’altro sono inesauribile fonte di tormentoni e carrellate di personaggi assurdi (i trenta secondi di Fiorello sono strepitosi, così come il servizio della televisione russa) - in questo, la capacità comica dei Nostri non è venuta meno.

Tirando le somme, L’Album Biango porta a casa la sufficienza, senza strafare: i capolavori veri sono alle spalle e gli elii si accontentano ormai di lanciare sul mercato prodotti di qualità mediamente buona quasi al solo scopo di modificare le scalette dei loro lunghissimi tour. Oggi Elio e le Storie Tese sono personaggi pubblici noti e rispettati, le loro parodie dei brani sanremesi si diffondono a macchia d'olio sui social network e i loro concerti registrano sempre un'affluenza impensabile una ventina d'anni fa. Probabilmente, persino la signora che riempiva le loro segreterie telefoniche di messaggi minatori oggi li apprezzerebbe. Noi, che ora abbiamo dai 30 ai 40 anni e siamo cresciuti con le loro canzoni, li continuiamo a seguire con affetto e, ogni tanto, ci immalinconiamo pensando a quando dovevamo ascoltare di nascosto "John Holmes" in modo che mamma non ci beccasse.

Dopo una nuova partecipazione al Festival di Sanremo, la band milanese torna nel 2016 con il nuovo album, Figgatta de Blanc. In coda al brano “I delfini nuotano” si sentono gli Elii scherzare e ridere. Beati loro, verrebbe da dire, perché di risate questo decimo lavoro ne regala ben poche ed è indicativo che questo siparietto concluda uno dei brani più snervanti del disco, la classica sciocchezzuola in cui a divertirsi sono solo gli autori, non certo chi li ascolta. Eppure il disco lasciava ben sperare. Non per il brano di Sanremo (“Vincere l’odio”, al pari della “Canzone mononota”, è un vacuo giochetto masturbatorio, studiato per stupire il pubblico dell’Ariston - e, visti i risultati, direi che questo giro non gli è andata particolarmente bene), ma perché la doppietta iniziale, decisamente black, “Vacanza Alternativa” e “She Wants”, non ha altra pretesa che far ridere, e ci riesce alla grande! Certo, i brani usano la trivialità senza vergogna, ma dov’è scritto che sia un problema? Non facciamo gli ipocriti: parleremmo oggi di Elio e le Storie Tese senza “Quando ero piccolo/ tutti mi scherzavano/ per le dimensioni del mio pene”? Pertanto, ben vengano anche “dito nel sedere/ paura non fa” o “She wants in the posterior”. Il problema è quando abbandonano la trivialità e cercano di far ridere con il nonsense (cosa che, ancora ancora, gli riesce, anche non sono più in grado di inventarsi sarabande come “La vendetta del Fantasma Formaggino” semplicemente smontando e rimontando una barzelletta) o, peggio,  quando giocano la carta della satira di costume, che, salvo i brevi sketch di Rocco Tanica, non è proprio nelle loro corde. Ecco così nascere robe inutili come “Parla come mangi” o “Il rock della tangenziale”, nobilitate solo dagli interventi, geniali, rispettivamente di Mangoni e J-Ax. Anche se il fondo viene raggiunto con l’inutile e imbarazzante cover di “A Fifth Of Beethoven” di Walter Murphy.
Poi, per il resto, “China Disco Bar” , “Inquisizione” e “Il primo giorno di scuola” sono simpatiche e si lasciano ascoltare con un sorriso vago, ma può bastare? Vogliono i complimenti per l’ennesimo brano in cui la menano, persino nel testo, su quanto sono bravi a suonare? Io, che conosco sia il prog che Frank Zappa, trovo la cosa abbastanza stucchevole. Un discorso a parte merita il toccante omaggio a Francesco Di Giacomo di “La bomba intelligente”, le cui tracce vocali sono state registrate nel 2005 dal cantante scomparso due anni fa. Ecco, si tratta di un piccolo gioiello, finito quasi incongruamente all’interno di un disco abbastanza anonimo.

Nel 2017 gli Elii annunciano a sorpresa lo scioglimento, preceduto da un Concerto Definitivo al Forum di Assago (MI) e un ultimo tour in giro per lo Stivale. Un estremo saluto orgogliosamente demenziale, sponsorizzato da un’agenzia di pompe funebri che da diversi mesi cavalca l’onda social; cotto e mangiato, come da quasi quindici anni avveniva coi “cd brulé” che loro stessi hanno coniato, venduti a fine concerto assieme alle birrette e ai memorabilia kitsch.
Arrivedorci è anche il titolo dell'ultima canzone presentata al festival di Sanremo, un puro e semplice abbraccio collettivo, un’onesta stretta di mano che sancisce la pace perpetua tra il mainstream italiano e i suoi eterni fuoriclasse. Essa viene riproposta, assieme all'inedito "Il circo discutibile", come apertura alla registrazione del live tenutosi il 19 dicembre 2017.
La lunga parata dei classici – con qualche gradevole episodio dagli album più prossimi al pensionamento – ci lascia ancora una volta un sorriso stampato sulle labbra, rimarcando la testardaggine con cui hanno continuato a sovvertire dall’interno le logiche dell’industria discografica italiana, portando avanti un’epopea “Completamente antieconomica/ A propulsione elica [...] Dolcemente stitica, ma elogiata dalla critica”. Si portano a casa la meritata fama di musicisti straordinari, istrioni impenitenti, nostalgici di Feiez e di una “vita sbruciacchiata” su qualsiasi palco, a prezzi calmierati ma a parità di passione.
Il "dirigibile marrone senza elica e timone" scompare all’orizzonte, e i più adorabili cazzoni della musica italiana “vi salutano con l’altra mano”, tra lo stupore degli astanti. Arrivedorci.


Contributi di Michele Palozzo ("Arrivedorci")

Elio e le Storie Tese

Discografia

Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu (1989)

The Los Sri Lanka Parakramabahu Brothers (1990)

Italyan, Rum Casusu Cikti (1992)

Esco dal mio corpo e ho molta paura (live, 1993)

Eat the phikis (1996)

Del meglio del nostro meglio (antologia, 1997)

Peerla (1998)

Craccracriccrecr (1999)

Tutti gli uomini del deficiente (colonna sonora, 1999)

Made in Japan (live, 2001)

Cicciput (2003)

Il meglio di Ho fatto due etti e mezzo, lascio? (live, 2004)

Il meglio di Grazie per la splendida serata (live, 2005)

Studentessi (2008)

Gattini (2009)

L'Album Biango (2013)
Figgatta de Blanc (2016)
Arrivedorci(live, 2018)
Pietra miliare
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John Holmes (live da Elio Samaga Hukapan Kariyana Turu, 1989)
Il Pippero (video da Italyan, rum casusu çikti, 1992)
Servi della gleba (video da Italyan, rum casusu çikti, 1992)
Nessuno ai Mondiali (video, 1994)
Mio cuggino (video da Eat The Phikis, 1994)
La terra dei cachi (live al Festival di Sanremo, 1996)
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