Poco più di un mese fa, all’ultimo Mobile World Congress di Barcellona Pavel Durov, programmatore russo con infanzia italiana nonché fondatore di VKontakte, il Facebook di Mosca, e soprattutto di Telegram, ha annunciato i 100 milioni di utenti attivi mensilmente sulla sua superchat. Solo nel maggio 2015 erano una sessantina.
Il ritmo di crescita è dunque notevole, si parla di 350mila nuovi utenti al giorno per uno scambio di quindici miliardi di messaggi ogni 24 ore. Nonostante sia stata lanciata tre anni fa, in alcuni mercati la scalata dell’applicazione è avvenuta lentamente.
Ma senza sosta. Certo il quasi miliardo di persone che usano WhatsApp è un’altra cosa. Ma Telegram è uscito dalla nicchia di chi lo usa fin dagli inizi imponendosi come utilissima alternativa.
Anche perché è un’app per così dire a due livelli. Può cioè essere utilizzata più o meno come clone di WhatsApp senza troppi problemi, dalle foto ai messaggi audio. Oppure sfruttata più in profondità, magari da un’utenza più smaliziata, grazie alle infinite possibilità offerte dai bot, gli account automatizzati che svolgono infinite funzioni e che chiunque può realizzare, dai canali e da altre funzionalità e personalizzazioni di cui chat simili non dispongono.
Anche la privacy, che su Telegram è più stringente sebbene ci sia qualcuno che sostiene di essere riuscito a bucare i protocolli di crittografia, ha senza dubbio accompagnato il boom dell’applicazione con quartier generale a Berlino.
Versatile, elastica, disponibile praticamente per ogni sistema operativo su ogni dispositivo, da Android a Linux passando per Windows Phone, l’applicazione lanciata dall’imprenditore di San Pietroburgo va oltre il mero concetto di chat – dove pure sfoggia caratteristiche invidiabili come i supergruppi da 5mila contatti o un ecosistema di divertenti sticker – configurandosi come inedito canale di distribuzione dei contenuti. Tanto che sempre più testate, ma anche addetti ai lavori o appassionati, stanno lanciando i propri canali.